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Vincoli parentali e divieti matrimoniali - Università di Palermo

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A. Cusmà Piccione, <strong>Vincoli</strong> <strong>parentali</strong> e <strong><strong>di</strong>vieti</strong> <strong>matrimoniali</strong> [p. 189-278]<br />

Ebbene, soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso questo<br />

canone interpretativo ha iniziato a subire le prime decise smagliature, 4<br />

——————————<br />

in<strong>di</strong>rizzo» degli stu<strong>di</strong> dei rapporti tra Cristianesimo e <strong>di</strong>ritto romano, riscontrabile<br />

soprattutto, secondo l’A., nella manualistica e nelle trattazioni dell’inizio del secolo scorso:<br />

«in<strong>di</strong>rizzo che valuta le trasformazioni postclassiche avvenute sulla base della pietas, della<br />

benignitas, della clementia, della charitas, anche talora della aequitas, come inspirate ad<br />

influenza cristiana». Un’applicazione generalizzata <strong>di</strong> questo orientamento sembra<br />

scorgersi <strong>di</strong>ffusamente in B. BIONDI, Il <strong>di</strong>ritto romano cristiano, II, cit.. L’A. de<strong>di</strong>ca un<br />

capitolo (pp. 119 ss.) della sua estesa trattazione al rapporto tra <strong>di</strong>ritto e carità,<br />

soffermandosi altresì sulle sue più latenti espressioni: la moderazione (pp. 127 ss.), la<br />

benignitas e la clementia (pp. 138 ss.), la pietas (pp. 146 ss.), l’humanitas (pp. 148 ss.) e la<br />

misericor<strong>di</strong>a (pp. 164 ss.); per ciascun caso, offre una casistica <strong>di</strong> testi classici che<br />

sarebbero stati interpolati dai giustinianei per essere adattati alla luce del nuovo sentire<br />

cristiano e <strong>di</strong> leggi postclassiche nelle quali quei principi avrebbero avuto applicazione.<br />

Ebbene, pur non mancando <strong>di</strong> sottolineare che non si trattava, nella quasi totalità dei casi,<br />

<strong>di</strong> valori del tutto nuovi in quanto già presenti nella realtà pagana, egli ne evidenzia la<br />

<strong>di</strong>versa capacità <strong>di</strong> orientare il <strong>di</strong>ritto, sul presupposto che, mentre prima essi erano il<br />

portato <strong>di</strong> una mera speculazione filosofica, come tale non vincolante <strong>di</strong> per sé, adesso<br />

nell’età cristiana costituiscono un preciso comando religioso al quale non si può che<br />

ubbi<strong>di</strong>re; la conseguenza che l’A. ne trae è che, se anche «non si può ritenere che quelle<br />

nozioni [scil., benignitas, clementia, pietas, humanitas] fossero ignote ai pagani ... Certo è<br />

che quelle nozioni, come motivi determinanti della condotta umana, <strong>di</strong>lagano nel mondo<br />

cristiano e quin<strong>di</strong> penetrano largamente nella legislazione» (p. 126); così è che i passi<br />

giuri<strong>di</strong>ci, che a quei principi sembrano essere ispirati, vengono riportati scontatamente<br />

all’esperienza cristiana, come suo frutto più caratteristico, mentre la possibilità che già<br />

potesse preesistere una relazione non occasionale, <strong>di</strong>retta o meno che fosse a seconda dei<br />

casi, tra regola giuri<strong>di</strong>ca e morale filosofica ad esempio resta per lo più nell’ombra. Ma<br />

che non si tratti <strong>di</strong> concetti affatto sconosciuti all’esperienza giuri<strong>di</strong>ca classica, in quanto<br />

già sovente veicolati dalla dottrina stoica, è un dato che gli stu<strong>di</strong>osi ormai tendono sempre<br />

più a mettere in luce: cfr., in questa <strong>di</strong>rezione, solo per richiamare qualche esempio, G.<br />

CRIFÒ, Diritti della personalità e <strong>di</strong>ritto romano cristiano, in BIDR 64, 1961, 33 ss., spec.<br />

41 ss.; O. ROBLEDA, Diritto romano e Cristianesimo, in AARC, IV, Perugia 1981, 251 ss.<br />

4 Potrebbe forse sorprendere che i primi ce<strong>di</strong>menti siano scaturiti proprio all’indomani<br />

della pubblicazione dell’opera – Il <strong>di</strong>ritto romano cristiano <strong>di</strong> Bion<strong>di</strong> già cit. – che<br />

più compiutamente <strong>di</strong> ogni altra ha tracciato gli esiti del generale raffronto incrociato tra<br />

la <strong>di</strong>sciplina giuri<strong>di</strong>ca, osservata in molteplici partizioni del <strong>di</strong>ritto, ed il pensiero cristiano<br />

ricavabile dagli scritti dei Padri della Chiesa e dalle norme conciliari. Prendendo a prestito<br />

le perspicue parole <strong>di</strong> A. GUARINO, Rec. a B. BIONDI, Il <strong>di</strong>ritto romano cristiano, in IURA<br />

6, 1955, 229 (= Pagine <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto romano, I, Napoli 1993, 360), secondo cui «... una certa<br />

quale eccessiva esuberanza ... porta[va l’A.] praticamente a qualificare <strong>di</strong> cristiano tutto il<br />

ius novum romano, lasciando da parte la possibilità <strong>di</strong> più minute analisi, che<br />

eventualmente andavano fatte» (rilievi simili anche in U. BRASIELLO, Rec. a B. BIONDI, Il<br />

<strong>di</strong>ritto romano cristiano, in SDHI 20, 1954, 383 ss., spec. 389 ss.), si ben comprende<br />

«quel senso d’insod<strong>di</strong>sfazione, che, anche ad uno stu<strong>di</strong>oso ai primi passi, poteva accadere<br />

<strong>di</strong> provare» [così ancora <strong>di</strong> recente F. AMARELLI, Spunti per uno stu<strong>di</strong>o della <strong>di</strong>sciplina del<br />

194 AUPA 55/2012

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