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Vincoli parentali e divieti matrimoniali - Università di Palermo

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A. Cusmà Piccione, <strong>Vincoli</strong> <strong>parentali</strong> e <strong><strong>di</strong>vieti</strong> <strong>matrimoniali</strong> [p. 189-278]<br />

invali<strong>di</strong> (‘inrita’) i matrimoni con la moglie del fratello, con la vedova<br />

del fratello o con la sorella della moglie defunta in risposta a precisi e<br />

ripetuti fatti contingenti (‘propter eventus malos qui evenerunt a<br />

pluribus qui <strong>di</strong>ssoluti erant in cupi<strong>di</strong>tate’); per scongiurare,<br />

precisamente, che a tali nozze si giungesse dopo l’uccisione del coniuge.<br />

La <strong>di</strong>chiarazione d’illiceità del coniugium avrebbe avuto, pertanto, un<br />

movente tipicamente sociale, consistente nel sottrarre il risultato finale<br />

al progetto criminoso, così da realizzare un efficace strumento <strong>di</strong> tutela<br />

preventiva.<br />

9. Segue: le nozze inter consobrinos.<br />

Come abbiamo visto in precedenza, la parentela in linea collaterale<br />

nel quarto grado (consobrini) non costituiva a Roma un impe<strong>di</strong>mento<br />

alle nozze già a partire dalla prima metà del II secolo a.C., giusta la<br />

notizia <strong>di</strong> Liv. 42.34.3, relativamente alle nozze <strong>di</strong> Sp. Ligustinus con<br />

la cugina. La liceità <strong>di</strong> questo matrimonio venne implicitamente<br />

confermata nelle fonti classiche (v. Gai 1.58 ss.) e riba<strong>di</strong>ta in età<br />

<strong>di</strong>oclezianea (v. Coll. 6.4.5), quando non si ricomprese tale coniugium<br />

nell’elenco delle fattispecie interdette.<br />

——————————<br />

per le scuole giuri<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Berito e <strong>di</strong> Costantinopoli nel V secolo.<br />

206 I qui richiamati devono essere, verosimilmente, identificati proprio con le<br />

leggi del quarto e del quinto secolo (a C.Th. 3.12.2 e C.I. 5.5.5, già esaminate, occorre<br />

aggiungere: C.Th. 3.12.3, a. 396; 3.12.4, a. 415; C.I. 5.5.8, a. 475; 5.5.9, a. 476-484; cfr.<br />

W. SELB-H. KAUFHOLD, Das Syrisch-Römische Rechtsbuch, III, cit., 207 ss.), poiché la<br />

Compilazione giustinianea, come abbiamo già detto, ignora il <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> matrimonio tra<br />

affini in linea collaterale (sugli sviluppi della legislazione successivamente dettata in<br />

materia, cfr. G. COLANTUONO, Note sul canone 2, cit., 13: per l’A., «nel tentativo <strong>di</strong><br />

proibire un fenomeno sociale probabilmente <strong>di</strong>ffuso e persistente, la legislazione imperiale<br />

imboccò la via <strong>di</strong> una reiterazione delle proibizioni ...»). Il paragrafo 108, inoltre, nel suo<br />

prosieguo fa riferimento alla possibilità <strong>di</strong> contrarre matrimoni tra cognati attraverso<br />

l’autorizzazione dell’Imperatore (Quod si non est dolus neque malitia in me<strong>di</strong>a re, eiusmo<strong>di</strong><br />

est recta via agen<strong>di</strong>: proferet vir petitionem regi et praecepto eius sumet vir uxorem quae fuit<br />

antea fratris eius; ita rursus permissu sumet uxorem sororem uxoris suae et per illam s£kran<br />

[id est, epistulam: cfr. FIRA, II, cit., 791 nt. 3] heredes fient filii eorum patrimonii eorum);<br />

siffatta possibilità venne soppressa, per quanto ne sappiamo, da una costituzione <strong>di</strong><br />

Zenone (C.I. 5.5.9), <strong>di</strong> data incerta ma probabilmente non posteriore al biennio 476-477<br />

(cfr., amplius, S. PULIATTI, Incesti crimina, cit., 186 ss. e soprattutto nt. 84), per cui non<br />

sembrerebbe azzardato attribuire l’impianto del <strong>di</strong>scorso qui condotto all’originale stesura<br />

greca del Libro, anziché a delle stratificazioni successive.<br />

266 AUPA 55/2012

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