Vincoli parentali e divieti matrimoniali - Università di Palermo
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A. Cusmà Piccione, <strong>Vincoli</strong> <strong>parentali</strong> e <strong><strong>di</strong>vieti</strong> <strong>matrimoniali</strong> [p. 189-278]<br />
derivazione delle leggi imperiali dall’intellighenzia cristiana; sarebbe<br />
probabilmente troppo ricercarne sempre la loro contemporanea<br />
presenza, ma nel nostro caso, per quanto abbiamo messo fin qui in<br />
evidenza, parrebbe <strong>di</strong> potersi affermare che per alcune delle fattispecie<br />
che abbiamo analizzato non se ne rinviene ad<strong>di</strong>rittura nessuna e per le<br />
altre si può richiamare taluna soltanto <strong>di</strong> quelle con<strong>di</strong>zioni.<br />
Non ricorre l’identità delle soluzioni normative adottate. C.Th.<br />
3.12.1, con cui venne ripristinata l’illiceità delle nozze con la neptis ex<br />
fratre, sanzionava i contravventori assai più duramente (con la capitalis<br />
sententia) <strong>di</strong> quanto le prescrizioni canoniche prevedessero ad esempio<br />
per le altre unioni endogamiche, dove la penitenza era soltanto<br />
temporanea ed il peccato commesso pienamente re<strong>di</strong>mibile, anche se<br />
talvolta con<strong>di</strong>zionatamente allo scioglimento del vincolo coniugale<br />
stretto; per altro verso, C.Th. 3.12.2, relativa ai matrimoni tra affini,<br />
fronteggiava il problema con minore severità rispetto al legislatore<br />
conciliare, non richiedendo la separazione dei coniugi, limitandosi<br />
bensì a <strong>di</strong>sciplinare lo stato giuri<strong>di</strong>co della prole, così implicitamente<br />
ammettendo la continuazione della convivenza; assai poco è possibile<br />
<strong>di</strong>re sul contenuto della legge teodosiana che sancì ex novo l’invali<strong>di</strong>tà<br />
delle nozze inter consobrinos, se non che – stando ad Ambrogio –<br />
introdusse una ‘severissima poena’, obbligandoci così a sospendere il<br />
giu<strong>di</strong>zio.<br />
Non ricorre talora la precedenza della normativa della Chiesa<br />
rispetto a quella imperiale e, anche quando questa precedenza si<br />
ritrova, si può vedere che la parte più cospicua delle prescrizioni<br />
cristiane è comunque posteriore alla legislazione statale. Per quanto<br />
concerne il <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> matrimonio con la neptis ex fratre (reintrodotto<br />
nel 342), le pochissime fonti cristiane che ne trattano ex professo (l’Ep.<br />
60 <strong>di</strong> Ambrogio, scritta attorno al 393, ed il can. 19 dei Canones<br />
Apostolorum la cui stesura rimonta, come data più recente, alla fine del<br />
IV sec.) sono tutte successive; se è vero che C.Th. 3.12.2 aveva come<br />
exempla precedenti (seppure <strong>di</strong> contenuto contrastante) i canoni del<br />
concilio <strong>di</strong> Elvira (can. 61) e <strong>di</strong> Neocesarea (can. 2), è altrettanto vero<br />
che la problematica rimase vivamente <strong>di</strong>battuta nella Chiesa per tutta<br />
la restante parte del IV secolo, tanto in Oriente (come testimonia<br />
Basilio) che in Occidente (come <strong>di</strong>mostrato dalla decretale Ad Gallos),<br />
a riprova che su <strong>di</strong> essa non aveva granché influito il provve<strong>di</strong>mento<br />
276 AUPA 55/2012