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1.1 Premessa<br />

1 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

L’INZIAZIONE CRISTIANA<br />

LA MATERNA FECONDITÀ ECCLESIALE<br />

Gianandrea Di Donna<br />

1. Il simbolo rituale come esperienza iniziatica fontale<br />

Secondo <strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica gli elementi de necessitate per celebrare un sacramento erano: materia, forma<br />

e ministro: si tratta di una preoccupazione dogmatica; basti pensare in quale epoca questa<br />

“descrizione” di sacramento si fa avanti. Il resto era <strong>la</strong>sciato al<strong>la</strong> “devozione” dei fedeli.<br />

Con il Movimento liturgico e successivamente al<strong>la</strong> teologia liturgica nata a partire dal<strong>la</strong><br />

Sacrosanctum Concilium si “riscoprì” nell’ esperienza simbolico rituale <strong>la</strong> possibilità, <strong>la</strong> via per<br />

iniziare gli uomini al mistero di Cristo. E ciò in opposizione ad ogni monismo etico-catechetico che<br />

andava semmai sostituito da una mediazione simbolico-rituale del<strong>la</strong> fede.<br />

La riforma del<strong>la</strong> liturgia non è avvenuta banalmente perché si sono girati gli altari o perché<br />

(finalmente!) si usa <strong>la</strong> lingua vernaco<strong>la</strong>re e così si capisce un po’ di più quello che “dice” il<br />

presbitero… La soluzione non è da intravedere per <strong>la</strong> via didattica dei riti!<br />

1.2 Il simbolo rituale<br />

1.2.1 Il simbolo liturgico. Del “signum” usato.<br />

L’acquisizione antropologia di partenza riguarda il fatto che non entrano in gioco – nel<strong>la</strong> liturgia –<br />

due ordini di realtà:da una parte “lo spirituale” e dall’altra “il corporeo”, per cui Dio si<br />

raggiungerebbe attraverso una “ascetica” risalita dal sensibile verso il “meta”sensibile, il puro<br />

spirituale.<br />

Spirituale e corporeo sono invece strettamente uniti: l’esterno è espressione dell’interno, ne è lo<br />

specchio, <strong>la</strong> visibilità.<br />

Questa acquisizione, iniziata con il Movimento liturgico, e molto grazie all’opera di Romano<br />

Guardini, ci aiuta a chiarire – e a ribadire qualora fosse necessario – lo scopo (id est “lo spirito”!)<br />

del<strong>la</strong> liturgia stessa. Si tratta cioè di prestare attenzione al ruolo dei “santi segni”, i quali – perché<br />

siano veramente “segno” per l’uomo contemporaneo – è necessario che siano sempre accessibili ed<br />

evidenti all’animo dei popoli cui sono rivolti. È altrettanto vero, inoltre, che il motivo per cui <strong>la</strong><br />

Chiesa si serve di riti e preghiere (segni del celebrare cristiano) è non solo perché <strong>la</strong> grazia sia<br />

intelligibile, ma perché – attraverso <strong>la</strong> loro eloquenza ve<strong>la</strong>ta – sia sve<strong>la</strong>to e incontrato il “Segno” per<br />

eccellenza, l’Ur-Sakrament 1 del Padre, <strong>la</strong> Paro<strong>la</strong> fatta carne.<br />

Dai “santi segni” al “Segno santo”, dal<strong>la</strong> “santa liturgia” al “Liturgo santo”: è il principio<br />

fondamentale cui Guardini ha puntato, offrendo così le basi più solide per una autentica riforma<br />

del<strong>la</strong> liturgia <strong>cristiana</strong>. Principio – questo – con il quale un autentico “spirito del<strong>la</strong> liturgia” è<br />

sempre rintracciabile <strong>la</strong>ddove è realizzato il riferimento costante dei santi segni all’unico e<br />

1 Per dir<strong>la</strong> con E. SCHILLEBEECKX, Christus Sakrament der Gottbegegnung, Mainz 1960.<br />

1


2 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

originario “segno”, autorive<strong>la</strong>tosi come Lovgo~, il quale sarx ejgevneto kai; ejskhvnwsen en hJmi`n (Gv<br />

1:14) [si fece carne e pose <strong>la</strong> tenda fra noi]: l’uomo-Dio, Gesù di Nazareth.<br />

Il Lovgo~, che dall’eternità era pro;~ to;n qeovn (Gv 1:2), ejp jejscavtou tw`n hJmerw`n touvtwn ej<strong>la</strong>lhsen<br />

hJmi`n ejn uiw/ ` (Eb 1:2): <strong>la</strong> carne del Figlio di Dio, cioè, è il segno eloquente del<strong>la</strong> Paro<strong>la</strong> del Padre<br />

all’umanità, che egli dice verbis gestisque nel<strong>la</strong> vicenda storica di Gesù di Nazareth, e<br />

successivamente – e in re<strong>la</strong>zione a tale evento – nel canone delle Scritture e nel<strong>la</strong> vivente<br />

Tradizione apostolica. Questa Paro<strong>la</strong> del Padre, fattasi visibile nel<strong>la</strong> persona del Verbo incarnato, è<br />

eternamente presente al<strong>la</strong> vita degli uomini, poiché sussiste e continua ad operare attraverso i santi<br />

segni del<strong>la</strong> liturgia, epifania tangibile e “in forma umana”, del segno primo e irripetibile, memoria<br />

viva e “ontologicamente sussistente” del Cristo sacrificato e risuscitato.<br />

Il simbolo – secondo questa “dogmatica” – allora è dato dal<strong>la</strong> emergenza segnica di un quid<br />

materiale – visibile, cosmico, antropologico – che inaugura, rinvia, evoca, contiene e comunica<br />

un’altra realtà. Il Simbolo sorge, sgorga e comunica; non richiama per allegoriam. Esso è invece<br />

universalmente presente; sorge come realtà “umana”, legato al patrimonio “pre-razionale”<br />

dell’essere umano; pertanto il simbolo unifica, genera,dice <strong>fecondità</strong>, genera una re<strong>la</strong>zione reale,<br />

sperimentabile.<br />

1.2.2 Il simbolo rituale. Dell’ambito (rituale) del simbolo.<br />

Il simbolo non è sufficiente; è necessario che l’ambito nel quale esso si dà sia un ambito rituale.<br />

Dire questo significa rifarsi ad una complessità descritta molto bene da E. M. Zuesse 2 . Secondo gli<br />

studi di antropologia di quest’ultimo possiamo dire che rito è, antropologicamente anzitutto, un<br />

insieme di comportamenti culturalmente definiti che poi assume una connotazione religiosa quando<br />

esprimono l’uomo rituale; l’accezione di rito si sviluppa anche in una dimensione psicoanalitica<br />

secondo <strong>la</strong> quale esso riguarda i comportamenti simbolici spiccatamente non razionali, non formali<br />

ma pragmatici, diretti ad un fine fortemente empirico. Il rito in qualche modo si contrappone al<strong>la</strong><br />

“scienza”, al senso comune: esso – dal punto di vista sociologico – è maschera del<strong>la</strong> mete sociali<br />

<strong>la</strong>tenti di una società. Infine, secondo il punto di vista del<strong>la</strong> fenomenologia delle religioni, tramite il<br />

rito l’uomo incontra il numinoso, il sacro, connettendosi con l’altro ordine, con il “totalmente<br />

diverso” dal<strong>la</strong> realtà naturale; il rito esce dal<strong>la</strong> banalità del<strong>la</strong> vita ordinaria.<br />

Potremmo dire con Guardini 3 che <strong>la</strong> via che conduce al<strong>la</strong> vita liturgica non si dispiega attraverso <strong>la</strong><br />

mera istruzione teorica, bensì è offerta anzitutto al<strong>la</strong> pratica. Osservare ed agire sono le sue forze<br />

fondamentali in cui ha da essere radicato tutto il resto… L’agire è qualcosa di elementare; qualcosa<br />

in cui l’uomo ha da ritrovarvi tutto con le proprie forze creative; un eseguire compenetrato dal<strong>la</strong><br />

vita un’esperienza di vita.<br />

Il punto di vista più forte al riguardo è proprio in Sacrosanctum Concilium nel<strong>la</strong> quale – senza<br />

abbandonare <strong>la</strong> dimensione dogmatica del<strong>la</strong> vita sacramentale di cui <strong>la</strong> teologia tridentina è il<br />

“portabandiera” – <strong>la</strong> nuova acquisizione riguarda <strong>la</strong> teandricità del rito stesso: il fatto cioè che <strong>la</strong><br />

dimensione antropologica dell’actio sacra <strong>la</strong> rende veramente actio participata et participabilis: <strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> biblica, l’assemblea, le feste, lo spazio, il silenzio, <strong>la</strong> musica, l’arte, le suppellettili mostrano<br />

cioè l’incarnato mistero che sempre si rende visibile e celebrabile. Per assurdo questa via “umana”<br />

del rito del Verbo fatto uomo sembra essere seconda – dopo <strong>la</strong> riforma; se non unica! – rispetto al<strong>la</strong><br />

via pedante e noiosa del<strong>la</strong> “accessibilità” didattica dei riti, per cui dopo “posizioni ravvicinate”,<br />

linguaggi “introduttori”, parole di spiegazione, cose “semplici” e “linguaggio del<strong>la</strong> vita”… e<br />

banalità del genere … il rito diventerebbe una didascalia sul dogma fruibile come una catechesi<br />

popo<strong>la</strong>re, un pacchetto di contenuti teologici, di cui l’omelia sarebbe il “cuore” pulsante in cui si<br />

distribuiscono – clericalmente – contenuti preconfezionati. Questo diventerebbe <strong>la</strong> morte<br />

dell’esperienza rituale, <strong>la</strong> quale essendo simbolica è una sorta di “non-comunicazione” (fare ciò che<br />

2<br />

E. M. ZUESSE, Rito in M. ELIADE (cur.), Il rito. Oggetti, atti, cerimonie (Enciclopedia delle religioni. 2), Mi<strong>la</strong>no 1994,<br />

482-501.<br />

3 7<br />

R. GUARDINI, I santi segni, Brescia 1996 (originale 1930), 115.<br />

2


3 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

si dice, non dire ciò che si fa) segnica: <strong>la</strong> conseguenza di tale “prossemica” didascalica dei riti è<br />

stata <strong>la</strong> loro “morte” e l’inevitabile “fuga” dei fedeli…<br />

L’ulteriore conseguenza sarebbe <strong>la</strong> deriva etico-moraleggiante per cui il senso dei riti non sarebbero<br />

“essi stessi” – cioè <strong>la</strong> loro assoluta gratuità nel<strong>la</strong> logica dell’amore, del<strong>la</strong> sovrabbondanza,<br />

dell’incontro fine a se stesso – ma piuttosto il “culto esistenziale”: cioè in vista delle esigenze etiche<br />

del<strong>la</strong> vita <strong>cristiana</strong>; <strong>la</strong> veridicità del rito diventa <strong>la</strong> vita ordinaria: l’assioma diffusissimo che il banco<br />

di prova del rito sarebbe <strong>la</strong> vita ordinaria, per cui i riti hanno senso se cambia <strong>la</strong> qualità di vita<br />

<strong>cristiana</strong>. Il rito non vale in se stesso ma per <strong>la</strong> sua “ricaduta” (pensiamo a tutti i processi di<br />

iniziazione <strong>cristiana</strong> dei ragazzi e <strong>la</strong> “verifica” che si fa’ a riguardo; nessuna preoccupazione se il<br />

rito generi il “legame” con il suo Fine); se è ovvia una ricaduta nel<strong>la</strong> vita ordinaria non lo è nel<br />

senso di una funzionalità.<br />

È <strong>la</strong> “deriva”, da cui Guardini vuole mettere in guardia, data dal rischio di collocare <strong>la</strong> liturgia, o<br />

meglio sottometter<strong>la</strong>, relegar<strong>la</strong> in una dimensione etica, definendo una sua posizione “seconda”<br />

rispetto all’ordine morale 4 . La liturgia infatti sembrerebbe, di primo acchito, non avere né rapporti<br />

immediati, né propensione nativa nei confronti di un impegno etico, nei confronti del<strong>la</strong> vita<br />

ordinaria. Anzi sembrerebbe essere caratterizzata da un certo distacco dal<strong>la</strong> vita concreta. Quasi <strong>la</strong><br />

liturgia sembra contrapporsi, per “distanza”, da temi come <strong>la</strong> fabbrica, il <strong>la</strong>voro, i problemi etici, <strong>la</strong><br />

fame nel mondo… “Azione” nel mondo e “liturgia” sembrano non calzare tra di loro.<br />

Alcune istanze di rinnovamento, nate e sviluppatesi anche a partire dal Movimento liturgico,<br />

mirarono proprio a creare una maggior “vicinanza” del<strong>la</strong> liturgia al popolo e al<strong>la</strong> sua vita concreta,<br />

prendendo le distanze dal<strong>la</strong> “aristocraticità” cui i riti di alcuni monasteri benedettini avrebbero<br />

voluto collocar<strong>la</strong> 5 . All’ “azione” sembra contrapporsi <strong>la</strong> “contemp<strong>la</strong>zione”, nel tentativo di<br />

riconoscere una priorità; Guardini riconosce infatti nel<strong>la</strong> welthanshaung kantiana il primato<br />

dell’Ethos sul Logos 6 , poiché nel mondo dell’uomo – accanto al<strong>la</strong> sua libertà e al suo intelletto –<br />

agisce <strong>la</strong> volontà dal cui postu<strong>la</strong>to Kant fa scaturire il mondo di Dio e dell’anima. Un passaggio<br />

successivo avverrà con Fichte, Schopenauer e von Hartmann per i quali <strong>la</strong> “volontà psicologica” fa<br />

da vera padrona del<strong>la</strong> vita; infine Nietzsche postulerà una “volontà di potenza” 7 , per cui è vero ciò<br />

che rende sana e nobile <strong>la</strong> vita; il volere dell’uomo prevale sul<strong>la</strong> verità, che rimane un fatto morale.<br />

La conseguenza di ciò è che il Lovgo~, “il dogma” non è più rive<strong>la</strong>zione di verità, ma serve solo ad<br />

avere una “buona vita”.<br />

Questa visione porterà a sancire un primato dell’etica, dell’azione, anche nel<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> Chiesa, al<br />

punto che questo atteggiamento spirituale sarà il modo di interpretare il senso stesso del<strong>la</strong> Chiesa 8 ,<br />

fino al suo “epigone” nel<strong>la</strong> riforma, secondo <strong>la</strong> quale: l’esperienza personale del soggetto, il<br />

sentimento del singolo sono i criteri del<strong>la</strong> fede; non l’ortodossia ma l’ortoprassi. L’esperienza di<br />

fede personale vale più del<strong>la</strong> “vera fede” 9 . L’uomo fonda su di sé il principio di fede, <strong>la</strong> sua natura,<br />

il suo pensare, <strong>la</strong> conoscenza del mondo, del cuore umano; l’uomo può, fa’, agisce, trasforma, crea,<br />

ma spesso tutto ciò, sostiene Guardini, rischia di essere un “cieco branco<strong>la</strong>re nel buio, giacché <strong>la</strong><br />

forza fondamentale su cui egli ha poggiato <strong>la</strong> sua vita, vale a dire il volere, è cieca” 10 .<br />

Ora – ecco il pericolo cui anche <strong>la</strong> liturgia può essere soggetta – <strong>la</strong> verità è data prima, mentre essa<br />

non si fonda su di un ambito morale, pratico. Essa è trovata, scoperta dal “volere” dell’uomo, non è<br />

creata da esso. È <strong>la</strong> verità a dare luce, ordine, forma al<strong>la</strong> volontà; non nel senso che <strong>la</strong> volontà,<br />

l’agire morale non abbiano dignità, valore: anzi entrambe sono necessarie al<strong>la</strong> vita dell’uomo; ma<br />

l’essere, <strong>la</strong> verità, il “dogma” devono precedere e fondare l’agire dell’uomo. La liturgia, allora, non<br />

si oppone all’azione, al<strong>la</strong> morale, all’Ethos; essa naturalmente converge nell’agire umano, ma solo<br />

4<br />

R. GUARDINI, I santi segni, 99.<br />

5<br />

M. MARSCHALL, In Wahreit beten, 40.<br />

6<br />

R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, 102.<br />

7<br />

Ibid., 102.<br />

8<br />

R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, 103.<br />

9 Ibid., 104.<br />

10 Ibid., 106.<br />

3


4 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

dopo aver accolto <strong>la</strong> verità che <strong>la</strong> illumina: il celebrare cristiano – in quest’ordine ontologico – non<br />

potrà essere inteso come “indifferenza alle piccole miserie quotidiane” 11 ; esso piuttosto attinge, con<br />

<strong>la</strong> sua p<strong>la</strong>cida pace e <strong>la</strong> sua calma, all’amore trascendente di Dio; colloca l’uomo nel<strong>la</strong> realtà di Dio,<br />

facendolo vivere di Lui: questi sarà il più profondo motivo di ogni agire umano.<br />

1.3 L’esperienza ebraico <strong>cristiana</strong><br />

L’Antico Testamento postu<strong>la</strong> l’esistenza di ôt profetici:<br />

- Osea: profeta dell’amore sponsale, dove l’infedeltà di Israele a Jhwh è <strong>la</strong> sua<br />

prostituzione; l’atto portatore di significato è il vissuto del profeta stesso, al sua<br />

dimensione esistenziale: Dio è reso l’opposto del “Io sono colui che sono” (Es 3:14) con<br />

il “non-Signore” (Os 1:9).<br />

- Isaia: passeggia nudo e scalzo per tre anni per le vie di Gerusalemme; “celebra” <strong>la</strong><br />

nudità dell’esilio (Is 20:1-6). [ TM: ‘ot – mofet – te’udâ; LXX: semeivon – tevra~ –<br />

martivrion; Vg: signum – portentum – testimonium; It: segno – sorpresa, iniziare –<br />

impegno, testimonianza]<br />

- Geremia: è il profeta del<strong>la</strong> cintura, del<strong>la</strong> brocca (Ger 19:1-15), del celibato, del giogo<br />

(18:10-11). Condanna i “falsi” profeti.<br />

- Ezechiele: i suoi simboli sono <strong>la</strong> manducazione del libro (2:8; 3:3); il pastore (Ez 34); <strong>la</strong><br />

sentinel<strong>la</strong> 3:16-21; 33:1-20).<br />

- Zaccaria, segno del<strong>la</strong> corona (6:14).<br />

Il Nuovo Testamento 12 inizia col Verbo fatto carne, ma continua con Gesù che tocca molti, è<br />

immerso nelle acque del Giordano; rovescia i tavoli dei cambiavalute; <strong>la</strong>va i piedi; abbraccia e<br />

benedice i bambini; mangia coi peccatori e le prostitute; dà il pane alle folle e col vino ai Dodici in<br />

una Cena d’addio; mette il fango negli occhi al cieco; usa <strong>la</strong> mano, il suo corpo; cammina; piange;<br />

ha sete…<br />

L’esistenza umana e simbolica di Cristo è mustevrion (sacramentum) come in 1 Cor 2:1; Ef 1:9; 3:9;<br />

1 Tm 3:16 (mistero del<strong>la</strong> pietà).<br />

1.4 Il rito e <strong>la</strong> sua forza iniziatica<br />

Per mezzo del rito, dunque, avviene un “impatto”: esso – coerente con <strong>la</strong> rive<strong>la</strong>zione ebraico<br />

<strong>cristiana</strong> e il mistero-dogma dell’incarnazione – non è un mezzo educativo né un itinerario<br />

didattico-morale; nel rito invece si realizza l’impatto dell’uomo con il mistero pasquale di Cristo,<br />

sotto il velo dei simboli e Dio ne è l’attore principale. Potremmo dire che l’agire simbolico-rituale è<br />

“mistero”: nel senso che epifanizza l’azione di Dio (in segni umani- ecclesiali). L’agire di Dio va<br />

posto in risalto come “dimensione attiva”; Egli è sempre il soggetto, colui che compie ogni<br />

itinerario di iniziazione. Questa è l’assoluta novità! Nel rito Dio agisce come “iniziatore” perché si<br />

rende presente l’ot profetico di Cristo, il suo “gesto”, in ragione del<strong>la</strong> “contemporaneità” che si<br />

genera tra l’evento iniziale (<strong>la</strong> salvezza pasquale) e i gesti-riti-atti simbolici ecclesiali: dinamica tra<br />

l’Ur-Sakrament e il sacramentum. Questo avviene non per convenzione astratta, né per via di<br />

“didascalia”, ma “rite” secondo un “cultus receptus”, cioè riconoscibile 13 . Si supera così <strong>la</strong> deriva<br />

congitiva, sfuggendo al<strong>la</strong> definizione perché mostra-vive quello che simbolicamente rappresenta;<br />

appartiene cioè ad una antropologia complessa: il rito infatti<br />

- deve essere reiterato<br />

11 Ibid., 110.<br />

12 F.J. LEENHARDT, Parole visibile. Pour une evaluation nouvelle de sacrament, Neuchâtel 1971.<br />

13 In sanscrito rita è “ciò che è conforme all’ordine”.<br />

4


5 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

- deve riferirsi a valori trascendenti e di lunga durata (ama <strong>la</strong> temporalità distesa,<br />

l’”immutabile”, <strong>la</strong> durabiltà, <strong>la</strong> “conservazione”.<br />

- è irriducibile all’utile ed etico ma dice riferimento al simbolo. Cioè media una re<strong>la</strong>zione.<br />

- va compiuto da chi ha autorità per farlo.<br />

In tal modo l’esperienza simbolico-rituale “inizia” al<strong>la</strong> fede perché coinvolge le dinamiche<br />

fondamentali del<strong>la</strong> fede stessa:<br />

- chiede l’adesione del credente per essere riconosciuta, perché possa funzionare,<br />

generando così l’iniziazione fondamentale<br />

- evoca il “numinoso”, il Santo<br />

- coinvolge il simbolo del corpo e i suoi comportamenti, ordinati dalle parole.<br />

Potremmo dire, sinteticamente, che <strong>la</strong> liturgia servendosi del<strong>la</strong> “- urgia” e non solo del<strong>la</strong> “- logia”<br />

(fare e non solo dire) genera nell’uomo una azione profetica trasformante, e non una semplice<br />

conoscenza. Nemico del rito è infatti ogni pedagogia. Il rito funziona a prescindere dai significati<br />

perché opera simbolicamente, cioè permette l’incontro. Ciò senza eterotopie (fughe) nel ritualismo<br />

esasperato al massimo grado (ritualismo, ieratismo, tradizionalismo) né eterotopie al minimo grado<br />

(banalizzazione, spontaneismo appiattimento sul<strong>la</strong> vita quotidiana, didatticismo, infantilismo).<br />

Il rito inizia nel<strong>la</strong> misura in cui apre uno spazio simbolico dove si fa l’esperienza – contemporanea<br />

– del<strong>la</strong> alterità di Dio ma anche del<strong>la</strong> sua presenza-vicinanza, del “contatto” per mezzo dei simboli.<br />

Questo significa che il rito riesce ad “iniziare perché non percorre l’arida via del<strong>la</strong> so<strong>la</strong> conoscenza<br />

– lo stesso mistero non si offre a noi in modo completamente fruibile dall’intelletto umano – ma per<br />

<strong>la</strong> via complessa, anche se “forte”, del simbolo.<br />

Il simbolo attinge <strong>la</strong> sua “forza” dal<strong>la</strong> sua “seria” bellezza: esso cioè rifiuta <strong>la</strong> via degli estetizzanti,<br />

del bello vuoto di senso, ma si propone come bellezza sub specie enigmatis et Crucis; <strong>la</strong> bellezza è<br />

quel<strong>la</strong> del oJ poimh;n oJ kalo~ (Gv 10:11), il “bel pastore” (trad. CEI “buon”) che offre <strong>la</strong> vita per le<br />

pecore (Gv 10:16); è una bellezza “seria” cioè trasformante per opera del<strong>la</strong> verità: in altre parole<br />

dal<strong>la</strong> forza reale e armoniosa del<strong>la</strong> verità 14 . Guardini sostiene come lo splendore dei riti non sia<br />

equivalente ad un “palcoscenico” dello spirituale 15 , bensì dal<strong>la</strong> vicinanza dell’uomo al<strong>la</strong> realtà di<br />

Dio; e ciò non può essere vissuto che con “<strong>la</strong> serietà del<strong>la</strong> più intima partecipazione” 16 di chi<br />

intuisce <strong>la</strong> corrispondenza dei riti e delle parole al<strong>la</strong> “esigenze del mondo interiore” 17 , potremmo<br />

dire al Regno di Dio e al<strong>la</strong> sua giustizia. In tal modo <strong>la</strong> bellezza del<strong>la</strong> liturgia e dei suoi riti mettono<br />

in re<strong>la</strong>zione l’uomo con Gesù Cristo e <strong>la</strong> sua verità personale: è questo lo spazio nel quale Dio si<br />

rende presente all’esperienza, si dà a vedere e non accetta di “essere descritto”, “spiegato” ma si<br />

“rive<strong>la</strong>” all’uomo. Questa è <strong>la</strong> forza iniziatica del rito: essa sfugge ad ogni pretesa antropomorfica<br />

di Dio e <strong>la</strong>scia che egli “sia dia” in Cristo attraverso uno “spazio” vuoto di parole umana e ricolmo<br />

del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> divina…<br />

L’azione simbolico-rituale si model<strong>la</strong> sul mistero di Cristo: ne è rive<strong>la</strong>zione e forma! Il simbolo<br />

rituale diventa prolungamento dell’Incarnazione del Logos – sacramentum Patris in carne hominis<br />

– e nel<strong>la</strong> Liturgia diventa via di re<strong>la</strong>zione con tale mistero di incarnazione.<br />

In tal modo l’impatto simbolico-rituale permette di iniziare l’uomo al mistero di Dio non per via di<br />

assunzione di norme e regole religiose: si tratta di non sottomettere l’iniziazione al<strong>la</strong> dimensione<br />

dell’ethos, come secondaria rispetto all’assunzione di un ordine morale. Il primato etico-morale<br />

precederebbe il darsi del<strong>la</strong> verità che è il cuore di ogni iniziazione-incontro-seque<strong>la</strong>: La verità<br />

infatti è trovata, scoperta dall’uomo: non è creata da esso; è solo <strong>la</strong> scoperta del<strong>la</strong> verità – nello<br />

“spazio” generato dal rito – che permette di aderirvi con libertà e volontà; <strong>la</strong>sciarsi iniziare a questa<br />

re<strong>la</strong>zione solo dopo aver accolto una verità che “mi illumina”, che “mi chiama a sé”. In tale senso<br />

14 R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, 89.<br />

15 Ibid., 95.<br />

16 Ibid., 96.<br />

17 Ibid., 96.<br />

5


6 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

allora <strong>la</strong> liturgia e <strong>la</strong> sua carica simbolica sono <strong>la</strong> via maestra dell’iniziazione dell’uomo al mistero<br />

tripersonale del<strong>la</strong> salvezza.<br />

In tal senso, Romano Guardini, in una sua lettera del 1964 18 al Segretario dell’Istituto liturgico di<br />

Treviri, in occasione del Congresso di Magonza del 1964 (cui non avrebbe potuto partecipare)<br />

scrive come <strong>la</strong> vera questione del<strong>la</strong> liturgia si dà proprio a partire dallo spostamento del dibattito dal<br />

piano dell’agire, del fare, dei canti, del “cerimoniale” (seppure tutti questo rivisitati, modernizzati,<br />

popo<strong>la</strong>rizzati, o “democraticizzati”) al piano del<strong>la</strong> ontologia dell’atto liturgico (in sé).<br />

Guardini si preoccupa nel<strong>la</strong> lettera di definire l’atto liturgico nel<strong>la</strong> sua essenza, sostenendo che<br />

omettere di muoversi in questa prospettiva, significherebbe ridurre le azioni liturgiche, lo spirito<br />

del<strong>la</strong> liturgia, ad “oggettività” celebrata, a “letture” di contenuti di fede e ai riti che li<br />

“rivestono”… 19 Il vero passaggio epocale sta – nel pensiero strabiliante di Guardini – nel superare<br />

ogni dualismo tra forma e contenuto, ritus e preces, tra logos ed ethos. Quanto avviene nel<strong>la</strong> liturgia<br />

e nei riti che <strong>la</strong> compongono è in se stesso l’agire di Cristo e del<strong>la</strong> Chiesa: il significato non è “da<br />

dire”, da spiegare, ma sta, piuttosto, nell’atto medesimo del celebrare:<br />

« […] l’azione simbolica viene “fatta da chi [ministerialmente] <strong>la</strong> esercita come atto liturgico ed è “letta” in un atto<br />

analogo da chi lo percepisce, il senso interiore è contemp<strong>la</strong>to [e incontrato ndr] nel<strong>la</strong> realtà esterna. Altrimenti tutto è<br />

uno spreco di tempo e di energia, e sarebbe meglio semplicemente “dire” » 20 .<br />

Questa intuizione di Guardini ci permette di riflettere sul senso del simbolo liturgico come accesso<br />

al mistero da parte dell’uomo. Il simbolo, nel<strong>la</strong> sua accezione più comune viene frainteso con le<br />

immagini allegoriche o con le analogie che forniscono, spesso, un linguaggio esemplificativo o<br />

allusivo per <strong>la</strong> catechesi o – impropriamente – nel<strong>la</strong> liturgia. Il simbolo, invece, procede da un<br />

mondo più complesso e pertanto meno definibile, anche se più immediato e vicino all’esperienza<br />

fontale del rito. Il simbolo unisce in modo mirabile il corporeo e lo spirituale, i quali nelle allegorie<br />

o nelle “rappresentazioni mentali” del divino o dello spirituale, tendono ad essere separati: anzi una<br />

deviazione del<strong>la</strong> vita <strong>cristiana</strong> potrebbe desiderare una via so<strong>la</strong>mente spirituale.<br />

Solo una antropologia pienamente unitaria di corpo e spirito ci permetterà di capire come i santi<br />

segni del<strong>la</strong> liturgia in realtà possano rimandare al Segno di Cristo, proprio perché rispondono ad<br />

una logica simbolica.<br />

Alcune riflessioni sullo scopo del<strong>la</strong> liturgia sorgono da questo ragionamento sul<strong>la</strong> funzione del<br />

simbolo come via a Cristo. Se i “santi segni” sono chiamati ad essere solo “trasmettitori” dell’unico<br />

Segno – l’uomo-Dio Gesù Cristo –, allora <strong>la</strong> liturgia per essere tale dovrà rispondere a certe<br />

esigenze.<br />

18 Pubblicata in Liturgisches Jahrbuch 2 (1964).<br />

19 “Quel che dunque importa soprattutto, è l’interrogativo, in che cosa consista l’atto liturgico, che sta al<strong>la</strong> base di<br />

tutto – ovviamente qui si possono tentare solo brevi indicazioni. Ciò che è proprio di quest’atto acquista <strong>la</strong> massima<br />

chiarezza, quando si tratta di un agire, quindi per esempio – dove ce n’è l’abitudine – <strong>la</strong> “processione offertoriale”.<br />

Qui equivale a una differenza specifica se il credente intenda questo cammino solo come un movimento diretto verso <strong>la</strong><br />

mèta, che potrebbe in sé essere compiuto altrettanto bene dal sacrestano con al borsa tintinnante, o se invece sappia<br />

come il portare [le ob<strong>la</strong>te al celebrante] sia in se stesso “preghiera”, disponibilità verso Dio, associazione nell’attuare<br />

<strong>la</strong> preparazione dei doni, delle ob<strong>la</strong>te. L’atto nel suo svolgersi può assumere in sé anche una cosa, nel caso citato <strong>la</strong><br />

moneta in rappresentanza di doni concreti, o nel<strong>la</strong> ob<strong>la</strong>zione da parte del sacerdote, <strong>la</strong> benedizione del pane e del vino.<br />

Allora il “significato” non viene giustapposto col dirlo – o col pensarlo –, ma realizzato nell’atto medesimo. Una<br />

considerazione corrispondente vale per lo spazio e le collocazioni in esso, per i tempi e i giorni e le ore…” Trad. del<strong>la</strong><br />

Lettera in occasione del III Congresso Liturgico di Magonza (1964) tradotta e pubblicata in italiano in R. GUARDINI,<br />

Formazione liturgica, Brescia 2008, 27-36. Il brano succitato a p. 30-31.<br />

20 R. GUARDINI, Formazione liturgica, 31.<br />

6


1.5 Gesti e riti: porta dell’iniziazione<br />

7 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

La situazione attuale potremmo così descriver<strong>la</strong>: basterebbe passare in rassegna un manipolo di<br />

parrocchie – proprio del nostro tempo – per far proprie le espressione con cui già Giulio Bevi<strong>la</strong>cqua<br />

nel 1961 dava prefazione al<strong>la</strong> IV edizione di “Vom Geist der Liturgie” del 1918, tradotto per i tipi<br />

del<strong>la</strong> Morcelliana nel 1930:<br />

“Così in ambiente turbato e polemico – tra archeologi immobilisti e innovatori ignari del punto di arrivo delle loro<br />

riforme – tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti sprezzanti e diffidenti d’ogni gesto esteriore – tra individualisti<br />

che guardano al divino solo per mezzificarlo al servizio del proprio egoismo, e gregaristi solo assertori di<br />

un’assemblea ove ogni s<strong>la</strong>ncio personale a Dio è eliminato, tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che<br />

impurità in ogni incarnazione – in tale ambiente problematico e arroventato appare quest’opera di Guardini” 21<br />

La “questione” che più oggi attanaglia liturgisti e pastori è – infatti – questa: <strong>la</strong> liturgia del<strong>la</strong> Chiesa,<br />

anche dopo <strong>la</strong> benedetta riforma di Sacrosanctum Concilium, il grande culto che <strong>la</strong> tradizione ci ha<br />

consegnato riesce oggi ad intercettare gli uomini del XXI secolo? La soluzione cioè – per tornare<br />

al<strong>la</strong> questione sollevata da Bevi<strong>la</strong>cqua – è risolvibile semplicemente in termini di “conservazione” o<br />

“progresso”, “tradizione” o adattamento”? Oppure gli uomini del<strong>la</strong> nostra epoca, come “extranei vel<br />

muti spectatores” (cfr. SC 48), ancora si sentono lontani da questo evento simbolico-rituale che è <strong>la</strong><br />

grazia del<strong>la</strong> celebrazione del<strong>la</strong> Pasqua di Cristo?<br />

Diviene necessario “aprire lo spazio” del simbolo, attraverso l’uso delle forme, del corpo, colori,<br />

sapori, degli eventi, dei silenzi, del<strong>la</strong> luce, del buio, del mangiare e bere, del “fare”: <strong>la</strong> via di una<br />

“incarnatissima” manualità umana che ponga l’iniziato sub lumine Verbi e non in facie Verbi.<br />

1.5.1 Baptisma o infusio?<br />

Immergere nel<strong>la</strong> morte, buio, tenebra, silenzio, apnea.<br />

Emergere a vita nuova, rinnovata, luce, paro<strong>la</strong>, venti<strong>la</strong>zione, aria, vita…<br />

Immersi, <strong>la</strong>vati, profumati, vestiti, unti, massaggiati…<br />

In Spirito e fuoco.<br />

Nel<strong>la</strong> piscina, vasca, Giordano, acqua viva o nel<strong>la</strong> “Acquasantiera” con l’acqua benedetta.<br />

Ianua Ecclesiæ.<br />

Forza violenta del<strong>la</strong> Seque<strong>la</strong> Christi.<br />

Grembo del<strong>la</strong> Chiesa.<br />

Degenerazione in abluzione del peccatum originis non immersione nel<strong>la</strong> dinamica pasquale di<br />

Cristo, <strong>la</strong> cui conseguenza è anche cancel<strong>la</strong>re il peccatum originis…<br />

Rivestiti di Cristo, profumati dal<strong>la</strong> Carità divina, unti di olio battesimale di olio di esultanza, di<br />

Spirito Santo o testimoni-soldati-teologumeni-crociati del Regno… antiche testimonianze di versare<br />

l’olio nell’acqua e, uscendo, si prendeva quello che stava sul pelo dell’acqua stessa…<br />

Nudi davanti a Cristo, spogliati dell’uomo vecchio, rivestiti di forza dall’alto con l’uomo nuovo.<br />

Manca l’imprinting simbolico: tutto spiegato, doceticamente annul<strong>la</strong>to, catecheticamente ripetuto<br />

mai antropologicamente vissuto-subito-impattato.<br />

Adattamento supino: pigro. Stanco, noioso.. e poi si reagisce per dire come?<br />

Forza catecumenale dinamismo energico.<br />

1.5.2 Eucaristia<br />

Manducare et bibere: IGMR disatteso 22<br />

21<br />

G. BEVILACQUA, Prefazione al<strong>la</strong> quarta edizione italiana, in R. GUARDINI, Lo spirito del<strong>la</strong> liturgia, Morcelliana:<br />

Brescia 1996 7 , 12.<br />

22<br />

La Comunione sotto le due specie 281. La santa Comunione esprime con maggior pienezza <strong>la</strong> sua forma di segno,<br />

se viene fatta sotto le due specie. Risulta infatti più evidente il segno del banchetto eucaristico e si esprime più<br />

chiaramente <strong>la</strong> volontà divina di ratificare <strong>la</strong> nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore ed è più intuitivo il<br />

rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre l05 . 282. I pastori d'anime si facciano<br />

7


8 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

Pane “spiritualizzato” e vino “riservato”.<br />

Comunione di un atto che non si compie: pan che non si frange (ostie) e vino che si versa.<br />

Carità che non si manifesta nel<strong>la</strong> trasfigurazione ritualizzata del<strong>la</strong> processione delle offerte.<br />

1.5.3 Nuptiæ o Matrimonio?<br />

Che non “coprono” nessuno<br />

Ars celebrandi che sottolinea molto gli impegni etici, il libero darsi degli sposi, il consenso vis a vis<br />

– orizzontalmente.<br />

Contratto che si rescinde facilmente di fatto, troppo umano.<br />

Poco epifanicamente simbolo dell’azione dall’alto di Dio che copre, trasforma, consacra unisce,<br />

lega, nubet, trasfigura di gloria, corona di grazia…<br />

1.5.4 Cresima o Maturità?<br />

Spostamento simbolico a chiusura dell’IC.<br />

Ultimo atto come sigillo anziché sacramento aperto (Eucaristia memoria-rinnovamento<br />

ebdomadario dell’IC, patto d’alleanza).<br />

Nessun profumo.<br />

Solo impegni…<br />

un dovere di ricordare, nel modo più adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi assistono, <strong>la</strong> dottrina cattolica<br />

riguardo al<strong>la</strong> forma del<strong>la</strong> Comunione, secondo il Concilio Ecumenico di Trento. In partico<strong>la</strong>re ricordino ai fedeli quanto<br />

insegna <strong>la</strong> fede cattolica: che, cioè, anche sotto una so<strong>la</strong> specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta <strong>la</strong><br />

sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti del<strong>la</strong> Comunione, coloro che ricevono una so<strong>la</strong> specie, non<br />

rimangono privi di nessuna grazia necessaria al<strong>la</strong> salvezza 106 . Inoltre insegnino che nell'amministrazione dei<br />

Sacramenti, salva <strong>la</strong> loro sostanza, <strong>la</strong> Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente<br />

per <strong>la</strong> venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per l'utilità di coloro che li ricevono secondo <strong>la</strong> diversità delle<br />

circostanze, dei tempi e dei luoghi 107 . Nello stesso tempo però esortino i fedeli perché partecipino più intensamente al<br />

sacro rito, nel<strong>la</strong> forma in cui è posto in maggior evidenza il segno del banchetto. 283. La Comunione sotto le due<br />

specie è permessa, oltre ai casi descritti nei libri rituali: a) ai sacerdoti che non possono celebrare o concelebrare; b) al<br />

diacono e agli altri che compiono qualche ufficio nel<strong>la</strong> Messa; c) ai membri delle comunità nel<strong>la</strong> Messa conventuale o<br />

in quel<strong>la</strong> che si dice "del<strong>la</strong> comunità", agli alunni dei seminari, a tutti coloro che attendono agli esercizi spirituali o<br />

partecipano ad un convegno spirituale o pastorale. Il Vescovo diocesano può stabilire per <strong>la</strong> sua diocesi norme riguardo<br />

al<strong>la</strong> Comunione sotto le due specie, da osservarsi anche nelle chiese dei religiosi e nei piccoli gruppi. Allo stesso<br />

Vescovo è data facoltà di permettere <strong>la</strong> Comunione sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al<br />

quale, come pastore proprio, è affidata <strong>la</strong> comunità, purché i fedeli siano ben preparati e non ci sia pericolo di<br />

profanazione del Sacramento o <strong>la</strong> celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di partecipanti o per<br />

altra causa. Circa il modo di distribuire ai fedeli <strong>la</strong> sacra Comunione sotto le due specie e circa l'estensione delle<br />

facoltà, le Conferenze Episcopali possono stabilire delle norme, approvate dal<strong>la</strong> Sede Apostolica. 284. Quando si<br />

distribuisce <strong>la</strong> Comunione sotto le due specie: a) per il calice solitamente compie il servizio il diacono, o, in sua<br />

assenza, il sacerdote; o anche l'accolito istituito o un altro ministro straordinario del<strong>la</strong> sacra Comunione; o un fedele a<br />

cui, in caso di necessità, viene affidato questo compito per l' occasione; b) ciò che rimane del Sangue viene consumato<br />

all'altare dal sacerdote, dal diacono o dall'accolito istituito che ha prestato servizio per il calice e che poi, nel modo<br />

solito, purifica, asterge e ordina i vasi sacri. Ai fedeli che vogliono comunicarsi solo sotto <strong>la</strong> specie del pane, <strong>la</strong> sacra<br />

Comunione si dia in questa forma. 285. Per distribuire <strong>la</strong> Comunione sotto le due specie, si devono preparare: a) se <strong>la</strong><br />

Comunione si fa bevendo direttamente dal calice, o un calice di sufficiente grandezza o più calici, con attenzione<br />

tuttavia nel prevedere che <strong>la</strong> quantità del Sangue di Cristo da consumare al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> celebrazione non rimanga in<br />

misura sovrabbondante; b) se si fa per intinzione, ostie né troppo sottili né troppo piccole, ma un poco più consistenti<br />

del solito, perché si possano convenientemente distribuire, dopo averle intinte parzialmente nel Sangue del Signore.<br />

286. Se <strong>la</strong> Comunione al Sangue si fa bevendo dal calice, il comunicando, dopo aver ricevuto il Corpo di Cristo, va dal<br />

ministro del calice e si ferma davanti a lui. Il ministro dice: Il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen, e il<br />

ministro gli porge il calice, che lo stesso comunicando accosta alle <strong>la</strong>bbra con le sue mani. Il comunicando beve un po'<br />

dal calice, lo restituisce al ministro e si allontana; il ministro asterge con il purificatoio il <strong>la</strong>bbro del calice. 287. Se <strong>la</strong><br />

Comunione al calice si fa per intinzione, il comunicando, tenendo <strong>la</strong> patena sotto il mento, va dal sacerdote che tiene il<br />

vaso con le particole, al cui fianco sta il ministro che tiene il calice. Il sacerdote prende l'ostia, ne intinge una parte nel<br />

calice e mostrando<strong>la</strong> dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen, dal sacerdote riceve in bocca<br />

il Sacramento e poi si allontana.<br />

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9 G. DI DONNA - INIZIAZIONE CRISTIANA: DEL SIMBOLO RITUALE<br />

I maturi sarebbero i “neofiti” come fanciulli che bramano il <strong>la</strong>tte spirituale: <strong>la</strong> “maturità” è quel<strong>la</strong><br />

mondana.<br />

1.5.5 Penitenza o Confessione<br />

Nessuna ritualità.<br />

Si preferisce l’atto “autoritativo” assolutorio – sentenza.<br />

Manca una itinerario penitenziale ritualizzato (ceneri – Missa pœnitentium)<br />

Evento puntuale chiuso in se stesso.<br />

1.5.6 Ambone o leggio<br />

Paro<strong>la</strong> senza luogo e luogo senza Pasqua.<br />

Lettori non lettori ma “come profeti”.<br />

1.5.7 Ancora Breviarium clericale<br />

La Chiesa si dice… Preghiera “difficile” si dice… ma per parti si potrebbe.<br />

Ma è pasquale.<br />

Perché spendersi a “creare preghiere”.<br />

1.5.8 Esequie o funerali<br />

I ricordi anziché <strong>la</strong> Memoria Paschatis.<br />

Il silenzio unico vero simbolo.<br />

Et expecto resurrectionem mortuorum.<br />

Sepoltura non celebrata: “schizzinoseria” pastorale di un rito a pezzi “solo <strong>la</strong> Messa”!: congedo del<br />

volto, itinerario, terra, <strong>la</strong>crime, sepoltura, parole umane… rito?<br />

Subire i ricatti: non sta sul<strong>la</strong> terra, fiori di un negozio non e giardino di Pasqua.<br />

Ma sono cose da poco, secondarie.<br />

Nessun Evange<strong>la</strong>rio copre tutti allo stesso modo.<br />

9

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