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Vincoli parentali e divieti matrimoniali - Università di Palermo

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A. Cusmà Piccione, <strong>Vincoli</strong> <strong>parentali</strong> e <strong><strong>di</strong>vieti</strong> <strong>matrimoniali</strong> [p. 189-278]<br />

quid Ioannes ei non licere <strong>di</strong>cebat. 69<br />

A giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Agostino, il Nuovo Testamento non spiega bene se<br />

Erode avesse sposato la moglie del fratello quando questi era ancora in<br />

vita o già morto, cosicché non si comprende il motivo per cui<br />

Giovanni ne affermava l’illiceità. Tuttavia, se nessuna incertezza fosse<br />

sussistita circa l’interpretazione <strong>di</strong> Lev. 18.16, nel senso <strong>di</strong> ritenere che<br />

tale <strong>di</strong>sposizione inter<strong>di</strong>ceva anche il matrimonio con la vedova, il<br />

dottore africano non avrebbe avuto bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le due<br />

situazioni (‘utrum mortui duxerit, an vivi fratris uxorem’), giacché nel<br />

primo caso (constante matrimonio) la condotta sarebbe stata vietata dal<br />

precetto <strong>di</strong> non accostarsi alle mogli altrui, nel secondo (soluto<br />

matrimonio causa mortis) avrebbe trovato applicazione l’inter<strong>di</strong>zione<br />

del Levitico ora vista (18.16). La questione, insomma, ha senso <strong>di</strong><br />

esistere solo se s’immagina che nel pensiero <strong>di</strong> Agostino fosse presente<br />

un dubbio circa la valutazione delle nozze con la cognata, vedova del<br />

fratello, da parte della Sacra Scrittura. 70<br />

In aggiunta a queste considerazioni, si può ancora osservare che<br />

l’indecisione del vescovo africano presenta un significato maggiore se<br />

la si rapporta ai tempi in cui egli scriveva. Il De fide et operibus risale al<br />

secondo decennio del quinto secolo 71 ed è pertanto successivo, come<br />

vedremo, a <strong>di</strong>versi provve<strong>di</strong>menti imperiali <strong>di</strong> condanna <strong>di</strong> questa<br />

tipologia <strong>di</strong> nozze (C.Th. 3.12.2, a. 355; C.I. 5.5.5, a. 393; C.Th.<br />

3.12.3, a. 396), mentre è <strong>di</strong> poco precedente rispetto a C.Th. 3.12.4<br />

<strong>di</strong> Teodosio II (a. 415) che riconfermava, in proposito, i <strong><strong>di</strong>vieti</strong><br />

contenuti nelle costituzioni precedenti. La stessa condotta era, poi,<br />

stata oggetto <strong>di</strong> censura anche da parte del legislatore canonico, che<br />

nel can. 2 del concilio <strong>di</strong> Neocesarea, 72 svoltosi nei primi decenni del<br />

—————————<br />

69 P.L. 40.221.<br />

70 Nessuna esitazione mostrava, per converso, il santo d’Ippona nel riferire la prescrizione<br />

<strong>di</strong> Lev. 18.18 (‘Sororem uxoris tuae in pellicatum illius non accipies, nec revelabis<br />

turpitu<strong>di</strong>nem eius, adhuc illa vivente’) al caso del matrimonio <strong>di</strong> due sorelle allo stesso tempo,<br />

com’era consentito al tempo dei patriarchi. V. Aug., Quaest. in Heptat. 3.63 (P.L. 34.705):<br />

Hic non prohibuit superducere, quod licebat antiquis propter abundantiam propagationis: sed<br />

sororem sorori noluit superduci.<br />

71 Precisamente all’anno 413 d.C.: cfr. A. DI BERARDINO (a cura <strong>di</strong>), Patrologia, 3. I<br />

Padri latini: dal concilio <strong>di</strong> Nicea a quello <strong>di</strong> Calcedonia, Casale Monferrato 1978, 350.<br />

72 M. 2.539.<br />

220 AUPA 55/2012

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