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6 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE allora la liturgia e la sua carica simbolica sono la via maestra dell’iniziazione dell’uomo al mistero tripersonale della salvezza. In tal senso, Romano Guardini, in una sua lettera del 1964 18 al Segretario dell’Istituto liturgico di Treviri, in occasione del Congresso di Magonza del 1964 (cui non avrebbe potuto partecipare) scrive come la vera questione della liturgia si dà proprio a partire dallo spostamento del dibattito dal piano dell’agire, del fare, dei canti, del “cerimoniale” (seppure tutti questo rivisitati, modernizzati, popolarizzati, o “democraticizzati”) al piano della ontologia dell’atto liturgico (in sé). Guardini si preoccupa nella lettera di definire l’atto liturgico nella sua essenza, sostenendo che omettere di muoversi in questa prospettiva, significherebbe ridurre le azioni liturgiche, lo spirito della liturgia, ad “oggettività” celebrata, a “letture” di contenuti di fede e ai riti che li “rivestono”… 19 Il vero passaggio epocale sta – nel pensiero strabiliante di Guardini – nel superare ogni dualismo tra forma e contenuto, ritus e preces, tra logos ed ethos. Quanto avviene nella liturgia e nei riti che la compongono è in se stesso l’agire di Cristo e della Chiesa: il significato non è “da dire”, da spiegare, ma sta, piuttosto, nell’atto medesimo del celebrare: « […] l’azione simbolica viene “fatta da chi [ministerialmente] la esercita come atto liturgico ed è “letta” in un atto analogo da chi lo percepisce, il senso interiore è contemplato [e incontrato ndr] nella realtà esterna. Altrimenti tutto è uno spreco di tempo e di energia, e sarebbe meglio semplicemente “dire” » 20 . Questa intuizione di Guardini ci permette di riflettere sul senso del simbolo liturgico come accesso al mistero da parte dell’uomo. Il simbolo, nella sua accezione più comune viene frainteso con le immagini allegoriche o con le analogie che forniscono, spesso, un linguaggio esemplificativo o allusivo per la catechesi o – impropriamente – nella liturgia. Il simbolo, invece, procede da un mondo più complesso e pertanto meno definibile, anche se più immediato e vicino all’esperienza fontale del rito. Il simbolo unisce in modo mirabile il corporeo e lo spirituale, i quali nelle allegorie o nelle “rappresentazioni mentali” del divino o dello spirituale, tendono ad essere separati: anzi una deviazione della vita cristiana potrebbe desiderare una via solamente spirituale. Solo una antropologia pienamente unitaria di corpo e spirito ci permetterà di capire come i santi segni della liturgia in realtà possano rimandare al Segno di Cristo, proprio perché rispondono ad una logica simbolica. Alcune riflessioni sullo scopo della liturgia sorgono da questo ragionamento sulla funzione del simbolo come via a Cristo. Se i “santi segni” sono chiamati ad essere solo “trasmettitori” dell’unico Segno – l’uomo-Dio Gesù Cristo –, allora la liturgia per essere tale dovrà rispondere a certe esigenze. 18 Pubblicata in Liturgisches Jahrbuch 2 (1964). 19 “Quel che dunque importa soprattutto, è l’interrogativo, in che cosa consista l’atto liturgico, che sta alla base di tutto – ovviamente qui si possono tentare solo brevi indicazioni. Ciò che è proprio di quest’atto acquista la massima chiarezza, quando si tratta di un agire, quindi per esempio – dove ce n’è l’abitudine – la “processione offertoriale”. Qui equivale a una differenza specifica se il credente intenda questo cammino solo come un movimento diretto verso la mèta, che potrebbe in sé essere compiuto altrettanto bene dal sacrestano con al borsa tintinnante, o se invece sappia come il portare [le oblate al celebrante] sia in se stesso “preghiera”, disponibilità verso Dio, associazione nell’attuare la preparazione dei doni, delle oblate. L’atto nel suo svolgersi può assumere in sé anche una cosa, nel caso citato la moneta in rappresentanza di doni concreti, o nella oblazione da parte del sacerdote, la benedizione del pane e del vino. Allora il “significato” non viene giustapposto col dirlo – o col pensarlo –, ma realizzato nell’atto medesimo. Una considerazione corrispondente vale per lo spazio e le collocazioni in esso, per i tempi e i giorni e le ore…” Trad. della Lettera in occasione del III Congresso Liturgico di Magonza (1964) tradotta e pubblicata in italiano in R. GUARDINI, Formazione liturgica, Brescia 2008, 27-36. Il brano succitato a p. 30-31. 20 R. GUARDINI, Formazione liturgica, 31. 6

1.5 Gesti e riti: porta dell’iniziazione 7 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE La situazione attuale potremmo così descriverla: basterebbe passare in rassegna un manipolo di parrocchie – proprio del nostro tempo – per far proprie le espressione con cui già Giulio Bevilacqua nel 1961 dava prefazione alla IV edizione di “Vom Geist der Liturgie” del 1918, tradotto per i tipi della Morcelliana nel 1930: “Così in ambiente turbato e polemico – tra archeologi immobilisti e innovatori ignari del punto di arrivo delle loro riforme – tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti sprezzanti e diffidenti d’ogni gesto esteriore – tra individualisti che guardano al divino solo per mezzificarlo al servizio del proprio egoismo, e gregaristi solo assertori di un’assemblea ove ogni slancio personale a Dio è eliminato, tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che impurità in ogni incarnazione – in tale ambiente problematico e arroventato appare quest’opera di Guardini” 21 La “questione” che più oggi attanaglia liturgisti e pastori è – infatti – questa: la liturgia della Chiesa, anche dopo la benedetta riforma di Sacrosanctum Concilium, il grande culto che la tradizione ci ha consegnato riesce oggi ad intercettare gli uomini del XXI secolo? La soluzione cioè – per tornare alla questione sollevata da Bevilacqua – è risolvibile semplicemente in termini di “conservazione” o “progresso”, “tradizione” o adattamento”? Oppure gli uomini della nostra epoca, come “extranei vel muti spectatores” (cfr. SC 48), ancora si sentono lontani da questo evento simbolico-rituale che è la grazia della celebrazione della Pasqua di Cristo? Diviene necessario “aprire lo spazio” del simbolo, attraverso l’uso delle forme, del corpo, colori, sapori, degli eventi, dei silenzi, della luce, del buio, del mangiare e bere, del “fare”: la via di una “incarnatissima” manualità umana che ponga l’iniziato sub lumine Verbi e non in facie Verbi. 1.5.1 Baptisma o infusio? Immergere nella morte, buio, tenebra, silenzio, apnea. Emergere a vita nuova, rinnovata, luce, parola, ventilazione, aria, vita… Immersi, lavati, profumati, vestiti, unti, massaggiati… In Spirito e fuoco. Nella piscina, vasca, Giordano, acqua viva o nella “Acquasantiera” con l’acqua benedetta. Ianua Ecclesiæ. Forza violenta della Sequela Christi. Grembo della Chiesa. Degenerazione in abluzione del peccatum originis non immersione nella dinamica pasquale di Cristo, la cui conseguenza è anche cancellare il peccatum originis… Rivestiti di Cristo, profumati dalla Carità divina, unti di olio battesimale di olio di esultanza, di Spirito Santo o testimoni-soldati-teologumeni-crociati del Regno… antiche testimonianze di versare l’olio nell’acqua e, uscendo, si prendeva quello che stava sul pelo dell’acqua stessa… Nudi davanti a Cristo, spogliati dell’uomo vecchio, rivestiti di forza dall’alto con l’uomo nuovo. Manca l’imprinting simbolico: tutto spiegato, doceticamente annullato, catecheticamente ripetuto mai antropologicamente vissuto-subito-impattato. Adattamento supino: pigro. Stanco, noioso.. e poi si reagisce per dire come? Forza catecumenale dinamismo energico. 1.5.2 Eucaristia Manducare et bibere: IGMR disatteso 22 21 G. BEVILACQUA, Prefazione alla quarta edizione italiana, in R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia, Morcelliana: Brescia 1996 7 , 12. 22 La Comunione sotto le due specie 281. La santa Comunione esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre l05 . 282. I pastori d'anime si facciano 7

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allora <strong>la</strong> liturgia e <strong>la</strong> sua carica simbolica sono <strong>la</strong> via maestra dell’iniziazione dell’uomo al mistero<br />

tripersonale del<strong>la</strong> salvezza.<br />

In tal senso, Romano Guardini, in una sua lettera del 1964 18 al Segretario dell’Istituto liturgico di<br />

Treviri, in occasione del Congresso di Magonza del 1964 (cui non avrebbe potuto partecipare)<br />

scrive come <strong>la</strong> vera questione del<strong>la</strong> liturgia si dà proprio a partire dallo spostamento del dibattito dal<br />

piano dell’agire, del fare, dei canti, del “cerimoniale” (seppure tutti questo rivisitati, modernizzati,<br />

popo<strong>la</strong>rizzati, o “democraticizzati”) al piano del<strong>la</strong> ontologia dell’atto liturgico (in sé).<br />

Guardini si preoccupa nel<strong>la</strong> lettera di definire l’atto liturgico nel<strong>la</strong> sua essenza, sostenendo che<br />

omettere di muoversi in questa prospettiva, significherebbe ridurre le azioni liturgiche, lo spirito<br />

del<strong>la</strong> liturgia, ad “oggettività” celebrata, a “letture” di contenuti di fede e ai riti che li<br />

“rivestono”… 19 Il vero passaggio epocale sta – nel pensiero strabiliante di Guardini – nel superare<br />

ogni dualismo tra forma e contenuto, ritus e preces, tra logos ed ethos. Quanto avviene nel<strong>la</strong> liturgia<br />

e nei riti che <strong>la</strong> compongono è in se stesso l’agire di Cristo e del<strong>la</strong> Chiesa: il significato non è “da<br />

dire”, da spiegare, ma sta, piuttosto, nell’atto medesimo del celebrare:<br />

« […] l’azione simbolica viene “fatta da chi [ministerialmente] <strong>la</strong> esercita come atto liturgico ed è “letta” in un atto<br />

analogo da chi lo percepisce, il senso interiore è contemp<strong>la</strong>to [e incontrato ndr] nel<strong>la</strong> realtà esterna. Altrimenti tutto è<br />

uno spreco di tempo e di energia, e sarebbe meglio semplicemente “dire” » 20 .<br />

Questa intuizione di Guardini ci permette di riflettere sul senso del simbolo liturgico come accesso<br />

al mistero da parte dell’uomo. Il simbolo, nel<strong>la</strong> sua accezione più comune viene frainteso con le<br />

immagini allegoriche o con le analogie che forniscono, spesso, un linguaggio esemplificativo o<br />

allusivo per <strong>la</strong> catechesi o – impropriamente – nel<strong>la</strong> liturgia. Il simbolo, invece, procede da un<br />

mondo più complesso e pertanto meno definibile, anche se più immediato e vicino all’esperienza<br />

fontale del rito. Il simbolo unisce in modo mirabile il corporeo e lo spirituale, i quali nelle allegorie<br />

o nelle “rappresentazioni mentali” del divino o dello spirituale, tendono ad essere separati: anzi una<br />

deviazione del<strong>la</strong> vita <strong>cristiana</strong> potrebbe desiderare una via so<strong>la</strong>mente spirituale.<br />

Solo una antropologia pienamente unitaria di corpo e spirito ci permetterà di capire come i santi<br />

segni del<strong>la</strong> liturgia in realtà possano rimandare al Segno di Cristo, proprio perché rispondono ad<br />

una logica simbolica.<br />

Alcune riflessioni sullo scopo del<strong>la</strong> liturgia sorgono da questo ragionamento sul<strong>la</strong> funzione del<br />

simbolo come via a Cristo. Se i “santi segni” sono chiamati ad essere solo “trasmettitori” dell’unico<br />

Segno – l’uomo-Dio Gesù Cristo –, allora <strong>la</strong> liturgia per essere tale dovrà rispondere a certe<br />

esigenze.<br />

18 Pubblicata in Liturgisches Jahrbuch 2 (1964).<br />

19 “Quel che dunque importa soprattutto, è l’interrogativo, in che cosa consista l’atto liturgico, che sta al<strong>la</strong> base di<br />

tutto – ovviamente qui si possono tentare solo brevi indicazioni. Ciò che è proprio di quest’atto acquista <strong>la</strong> massima<br />

chiarezza, quando si tratta di un agire, quindi per esempio – dove ce n’è l’abitudine – <strong>la</strong> “processione offertoriale”.<br />

Qui equivale a una differenza specifica se il credente intenda questo cammino solo come un movimento diretto verso <strong>la</strong><br />

mèta, che potrebbe in sé essere compiuto altrettanto bene dal sacrestano con al borsa tintinnante, o se invece sappia<br />

come il portare [le ob<strong>la</strong>te al celebrante] sia in se stesso “preghiera”, disponibilità verso Dio, associazione nell’attuare<br />

<strong>la</strong> preparazione dei doni, delle ob<strong>la</strong>te. L’atto nel suo svolgersi può assumere in sé anche una cosa, nel caso citato <strong>la</strong><br />

moneta in rappresentanza di doni concreti, o nel<strong>la</strong> ob<strong>la</strong>zione da parte del sacerdote, <strong>la</strong> benedizione del pane e del vino.<br />

Allora il “significato” non viene giustapposto col dirlo – o col pensarlo –, ma realizzato nell’atto medesimo. Una<br />

considerazione corrispondente vale per lo spazio e le collocazioni in esso, per i tempi e i giorni e le ore…” Trad. del<strong>la</strong><br />

Lettera in occasione del III Congresso Liturgico di Magonza (1964) tradotta e pubblicata in italiano in R. GUARDINI,<br />

Formazione liturgica, Brescia 2008, 27-36. Il brano succitato a p. 30-31.<br />

20 R. GUARDINI, Formazione liturgica, 31.<br />

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