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Liberazione condizionale

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Capitolo<br />

1<br />

<strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong><br />

di Fabio Fiorentin<br />

Sommario 1. Natura giuridica. – 1.1. La moderna concezione specialpreventiva della<br />

liberazione <strong>condizionale</strong>. – 2. Il carattere della decisione giudiziale. – 3. La<br />

pena suscettibile di liberazione <strong>condizionale</strong>. – 3.1. I limiti di pena. – 3.2. Effetti<br />

dell’indulto e dell’amnistia. – 3.3. Valutazione della recidiva. – 4. Competenza.<br />

– 5. Il ravvedimento del condannato. – 6. La gravità del reato e la<br />

personalità del reo. – 7. La vittima del reato. Il perdono della persona offesa. –<br />

8. L’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. – 9. <strong>Liberazione</strong><br />

<strong>condizionale</strong> e condannati per particolari delitti (art. 4-bis, legge n.<br />

354/1975). – 10. <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong> e art. 16-nonies, legge n. 82/1991. –<br />

11. <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong> per i condannati minorenni. – 12. <strong>Liberazione</strong><br />

<strong>condizionale</strong> per i condannati a pena militare. – 13. La libertà vigilata in seguito<br />

alla concessione della liberazione <strong>condizionale</strong>. – 13.1. Libertà vigilata<br />

nei confronti dei condannati stranieri ammessi alla liberazione <strong>condizionale</strong>. –<br />

14. Rapporti con altre misure. – 15. <strong>Liberazione</strong> anticipata. – 16. Sopravvenienza<br />

di titoli esecutivi. Cumulo giuridico di pene. – 17. Estinzione della<br />

pena. – 18. Revoca della liberazione <strong>condizionale</strong>. – 18.1. La speciale disciplina<br />

della revoca della liberazione <strong>condizionale</strong> di cui alla legge n. 304/1982.<br />

1. Natura giuridica<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong> costituisce l’archetipo dei c.d. “benefici penitenziari”,<br />

essendo antecedente all’introduzione delle misure alternative vere e<br />

proprie 1<br />

. L’istituto è disciplinato nel Libro I, Titolo VI, Capo II («Della estinzione<br />

della pena») del codice penale, e per tale sua collocazione è generalmente<br />

ritenuta una causa di estinzione della pena 2 .<br />

1<br />

Come ricorda autorevole dottrina, l’istituto fu introdotto nel nostro ordinamento dal<br />

Codice Zanardelli del 1889 e, nelle intenzioni del legislatore, si trattava di una misura utile<br />

a contribuire alla gestione degli stabilimenti penitenziari, soprattutto dal punto di vista disciplinare<br />

(M. CANEPA-S. MERLO, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2004, p. 278).<br />

2<br />

Sulla liberazione <strong>condizionale</strong> in generale, v. C. AIELLO, <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong>, in<br />

Enc. giur. Treccani, vol. XVIII, Roma, 1990, p. 1; G. BARONE, <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong>, in<br />

Dig. disc. pen., vol. VII, Torino, 1993, p. 410; G. CAMERINI, La liberazione <strong>condizionale</strong>, in


2<br />

Fabio Fiorentin<br />

È questa la ragione per cui una parte della dottrina avvicina la liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> alla sospensione <strong>condizionale</strong> della pena, benché si tratti di istituti<br />

profondamente diversi, come ha osservato la Corte costituzionale:<br />

La distinzione tra sospensione <strong>condizionale</strong> della pena e liberazione <strong>condizionale</strong><br />

consiste, tra l’altro, e soprattutto, in questo: la prima, anche se eventualmente subordinata,<br />

nella stessa sentenza di condanna, all’adempimento di obblighi da parte<br />

del condannato (cfr. art. 168 c.p.) non comporta, dal momento in cui viene ordinata<br />

fino a quello della revoca di cui all’art. 168 c.p., vincoli alla libertà del condannato<br />

(e, per essa, pertanto, non si pongono problemi di “scomputo”, dalla prefissata<br />

pena detentiva, del tempo intercorso tra l’ordine di sospensione e la sua revoca)<br />

mentre la seconda, la liberazione <strong>condizionale</strong>, dal momento dell’ammissione del<br />

condannato alla medesima fino a quello della sua revoca ex art. 177 c.p., comporta<br />

l’adempimento, da parte del condannato, di particolari prescrizioni (imposte, successivamente<br />

alla sentenza di condanna) inerenti alla libertà vigilata di cui all’art.<br />

230, n. 2, c.p., limitative certamente della libertà del condannato. Mentre durante<br />

il tempo che corre tra la concessione della sospensione <strong>condizionale</strong> della pena e la<br />

sua revoca ex art. 168 c.p., il condannato rimane nella stessa posizione in cui era<br />

prima della condanna, non subendo alcun vincolo affittivo (a parte la minaccia di<br />

revoca della sospensione) la posizione in cui viene a trovarsi l’ammesso alla liberazione<br />

<strong>condizionale</strong>, prima della causa di revoca (o della revoca) non è di “totale” libertà,<br />

ossia quella in cui era prima della condanna (Corte cost. 17-25 maggio 1989,<br />

n. 282, in G.U. 31 maggio 1989).<br />

Per altra opinione, la liberazione <strong>condizionale</strong> dovrebbe accostarsi alle misure<br />

alternative alla detenzione 3 .<br />

La tesi non ha trovato eco favorevole nella giurisprudenza di legittimità,<br />

che ha sottolineato come l’istituto in esame si fondi sull’accertamento del già<br />

intervenuto ravvedimento del condannato, condizione non richiesta dai benefici<br />

penitenziari disciplinati dalla legge n. 354/1975 sull’ordinamento penitenziario<br />

4 :<br />

Quad. giust., 1982, n. 11, p. 50; L. DAGA, La liberazione <strong>condizionale</strong> in Italia, in Doc.<br />

giust., 1989, n. 3, p. 73; S.P. FRAGOLA, Aspetti giuridici della sospensione <strong>condizionale</strong> della<br />

pena e della liberazione <strong>condizionale</strong> della pena, in Giust. pen., 1986, II, p. 57. Affronta il<br />

tema in termini problematici G. FLORA, La liberazione <strong>condizionale</strong>: quale futuro?, in Indice<br />

pen., 1989, p. 353. Per una panoramica sulle concezioni della liberazione <strong>condizionale</strong>,<br />

cfr. F. RAMACCI, Riduzioni di pena, liberazione anticipata e liberazione <strong>condizionale</strong>, in V.<br />

GREVI (a cura di), Alternative alla detenzione e riforma penitenziaria, Bologna 1982.<br />

3<br />

Così, M. CANEPA-S. MERLO, Manuale, cit., p. 280.<br />

4<br />

L’assunto che il carattere peculiare e distintivo delle misure alternative sia costituito<br />

dalla finalità rieducativa del reo; risultato che il beneficio di cui all’art. 176 c.p., non perseguirebbe<br />

perché concedibile soltanto a condannati già “ravveduti”, non pare, in verità, del<br />

tutto condivisibile. È agevole, infatti, osservare che il fine rieducativo non è affatto il proprium<br />

delle (di tutte le) misure alternative, poiché non è contemplato nel caso delle diverse<br />

tipologie di detenzione domiciliare “deflattive” della popolazione carceraria (cfr. art. 47ter,<br />

comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.), art. 1, legge n. 199/2010); e in


LIBERAZIONE CONDIZIONALE 3<br />

Presupposto indefettibile della liberazione <strong>condizionale</strong> è il sicuro ravvedimento<br />

del condannato. Ciò implica l’avvenuta ammenda con l’abbandono certo del passato<br />

deviante, la certezza della conclusione del processo di rieducazione con il sicuro<br />

reinserimento sociale. Proprio ciò distingue l’istituto in questione, previsto<br />

dal Codice penale, dalle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento<br />

penitenziario e ne differenzia la portata e l’esito (Cass., sez. I, 26 giugno<br />

1995, Anastasio, in Giust. pen., 1996, II, 312).<br />

Secondo la citata giurisprudenza, la liberazione <strong>condizionale</strong> si differenzierebbe,<br />

inoltre, dalle misure alternative alla detenzione in quanto causa di estinzione<br />

della pena e di revoca delle misure di sicurezza ope legis:<br />

Le misure alternative costituiscono solo un modo alternativo di espiazione della pena,<br />

mentre la liberazione <strong>condizionale</strong> è una causa estintiva della pena, decorso il<br />

termine prescritto e di revoca delle misure di sicurezza personali, estinzione che<br />

avviene ope legis, mentre per l’estinzione della pena a seguito dell’affidamento in<br />

prova il Tribunale di sorveglianza deve valutare la positività dell’esito del periodo<br />

di prova (Cass., sez. I, 26 giugno 1995, Anastasio, in Giust. pen., 1996, II, 312).<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong> sembra, in effetti, trovare la sua raison d’etre<br />

nel riconoscimento che la pena abbia già esplicato il suo effetto e dunque la<br />

pretesa punitiva dello Stato non abbia ragione di essere ulteriormente protratta,<br />

così che possa essere lasciato spazio alla fase di reinserimento sociale del<br />

reo: «il suo nucleo caratteristico [della liberazione <strong>condizionale</strong>, n.d.a.] è costituito<br />

dal raggiunto ravvedimento del reo per effetto del trattamento carcerario<br />

… ed in esso è pure la giustificazione teorica dell’istituto, poiché la realizzazione<br />

della finalità emendatrice della pena ne rende superflua la prosecu-<br />

zione» 5<br />

.<br />

E tale stretta correlazione tra la finalità rieducativa della pena – anche attraverso<br />

il momento finale del percorso di evoluzione della personalità culminante<br />

nella concessione della liberazione <strong>condizionale</strong> è stata bene evidenziata<br />

dalla Corte costituzionale fin dalla storica decisione (sentenza n. 204/1974)<br />

con la quale fu riconosciuto, in tema di liberazione <strong>condizionale</strong>, il diritto del<br />

condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale,<br />

il protrarsi della detenzione sia riesaminato, al fine di accertare se la<br />

quantità di pena già espiata abbia, o no, assolto il suo fine rieducativo:<br />

Con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione l’istituto ha assunto un peso e un<br />

valore più incisivo di quello che non avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un<br />

relazione ai benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia (art. 16-nonies, legge 15<br />

marzo 1991, n. 82, introdotto dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, che presuppongono l’accertamento<br />

del “ravvedimento” del condannato, in analogia a quanto dispone l’art. 176, c.p.,<br />

con riferimento alla liberazione <strong>condizionale</strong>.<br />

5<br />

C. PEYRON, voce <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong>, in Enc. dir., vol. XXIV, Milano, 1974, p.<br />

224.


4<br />

Fabio Fiorentin<br />

peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di applicazione presuppone<br />

un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative<br />

della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le<br />

forme atte a garantirle. Sulla base del precetto costituzionale sorge, di conseguenza,<br />

il diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma<br />

di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga<br />

riesaminato al fine di accertare se, in effetti, la quantità di pena espiata abbia o<br />

meno assolto positivamente al suo fine rieducativo; tale diritto deve trovare nella<br />

legge una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale (Corte cost., sent. 27 giugno<br />

1974, n. 204, in www.cortecostituzionale.it).<br />

La stessa riforma dell’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n.<br />

354, c.d. Ordinamento penitenziario) fu varata proprio su impulso della pronuncia<br />

costituzionale n. 204/1974, determinando un vero e proprio ribaltamento<br />

dei tradizionali rapporti fra ristretto e amministrazione preposta agli istituti di<br />

pena: l’esecuzione penitenziaria diviene, in altri termini, centripeta rispetto alla<br />

figura del detenuto, che viene portato in primo piano, non più quale “soggetto<br />

passivo” dell’esecuzione penale, bensì quale “soggetto di diritti”, titolare di posizioni<br />

soggettive che può personalmente esercitare 6 .<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong> è, dunque, permeata dalla valenza risocializzante,<br />

che promana dal disposto costituzionale (art. 27, comma 3, Cost., e che<br />

costituisce il tratto più caratteristico e pregnante dell’istituto 7 :<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong>, nel sostituire al rapporto esecutivo della pena carceraria<br />

il rapporto esecutivo della libertà vigilata di cui all’art. 230, n. 2, c.p., nel costituire,<br />

come pure è vero, attuazione ante litteram dei principi espressi dall’art. 27,<br />

terzo comma, Cost (…) impedisce che la finalità specialpreventiva, come è stato<br />

osservato in dottrina, vada oltre il suo scopo: diviene infatti inutile la prosecuzione<br />

dell’esecuzione della pena detentiva quando il condannato si dimostri sicuramente<br />

ravveduto. Con la liberazione <strong>condizionale</strong> la funzione rieducativa della pena prevale,<br />

dunque, ai sensi, oggi, dell’art. 27, terzo comma, Cost., sull’esigenza retribuzionistica<br />

(Corte cost. 17-25 maggio 1989, n. 282, in G.U. 31 maggio 1989).<br />

La disciplina della liberazione <strong>condizionale</strong>, a differenza della normativa in<br />

materia di misure alternative alla detenzione, ha natura sostanziale e non processuale:<br />

6<br />

Vi fu anche chi osservò, non senza una sfumatura paradossale, come la riforma penitenziaria<br />

rappresentasse «(…) il solenne riconoscimento che lo status di detenuto o di internato<br />

non solo non fa venir meno la posizione di lui come titolare di diritti soggettivi<br />

connessi a tale status, ma, anzi, altri gliene attribuisce» (G. GALLI, La politica criminale in<br />

Italia negli anni 1974-77, Milano, 1978, p. 28.<br />

7<br />

In questa prospettiva autorevole dottrina osserva come, «In caso di revoca, il tempo<br />

trascorso in libertà <strong>condizionale</strong> non è computato nella durata della pena, cosa non conciliabile<br />

con l’inquadramento della liberazione <strong>condizionale</strong> tra le modalità di esecuzione<br />

della pena, poiché darebbe luogo ad un inspiegabile prolungamento della pena inflitta»<br />

(C. PEYRON, voce <strong>Liberazione</strong> <strong>condizionale</strong>, cit., p. 225).


LIBERAZIONE CONDIZIONALE 5<br />

la liberazione <strong>condizionale</strong> è un istituto di diritto sostanziale e non processuale in<br />

quanto implica, oltre alla immediata liberazione, la estinzione, sia pure differita,<br />

della pena, alla condizione, tra l’altro, della mancata commissione, entro un tempo<br />

determinato (durata della pena residua o cinque anni in caso di condanna all’ergastolo)<br />

di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole (Cass., sez. I, 4<br />

luglio 1984, n. 1375, Berti, in CED; conforme, Cass., sez. I, 28 aprile 1983, n. 464,<br />

Aprile, in CED).<br />

La giurisprudenza costituzionale si è, invece, orientata decisamente nella<br />

direzione di configurare la liberazione <strong>condizionale</strong> quale istituto assimilabile<br />

alle misure alternative alla detenzione:<br />

Peraltro, a quella parte della dottrina e della giurisprudenza, che assume che la liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> non estingua né modifichi la potestà di punire dello Stato<br />

(…) va risposto che il rapporto giuridico punitivo (per chi lo ammetta) va distinto<br />

dai diversi rapporti giuridici d’esecuzione, relativi alle diverse conseguenze penali<br />

della condanna, pur derivando questi ultimi dal primo: la liberazione, infatti, mentre<br />

sospende la pena principale detentiva (sospende, cioè, una delle conseguenze<br />

del rapporto giuridico punitivo) lascia tuttavia integro quest’ultimo, che può continuare,<br />

così, a rendere concreti altri rapporti giuridici di (eventuali) altre conseguenze<br />

penali (…) la liberazione <strong>condizionale</strong> certamente non va ritenuta modalità<br />

esecutiva della pena, se per pena s’intende esclusivamente la detenzione in istituto<br />

(Corte cost. 17-25 maggio 1989, n. 282, in G.U. 31 maggio 1989).<br />

1.1.<br />

La moderna concezione specialpreventiva della liberazione <strong>condizionale</strong><br />

Con l’entrata in vigore della Costituzione ha preso avvìo il processo di trasformazione<br />

dell’istituto della liberazione <strong>condizionale</strong>, progressivamente evolutosi<br />

da misura meramente premiale a strumento per il reinserimento del<br />

condannato ravvedutosi nella società civile, rappresentando, anzi, il momento<br />

più pregnante del percorso rieducativo del reo secondo le coordinate tracciate<br />

dalla Carta costituzionale (art. 27, comma 3, Cost.).<br />

I momenti essenziali di questo percorso evolutivo si colgono nella legge n.<br />

1634/1962, che ha esteso l’applicazione della liberazione <strong>condizionale</strong> agli ergastolani<br />

ed ai soggetti sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva e, soprattutto,<br />

nella legge n. 354/1975 che, ispirata alla logica trattamentale, ha introdotto<br />

il sistema della progressione scalare delle misure alternative alla detenzione,<br />

ispirato a logiche di flessibilità della pena e di orientamento della<br />

medesima a finalità di rieducazione del reo.<br />

Entro questo complesso sistema si colloca oggi la liberazione <strong>condizionale</strong>,<br />

come misura conclusiva del trattamento rieducativo.<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong> si è, dunque, evoluta in una diversa modalità di<br />

esecuzione della pena, attenuata rispetto al carcere, ed assimilabile alle misure<br />

alternative alla detenzione. Lo ha riconosciuto la Corte costituzionale, laddove


6<br />

Fabio Fiorentin<br />

ha affermato che «l’istituto della liberazione <strong>condizionale</strong> rappresenta un particolare<br />

aspetto della fase esecutiva della pena restrittiva della libertà personale<br />

e si inserisce nel fine ultimo e risolutivo della pena stessa, quello, cioè, di tendere<br />

al recupero sociale del condannato» 8 .<br />

In altro arresto, la Corte ha chiarito che la liberazione <strong>condizionale</strong>:<br />

– sostituisce al rapporto esecutivo della pena carceraria il rapporto esecutivo<br />

della libertà vigilata di cui all’art. 230, comma 1, n. 2, c.p.;<br />

– costituisce attuazione, ante litteram, dei principi espressi dall’art. 27,<br />

comma 3, Cost., perché, oltre a realizzare la finalità rieducativa della pena,<br />

rende “più umana” la pena stessa, evitando al condannato la parte centrale o<br />

finale della detenzione, cioè la fase più inumanamente afflittiva di quest’ultima;<br />

– impedisce che la finalità special-preventiva della pena vada oltre il suo<br />

scopo perché diviene inutile la prosecuzione dell’esecuzione della pena detentiva<br />

quando il condannato si dimostri sicuramente ravveduto («con la liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> la funzione rieducativa della pena prevale, dunque, ai sensi,<br />

oggi, dell’art. 27 Cost., comma 3, sull’esigenza retribuzionistica» 9<br />

.<br />

Ad analoghi approdi è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, laddove è<br />

giunta esplicitamente ad affermare che il periodo trascorso in libertà vigilata<br />

(sempre ordinata ai sensi dell’art. 230, comma 1, n. 2, c.p.), dal soggetto che<br />

fruisce della liberazione <strong>condizionale</strong> va considerato come «esecuzione della<br />

pena a tutti gli effetti» 10 .<br />

In tale prospettiva, la liberazione <strong>condizionale</strong> ha, dunque, abbandonato<br />

l’originaria natura squisitamente premialistica per assumere progressivamente<br />

connotazioni marcatamente specialpreventive, che la avvicinano al genus delle<br />

misure alternative alla detenzione, nel quadro e quale ultimo passaggio della<br />

finalizzazione rieducativa dell’esecuzione penale.<br />

Non sorprende, in questa chiave di lettura, che lo stesso requisito soggettivo<br />

del “sicuro ravvedimento” del condannato, desumibile dal comportamento<br />

tenuto durante il tempo di esecuzione della pena costituisca, ai sensi dell’art.<br />

176, comma 1, c.p., il presupposto fondamentale della liberazione <strong>condizionale</strong><br />

e ne caratterizzi il fondamento, nella sua sostanziale assimilazione alle misure<br />

alternative alla detenzione e in stretta correlazione con il principio della<br />

funzione rieducativa della pena, enunciato dall’art. 27, comma 3, Cost. 11 .<br />

8<br />

Corte cost. 4 luglio 1974, n. 204.<br />

9<br />

Corte cost. 25 maggio 1989, n. 282.<br />

10<br />

Cass., sez. I, 23 aprile 2009, n. 17343, Cicciù, in CED; conformi: Cass., sez. I, 5 novembre<br />

2009, n. 42468, Gulisano, in CED; Cass., sez. I, 17 luglio 2009, n. 29843, Bologna,<br />

in CED; Cass., sez. I, 16 giugno 2009, n. 24925, Contino, in CED.<br />

11<br />

Corte cost. 20 luglio 2001, n. 270; Cass., sez. I, 27 febbraio 2009, n. 9001, P.G. in<br />

proc. Mambro, in CED.


LIBERAZIONE CONDIZIONALE 7<br />

L’elaborazione giurisprudenziale colloca, in definitiva, la misura della liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> quale momento più alto e conclusivo del percorso trattamentale/rieducativo<br />

del condannato.<br />

Un’attenta esegesi della giurisprudenza costituzionale consente, peraltro, di<br />

precisare ulteriori ed essenziali caratteri del beneficio.<br />

E invero, la liberazione <strong>condizionale</strong>, nel caso dei condannati alla pena dell’ergastolo,<br />

non si pone alla stregua di un qualsiasi beneficio penitenziario che<br />

può essere somministrato dal giudice al condannato che se ne dimostri meritevole<br />

sulla base di un vaglio discrezionale; bensì assume, il carattere di una<br />

misura che – ricorrendo le condizioni previste dalla legge (art. 176 c.p.) – deve<br />

essere applicata.<br />

Tale connotazione di doverosità della concessione della liberazione <strong>condizionale</strong><br />

all’ergastolano, conseguente all’accertamento della sussistenza delle condizioni<br />

di legge, emerge chiaramente dalla esegesi delle fonti costituzionali interpretate<br />

alla luce dei dicta della Corte costituzionale.<br />

Con sentenza n. 115/1964, la Corte, nel considerare che «le leggi penali<br />

vanno sempre più ispirandosi ai criteri di umanità riaffermati dalla nostra Costituzione»,<br />

assumeva quale evidenza di tale orientamento della esecuzione<br />

penale la legge n. 1634/1962 che riconosceva la possibilità di applicare la liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> anche ai condannati alla pena dell’ergastolo.<br />

Alcuni anni più tardi, la Consulta, nel dichiarare incostituzionale la previsione<br />

di legge che attribuiva la concessione del beneficio al Ministro della<br />

giustizia anziché all’autorità giudiziaria, osservava che la liberazione <strong>condizionale</strong><br />

aveva «assunto un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse<br />

in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento<br />

penale e il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo<br />

per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena,<br />

ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle».<br />

Per conseguenza, affermò in quell’occasione il giudice delle leggi,<br />

sorge il diritto del condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma<br />

di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga<br />

riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno<br />

assolto positivamente al suo fine rieducativo; tale diritto deve trovare nella legge<br />

una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale (Corte cost., n. 204/1974).<br />

E con specifico riferimento alla pena dell’ergastolo, la Corte ha aggiunto – con<br />

successivo arresto – che la liberazione <strong>condizionale</strong>, quale unica misura che,<br />

consentendo «l’effettivo reinserimento anche dell’ergastolano nel consorzio<br />

civile» ed essendo applicabile «non più in relazione a scelte discrezionali del<br />

potere politico, ma in base a una decisione dell’autorità giudiziaria, che con<br />

le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale accerterà se il condannato<br />

abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo rav-


8<br />

Fabio Fiorentin<br />

vedimento», consente di sottrarre a censura di incostituzionalità la previsione<br />

legale della pena perpetua 12 .<br />

Tale considerazione è esplicitata con ancora maggiore chiarezza nella sentenza<br />

n. 274 del 1983, con la quale la Corte, nel sanzionare l’illegittimità costituzionale<br />

dell’art. 54 ord. pen. nella parte in cui non consente al condannato<br />

all’ergastolo di usufruire della liberazione anticipata, affermava che «la recuperabilità<br />

sociale del condannato all’ergastolo, mediante la possibilità della sua<br />

liberazione <strong>condizionale</strong>, segnava (…) nella nostra legislazione penale una<br />

svolta di evidente rilievo».<br />

Di analogo tenore è il dictum costituzionale n. 161/1997, ove, in relazione<br />

all’illegittimità costituzionale della preclusione della liberazione <strong>condizionale</strong><br />

ai condannati all’ergastolo cui in precedenza la medesima misura fosse stata revocata,<br />

il giudice costituzionale osserva: «Se la liberazione <strong>condizionale</strong> è l’unico<br />

istituto che in virtù della sua esistenza nell’ordinamento rende non contrastante<br />

con il principio rieducativo, e dunque con la Costituzione, la pena dell’ergastolo,<br />

vale evidentemente la proposizione reciproca, secondo cui detta<br />

pena contrasta con la Costituzione ove, sia pure attraverso il passaggio per<br />

uno o più esperimenti negativi, fosse totalmente preclusa, in via assoluta, la<br />

riammissione del condannato alla liberazione <strong>condizionale</strong>».<br />

Con la decisione n. 273/2001 la Consulta ha, infine, sancito che l’istituto<br />

della liberazione <strong>condizionale</strong> ha «superato la logica esclusivamente premiale<br />

cui era ispirato», per volgersi nella direzione del «finalismo rieducativo della<br />

pena», nella «logica del trattamento del condannato», con sostanziale assimilazione<br />

al genus delle misure alternative alla detenzione.<br />

2. Il carattere della decisione giudiziale<br />

Un profilo strettamente correlato al dibattito sulla collocazione sistematica<br />

della liberazione <strong>condizionale</strong> riguarda la controversa questione dei margini di<br />

apprezzamento discrezionale attribuiti al giudice ai fini della concessione del<br />

beneficio.<br />

Secondo l’opinione – se pure risalente – espressa dalla giurisprudenza di<br />

legittimità, la natura eccezionale della liberazione <strong>condizionale</strong> giustificherebbe<br />

l’elevato tasso di discrezionalità, che deve essere riconosciuto al giudice ai<br />

fini della concessione della misura, il cui unico parametro è l’osservanza dei<br />

criteri di cui all’art. 133 c.p.<br />

Tale configurazione dell’istituto implica che, anche al verificarsi di tutte le<br />

condizioni previste dalla legge, resti comunque riservato al giudice il libero<br />

12 Corte cost. n. 264/1974.


LIBERAZIONE CONDIZIONALE 9<br />

apprezzamento sulla opportunità di concedere, o meno, il beneficio 13 .<br />

Tale concezione non sembra più attuale, né armonica con l’elaborazione<br />

costituzionale sopra delineata.<br />

La riconosciuta natura della liberazione quale istituto di natura assimilabile<br />

alle misure alternative, orientate ad una visione rieducativa della pena in chiave<br />

specialpreventiva, induce, infatti, a configurare la necessità del vaglio giudiziale<br />

della condotta mantenuta dal condannato, al fine di trarne elementi da<br />

cui desumere il “sicuro ravvedimento” così che il soggetto non è più ritenuto<br />

socialmente pericoloso.<br />

Tale complesso giudizio si fonda su una prognosi favorevole, «da effettuarsi<br />

sulla base di criteri di valutazione non dissimili da quelli dettati per verificare<br />

le varie condizioni cui è subordinata la concessione delle misure alternative<br />

alla detenzione e degli altri benefici penitenziari» 14 .<br />

Ne discende che la liberazione <strong>condizionale</strong>, al verificarsi delle condizioni<br />

previste dalla legge, non è una decisione fondata sulla mera discrezionalità; ma<br />

risponde ad un vero “diritto”, la cui fruizione si palesa indispensabile affinché<br />

la finalizzazione rieducativa della pena non sia pretermessa, e la pena dell’ergastolo<br />

non assuma, di conseguenza, quel carattere di perpetuità che la renderebbe<br />

certamente incostituzionale.<br />

La Corte costituzionale ha espressamente affermato il detto principio:<br />

Essere ammessi alla liberazione <strong>condizionale</strong> costituisce, per il condannato che si<br />

trovi nella situazione prevista dall’art. 176, primo comma, c.p. (a parte la “discrezionalità<br />

vincolata” nell’accertamento del sicuro ravvedimento di cui allo stesso<br />

comma), diritto e non graziosa concessione od effetto d’ingiustificata rinuncia<br />

(condizionata) dello Stato all’ulteriore esecuzione della pena detentiva inflitta con<br />

la sentenza di condanna (…) Non v’è dubbio, pertanto, che, una volta accertato<br />

che il condannato versa nelle condizioni di cui al primo comma dell’art. 176, c.p.<br />

[...] essendo venuta a mancare la “ragione” della pena detentiva, il Tribunale di sorveglianza<br />

ha il dovere, esperite tutte le formalità relative, di porre il condannato (e<br />

quest’ultimo ha il diritto di essere posto) nello stato di libertà <strong>condizionale</strong> (Corte<br />

cost., 17-25 maggio 1989, n. 282).<br />

Ne deriva, in conclusione, che il Tribunale di sorveglianza, nel decidere<br />

sull’istanza di liberazione <strong>condizionale</strong>, non esercita alcuna facoltà di apprezzamento<br />

discrezionale, né potrebbe subordinare l’accoglimento della domanda<br />

a proprie valutazioni discrezionali o a considerazioni di opportunità; ma è<br />

tenuto a svolgere una – sia pure approfondita – verifica in ordine alla sussistenza<br />

dei presupposti legali, con particolare riferimento a quegli elementi che<br />

fanno presumere con ragionevole certezza il “ravvedimento” del condannato,<br />

e che giustificano quindi una prognosi di assenza del rischio di recidiva.<br />

13<br />

Cass., sez. I, 20 maggio 1983, n. 449, Cerasino, in CED; Cass., sez. I, 19 febbraio<br />

1985, n. 100, Di Marco, in CED; Cass., sez. I, 4 luglio 1984, n. 1375, Berti, in CED.<br />

14<br />

Corte cost. n. 273/2001.


10<br />

3. La pena suscettibile di liberazione <strong>condizionale</strong><br />

Fabio Fiorentin<br />

La liberazione <strong>condizionale</strong> presuppone una pena attualmente in esecuzione,<br />

suscettibile, cioè, di essere sospesa per effetto della concessione del beneficio.<br />

Muovendo da tale presupposto logico, la giurisprudenza ha sempre negato<br />

la possibilità di applicare la liberazione <strong>condizionale</strong> ad una pena non (effettivamente)<br />

esecutiva 15<br />

.<br />

È stato anche disatteso un dubbio di incostituzionalità della disciplina così<br />

interpretata:<br />

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 176<br />

cod. pen. – sollevata in relazione agli artt. 3, comma primo, 13, comma secondo,<br />

27, comma terzo, Cost. – nella parte in cui, con asserita violazione del principio di<br />

eguaglianza, non consente l’ammissione al beneficio senza effettiva esecuzione della<br />

pena, pure nel realizzato scopo del ravvedimento, ciò risolvendosi in trattamento<br />

contrario anche nel senso di umanità, e nella parte in cui non prevede la possibilità<br />

della concessione della liberazione <strong>condizionale</strong> al condannato con sentenza irrevocabile<br />

che, benché libero, abbia già scontato un periodo congruo di custodia<br />

cautelare, dando poi prova di ravvedimento. Invero la dedotta questione si presenta<br />

analoga a quella già sollevata con riferimento alla liberazione anticipata (“accorpata”<br />

alla liberazione <strong>condizionale</strong> per quel che riguarda la impossibilità di fruizione<br />

senza una previa instaurazione della status detentionis in espiazione di pena)<br />

e ritenuta manifestamente infondata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n.<br />

35 del 1990, con argomentazioni utilizzabili anche per l’istituto di cui al succitato<br />

art. 176 cod. pen., avendo appunto la Corte rilevato, da un lato, che le deroghe in<br />

ordine alla necessità che sia iniziata l’espiazione della pena, previste in materia di<br />

concessione delle misure dell’affidamento in prova e della semilibertà, sono dovute<br />

a speciali motivi e sono riferite, appunto, a misure alternative, di natura diversa dalla<br />

liberazione anticipata (e tanto più, dunque, della liberazione <strong>condizionale</strong>), e, dall’altro,<br />

sotto il profilo dell’art. 27, comma terzo, Cost., che anche il residuo di pena<br />

detentiva è finalizzato, secondo il comando della sentenza di condanna (non superato<br />

da una attuale valutazione “penitenziaria” della partecipazione del condannato<br />

all’opera rieducativa), alla rieducazione dello stesso condannato e non può consistere<br />

perciò in un trattamento contrario al senso di umanità (Cass., sez. I, 5 maggio<br />

1992, n. 1298, Migliore, in CED).<br />

Ne consegue che il condannato in via definitiva non può chiedere l’applicazione<br />

della liberazione <strong>condizionale</strong> antecedentemente all’inizio dell’esecuzione<br />

della pena.<br />

Tale assunto pare confermato dal tenore letterale dell’art. 656, comma 5,<br />

c.p.p., che non contempla la liberazione <strong>condizionale</strong> tra le misure alternative<br />

richiedibili dal condannato libero nei trenta giorni successivi alla notifica dell’ordine<br />

di esecuzione da parte del P.M.<br />

15 Cass., sez. I, 16 aprile 1991, n. 996, Monferdin, in CED.


LIBERAZIONE CONDIZIONALE 11<br />

Non pare, tuttavia, vi siano ostacoli formali alla possibilità di formulare un’istanza<br />

di liberazione <strong>condizionale</strong> in seguito all’emissione, da parte del P.M.,<br />

dell’ordine di esecuzione, in particolare nel caso in cui l’interessato abbia sofferto<br />

un periodo di custodia cautelare coincidente o superiore al quantum di pena<br />

stabilito dall’art. 176, c.p., nel momento in cui sopraggiunge la definitività della<br />

condanna.<br />

Pur essendo logicamente collegata ad una pena in esecuzione, la liberazione<br />

<strong>condizionale</strong> può essere concessa anche al condannato che si trovi in regime<br />

di differimento della pena ai sensi degli artt. 146 e 147, c.p. 16<br />

:<br />

Il fatto che il condannato si trovi in regime di differimento dell’esecuzione della<br />

pena, per la sussistenza di taluna delle ragioni indicate negli artt. 146 e 147 cod.<br />

pen., non può essere di ostacolo alla valutazione, da parte del competente tribunale,<br />

della sussistenza o meno delle condizioni previste dalla legge per la concedibilità<br />

del beneficio. (nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha annullato<br />

il provvedimento con il quale il tribunale di sorveglianza, investito di richiesta di<br />

liberazione <strong>condizionale</strong> avanzata da soggetto nei cui confronti era stato disposto il<br />

differimento della pena per ragioni di salute, aveva respinto detta richiesta ritenendola<br />

“prematura”, in quanto la posizione dell’interessato sarebbe stata più adeguatamente<br />

valutabile una volta ripresa l’esecuzione della pena) (Cass., sez. I, 13<br />

marzo 1998, n. 853, Pungiluppi, in CED).<br />

Si tratta, a ben vedere, di un’eccezione soltanto apparente alla regola generale<br />

sopra vista, dal momento che gli istituti del differimento della pena, previsti<br />

dagli artt. 146-147 c.p., determinano un’interruzione soltanto provvisoria<br />

dell’esecuzione della pena, suscettibile di essere immediatamente rimessa in<br />

esecuzione allo scadere del periodo di sospensione stabilito dal Tribunale di<br />

sorveglianza.<br />

È naturalmente necessario, in questo caso, che il condannato abbia espiato<br />

almeno la misura minima di pena, indicata nell’art. 176 c.p., antecedentemente<br />

alla sua scarcerazione e rimessione in stato di libertà per fruire del differimento<br />

previsto dall’art. 146 o dall’art. 147 c.p. 17 .<br />

La concessione della liberazione <strong>condizionale</strong> non presuppone, invece, necessariamente<br />

la previa sperimentazione del condannato mediante l’ammissione<br />

a forme più graduate di benefici penitenziari o di misure alternative:<br />

2.<br />

Nel valutare la richiesta di liberazione <strong>condizionale</strong> il giudice deve esaminare unicamente<br />

se vi sia stato nel condannato un ravvedimento tale da consentire la concessione<br />

del beneficio; a tale riguardo non è necessario che l’interessato sia già stato<br />

ammesso al regime di semilibertà o che, qualora ciò si sia verificato, sia trascorso<br />

un considerevole lasso di tempo per valutare detto ravvedimento (Cass., sez. I, 11<br />

gennaio 1988, n. 5785, Agreste, in CED).<br />

16<br />

Su tali profili, v. anche Cap. V.<br />

17<br />

Cass., sez. I, 26 marzo 1992, n. 806, Orlando, in CED.

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