l'inziazione cristiana la materna fecondità ... - Home Page FTTR

l'inziazione cristiana la materna fecondità ... - Home Page FTTR l'inziazione cristiana la materna fecondità ... - Home Page FTTR

19.06.2013 Views

2 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE originario “segno”, autorivelatosi come Lovgo~, il quale sarx ejgevneto kai; ejskhvnwsen en hJmi`n (Gv 1:14) [si fece carne e pose la tenda fra noi]: l’uomo-Dio, Gesù di Nazareth. Il Lovgo~, che dall’eternità era pro;~ to;n qeovn (Gv 1:2), ejp jejscavtou tw`n hJmerw`n touvtwn ejlalhsen hJmi`n ejn uiw/ ` (Eb 1:2): la carne del Figlio di Dio, cioè, è il segno eloquente della Parola del Padre all’umanità, che egli dice verbis gestisque nella vicenda storica di Gesù di Nazareth, e successivamente – e in relazione a tale evento – nel canone delle Scritture e nella vivente Tradizione apostolica. Questa Parola del Padre, fattasi visibile nella persona del Verbo incarnato, è eternamente presente alla vita degli uomini, poiché sussiste e continua ad operare attraverso i santi segni della liturgia, epifania tangibile e “in forma umana”, del segno primo e irripetibile, memoria viva e “ontologicamente sussistente” del Cristo sacrificato e risuscitato. Il simbolo – secondo questa “dogmatica” – allora è dato dalla emergenza segnica di un quid materiale – visibile, cosmico, antropologico – che inaugura, rinvia, evoca, contiene e comunica un’altra realtà. Il Simbolo sorge, sgorga e comunica; non richiama per allegoriam. Esso è invece universalmente presente; sorge come realtà “umana”, legato al patrimonio “pre-razionale” dell’essere umano; pertanto il simbolo unifica, genera,dice fecondità, genera una relazione reale, sperimentabile. 1.2.2 Il simbolo rituale. Dell’ambito (rituale) del simbolo. Il simbolo non è sufficiente; è necessario che l’ambito nel quale esso si dà sia un ambito rituale. Dire questo significa rifarsi ad una complessità descritta molto bene da E. M. Zuesse 2 . Secondo gli studi di antropologia di quest’ultimo possiamo dire che rito è, antropologicamente anzitutto, un insieme di comportamenti culturalmente definiti che poi assume una connotazione religiosa quando esprimono l’uomo rituale; l’accezione di rito si sviluppa anche in una dimensione psicoanalitica secondo la quale esso riguarda i comportamenti simbolici spiccatamente non razionali, non formali ma pragmatici, diretti ad un fine fortemente empirico. Il rito in qualche modo si contrappone alla “scienza”, al senso comune: esso – dal punto di vista sociologico – è maschera della mete sociali latenti di una società. Infine, secondo il punto di vista della fenomenologia delle religioni, tramite il rito l’uomo incontra il numinoso, il sacro, connettendosi con l’altro ordine, con il “totalmente diverso” dalla realtà naturale; il rito esce dalla banalità della vita ordinaria. Potremmo dire con Guardini 3 che la via che conduce alla vita liturgica non si dispiega attraverso la mera istruzione teorica, bensì è offerta anzitutto alla pratica. Osservare ed agire sono le sue forze fondamentali in cui ha da essere radicato tutto il resto… L’agire è qualcosa di elementare; qualcosa in cui l’uomo ha da ritrovarvi tutto con le proprie forze creative; un eseguire compenetrato dalla vita un’esperienza di vita. Il punto di vista più forte al riguardo è proprio in Sacrosanctum Concilium nella quale – senza abbandonare la dimensione dogmatica della vita sacramentale di cui la teologia tridentina è il “portabandiera” – la nuova acquisizione riguarda la teandricità del rito stesso: il fatto cioè che la dimensione antropologica dell’actio sacra la rende veramente actio participata et participabilis: la parola biblica, l’assemblea, le feste, lo spazio, il silenzio, la musica, l’arte, le suppellettili mostrano cioè l’incarnato mistero che sempre si rende visibile e celebrabile. Per assurdo questa via “umana” del rito del Verbo fatto uomo sembra essere seconda – dopo la riforma; se non unica! – rispetto alla via pedante e noiosa della “accessibilità” didattica dei riti, per cui dopo “posizioni ravvicinate”, linguaggi “introduttori”, parole di spiegazione, cose “semplici” e “linguaggio della vita”… e banalità del genere … il rito diventerebbe una didascalia sul dogma fruibile come una catechesi popolare, un pacchetto di contenuti teologici, di cui l’omelia sarebbe il “cuore” pulsante in cui si distribuiscono – clericalmente – contenuti preconfezionati. Questo diventerebbe la morte dell’esperienza rituale, la quale essendo simbolica è una sorta di “non-comunicazione” (fare ciò che 2 E. M. ZUESSE, Rito in M. ELIADE (cur.), Il rito. Oggetti, atti, cerimonie (Enciclopedia delle religioni. 2), Milano 1994, 482-501. 3 7 R. GUARDINI, I santi segni, Brescia 1996 (originale 1930), 115. 2

3 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE si dice, non dire ciò che si fa) segnica: la conseguenza di tale “prossemica” didascalica dei riti è stata la loro “morte” e l’inevitabile “fuga” dei fedeli… L’ulteriore conseguenza sarebbe la deriva etico-moraleggiante per cui il senso dei riti non sarebbero “essi stessi” – cioè la loro assoluta gratuità nella logica dell’amore, della sovrabbondanza, dell’incontro fine a se stesso – ma piuttosto il “culto esistenziale”: cioè in vista delle esigenze etiche della vita cristiana; la veridicità del rito diventa la vita ordinaria: l’assioma diffusissimo che il banco di prova del rito sarebbe la vita ordinaria, per cui i riti hanno senso se cambia la qualità di vita cristiana. Il rito non vale in se stesso ma per la sua “ricaduta” (pensiamo a tutti i processi di iniziazione cristiana dei ragazzi e la “verifica” che si fa’ a riguardo; nessuna preoccupazione se il rito generi il “legame” con il suo Fine); se è ovvia una ricaduta nella vita ordinaria non lo è nel senso di una funzionalità. È la “deriva”, da cui Guardini vuole mettere in guardia, data dal rischio di collocare la liturgia, o meglio sottometterla, relegarla in una dimensione etica, definendo una sua posizione “seconda” rispetto all’ordine morale 4 . La liturgia infatti sembrerebbe, di primo acchito, non avere né rapporti immediati, né propensione nativa nei confronti di un impegno etico, nei confronti della vita ordinaria. Anzi sembrerebbe essere caratterizzata da un certo distacco dalla vita concreta. Quasi la liturgia sembra contrapporsi, per “distanza”, da temi come la fabbrica, il lavoro, i problemi etici, la fame nel mondo… “Azione” nel mondo e “liturgia” sembrano non calzare tra di loro. Alcune istanze di rinnovamento, nate e sviluppatesi anche a partire dal Movimento liturgico, mirarono proprio a creare una maggior “vicinanza” della liturgia al popolo e alla sua vita concreta, prendendo le distanze dalla “aristocraticità” cui i riti di alcuni monasteri benedettini avrebbero voluto collocarla 5 . All’ “azione” sembra contrapporsi la “contemplazione”, nel tentativo di riconoscere una priorità; Guardini riconosce infatti nella welthanshaung kantiana il primato dell’Ethos sul Logos 6 , poiché nel mondo dell’uomo – accanto alla sua libertà e al suo intelletto – agisce la volontà dal cui postulato Kant fa scaturire il mondo di Dio e dell’anima. Un passaggio successivo avverrà con Fichte, Schopenauer e von Hartmann per i quali la “volontà psicologica” fa da vera padrona della vita; infine Nietzsche postulerà una “volontà di potenza” 7 , per cui è vero ciò che rende sana e nobile la vita; il volere dell’uomo prevale sulla verità, che rimane un fatto morale. La conseguenza di ciò è che il Lovgo~, “il dogma” non è più rivelazione di verità, ma serve solo ad avere una “buona vita”. Questa visione porterà a sancire un primato dell’etica, dell’azione, anche nella vita della Chiesa, al punto che questo atteggiamento spirituale sarà il modo di interpretare il senso stesso della Chiesa 8 , fino al suo “epigone” nella riforma, secondo la quale: l’esperienza personale del soggetto, il sentimento del singolo sono i criteri della fede; non l’ortodossia ma l’ortoprassi. L’esperienza di fede personale vale più della “vera fede” 9 . L’uomo fonda su di sé il principio di fede, la sua natura, il suo pensare, la conoscenza del mondo, del cuore umano; l’uomo può, fa’, agisce, trasforma, crea, ma spesso tutto ciò, sostiene Guardini, rischia di essere un “cieco brancolare nel buio, giacché la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, è cieca” 10 . Ora – ecco il pericolo cui anche la liturgia può essere soggetta – la verità è data prima, mentre essa non si fonda su di un ambito morale, pratico. Essa è trovata, scoperta dal “volere” dell’uomo, non è creata da esso. È la verità a dare luce, ordine, forma alla volontà; non nel senso che la volontà, l’agire morale non abbiano dignità, valore: anzi entrambe sono necessarie alla vita dell’uomo; ma l’essere, la verità, il “dogma” devono precedere e fondare l’agire dell’uomo. La liturgia, allora, non si oppone all’azione, alla morale, all’Ethos; essa naturalmente converge nell’agire umano, ma solo 4 R. GUARDINI, I santi segni, 99. 5 M. MARSCHALL, In Wahreit beten, 40. 6 R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia, 102. 7 Ibid., 102. 8 R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia, 103. 9 Ibid., 104. 10 Ibid., 106. 3

3 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

si dice, non dire ciò che si fa) segnica: <strong>la</strong> conseguenza di tale “prossemica” didascalica dei riti è<br />

stata <strong>la</strong> loro “morte” e l’inevitabile “fuga” dei fedeli…<br />

L’ulteriore conseguenza sarebbe <strong>la</strong> deriva etico-moraleggiante per cui il senso dei riti non sarebbero<br />

“essi stessi” – cioè <strong>la</strong> loro assoluta gratuità nel<strong>la</strong> logica dell’amore, del<strong>la</strong> sovrabbondanza,<br />

dell’incontro fine a se stesso – ma piuttosto il “culto esistenziale”: cioè in vista delle esigenze etiche<br />

del<strong>la</strong> vita <strong>cristiana</strong>; <strong>la</strong> veridicità del rito diventa <strong>la</strong> vita ordinaria: l’assioma diffusissimo che il banco<br />

di prova del rito sarebbe <strong>la</strong> vita ordinaria, per cui i riti hanno senso se cambia <strong>la</strong> qualità di vita<br />

<strong>cristiana</strong>. Il rito non vale in se stesso ma per <strong>la</strong> sua “ricaduta” (pensiamo a tutti i processi di<br />

iniziazione <strong>cristiana</strong> dei ragazzi e <strong>la</strong> “verifica” che si fa’ a riguardo; nessuna preoccupazione se il<br />

rito generi il “legame” con il suo Fine); se è ovvia una ricaduta nel<strong>la</strong> vita ordinaria non lo è nel<br />

senso di una funzionalità.<br />

È <strong>la</strong> “deriva”, da cui Guardini vuole mettere in guardia, data dal rischio di collocare <strong>la</strong> liturgia, o<br />

meglio sottometter<strong>la</strong>, relegar<strong>la</strong> in una dimensione etica, definendo una sua posizione “seconda”<br />

rispetto all’ordine morale 4 . La liturgia infatti sembrerebbe, di primo acchito, non avere né rapporti<br />

immediati, né propensione nativa nei confronti di un impegno etico, nei confronti del<strong>la</strong> vita<br />

ordinaria. Anzi sembrerebbe essere caratterizzata da un certo distacco dal<strong>la</strong> vita concreta. Quasi <strong>la</strong><br />

liturgia sembra contrapporsi, per “distanza”, da temi come <strong>la</strong> fabbrica, il <strong>la</strong>voro, i problemi etici, <strong>la</strong><br />

fame nel mondo… “Azione” nel mondo e “liturgia” sembrano non calzare tra di loro.<br />

Alcune istanze di rinnovamento, nate e sviluppatesi anche a partire dal Movimento liturgico,<br />

mirarono proprio a creare una maggior “vicinanza” del<strong>la</strong> liturgia al popolo e al<strong>la</strong> sua vita concreta,<br />

prendendo le distanze dal<strong>la</strong> “aristocraticità” cui i riti di alcuni monasteri benedettini avrebbero<br />

voluto collocar<strong>la</strong> 5 . All’ “azione” sembra contrapporsi <strong>la</strong> “contemp<strong>la</strong>zione”, nel tentativo di<br />

riconoscere una priorità; Guardini riconosce infatti nel<strong>la</strong> welthanshaung kantiana il primato<br />

dell’Ethos sul Logos 6 , poiché nel mondo dell’uomo – accanto al<strong>la</strong> sua libertà e al suo intelletto –<br />

agisce <strong>la</strong> volontà dal cui postu<strong>la</strong>to Kant fa scaturire il mondo di Dio e dell’anima. Un passaggio<br />

successivo avverrà con Fichte, Schopenauer e von Hartmann per i quali <strong>la</strong> “volontà psicologica” fa<br />

da vera padrona del<strong>la</strong> vita; infine Nietzsche postulerà una “volontà di potenza” 7 , per cui è vero ciò<br />

che rende sana e nobile <strong>la</strong> vita; il volere dell’uomo prevale sul<strong>la</strong> verità, che rimane un fatto morale.<br />

La conseguenza di ciò è che il Lovgo~, “il dogma” non è più rive<strong>la</strong>zione di verità, ma serve solo ad<br />

avere una “buona vita”.<br />

Questa visione porterà a sancire un primato dell’etica, dell’azione, anche nel<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> Chiesa, al<br />

punto che questo atteggiamento spirituale sarà il modo di interpretare il senso stesso del<strong>la</strong> Chiesa 8 ,<br />

fino al suo “epigone” nel<strong>la</strong> riforma, secondo <strong>la</strong> quale: l’esperienza personale del soggetto, il<br />

sentimento del singolo sono i criteri del<strong>la</strong> fede; non l’ortodossia ma l’ortoprassi. L’esperienza di<br />

fede personale vale più del<strong>la</strong> “vera fede” 9 . L’uomo fonda su di sé il principio di fede, <strong>la</strong> sua natura,<br />

il suo pensare, <strong>la</strong> conoscenza del mondo, del cuore umano; l’uomo può, fa’, agisce, trasforma, crea,<br />

ma spesso tutto ciò, sostiene Guardini, rischia di essere un “cieco branco<strong>la</strong>re nel buio, giacché <strong>la</strong><br />

forza fondamentale su cui egli ha poggiato <strong>la</strong> sua vita, vale a dire il volere, è cieca” 10 .<br />

Ora – ecco il pericolo cui anche <strong>la</strong> liturgia può essere soggetta – <strong>la</strong> verità è data prima, mentre essa<br />

non si fonda su di un ambito morale, pratico. Essa è trovata, scoperta dal “volere” dell’uomo, non è<br />

creata da esso. È <strong>la</strong> verità a dare luce, ordine, forma al<strong>la</strong> volontà; non nel senso che <strong>la</strong> volontà,<br />

l’agire morale non abbiano dignità, valore: anzi entrambe sono necessarie al<strong>la</strong> vita dell’uomo; ma<br />

l’essere, <strong>la</strong> verità, il “dogma” devono precedere e fondare l’agire dell’uomo. La liturgia, allora, non<br />

si oppone all’azione, al<strong>la</strong> morale, all’Ethos; essa naturalmente converge nell’agire umano, ma solo<br />

4<br />

R. GUARDINI, I santi segni, 99.<br />

5<br />

M. MARSCHALL, In Wahreit beten, 40.<br />

6<br />

R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, 102.<br />

7<br />

Ibid., 102.<br />

8<br />

R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, 103.<br />

9 Ibid., 104.<br />

10 Ibid., 106.<br />

3

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!