19.06.2013 Views

MISCELLANEA 2007 2008.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

MISCELLANEA 2007 2008.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

MISCELLANEA 2007 2008.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

LICEO CLASSICO “ORAZIO”<br />

ROMA<br />

Miscellanea<br />

<strong>di</strong> Saggi e Ricerche<br />

CARINI - CASTELLAN<br />

DE NICHILO - FIERRO - GIANNÌ<br />

PESCETELLI - ROBUSTELLI<br />

a cura <strong>di</strong> Mario Carini<br />

N. 5<br />

ANNO SCOLASTICO<br />

<strong>2007</strong>-2008


Stampa: Tipolito Istituto Salesiano Pio XI<br />

Via Umbertide, 11 - 00181 Roma<br />

Tel. 06.7827819 - E-mail: tipolito@pcn.net<br />

Finito <strong>di</strong> stampare: Maggio 2009


INDICE<br />

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />

SEZIONE DOCENTI<br />

MARIO CARINI, L’immagine del “<strong>di</strong>verso” in Omero e in Victor Hugo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />

MARIO CARINI, “I have a dream...”: l’autoe<strong>di</strong>toria scolastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43<br />

ADRIANA DE NICHILO, Appunti <strong>di</strong> un viaggio nella memoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63<br />

ANNA MARIA ROBUSTELLI, Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68<br />

MARCO PESCETELLI, L’Errante: il giallo <strong>di</strong> un film orfano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95<br />

SEZIONE DIDATTICA<br />

(collaborazioni degli studenti)<br />

Licia Fierro, Introduzione ai progetti realizzati dagli alunni <strong>di</strong> II B e III B per l’anno<br />

scolastico <strong>2007</strong>-2008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101<br />

“Incanto e <strong>di</strong>sincanto” dalla gnoseologia degli antichi alla politica dei moderni:<br />

proiezione storica nel Risorgimento italiano (Progetto “Roma per vivere, Roma<br />

per pensare”), progetto realizzato dalla classe II B, coor<strong>di</strong>nato dalla Prof.ssa<br />

Licia Fierro, con la collaborazione della Prof.ssa Alda Giannì . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105<br />

Dal mito deluso del ’68 al <strong>di</strong>sincanto della società <strong>di</strong>sgregata: il caso Italia (Progetto<br />

“Roma per vivere, Roma per pensare”), progetto realizzato dalla classe III B,<br />

coor<strong>di</strong>nato dalla Prof.ssa Licia Fierro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159<br />

Mario Carini, Proposte <strong>di</strong> scrittura creativa su Manzoni e “I Promessi Sposi” . . . . . . . . . 269<br />

Miscellanea <strong>di</strong> matematica, a cura del Prof. Maurizio Castellan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332


INTRODUZIONE<br />

Il quinto volume della Miscellanea <strong>di</strong> saggi e ricerche, relativo all’anno scolastico<br />

<strong>2007</strong>-2008, presenta la ormai tra<strong>di</strong>zionale bipartizione in “Sezione docenti” e<br />

“Sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)”, con i seguenti lavori. Nella<br />

“Sezione docenti” appaiono due miei contributi, L’immagine del “<strong>di</strong>verso” in<br />

Omero e in Victor Hugo (un confronto sulle figure <strong>di</strong> Tersite e <strong>di</strong> Gwynplaine, il<br />

protagonista <strong>di</strong> L’Uomo che ride) e “I have a dream...”: l’autoe<strong>di</strong>toria scolastica<br />

(contenente proposte <strong>di</strong> progetti e<strong>di</strong>toriali da realizzarsi nella scuola); quello della<br />

Prof.ssa Adriana de Nichilo, Appunti <strong>di</strong> un viaggio nella memoria (ricordo <strong>di</strong> una<br />

visita al campo <strong>di</strong> concentramento <strong>di</strong> Auschwitz-Birkenau); quello della Prof.ssa<br />

Anna Maria Robustelli, Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce? (sulla fortuna del mito <strong>di</strong> Orfeo<br />

ed Euri<strong>di</strong>ce nella moderna poesia angloamericana); quello del Prof. Marco Pescetelli,<br />

L’Errante: il giallo <strong>di</strong> un film orfano (sul problema dei film rimasti senza l’attribuzione<br />

dell’autore e che, abbandonati negli archivi, rischiano un irreparabile<br />

deterioramento). La “Sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)” comprende<br />

i seguenti lavori: “Incanto e <strong>di</strong>sincanto” dalla gnoseologia degli antichi alla politica<br />

dei moderni: proiezione storica nel Risorgimento italiano, progetto realizzato<br />

dalla classe II B, coor<strong>di</strong>nato dalla Prof.ssa Licia Fierro, con la collaborazione della<br />

Prof.ssa Alda Giannì; Dal mito deluso del ’68 al <strong>di</strong>sincanto della società <strong>di</strong>sgregata:<br />

il caso Italia (Progetto “Roma per vivere, Roma per pensare”), progetto realizzato<br />

dalla classe III B, coor<strong>di</strong>nato dalla Prof.ssa Licia Fierro; un altro mio contributo,<br />

Proposte <strong>di</strong> scrittura creativa su Manzoni e “I Promessi Sposi”; la Miscellanea<br />

<strong>di</strong> matematica, a cura del Prof. Maurizio Castellan.<br />

Giunti a questo punto del nostro lavoro, dopo aver pubblicato cinque numeri<br />

riuscendo a rispettare la scadenza annuale che ci eravamo prefissati all’inizio del<br />

nostro progetto e<strong>di</strong>toriale, vogliamo tracciare un primo bilancio <strong>di</strong> questa attività.<br />

Iniziando nel <strong>di</strong>cembre 2004 la pubblicazione <strong>di</strong> questa raccolta <strong>di</strong> saggi <strong>di</strong> carattere<br />

culturale e <strong>di</strong>dattico, intendevamo mettere a <strong>di</strong>sposizione dei docenti e della<br />

nostra scuola uno strumento, per quanto imperfetto, che permettesse non solo <strong>di</strong><br />

trovare spunti per ricerche, approfon<strong>di</strong>menti e aggiornamenti nelle <strong>di</strong>scipline curricolari,<br />

ma anche <strong>di</strong> compiere esperienze culturali nuove. La Miscellanea si è voluta<br />

perciò configurare, per così <strong>di</strong>re, come un mosaico <strong>di</strong> tessere o una polifonia<br />

<strong>di</strong> voci tutte funzionali alla realizzazione del progetto comune, fondato sulla <strong>di</strong>fficile<br />

coniugazione <strong>di</strong> scuola e ricerca e finalizzato alla promozione della crescita integrale<br />

e della maturazione dell’alunno inteso come persona. Sta ai lettori giu<strong>di</strong>care<br />

se abbiamo raggiunto il nostro scopo.<br />

Per quanto ci riguarda, al fine <strong>di</strong> avere utili e autorevoli riscontri sulla vali<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> questa iniziativa, abbiamo pensato <strong>di</strong> inviare la Miscellanea a importanti personalità<br />

della scuola e della cultura. Copie della Miscellanea sono state mandate ai<br />

–5–


Proff. Bruno Luiselli, Accademico dei Lincei già or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Letteratura Latina all’Università<br />

degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roma “La Sapienza”, Francesco Paolo Casavola, storico<br />

del <strong>di</strong>ritto romano, già Presidente della Corte Costituzionale e Presidente dell’Istituto<br />

dell’Enciclope<strong>di</strong>a Italiana, Pietro Rossi, Professore Emerito <strong>di</strong> Filosofia della<br />

Storia presso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Torino e Accademico dei Lincei, Tullio De<br />

Mauro, linguista <strong>di</strong> fama internazionale e <strong>di</strong>rettore del Grande Dizionario Italiano<br />

dell’Uso, Antonio Glauco Casanova, storico e saggista, già segretario particolare<br />

del Ministro delle Finanze On. Luigi Preti e <strong>di</strong>rettore del quoti<strong>di</strong>ano del PSDI<br />

«L’Umanità». Tutte le illustri personalità a cui è stata mandata la Miscellanea<br />

hanno risposto con parole <strong>di</strong> vivo apprezzamento e incoraggiamento per l’iniziativa.<br />

Inoltre la Miscellanea è stata inviata alle seguenti biblioteche pubbliche:<br />

Alessandrina, Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele”, Biblioteca <strong>Statale</strong> “Antonio<br />

Bal<strong>di</strong>ni”, Biblioteca <strong>di</strong> Villa Leopar<strong>di</strong>. Essa è stata inviata anche all’Accademia<br />

della Crusca, a Firenze. Abbiamo poi inviato la Miscellanea alle riviste<br />

“Civiltà Cattolica” (il cui <strong>di</strong>rettore, p. GianPaolo Salvini S.I., ci ha risposto con<br />

una cortese lettera) e “Nuova Secondaria” (che ci ha onorato <strong>di</strong> una lusinghiera recensione,<br />

apparsa sul n. 3, 15 novembre 2008, p. 102). 1<br />

I giu<strong>di</strong>zi decisamente positivi ottenuti ci inducono, quin<strong>di</strong>, ad auspicare che la<br />

Miscellanea possa vedere la luce anche negli anni futuri, benché le attuali ristrettezze<br />

economiche coinvolgano anche i fon<strong>di</strong> a <strong>di</strong>sposizione per le iniziative e<strong>di</strong>toriali<br />

della scuola e rendano incerta la loro prosecuzione. Vogliamo pertanto concludere<br />

nella fiducia che il <strong>di</strong>fficile momento si possa superare ed esprimiamo il nostro<br />

ringraziamento a tutti i collaboratori <strong>di</strong> questo e dei numeri precedenti, al Dirigente<br />

Scolastico Prof. Gregorio Franza, che ha approvato e seguito con interesse<br />

l’iniziativa, e alle maestranze della Tipografia dell’Istituto Pio XI.<br />

Roma, 4 marzo 2009 Mario Carini<br />

1 Della quale ci piace riprodurre la parte conclusiva: “Il cambio <strong>di</strong> Presidenza non ha impe<strong>di</strong>to<br />

<strong>di</strong> continuare un’importante attività che vede coinvolti in obiettivi comuni i docenti e gli studenti<br />

del <strong>Liceo</strong> in un lavoro che merita <strong>di</strong> essere sostenuto anche in futuro” (da “Nuova Secondaria”, n. 3,<br />

15 novembre 2008, p. 102).<br />

–6–


Sezione docenti


MARIO CARINI<br />

L’immagine del “<strong>di</strong>verso”<br />

in Omero e in Victor Hugo<br />

1. Personaggi letterari <strong>di</strong>vengono miti dell’immaginario, allorché le<br />

loro figure assumono forti valenze simboliche, e questi simboli <strong>di</strong>vengono<br />

universali, creando una tra<strong>di</strong>zione letteraria che dall’antichità si perpetua<br />

fino ai nostri giorni. Così alcuni <strong>di</strong> questi personaggi, appartenenti alle<br />

letterature <strong>di</strong> tutti i tempi, sono <strong>di</strong>venuti emblematici caratteri, figure mitiche<br />

dell’immaginario collettivo occidentale, simboli <strong>di</strong> virtù e <strong>di</strong>fetti dell’uomo<br />

o specchio del misterioso e tragico rapporto tra l’uomo e il suo<br />

destino: pensiamo a Giobbe, a E<strong>di</strong>po, a Circe, e, più vicini a noi, ad Amleto,<br />

a Romeo e Giulietta, a don Chisciotte, a don Giovanni. Ognuna <strong>di</strong> queste<br />

figure ha, talvolta inaspettatamente, trovato i suoi ritorni, le sue reincarnazioni<br />

in altri personaggi <strong>di</strong> testi successivi, che, presentando vistose analogie<br />

nell’aspetto, nel carattere e nel comportamento, ne hanno ricalcato in<br />

qualche modo l’immagine, l’esperienza <strong>di</strong> vita e il destino. 1<br />

Scopo <strong>di</strong> questo lavoro è un’indagine sulla costituzione, sul carattere e<br />

sulla funzione <strong>di</strong> una particolare figura letteraria, quella del “<strong>di</strong>verso”,<br />

contestualizzata alle origini dell’antichità, in particolare nel mondo greco<br />

che fa da sfondo ai poemi omerici, e riecheggiata, molti secoli dopo,<br />

nell’età romantica. Premettiamo che non inten<strong>di</strong>amo trattare <strong>di</strong> un “<strong>di</strong>verso”<br />

connotato in senso sessuale (giacché è notorio che nel mondo antico,<br />

prima della rivoluzione morale operata dal Cristianesimo, la bisessualità<br />

e perfino l’omosessualità non erano oggetto <strong>di</strong> riprovazione sociale,<br />

al contrario venivano tollerate se non ammesse, al punto che si è potuto<br />

Nota: il presente lavoro vuole essere una prima messa a fuoco della problematica sulla figura del<br />

“<strong>di</strong>verso” nel mondo antico, relativamente alla figura <strong>di</strong> Tersite. Non pretende pertanto <strong>di</strong> essere<br />

esaustivo né nelle considerazioni né nelle conclusioni né nella bibliografia citata e prelude a<br />

un successivo e più approfon<strong>di</strong>to svolgimento dell’argomento qui trattato.<br />

1 Per l’ambito <strong>di</strong>dattico, l’accostamento <strong>di</strong> personaggi delle letterature antiche e moderne<br />

in una ideale continuità <strong>di</strong> caratteri ha prodotto la suggestiva raccolta <strong>di</strong> testi <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>a Caffi -<br />

Elena Corbellini - Marzio Porro, Figure. I miti dell’immaginario collettivo occidentale, Thema<br />

E<strong>di</strong>tore, Bologna 1992.<br />

–9–


parlare <strong>di</strong> “cultura bisessuale” dei due popoli), 2 quanto in senso fisico e<br />

morale. La figura del “<strong>di</strong>verso”, ossia <strong>di</strong> colui che appare <strong>di</strong>fforme per<br />

l’aspetto fisico e/o per i valori etici che incarna, dalla comunità alla quale<br />

appartiene, è un το´πος della tra<strong>di</strong>zione letteraria occidentale. Il <strong>di</strong>verso,<br />

proprio in quanto “<strong>di</strong>verso” fisicamente e poi eticamente, si pone <strong>di</strong>aletticamente<br />

al <strong>di</strong> fuori della comunità <strong>di</strong> appartenenza, verso la quale appare<br />

come un sovversivo outsider, un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo, perturbante (non<br />

solo in senso sociale, ma anche psicologico, nel senso che la sua apparizione<br />

genera sorpresa nei presenti e soprattutto nel lettore), assumendo<br />

un ruolo <strong>di</strong> protesta verso idee, giu<strong>di</strong>zi e valori che non con<strong>di</strong>vide e che<br />

gli appaiono sommamente ingiusti. È un contestatore ante litteram del<br />

sistema vigente nel tempo in cui vive, ossia <strong>di</strong> quanto vi sia <strong>di</strong> ingiusto,<br />

cattivo e sbagliato nella mentalità dei suoi compagni e concitta<strong>di</strong>ni, camuffato<br />

magari con i nobili ideali della virtù, della gloria, del coraggio.<br />

Può essere definito un “pensatore d’urto”, perché porta con le sue parole<br />

idee <strong>di</strong>verse e costringe gli altri, quelli che si sono conformati a una mentalità<br />

e a un sistema <strong>di</strong> valori comunemente accettati, a confrontarsi con<br />

lui. Ma questo confronto si traduce assai spesso in scontro, soprattutto<br />

quando il “<strong>di</strong>verso” osa attaccare alle ra<strong>di</strong>ci i rapporti <strong>di</strong> potere che la società<br />

ha generato e mettere in <strong>di</strong>scussione l’operato, se non la legittimità<br />

stessa, <strong>di</strong> chi detiene il potere sovrano. E lo scontro è sempre devastante,<br />

perché il “<strong>di</strong>verso” e il potere che guida la società appaiono come due<br />

termini in opposizione irriducibile: esso può raramente risolversi in una<br />

vittoria del “<strong>di</strong>verso” sul potere, ma più spesso termina con la sconfitta,<br />

con il danneggiamento, con l’annientamento (la morte fisica o anche simbolica,<br />

ad esempio attraverso il ri<strong>di</strong>colo) <strong>di</strong> chi, coraggiosamente non<br />

rinunciando alla propria “<strong>di</strong>versità” morale, <strong>di</strong> cui quella fisica è riflesso,<br />

ha osato sfidare il potere e/o la morale dominante.<br />

2. Per la prima volta la figura del “<strong>di</strong>verso”, del brutto nella letteratura<br />

occidentale appare in Omero, nell’Iliade, ed è incarnata da Tersite. Rispetto<br />

agli eroi omerici, Tersite è soltanto un’ombra effimera, racchiusa<br />

nello spazio <strong>di</strong> 67 versi su un totale <strong>di</strong> 15.693 esametri. Ma questa oscura<br />

2 Riman<strong>di</strong>amo per tutta la problematica dell’omosessualità nel mondo greco-romano<br />

(costume ammesso per gli uomini, in quanto legato a una funzione pedagogica, ma riprovato<br />

nelle donne) all’ampio saggio <strong>di</strong> Eva Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo<br />

antico, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1988, rist.<br />

–10–


parvenza lascia, a nostro avviso, un’impronta indelebile nella mente del<br />

lettore.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo rapidamente l’episo<strong>di</strong>o in cui appare questo personaggio,<br />

compreso nel libro II dell’Iliade (vv. 211-277). Zeus invia ad Agamennone,<br />

mentre dorme nella sua tenda, un sogno ingannatore, che gli appare nella<br />

forma <strong>di</strong> Nestore e lo esorta ad armare gli Achei per il giorno successivo,<br />

perché Troia è destinata finalmente a cadere. Agamennone, destatosi, annuncia<br />

il sogno agli anziani, ma prima <strong>di</strong> far armare l’esercito <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong><br />

voler mettere alla prova l’animo dei soldati, saggiandone l’effettiva volontà<br />

<strong>di</strong> combattere. Annuncia egli stesso agli Achei <strong>di</strong> voler tornare in patria,<br />

perché mai più potranno conquistare Τροι´ην ευ! ρυα´ γυιαν, Troia dalle<br />

ampie strade. A questo annuncio si scatena un tumulto e tutti i Greci corrono<br />

in massa alle navi, con l’animo bramoso <strong>di</strong> gustare la gioia del ritorno.<br />

Ma Era, irriducibile nemica dei Troiani, esorta Atena a <strong>di</strong>ssuadere gli Achei<br />

dal partire e Atena incarica <strong>di</strong> ciò Ulisse. Fattosi dare lo scettro, simbolo del<br />

comando, da Agamennone, Ulisse nel ricomporre le fila dell’esercito greco<br />

mostra un duplice atteggiamento, conseguente all’ambiguità del personaggio.<br />

Verso i nobili Achei adopera parole suadenti, per convincerli a ritornare<br />

all’accampamento. Al soldato del popolo, invece, non risparmia rimproveri,<br />

bastonate e insulti, chiamandolo α! πτóλεμος e α# ναλκις, imbelle e<br />

incapace (Il. 2,198-202). Entrambi i mezzi adoperati, e <strong>di</strong>stribuiti secondo<br />

una stretta logica <strong>di</strong> classe (parole suadenti ai nobili, botte e biasimi ingiuriosi<br />

ai plebei), riescono persuasivi e gli Achei sciamando ritornano dalle<br />

navi all’accampamento. Ma uno solo, irriducibile, persiste nella convinzione<br />

<strong>di</strong> voler tornare in patria, ignorando le parole <strong>di</strong> Ulisse. È Tersite, il<br />

più brutto e il più vile degli Achei, il quale nel mezzo dell’assemblea strepita<br />

contro Agamennone, che ha condotto in guerra gli Achei per sete <strong>di</strong> ricchezze<br />

e ha offeso Achille, che è <strong>di</strong> molto migliore <strong>di</strong> lui (Il. 2,224-242).<br />

Ulisse lo guarda storto e lo rimprovera aspramente, intimandogli <strong>di</strong> non offendere<br />

più il suo comandante; poi fa seguire all’intimazione una scarica <strong>di</strong><br />

bastonate sulla schiena del povero soldato, che si ritira dolorante e piangente,<br />

tra la sfrenata ilarità degli Achei, i quali plaudono alla prepotenza <strong>di</strong><br />

Ulisse (Il. 2,243-277).<br />

Tersite rappresenta un vero e proprio “strappo” rispetto ai personaggi<br />

eroici <strong>di</strong> cui Omero canta le gesta belliche, la cui virtù eroica ha il riflesso<br />

nella bellezza e nella forza fisica, secondo l’ideale della καλοκαγαθι´α.<br />

Quella <strong>di</strong> Tersite è una καλοκαγαθι´α rovesciata. Egli è davvero brutto,<br />

ad<strong>di</strong>rittura repellente d’aspetto. Le sue caratteristiche psicofisiche sono l’e-<br />

–11–


satto contrario del para<strong>di</strong>gma omerico: egli “è l’unica caricatura veramente<br />

maligna che si trovi in tutto Omero”, come afferma lo Jaeger. 3<br />

Citiamo il passo che contiene la sua descrizione fisica (Il. 2,211-219):<br />

#Aλλοι με´ν ρ@ * ε#ζοντο, ε*ρη´τυθεν δε` καθ* ε$δρας .<br />

Θερσι´της δ* ε´τι μου∼ νος α! μετροεπη`ς ε*κολω´/α,<br />

ο$ς ε#πεα φρεσι` η/<br />

∼ @ σιν α# κοσμα´ τε πολλα´ τε η/ # δη,<br />

μα´ ψ, α! τα`ρ ου! κατα` κóσμον, ε*ριζε´μεναι βασιλευ∼ σιν,<br />

α! λλ* ο$ τι οι@ ει#σαιτο γελοι´ι .. ον *Αργει´οισιν<br />

ε#μμεναι . αι#σχιστος δε` α! νη`ρ, υ@ πò #Ιλιον η ∼ jλθε .<br />

φολκòς ε#ην, χωλòς δ* ε#τερον πóδα . τω` δε´ οι& ω# μω<br />

κυρτω´, ε*πι` στη∼ θος συνοχωκóτε . αυ! τα`ρ υ$περθε<br />

φοξòς ε#ην κεφαλη´ν, ψεδνη` δ’ε*πενη´νοθε λα´ χνη.<br />

“Tutti gli altri sedettero, si mantennero ai loro posti,<br />

ma Tersite, lui solo, strepitava ancora, il parlatore petulante,<br />

che molti sciagurati <strong>di</strong>scorsi nutriva nella sua mente,<br />

per <strong>di</strong>sputare coi re a vuoto, fuor <strong>di</strong> proposito,<br />

pur che qualcosa stimasse argomento <strong>di</strong> riso<br />

per gli Argivi; il più spregevole, fra tutti i venuti all’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Troia.<br />

Aveva le gambe storte, zoppo da un piede, le spalle<br />

ricurve, cadenti sul petto; sopra le spalle,<br />

aveva la testa a pera, e ci crescevano ra<strong>di</strong> i capelli”. 4<br />

I particolari fisici concordano tutti nel rappresentare un essere teratomorfo,<br />

un vero e proprio mostro clinico. Secondo la descrizione <strong>di</strong> Omero<br />

Tersite ha le gambe storte (φολκóς), è zoppo da un piede (χωλóς δ* ε%τερον<br />

πóδα), ha le spalle ricurve, cadenti sul petto (τω` δε´ οι& ω#μω / κυρτω´, ε*πι`<br />

στη ∼ θος συνοχωκóτε), la testa a pera (φοξòς ε#ην κεφαλη´ν), sulla quale<br />

crescevano ra<strong>di</strong> capelli (ψεdνη` δ’ε*πενη´νοθε λα´ χνε). Tersite è dunque<br />

gobbo, con le gambe storte, ha il capo deforme, allungato, e quasi calvo, con<br />

ra<strong>di</strong> capelli. Inoltre non è per nulla un buon parlatore. Tale bruttezza fisica<br />

(un unicum nel poema omerico, giacché Efesto e Dolone, gli altri due<br />

“brutti” dell’opera, non raggiungono tale livello <strong>di</strong> repellenza e mantengono<br />

comunque una certa nobile <strong>di</strong>gnità nella loro persona) è l’involucro esterno<br />

<strong>di</strong> un animo spregevole, del più spregevole (αι#σχιστος), come precisa<br />

Omero, <strong>di</strong> quanti vennero all’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Troia: «il parlatore petulante, / che<br />

molti sciagurati <strong>di</strong>scorsi nutriva nella sua mente, / per <strong>di</strong>sputare coi re a<br />

3 Werner Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco (Paideia. Die Formung des<br />

griechischen Menschen, 1944), trad. <strong>di</strong> Luigi Emery, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1984, rist.,<br />

p. 57. 4 Trad. <strong>di</strong> Giovanni Cerri, Fabbri E<strong>di</strong>tori, su lic. Rizzoli, Milano 2000, p. 185.<br />

–12–


vuoto, fuor <strong>di</strong> proposito, / pur che qualcosa stimasse argomento <strong>di</strong> riso / per<br />

gli Argivi» (trad. <strong>di</strong> Giovanni Cerri, Fabbri e<strong>di</strong>tori, Milano 2000, p. 185). E<br />

Tersite, per la sua sfrontatezza, era assai o<strong>di</strong>ato da Achille e Ulisse.<br />

V’è da tener presente che il nome Tersite, in greco Θερσι´της, deriva da<br />

θε´ρσις, forma eolica <strong>di</strong> θα´ ρσος, “coraggio” o “impudenza”. L’autore del<br />

canto II dell’Iliade, nota il Murray, intendeva evidentemente che il nome<br />

richiamasse questo secondo significato. 5 Dunque Tersite contestava abitualmente<br />

e apertamente, impudentemente, l’autorità dei capi, i due Atri<strong>di</strong> Agamennone<br />

e Menelao, e poi anche Achille, mettendone in ri<strong>di</strong>colo le persone.<br />

Una sfrontatezza che stranamente, fino alla violenta reazione <strong>di</strong> Ulisse, era<br />

rimasta impunita.<br />

I tratti <strong>di</strong> Tersite rappresentati da Omero <strong>di</strong>vengono para<strong>di</strong>gma del<br />

brutto, del <strong>di</strong>fforme, sia a livello fisico sia a livello morale e spirituale. Il<br />

termine αι#σχιστος definisce Tersite, ed è stato notato dal Pasquali che<br />

Il. 2,216 è il solo punto in cui Omero usi αι* σχρóς col senso <strong>di</strong> “brutto”. 6<br />

Il cranio va messo in relazione con un aspetto del carattere <strong>di</strong> Tersite. Tersite<br />

ha la testa allungata ed è petulante, sfrontato. Aspetto fisico e carattere<br />

morale erano posti in relazione dagli antichi, che crearono un’apposita<br />

<strong>di</strong>sciplina, affiancata alla filosofia e alla me<strong>di</strong>cina e precorritrice della moderna<br />

psicologia, la fisiognomica: se ne occuparono filosofi come Pitagora,<br />

Aristotele, Giamblico, me<strong>di</strong>ci come Ippocrate e Galeno e scienziati come<br />

Plinio il Vecchio. 7 Un trattato anonimo, attribuito dagli antichi ad Aristotele<br />

ma certamente proveniente dall’ambiente del Peripato, la Fisiognomica<br />

(il primo trattato pervenutoci dall’antichità su questa materia, che consiste<br />

nel catalogare le caratteristiche fisiche degli in<strong>di</strong>vidui ricavandone i tratti<br />

5 Gilbert Murray, Le origini dell’Epica greca (The Rise of the Greek Epic, 1960), trad. <strong>di</strong><br />

Giulio De Angelis, Sansoni, Firenze 1964, p. 270.<br />

6 Giorgio Pasquali, Omero, il brutto e il ritratto, in Pagine stravaganti, vol. II, Sansoni,<br />

Firenze 1968, p. 114 (lo scritto risale al 1940). Il Pasquali inferisce da questa e da altre considerazioni<br />

(come la dettagliata descrizione <strong>di</strong> Omero delle deformità <strong>di</strong> Tersite) che la categoria del<br />

brutto per i Greci sarebbe stata solo in<strong>di</strong>viduale, mentre la bellezza sarebbe stata il modello<br />

tipico. Però il Brelich osserva che anche agli eroi greci più belli sono attribuiti, a superamento<br />

della tra<strong>di</strong>zionale simmetria aspetto fisico / carattere morale, aspetti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fformità dal normale<br />

o ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> mostruosità, come il gigantismo (per Achille), la bassa statura (per Aiace Oileo<br />

e Tideo, e sorprendentemente attribuita in Pindaro, Isthm. 4,53, a Eracle), il teriomorfismo,<br />

l’androginismo: vd. Angelo Brelich, Gli eroi greci, un problema storico-religioso, E<strong>di</strong>zioni dell’Ateneo<br />

& Bizzarri, Roma 1978, rist., pp. 232-242.<br />

7 Sullo sviluppo della fisiognomica antica dal continuo confronto con il mondo animale e<br />

sulla sua pretesa <strong>di</strong> aspirare a un sapere antropologico totale, vd. Maria Michela Mosci Sassi,<br />

La scienza dell’uomo nella Grecia antica, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 46-80.<br />

–13–


morali), nel paragrafo sulla <strong>di</strong>stinzione delle varie forme <strong>di</strong> testa, attribuisce<br />

a chi ha la testa a punta un carattere sfrontato (Ps. ARISTOT., Phgn. 812a<br />

8-9, οιJ τα`ς κεφαλα`ς φοξοι` α! ναιδει ∼ ς). La traduzione latina dell’opera,<br />

il De physiognomonia liber (IV sec. d.Cr.), presenta al § 16 una casistica<br />

molto più ampia <strong>di</strong> teste deformi, tutte associate a caratteristiche morali<br />

fortemente negative. Scegliamo tra queste quelle che offrono le analogie<br />

più stringenti con la testa <strong>di</strong> Tersite. Così, la testa allungata è segno <strong>di</strong> poca<br />

accortezza (Caput prolixum imprudentiae signum est), quella enorme in<strong>di</strong>ca<br />

un animo stolto, stupido e decisamente rozzo (Caput immensum stultum et<br />

stolidum et indocilem vehementer osten<strong>di</strong>t), la testa inclinata da una parte è<br />

segno <strong>di</strong> sfrontatezza (Caput obliquum impudentiam designat), quella prominente<br />

nella parte anteriore connota l’insolente (Caput e priori parte eminens<br />

insolentem denotat). 8 Tutte caratteristiche psicologiche che convengono<br />

a Tersite, la cui testa sarebbe un po’ una summa delle varie deformità<br />

craniche sopra elencate, come si deduce dal suo comportamento certamente<br />

audace, sfrontato (critica fino all’insulto Agamennone e Menelao) e poco<br />

accorto (incappa nella punizione <strong>di</strong> Ulisse) allo stesso tempo. Tale principio<br />

si perpetua nei trattati <strong>di</strong> fisiognomica in età me<strong>di</strong>evale e moderna. Senza<br />

riandare al celebre trattato Della fisiognomica dell’uomo <strong>di</strong> Giovan Battista<br />

della Porta (Napoli, 1610), ricor<strong>di</strong>amo, per l’epoca moderna, il Manuale <strong>di</strong><br />

fisiognomica <strong>di</strong> Angelo Repossi (1878), nel quale si legge che “i cranii<br />

rozzi” sono caratterizzati da “un allungamento trasversale della testa dal<br />

mento alla parte posteriore del capo, come ne’ scimmioni con depressione<br />

<strong>di</strong> tutto il resto. Onde la regione del mento e tutta la parte inferiore del volto<br />

è molto rimarcata, dura e saliente, mentre le regioni superiori della fronte<br />

sono depresse e mal marcate, anzi la fronte quasi vi scompare, per dar luogo<br />

al rigonfiamento della parte posteriore del capo e della nuca. E ciò equivale,<br />

anche pei frenologi, a mancanza <strong>di</strong> cervello nelle se<strong>di</strong> dell’intelligenza, e ad<br />

esuberanza nelle se<strong>di</strong> degli istinti bruti”. 9 Che Tersite non sia ricco d’intelli-<br />

8 Il testo e la traduzione seguita sono quelli in Pseudo Aristotele, Fisiognomica – Anonimo<br />

Latino, Il trattato <strong>di</strong> fisiognomica, intr., trad. e note <strong>di</strong> Giampiera Raina, Rizzoli, Milano 2001³,<br />

p. 146.<br />

9 Angelo Repossi, Manuale <strong>di</strong> fisiognomica, Libritalia, Cerbara-Città <strong>di</strong> Castello 1997,<br />

p. 118 (il testo risale al 1878). Un innovatore della fisiognomica è Rudof Kassner, che nei suoi<br />

scritti volle superare il parallelismo interno-esterno che legava la fisiognomica a rigi<strong>di</strong> e tra<strong>di</strong>zionali<br />

schemi deterministici, esaltando le <strong>di</strong>namiche sfumature dell’espressione (vd. in particolare<br />

Rudolf Kassner, I fondamenti della fisiognomica, trad. <strong>di</strong> Giovanni Gurisatti, Neri Pozza<br />

E<strong>di</strong>tore, Vicenza 1997).<br />

–14–


genza è in<strong>di</strong>cato da Omero nell’essere egli un cattivo oratore: Tersite parla<br />

in modo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato e avventato, i suoi <strong>di</strong>scorsi α# κοσμα non incantano gli<br />

ascoltatori, anche se Ulisse, pur appellandolo «consigliere scriteriato»<br />

(α! κριτóμυθε, in Il. 2,246), per mera cortesia (e probabilmente per la necessità,<br />

da parte <strong>di</strong> Omero, <strong>di</strong> utilizzare un consueto nesso formulare), ammette<br />

che sia un «oratore eloquente» (λιγυ´ς α! γορη´της, ibid.).<br />

Il cattivo carattere <strong>di</strong> Tersite, il cui esteriore segno è la sua bruttezza<br />

fisica, è confermato anche dalle notizie successive sulla sua vita, riportate<br />

dai poeti epici come Arctino e Quinto Smirneo e dai mitografi come Apollodoro.<br />

La sua cattiveria è confermata dalle altre leggende collegate alla sua<br />

figura. Durante la caccia al cinghiale Calidonio, ov’era assieme a Meleagro,<br />

sarebbe fuggito per viltà: l’eroe si sarebbe talmente a<strong>di</strong>rato che lo avrebbe<br />

buttato giù da un’altura. La leggenda sulla sua fine era riportata nella perduta<br />

Etiopide <strong>di</strong> Arctino <strong>di</strong> Mileto (come si legge nella Crestomazia <strong>di</strong><br />

Proclo epitomata da Fozio) 10 e quin<strong>di</strong> nei Posthomerica <strong>di</strong> Quinto Smirneo<br />

(1,741 ss.). 11 Figlio <strong>di</strong> Agrio (che era fratello <strong>di</strong> Eneo), 12 scampato alla<br />

strage dei suoi fratelli ad opera <strong>di</strong> Diomede, 13 Tersite fu ucciso da Achille,<br />

perché aveva deriso il suo amore per la regina delle Amazzoni Pentesilea.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo la mitica vicenda: Achille ferendo mortalmente Pentesilea, alleata<br />

dei Troiani, stregato dalla straor<strong>di</strong>naria bellezza della guerriera, se ne<br />

innamorò, rimpiangendo <strong>di</strong> non averla risparmiata. Agli Achei che avrebbero<br />

voluto fare scempio della morente, gettandola nel fiume Scamandro o<br />

abbandonandone il corpo alle fiere e agli uccelli, Achille si oppose volendo<br />

tributarle giuste esequie, per amore <strong>di</strong> lei. Un amore necrofilo, però: l’eroe<br />

greco, secondo la versione <strong>di</strong> Arctino, dopo aver ucciso a duello Pentesilea,<br />

si sarebbe innamorato <strong>di</strong> lei morta. Tersite allora, con la sua solita malignità,<br />

avrebbe deriso Achille <strong>di</strong> fronte ai Greci e poi, in segno <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo,<br />

avrebbe oltraggiato il cadavere, cavandogli un occhio con la lancia. Allora<br />

Achille, pieno d’ira, avrebbe ucciso Tersite con un violento pugno (secondo<br />

10 In Homeri opera recognovit brevique adnotatione critica instruxit Thomas W. Allen,<br />

tomus V, Oxonii 1961, repr. (I ed. 1912), p. 105.<br />

11 Vd. anche l’Epitome <strong>di</strong> Apollodoro (5). Sul mito <strong>di</strong> Tersite: Robert Graves, I miti greci<br />

(Greek Myths, 1955), trad. <strong>di</strong> Elisa Morpurgo, CDE, su lic. Longanesi & C., Milano 1991,<br />

p. 627.<br />

12 Eneo, padre <strong>di</strong> Tideo, fu il nonno <strong>di</strong> Diomede. Dunque Tersite sarebbe stato cugino dell’eroe<br />

greco.<br />

13 Diomede uccise tutti i figli <strong>di</strong> Agrio, tranne Onchesto e Tersite, che avevano tolto il<br />

regno a Eneo, suo nonno, per darlo al proprio padre (vd. Apollodoro, Biblioteca 8).<br />

–15–


la versione <strong>di</strong> Quinto Smirneo) 14 o un colpo <strong>di</strong> lancia (secondo quella, più<br />

rara, attestata dal solo Licofrone nel suo poema Alessandra). 15 Per vendetta<br />

Diomede, cugino <strong>di</strong> Tersite, afferrò per i pie<strong>di</strong> il corpo <strong>di</strong> Pentesilea e lo<br />

gettò nelle acque dello Scamandro. Al riguardo il bassorilievo noto come<br />

Tabula Iliaca, databile al I sec. a.Cr. e conservato al Museo Capitolino,<br />

sembrerebbe confermare, dato che vi si vede Achille col braccio destro armato<br />

<strong>di</strong> lancia e alzato in atto <strong>di</strong> colpire Tersite, la versione più recente <strong>di</strong><br />

Licofrone. 16 L’uccisione del malvagio Tersite, che così ferocemente aveva<br />

oltraggiato il corpo della bella Amazzone, provocò inaspettatamente lo<br />

sdegno degli Achei e Achille dovette compiere per essa, a Lesbo, un sacrificio<br />

purificatorio ad Apollo, Artemide e Latona, come ci informa sempre<br />

Arctino. 17 Ciò che è importante notare – a parte lo sventurato destino <strong>di</strong><br />

Pentesilea che neppure da morta ebbe pace – è che, secondo questa versione<br />

del mito, la nascita da Agrio avrebbe provvisto Tersite <strong>di</strong> un certo rango,<br />

dato che Achille dovette sottostare, per il suo omici<strong>di</strong>o, a una purificazione.<br />

Torniamo all’aspetto <strong>di</strong> Tersite. La testa allungata, “a pera” (una forma<br />

patologica <strong>di</strong> dolicocefalia o <strong>di</strong> acrocefalia), 18 era per gli antichi un partico-<br />

14 Quint. Smyrn., Posthomer. 1,741-747, ove sono descritti i devastanti effetti del pugno <strong>di</strong><br />

Achille: per il colpo alla mascella Tersite perde tutti i denti, cade a terra riverso esalando l’ultimo<br />

respiro, mentre il sangue gli esce dalla bocca a fiotti.<br />

15 Lycophr., Alex. 999-1001. Qui Tersite è chiamato, in riferimento alla sua origine, “Etolo<br />

simile a una scimmia, essere rovinoso” (πιθηκομóρφω/... Α!ιτωλω/ ∼ φθóρω/).<br />

16 Sulle versioni della morte <strong>di</strong> Tersite e sul problema della successione degli eventi morte<br />

<strong>di</strong> Tersite – esequie <strong>di</strong> Pentesilea, riman<strong>di</strong>amo allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Giuseppe Morelli, La morte <strong>di</strong><br />

Tersite nella ‘Tabula Iliaca’ del Campidoglio, in “Tra<strong>di</strong>zione e innovazione nella cultura greca<br />

da Omero all’età ellenistica. Scritti in onore <strong>di</strong> Bruno Gentili”, a cura <strong>di</strong> Roberto Pretagostini,<br />

vol.I, GEI, Roma 1993, pp. 143-153: secondo l’autore un grande cratere apulo rinvenuto nel<br />

1899 a Ceglie del Campo e conservato al Museum of Fine Arts <strong>di</strong> Boston aggiungerebbe altri<br />

inquietanti particolari alla vicenda – Achille avrebbe ucciso Tersite mentre era <strong>di</strong>sarmato e stava<br />

compiendo un rito religioso – confermando il contenuto della Tabula Iliaca capitolina. Sulla<br />

morte <strong>di</strong> Pentesilea vd. anche Vanna de Angelis, Amazzoni, E<strong>di</strong>zioni Piemme, Casale Monferrato<br />

1998, pp. 159-174 (ove l’autrice, forse per una erronea lettura delle fonti, afferma che<br />

Achille avrebbe posseduto l’Amazzone dopo morta). Su Pentesilea e Camilla, l’“Amazzone”<br />

dei Volsci: Antonia Fraser, Regine guerriere (Boa<strong>di</strong>cea’s Chariot. The Warrior Queens, 1988),<br />

trad. <strong>di</strong> Paola Mazzarelli, Rizzoli, Milano 1990, pp. 29-30. Sulle Amazzoni: Tim Newark,<br />

Donne guerriere (Women Warlords, 1989), trad. a cura <strong>di</strong> Alterego snc, Fratelli Melita E<strong>di</strong>tori,<br />

La Spezia 1991, pp. 9-30.<br />

17 In Homeri opera, cit., p. 105.<br />

18 L’aspetto <strong>di</strong> Tersite non doveva essere troppo <strong>di</strong>ssimile dal personaggio deforme e<br />

gobbo, affetto probabilmente dal morbo <strong>di</strong> Pott (o spon<strong>di</strong>lite tubercolare), raffigurato in<br />

un bronzetto ellenistico conservato allo Staatliches Museum <strong>di</strong> Berlino (vd. Clotilde D’Amato,<br />

La me<strong>di</strong>cina (Vita e costumi dei Romani antichi, n. 15), E<strong>di</strong>zioni Quasar, Roma 1993, p. 67).<br />

–16–


lare segno <strong>di</strong> deformità fisica, a cui si associava un carattere negativo. Ma<br />

vi erano le eccezioni. Per quanto riguarda la testa “a pera”, un celebre<br />

esempio era rappresentato da Pericle, il cui capo, allungato e sproporzionato<br />

(προμη´κη δε` τη/ ∼ κεφαλη/ ∼ και` α! συ´μμετρον), era celato con un elmo in<br />

quasi tutte le statue poiché gli scultori non volevano offenderlo, come<br />

informa Plutarco (PLUT., Per. 3,1,3-4). E la sua testa allungata era <strong>di</strong>venuta<br />

un tratto fisico così <strong>di</strong>stintivo che sempre Plutarco (Per. 3,1,4), ci informa<br />

che i poeti attici chiamavano Pericle “schinocefalo” (σχινοκε´φαλον), ossia<br />

“testa <strong>di</strong> cipolla marittima (σχι ∼νον)”. 19 Un altrettanto celebre esempio moderno<br />

è l’imperatore Fer<strong>di</strong>nando I d’Austria, la cui testa offrì tanta materia<br />

ai <strong>di</strong>segnatori satirici: se ne veda il ritratto <strong>di</strong> Francesco Hayez (1840), che<br />

impressiona per la rappresentazione della prominenza craniale e degli occhi<br />

vitrei e acquosi del monarca austriaco. 20 E un moderno ritratto <strong>di</strong> Tersite<br />

potrebbe riscontrarsi nella repellente rappresentazione del tra<strong>di</strong>tore Efialte,<br />

essere deforme e gobbo, dal cranio bitorzoluto e calvo, quale appare – il più<br />

brutto dei Greci, proprio perché tra<strong>di</strong>tore dei compagni: una chiara rispondenza<br />

tra aspetto fisico e malvagità del personaggio – nel film “300” <strong>di</strong><br />

Zack Snyder (<strong>2007</strong>), che esalta l’epopea dei trecento Spartani <strong>di</strong> Leonida<br />

alle Termopili.<br />

L’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Tersite, nel canto II dell’Iliade, mette in rilievo, sia pur<br />

in una breve sequenza e per l’unica volta, un personaggio straor<strong>di</strong>nario,<br />

atipico, nella galleria <strong>di</strong> figure eccezionali, eroi e <strong>di</strong>vinità, che popolano il<br />

poema omerico. Tersite, deforme e zoppo, rappresenta un estraneo tra i<br />

gran<strong>di</strong> e nobili Achei, anzitutto per l’aspetto fisico. 21 Ma il suo <strong>di</strong>scorso<br />

contro Agamennone contiene accenti <strong>di</strong> verità, soprattutto allorché svela la<br />

reale motivazione <strong>di</strong> quella lunga guerra, ossia la brama <strong>di</strong> bottino, ricchezze<br />

e giovani schiave, <strong>di</strong> Agamennone. Come ben osserva il Di Benedetto,<br />

nel suo <strong>di</strong>scorso Tersite riutilizza contro Agamennone i motivi della<br />

violenta polemica <strong>di</strong> Achille, del quale prende le <strong>di</strong>fese, fino a presentarsi<br />

19 Nel passo citato della Vita <strong>di</strong> Pericle Plutarco riporta tutti i versi dei comme<strong>di</strong>ografi, come<br />

Cratino, Teleclide ed Eupoli, che <strong>di</strong>leggiavano questa caratteristica fisica dello statista ateniese.<br />

20 Il quale era ritenuto notoriamente <strong>di</strong> scarse capacità intellettuali dai ministri e dalla corte:<br />

debole e malato, dopo la rivoluzione viennese del 1848, ab<strong>di</strong>cò in favore <strong>di</strong> suo nipote Francesco<br />

Giuseppe (vd. Le gran<strong>di</strong> famiglie d’Europa, Gli Asburgo (II), Mondadori, Milano 1972, pp.75-76).<br />

21 I quali nel loro aspetto fisico incarnavano l’ideale della bellezza e della virilità, conseguenza<br />

dell’origine <strong>di</strong>vina, a partire da Achille (vd. in proposito Harvey C. Mansfield, Virilità.<br />

Il ritorno <strong>di</strong> una virtù perduta (Manliness, 2006), trad. <strong>di</strong> Stefania Coluccia, Laura Cecilia Dapelli,<br />

Giovanni Giri, Rizzoli, Milano 2006, pp. 85-87).<br />

–17–


agli Achei come “più achilleico <strong>di</strong> Achille stesso”. 22 Non esclu<strong>di</strong>amo però<br />

che alla base dell’invettiva <strong>di</strong> Tersite contro Agamennone vi sia un motivo<br />

psicologico, sulla scorta delle osservazioni del Faure, che ha tracciato un<br />

profilo psicologico e psicanalitico degli Achei. 23 Tersite forse è stato deluso<br />

da Agamennone in due sensi: egli cercava in lui non solo il capo nobile e<br />

<strong>di</strong>sinteressato (e ha trovato soltanto un uomo avido <strong>di</strong> bottino e <strong>di</strong> schiave, e<br />

per giunta vigliacco), ma vi cercava anche il padre. Ciò per una ragione psicologica<br />

comune agli eroi Achei, che ha peraltro ben evidenziato il Faure:<br />

sono tutti uomini cresciuti senza padre e/o senza madre, del cui affetto manifestano<br />

un desiderio vivissimo. Mostrano perciò, <strong>di</strong>etro la maschera del<br />

potere o dell’insofferenza al potere un generale senso <strong>di</strong> frustrazione: “personaggi<br />

ideali per il teatro, per la trage<strong>di</strong>a”. 24<br />

Tersite è però messo in ri<strong>di</strong>colo da Ulisse, che lo bastona, suscitando<br />

l’irrefrenabile ilarità dell’assemblea. Sulle ragioni della bastonatura non ci<br />

pare vi sia completo accordo tra gli stu<strong>di</strong>osi. Tersite viene bastonato perché<br />

ha parlato contro Agamennone, ovvero semplicemente perché ha osato<br />

prendere la parola, fruendo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>ritto che evidentemente non gli spettava,<br />

come afferma il Detienne? 25 Il fatto che Ulisse possa impunemente bastonare<br />

Tersite ci <strong>di</strong>ce che quest’ultimo doveva essere un uomo della massa del<br />

popolo, ossia della plebe (δη ∼ μος). Ma egli non era un combattente, secondo<br />

il Detienne, e non godeva dei privilegi politici riservati all’élite aristocratica<br />

(gli α# ριστοι del λαóς). 26 Del resto la bastonatura <strong>di</strong> Tersite è preannunciata<br />

dal passo <strong>di</strong> Il. 2,198-199, ove si <strong>di</strong>ce che Ulisse, se vedeva uno del popolo<br />

e lo trovava a sbraitare contro i capi, lo picchiava con lo scettro e lo rimproverava.<br />

È evidente che Il. 2,198-199 anticipi la scena successiva, sviluppata<br />

in Il. 2,211-277, con l’intervento <strong>di</strong> Tersite a fungere da intermezzo comico<br />

nella successione degli scontri tra Achei e Troiani. Un intermezzo comico<br />

accentuato dall’uso che Ulisse fa dello scettro, strumento dell’autorità e<br />

segno del potere (opera artistica e finemente descritta come ornata <strong>di</strong> foglie<br />

22 Vincenzo Di Benedetto, Nel laboratorio <strong>di</strong> Omero, Einau<strong>di</strong>, Torino 1998, p. 352 n. 3.<br />

23 Paul Faure, La vita quoti<strong>di</strong>ana in Grecia ai tempi della guerra <strong>di</strong> Troia (1250 a.C.)<br />

(La vie quoti<strong>di</strong>enne en Grèce au temps de la guerre de Troie, 1250 a.C., 1983), trad. <strong>di</strong> Paola<br />

Varani, Rizzoli, Milano 1999 2 , pp. 68-72.<br />

24 Paul Faure, La vita quoti<strong>di</strong>ana in Grecia ai tempi della guerra <strong>di</strong> Troia (1250 a.C.), cit.,<br />

p. 72. 25 Marcel Detienne, I maestri <strong>di</strong> verità nella Grecia arcaica (Les maîtres de vérité dans<br />

la Grèce archaïque, 1967), trad. <strong>di</strong> Augusto Fraschetti, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 74.<br />

26 M. Detienne, ibid.<br />

–18–


d’oro in Il. 1,245-246), ridotto per l’occasione a corpo contundente col<br />

quale punire l’isolente Tersite.<br />

La sincerità, che giunge fino all’audacia, con cui si esprime Tersite lo<br />

ha fatto considerare un campione della prima forma <strong>di</strong> democrazia che si è<br />

storicamente realizzata, ossia quella greca, dal filosofo Fernando Lavater.<br />

Tersite, uomo del popolo, contesta “dal basso” i capi aristocratici, osa prendere<br />

la parola ed esporre le sue ragioni per convincere i compagni ad abbandonare<br />

Agamennone, usa il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parola (la παρρησι´α) nella convinzione<br />

che esso competa a tutti i Greci, senza <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> classe, perché<br />

tutti gli in<strong>di</strong>vidui devono avere lo stesso voto e lo stesso peso nelle scelte<br />

politiche. 27 La voce <strong>di</strong> Tersite, che dà espressione a una morale pericolosamente<br />

<strong>di</strong>versa da quella aristocratica (che era, com’è noto, imperniata sulla<br />

virtù bellica), è la voce del popolo che per la prima volta osa parlare ai capi<br />

aristocratici da pari a pari, esprimendo un malcontento e un <strong>di</strong>sgusto per la<br />

guerra che forse non dovevano essere provati soltanto da questo brutto ma<br />

coraggioso greco. È dunque una figura che esce dagli angusti limiti <strong>di</strong><br />

“plebeo riottoso, che vuole in qualunque caso e a qualunque costo opporsi<br />

ai notabili, e si serve ai suoi fini <strong>di</strong> certo spirito <strong>di</strong> bassa lega”, come lo<br />

aveva definito il Pasquali in un suo pur pregevole saggio avente a oggetto<br />

l’idea del brutto nella ritrattistica omerica. 28<br />

Tersite incarna, dunque, la voce del popolo. È probabile (lo <strong>di</strong>ciamo da<br />

un punto <strong>di</strong> vista modernamente “laico”) che se le parole <strong>di</strong> Tersite avessero<br />

convinto la maggioranza dei soldati, i Greci avrebbero abbandonato la pianura<br />

<strong>di</strong> Troia. Ma la reazione <strong>di</strong> Ulisse, che rampogna sprezzantemente Tersite<br />

e lo bastona, provvede a reprimere questo primo, audace conato <strong>di</strong> portare<br />

le ragioni della plebe nell’assemblea della comunità greca, ristabilendo<br />

con la violenza, a cui si accompagna la derisione, la superiore autorità del<br />

ruolo politico e della morale degli aristocratici.<br />

La figura <strong>di</strong> Tersite, questo “pacifista” ante litteram, resta dunque<br />

quella <strong>di</strong> un “<strong>di</strong>verso”, che non assurge alla <strong>di</strong>gnità solenne e tragica <strong>di</strong> profeta<br />

della sua classe, ma rimane confinato nell’angusto spazio del comico,<br />

perché non ottiene il riconoscimento degli aristocratici e neppure la solidarietà<br />

dei suoi compagni “<strong>di</strong> classe”, viceversa guadagnando la bastonatura<br />

da parte <strong>di</strong> Ulisse. Possiamo ripetere, seguendo il Ferrucci, che l’episo<strong>di</strong>o<br />

27 Fernando Lavater, Politica per un figlio, trad. <strong>di</strong> Francesca Saltarelli, Laterza, Roma-<br />

Bari 1993, pp. 39-41.<br />

28 Giorgio Pasquali, Omero, il brutto e il ritratto, cit., p. 114.<br />

–19–


appare come un modello <strong>di</strong> persecuzione del <strong>di</strong>ssenso. 29 È pur vero che la<br />

possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere e criticare, anche violentemente, l’operato e le scelte<br />

dei capi lascia intuire il tramonto dell’autorità regale quale era stata concepita<br />

in età micenea, l’epoca a cui storicamente rimonterebbe la guerra <strong>di</strong><br />

Troia (verso il 1250 a.Cr.). Ma <strong>di</strong> fronte al potere sovrano rappresentato da<br />

Agamennone e alla protervia degli aristocratici, Tersite rimane solo, non<br />

tanto per la sua posizione <strong>di</strong> protesta quanto per il suo aspetto fisico, che gli<br />

dà un marchio repellente e al contempo genera il riso. 30 Gli dei non assistono<br />

Tersite nella sua prova davanti all’assembea, non gli infondono coraggio<br />

né frenano il suo impeto oratorio, come invece fa Atena, protettrice<br />

degli Achei, con altri eroi, per esempio con Achille e Ulisse. 31 E per questo<br />

eroe solitario, la cui con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> isolato lo accomuna a figure femminili<br />

della comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Aristofane, come Lisistrata e Prassagora (l’una protagonista<br />

dell’omonima comme<strong>di</strong>a l’altra delle Ecclesiazuse), possiamo ripetere<br />

altresì le parole del Paduano a commento della solitu<strong>di</strong>ne iniziale delle due<br />

eroine sopra citate, in particolare <strong>di</strong> Prassagora, l’artefice del colpo <strong>di</strong> stato<br />

“femminista” ad Atene: il ritardo delle compagne va considerato “nella luce<br />

del caratteristico isolamento in<strong>di</strong>vidualistico dell’eroe comico, il quale<br />

pensa a una mo<strong>di</strong>ficazione creativa del reale nell’interesse della collettività,<br />

ma attraversandone l’incomprensione”. 32<br />

Nella prospettiva della tra<strong>di</strong>zione letteraria occidentale, potremmo <strong>di</strong>re<br />

che Tersite inaugura quella ampia galleria <strong>di</strong> personaggi tratti dal popolo, o<br />

meglio dall’infima plebe, che sono emarginati nello spazio del comico, e<br />

rimangono soli ad affrontare le prepotenze dei tiranni o i capricci dei loro<br />

padroni (si pensi al conta<strong>di</strong>no Bertoldo e alle sue sottilissime astuzie narrate<br />

da Giulio Cesare Croce, al Sancho Panza <strong>di</strong> Cervantes, al buffone Wamba in<br />

Ivanohe <strong>di</strong> Walter Scott, al Triboulet del dramma Il re si <strong>di</strong>verte <strong>di</strong> Hugo,<br />

29 Franco Ferrucci, L’asse<strong>di</strong>o e il ritorno, Omero e gli archetipi della narrazione, Mondadori,<br />

Milano 1981, p. 27.<br />

30 Ha ritenuto, invece, il Dabdab Trabulsi che Tersite desse voce a sentimenti largamente<br />

<strong>di</strong>ffusi contro i capi della spe<strong>di</strong>zione achea (José Antonio Dabdab Trabulsi, Essai sur la mobilitation<br />

politique dans la Grèce ancienne, Annales Litteraires de l’Université de Besançon, Paris<br />

1991, pp. 25-26). È un fatto, però, che nessuno accorre in aiuto del Nostro allorché da Ulisse<br />

viene bastonato.<br />

31 Sull’epifania della dea nei poemi omerici e sul suo “potere <strong>di</strong>sarmante”, soprattutto<br />

verso Achille, vd. il saggio <strong>di</strong> Giovanna Aquaro, Alle soglie dell’Iliade: quel fascino accecante,<br />

in “Stu<strong>di</strong> Italiani <strong>di</strong> Filologia Classica”, LXVII, 3ª S., 1984, pp. 143-155.<br />

32 Guido Paduano, comm. ad Aristofane, Le donne al parlamento, Rizzoli, Milano 1989²,<br />

nota 1, p. 55.<br />

–20–


etc.), fino a che essi non assumono la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> protagonisti <strong>di</strong> romanzo,<br />

come Renzo e Lucia del Manzoni. Non annovera l’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Tersite fra le<br />

prime esperienze <strong>di</strong> libertà in Grecia Jacqueline de Romilly nel suo saggio<br />

La scoperta della libertà nella Grecia antica (La Gréce antique à la découverte<br />

de la liberté, 1989), che pure cita Omero, Il. 6,454-458 e 526-529, riferendosi<br />

ai colloqui <strong>di</strong> Ettore con Andromaca e con il fratello Paride, ove<br />

è evidente l’idea della libertà quale con<strong>di</strong>zione opposta all’esperienza della<br />

sconfitta e dell’asservimento in guerra, della quale la città è collettivamente<br />

garante. 33 Tace <strong>di</strong> Tersite anche uno storico illustre come Domenico Musti,<br />

ricostruendo l’origine della democrazia ateniese (Domenico Musti, Demokratía,<br />

origini <strong>di</strong> un’idea, Laterza, Roma-Bari 1995).<br />

È effettivamente un uomo libero Tersite? Sì, ma egli, nella comunità<br />

degli Achei che detiene il potere <strong>di</strong> approvare o meno le proposte, non può<br />

esplicare pienamente la sua libertà in<strong>di</strong>viduale: prende la parola, com’è suo<br />

<strong>di</strong>ritto, parla in modo chiaro e irridente, al limite della provocazione, contro<br />

Agamennone, ma paga il suo coraggio con la bastonatura inferta da Ulisse.<br />

L’uomo del popolo, l’uomo comune non può ancora competere, almeno <strong>di</strong>aletticamente,<br />

con i potenti aristocratici simboleggiati dagli eroi. Fosse stato<br />

anch’egli un eroe, osserva il Finey, avrebbe potuto tranquillamente esporre<br />

la sua proposta, che certo metteva a rischio l’interesse collettivo. 34<br />

Il personaggio <strong>di</strong> Tersite ha avuto una notevole fortuna nella tra<strong>di</strong>zione<br />

letteraria occidentale, in versi e in prosa, citato e riecheggiato fino ai moderni,<br />

ed è stato interpretato nei mo<strong>di</strong> più <strong>di</strong>sparati. Gli antichi, in verità,<br />

erano concor<strong>di</strong> nell’assegnare al personaggio, sulle orme <strong>di</strong> Omero, i tratti<br />

più spregevoli del carattere umano, la ribelle tracotanza, l’impudenza, la<br />

stolta logorrea, finendo per rappresentarlo nel segno del ri<strong>di</strong>colo. Senza<br />

voler ripercorrere la fortuna <strong>di</strong> Tersite nella letteratura occidentale, 35 scegliamo<br />

alcune tra le numerose testimonianze dei greci e dei latini su questo<br />

33 Jacqueline de Romilly, La scoperta della libertà nella Grecia antica, trad. <strong>di</strong> Giulia Oliosi,<br />

Essedue e<strong>di</strong>zioni, Verona 1991, pp. 25-26.<br />

34 Moses I. Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, trad. <strong>di</strong> Gianni Di Benedetto<br />

e Francesco de Martino, Laterza, Roma-Bari 1997, rist., pp. 79-80. Per il Bonanni Agamennone,<br />

giovandosi anche dell’aiuto <strong>di</strong> Ulisse, avrebbe attuato in quell’assemblea un colpo <strong>di</strong> mano in<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un’autocrazia plebiscitaria (Massimo Bonanni, Il cerchio e la piramide, l’epica<br />

omerica e le origini del politico, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 88-92).<br />

35 Riman<strong>di</strong>amo, per la fortuna del personaggio fino ai nostri giorni, allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Luigi<br />

Spina, L’oratore scriteriato. Per una storia letteraria e politica <strong>di</strong> Tersite, Loffredo E<strong>di</strong>tore,<br />

Napoli 2001, soprattutto ai capp. IV (God Save(d) Thersites), V (Tersite nel XX secolo) e VI<br />

(Tersite nella rete).<br />

–21–


personaggio, che peraltro avrebbe avuto il privilegio <strong>di</strong> un dramma a lui interamente<br />

de<strong>di</strong>cato, il Tersite dell’ateniese Cheremone (IV sec. a.Cr.). 36 Sofocle,<br />

nel Filottete, all’eroe che interroga Neottolemo sulla sorte dei suoi<br />

compagni a Troia, fa ricordare anche Tersite, uomo indegno, ma abile e<br />

scaltro nel parlare, “che non si sarebbe mai contentato <strong>di</strong> parlare una volta<br />

soltanto là dove nessuno gli consentiva <strong>di</strong> aprir bocca” 37 (Ph. 442-444: Ο*υ<br />

του ∼ τον ει ∼ jπον, α! λλα` Θερσι´της τις η ∼ jν, / ο}ς ου! κ α! νει#λετ *ει´σα´ παξ ει*πει ∼ ν<br />

ο$που / μηδει`ς ε* ω´/η . ). Platone, concludendo la Repubblica con il bellissimo<br />

mito <strong>di</strong> Er, fa rievocare, tra le anime degli eroi in attesa <strong>di</strong> scegliersi un’altra<br />

vita terrena, anche Tersite, il buffone (γελωτοποιóς), che assume la natura<br />

<strong>di</strong> una scimmia (Rep. 620c). Eschine, nell’orazione Contro Ctesifonte (231),<br />

chiama Tersite vile e sicofante (α# νανδρον... και` συκοφα´ ντην), attribuendo<br />

para<strong>di</strong>gmaticamente a Omero questi epiteti. 38 Luciano <strong>di</strong> Samosata<br />

nella Storia vera rappresenta paro<strong>di</strong>sticamente Tersite il quale, nell’Isola dei<br />

Beati, tenta una causa per <strong>di</strong>ffamazione contro Omero ma la perde anche<br />

perché il poeta ha come avvocato Ulisse (Vera hist. 2,20). Invece nei Dialoghi<br />

dei morti (30) lo scrittore siro rende giustizia a Tersite, che nell’Ade è<br />

sfidato da Nireo, il più bello degli Achei dopo Achille, in una gara <strong>di</strong> bellezza:<br />

Menippo, chiamato da Nireo a fare da giu<strong>di</strong>ce, non assegna la vittoria<br />

a nessuno dei due, perché, così risponde, “nell’Ade c’è parità assoluta, e<br />

siamo tutti uguali”. 39 Anzi, il cranio <strong>di</strong> Nireo gli appare meno virile (ου! κ<br />

α! νδρω ∼ δες) <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Tersite. 40 È evidentemente, un modo <strong>di</strong> riabilitare un<br />

personaggio tra<strong>di</strong>zionalmente giu<strong>di</strong>cato in modo negativo, secondo lo stile<br />

beffardo e spregiu<strong>di</strong>cato <strong>di</strong> Luciano, che precorre gli elogi tributati più tar<strong>di</strong><br />

a Tersite da retori e sofisti.<br />

Tra gli autori latini, ricor<strong>di</strong>amo che Ovi<strong>di</strong>o lo cita nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />

Ulisse, vantandosi <strong>di</strong> aver punito la sua tracotanza (met. 13,232-233: ausus<br />

erat reges incessere <strong>di</strong>ctis / Thersites etiam, per me haud impune protervus).<br />

36 Autore anche del dramma Achille uccisore <strong>di</strong>Tersite (*Αχιλλευ`ς Θερσιτοκτóνος), che<br />

avrebbe ispirato la decorazione della Tabula Iliaca del Museo Capitolino.<br />

37 Trad. <strong>di</strong> Maria Pia Pattoni, Fabbri e<strong>di</strong>tori, su lic. Rizzoli, Milano 1996, rist., p. 207.<br />

38 Eschine, Contro Ctesifonte 231: “E se uno dei poeti tragici, <strong>di</strong> quelli che mettono in<br />

scena le trage<strong>di</strong>e dopo queste cerimonie, facesse rappresentare nel suo dramma Tersite coronato<br />

dai Greci, nessuno <strong>di</strong> voi lo sopporterebbe, poiché Omero <strong>di</strong>ce che era un vile e un sicofante”.<br />

39 Trad. <strong>di</strong> Massimo Vilardo, Mondadori, Milano 1991, p. 231.<br />

40 Per valutare nella sua portata l’espressione <strong>di</strong> Luciano, va tenuto presente che in Omero,<br />

e dunque per gli antichi, l’aspetto <strong>di</strong> Tersite era assolutamente antitetico a quello dell’eroe virile<br />

per eccellenza, il cui archetipo è Achille: sulla virilità achillea, valore esaltato in un contesto<br />

politico, vd. le riflessioni nel saggio <strong>di</strong> Harvey C. Mansfield, Virilità, cit., pp. 85-87.<br />

–22–


Seneca accosta a Tersite l’insolente ateniese Democare, il Parrhesiastes, alla<br />

battuta offensiva del quale Filippo II benignamente non reagisce (de ira<br />

3,23,3: In<strong>di</strong>gnatio circumstantium ad tam inhumanum responsum exorta erat:<br />

quos Philippus conticiscere iussit et Thersitam illum salvum incolumemque<br />

<strong>di</strong>mettere). Giovenale lo prende a modello <strong>di</strong> ascendenza oscura e infame,<br />

nella satira che in<strong>di</strong>rizza all’amico Pontico contro il pregiu<strong>di</strong>zio della nobiltà<br />

dei natali (8,269-271: Malo pater tibi sit Thersites, dummodo tu sis / Aeacidae<br />

similis Vulcaniaque arma capessas, / quam te Thersitae similem producat<br />

Achilles). Quintiliano (inst. or. 11,1,37), criticando l’oratoria violenta, caotica<br />

e irosa, <strong>di</strong>ce che le ri<strong>di</strong>cole parole <strong>di</strong> Tersite contro Agamennone avrebbero<br />

ben altro effetto se a pronunciarle fosse Diomede, giacché si ad<strong>di</strong>cono più a<br />

un grande animo (Verba adversus Agamemnonem a Thersite habita ridentur;<br />

da illa Diome<strong>di</strong> aliive cui pari: magnum animum ferre prae se videbuntur).<br />

Aulo Gellio, condannando la futtilis inanisque loquacitas, riporta gli epiteti<br />

– “eterno parlatore” e “impudente chiacchierone” – riservati da Omero a<br />

Tersite (Noctes Atticae 1,15,11: Neque non merito Homerus unum ex omnibus<br />

Thersitam α! μετροεπη ∼ et α! κριτóμυθον appellat verbaque illius multa et<br />

α# κοσμα strepentium sine modo graculorum similia esse <strong>di</strong>cit). Ma, durante<br />

l’età imperiale, provvedono le esercitazioni retoriche, come quelle <strong>di</strong> Favorino<br />

e <strong>di</strong> Libanio, a tentare una sia pur tar<strong>di</strong>va riabilitazione <strong>di</strong> Tersite. L’elogio <strong>di</strong><br />

Tersite (*Εγκω´μιον Θερσι´του) <strong>di</strong> Libanio (314-393), l’unico che ci è pervenuto<br />

<strong>di</strong> questi testi, 41 segna un rivolgimento nel convenzionale modo <strong>di</strong> rappresentare<br />

il personaggio. In 19 paragrafi Libanio svolge una puntigliosa e<br />

abile <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Tersite, elogiandone i nobili natali e la modestia, che non gli<br />

permise <strong>di</strong> vantarsene mai, il coraggio nell’aver preso parte alla caccia <strong>di</strong> Meleagro<br />

contro il cinghiale Calidonio e, ancor più, nell’aver voluto lui, deforme<br />

– e, <strong>di</strong>remmo, inabile alle armi –, partecipare alla spe<strong>di</strong>zione troiana, mentre<br />

altri acclamati eroi, come Achille e Ulisse, si finsero l’uno donna e l’altro<br />

pazzo per scampare a quella guerra. Inoltre la sua franchezza lo portava a rinfacciare<br />

le male azioni compiute dai capi, avendo ben compreso che la vera<br />

ragione della guerra era l’avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Agamennone nel godere delle belle prigioniere<br />

e del bottino. Quin<strong>di</strong> Tersite, nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Libanio, si erge come un<br />

<strong>di</strong>fensore dei soldati semplici, che però non lo comprendono. Grazie a questo<br />

41 Dell’altro elogio <strong>di</strong> Tersite, quello <strong>di</strong> Favorino, abbiamo soltanto notizia da Aulo Gellio<br />

(Noctes Atticae 17,12), laddove parla delle infames materiae trattate da retori e sofisti. L’Elogio<br />

<strong>di</strong> Tersite <strong>di</strong> Libanio, con testo greco, traduzione e commento, è nel saggio <strong>di</strong> Luigi Spina,<br />

L’oratore scriteriato, cit., alle pp. 89-108.<br />

–23–


testo, l’interpretazione del personaggio ha goduto <strong>di</strong> una evoluzione in senso<br />

positivo. Molti degli argomenti che Libanio adduce a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Tersite sono<br />

stati adottati dagli scrittori moderni. Dietro l’esempio <strong>di</strong> Libanio, da in<strong>di</strong>viduo<br />

deforme nel corpo e nell’anima, come era rappresentato dagli antichi, Tersite<br />

<strong>di</strong>viene nei moderni l’antieroe che lancia una <strong>di</strong>sperata e inutile protesta<br />

contro la guerra e i falsi valori del mondo omerico, anzitutto il κλε´ος, che<br />

serve a camuffare nient’altro che l’avi<strong>di</strong>tà dei potenti.<br />

Se un grande poeta come Shakespeare può ancora far sostenere a Tersite<br />

un ruolo o<strong>di</strong>oso, quello del deformed and scurrilous Grecian, nel<br />

dramma Troilo e Cressida (non risparmia i suoi lazzi cinici agli eroi greci,<br />

viene malmenato da Aiace, ed esce <strong>di</strong> scena come un vile, nell’atto V scena<br />

settima, rifiutando <strong>di</strong> battersi contro il troiano Margarelone, nel quale riconosce<br />

la comune origine <strong>di</strong> bastardo), successivamente gli autori moderni<br />

hanno attribuito a Tersite una nuova, più umana sensibilità. 42<br />

Nel Novecento un’atipica prova letteraria <strong>di</strong> un grande latinista, Concetto<br />

Marchesi, Il libro <strong>di</strong> Tersite (Mondadori, Milano 1950), assegna al<br />

personaggio omerico l’inatteso ruolo della voce della coscienza del protagonista<br />

narratore. Tersite gli appare <strong>di</strong> notte, su una se<strong>di</strong>a a un angolo della<br />

camera, nell’atto <strong>di</strong> accomodare un calzare sdrucito: “i suoi capelli erano<br />

cortissimi e la faccia tanto bianca che pareva infarinata”. 43 Racconta al<br />

protagonista la vita nell’Ade, tra tanti eroi e personaggi dell’antichità, e,<br />

annunciandogli la sua riabilitazione postuma, gli <strong>di</strong>ce che lui solo può fargli<br />

da guida per il mondo. Un Tersite tristemente <strong>di</strong>sincantato, che vuole svelare<br />

al narratore l’ipocrisia, i pregiu<strong>di</strong>zi, la falsità, le pecche della società e<br />

della cultura dei borghesi, e che viene <strong>di</strong>feso dal grande latinista.<br />

Le ultime e più recenti apparizioni <strong>di</strong> Tersite sono legate, in genere, a<br />

riflessioni sull’inutilità e l’assur<strong>di</strong>tà della guerra. 44 Ricor<strong>di</strong>amo, per gli<br />

ultimi riecheggiamenti del personaggio omerico nella narrativa, il Tersite<br />

<strong>di</strong> Luciano De Crescenzo, 45 che, ancor dolorante dopo la bastonatura, si<br />

42 Per gli autori successivi a Shakespeare, riman<strong>di</strong>amo a Spini, cit., pp. 54-59.<br />

43 Concetto Marchesi, Il libro <strong>di</strong> Tersite, Mondadori, Milano 1950, p. 25.<br />

44 Fino a far considerare Tersite come un pacifista ante litteram, una sorta <strong>di</strong> marinaio<br />

Vakulinchuk della Corazzata Potemkin (in Siegmund Ginzberg, L’Iliade, la guerra senza buoni<br />

e cattivi, in «Il Foglio», 22 giugno 2004, p. 5). Tersite non viene citato, però, fra i testimoni antichi<br />

della pace (e in antitesi con la visione ilia<strong>di</strong>ca che esalta l’areté bellica) nel pur pregevole<br />

saggio <strong>di</strong> Italo Lana, L’idea della pace nell’antichità, E<strong>di</strong>zioni Cultura della Pace, S. Domenico<br />

<strong>di</strong> Fiesole 1991.<br />

45 Luciano De Crescenzo, Elena, Elena, amore mio, Mondadori, Milano 1993, pp. 66-73.<br />

–24–


affanna a svelare al greco Leonte che quelli che reputa eroi, Agamennone e<br />

Achille, sono in realtà “malfattori dai nomi famosi che invadono le terre altrui<br />

con l’unico scopo <strong>di</strong> saccheggiarle e <strong>di</strong> violentare le donne”. 46 Ma sono<br />

eroi perché sono coraggiosi, ribatte Leonte. “È forse coraggioso un guerriero<br />

che sa <strong>di</strong> essere invulnerabile quando affronta un altro guerriero che,<br />

al contrario <strong>di</strong> lui, è vulnerabilissimo?” 47 Altri Tersite da ricordare: quello <strong>di</strong><br />

Alessandro Baricco, 48 rappresentato anch’egli come un irriducibile, coraggioso<br />

nemico della guerra, quello, per venire ad autori stranieri, <strong>di</strong> Karel<br />

Èapek, 49 che tuona contro Agamennone e lo accusa ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> essere<br />

stato corrotto dall’oro dei Troiani, e quello <strong>di</strong> Colleen McCullogh, che fa<br />

una breve comparsa, assieme all’ingannatore per eccellenza, Sinone, nel<br />

suo romanzo Il canto <strong>di</strong> Troia. 50 Da calunniatore insolente e bastonato Tersite<br />

è dunque assurto al ruolo <strong>di</strong> ribelle demistificatore della falsa virtù<br />

guerresca esaltata dai bellicisti <strong>di</strong> ogni tempo.<br />

Da ultimo ricor<strong>di</strong>amo che mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ispirati al personaggio <strong>di</strong> Tersite<br />

hanno invaso il lessico politico. Il filosofo Norberto Bobbio (in un suo intervento<br />

su «La Stampa») 51 ha coniato l’espressione “tersitismo culturale”<br />

per accusare l’atteggiamento critico dei collaboratori <strong>di</strong> «Liberal» riguardo<br />

al pensiero <strong>di</strong> Gobetti, quasi fosse stato ingiustamente sbeffeggiato. 52<br />

3. L’ombra <strong>di</strong> Tersite si proietta su altri personaggi, che possono in<br />

qualche modo essere apparentati al Nostro per vari aspetti che in essi si possono<br />

cogliere e/o per i contesti nei quali gli autori li fanno agire. Tre, ricor<strong>di</strong>amolo,<br />

sono gli elementi peculiari caratterizzanti Tersite: la sua bruttezza,<br />

deforme fino alla repellenza, la sua oratoria, rozza e inelegante ma beffarda,<br />

franca e coraggiosa, la sua solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fronte a una assemblea che gode dei<br />

suoi lazzi ma gli <strong>di</strong>venta palesemente ostile (soprattutto allorché attacca i<br />

46 Luciano De Crescenzo, Elena, Elena, amore mio, p. 69.<br />

47 Luciano De Crescenzo, Elena, Elena, amore mio, p. 70.<br />

48 Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Feltrinelli, Milano 2004 4 , pp. 19-27.<br />

49 Karel Èapek, Tersite, in Il libro degli apocrifi (Kniha Apokriyfu ° , 1945), trad. <strong>di</strong> Luisa De<br />

Nar<strong>di</strong>s, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1989, pp. 16-21.<br />

50 Colleen McCullogh, Il canto <strong>di</strong> Troia (The Song of Troy, 1998), trad. <strong>di</strong> Piero Spinelli,<br />

E<strong>di</strong>zione Mondolibri su lic. Rizzoli, Milano 1999, pp. 319-320.<br />

51 Norberto Bobbio, Liberali senza rivoluzione, in «La Stampa», 16 febbraio 1996.<br />

52 Ha risposto al filosofo, tra gli altri, il <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> «Liberal», Fer<strong>di</strong>nando Adornato, con<br />

un lunga lettera (in «Liberal», n. 13, aprile 1996, pp. 20-24), riprodotta nel suo saggio La rivoluzione<br />

delle coscienze, Rizzoli, Milano 1997, pp. 60-75. Riassunto della polemica in Luigi Spina,<br />

L’oratore scriteriato, cit., pp. 12-15.<br />

–25–


detentori del potere, ossia i due Atri<strong>di</strong>). Se è lecito confrontare i personaggi<br />

della letteratura antica con quelli immaginati dalla fantasia dei moderni, e<br />

magari, seguendo ipotesi suggestive, apparentarli dopo aver colto negli uni<br />

e negli altri analogie negli aspetti fisici, psicologici e comportamentali, 53<br />

allora vorremmo accostare Tersite a un personaggio letterario che ci sembra<br />

davvero un suo epigono, e che è, a nostro avviso, uno dei più enigmatici e<br />

inquietanti della narrativa moderna: il Gwynplaine <strong>di</strong> L’uomo che ride <strong>di</strong><br />

Victor Hugo. Tale confronto, che, a nostra conoscenza, non ci sembra essere<br />

stato ancora stabilito dalla critica, 54 può essere convalidato, oltre la suggestione<br />

<strong>di</strong> un imme<strong>di</strong>ato e superficiale accostamento, dagli elementi sopra<br />

riscontrati per Tersite e dalle considerazioni che andremo facendo nel prosieguo<br />

del nostro lavoro. Possiamo anticipare che gli elementi che enucleeremo<br />

provvedono ad apparentare i due personaggi, in modo che, pur appartenendo<br />

a epoche, generi letterari e contesti culturali affatto lontani e <strong>di</strong>versi,<br />

sembrano essere l’uno il <strong>di</strong>scendente dell’altro.<br />

Gwynplaine, protagonista del romanzo L’uomo che ride (L’homme qui<br />

rit, 1869), “il più nero dei romanzi neri”, 55 è, a nostro giu<strong>di</strong>zio, un’altra fi-<br />

53 E ci sembra che lecito lo sia, se uno stu<strong>di</strong>oso come Massimo Vilardo accosta, nel suo<br />

commento alla Storia Vera <strong>di</strong> Luciano, a Protesilao il personaggio <strong>di</strong> Va<strong>di</strong>nho tratto dal romanzo<br />

<strong>di</strong> Jorge Amado Dona Flor e i suoi due mariti (vd. Luciano, Storia Vera – Dialoghi dei morti,<br />

intr., trad. e note <strong>di</strong> Massimo Vilardo, Mondadori, Milano 1991, p. 247 n. 140). D’altronde, l’accostamento<br />

ai classici <strong>di</strong> suggestive categorie moderne è una tendenza che si sta affermando sempre<br />

più: ad esempio, Roberto Andreotti ha definito l’Achilleide <strong>di</strong> Stazio come un’“epica transgender”<br />

(Roberto Andreotti, Classici elettrici da Omero al tardoantico, Rizzoli, Milano 2006²,<br />

p. 105), mentre Eva Cantarella ha accostato Medea a una serial killer (in L’amore è un <strong>di</strong>o, Feltrinelli,<br />

Milano <strong>2007</strong>, p. 38). E, per l’Iliade, Siegmund Ginzberg ha evocato, a proposito dello<br />

scudo <strong>di</strong> Achille descritto al libro X, vv. 558-720, “un’atmosfera da fantascienza alla Isaac Asimov,<br />

Philip K. Dick, Ray Bradbury, con tanto <strong>di</strong> robot e automi simili a fanciulle vive” (Siegmund<br />

Ginzberg, L’Iliade, la guerra senza buoni e cattivi, cit., p. 5). Ma già l’americano Christopher<br />

Morley nel romanzo Il cavallo <strong>di</strong> Troia (The Trojan Horse, 1938), trad. <strong>di</strong> Cesare Pavese,<br />

Mondadori, Milano 1957, aveva paro<strong>di</strong>ato burlescamente il mito omerico, ambientando la contesa<br />

tra Achei e Troiani in un’imprecisata epoca ove sono giornali, ra<strong>di</strong>ocronache, taxi, orologi, teatri<br />

e tutte le delizie della nostra moderna civiltà. Della opposta tendenza a cercare para<strong>di</strong>gmi dell’antico<br />

per fenomeni tipici della società moderna, un esempio ci sembra essere l’articolo <strong>di</strong> Valerio<br />

Magrelli, Dioniso tra noi, in «Corriere della Sera», 20 marzo <strong>2007</strong>, nel quale l’autore paragona<br />

i “rave party” alle antiche feste <strong>di</strong> Dioniso.<br />

54 Il personaggio <strong>di</strong> Hugo non appare citato, ad esempio, nel saggio dello Spina, che peraltro<br />

è ricchissimo <strong>di</strong> riferimenti alla fortuna <strong>di</strong> Tersite nella narrativa antica e moderna.<br />

55 La definizione è <strong>di</strong> Jean Gaudon, pref. a Victor Hugo, L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Donata<br />

Ferol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano 2006, rist., p. XXVII. Sul romanzo vd. G. Rosa, «Les travailleurs de<br />

la mer» e «L’homme qui rit», in Storia della Letteratura Francese <strong>di</strong>retta da Pierre Abraham e<br />

Roland Desné, ed. it. a cura <strong>di</strong> Lanfranco Binni, vol. II, Garzanti, Milano 1991, rist., pp. 704-708.<br />

–26–


gura <strong>di</strong> “<strong>di</strong>verso” che agisce in un contesto analogo, l’assemblea, presentante<br />

una serie <strong>di</strong> analogie strutturali con l’episo<strong>di</strong>o omerico. Senza tema <strong>di</strong> dare<br />

giu<strong>di</strong>zi audaci, potremmo <strong>di</strong>re che Gwynplaine è un moderno Tersite, anche<br />

se dobbiamo comunque fare i conti con orizzonti culturali <strong>di</strong>versissimi, saltando<br />

dalla Grecia arcaica all’età del Romanticismo europeo, e mettere da<br />

parte una prima, vistosissima <strong>di</strong>fferenza, che sta nella <strong>di</strong>versa, inconfrontabile<br />

ampiezza del contesto in cui sono collocati il personaggio omerico e<br />

quello hughiano: appena 67 versi nell’Iliade e ben 702 pagine nel romanzo<br />

(nella traduzione <strong>di</strong> Donata Ferol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano 2006, rist.). Ma l’analisi<br />

del personaggio e, soprattutto, <strong>di</strong> un particolare episo<strong>di</strong>o del romanzo,<br />

ci permettono <strong>di</strong> giustificare la nostra affermazione. Cominciamo, però, a delineare<br />

sommariamente la trama de L’uomo che ride, peraltro ben nota. Il romanzo,<br />

ambientato ai primi anni del Settecento, è costruito sulla straor<strong>di</strong>naria<br />

vicenda <strong>di</strong> Gwynplaine, il figlio <strong>di</strong> un nobile inglese ribelle, Lord Linneus<br />

Clancharlie. Il piccolo, rapito per or<strong>di</strong>ne del re dagli zingari trafficanti<br />

<strong>di</strong> bambini, i comprachicos, è stato da costoro orribilmente sfigurato in<br />

modo da essere reso un mostro da baraccone (vi erano, dunque, già nel Settecento<br />

i precursori <strong>di</strong> Phineas T. Barnum, lo spregiu<strong>di</strong>cato affarista americano<br />

che nei primi decenni del secolo successivo riunì nel suo museo straor<strong>di</strong>narie<br />

“attrazioni” umane, offrendole alla curiosa morbosità del pubblico per pochi<br />

centesimi). 56 Una crudele operazione chirurgica (che Hugo chiama, utiliz-<br />

56 Hugo <strong>di</strong>ce, forse con una certa esagerazione, che tali mostri, come Gwynplaine, servivano<br />

ad allietare le corti dei re e perfino dei papi. Ma sarebbe assurdo immaginare alla corte papale la<br />

grottesca presenza <strong>di</strong> giullari e nani, alla maniera <strong>di</strong> Rigoletto o Quasimodo, il mostruoso campanaro<br />

<strong>di</strong> Notre-Dame <strong>di</strong> Parigi. Invece il fenomeno <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui con particolari deformità esibiti<br />

come attrazioni in spettacoli <strong>di</strong> assai dubbio gusto (il cui sfruttamento fu inaugurato nei primi decenni<br />

dell’Ottocento dal celebre impresario americano Phineas T. Barnum, il quale però sembra<br />

che compensasse lautamente i suoi “<strong>di</strong>pendenti”), è durato praticamente fino ai primi del<br />

Novecento, allorché le mostruosità reali mostrate nei circhi e musei itineranti sono state sostituite<br />

dagli effetti speciali <strong>di</strong> tanti film dell’orrore o <strong>di</strong> fantascienza – nel celebre film <strong>di</strong> Tod Browning,<br />

Freaks (1932), i mostri umani esibiti erano, però, rigorosamente autentici – e si è contestualmente<br />

(e fortunatamente) <strong>di</strong>ffusa una maggiore consapevolezza del rispetto della <strong>di</strong>gnità della persona.<br />

La vera rivoluzione nella concezione del mostro e il suo passaggio da pro<strong>di</strong>gium da esibire nelle<br />

fiere a fenomeno naturale, oggetto <strong>di</strong> analisi scientifica, da esporre negli spazi eru<strong>di</strong>ti dei musei e<br />

degli ospedali, avvenne con il Settecento illuminista: vd. in proposito Michael Hagner, Rappresentazioni<br />

multiple del mostro: dall’uomo-gallina <strong>di</strong> Lipsia a Dolly, trad. <strong>di</strong> Vito Bianco, in<br />

Ubaldo La<strong>di</strong>ni – Antonio Negri – Charles T. Wolfe (a cura <strong>di</strong>), Desiderio del mostro, dal circo al<br />

laboratorio della politica, manifestolibri, Roma 2001, pp. 37-57. Un campionario <strong>di</strong> immagini <strong>di</strong><br />

questi personaggi dalle sconcertanti anomalie fisiche (uomini altissimi e piccolissimi, donne barbute,<br />

uomini “coccodrillo”, uomini “scimmia”, donne “serpente”, ermafro<strong>di</strong>ti, albini, focomelici,<br />

in<strong>di</strong>vidui affetti da polidattilismo, gemelli siamesi con due corpi <strong>di</strong>stinti o con le due gambe in<br />

–27–


zando la terminologia latina dei manuali <strong>di</strong> tali operazioni, bucca fissa ad<br />

aures) 57 gli ha deformato permanentemente i lineamenti del volto in modo da<br />

imprimergli l’impronta <strong>di</strong> una orribile smorfia ghignante. Il piccolo, sfigurato<br />

dagli zingari che lo hanno ribattezzato con lo strano nome Gwynplaine,<br />

viene abbandonato una sera d’inverno sulla costa <strong>di</strong> Portland e raccolto da<br />

un bizzarro misantropo, una sorta <strong>di</strong> cinico filosofo vagabondo, Ursus. Costui<br />

ha per unico compagno un lupo addomesticato, che ha chiamato Homo,<br />

per irrisione verso la specie umana. Prima <strong>di</strong> essere raccolto da Ursus,<br />

Gwynplaine ha trovato una neonata cieca, attaccata ancora al seno della<br />

comune, uomini bicefali o tripe<strong>di</strong>, etc.), è stato raccolto in Freaks. La collezione Akimitsu Naruyama.<br />

Lo sfruttamento delle anomalie fisiche nei circhi e negli spettacoli itineranti, trad. <strong>di</strong> Anna Barella<br />

Sciolette, Logos Art, Modena 2000 (le fotografie ivi contenute impressionano ancora per la loro<br />

crudezza). Alcuni <strong>di</strong> questi sfortunati esseri riuscirono però ad adattarsi alla vita quoti<strong>di</strong>ana, oltre<br />

le avversità e i pregiu<strong>di</strong>zi, e condussero una normale esistenza, come i primi celebri gemelli siamesi<br />

Chang e Eng, che, scampati alla morte decretata loro da re del Siam, sposarono due sorelle<br />

americane e generarono più <strong>di</strong> venti figli (vd. la loro storia in Darin Strauss, Chang ed Eng (Chang<br />

and Eng, 2000), trad. <strong>di</strong> Idolina Landolfi, Rizzoli, Milano 2001). Pagine <strong>di</strong> famosi scrittori ci hanno<br />

poi riservato memorabili gallerie <strong>di</strong> mostruosità o curiosità in esposizione, tali che sembrano rievocare<br />

la celeberrima raccolta del me<strong>di</strong>co e naturalista bolognese Ulisse Aldrovan<strong>di</strong> (1522-1605).<br />

Basterà citare l’esposizione dei mostri a Sant’Antonio, in Messico, descritta da Graham Greene in<br />

Le vie senza legge (The Lawless roads, 1938), trad. <strong>di</strong> Piero Jahier e Maj-Lis Rissler Stoneman,<br />

Mondadori, Milano 1955, pp. 31-33 (con la descrizione dei corpi mummificati <strong>di</strong> due gangster americani),<br />

o la galleria <strong>di</strong> feti mostruosi vista nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un ginecologo romano, da Curzio Malaparte<br />

in La pelle, Garzanti, Milano 1967, su lic. Vallecchi (1949), pp. 314-321, o, ancora, la collezione<br />

del museo anatomico del Dottor Spitzner (reperti anatomici e patologici riprodotti in cera fusa)<br />

in Italo Calvino, Il museo dei mostri <strong>di</strong> cera, in Collezione <strong>di</strong> sabbia, Mondadori, Milano 1994,<br />

pp. 29-35. La perenne attrazione che esercita l’universo del <strong>di</strong>fforme è esaminata nel saggio <strong>di</strong> Roberto<br />

Barbolini, Narciso e il Barnum dei mostri, in La Chimera e il Terrore, Jaca Book, Milano 1984,<br />

pp. 212-217. Ma non va <strong>di</strong>menticato che fervi<strong>di</strong> inventori <strong>di</strong> mostri furono i Greci, che in essi vollero<br />

razionalizzare le loro paure, popolando le remote terre d’Africa e d’Oriente <strong>di</strong> creature bizzarre<br />

o meravigliose e creando tra<strong>di</strong>zioni che resistettero fino agli albori dell’età moderna: vd. Rudolf<br />

Wittkower, Duemila anni <strong>di</strong> mostri, trad. <strong>di</strong> Gianni Guadalupi, in «Kos», n. 21, aprile 1986, pp. 4-<br />

22. Su Ulisse Aldrovan<strong>di</strong> e la sua enciclope<strong>di</strong>ca Monstrorum historia, ricchissima <strong>di</strong> osservazioni<br />

empiriche sulle mostruosità vegetali, animali e umane, e apparsa postuma nel 1642, vd. Attilio Zanca,<br />

Collezioni <strong>di</strong> mostri: Ulisse Aldrovan<strong>di</strong>, in «Kos», n. 21, aprile 1986, pp. 23-46.<br />

57 Nel capitolo II del romanzo (I comprachicos) Hugo si <strong>di</strong>lunga su questo tipo <strong>di</strong> operazioni,<br />

descritte nel manuale del Dottor Conquest, De denasatis, che lo stesso Ursus legge poi a<br />

Gwynplaine. Tali operazioni realmente venivano praticate su esseri umani in tenera età per ridurli<br />

a mostri da esibire nelle fiere, come avrebbe fatto l’americano Phineas Barnum nell’Ottocento.<br />

Ma queste infamie contro esseri in<strong>di</strong>fesi erano comunque opera <strong>di</strong> uomini, sia pur abominevoli.<br />

Cosa peggiore avveniva quando le stesse madri si ingegnavano, mettendosi addosso apposite<br />

fasciature costrittive durante la gravidanza, <strong>di</strong> far nascere figli deformi per venderli agli zingari,<br />

che li destinavano ai baracconi delle fiere, come narra un racconto <strong>di</strong> Guy de Maupassant,<br />

La madre dei mostri.<br />

–28–


madre morta, e l’ha amorevolmente raccolta. Il vagabondo accoglie i due piccoli,<br />

li tiene presso <strong>di</strong> sé e la strana compagnia, sul carrozzone ambulante <strong>di</strong><br />

Ursus, vive la vita dei noma<strong>di</strong> viaggiando <strong>di</strong> villaggio in villaggio. Cresciuto,<br />

Gwynplaine (che si è legato con grande affetto all’uomo che l’ha raccolto e<br />

allevato come un padre e alla bambina cieca, Dea, ormai <strong>di</strong>venuta ragazza) si<br />

esibisce nelle fiere come saltimbanco e mimo, col nome <strong>di</strong> Uomo che ride, riscotendo<br />

grande successo per lo straor<strong>di</strong>nario aspetto, che suscita negli spettatori<br />

un’irrefrenabile ilarità mista a un vago senso <strong>di</strong> orrore. La strana compagnia<br />

attraversa paesi e città e vive felicemente, prosperando con i guadagni<br />

delle esibizioni <strong>di</strong> Gwynplaine. Un giorno, però, Gwynplaine viene sottratto<br />

alla sua compagnia da un ufficiale giu<strong>di</strong>ziario della corte inglese, il Wapentake,<br />

e condotto nel carcere <strong>di</strong> Southwark, a Londra. Qui è riconosciuto dall’uomo<br />

che molti anni prima aveva compiuto su <strong>di</strong> lui l’operazione chirurgica<br />

che lo aveva sfigurato, il fiammingo Hardquanonne, compagno dei comprachicos<br />

che avevano rapito il bambino. Hardquanonne sta morendo sotto terribili<br />

torture, nel fondo dell’oscura prigione. Prima <strong>di</strong> morire fa in tempo a riconoscere<br />

in Gwynplaine Lord Fermain Clancharlie, l’unico figlio e legittimo<br />

erede <strong>di</strong> Lord Linneus Clancharlie, barone <strong>di</strong> Clancharlie e Hunkerville e Pari<br />

d’Inghilterra. La confessione è confermata da un messaggio, scritto <strong>di</strong> pugno<br />

dallo stesso Hardquanonne, che era stato tempo ad<strong>di</strong>etro rinvenuto entro una<br />

bottiglia sulla spiaggia d’Inghilterra. Riconosciuto quin<strong>di</strong> ufficialmente dalle<br />

autorità come Lord Clancharie e subito condotto nella sua nuova residenza, il<br />

magnifico palazzo dei Clancharlie, Gwynplaine vi sperimenta la vita <strong>di</strong> lusso<br />

e privilegi della nobiltà inglese, ma non <strong>di</strong>mentica il lungo tempo vissuto tra<br />

la plebe più miserabile, come saltimbanco. Nel palazzo ha un’esperienza per<br />

lui, giovane puro e inesperto del mondo, traumatica: deve resistere a un ossessivo<br />

e appassionato tentativo <strong>di</strong> seduzione da parte della bellissima e <strong>di</strong>ssoluta<br />

sorella della regina, Lady Josiane. Ammesso, poi, com’è suo <strong>di</strong>ritto, a<br />

parlare nella Camera dei Pari, che quel giorno deve votare un bill, un provve<strong>di</strong>mento<br />

<strong>di</strong> aumento <strong>di</strong> centomila ghinee d’appannaggio al principe consorte<br />

della regina Anna, Giorgio <strong>di</strong> Danimarca, Gwynplaine, venuto il momento <strong>di</strong><br />

esprimere il suo voto, si alza a parlare tra i nobili assisi. Finora la penombra<br />

gli ha oscurato il volto deforme, ma quando si alza per chiedere la parola il<br />

suo orribile ghigno è in piena luce e tutti i presenti possono vedere in faccia<br />

l’Uomo che ride. Lo stupore per l’aspetto cede il posto alla curiosità <strong>di</strong> ascoltare<br />

le parole dell’Uomo che ride. Con un supremo sforzo <strong>di</strong> volontà<br />

Gwynplaine è riuscito a sospendere l’espressione ghignante del suo volto e,<br />

contraendo i muscoli facciali in una terribile concentrazione, ad assumere l’a-<br />

–29–


spetto <strong>di</strong> una impressionante maschera. Non più “Uomo che ride”, ma cupa<br />

maschera tragica, volto <strong>di</strong> Medusa ghignante, Gwynplaine denuncia all’assemblea<br />

le terribili con<strong>di</strong>zioni a cui soggiace la plebe, la fame, l’abbrutimento<br />

e l’ignoranza che tormentano i sud<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> sua maestà, ed esorta i nobili<br />

ad essere più consapevoli e generosi verso i più umili e miserabili in<strong>di</strong>vidui<br />

del genere umano, che sono i loro confratelli. Ad<strong>di</strong>rittura il tono delle sue<br />

parole si fa profetico: dopo aver denunciato gli ingiusti privilegi dell’ottusa e<br />

fiacca nobiltà, si scaglia contro il principe, inetto e parassita, e ad<strong>di</strong>rittura<br />

pre<strong>di</strong>ce il prossimo avvento <strong>di</strong> una repubblica. Ma a questo punto il terribile<br />

sforzo a cui Gwynplaine si è sottoposto per mutare in ghigno tragico la<br />

smorfia del suo volto, si esaurisce e il sembiante torna ad essere quello dell’Uomo<br />

che ride. I Lord, alla vista del solito aspetto deforme, si scatenano in<br />

irrefrenabili risate, insultando il povero Gwynplaine, a cui non basta certo il<br />

titolo riacquistato per riacquistare anche la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> persona. Egli ritorna,<br />

così, ad essere soltanto un povero mostro da baraccone e il suo coraggioso<br />

tentativo <strong>di</strong> aiutare la plebe viene annientato da terribili scoppi <strong>di</strong> urla frammiste<br />

a risate. Dopo essere stato ucciso moralmente dal ri<strong>di</strong>colo, Gwynplaine<br />

corre a cercare le sole persone che gli siano rimaste amiche e che egli è stato<br />

costretto ad abbandonare suo malgrado, ossia il vecchio Ursus e la sua fidanzata,<br />

Dea. Li ritrova su un battello che naviga seguendo la corrente del Tamigi,<br />

alla volta dell’Olanda. Lì hanno deciso <strong>di</strong> rifugiarsi, perché cacciati in<br />

esilio. Ma quando Gwynplaine mette piede sul battello, è per raccogliere le<br />

ultime parole <strong>di</strong> Dea ormai morente. Disperato, senza più la donna che<br />

amava, decide <strong>di</strong> porre fine alla sua stessa vita e si getta nelle profon<strong>di</strong>tà del<br />

mare, allorché il battello sta ormai solcando il Canale della Manica.<br />

Gwynplaine protagonista del romanzo più “gotico”e “notturno” <strong>di</strong> Hugo,<br />

rimane un personaggio misterioso, sfuggente: viene incontro al lettore dal<br />

mare e dalla notte, la tempestosa notte invernale nella quale, fanciullo, è<br />

abbandonato sulla costa inglese dai delinquenti che lo hanno sfigurato (la<br />

prima parte del romanzo, che comprende trentatré capitoli, si intitola significativamente<br />

Il mare e la notte) e al mare e alla notte ritorna, gettandosi nelle<br />

acque della Manica dal battello che fa rotta, con a bordo il vecchio Ursus e<br />

Dea, ormai morta, verso l’Olanda: è realizzata così una perfetta circolarità<br />

della narrazione e insieme del suo destino. 58<br />

58 La presenza del mare e la sua funzione nel romanzo è stata messa in rilievo, con peculiari<br />

osservazioni, da Bruno Nacci, pref. a Victor Hugo, L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Bruno Nacci, Garzanti,<br />

Milano 1999 5 , p. XXV.<br />

–30–


La prima epifania <strong>di</strong> Gwynplaine al lettore è un’atroce paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />

Venere, 59 anche se la vera e propria descrizione del suo volto mostruoso si<br />

ha nella seconda parte del romanzo, dopo quarantacinque capitoli.<br />

Gwynplaine, si è detto, rimane un personaggio misterioso, enigmatico, in<br />

un romanzo dominato dalla notte e dall’ombra: <strong>di</strong> lui rimane nella mente del<br />

lettore la maschera ghignante impressa per sempre nel suo volto, una «testa<br />

<strong>di</strong> Medusa gioiosa», come la definisce Hugo, una maschera che è ancora<br />

capace <strong>di</strong> ispirare una sottile sensazione <strong>di</strong> orrore ai lettori moderni. 60<br />

Gwynplaine è una maschera, fatta per ispirare orrore e subito dopo un’irrefrenabile<br />

ilarità, e nel romanzo, com’è stato detto, 61 la sua vera nascita è quel<br />

volto, sicché nulla conosce della sua origine, fino alla sconvolgente agnizione<br />

(che avviene dopo due terzi del romanzo, alla fine del cap. VIII del libro<br />

quarto). Citiamo l’impressionante descrizione del volto del personaggio:<br />

Come abbiamo detto, la natura aveva colmato <strong>di</strong> doni Gwynplaine. Ma era stata<br />

proprio la natura?<br />

Non l’avevano per caso aiutata?<br />

Due occhi che erano due fessure tristi, una fen<strong>di</strong>tura per bocca, una protuberanza<br />

camusa con due buchi che erano le narici, una faccia schiacciata e tutto questo col<br />

riso come risultato, è certo che la natura non produce da sola simili capolavori.<br />

Ma poi, il riso è sinonimo <strong>di</strong> gioia?<br />

Se, <strong>di</strong> fronte a quel guitto – perché era un guitto –, si lasciava svanire la prima impressione<br />

<strong>di</strong> allegria e si osservava attentamente quell’uomo, si riconosceva<br />

la traccia dell’arte. Un viso del genere non è fortuito, è voluto. Una simile perfezione<br />

non fa parte della natura. L’uomo non può nulla sulla propria bellezza, ma<br />

può tutto sulla propria bruttezza. Di un profilo ottentotto non si farà mai un profilo<br />

romano, ma <strong>di</strong> un naso greco si può fare un naso calmucco. Basta obliterare la<br />

ra<strong>di</strong>ce del naso e allargare le ra<strong>di</strong>ci. Non per niente il latino volgare del Me<strong>di</strong>oevo<br />

ha creato il verbo denasare. Gwynplaine, da bambino, era stato tanto degno d’attenzione<br />

da spingere qualcuno a occuparsi <strong>di</strong> lui al punto <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficargli il viso?<br />

Perché no? Foss’anche soltanto a scopo <strong>di</strong> esibizione e speculazione. Secondo<br />

ogni apparenza, industriosi trafficanti <strong>di</strong> bambini avevano lavorato quel volto.<br />

Pareva evidente che una scienza misteriosa, probabilmente occulta, che stava alla<br />

chirurgia come l’alchimia sta alla chimica, aveva cesellato quelle carni, certa-<br />

59 Così Riccardo Reim, L’Homme qui rit e Victor Hugo: il mostro e il titano, in Victor Hugo,<br />

L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Vittorio Mucci rivista da Riccardo Reim, Newton & Compton e<strong>di</strong>tori,<br />

Roma 2005, p. 10.<br />

60 Così Laura Pariani, ‘Masca eris, et ridebis semper’, in «L’Erasmo», n. 24, novembre<strong>di</strong>cembre<br />

2004, pp. 13-15.<br />

61 Bruno Nacci, cit., p. XXIV. Vd. anche le osservazioni sulla fissità della maschera <strong>di</strong><br />

Gwynplaine, più orripilante <strong>di</strong> una maschera <strong>di</strong> teatro, in Daniel McNeill, La faccia.Storie e<br />

segreti del volto umano (The Face, 1998), Mondadori, Milano 1999, p. 223.<br />

–31–


mente nella primissima infanzia, e creato con preme<strong>di</strong>tazione quel viso. Quella<br />

scienza, abile nelle <strong>di</strong>ssezioni, nelle ottusioni e nelle allacciature, aveva tagliato la<br />

bocca, sbrigliato le labbra, messo a nudo le gengive, tirato le orecchie, lacerato le<br />

cartilagini, stravolto le sopracciglia e le guance, esteso il muscolo zigomatico, occultato<br />

suture e cicatrici, riportato la pelle sulle lesioni, lasciando la faccia in<br />

quello stato <strong>di</strong> attonimento, e da quella scultura potente e profonda era uscita una<br />

maschera, Gwynplaine. 62<br />

La critica ha definito Gwynplaine come uno degli archetipi della letteratura<br />

moderna, attribuendone l’origine al seme corrotto e inquietante da cui<br />

<strong>di</strong>scendono gli automi <strong>di</strong> Hoffmann o <strong>di</strong> Villiers de L’Isle Adam. 63 Egli è<br />

«non più personaggio, ma laboratorio <strong>di</strong> esplorazioni filosofiche e narrative».<br />

64 Noi possiamo non<strong>di</strong>meno provare ad attribuire a Gwynplaine un’ascendenza<br />

letteraria, ben più risalente che i personaggi dei romanzi <strong>di</strong><br />

Hugo, ossia gli esseri deformi come il Quasimodo <strong>di</strong> Notre-Dame <strong>di</strong> Parigi,<br />

o quelli della narrativa “gotica”.<br />

Come abbiamo premesso, abbiamo buoni argomenti per accostare<br />

Gwynplaine perfino a un personaggio tratto da un contesto letterario affatto<br />

lontano e inaspettato, ossia dall’epica omerica, come Tersite. Due elementi<br />

provvedono ad apparentare Gwynplaine a Tersite. Anzitutto Tersite è deforme,<br />

<strong>di</strong> una deformità ripugnante, proprio come Gwynplaine apparirebbe<br />

oggi ai nostri occhi. Poi, Gwynplaine vive una esperienza analoga a quella<br />

<strong>di</strong> Tersite, con i medesimi risvolti comici: l’assemblea dei Pari d’Inghilterra,<br />

l’episo<strong>di</strong>o da cui traspare più sapienza ricostruttiva (consistente, come notava<br />

Stevenson, 65 nel mischiare alla voce dei Lord quella del popolo, ivi<br />

portata dal deforme saltimbanco che si è scoperto <strong>di</strong> nobilissima prosapia).<br />

Che a Tersite pensasse Hugo nelle sue riflessioni sul personaggio <strong>di</strong><br />

Gwynplaine potrebbe essere forse mostrato da un in<strong>di</strong>zio, pur debole: nel<br />

romanzo vi è una citazione <strong>di</strong> Tersite, giacché il suo ritratto è appeso, assieme<br />

a quelli <strong>di</strong> altri celebri campioni della deformità, 66 nella sede del Club<br />

62 Victor Hugo, L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Donata Ferol<strong>di</strong>, cit., pp. 297-298.<br />

63 Bruno Nacci, ibid.<br />

64 Bruno Nacci, ibid.<br />

65 Robert Louis Stevenson, I romanzi <strong>di</strong> Victor Hugo, postf. a Victor Hugo, L’uomo che<br />

ride, trad. <strong>di</strong> Donata Ferol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano 2006, rist. p. 712.<br />

66 Hugo elenca Triboulet, Duns, Hu<strong>di</strong>bras, Scarron, Esopo, <strong>Orazio</strong> Coclite e Camoens<br />

(orbi, questi ultimi, l’uno dall’occhio sinistro e l’altro dall’occhio destro). Il Club dei Brutti,<br />

specifica Hugo, sarebbe durato fino all’inizio dell’Ottocento e avrebbe donato l’iscrizione onoraria<br />

anche al conte <strong>di</strong> Mirabeau.<br />

–32–


dei Brutti, una delle tante conventicole, riservate rigorosamente ai nobili<br />

sfaccendati, <strong>di</strong> cui era <strong>di</strong>sseminata la Londra settecentesca e che Hugo<br />

elenca <strong>di</strong>ligentemente per mettere alla berlina i bizzarri e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>osi costumi<br />

dei figli <strong>di</strong> Albione. 67<br />

A Gwynplaine è risparmiata la bastonatura <strong>di</strong> cui Tersite fa esperienza,<br />

ma il personaggio <strong>di</strong> Hugo prova qualcosa <strong>di</strong> peggio, perché è bersagliato<br />

alla fine del suo <strong>di</strong>scorso dalle omeriche risate <strong>di</strong> scherno, dagli insulti e dalle<br />

beffe dei suoi colleghi Pari. Beffe, insulti e urla <strong>di</strong> scherno piovono addosso a<br />

Gwynplaine come le bastonate <strong>di</strong> Ulisse sulla schiena <strong>di</strong> Tersite, ma con effetto<br />

ben più doloroso sul morale del povero ex saltimbanco, che invano<br />

cerca <strong>di</strong> esporre le ragioni del popolo <strong>di</strong> fronte al consesso <strong>di</strong> quei nobili<br />

parassiti, cinici e viziosi. È la normale conseguenza delle sue apparizioni, che<br />

tante volte Gwynplaine ha sperimentato sul palcoscenico della Green Box, il<br />

carrozzone-teatro ove si esibiva, e che gli ha procacciato una <strong>di</strong>ffusa popolarità<br />

come “Uomo che ride”, ma che ora, manifestatasi nella più alta istituzione<br />

assembleare d’Inghilterra, ha un effetto <strong>di</strong>struttivo sull’animo del povero<br />

mostro. Gwynplaine esce da quell’assemblea <strong>di</strong>strutto, annichilito nello<br />

spirito e nella mente, e d’ora in avanti non ha che un pensiero solo, tornare<br />

dai suoi cari amici, Ursus e Dea, che aveva abbandonato, abbacinato dalla<br />

improvvisa rivelazione <strong>di</strong> essere un Lord e dallo straor<strong>di</strong>nario cambiamento<br />

impresso dall’agnizione improvvisa alla sua vita. Da notare, inoltre, l’oscurità,<br />

l’ombra, il nero dell’atmosfera in cui agisce Gwynplaine: infatti egli<br />

appare nel romanzo per la prima volta in una buia notte gelida e tempestosa,<br />

è riconosciuto come Lord nella buia prigione <strong>di</strong> Southwark, appare al convegno<br />

dei nobili con il volto coperto dall’ombra formata dalla cortina dei<br />

folti capelli.<br />

4. Torniamo alle analogie tra Tersite e Gwynplaine. Per quanto riguarda<br />

l’aspetto fisico, entrambi, Tersite e Gwynplaine, sono deformi,<br />

anche se la deformità del primo è naturale, quella del secondo è invece<br />

opera dell’uomo. Poi il contesto nel quale entrambi significativamente agiscono,<br />

è un’assemblea <strong>di</strong> uomini legati assieme dalla medesima con<strong>di</strong>zione.<br />

Entrambi, Tersite e Gwynplaine, parlano in una assemblea <strong>di</strong> loro pari: il<br />

primo <strong>di</strong> fronte ai guerrieri Achei, il secondo <strong>di</strong> fronte ai Pari d’Inghilterra,<br />

la più eletta nobiltà della nazione. V’è da osservare che nell’Iliade il <strong>di</strong>scorso<br />

<strong>di</strong> Tersite all’assemblea e la successiva bastonatura da parte <strong>di</strong> Ulisse<br />

67 Victor Hugo, L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Donata Ferol<strong>di</strong>, cit., p. 236.<br />

–33–


esauriscono l’azione del personaggio, giacché poi, in pratica, Tersite sparisce<br />

dal testo omerico. Nel romanzo <strong>di</strong> Hugo l’assemblea dei Pari è l’unico<br />

luogo nel quale agisca e parli Gwynplaine (a parte le sue esibizioni <strong>di</strong> muto<br />

saltimbanco sul palcoscenico della Green Box e l’i<strong>di</strong>llico rapporto con Dea,<br />

alla quale tenta <strong>di</strong> sostituirsi Lady Josiane, singolare figura <strong>di</strong> femminile demone<br />

perverso). Ancora, il tenore dei loro <strong>di</strong>scorsi: Tersite denuncia l’inutilità<br />

della guerra, scatenata dall’avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Agamennone, il capo della spe<strong>di</strong>zione,<br />

Gwynplaine denuncia i privilegi e il parassitismo dei nobili e del re,<br />

ciechi <strong>di</strong> fronte alle sofferenze della plebe.<br />

Confrontando i due personaggi sul piano morale, possiamo <strong>di</strong>re che<br />

mentre quella <strong>di</strong> Tersite è una καλοκαγαθι´α rovesciata, quella <strong>di</strong><br />

Gwynplaine è una καλοκαγαθι´α nascosta. Da fanciullo, già vittima della<br />

terribile crudeltà degli uomini che lo hanno sfigurato e poi abbandonato in<br />

una tempestosa notte d’inverno su una spiaggia della costa inglese,<br />

Gwynplaine lotta come un eroe omerico per non soccombere alle cieche<br />

forze della natura e per liberare la piccola orfana cieca, la futura Dea, da<br />

una ineluttabile fine, strappandola al seno della madre morta. E poi<br />

Gwynplaine incarna le più nobili virtù dell’animo umano, la bontà, la generosità,<br />

la sensibilità, l’altruismo, l’amore fedele e <strong>di</strong>sinteressato, celate<br />

però da una mostruosa maschera <strong>di</strong> carne fissata per sempre sul suo volto<br />

sfigurato. 68 L’uomo che ride è un romanzo dell’eroismo, come lo ha definito<br />

il critico Albert Thibaudet: la figura <strong>di</strong> Gwynplaine vi si staglia e risalta<br />

come quella <strong>di</strong> un titano. 69<br />

Vi è però almeno una significativa <strong>di</strong>fferenza. Tersite occupa pochi<br />

versi dell’Iliade, Gwynplaine invece un intero romanzo. Ma lo spazio del<br />

romanzo, ricchissimo <strong>di</strong> sequenze descrittive, è utilizzato da Hugo per determinare<br />

chi sia effettivamente il piccolo trovatello dal volto sfigurato in<br />

un ghigno perenne, che il selvatico Ursus ha adottato e allevato come un<br />

padre putativo. Tutti gli sviluppi della trama (culminanti con l’agnizione<br />

68 Come ha notato Élise Noetinger, L’Uomo che ride è il romanzo della mostruosità fatta<br />

carne, della <strong>di</strong>fformità esacerbata dalla perfezione con cui viene raffigurato il corps blessé: i corpi<br />

mutilati e/o torturati dei personaggi hanno qualche cosa <strong>di</strong> fisso, avendo perduto una parte della<br />

vita e dell’animazione (il volto <strong>di</strong> Gwynplaine, l’immagine statuaria della madre <strong>di</strong> Dea giacente<br />

morta nella neve, lo sguardo senza vita della piccola Dea, il corpo dell’impiccato oscillante al gelido<br />

vento notturno, etc.), vd. Élise Noetinger, La sinistre beauté du masque: étude de L’Homme<br />

qui rit de Victor Hugo, in «French Stu<strong>di</strong>es», LIII, 1999, p. 406.<br />

69 Albert Thibaudet, Storia della letteratura francese dal 1789 ai giorni nostri, trad. <strong>di</strong><br />

Jone Graziani, vol. I, Garzanti, Milano 1974, p. 270.<br />

–34–


nella prigione <strong>di</strong> Southwark, che Gwynplaine percorre come una vera e propria<br />

descensio ad inferos, da parte del superstite della banda <strong>di</strong> comprachicos,<br />

quell’Hardquanonne che venti anni prima aveva personalmente<br />

compiuto l’operazione chirurgica sul volto del fanciullo) non hanno altro<br />

scopo che permettere a Gwynplaine l’accesso alla Camera dei Lord, tra i<br />

Pari d’Inghilterra. Lì, come Tersite all’assemblea degli Achei, Gwynplaine<br />

tiene il suo primo e ultimo <strong>di</strong>scorso e la sua ultima pubblica apparizione.<br />

Vuole parlare come i suoi consociati, i Pari, ma non vi riesce sia per le carenze<br />

dell’eloquio, che pur risulta rozzamente efficace, sia, soprattutto, per<br />

il suo aspetto fisico, fatto per <strong>di</strong>vertire e, però, anche inorri<strong>di</strong>re. Gwynplaine<br />

non è riconosciuto pienamente dai nobili, suoi compagni <strong>di</strong> ceto, e anche<br />

dalla sua oratoria, rozza, concitata e grossolanamente iperbolica (le parole<br />

gli escono fuori a fiotti, α# κοσμα, come quelle <strong>di</strong> Tersite, ma pervase da una<br />

sorta <strong>di</strong> spirito messianico), 70 appare un popolano. È lui però che si professa<br />

come voce del popolo, della sua vera classe sociale, che vuole <strong>di</strong>fendere<br />

dall’arroganza e dall’oppressione dei nobili («Che ci faccio qui? Vengo a<br />

essere terribile. Sono un mostro, voi <strong>di</strong>te. No, sono il popolo. Sono un’eccezione?<br />

No, sono come chiunque. L’eccezione siete voi.»). 71<br />

Atri elementi comuni e peculiari alla rappresentazione della loro <strong>di</strong>fformità<br />

sono i seguenti. Tersite è un mostro che inquieta, Gwynplaine è un mostro<br />

che <strong>di</strong>verte (o dovrebbe <strong>di</strong>vertire). Entrambi sono e agiscono soli,<br />

quando si trovano in spazi estranei al loro habitat naturale, che per<br />

Gwynplaine è la Green Box, il carrozzone-teatro su cui si sposta la compagnia<br />

<strong>di</strong> Ursus, per Tersite (come possiamo immaginare, giacché nulla ci <strong>di</strong>ce<br />

Omero in proposito) una tenda, forse un po’ più lontana dalle altre nell’accampamento<br />

acheo. Quin<strong>di</strong> la solitu<strong>di</strong>ne è l’elemento comune ai due personaggi,<br />

un elemento che <strong>di</strong>viene un vero e proprio motivo topico nelle rappresentazioni<br />

degli esseri mostruosi nella letteratura occidentale, e soprattutto<br />

nel genere popolare della narrativa dell’orrore. 72 L’altro elemento è la<br />

70 Potremmo trovare nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Gwynplaine certi accenti delle Parole <strong>di</strong> un credente <strong>di</strong><br />

Félicité Robert de Lamennais, soprattutto laddove questi, al cap. X, denuncia il terribile, antievangelico<br />

sfruttamento dei lavoratori (Félicité Robert de Lamennais, Parole <strong>di</strong> un credente, trad.<br />

<strong>di</strong> Maria Grazia Meriggi, Rizzoli, Milano 1991, pp. 59-62).<br />

71 Victor Hugo, L’uomo che ride, trad. <strong>di</strong> Donata Ferol<strong>di</strong>, cit., p. 641.<br />

72 Per il motivo topico della solitu<strong>di</strong>ne del mostro scegliamo, tra l’abbondante produzione<br />

della narrativa popolare, due famosi racconti: L’estraneo <strong>di</strong> Howard Phillips Lovecraft (The<br />

Outsider, 1921), in Tutti i racconti 1897-1922, a cura <strong>di</strong> Giuseppe Lippi, Mondadori, Milano<br />

1989, pp. 213-221, in cui l’apparizione del mostruoso protagonista narratore mette in fuga tutti i<br />

–35–


funzione <strong>di</strong> denuncia che essi assumono allorché hanno l’occasione <strong>di</strong> trovarsi<br />

davanti al potere.<br />

Potremmo tracciare in uno schema, per una maggiore evidenza, le analogie<br />

formali e sostanziali che apparentano i due personaggi.<br />

TERSITE<br />

1. È orribilmente deforme in tutto il corpo.<br />

2. Partecipa a un’assemblea <strong>di</strong> pari (gli Achei in armi).<br />

3. È portatore <strong>di</strong> una morale <strong>di</strong>versa da quella degli<br />

α# ριστοι.<br />

4. È estraneo al rango sociale degli α# ριστοι, anche<br />

se partecipa a una assemblea in armi e tratta con i<br />

nobili da pari a pari.<br />

5. Si fa portavoce delle ragioni della plebe, <strong>di</strong> cui vuole<br />

migliorare le con<strong>di</strong>zioni.<br />

6. Si contrappone all’assemblea e non trova solidarietà.<br />

7. Nei confronti dei nobili Tersite adopera un tono<br />

sprezzante.<br />

8. Nell’assemblea degli Achei parla e agisce da solo,<br />

senza l’appoggio <strong>di</strong> alcun compagno né l’aiuto <strong>di</strong><br />

alcun <strong>di</strong>o (mentre Ulisse è aiutato e consigliato da<br />

Atena).<br />

9. Le sue parole provocano la reazione <strong>di</strong> Ulisse.<br />

10. La reazione si traduce in violenti insulti e nella bastonatura.<br />

11. Il suo tentativo fallisce nel ri<strong>di</strong>colo.<br />

12. La sua bastonatura è commentata ironicamente dagli<br />

Achei.<br />

13. L’episo<strong>di</strong>o risulta un intermezzo “comico”, ma mostra<br />

la guerra vista dalla parte del popolo, smascherando<br />

l’idealità omerica: ossia una trage<strong>di</strong>a.<br />

14. Tuttavia Tersite con le sue parole preannuncia il<br />

sorgere <strong>di</strong> un’età nuova e il tramonto della vecchia<br />

aristocrazia achea.<br />

partecipanti alla festa del castello, e Nato d’uomo e <strong>di</strong> donna <strong>di</strong> Richard Matheson (Born of Man<br />

and Woman), trad. <strong>di</strong> Carlo Fruttero, in Regola per sopravvivere, Mondadori, Milano 1977,<br />

pp. 97-101, che narra <strong>di</strong> un povero essere orribilmente deforme isolato e crudelmente torturato dai<br />

suoi stessi genitori.<br />

–36–<br />

GWYNPLAINE<br />

1. È fisicamente prestante ma ha il volto deformato per<br />

una operazione chirurgica che gli ha impresso per<br />

sempre una smorfia ghignante (la sua deformità si<br />

concentra nell’orribile espressione del volto).<br />

2. Partecipa a un’assemblea <strong>di</strong> pari (i Lord).<br />

3. È portatore <strong>di</strong> una morale <strong>di</strong>versa da quella degli aristocratici<br />

(i Lord).<br />

4. È sostanzialmente estraneo al rango sociale dei<br />

Lord, anche se formalmente è insignito <strong>di</strong> un titolo<br />

nobiliare e possiede una immensa fortuna.<br />

5. Si fa portavoce delle ragioni della plebe, <strong>di</strong> cui vuole<br />

migliorare le con<strong>di</strong>zioni.<br />

6. Si contrappone all’assemblea e non trova solidarietà.<br />

7. Nei confronti dei nobili Gwynplaine adopera un tono<br />

sprezzante.<br />

8. Nell’assemblea dei Pari parla e agisce da solo, senza<br />

l’appoggio <strong>di</strong> alcun Lord e, per <strong>di</strong> più, avendo perduto<br />

la preziosa presenza del vecchio Ursus, che lo<br />

guidava e amava come un figlio.<br />

9. Le sue parole provocano la reazione dei Lord.<br />

10. La reazione si traduce in violenti insulti e urla <strong>di</strong><br />

scherno.<br />

11. Il suo tentativo fallisce nel ri<strong>di</strong>colo.<br />

12. I fischi e gli insulti in<strong>di</strong>rizzati a Gwynplaine sono<br />

commentati ironicamente da alcuni Lord.<br />

13. L’episo<strong>di</strong>o risulta un intermezzo “comico”, ma permette<br />

all’autore <strong>di</strong> denunciare le drammatiche con<strong>di</strong>zioni<br />

della plebe nell’Inghilterra del Settecento.<br />

Inoltre preannuncia il tragico destino del personaggio:<br />

all’annichilimento morale <strong>di</strong> Gwynplaine, ucciso<br />

dal ri<strong>di</strong>colo, segue il suo annichilimento fisico, il<br />

suici<strong>di</strong>o attuato gettandosi negli abissi marini.<br />

14. Tuttavia Gwynplaine con le sue parole preannuncia<br />

l’avvento <strong>di</strong> una età nuova e il tramonto della vecchia<br />

aristocrazia inglese.


Potrebbe sembrare un’operazione illecita l’accostamento <strong>di</strong> un personaggio<br />

mitologico, tratto dall’epica classica, in specie omerica, quale Tersite,<br />

ad uno creato da un autore moderno quale Victor Hugo. Se non altro<br />

perché ciò richiede necessariamente una decontestualizzazione dei due personaggi,<br />

che tolti dal loro ambito letterario rischiano <strong>di</strong> ridursi a pure parvenze,<br />

vuote forme della fantasia. Noi cre<strong>di</strong>amo però nell’opportunità <strong>di</strong> tal<br />

genere <strong>di</strong> operazioni, e nella loro valenza positiva in ambito <strong>di</strong>dattico. Si<br />

tratta, anzitutto, <strong>di</strong> “figure” dell’immaginario occidentale, incarnanti simbolicamente<br />

significati della nostra civiltà. Entrambe rappresentano in modo<br />

peculiarmente affine un’unica figura, quella del “<strong>di</strong>verso”, dell’uomo che<br />

non riesce ad ottenere il riconoscimento <strong>di</strong> “persona” dai suoi simili e<br />

perciò vive una dolorosa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> umiliazione, <strong>di</strong> emarginazione, <strong>di</strong><br />

sofferenza, segnato nel corpo da violente e repellenti stigmate, che lo fanno<br />

apparire un “mostro”, anche nel senso clinico del termine. Ma l’accostamento<br />

<strong>di</strong> Tersite a Gwynplaine si rivela in duplice modo utile: prospettivamente,<br />

perché ci mostra come il personaggio <strong>di</strong> Tersite prolunghi la sua fortuna<br />

fino all’epoca moderna incarnandosi in altri personaggi, almeno fino al<br />

Romanticismo, se non oltre (confluendo poi nel mito romantico della Bella<br />

e della Bestia, che tanta narrativa ha originato anche in epoca moderna: citiamo<br />

soltanto, come celebre esempio, il romanzo Il fantasma dell’Opera <strong>di</strong><br />

Gaston Leroux, 1911, sbrigativamente annoverato nella letteratura “del terrore”),<br />

73 retrospettivamente perché ci permette <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare una delle assai<br />

probabili fonti che hanno ispirato a Hugo l’enigmatico personaggio <strong>di</strong><br />

Gwynplaine. Gwynplaine è la forma letteraria della teoria anticlassicista,<br />

esposta da Hugo nella celebre prefazione al dramma storico Cromwell, secondo<br />

la quale anche il brutto, il <strong>di</strong>fforme, il mostruoso possono aspirare<br />

alla <strong>di</strong>gnità dell’arte. 74<br />

73 Non sarà ozioso ricordare che Gwynplaine ha lasciato una traccia anche nel fumetto, poiché<br />

il <strong>di</strong>segnatore Bob Kane ha <strong>di</strong>chiarato espressamente <strong>di</strong> essersi ispirato a questo personaggio<br />

(così come interpretato sullo schermo dall’attore tedesco Conrad Veidt, nell’omonimo film L’uomo<br />

che ride <strong>di</strong> Paul Leni [1928]) per tracciare la maschera del Jocker, il più tetro e inquietante dei<br />

supercriminali nemici <strong>di</strong> Batman: vd. l’intervista a Bob Kane realizzata nel 1992 da Vincenzo<br />

Mollica, testo leggibile in Internet all’in<strong>di</strong>rizzo www.mollica.rai.it Sul personaggio del Jocker<br />

vd. la scheda <strong>di</strong> Stefano <strong>di</strong> Marino, Il Buono, il Brutto, il Cattivo.Dizionario degli Eroi, dei Mostri<br />

e dei Cattivi, Mondadori, Milano 1994, pp. 259-261.<br />

74 La teoria <strong>di</strong> Hugo si fonda sulla <strong>di</strong>stinzione tra classicità e Cristianesimo: l’una esaltò<br />

l’ideale della bellezza nelle forme dell’arte, l’altro condusse la poesia alla verità. L’arte deve<br />

dunque descrivere la creazione come essa è, accettando <strong>di</strong> rappresentare anche il brutto, il <strong>di</strong>fforme,<br />

il mostruoso, che fanno parte <strong>di</strong> essa. La forma nuova dell’arte è il grottesco, che il genio<br />

–37–


Da ultimo ricor<strong>di</strong>amo che omaggi al personaggio hughiano provengono<br />

dai campi più svariati della narrativa. Il personaggio <strong>di</strong> Gwynplaine ha, infatti,<br />

stimolato l’immaginazione <strong>di</strong> molti scrittori, soprattutto nella narrativa<br />

popolare e nella paraletteratura. Un famoso scrittore <strong>di</strong> fantascienza come<br />

Fritz Leiber lo ricorda tra i mostri più cari della sua infanzia, assieme all’altro<br />

celebre mostro hughiano, Quasimodo, il campanaro <strong>di</strong> Notre Dame,<br />

al conte Dracula, al Fantasma dell’Opera, a Mr. Hyde, al mostro <strong>di</strong> Frankenstein,<br />

etc. 75 Da Leiber proviene l’interessante riflessione che una delle<br />

più chiare in<strong>di</strong>cazioni che il mostro rappresenta l’in<strong>di</strong>viduo deviante, è la<br />

frequenza con cui egli appare in guisa <strong>di</strong> capro espiatorio, prima deriso, poi<br />

temuto, finalmente <strong>di</strong>strutto dalla folla. L’inseguimento del mostro nella<br />

notte da parte <strong>di</strong> una turba <strong>di</strong> villici o proletari inferociti è <strong>di</strong>venuto il suggello<br />

finale <strong>di</strong> numerosi film dell’orrore, quasi a suggerire, fra l’altro, che<br />

l’essere orribile simboleggia l’aristocratico incalzato dall’orda rivoluzionaria.<br />

Ma la beffa è l’elemento più interessante: l’Uomo che ride – prototipo<br />

del Fantasma – deve essere deriso, prima <strong>di</strong> riuscire, con un supremo<br />

sforzo <strong>di</strong> volontà, a fissare i suoi lineamenti nella maschera terrificante che<br />

è la sua sola alternativa all’apparire ri<strong>di</strong>colo. 76<br />

Il celebre semiologo e narratore Umberto Eco de<strong>di</strong>ca un ricordo a<br />

Gwynplaine nel suo ultimo romanzo, La misteriosa fiamma della regina<br />

Loana, storia <strong>di</strong> un uomo che ha perso completamente la memoria e con<br />

essa l’identità, che prova a recuperare cercando <strong>di</strong> ricordare tutto ciò che<br />

ha visto, letto e ascoltato fin dalla più tenera infanzia. Ne viene fuori, sull’onda<br />

<strong>di</strong> un frenetico e pindarico repêchage dai meandri della memoria,<br />

uno sterminato, eru<strong>di</strong>tissimo (secondo lo stile del Maestro <strong>di</strong> Alessandria)<br />

catalogo <strong>di</strong> romanzi <strong>di</strong> avventure e <strong>di</strong> narrativa popolare, tra cui non poteva<br />

mancare L’uomo che ride: l’episo<strong>di</strong>o della doccia delle educande contenuto<br />

in un vecchio film comico <strong>di</strong> Totò e Carlo Campanini, I due orfanelli,<br />

può sublimare nelle forme <strong>di</strong> assoluta bellezza artistica (Victor Hugo, pref. a Cromwell, trad.<br />

<strong>di</strong> Corrado Pavolini, in Tutto il teatro, vol.I, Rizzoli, Milano 1962, pp. 25-28). Questa teoria ha<br />

conosciuto una singolare reviviscenza nell’opera <strong>di</strong> chi ha elogiato l’asimmetrico, il <strong>di</strong>fforme, il<br />

<strong>di</strong>sarmonico, il <strong>di</strong>sritmico, quale cifra propria della creazione intellettuale del nostro tempo: vd.<br />

Gillo Dorfles, Elogio della <strong>di</strong>sarmonia, Garzanti, Milano 1992 (I ed. 1986), pp. 11-12. Sull’idea<br />

che la Bellezza possa essere evocata anche dal Brutto (come gli occhi del rospo), vd. l’articolo <strong>di</strong><br />

Raffaele La Capria, Ma il Brutto salverà il mondo, in «Corriere della Sera», 8 maggio 2008.<br />

75 Fritz Leiber, I mostri e i loro amici (Monsters and Monster Lovers, 1962), in Spazio,<br />

tempo e mistero, trad. <strong>di</strong> Giuseppe Lippi, Mondadori, Milano 1987, rist., pp. 23-34.<br />

76 Fritz Leiber, I mostri e i loro amici, cit., p. 28.<br />

–38–


fa evocare nella mente dell’io narrante quello della tentata seduzione <strong>di</strong><br />

Gwynplaine da parte della bellissima e perversa lady Josiane, sorella della<br />

regina, e spinge il narratore-protagonista a porsi la domanda su chi sia più<br />

bella e fatale, se costei o l’attrice Isa Barzizza (che, nella parte <strong>di</strong> una maliziosa<br />

collegiale, affiancava in quel film il grande comico napoletano). 77<br />

La palma della seducente impu<strong>di</strong>cizia va a Lady Josiane, che con il suo comando<br />

sfrontato al povero mostro con cui poco prima voleva ardentemente<br />

unirsi (“Siete mio marito, uscite, questo è il posto del mio amante”) conquista<br />

il narratore per la sua sublime corruzione. 78 E ancora, l’ombra <strong>di</strong><br />

Gwynplaine aleggia per tutto il romanzo Dalia nera dello scrittore noir<br />

americano James Ellroy (The Black Dahlia, 1987), 79 ispirato a un fatto <strong>di</strong><br />

cronaca realmente avvenuto nel 1947 a Los Angeles, ossia l’efferata uccisione<br />

<strong>di</strong> una prostituta 22enne, Elizabeth Short. L’assassino mutila e<br />

sfregia la giovane vittima ispirandosi proprio al personaggio <strong>di</strong> Hugo, il cui<br />

ritratto incombe minaccioso proprio nella stanza in cui è avvenuto lo<br />

squartamento, in questa torbida storia <strong>di</strong> ossessioni e perversioni in una<br />

famiglia “bene” <strong>di</strong> Los Angeles.<br />

Anche il personaggio <strong>di</strong> Gwynplaine ha generato espressioni e mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>re prestati alla politica. Per citare un celebre esempio, La smorfia <strong>di</strong><br />

Gwynplaine, come intitolò un suo articolo Antonio Gramsci (apparso in<br />

«L’Or<strong>di</strong>ne Nuovo», 30 agosto 1921), è quella che l’uomo politico <strong>di</strong> Ales e<br />

fondatore del partito comunista italiano vedeva, come un ghigno rabbioso,<br />

sul volto dei questurini, mercenari e rinnegati <strong>di</strong> classe, inviati dal potere<br />

della borghesia ad arrestare i suoi compagni <strong>di</strong> lotta.<br />

77 Umberto Eco, La misteriosa fiamma della regina Loana, Bompiani, Milano 2006, rist.,<br />

pp. 390-392.<br />

78 Lady Josiane, che Gwynplaine, <strong>di</strong>venuto lord Clancharlie, sorprende nuda nella sua<br />

camera da letto, invita appassionatamente il povero mostro a unirsi con lei, adescandolo con<br />

mille fantasie erotiche. Quando Gwynplaine sta per cedere, giunge però un messaggio della<br />

regina che la avverte che l’uomo è stato riconosciuto come legittimo erede <strong>di</strong> lord Clancharlie e<br />

le è stato destinato come marito. Allora Josiane <strong>di</strong>venta improvvisamente fred<strong>di</strong>ssima e caccia<br />

via colui che pur dovrebbe sposare, decisa a negare al marito ciò che aveva promesso all’amante.<br />

Nel romanzo lady Josiane incarna una estremizzazione della belle dame sans merci,<br />

sensuale, corrotta e depravata.<br />

79 James Ellroy, Dalia nera, trad. <strong>di</strong> Luciano Lorenzin, Mondadori, Milano 2004, rist. Dal<br />

romanzo il regista Brian De Palma ha ricavato una versione cinematografica (Black Dahlia,<br />

2006), con Josh Hartnett, Aaron Eckhart, Scarlett Johansson e Hilary Swank.<br />

–39–


5. Gwynplaine, come abbiamo cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare nel nostro lavoro,<br />

<strong>di</strong>scende da Tersite. Ma Gwynplaine rappresenta anche il capo <strong>di</strong> un filo che<br />

si <strong>di</strong>pana fino ai nostri giorni, e forse anche <strong>di</strong> più fili. Certo, <strong>di</strong>panare tutti i<br />

fili, ossia tutti i motivi topici che queste figure hanno generato, ci porterebbe<br />

troppo lontano dal <strong>di</strong>scorso che abbiamo intrapreso. Ma possiamo in<strong>di</strong>viduarne<br />

e seguirne alcuni. Vi è anzitutto la tra<strong>di</strong>zione degli esseri devianti, <strong>di</strong><br />

cui Tersite rappresenta l’archetipo, ossia le creature teratomorfe che hanno<br />

popolato tanta narrativa dell’orrore e con<strong>di</strong>viso l’infelice destino dei due personaggi<br />

(Tersite e Gwynplaine) loro ascendenti. La punizione del mostro, infatti,<br />

è la condanna all’annientamento decretata dalla società dei “normali”.<br />

Vi è poi il motivo dell’artista-clown (si ricor<strong>di</strong> che Gwynplaine è anche<br />

un saltimbanco) che si pone al <strong>di</strong> fuori della società e ne smaschera i mali o<br />

si oppone al potere e ne <strong>di</strong>svela la crudele essenza, fatta <strong>di</strong> sopraffazione e<br />

ipocrisia. Gwynplaine anticipa in sé, per la funzione finalizzata al riso e per<br />

la singolare posizione in cui si viene a trovare, ossia quella <strong>di</strong> vivente megafono<br />

degli strati più negletti della società, quelle maschere clownesche tipiche<br />

<strong>di</strong> personaggi letterari, che smascherano il traviamento morale del potere<br />

e/o della società. Ne sono un esempio i personaggi effigiati da romanzieri<br />

come Heinrich Böll: nel racconto L’uomo che ride (un probabile<br />

omaggio, come si evince anche dal titolo, al romanzo hughiano), 80 lo scrittore<br />

tedesco rappresenta la tragica serietà del claqueur che del ridere ha fatto<br />

una lucrosa professione, simulando ogni tipo <strong>di</strong> risata per qualsiasi contesto,<br />

ma avendo ormai <strong>di</strong>menticato, nella fissità dell’atto e della maschera, il suo<br />

stesso autentico riso. E nelle Opinioni <strong>di</strong> un clown il protagonista narratore è<br />

il clown Hans Schnier, artista dal temperamento anarchico e libertario, outsider<br />

fattosi clown per irrisione e <strong>di</strong>sprezzo verso la società, che denuncia la<br />

povertà morale della nuova Germania uscita dalla ricostruzione, l’ipocrisia<br />

dei preti, i compromessi della coscienza dei tedeschi con il proprio passato,<br />

una società ove convinti nazisti possono <strong>di</strong>ventare illustri e rispettati notabili.<br />

Per la personificazione nel clown del ruolo <strong>di</strong> opposizione al potere ci<br />

viene in mente l’intellettuale romeno Norman Manea, la cui riflessione sulla<br />

Romania uscita dal comunismo contrappone al clown artista un altro e più<br />

terribile clown, il <strong>di</strong>ttatore. Nel suo saggio Clown. Il <strong>di</strong>ttatore e l’artista 81 ,<br />

80 Heinrich Böll, L’uomo che ride, in Racconti umoristici e satirici, trad. <strong>di</strong> Lea Ritter Santini,<br />

Bompiani, Milano 1990 8 , pp. 17-20.<br />

81 Norman Manea, Clown. Il <strong>di</strong>ttatore e l’artista (Despre Cloni: Dictatorul sÓi Artistul,<br />

1992), trad. <strong>di</strong> Marco Cugno, Il Saggiatore, Milano 2004.<br />

–40–


il clown è il poeta, l’artista che nel suo desiderio <strong>di</strong> praticare la libera creazione<br />

si trova <strong>di</strong> fronte un altro clown, più pericoloso e tenebroso, il Dittatore.<br />

Questi, nei simbolici panni <strong>di</strong> un Clown Bianco, è riuscito a estendere<br />

l’arena del suo sinistro circo mentale a un intero paese (le analogie sono<br />

poste tra Hitler e Ceausescu, i due più terribili clown del potere nel Novecento,<br />

il primo paragonato al suo Doppio chapliniano, il secondo rappresentato<br />

come il Clown Bianco) e organizza le manifestazioni pubbliche come<br />

rappresentazioni <strong>di</strong> un circo infernale e assurdo (quale era, rievocata da<br />

Manea, la vita quoti<strong>di</strong>ana nella Romania <strong>di</strong> Ceausescu).<br />

Ancora: nella galleria dei mostri della narrativa popolare il clown è assurto<br />

a personificazione del Male assoluto, come, nel fluviale romanzo It <strong>di</strong><br />

Stephen King (1985), il malvagio Pennywise, contro cui combatte il gruppo<br />

dei sette ragazzini emarginati, a vario titolo, dalla società. 82<br />

Ma oggi i nuovi mostri, gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Tersite, Gwynplaine e dei loro epigoni,<br />

chi sono? Posto che ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità segna un interrogativo<br />

sui confini e sui ruoli che definiscono l’esistenza umana, un rinnovato interesse<br />

per le mostruosità e le anomalie è dato oggi dagli enormi progressi<br />

dell’ingegneria biogenetica, sopraggiunti dopo la mappatura del patrimonio<br />

genetico umano: in un futuro quanto mai prossimo, l’uomo potrà arrivare a<br />

prevenire o riparare i guasti operati dalla natura nell’organismo (pensiamo<br />

agli sviluppi e alle applicazioni terapeutiche delle nanotecnologie). Inoltre<br />

le cellule staminali e la clonazione (ricor<strong>di</strong>amo il caso della pecora Dolly)<br />

aprono potenzialmente enormi possibilità ai ricercatori <strong>di</strong> fabbricare la vita<br />

in laboratorio, realizzando il vecchio sogno <strong>di</strong> Frankenstein.<br />

Tutti questi fili (e altri ancora), come abbiamo detto, sono riconducibili<br />

in qualche modo a Tersite e Gwynplaine, considerati come archetipi (soprattutto<br />

il personaggio omerico) <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fformità reietta ed emarginata, ma<br />

alla fine riscattata sia pur con il proprio sacrificio. Questo, ci sembra, vogliono<br />

<strong>di</strong>re i due personaggi creati da Omero e da Victor Hugo, assurti a<br />

simboli, che abbiamo voluto idealmente accostare: non emarginare, non<br />

perseguitare nessuno in ragione del suo <strong>di</strong>ssenso, soprattutto quando il <strong>di</strong>ssenso<br />

<strong>di</strong>venta più evidente perché si accompagna a un aspetto esteriore che<br />

non viene accettato dalla collettività. Del resto, è paradossale che una società<br />

nella quale mutano tanto rapidamente costumi e mentalità, abbia paura<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>ssenso, quando esso esce da forme e canoni comunemente accettati,<br />

82 Stephen King, It (It, 1985), trad. <strong>di</strong> Tullio Dobner, Sperling & Kupfer, Milano 1990.<br />

–41–


elativi al modo <strong>di</strong> presentarsi. Se si vuole costruire uno spazio realmente<br />

con<strong>di</strong>viso e comune per tutti, occorre superare certi vecchi stereotipi. E non<br />

è impossibile che il nuovo or<strong>di</strong>ne della “città dei mostri”, nella quale volentieri<br />

avrebbero <strong>di</strong>mora Tersite e Gwynplaine, non sia poi quello in cui si rispecchi<br />

l’or<strong>di</strong>ne voluto dagli dei. 83<br />

83 Il riferimento alla città <strong>di</strong> Perintia, la “città dei mostri”, è da Italo Calvino, Le città invisibili,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 1984, rist. (I ed. 1972), pp. 150-151.<br />

–42–


MARIO CARINI<br />

“I have a dream...”:<br />

l’autoe<strong>di</strong>toria scolastica<br />

Io coltivo un sogno segreto, e lo voglio svelare in queste pagine. Il mio<br />

sogno è che le scuole avviino una regolare attività <strong>di</strong> autoe<strong>di</strong>toria scolastica, e<br />

che questa sia ufficialmente contemplata nel POF. Mi si obietterà che già in<br />

molti istituti è invalsa la tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> pubblicare volumi a carattere perio<strong>di</strong>co<br />

(gli annuari) od occasionale, per celebrare solennemente il ricorrere <strong>di</strong> determinati<br />

anniversari (cinquantenari o centenari della fondazione). È vero che<br />

molte scuole, forse tutte, hanno dato alla luce nel corso della loro storia almeno<br />

un volume, a carattere celebrativo o d’altro genere. Nessuna, però, a quel<br />

che so, ha avviato una regolare attività e<strong>di</strong>toriale. Cercherò, nelle pagine seguenti,<br />

<strong>di</strong> spiegare meglio questo mio progetto, che richiede un grande sforzo<br />

economico della scuola e un notevole impegno dei docenti, e certamente oggi<br />

appare utopistico e, forse, al <strong>di</strong> là delle nostre reali possibilità. Non<strong>di</strong>meno<br />

nutro fiducia che, in un futuro più o meno prossimo, esso possa venire realizzato.<br />

La scuola sarebbe così coinvolta in una esperienza affascinante, ricca,<br />

gratificante, una esperienza che potrebbe aiutare, anch’essa, a incentivare nei<br />

docenti il desiderio <strong>di</strong> ricerca, <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong> aggiornamento, con una benefica<br />

ricaduta sulla qualità del loro impegno <strong>di</strong>dattico e, anche, sulla loro professionalità.<br />

1<br />

Ma cominciamo a spiegare la nostra proposta partendo dalle pubblicazioni<br />

scolastiche. Le possibili iniziative e<strong>di</strong>toriali <strong>di</strong> una scuola attengono<br />

per lo più alla seguente tipologia, che esamineremo <strong>di</strong> seguito:<br />

• Atti <strong>di</strong> convegni, tavole rotonde e cicli <strong>di</strong> conferenze<br />

• Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche<br />

• Annuario e Annali<br />

• Quaderni monografici e testi <strong>di</strong> progetti ed esperienze <strong>di</strong>dattiche<br />

• Testi <strong>di</strong> narrativa, poesia e teatro<br />

1 Che il mestiere <strong>di</strong> docente sia scarso <strong>di</strong> gratificazioni è cosa troppo nota perché debba<br />

ricordarlo. D’altra parte, scriveva Ethel Porzio Serravalle che i professori sono “sottopagati<br />

parafulmini, o se preferite dei cirenei, su cui il mondo intero rovescia le molte croci che non ha<br />

voglia <strong>di</strong> portare” (Ethel Porzio Serravalle, Mal <strong>di</strong> scuola, Mondadori, Milano 1988, p. 30). Che<br />

cosa è cambiato per gli insegnanti dal tempo in cui la Serravalle poteva definire così i docenti?<br />

–43–


• Pubblicazioni celebrative<br />

• Storia dell’Istituto<br />

• Testi scolastici.<br />

1. Atti <strong>di</strong> convegni, tavole rotonde e cicli <strong>di</strong> conferenze. Il nostro<br />

<strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> da alcuni anni organizza cicli <strong>di</strong> conferenze su temi <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento<br />

culturale, per cura e merito della Prof.ssa Licia Fierro. È,<br />

questa, l’iniziativa culturale <strong>di</strong> punta della scuola, che non solo offre un<br />

apporto <strong>di</strong> grande rilevanza alla formazione intellettuale dei nostri alunni,<br />

ma provvede a far conoscere il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> ben oltre i confini della nostra<br />

città. I conferenzieri invitati ogni anno (in numero <strong>di</strong> quattro) a trattare <strong>di</strong><br />

un argomento specifico sono personaggi assai qualificati del mondo delle<br />

istituzioni, della cultura e dell’informazione. Ricor<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> seguito gli illustri<br />

relatori che si sono avvicendati, nei trascorsi anni scolastici, <strong>di</strong> fronte<br />

alla platea dei nostri studenti per <strong>di</strong>scutere sui temi proposti: nell’anno<br />

scolastico 2001/2002 (tema: La Globalizzazione) la scuola ha ospitato<br />

Vincenzo Visco, 2 Pietro Rescigno, 3 Vittorio Agnoletto, 4 Pierluigi Ciocca; 5<br />

nell’anno scolastico 2002/2003 (tema: La Giustizia) Giovanni Conso, 6<br />

Maurizio De Luca, 7 Antonella Patrizia Mazzei, 8 Pierluigi Vigna; 9 nell’anno<br />

scolastico 2003/2004 (tema: Fe<strong>di</strong> e ateismo nella civiltà contemporanea)<br />

Francesco Paolo Casavola, 10 Carlo Di Castro, 11 Bijan Zarman<strong>di</strong>ly, 12 Paolo<br />

2 Professore <strong>di</strong> Scienza delle Finanze all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma e Ministro del<br />

Tesoro nel Governo Amato. Questa e le note seguenti vogliono fornire soltanto sommarie in<strong>di</strong>cazioni<br />

sulle molteplici attività svolte da ciascuno degli invitati, senza alcuna pretesa <strong>di</strong> completezza<br />

ed esaustività. Gli incarichi assunti si riferiscono, ovviamente, all’epoca della loro partecipazione<br />

ai cicli <strong>di</strong> conferenze nella scuola.<br />

3 Accademico dei Lincei, già professore <strong>di</strong> Diritto Civile all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma.<br />

4 Me<strong>di</strong>co del lavoro, già presidente della LILA (Lega Italiana per la Lotta all’Aids) e<br />

leader del movimento No-Gobal.<br />

5 Vice<strong>di</strong>rettore generale della Banca d’Italia.<br />

6 Professore <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto processuale penale, già presidente della Corte Costituzionale e ministro<br />

della Giustizia nel Governo Amato.<br />

7 Giornalista tra i più noti del nostro Paese, ha seguito le più importanti inchieste giu<strong>di</strong>ziarie<br />

negli anni Settanta e Ottanta, tra cui il caso Sindona e il caso Calvi.<br />

8 Magistrato e vicepresidente del Tribunale <strong>di</strong> Sorveglianza <strong>di</strong> Roma.<br />

9 Magistrato e Procuratore Nazionale Antimafia.<br />

10 Eminente stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> Diritto Romano, già presidente della Corte Costituzionale e presidente<br />

dell’Istituto della Enciclope<strong>di</strong>a Italiana.<br />

11 Professore <strong>di</strong> Meccanica Quantistica all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma.<br />

12 Giornalista <strong>di</strong> origine iraniana, corrispondente per l’Iran <strong>di</strong> Limes e collaboratore <strong>di</strong> numerose<br />

testate e agenzie giornalistiche internazionali.<br />

–44–


Flores d’Arcais; 13 nell’anno scolastico 2004/2005 (tema: La Bioetica) Eugenio<br />

Lecaldano, 14 Luciano Terrenato, 15 Stefano Rodotà, 16 Elio Sgreccia; 17<br />

nell’anno scolastico 2006/<strong>2007</strong> (tema: Religioni e convivenza civile)<br />

Giorgio Gomel, 18 Alì Rashid, 19 Federico Di Leo, 20 Paolo Naso 21 (moderatore<br />

della tavola rotonda conclusiva); nell’anno scolastico <strong>2007</strong>/2008<br />

(tema: Quale Europa?) Rosy Bin<strong>di</strong>, 22 Luigi Spaventa, 23 Luisa Morgantini,<br />

24 Pietro Rossi. 25 Nell’attuale anno scolastico 2008/2009 il tema prescelto<br />

ha avuto per titolo Umanesimo e Scienza e il 14 gennaio 2009 il<br />

nostro <strong>Liceo</strong> ha avuto l’onore <strong>di</strong> ospitare, come primo relatore, l’illustre<br />

linguista Tullio De Mauro. 26 Gli atti delle conferenze, assieme alle relazioni<br />

degli studenti, sono stati pubblicati annualmente in una serie <strong>di</strong> volumi,<br />

che sono a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> docenti e studenti in biblioteca.<br />

La pubblicazione degli atti delle conferenze e delle tavole rotonde è<br />

una tipica attività <strong>di</strong> autoe<strong>di</strong>toria scolastica, la cui utilità si evidenzia soprattutto<br />

per un duplice or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> motivi: permette la creazione <strong>di</strong> una “memoria<br />

storica” su eventi importanti della scuola, sottraendoli all’inevitabile<br />

oblio del tempo, e offre agli studenti e anche ai docenti la possibilità <strong>di</strong><br />

trarre spunti e in<strong>di</strong>cazioni per aggiornamenti e approfon<strong>di</strong>menti su tematiche<br />

attinenti alle materie curricolari. Talvolta avviene, infatti, che le scuole<br />

13 Saggista e filosofo, <strong>di</strong>rettore della rivista Micromega e collaboratore <strong>di</strong> numerosi e prestigiosi<br />

giornali italiani e stranieri.<br />

14 Professore <strong>di</strong> Storia della Filosofia Morale all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma.<br />

15 Professore <strong>di</strong> Genetica delle Popolazioni all’Università “Roma Due” <strong>di</strong> Tor Vergata.<br />

16 Professore <strong>di</strong> Diritto Civile all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma e vicepresidente della<br />

Camera dei Deputati.<br />

17 Vescovo, promotore dell’Istituto <strong>di</strong> Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore<br />

presso il Policlinico Agostino Gemelli e presidente della Pontificia Accademia per la Vita.<br />

18 Direttore per le Relazioni Internazionali della Banca d’Italia e cofondatore del “Gruppo<br />

Martin Buber – Ebrei per la pace”.<br />

19 Diplomatico palestinese e deputato <strong>di</strong> Rifondazione Comunista, eletto nel 2006.<br />

20 Economista dell’ISTAT e responsabile della Comunità <strong>di</strong> S.Egi<strong>di</strong>o.<br />

21 Direttore della rivista Confronti e curatore del programma televisivo Protestantesimo.<br />

22 Esponente del Partito Democratico e ministro delle Politiche per la Famiglia nel Governo<br />

Pro<strong>di</strong>.<br />

23 Professore <strong>di</strong> Economia all’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma, già presidente della<br />

CONSOB e ministro del Bilancio e della Programmazione Economica nel governo Pro<strong>di</strong>.<br />

24 Vicepresidente del Parlamento Europeo e can<strong>di</strong>data al Premio Nobel per la Pace nel 2008.<br />

25 Filosofo e Accademico dei Lincei, professore emerito all’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Torino.<br />

26 Linguista e saggista <strong>di</strong> fama internazionale, professore <strong>di</strong> Filosofia del Linguaggio all’Università<br />

“La Sapienza” <strong>di</strong> Roma, <strong>di</strong>rettore del Gra<strong>di</strong>t (Grande Dizionario Italiano dell’Uso),<br />

ministro della Pubblica Istruzione nel Governo Amato.<br />

–45–


organizzino incontri e tavole roton<strong>di</strong> con stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne, ma che <strong>di</strong><br />

questi incontri certamente arricchenti e coinvolgenti non resti praticamente<br />

traccia, per la mancanza <strong>di</strong> una documentazione scritta o magnetica (nastri<br />

registrati). Vanno così, purtroppo, perdute autentiche e rare occasioni <strong>di</strong> arricchimento<br />

culturale e <strong>di</strong> crescita intellettuale, per una trascuratezza a cui si<br />

potrebbe ovviare con relativa facilità (naturalmente occorre avere a <strong>di</strong>sposizione<br />

i fon<strong>di</strong> necessari per l’iniziativa e<strong>di</strong>toriale).<br />

Per quanto riguarda altre pubblicazioni del genere, cito un testo che ho<br />

sottomano, ossia il vol. II degli Annali (1993-2003) del <strong>Liceo</strong> ginnasio<br />

statale “G. D’Annunzio” <strong>di</strong> Pescara, e<strong>di</strong>to a Pescara nel 2004. Il volume<br />

contiene gli atti del Convegno su “L’istruzione classica: tra<strong>di</strong>zione, innovazione<br />

e prospettive future” svolto nel <strong>Liceo</strong> “G. D’Annunzio” nei giorni 4, 5<br />

e 6 <strong>di</strong>cembre 2000 e 23 gennaio 2001, alla presenza del Provve<strong>di</strong>tore agli<br />

Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pescara dott. Sandro Santilli. Di particolare rilievo sono stati gli<br />

interventi del giorno 5 <strong>di</strong>cembre 2000 sul tema No<strong>di</strong> <strong>di</strong>dattico-culturali del<br />

liceo classico, con le relazioni degli stu<strong>di</strong>osi e docenti universitari Nicola<br />

Flocchini (Rinnovamento della <strong>di</strong>dattica della lingua latina), Giovanni<br />

Cipriani (Gli enigmi del latino) e Francesco De Martino (Lirica greca<br />

“liceale”). Il volume contiene anche una sezione de<strong>di</strong>cata ad “Altri stu<strong>di</strong>”,<br />

con saggi, anche qui, <strong>di</strong> noti stu<strong>di</strong>osi dell’antichità greca e romana, come<br />

Massimo Vetta (L’identità celata. Riflessioni sulla metis <strong>di</strong> O<strong>di</strong>sseo),<br />

Raffaele Di Virgilio (Modernità poetica <strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o), Fausto Brindesi (Sesto<br />

Properzio – Elegie). 27<br />

2. Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche. La Miscellanea <strong>di</strong> saggi e ricerche<br />

del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> si prospetta come una raccolta <strong>di</strong> saggi e articoli <strong>di</strong> carattere<br />

scientifico e/o <strong>di</strong>vulgativo su argomenti relativi alle materie curricolari<br />

e a tematiche culturali in senso ampio. Essa ha lo scopo <strong>di</strong> mettere a <strong>di</strong>sposizione<br />

dei docenti contributi <strong>di</strong> carattere culturale elaborati dai loro colleghi,<br />

intendendo così rispondere all’esigenza <strong>di</strong> una fruibilità e un autoaggiornamento<br />

dei saperi. Per il suo carattere multi<strong>di</strong>sciplinare la Miscellanea<br />

si rivolge a docenti e studenti, che potranno quin<strong>di</strong> trovarvi spunti per ricerche,<br />

approfon<strong>di</strong>menti o aggiornamenti nelle <strong>di</strong>scipline curricolari. Copie<br />

del volume pubblicato dalla nostra scuola vengono inviate agli altri istituti<br />

scolastici e alle biblioteche pubbliche (come, ad esempio, la Biblioteca<br />

27 È l’introduzione alla traduzione delle Elegie <strong>di</strong> Sesto Properzio del Brindesi (Mursia,<br />

Milano 1992), per concessione della casa e<strong>di</strong>trice Mursia.<br />

–46–


Alessandrina dell’Università “La Sapienza” e la Biblioteca Nazionale Centrale).<br />

Rispetto ai primi due volumi della serie, vi è stata una mo<strong>di</strong>fica strutturale<br />

che coincide con un progressivo ampliamento degli orizzonti della<br />

Miscellanea. Mentre, infatti, il primo numero era rivolto in via esclusiva a<br />

raccogliere i lavori dei docenti, come segno <strong>di</strong> qualificato impegno culturale<br />

a fianco <strong>di</strong> quello <strong>di</strong>dattico, il secondo già rivelava una trasformazione nel<br />

senso dell’apertura verso una <strong>di</strong>dattica attiva, con l’istituzione <strong>di</strong> una apposita<br />

sezione <strong>di</strong>dattica. Si è passati, infatti, dalla ricerca, intesa come produzione<br />

<strong>di</strong> saggi e articoli dei singoli docenti, a testimonianza dei loro interessi<br />

culturali, alla ricerca-azione, intesa come ricerca nel suo aspetto<br />

<strong>di</strong>namico, che procede da una sinergica collaborazione tra docente e alunni.<br />

Espressione della ricerca-azione sono i numerosi lavori prodotti dagli allievi<br />

stessi, sotto la guida dei docenti, alcuni dei quali sono segni <strong>di</strong> una autonoma<br />

e creativa attività in<strong>di</strong>viduale.<br />

Quin<strong>di</strong> la Miscellanea si configura come uno spazio e<strong>di</strong>toriale in cui<br />

si congiungono armoniosamente i contributi prodotti esclusivamente dai<br />

docenti, i lavori che sono frutto della collaborazione tra docenti e alunni e<br />

gli apporti dei singoli alunni. La Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche è dunque<br />

costituita da due sezioni, la “Sezione docenti”, che contiene i contributi dei<br />

docenti, e la “Sezione <strong>di</strong>dattica”, che raccoglie i lavori realizzati dagli studenti<br />

sotto la guida dei loro insegnanti. Nel quarto volume è stata aggiunta<br />

anche una “Sezione teatro”.<br />

3. Annuario e Annali. Gli annuari e gli annali sono volumi, in genere a<br />

perio<strong>di</strong>cità annuale, che rappresentano l’immagine della scuola in modo<br />

esauriente. In passato gli annuari erano concepiti come corpose pubblicazioni<br />

che univano alle informazioni e notizie riguardanti la vita della scuola (avvicendamento<br />

<strong>di</strong> presi<strong>di</strong> e docenti, composizione delle classi, eventi <strong>di</strong> ogni genere<br />

riguardanti la vita scolastica) le ricerche e i contributi più o meno impegnati<br />

dei docenti. Il livello qualitativo <strong>di</strong> queste pubblicazioni era in genere<br />

elevato e non <strong>di</strong> rado vi scrivevano docenti universitari o insegnanti che, in<br />

virtù della loro competenza e dei risultati delle loro ricerche, sarebbero presto<br />

passati dalla scuola all’università (come <strong>di</strong> regola avveniva prima del Sessantotto,<br />

giacché il docente or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> un insegnamento aveva spesso, tra i suoi<br />

titoli, la vittoria in un concorso a cattedre della scuola secondaria).<br />

Citiamo, come esempio <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione che dopo il Sessantotto si è un<br />

poco affievolita, ma che ha onorato la scuola italiana, il corposo volume<br />

(ben 358 pagine) degli Annali del liceo classico «G. Garibal<strong>di</strong>» <strong>di</strong> Palermo,<br />

–47–


nuova serie, n. 9-10, 1972-1973. Sfogliando l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> questa pubblicazione,<br />

si vede la quantità <strong>di</strong> argomenti che abbraccia, sicché può <strong>di</strong>rsi che è<br />

una pubblicazione completa. È <strong>di</strong>visa in tre sezioni: Gli anni scolastici, Per<br />

la storia dell’Istituto, La cultura e la Scuola, <strong>di</strong>stinta, a sua volta, in due<br />

sottosezioni, Saggi e ricerche e Pagine letterarie.<br />

PREMESSA (pp. V-VI)<br />

Annali del liceo classico «G. Garibal<strong>di</strong>» <strong>di</strong> Palermo<br />

Nuova serie, n. 9-10, 1972-1973<br />

INDICE<br />

PARTE PRIMA: GLI ANNI SCOLASTICI (pp. 1-46)<br />

Organi dell’Istituto nel 1971-72<br />

Personale dell’Istituto nel 1971-72<br />

Organi dell’Istituto nel 1972-73<br />

Personale dell’Istituto nel 1972-73<br />

Alunni dell’Istituto nel 1972-73 (<strong>Ginnasio</strong>-<strong>Liceo</strong>)<br />

La Cassa Scolastica (Premi <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>o - Ren<strong>di</strong>conto dell’esercizio finanziario 1971-1972<br />

- Ren<strong>di</strong>conto dell’esercizio finanziario 1972-1973)<br />

Esami <strong>di</strong> Maturità 1971-72<br />

Esami <strong>di</strong> Maturità 1972-73<br />

PARTE SECONDA: PER LA STORIA DELL’ISTITUTO (pp. 47-54)<br />

Ai colleghi che lasciano il «Garibal<strong>di</strong>»<br />

Il commiato del Preside Giuseppe Cottone<br />

Il saluto del Preside Sarino A. Costa<br />

PARTE TERZA: LA CULTURA E LA SCUOLA<br />

- SAGGI E RICERCHE (pp. 57-289)<br />

SARINO A. COSTA, Foscolo, Leopar<strong>di</strong> e il problema della mitologia<br />

G. COTTONE, La presenza «storica» <strong>di</strong> Alessandro Manzoni<br />

G. COSTA, Appunti sulla genesi del «fatto teatrale»<br />

A. M. RUTA, La funzione ideologica delle qualificazioni nel quinto capitolo <strong>di</strong> Una<br />

peccatrice<br />

G. ARICÒ28 , Su alcuni aspetti del mito tebano nelle urne volterrane<br />

28 Giuseppe Aricò era, allora, or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Lettere Latine e Greche nel corso D e comandato<br />

alla Facoltà <strong>di</strong> Magistero dell’Università <strong>di</strong> Palermo per Lingua e Letteratura Latina. Stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong><br />

letteratura greca e latina, autore <strong>di</strong> numerosi saggi, manuali e antologie scolastiche, è attualmente<br />

professore fuori ruolo presso la Facoltà <strong>di</strong> Lettere e Filosofia dell’università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Milano, ove ha insegnato Letteratura Latina e Storia del teatro greco e latino.<br />

–48–


F. BERTINI, 29 NAEV. LYCURG. 33 Ribb.³ = 35-36 Klotz = 10 Marmorale (ovvero: Un<br />

falso problema <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione manoscritta)<br />

A. DE ROSALIA, Con<strong>di</strong>zione umana dell’oratore ciceroniano<br />

G. GUTTILLA, La morte <strong>di</strong> Cremuzio Cordo nella Consolatio ad Marciam<br />

D. ROMANO, Il significato della presenza <strong>di</strong> Nerone nella Consolatio boeziana<br />

A. RUSSO, Per una lettura dell’elegia properziana (parte prima)<br />

F. CANNICI, Herbert Marcuse<br />

G. DI STEFANO, Tragicità e antinomicità nella filosofia <strong>di</strong> Kant<br />

S. GIOÈ, Dialettica e pensiero in Fichte<br />

M. BRAI - F. FERINA, I microrganismi entomopatogeni<br />

- PAGINE LETTERARIE (pp. 291-354)<br />

V. MUCIACCIA, Liriche e Immagini<br />

D. ROMANO, Dietro la storia<br />

C. ARICÒ JACONO, Tre liriche<br />

E. CARTA, Poesie e Racconti<br />

G. COSTA, Epistassi 1967<br />

A. M. DI FRESCO, Versi<br />

Notiamo anzitutto l’alto livello della sezione Saggi e ricerche, ove compaiono<br />

contributi <strong>di</strong> docenti universitari, come il prof. Ferruccio Bertini,<br />

insigne latinista. Scegliamo tra le Pagine letterarie, che presenta un’ampia<br />

raccolta <strong>di</strong> poesie e racconti, dovuti ai docenti dell’Istituto, una poesia <strong>di</strong> Antonio<br />

Maria Di Fresco, allora ex studente e giornalista collaboratore <strong>di</strong> varie<br />

testate a livello nazionale. Pensiamo che essa meglio <strong>di</strong> altre ci possa far percepire<br />

gli umori e la mentalità del tempo, i primi anni Settanta, caratterizzati<br />

da un forte impegno politico, a tutti i livelli, e da un imme<strong>di</strong>ato coinvolgimento<br />

nelle problematiche internazionali, <strong>di</strong> cui l’ambiente scolastico, e in<br />

specie, quello siciliano, cominciava a permearsi. Gli studenti e anche i docenti,<br />

alcuni in principio, poi la larga maggioranza, seguivano con passione<br />

le vicende politiche internazionali, quelle che allora portavano i giovani nelle<br />

piazze a manifestare e oggi sono <strong>di</strong>venute pagine <strong>di</strong> storia (nei primi anni<br />

Settanta ancora non si percepiva la minaccia delle Brigate Rosse, per quanto<br />

29 Ferruccio Bertini è or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Letteratura latina all’Università <strong>di</strong> Genova. In oltre trent’anni<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> ricerca ha pubblicato, fra l’altro, e<strong>di</strong>zioni, commenti e traduzioni <strong>di</strong> Plauto<br />

(l’Asinaria), Ovi<strong>di</strong>o (gli Amores), Terenzio e Rosvita. Tra le sue opere ricor<strong>di</strong>amo la cura <strong>di</strong><br />

Me<strong>di</strong>oevo al femminile (Bari 1989) e <strong>di</strong> alcune collane <strong>di</strong> testi (Comme<strong>di</strong>e latine del XII e XIII<br />

secolo, voll. I-VI, Genova 1976-1998; Trage<strong>di</strong>e latine del XII e XIII secolo, Genova 1994;<br />

Favolisti latini me<strong>di</strong>evali e umanistici, voll. I-VI, Genova 1984-1994); i suoi saggi plautini sono<br />

stati raccolti in Plauto e <strong>di</strong>ntorni, Laterza, Roma-Bari 1997. Dirige dal 1992 l’importante rivista<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> latini “Maia”.<br />

–49–


il nostro Paese fosse già stato colpito dai tragici attentati della cosiddetta<br />

“strategia della tensione”, come quello <strong>di</strong> Piazza Fontana). La poesia <strong>di</strong> Antonio<br />

Maria Di Fresco si intitola Madre del Vietnam e testimonia una sincera<br />

emozione per il dramma indocinese (che costò centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> morti,<br />

immani <strong>di</strong>struzioni e milioni <strong>di</strong> profughi in fuga dal Vietnam del Sud dopo<br />

la caduta <strong>di</strong> Saigon), che allora scosse la coscienza civile e democratica<br />

dei giovani <strong>di</strong> tutto il mondo. L’emozione dell’autore si traduce, sul piano<br />

artistico, in elegiaci accenti quasimo<strong>di</strong>ani, che sottolineano una suggestiva<br />

consonanza tra due lontane, ma analoghe esperienze <strong>di</strong> dolore:<br />

MADRE DEL VIETNAM<br />

<strong>di</strong> Antonio Maria Di Fresco<br />

(da Annali del liceo classico «G. Garibal<strong>di</strong>» <strong>di</strong> Palermo,<br />

nuova serie, n. 9-10, 1972-1973, p. 353)<br />

Io non conosco il tuo volto terrorizzato,<br />

non sono napalmizzato<br />

come tuo figlio<br />

non combatto tra le palu<strong>di</strong><br />

con un fucile, come il tuo uomo<br />

ma la mia valle del sud<br />

ripete i tuoi dolori<br />

e il mio cuore ferito<br />

si lacera come il tuo,<br />

<strong>di</strong> orrore.<br />

Madre del Vietnam, ascoltami:<br />

quando si farà sera<br />

e rimarrai sola<br />

a piangere i tuoi lutti<br />

ricordati <strong>di</strong> me nel tuo pianto<br />

e capirò, attraverso i salici<br />

della mia Sicilia, che m’hai<br />

ascoltato, che sono anch’io<br />

tuo figlio<br />

Tutti siamo tuoi figli, ora, mentre<br />

le meri<strong>di</strong>ane della morte trafiggono<br />

la tua gente ignuda, come Cristo<br />

Abbiamo riportato questo testo perché, al <strong>di</strong> là del giu<strong>di</strong>zio che la<br />

poesia può meritare e che ogni lettore ha il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> formarsi, vogliamo<br />

mostrare come negli annuari o annali <strong>di</strong> un tempo vi fosse spazio anche per<br />

le scritture creative. E quanti tra noi docenti (intendo docenti del <strong>Liceo</strong><br />

–50–


<strong>Orazio</strong>) hanno scritto poesie o racconti o pagine <strong>di</strong> <strong>di</strong>ario che tengono gelosamente<br />

sequestrati in fondo a un cassetto? Molte volte si è costretti a ciò o<br />

dal pudore che <strong>di</strong>stoglie dal rendere pubblici i sentimenti più esclusivi e privati<br />

o dal timore che i propri scritti, ingenuamente dati alla luce, possano<br />

essere <strong>di</strong>lacerati da qualche critico emunctae naris, pronto a naribus uti, per<br />

citare il grande Venosino. Eppure questa ritrosia dal “darsi” agli altri, questa<br />

non sempre opportuna riservatezza, possono privarci <strong>di</strong> godere della lettura<br />

<strong>di</strong> piccoli gioielli <strong>di</strong> poesia. Versi magari pregevoli, intelligenti, raffinati,<br />

sono condannati a restare ignorati, mentre altri <strong>di</strong> minor qualità ottengono la<br />

<strong>di</strong>gnità della stampa. Sicché non facilmente noi docenti acconsentiamo a<br />

pubblicare i nostri scritti, condannandoci al silenzio, a meno che non si<br />

scelga <strong>di</strong> affrontare la non esaltante e comunque onerosa esperienza degli<br />

APS. 30 Invece, paradossalmente, i nostri studenti, più coraggiosi o incoscienti<br />

<strong>di</strong> noi, pubblicano i loro testi sui giornalini scolastici e <strong>di</strong>ventano<br />

così (sia detto senza alcun intento polemico) l’unica voce della scuola che<br />

risuona all’esterno.<br />

Per quanto riguarda le pubblicazioni <strong>di</strong> questo tipo, vorrei menzionare<br />

gli Annali del <strong>Liceo</strong> Classico “A. <strong>di</strong> Savoia” <strong>di</strong> Tivoli. Il n. 1 uscì nel<br />

maggio 1988 e vide la collaborazione del sottoscritto che, insieme con altri<br />

più esperti e valorosi colleghi, riuscì a pubblicare questo scarno volumetto<br />

(appena 77 pagine) contenenti i seguenti lavori dei docenti: I proce<strong>di</strong>menti<br />

“cinematografici” in Dante e Tasso <strong>di</strong> Angelo Moscariello (saggista e critico<br />

cinematografico), La satira romana <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong> Antonio Bologna (stu<strong>di</strong>oso<br />

e cultore <strong>di</strong> composizione latina e poeta egli stesso in lingua latina), il mio<br />

Enno<strong>di</strong>o e la poesia odeporica latina, Problemi <strong>di</strong> metodologia della storia<br />

<strong>di</strong> Nando Fortunato Crocetti, Una questione <strong>di</strong> stile, un racconto giallo <strong>di</strong><br />

Sandro Borgia. Al n. 1 hanno fatto seguito numerosi altri volumi, in una<br />

apprezzabile continuità che si perpetua ancor oggi.<br />

Abbiamo sottomano anche il n. 15 dell’Annuario 2001/2002 del <strong>Liceo</strong><br />

Classico e Linguistico <strong>Statale</strong> “Aristofane”. Il volume ha un taglio <strong>di</strong>verso,<br />

in quanto presenta tutte le attività svolte nell’ambito scolastico. L’in<strong>di</strong>ce<br />

<strong>di</strong>vide il testo nelle seguenti sezioni: Exor<strong>di</strong>um, ΕΡΓΑ, ΗΜΕΡΑΙ, IN<br />

30 APS è acronimo <strong>di</strong> Autori a Proprie Spese. Sugli APS, che spesso sono fonte <strong>di</strong> lucro per<br />

le piccole case e<strong>di</strong>trici, ha scritto graffianti pagine Umberto Eco in Il pendolo <strong>di</strong> Foucault, Bompiani,<br />

Milano 1988, pp. 197-201. Vd. al riguardo Roberto Di Pietro, APS: voi volete le mie rose?,<br />

in “Fertili-linfe”, n. 1, estate <strong>2007</strong>, p. 5; Giorgio Maremmi, L’Agenda dello Scrittore, Firenze<br />

Athenaeum s.d. (estratto).<br />

–51–


ITINERE, CERTAMINA, CORPUS ARISTOPHANEUM, DISCIPULI<br />

INTER IPSOS. Degni <strong>di</strong> nota, nella sezione ΕΡΓΑ che comprende i lavori<br />

prodotti dagli studenti nell’ambito delle attività laboratoriali, sono il carteggio<br />

apocrifo riguardante l’instaurazione del regime repubblicano <strong>di</strong><br />

Oliver Cromwell nel 1648, le lettere che si immaginano scritte da <strong>di</strong>gnitari<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verse epoche (tra cui la zarina Caterina II), aventi per tema l’espansionismo<br />

dei Turchi nell’Europa Orientale, e un originale resoconto della Passione<br />

<strong>di</strong> Gesù narrato da Filodemo, che vi assistette, a Critone (opera dell’alunno<br />

Livio Montesarchio, II D). La sezione ΗΜΕΡΑΙ presenta, ricordandoli<br />

mese per mese, gli episo<strong>di</strong> peculiari che hanno scan<strong>di</strong>to l’anno scolastico,<br />

dall’inaugurazione dell’Erma <strong>di</strong> Aristofane ai convegni svolti nella<br />

scuola (come il convegno del giorno 8 aprile, Usus et doctrina: due ali per<br />

ascendere al mondo dei classici. Il “metodo natura” per le lingue classiche,<br />

organizzato dal prof. Alberto Tedeschi, che ha visto la partecipazione <strong>di</strong> insigni<br />

stu<strong>di</strong>osi, quali il prof. Luigi Miraglia e il prof. Hans H. Ørberg, autore,<br />

com’è noto, <strong>di</strong> un innovativo metodo <strong>di</strong> insegnamento del latino). La sezione<br />

IN ITINERE è de<strong>di</strong>cata ai viaggi e agli scambi culturali, quella dei<br />

CERTAMINA, come il nome suggerisce, alle gare e concorsi nazionali a<br />

cui ha preso parte la scuola, le sezioni CORPUS ARISTOPHANEUM e<br />

DISCIPULI INTER IPSOS contengono gli organici della scuola, corredati<br />

da numerose fotografie del corpo insegnante e delle classi. È un volume<br />

certamente utile perché vi si apprendono moltissime notizie sulle attività<br />

della scuola e dà la misura del suo notevole impegno culturale e <strong>di</strong>dattico.<br />

Purtroppo mancano contributi saggistici dei docenti.<br />

Anche il nostro <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> ha pubblicato, nell’anno scolastico <strong>2007</strong>-<br />

2008, il primo numero dell’Annuario. La pubblicazione cerca <strong>di</strong> conciliare<br />

due opposte esigenze: quella <strong>di</strong> informare sulle attività della scuola e sulla<br />

vita dell’istituto e quella <strong>di</strong> riservare uno spazio ai docenti per la pubblicazione<br />

dei loro contributi. È <strong>di</strong>visa perciò in tre sezioni, Vita dell’Istituto,<br />

Le attività realizzate, Contributi dei docenti, che si spera possano essere<br />

negli anni futuri sempre più arricchite dall’apporto <strong>di</strong> nuovi collaboratori.<br />

4. Quaderni monografici e testi <strong>di</strong> progetti ed esperienze <strong>di</strong>dattiche.<br />

Un possibile progetto: i Quaderni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>. Anche se non ha mai<br />

pubblicato una organica collana <strong>di</strong> saggi, il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> ha però dato alla<br />

luce alcune pubblicazioni che costituiscono veri e propri numeri monografici<br />

su argomenti specifici, correlati a iniziative <strong>di</strong> tipo progettuale e laboratoriale.<br />

Citiamo, per il Progetto “La Scuola adotta un monumento” (pro-<br />

–52–


mosso a Napoli dalla Fondazione Napoli Novantanove e in seguito sviluppatosi<br />

su rete nazionale, con l’adesione, quin<strong>di</strong>, delle scuole romane), il<br />

volumetto Villa Torlonia, il suo parco ed i suoi e<strong>di</strong>fici (collana “La Scuola<br />

Adotta un Monumento”, n. 19), Fratelli Palombi E<strong>di</strong>tori, Roma 1997 (curato<br />

dai giovani studenti protagonisti del progetto, ossia le classi I C, I D, I E del<br />

liceo classico, II B, II C, IV A del liceo linguistico, guidati da un gruppo <strong>di</strong><br />

docenti con il coor<strong>di</strong>namento della prof.ssa Carla Michelli <strong>di</strong> storia dell’arte).<br />

Ad esso ha fatto seguito, per l’anno scolastico 1998-1999 e relativamente<br />

al medesimo progetto, la pubblicazione Itinerari storici, artistici,<br />

letterari ed ambientali intorno a Villa Torlonia, frutto del lavoro <strong>di</strong> un team<br />

<strong>di</strong> insegnanti, sempre coor<strong>di</strong>nati dalla prof.ssa Carla Michelli, assieme alle<br />

classi II C e III E (liceo classico) e IV BL e IV CL (liceo linguistico).<br />

Ricor<strong>di</strong>amo anche la pubblicazione “Rerum Cognoscere Causas” (Virgilio<br />

- Georgiche II, 490), Dall’alba delle conoscenze astronomiche alla cosmologia<br />

contemporanea, Roma 1997, che è il catalogo della mostra progettata<br />

e realizzata presso il <strong>Liceo</strong> “<strong>Orazio</strong>” da un gruppo <strong>di</strong> lavoro coor<strong>di</strong>nato<br />

dalla prof.ssa Rosanna D’Amato De Leo, con il patrocinio del MUSIS<br />

(Museo della Scienza e dell’Informazione Scientifica a Roma), per l’anno<br />

scolastico 1995/1996.<br />

Un collana <strong>di</strong> saggi monografici non è però mai stata pubblicata né nella<br />

nostra scuola né, per quel che sappiamo, in altri istituti. Potrebbe allora avviarsi<br />

nella nostra scuola la realizzazione <strong>di</strong> uno specifico progetto e<strong>di</strong>toriale,<br />

quello dei Quaderni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>. Il progetto sarebbe un vero e proprio<br />

progetto e<strong>di</strong>toriale, finalizzato sia a valorizzare l’impegno culturale e professionale<br />

dei docenti dell’Istituto sia ad avviare l’autonomia dell’Istituto anche<br />

in campo e<strong>di</strong>toriale. Il progetto avrebbe le seguenti caratteristiche. Esso<br />

consisterebbe nella pubblicazione <strong>di</strong> una collana <strong>di</strong> testi scritti dai docenti<br />

del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>, i Quaderni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>. La collana si articolerebbe in<br />

quattro sezioni (ciascuna sezione sarebbe <strong>di</strong>stinta da un colore <strong>di</strong>verso della<br />

copertina del volume: si propongono quattro esempi <strong>di</strong> colori):<br />

• Saggi e ricerche (colore della copertina: verde): la sezione Saggi<br />

e ricerche comprenderà saggi scientifici e <strong>di</strong>vulgativi a carattere<br />

monografico, su qualsiasi argomento culturale o relativo alle materie<br />

curricolari (letterature classiche, letteratura italiana, letterature<br />

moderne, linguistica, storia, filosofia, <strong>di</strong>ritto, economia, scienze,<br />

storia delle religioni, storia dello spettacolo, etc.). Potranno anche<br />

essere previsti volumi monotematici, che comprenderanno i saggi <strong>di</strong><br />

più docenti su un unico tema, trattato in prospettiva inter<strong>di</strong>sciplinare.<br />

–53–


• Testi e commenti (colore della copertina: blu): la sezione Testi e<br />

commenti comprenderà e<strong>di</strong>zioni critiche e traduzioni, commenti a<br />

testi <strong>di</strong> autore, antologie <strong>di</strong> autori, raccolte <strong>di</strong> fonti letterarie con<br />

traduzione e commento, raccolte <strong>di</strong> testi per esercitazioni. I volumi<br />

<strong>di</strong> questa sezione si configurano quali testi <strong>di</strong> supporto <strong>di</strong>dattico, da<br />

affiancare ai manuali e alle antologie in uso.<br />

• Esperienze <strong>di</strong>dattiche (colore della copertina: arancione): in questa<br />

sezione saranno pubblicati i lavori realizzati dai docenti in ambito<br />

laboratoriale e progettuale, con la collaborazione degli studenti.<br />

• Scritture creative (colore della copertina: rosso): la sezione accoglierà<br />

testi narrativi, raccolte <strong>di</strong> poesie, testi teatrali e ogni lavoro<br />

frutto della creatività dei docenti e degli studenti.<br />

Per quanto attiene alla perio<strong>di</strong>cità, si potrebbe prevedere l’uscita <strong>di</strong><br />

quattro volumi annuali, uno per ogni sezione. I testi pubblicati avrebbero<br />

una numerazione progressiva, sarebbero <strong>di</strong>stinti per sezione e porterebbero<br />

in copertina una <strong>di</strong>citura, ad esempio, <strong>di</strong> questo tipo:<br />

Quaderni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong><br />

n. 1 anno scolastico...<br />

Sezione: Testi e commenti (o altra sezione)<br />

Nome dell’autore<br />

Titolo del volume<br />

Di ogni testo pubblicato verrebbero stampate 100 copie (per un totale<br />

massimo <strong>di</strong> 400 copie l’anno). Le copie sarebbero <strong>di</strong>stribuite gratuitamente<br />

a docenti e alunni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>. Per ovviare al problema dei costi <strong>di</strong><br />

stampa ci si potrebbe rivolgere a quelle tipografie che stampano <strong>di</strong>spense<br />

universitarie, vicino alla sede dell’Università “La Sapienza”. Per ottenere<br />

un certo risparmio sui costi, i volumi potrebbero essere litografati. Inoltre si<br />

potrebbe chiedere a istituti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, altri enti, <strong>di</strong>tte e imprese un contributo<br />

al sostegno delle spese <strong>di</strong> pubblicazione, in cambio della concessione<br />

<strong>di</strong> spazi pubblicitari (seconda e terza <strong>di</strong> copertina). 31<br />

31 La soluzione, ancorché poco elegante, non dovrebbe scandalizzare. Risulta un’abitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong>ffusa tra le riviste culturali e scientifiche, anche <strong>di</strong> alto livello, come la “Nuova Antologia”, che<br />

concede nei suoi numeri numerose pagine alla pubblicità.<br />

–54–


5. Testi <strong>di</strong> narrativa, poesia e teatro. In alternativa alla serie specificamente<br />

prevista per i Quaderni del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> (Scritture creative) si<br />

potrebbero pubblicare in una apposita collana <strong>di</strong> “scritture creative” racconti<br />

o romanzi o raccolte <strong>di</strong> poesie o soggetti e/o copioni per il laboratorio<br />

teatrale della scuola. Testi del genere hanno già visto la luce nella<br />

nostra scuola, ma non in pubblicazioni specifiche. Negli anni scorsi il<br />

Prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski, regista teatrale <strong>di</strong> grande esperienza, ha tenuto<br />

nel nostro Istituto un apprezzato laboratorio <strong>di</strong> teatro e i copioni degli<br />

spettacoli messi in scena dai suoi studenti sono stati pubblicati sulla<br />

Miscellanea, nella “Sezione <strong>di</strong>dattica”: L’opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John<br />

Gay sulla Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche n. 2, anno scolastico 2004-<br />

2005, pp. 266-298, e ...Siamo fatti della stessa stoffa <strong>di</strong> cui sono fatti i<br />

sogni (antologia da Shakespeare) sulla Miscellanea n. 3, anno scolastico<br />

2005-2006, pp. 355-378. Sulla Miscellanea n. 4, anno scolastico 2006-<br />

<strong>2007</strong>, nell’apposita “Sezione teatro” è stato poi pubblicato il copione dell’omonimo<br />

spettacolo teatrale tratto dai Promessi Sposi e rappresentato<br />

agli studenti delle scuole italiane per l’adattamento <strong>di</strong> Paola Scotto <strong>di</strong> Tella<br />

e la regia <strong>di</strong> Giovanni Nardoni. 32 Sono apparsi poi anche racconti <strong>di</strong> docenti<br />

e studenti, pubblicati sempre sulla Miscellanea: Il romanzo <strong>di</strong> Enea<br />

dello studente Fabrizio Cosmi e Made in America <strong>di</strong> Lorenzo Pani, prodotti<br />

dell’attività <strong>di</strong>dattica del prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski (pubblicati sul n. 2<br />

della Miscellanea) e Il regno <strong>di</strong> Naturalia, Il primo figlio e Il canto <strong>di</strong> Assuntina,<br />

del prof. Giuseppe D’Avino, preside del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> fino all’anno<br />

scolastico 2005-2006, e L’ultimo sguardo cieco, racconto della studentessa<br />

Francesca Rubini (testi pubblicati sul n. 3 della Miscellanea).<br />

Scritti del genere si potrebbero raccogliere in apposite pubblicazioni <strong>di</strong><br />

scrittura creativa, comprendenti testi narrativi, lirici e teatrali prodotti da<br />

docenti e studenti della scuola. Segnaliamo al riguardo la pubblicazione<br />

del <strong>Liceo</strong> Classico e Linguistico <strong>Statale</strong> “Aristofane”, Nefelai, officina <strong>di</strong><br />

giovani scrittori ideata e condotta da Giuseppe Elio Ligotti, biennio 2002-<br />

2003 e 2003-2004, Roma 2004. L’iniziativa ha avuto il patrocinio della<br />

Provincia <strong>di</strong> Roma, Assessorato alle politiche culturali, della comunicazione<br />

e dei sistemi informativi.<br />

32 È stato rappresentato agli studenti del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> al Teatro delle Muse il 6 novembre<br />

<strong>2007</strong>.<br />

–55–


6. Pubblicazioni celebrative. Sono volumi pubblicati per il cinquantenario<br />

o il centenario della fondazione degli istituti scolastici, e sono molto<br />

importanti perché contengono la “memoria storica” della scuola, con notizie<br />

sulla fondazione della scuola, sul corpo insegnanti che si è avvicendato<br />

nelle aule, sui personaggi famosi che vi hanno insegnato o stu<strong>di</strong>ato. Ogni<br />

scuola vede così valorizzate le proprie origini e tra<strong>di</strong>zioni. Se le scuole<br />

hanno particolare importanza nel territorio, questi volumi possono essere<br />

patrocinati da enti e istituzioni. Citiamo, per un esempio significativo, il volume<br />

I cento anni del liceo “Duni” <strong>di</strong> Matera, stu<strong>di</strong> e testimonianze, a cura<br />

<strong>di</strong> Giuseppe Bruno, E<strong>di</strong>zioni Grafiche Schena, Fasano 1965. La pubblicazione,<br />

promossa per celebrare il centenario del prestigioso <strong>Liceo</strong> ginnasio<br />

statale E. Duni <strong>di</strong> Matera, fu patrocinata da un prestigioso comitato d’onore,<br />

che annoverava, quale presidente, il Ministro della Pubblica Istruzione On.<br />

Luigi Gui, e quali componenti l’On. Emilio Colombo, Ministro del Tesoro,<br />

il dott. Tommaso Bevivino, prefetto <strong>di</strong> Matera, mons. Giacomo Palombella,<br />

arcivescovo <strong>di</strong> Matera, il dott. Giuseppe La Macchia, sindaco <strong>di</strong> Matera,<br />

l’avv. Salvatore Peragine, presidente della Provincia <strong>di</strong> Matera, il dott. Teubaldo<br />

Noschese, provve<strong>di</strong>tore agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Matera. Una scuola prestigiosa,<br />

<strong>di</strong>cevamo: in quelle aule vi insegnò il neolaureato Giovanni Pascoli, dal<br />

1882 al 1884, e da esse uscirono filologi come Nicola Festa, critici come<br />

Giuseppe De Robertis, poeti come Rocco Scotellaro. Presentiamo l’in<strong>di</strong>ce<br />

del volume, contenente numerosi saggi, con collaborazioni <strong>di</strong> prestigio:<br />

I cento anni del liceo “Duni” <strong>di</strong> Matera, stu<strong>di</strong> e testimonianze<br />

INDICE<br />

PREMESSA<br />

Presentazione<br />

L’augurio del Provve<strong>di</strong>tore agli stu<strong>di</strong><br />

PROLOGO<br />

GIUSEPPE DE ROBERTIS, Saluto a Matera<br />

PARTE PRIMA: IL LICEO TRA LA STORIA E I RICORDI (pp. 19-71)<br />

RAFFAELE GIURA LONGO, Le origini del <strong>Liceo</strong> «E. Duni» e la sua funzione nella Società<br />

materana<br />

GIUSEPPE BRUNO, Il <strong>Liceo</strong> «Duni», oggi<br />

GIUSEPPE LIPPARINI, Pascoli a Matera<br />

LUIGI LOPERFIDO, Tipi e macchiette del «Duni»<br />

NICOLA TORTORELLI, Dolce richiamo<br />

GIAMBATTISTA SALINARI, Matera e il suo <strong>Liceo</strong> tra il 1919 e il 1923<br />

–56–


NICOLA SERRAVEZZA, Spunti e ricor<strong>di</strong><br />

ANTONIO DEL SALVATORE, Il <strong>Liceo</strong> «Duni» nel ricordo <strong>di</strong> un vecchio alunno<br />

GIUSEPPE GIANNOTTA, L’aria <strong>di</strong> allora<br />

ANDREA GUARINI, Il «Duni» tra il 1931 e il 1939<br />

PARTE SECONDA: I MAESTRI E GLI ALLIEVI (pp. 73-141)<br />

ROCCO MONTANO, Commemorazione <strong>di</strong> Giovanni Pascoli<br />

[RAFFAELE SARRA], Vincenzo D’Addozio<br />

MAURO PADULA, Arcangelo Ghisleri<br />

FELICE GINO LO PORTO, Domenico Ridola e la paletnologia del Materano<br />

EMANUELE PIZZILLI, Domenico Ridola nella vita politica dei primi anni del 900<br />

MAURO PADULA, Raffaele Sarra<br />

VINCENZO LAPICCIRELLA, Nicola Festa<br />

EUFEMIA D’ERARIO, Giuseppe De Robertis<br />

BENITO URAGO, Rocco Scotellaro<br />

GIUSEPPE BRUNO, Marcello Bonacchi<br />

PARTE TERZA: SAGGI (pp. 143-287)<br />

E. PAOLO LAMANNA, Il mio spiritualismo<br />

GIUSEPPE DE ROBERTIS, «Alle fonti del Clitunno» <strong>di</strong> Giosuè Carducci<br />

GIOVANNI B. BRONZINI, Forme, aspetti e problemi della drammatica popolare italiana<br />

BENITO URAGO, A proposito della vita <strong>di</strong> Dante scritta dal montalbanese F. Lo Monaco<br />

DANIELE BOLLETTIERI, Alcune considerazioni sui <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> vista del Leopar<strong>di</strong><br />

PIETRO LEONE, Tzetziana<br />

EUSTACHIO TORTORELLI, L’aritmogeometria pitagorica e il «canone» <strong>di</strong> Policleto<br />

EUFEMIA D’ERARIO, La servitù me<strong>di</strong>oevale nei monasteri della Campania (secc. IX-XIII)<br />

DOMENICO ROBERTI, Alcuni aspetti della socialità negli insetti<br />

APPENDICI<br />

Celebrazioni pascoliane<br />

Maestri ed allievi nell’anno 1964-1965<br />

Collaboratori<br />

7. Storia dell’Istituto. Il taglio storico appare più netto in quei volumi<br />

che si propongono <strong>di</strong> ripercorrere, attraverso la raccolta delle più <strong>di</strong>verse<br />

fonti <strong>di</strong> documentazione, la storia <strong>di</strong> un istituto scolastico, dalle sue origini<br />

ai nostri giorni. Ma la ricostruzione della storia <strong>di</strong> una scuola va ben al <strong>di</strong> là<br />

della nuda cronaca, per offrire al lettore uno spaccato della vita scolastica,<br />

con le lezioni e gli aneddoti <strong>di</strong> professori che sono rimasti nella memoria <strong>di</strong><br />

generazioni <strong>di</strong> studenti, le amicizie fiorite tra i banchi <strong>di</strong> scuola, le prime<br />

emozioni e turbamenti delle esperienze sentimentali, le turbolenze della<br />

contestazione e delle lotte politiche. Tutto ciò che è in<strong>di</strong>ssolubilmente<br />

legato all’atmosfera <strong>di</strong> epoche che si succedevano rapide con il portato <strong>di</strong><br />

–57–


novità destinate a cambiare la mentalità e il costume degli italiani, si coglie<br />

riflesso nella storia <strong>di</strong> un liceo come il Tasso, alla cui storia l’associazione<br />

“Amici del Tasso” ha de<strong>di</strong>cato un corposo e ricco volume, Un liceo per la<br />

Capitale. Storia del liceo Tasso (1887-2000), a cura <strong>di</strong> Filippo Mazzonis,<br />

Libreria E<strong>di</strong>trice Viella, Roma 2005, rist. Diviso in tre parti (Parte prima:<br />

la storia, Parte seconda: le immagini, Parte terza: le testimonianze), il<br />

volume nella scansione della storia del prestigioso liceo romano, tra i cui<br />

banchi sono cresciute personalità <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne della cultura, della politica,<br />

dell’informazione, dello spettacolo, 33 ne ripercorre le vicende presentando<br />

numerosissime testimonianze e aneddoti che <strong>di</strong>mostrano la fedeltà, pur<br />

nelle vicissitu<strong>di</strong>ni dei tempi, a un’alta tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> cultura e impegno<br />

formativo (si veda, per un significativo esempio, la gustosa rievocazione<br />

<strong>di</strong> Vittorio Gassman, ricavata dalla sua autobiografia Un grande avvenire<br />

<strong>di</strong>etro le spalle, Longanesi & C., Milano 1981).<br />

Anche per il nostro <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> si potrebbe progettare una pubblicazione<br />

analoga, ossia un volume che rievochi la storia della scuola, dalla sua<br />

fondazione ai nostri giorni. Occorrerebbe rintracciare gli ex allievi, raccogliere<br />

da loro testimonianze e aneddoti sui loro compagni, sui professori e<br />

sui presi<strong>di</strong> che hanno <strong>di</strong>retto la scuola. Naturalmente anche gli ex presi<strong>di</strong> e<br />

gli ex docenti potrebbero essere invitati a fornire loro contributi sulle esperienze<br />

vissute al <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>. Occorrerebbe poi anche un capillare lavoro<br />

<strong>di</strong> ricerca e documentazione: molto materiale potrebbe fornirlo l’archivio<br />

della segreteria, che dovrebbe conservare i vecchi registri <strong>di</strong> classe e i verbali<br />

delle riunioni degli organi collegiali, attraverso cui ricostruire le decisioni<br />

che hanno segnato la vita della scuola e le linee <strong>di</strong> politica scolastica<br />

messe in atto dalle varie <strong>di</strong>rigenze. Ma una buona fonte <strong>di</strong> documentazione<br />

potrebbe essere costituita anche dai volantini politici che venivano (e vengono)<br />

<strong>di</strong>stribuiti davanti al cancello della scuola: i volantini delle più <strong>di</strong>verse<br />

tendenze politiche contengono, a saperli ben leggere e interpretare,<br />

una straor<strong>di</strong>naria messe <strong>di</strong> informazioni con le quali ricostruire i momenti<br />

salienti delle vicissitu<strong>di</strong>ni all’interno della scuola. Un’ultima – ma non<br />

meno importante e preziosa delle altre – raccolta <strong>di</strong> notizie potrebbe prove-<br />

33 Basti citare i nomi <strong>di</strong> Giulio Andreotti, Vittorio Gassman, Luigi Squarzina, Carlo Cassola,<br />

Bruno Zevi, Paolo Alatri, Ruggero Zangran<strong>di</strong>, Vittorio Bachelet, fino agli o<strong>di</strong>erni uomini politici<br />

Veltroni, Gasparri e Tajani. Mussolini scelse il Tasso per i propri figli Bruno, Vittorio e Romano,<br />

ma, paradossalmente, il liceo <strong>di</strong>venne luogo <strong>di</strong> formazione delle coscienze <strong>di</strong> giovani che sarebbero<br />

poi stati esempio dei valori democratici e antifascisti, come Alfredo Reichlin e Luigi Pintor.<br />

–58–


nire dai giornalini scolastici che nel tempo si sono succeduti: numeri che,<br />

nella continuità della loro pubblicazione frutto dell’encomiabile sforzo <strong>di</strong><br />

pochi valorosi studenti, sono impregnati del clima che si respirava nella<br />

scuola e nel territorio, e testimoniano l’evoluzione delle mode e della mentalità<br />

giovanile, assai meglio <strong>di</strong> una indagine sociologica.<br />

8. Testi scolastici. Questo è il punto, a nostro giu<strong>di</strong>zio, più ambizioso e<br />

innovativo <strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> autoe<strong>di</strong>toria scolastica: la elaborazione <strong>di</strong> veri e<br />

propri testi scolastici, da utilizzare in classe con i propri studenti affiancando<br />

i testi in adozione. Quando noi docenti vogliamo fare un approfon<strong>di</strong>mento,<br />

in genere ci procuriamo i brani <strong>di</strong> saggistica o le letture da presentare<br />

agli studenti e le forniamo loro in fotocopie. Perché non raccogliere e<br />

or<strong>di</strong>nare queste pagine in pubblicazioni, corredandoli da introduzioni e note<br />

esplicative, come vere e proprie <strong>di</strong>spense o testi <strong>di</strong> supporto da affiancare al<br />

manuale? Il lavoro <strong>di</strong> un docente, che sempre sta a monte <strong>di</strong>etro la ricerca e<br />

la scelta <strong>di</strong> pagine <strong>di</strong> saggi e testi oltre il manuale per approfon<strong>di</strong>re un dato<br />

argomento del programma curricolare, sarebbe reso meno precario e<br />

avrebbe una forma e<strong>di</strong>toriale tale da poter essere riutilizzabile anche in seguito<br />

da lui o da altri colleghi, interessati magari allo stesso percorso <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento.<br />

Sarebbe prematuro, poi, pensare alla elaborazione <strong>di</strong> manuali<br />

delle materie curricolari? I professori, da singoli o, meglio ancora, associati<br />

(per classi parallele o per singole sezioni), potrebbero produrre manuali<br />

<strong>di</strong> letteratura italiana, latina, greca, e delle altre letterature moderne, e<br />

ancora antologie <strong>di</strong> testi letterari. Oppure testi <strong>di</strong> grammatica ed esercizi <strong>di</strong><br />

lingua, per il biennio. I volumi prodotti sarebbero poi <strong>di</strong>stribuiti agli studenti<br />

gratuitamente o a prezzo assai contenuto (ad esempio, 10 euro), a parziale<br />

copertura delle spese <strong>di</strong> stampa. Se questo progetto appare (come in<br />

effetti è) alquanto utopistico, i docenti potrebbero almeno mettere in comune<br />

le loro competenze per realizzare testi complementari rispetto a quelli<br />

in uso. In questo modo si raggiungerebbero almeno quattro risultati, a mio<br />

giu<strong>di</strong>zio, positivi:<br />

• la scuola stessa realizzerebbe l’autoproduzione del sapere e degli<br />

strumenti del sapere (quali sono, per eccellenza, i manuali scolastici);<br />

• i docenti avrebbero a <strong>di</strong>sposizione un manuale unico o più testi in<br />

comune, rendendo così i programmi e le valutazioni più omogenei;<br />

• inoltre potrebbero meglio verificare i loro saperi e realizzare una costante<br />

pratica <strong>di</strong> autoaggiornamento sulle <strong>di</strong>scipline che insegnano;<br />

–59–


• le famiglie, a fronte <strong>di</strong> un contributo scolastico sempre oggetto <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scussione (a torto o a ragione), riceverebbero i testi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o per i<br />

loro figli <strong>di</strong>rettamente dalla scuola e non dovrebbero più sostenere<br />

l’onere <strong>di</strong> una spesa talvolta esorbitante.<br />

Come realizzare un progetto <strong>di</strong> pubblicazione scolastica? Enucleiamo <strong>di</strong><br />

seguito le fasi del lavoro. Anzitutto, bisognerebbe stabilire se il progetto<br />

debba essere realizzato da un singolo o da un apposito comitato <strong>di</strong> redazione.<br />

Poi occorre scan<strong>di</strong>re nel tempo le fasi <strong>di</strong> lavoro, che può essere compiuto<br />

in uno o più anni scolastici successivi, secondo una tabella, come<br />

quella che, ad esempio, riportiamo <strong>di</strong> seguito: 1) avviso ai docenti, tramite<br />

apposita circolare, della iniziativa <strong>di</strong> pubblicazione; 2) consegna al responsabile<br />

o al comitato <strong>di</strong> redazione, entro un tempo prestabilito, dei contributi<br />

da pubblicare; 3) uniformizzazione elettronica dei testi e preparazione dell’in<strong>di</strong>ce;<br />

4) consegna dei testi al tipografo per la composizione elettronica;<br />

5) stampa e correzione delle prime bozze; 6) eventuale correzione delle seconde<br />

bozze; 7) revisione finale delle bozze pronte per la stampa (in tipografia,<br />

ad opera del responsabile e del tipografo); 8) pubblicazione e <strong>di</strong>stribuzione<br />

del volume ai docenti e agli studenti; 9) relazione finale.<br />

Naturalmente, per realizzare un ambizioso e impegnativo progetto <strong>di</strong><br />

autoe<strong>di</strong>toria come quello che sopra ho cercato <strong>di</strong> delineare, occorre molta<br />

competenza e buona volontà da parte dei docenti, e soprattutto la possibilità<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> adeguati.<br />

Per quanto riguarda l’impegno e la buona volontà dei docenti, osservo<br />

che molti colleghi, giovani e non, freschi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> universitari, perfezionati,<br />

specializzati, provvisti <strong>di</strong> master e/o dottorato <strong>di</strong> ricerca, hanno agio <strong>di</strong> continuare<br />

i loro stu<strong>di</strong> e <strong>di</strong> pubblicare i loro articoli nelle riviste scientifiche,<br />

quelle <strong>di</strong> più alto prestigio, che, fra l’altro, danno titolo per accedere ai concorsi<br />

universitari. Ma perché non dovrebbero generosamente concedere un<br />

qualche contributo estratto dal loro lavoro, oltre che a riviste specialistiche<br />

e prestigiose, anche a una pubblicazione dell’istituto, per quanto ben più<br />

modesta? Sarebbe un modo per mettere a parte i colleghi dei loro interessi e<br />

delle loro competenze, offrendo l’opportunità <strong>di</strong> trovare stimoli e interessi<br />

per arricchire le proprie conoscenze e, quin<strong>di</strong>, per trarre una benefica ricaduta<br />

sulla <strong>di</strong>dattica, sui contenuti delle lezioni.<br />

Inoltre tra gli elementi del nuovo profilo dello status <strong>di</strong> insegnante nella<br />

scuola dell’autonomia figura quello, irrinunciabile, delle conoscenze su cui<br />

costruire la propria professionalità. L’insegnante deve o dovrebbe avere<br />

–60–


una padronanza competente dei contenuti della propria <strong>di</strong>sciplina, acquisita<br />

possibilmente attraverso un’attività <strong>di</strong> ricerca. 34 Orbene, questa ricerca, se<br />

non può svolgersi in un corso universitario post lauream, non potrebbe<br />

effettuarsi nell’ambito <strong>di</strong> una pubblicazione destinata a vedere la luce nella<br />

scuola?<br />

Infine, se la scuola fosse sempre estranea a qualsiasi idea <strong>di</strong> autoe<strong>di</strong>toria<br />

scolastica si avrebbe, fra l’altro, questa paradossale situazione: gli studenti<br />

avrebbero assicurata la possibilità <strong>di</strong> far sentire la loro voce nei giornalini<br />

scolastici, che in ogni scuola non mancano mai (da quelli ciclostilati a quelli<br />

su carta patinata), mentre i docenti non avrebbero i mezzi per esprimere la<br />

loro presenza, in termini <strong>di</strong> produzione culturale, nella scuola.<br />

L’ultima riflessione è, forse, quella meno ottimistica. Le casse delle<br />

scuole raramente sono state pingui e oggi siamo in tempi <strong>di</strong> magra: i tagli ai<br />

fon<strong>di</strong> fanno avvertire i loro effetti un po’ in tutti i settori. D’altra parte si<br />

tratta <strong>di</strong> scelte politiche, che non vogliamo in questa sede mettere in <strong>di</strong>scussione,<br />

pur considerando che immaginare una scuola pubblica <strong>di</strong> qualità<br />

senza provvederla <strong>di</strong> consistenti risorse finanziarie risulta alla fine improvvido<br />

e velleitario.<br />

La voce dell’e<strong>di</strong>toria dovrebbe, anzi, entrare permanentemente nel<br />

bilancio scolastico. Ma forse i miei sono soltanto desideri utopistici, sogni<br />

destinati magari ad avverarsi in un ipotetico futuro, più o meno lontano.<br />

Tornando perciò alle considerazioni iniziali, a proposito del sogno che mi<br />

affascina e che spererei veder realizzato un giorno, concludo prendendo a<br />

prestito e parafrasando le parole che un grande Idealista (molto più grande,<br />

ovviamente, del sottoscritto), Martin Luther King, rivolse alle migliaia <strong>di</strong><br />

fratelli neri, in lotta per un avvenire migliore:<br />

Io ho un sogno, che un giorno questi progetti <strong>di</strong>venteranno realtà, che<br />

un giorno collaboreremo insieme per realizzare le nostre pubblicazioni.<br />

Io ho un sogno, che un giorno le <strong>di</strong>fficoltà, le <strong>di</strong>ffidenze, le tortuosità<br />

che ostacolano questi progetti saranno finalmente appianate.<br />

Con questo sogno potremo cavare dalla montagna della rassegnazione,<br />

dell’in<strong>di</strong>fferenza, del <strong>di</strong>sincanto, una pietra <strong>di</strong> speranza con cui costruire<br />

una scuola più bella, più ricca, più affascinante.<br />

34 “L’insegnante deve avere una padronanza competente <strong>di</strong> tali contenuti e dei meto<strong>di</strong> e para<strong>di</strong>gmi<br />

scientifici ad essi collegati, possibilmente acquisita attraverso un’esperienza <strong>di</strong> ricerca”, in<br />

Associazione TreeLLLe, Quali insegnanti per la scuola dell’autonomia?, Quaderno n. 4, luglio<br />

2004 2 , p. 96.<br />

–61–


Con questo sogno potremo trasformare le stridenti <strong>di</strong>scordanze che ci<br />

<strong>di</strong>vidono in una bellissima sinfonia <strong>di</strong> fraternità.<br />

Con questo sogno potremo lavorare insieme, sapendo che per ciò che<br />

noi faremo i nostri studenti un giorno ci ringrazieranno. 35<br />

35 Le parole sono tratte, com’è ben chiaro, dal celebre <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Martin Luther King, “I have<br />

a dream”, tenuto in occasione della marcia su Washington il 28 agosto 1963 (da Martin Luther<br />

King, Autobiografia, a cura <strong>di</strong> Clayborne Carson, e<strong>di</strong>zione speciale per Famiglia Cristiana, su<br />

lic. Mondadori, Milano 2001, p. 229).<br />

–62–


ADRIANA DE NICHILO<br />

Appunti <strong>di</strong> un viaggio<br />

nella memoria<br />

Camminiamo. Stretti gli uni agli altri, camminiamo. Per essere così numerosi,<br />

c’è poco rumore; solo i nostri passi pesanti sui ciottoli del sentiero<br />

che altri hanno calpestato prima <strong>di</strong> noi. Camminiamo, silenziosi. Al centro<br />

del grande gruppo i sopravvissuti, ai quali, quasi istintivamente, ci stringiamo,<br />

per sospingerli, sostenerli con il nostro bisogno <strong>di</strong> vedere, conoscere, costatare<br />

con mano, testimoniare. Siamo a Birkenau. È una giornata singolarmente<br />

soleggiata, serena, sebbene sia novembre. Nonostante i prati erbosi ed<br />

il pallido sole, il campo <strong>di</strong> sterminio appare ugualmente desolato, spettrale,<br />

posto nel nulla.<br />

Le sorelle Andra e Tatiana Bucci ricordano che questa strada che stiamo<br />

ora percorrendo, ai loro piccoli passi <strong>di</strong> bambine, apparve interminabile. Forse<br />

sono circa ottocento metri, ma anche alle mie gambe essi sembrano lunghi<br />

e faticosi. Camminiamo, spalla a spalla, in folto e silenzioso gruppo, già pervasi<br />

dall’orrore <strong>di</strong> ciò che stiamo per vedere: visto mille volte, ma mai così<br />

orribile come ora ci appare.<br />

Abbiamo già sostato a fianco dei binari che portavano i deportati verso la<br />

morte, abbiamo già visto i vagoni che traghettavano gli innocenti verso l’annientamento,<br />

abbiamo già pianto sulla Judenrampe che destinava alla morte<br />

le vittime della barbarie: questa è la Shoah, ci spiega il professor Pezzetti.<br />

Ed ora camminiamo, in cinquecento, silenziosi: ripercorriamo la strada<br />

dei “salvati”.<br />

Il percorso è lungo anche per noi che non usciamo da vagoni piombati,<br />

dopo un viaggio durato interminabili giorni, senza acqua né cibo né aria, senza<br />

sapere dove si è <strong>di</strong>retti né perché. Ho le gambe pesanti e la strada è lunga<br />

anche per chi la ripercorre senza paura, senza angoscia, senza sofferenza. La<br />

pena è, però, nel cuore che rivive l’orrore, lo sperimenta “materialmente” e<br />

spiritualmente.<br />

Ecco l’ingresso al lager. Proprio come nei filmati e nelle fotografie.<br />

Ma nel vuoto, nel nulla circostante, esso appare <strong>di</strong> gran lunga più sinistro.<br />

Varchiamo quella tragica soglia e davanti ai nostri occhi si apre una landa<br />

immensa e senza confini, solitaria. Eppure c’è il sole, non fa freddo, non c’è<br />

–63–


neve, c’è l’erba verde nei prati, non c’è fango e delle baracche restano solo<br />

innumerevoli camini <strong>di</strong> mattoni.<br />

Camminiamo: a destra alcune baracche <strong>di</strong> legno (la quarantena maschile),<br />

latrine con cento fori indecenti allineati, e poi tavolacci sconnessi per letto:<br />

ogni baracca poteva contenere fino a mille deportati.<br />

A sinistra caseggiati in mattoni: il campo delle donne e dei bambini.<br />

Anche qui tavolacci sovrapposti gli uni sugli altri per precario giaciglio.<br />

In fondo le camere a gas <strong>di</strong>strutte dai nazisti prima dell’arrivo dell’armata<br />

russa.<br />

I sopravvissuti parlano, raccontano con voce rotta e spesso flebile: il<br />

nostro grande gruppo si stringe a loro in commosso ascolto. Camminiamo:<br />

questo luogo è sconfinato; il vento soffia ed il sole è ora coperto da una livida<br />

nuvola.<br />

Entriamo nella ZentralSauna: una ragazza sviene: sarà la stanchezza o<br />

l’angoscia? È subito soccorsa dal me<strong>di</strong>co che accompagna coloro che hanno<br />

aderito al “Viaggio nella memoria” promosso dal Comune <strong>di</strong> Roma.<br />

Come non svenire vedendo le misere cose esposte nelle bacheche? Pettini,<br />

scarpe, pennelli da barba, valige, guantini. Nella “Sauna” i deportati<br />

venivano lavati, <strong>di</strong>sinfettati, tatuati ed avviati alla vita del campo: loro erano i<br />

sopravvissuti alla prima selvaggia selezione, che avveniva subito dopo la <strong>di</strong>scesa<br />

dai treni per essere inviati imme<strong>di</strong>atamente alle camere a gas: la Shoah.<br />

“Son morto ch’ero bambino,<br />

Son morto con altri cento,<br />

Passato per un camino<br />

Ed ora sono nel vento...<br />

Ad Auschwitz c’era la neve<br />

e il fumo saliva lento.<br />

Nei campi tante persone<br />

che ora sono nel vento”.<br />

Queste parole <strong>di</strong> Francesco Guccini cantava con lievi varianti “L’Equipe<br />

84” quando ero poco più che una bambina e, forse, anche quella loro canzone<br />

ha attirato la mia attenzione sul dramma dello sterminio fin da quand’ero<br />

giovanissima.<br />

Però, solo oggi, che sono qui con i miei alunni ed altri numerosi studenti<br />

romani, ho la sensazione <strong>di</strong> capire veramente, <strong>di</strong> rivivere per davvero la trage<strong>di</strong>a<br />

per eccellenza del ’900.<br />

Si ha l’impressione <strong>di</strong> toccare con le proprie mani l’essenza del male.<br />

Anch’io sento aleggiare in questi luoghi Satana, l’incarnazione del male as-<br />

–64–


soluto, l’Anticristo. È vano fare appello alla ragione, alle conoscenze storiche,<br />

alla necessità <strong>di</strong> comprendere e interpretare: il razionalismo qui naufraga<br />

e si percepisce solo l’alito pestifero della malvagità assoluta. Prende alla<br />

gola, asse<strong>di</strong>a, riempie <strong>di</strong> contrizione, spinge a chiedersi se abbia mai provato<br />

pentimento chi non ha saputo o voluto fermare l’orrore <strong>di</strong> cui siamo, comunque,<br />

tutti corresponsabili, fosse solo perché siamo esseri “umani”.<br />

Si compiono i riti espiatori <strong>di</strong> una colpa che non potrà mai essere cancellata:<br />

canti, preghiere, <strong>di</strong>scorsi, suoni <strong>di</strong> corni, corone. Si tenta <strong>di</strong> esorcizzare<br />

il male, la cui presenza è qui tangibile a mostrare cosa possa la belva<br />

umana. Anch’io sono profondamente assorta nei miei pensieri.<br />

Camminiamo. Ci aspetta il nostro pullman gran turismo, assai confortevole,<br />

che ci porta ad Auschwitz.<br />

Anche noi muti passiamo sotto la famigerata scritta: “Arbeit macht frei”.<br />

Il luogo, un’ex-caserma polacca requisita dai nazisti e trasformata in prigione<br />

e campo <strong>di</strong> concentramento, è meno derelitto <strong>di</strong> Birkenau. Qui sono allineati<br />

or<strong>di</strong>natamente numerosi e<strong>di</strong>fici in muratura, in mattoni rosso scuro, soli<strong>di</strong><br />

ed arcigni, cupi. Il complesso può apparire quasi un villaggio, a prima vista.<br />

Ma cala una notte fonda e senza stelle, rischiarata dalla tenue luce <strong>di</strong> pochi<br />

lampioni. Ci aggiriamo come spettri per quelle anonime strade perpen<strong>di</strong>colari<br />

senz’anima né cuore ed entriamo negli e<strong>di</strong>fici.<br />

Qui le prigioni, qui il “tribunale”; qui il muro della morte, qui la cella <strong>di</strong><br />

Padre Kolbe, lì la forca, e poi le celle <strong>di</strong> punizione, le camere a gas e i forni<br />

crematori... Mille i mo<strong>di</strong> per dare la morte.<br />

Iniziamo, <strong>di</strong> blocco in blocco, il mesto pellegrinaggio tra le teche che<br />

conservano ceneri, montagne <strong>di</strong> capelli, <strong>di</strong> scarpe, <strong>di</strong> valige, <strong>di</strong> arti artificiali,<br />

<strong>di</strong> oggetti innumerevoli, testimoni inoppugnabili <strong>di</strong> ciò che fu.<br />

“Considerate se questo è un uomo<br />

Che lavora nel fango<br />

Che non conosce pace<br />

Che lotta per mezzo pane<br />

Che muore per un sì o per un no.<br />

Considerate se questa è una donna,<br />

Senza capelli e senza nome<br />

Senza più forza <strong>di</strong> ricordare<br />

Vuoti gli occhi e freddo il grembo...”<br />

I versi <strong>di</strong> Primo Levi martellano nella mia mente. Solo ora credo <strong>di</strong> capire<br />

fino in fondo Se questo è un uomo; solo grazie a quel libro amatissimo,<br />

–65–


letto e riletto, le baracche, il filo spinato, gli spazi senza fine si animano, si<br />

popolano <strong>di</strong> larve umane che continuano a fissarci al <strong>di</strong> là del tempo, mentre<br />

le nostre impeccabili guide seguitano a parlare e a spiegare.<br />

Camminiamo, silenziosi. Siamo un gruppo folto, ma nulla in confronto<br />

ai milioni <strong>di</strong> derelitti che allora andarono senza sosta verso il nulla, <strong>di</strong> nulla<br />

colpevoli.<br />

L’un<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> novembre ci accoglie una città <strong>di</strong> Cracovia ra<strong>di</strong>osa. L’aria<br />

pungente è resa gradevole dal calore del sole. Oggi la Polonia celebra la<br />

sua festa nazionale, che coincide con la fine del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale,<br />

quando il Paese conquistò la sua in<strong>di</strong>pendenza.<br />

Per la città si aggirano gruppi <strong>di</strong> persone che indossano abiti tra<strong>di</strong>zionali<br />

e <strong>di</strong>vise della prima guerra mon<strong>di</strong>ale. L’atmosfera è festosa e passeggiamo<br />

compiaciuti per le piacevoli vie del centro storico, sulla collina del castello <strong>di</strong><br />

Wawel, nella Piazza del Mercato.<br />

Mentre numerose carrozze trainate da cavalli attraversano tintinnando le<br />

vie della città, sorbiamo un caffè bollente in uno dei locali all’aperto che punteggiano<br />

la grande piazza.<br />

Entriamo nella imponente chiesa <strong>di</strong> Santa Maria per un breve incontro<br />

con l’arcivescovo Dziwisz e per ammirare lo spettacolare altare maggiore<br />

ligneo, opera, a fine ’400, <strong>di</strong> Veit Stoss: un vero capolavoro.<br />

Indubbiamente la vita continua, anche per la nazione polacca che ha<br />

pagato alla follia dello sterminio un contributo <strong>di</strong> tre milioni <strong>di</strong> ebrei. Il sole<br />

splende sulle memorie del passato e sulle ceneri della follia omicida.<br />

Sono le ore 18 del 23 <strong>di</strong>cembre. Siamo a Roma, al Portico d’Ottavia per<br />

il rito dell’accensione della Channuchà: il candelabro ebraico.<br />

Il cielo è finalmente limpido, ma soffia un penetrante vento <strong>di</strong> tramontana.<br />

L’atmosfera è gioiosa: un coro <strong>di</strong> bambini intona un canto ed un gruppo<br />

<strong>di</strong> graziose fanciulle intreccia una danza tipica. Gustiamo una deliziosa ciambella<br />

fritta e zuccherata, ricolma <strong>di</strong> crema.<br />

Senza dubbio la vita continua.<br />

In questo momento <strong>di</strong> serena partecipazione alla festività ebraica ignoriamo<br />

che <strong>di</strong> nuovo, tra poche ore, infurierà la guerra tra Israeliani e Palestinesi,<br />

col suo tremendo bilancio <strong>di</strong> morti, feriti e <strong>di</strong>sperazione.<br />

–66–


“Ancora tuona il cannone,<br />

Ancora non è contenta<br />

Di sangue la belva umana<br />

E ancora ci porta il vento,<br />

E ancora ci porta il vento”.<br />

Parole scritte da Francesco Guccini per un altro conflitto, ma sempre<br />

amaramente attuali.<br />

In questa fredda serata <strong>di</strong>cembrina viviamo un momento <strong>di</strong> gioia, quella<br />

gioia che speriamo possa un giorno avere la meglio sul lutto, sulla morte, sul<br />

dolore, sul male che sembrano continuamente asse<strong>di</strong>are il destino del genere<br />

umano. Al Portico d’Ottavia, antico cuore della città <strong>di</strong> Roma, sono presenti<br />

molti giovani: è consolatorio riporre in loro le nostre speranze <strong>di</strong> un futuro<br />

migliore.<br />

–67–


ANNA MARIA ROBUSTELLI<br />

Che farò<br />

senza Euri<strong>di</strong>ce? 1<br />

a Lea<br />

Mito<br />

Molto dopo, E<strong>di</strong>po, vecchio e cieco, andava per le strade. Sentì un odore<br />

familiare. Era la Sfinge. E<strong>di</strong>po <strong>di</strong>sse: “Ti voglio fare una domanda.<br />

Perché non ho riconosciuto mia madre?” “Hai dato la risposta<br />

sbagliata”, <strong>di</strong>sse la Sfinge. “Ma quella è stata la risposta che ha fatto<br />

accadere tutto”, <strong>di</strong>sse E<strong>di</strong>po. “No”, lei <strong>di</strong>sse. “Quando ho chiesto, Che<br />

cosa cammina su quattro gambe <strong>di</strong> mattina, su due a mezzogiorno, e su<br />

tre <strong>di</strong> sera, hai risposto, l’Uomo. Non hai detto niente della donna”.<br />

“Quando <strong>di</strong>ci l’Uomo”, <strong>di</strong>sse E<strong>di</strong>po, “inclu<strong>di</strong> anche le donne. Tutti lo<br />

sanno”. Lei <strong>di</strong>sse, “Questo è quello che pensi tu”.<br />

Muriel Rukeyser 2<br />

L’aria dell’opera <strong>di</strong> Gluck coglie il famoso cantore nel momento della<br />

per<strong>di</strong>ta dell’amata per la seconda volta. Incerto che lei lo stesse seguendo<br />

fuori dagli Inferi, lui si volta per accertare la sua presenza ma, così facendo,<br />

contrad<strong>di</strong>ce al patto con gli dei dell’Ade <strong>di</strong> non voltarsi mai a guardarla,<br />

pena la per<strong>di</strong>ta. L’opera, in realtà, con l’intervento <strong>di</strong> Amore, avrà un lieto<br />

fine: la restituzione dell’amata da parte degli dei a Orfeo, ma nelle Metamorfosi<br />

<strong>di</strong> Ovi<strong>di</strong>o, in cui il mito viene presentato, l’esito è <strong>di</strong>verso:<br />

E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,<br />

quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso <strong>di</strong> guardarla,<br />

l’innamorato Orfeo si volse: subito lei svanì nell’Averno;<br />

1 È la famosa aria dell’opera “Orfeo e Euri<strong>di</strong>ce” <strong>di</strong> C.W. Gluck, con libretto <strong>di</strong> R. de Calzabigi.<br />

Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce!<br />

Dove andrò senza il mio ben!<br />

Euri<strong>di</strong>ce? Oh Dio! Rispon<strong>di</strong>:<br />

io son pure il tuo fedel.<br />

Euri<strong>di</strong>ce! Ah, non m’avanza<br />

più soccorso, più speranza<br />

né al mondo, né dal ciel.<br />

Che farò senza Euri<strong>di</strong>ce!<br />

Dove andrò senza il mio ben!<br />

2 La traduzione della poesia della poetessa americana è <strong>di</strong> Anna Maria Robustelli.<br />

–68–


cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,<br />

ma null’altro strinse, ahimé, che l’aria sfuggente.<br />

Morendo <strong>di</strong> nuovo non ebbe per Orfeo parole <strong>di</strong> rimprovero<br />

(<strong>di</strong> cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);<br />

per l’ultima volta gli <strong>di</strong>sse ‘ad<strong>di</strong>o’, un ad<strong>di</strong>o che alle sue orecchie<br />

giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva. 3<br />

La nostra attenzione si volge all’atteggiamento <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce nel momento<br />

in cui è ricacciata nell’Ade: “Morendo <strong>di</strong> nuovo non ebbe per Orfeo parole<br />

<strong>di</strong> rimprovero (<strong>di</strong> che cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere<br />

amata?); ...”. L’amore profuso su <strong>di</strong> lei dal cantore è sufficiente a giustificarne<br />

l’imperdonabile errore. Qui Euri<strong>di</strong>ce si <strong>di</strong>mostra molto generosa. Il suo<br />

personaggio è come tutto contenuto nello sguardo del suo creatore Orfeo e<br />

lei niente più può chiedere agli dei o al suo amante.<br />

Un po’ più esasperata appariva una precedente Euri<strong>di</strong>ce, quella che dal<br />

Libro IV delle Georgiche <strong>di</strong> Virgilio, lamentava:<br />

... ‘Ahimé, Orfeo, chi ci ha perduti?<br />

quale follia? Senza pietà il destino in<strong>di</strong>etro mi richiama<br />

e un sonno vela <strong>di</strong> morte i miei occhi smarriti.<br />

E ora ad<strong>di</strong>o: intorno una notte fonda mi assorbe<br />

e a te, non più tua, inerti tendo le mani’.<br />

Disse e d’improvviso svanì nel nulla,<br />

come fumo che si <strong>di</strong>ssolve alla brezza dell’aria,<br />

e non poté vederlo<br />

mentre con la voglia inesausta <strong>di</strong> parlarle<br />

abbracciava invano le ombre;<br />

ma il nocchiero dell’Orco<br />

non gli permise più <strong>di</strong> passare <strong>di</strong> là dalla palude. 4<br />

ma, dopo tutto, proiettata già in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> rassegnazione.<br />

Per tutti Orfeo rimane il cantore/poeta per antonomasia. Le Muse gli<br />

hanno insegnato a suonare la lira, che ha avuto da Apollo. Con le sue parole<br />

e la sua musica ha incantato Euri<strong>di</strong>ce e con la sua arte la riconquista, commuovendo<br />

i tetri dei dell’Ade. Ma solo per poco. Anche dopo averla perduta,<br />

continuerà a cantarla e, dopo essere stato fatto a pezzi dalle Mena<strong>di</strong>, la<br />

sua testa galleggerà sulle onde dell’Ebro ripetendo “Euri<strong>di</strong>ce”:<br />

E/ lungo tutto il fiume/ le rive ripetevano ‘Euri<strong>di</strong>ce’. 5<br />

3 Ovi<strong>di</strong>o, Metamorfosi, Canto X. In www.fabulaorphica.com, nome del traduttore non in<strong>di</strong>cato.<br />

4 Virgilio, Georgiche, libro IV. Traduzione <strong>di</strong> Mario Ramous.<br />

5 Virgilio, ibidem.<br />

–69–


Sostanzialmente questo mito rappresenta un’affermazione dell’eternità<br />

dell’arte <strong>di</strong> fronte alla morte. Il cantare l’amore per Euri<strong>di</strong>ce resta anche<br />

dopo che l’amata è inghiottita <strong>di</strong> nuovo dalle tenebre. Nell’antichità il personaggio<br />

<strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce è appena sbozzato. A rendere la situazione più problematica<br />

ci penserà, secoli dopo, R.M. Rilke 6 che nel suo poemetto Orfeo.<br />

Euri<strong>di</strong>ce. Hermes. si sofferma più a lungo sul personaggio femminile caricandolo<br />

<strong>di</strong> nuove implicazioni. Il poeta austriaco la descrive “incerta, mite e<br />

senza impazienza; chiusa in sé” (questa definizione è ripetuta due volte).<br />

Connotata da una “pienezza” che si esplica nel suo essere in successione<br />

“frutto”, “fiore” e persino “ra<strong>di</strong>ce”, è pregna del suo stato <strong>di</strong> morta, chiusa<br />

nella sua nuova sessualità, che gli stu<strong>di</strong>osi hanno riportato al mito <strong>di</strong><br />

Persefone, cioè hanno fatto risalire a una antica tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fertilità.<br />

Ma ella andava alla mano <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>o,<br />

e il passo le inceppavano le lunghe bende funebri,<br />

incerta, mite e senza impazienza;<br />

chiusa in sé come grembo che prepari una nascita,<br />

senza un pensiero all’uomo innanzi a lei,<br />

né alla via che alla vita risaliva.<br />

Chiusa era in sé. E il suo essere morta<br />

la riempiva come una pienezza.<br />

Come d’oscurità e dolcezza un frutto,<br />

Era colma della sua grande morte,<br />

così nuova che tutto le era incomprensibile.<br />

Ella era in una verginità nuova<br />

ed intangibile. Il suo sesso chiuso<br />

come un giovane fiore sulla sera,<br />

e le sue mani erano così immemori<br />

<strong>di</strong> nozze che anche il <strong>di</strong>o che la guidava<br />

col suo tocco infinitamente lieve,<br />

come un contatto troppo familiare l’offendeva.<br />

E non era più lei la bionda donna<br />

che echeggiava talvolta nei canti del poeta,<br />

isola profumata in mezzo all’ampio letto;<br />

né più gli apparteneva.<br />

Come una lunga chioma era già sciolta,<br />

come pioggia caduta era <strong>di</strong>ffusa,<br />

come un raccolto in mille era <strong>di</strong>visa.<br />

Ormai era ra<strong>di</strong>ce.<br />

6 Rilke è famoso anche per aver scritto i Sonetti ad Orfeo, ma in questa sede ci limiteremo<br />

solo a fare una breve <strong>di</strong>sanima del poemetto citato.<br />

–70–


E quando il <strong>di</strong>o bruscamente<br />

fermatala con voce <strong>di</strong> dolore,<br />

esclamò: Si è voltato –,<br />

lei non capì e in un soffio chiese: Chi?<br />

Euri<strong>di</strong>ce ha rapporto con la terra (“come pioggia caduta era <strong>di</strong>ffusa,/<br />

come un raccolto in mille era <strong>di</strong>visa./ Ormai era ra<strong>di</strong>ce.”). Nella descrizione<br />

del paesaggio ctonio dell’inizio del brano poetico (“Rupi c’erano,/ selve<br />

incorporee e ponti sul vuoto/ e quell’enorme, grigio, cieco stagno,/ sospeso<br />

sopra il suo lontano fondo/ come cielo piovoso su un paesaggio./ E in mezzo<br />

a prati miti <strong>di</strong> pazienza,/ pallida striscia, un unico sentiero era visibile/ come<br />

una lunga tela <strong>di</strong>stesa ad imbiancare.// E per quest’unico sentiero essi venivano.”<br />

7 ) e nell’intensità con cui Euri<strong>di</strong>ce si relaziona a quel mondo, Rilke<br />

cerca <strong>di</strong> rappresentare quello che <strong>di</strong> fatto è irrappresentabile, la <strong>di</strong>mora dei<br />

morti, che è anche, sulle tracce del mito, il luogo dove le sementi si conservano<br />

prima <strong>di</strong> emergere in una nuova primavera. Chiusa in se stessa, Euri<strong>di</strong>ce<br />

si compenetra <strong>di</strong> questo momento e sembra seguire il poeta fuori dall’oscurità.<br />

Tenuta per mano da Hermes si trova in uno stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>strazione,<br />

tanto che quando il <strong>di</strong>o l’avverte che Orfeo “Si è voltato –” lei chiede<br />

“Chi?”. Pur essendo passiva nei confronti <strong>di</strong> Orfeo, quin<strong>di</strong> morta per lui,<br />

porta con sé i segni <strong>di</strong> una nuova fertilità, la promessa <strong>di</strong> una nuova nascita.<br />

Rilke racconta la storia dal suo punto <strong>di</strong> vista, così capovolgendo i presupposti<br />

del mito antico. L’attenzione è concentrata su <strong>di</strong> lei, che non interagisce<br />

con Orfeo, ma permette che il lettore sappia della sua interiorità, arrivando a<br />

farci percepire l’alterità e l’inattingibilità dei morti e della morte.<br />

All’inizio del Novecento Euri<strong>di</strong>ce troverà ancora una parola vibrante<br />

nel poemetto Eury<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> H.D. (Hilda Dolittle). La narrazione in prima<br />

persona ricalca il monologo <strong>di</strong> R. Browning che pure aveva dato voce a<br />

un’altra Euri<strong>di</strong>ce nell’età vittoriana. Questa volta la protagonista femminile<br />

del mito si <strong>di</strong>mostra arrabbiata quando Orfeo si volta a guardarla e la<br />

ricaccia nell’Ade:<br />

I<br />

Così mi hai ricacciato in<strong>di</strong>etro,<br />

io che ho camminato con le anime vive<br />

sulla terra,<br />

io che ho dormito tra i fiori vivi<br />

finalmente;<br />

7 Op. cit.<br />

–71–


così per la tua arroganza<br />

e la tua crudeltà<br />

sono ricacciata in<strong>di</strong>etro<br />

dove i licheni morti sgocciolano<br />

polveri morte sul muschio <strong>di</strong> cenere;<br />

così per la tua arroganza<br />

sono <strong>di</strong>strutta alla fine,<br />

io che avevo vissuto inconsapevole,<br />

che ero quasi <strong>di</strong>menticata;<br />

se tu mi avessi lasciata aspettare<br />

ero passata dall’in<strong>di</strong>fferenza alla pace,<br />

se tu mi avessi lasciata riposare con i morti,<br />

avevo <strong>di</strong>menticato te<br />

e il passato. 8<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi hanno notato che questo personaggio incanala tutta la<br />

rabbia <strong>di</strong> una scrittrice che viveva in un ambiente popolato <strong>di</strong> ingombranti<br />

presenze maschili, quello degli Imagisti del primo Novecento: E. Pound,<br />

D.H. Lawrence e il suo stesso marito infedele Richard Al<strong>di</strong>ngton, che era un<br />

poeta e che era stato suo mentore. Queste figure avevano una personalità<br />

prorompente e dettavano le loro regole, forti <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione letteraria che<br />

non aveva mai messo in dubbio la posizione egemonica dell’artista maschio<br />

nella società. Euri<strong>di</strong>ce chiede a Orfeo: “Che cos’era che hai visto nel mio<br />

viso?/ la luce del tuo stesso viso,/ il fuoco della tua stessa presenza?”, 9 cioè<br />

rimprovera a Orfeo <strong>di</strong> aver visto solo se stesso in lei. In tal modo la scrittrice<br />

mina l’egocentrismo classico dell’artista che ha sempre proposto un<br />

rapporto da soggetto a oggetto nei confronti della donna amata e cantata nei<br />

versi. Questo tipo <strong>di</strong> “sguardo” perde chi è guardato, perché ne annulla la<br />

personalità, quin<strong>di</strong> è uno sguardo mortifero:<br />

8 So you have swept me back,/ I who had walked with the live souls/ above the earth,/<br />

I who have slept among the live flowers/at last;// so for your arrogance/ and your ruthlessness/<br />

I am swept back/ where dead lichens drip/ dead cinders upon moss of ash;// so for your arrogance/<br />

I am broken at last,/ I who had lived unconscious,/ who was almost forgot;// if you had<br />

let me wait/ I had grown from listlessness into peace,/ if you had let me rest with the dead,/ I had<br />

forgot you/ and the past. H. Sword, “Orpheus and Eury<strong>di</strong>ce in the Twentieth Century: Lawrence,<br />

H.D: and the Poetics of the Turn,” Twentieth Century Literature, 35:4 (Winter 1989). Trad. <strong>di</strong><br />

Anna Maria Robustelli, così come per tutti i brani poetici, eccetto dove è in<strong>di</strong>cato un traduttore<br />

<strong>di</strong>verso.<br />

9 what was it you saw in my face?/ the light of your own face,/ the fire of your own presence?<br />

Ibidem.<br />

–72–


...<br />

tutto è perduto,<br />

tutto è attraversato dal nero,<br />

nero su nero<br />

e peggio del nero,<br />

questa luce senza colore. 10<br />

...<br />

V<br />

Così per la tua arroganza<br />

e la tua crudeltà<br />

ho perduto la terra<br />

e i fiori della terra,<br />

e le anime vive sopra la terra,<br />

e tu che hai attraversato la luce<br />

e l’hai raggiunta<br />

crudele;<br />

tu che hai la tua luce,<br />

che costituisci per te stesso una presenza,<br />

che non hai bisogno <strong>di</strong> presenza; 11<br />

...<br />

Tutto il poema è un manifesto contro questa idea dell’arte che riduce<br />

l’oggetto del guardare. L’artista non possiede la luce che illumina l’oggetto,<br />

ma è lui stesso qualcosa che è illuminato dall’arte, come afferma con molta<br />

chiarezza Margaret Bruzelius: “L’errore <strong>di</strong> Orfeo è <strong>di</strong> rendere Euri<strong>di</strong>ce<br />

una cosa – la uccide – per fare la sua arte”. 12 Questa visione dell’arte è<br />

stata esemplificata anche ne The Oval Portrait <strong>di</strong> E.A. Poe in maniera<br />

molto convincente. A tale onnipotenza dello sguardo maschile dell’artista<br />

H.D. si oppone con caparbietà nel corso del suo poema. Più in là Euri<strong>di</strong>ce<br />

afferma:<br />

10 everything is lost,/ everything is crossed with black,/ black upon black,/ and worse than<br />

black,/ this colourless light. Ibidem.<br />

11 So for your arrogance/ and your ruthlessness/ I have lost the earth/ and the flowers of<br />

the earth,/ and the live souls above the earth,/ and you who passed across the light/ and reached/<br />

ruthless;// you who have your own light,/ who are to yourself a presence,/ who need no presence;<br />

...Ibidem.<br />

12 M. Bruzelius, H.D. and Eury<strong>di</strong>ce – woman author Hilda Dolittle: mythologic character.<br />

Saggio trovato su Internet.<br />

–73–


tale per<strong>di</strong>ta [del mondo] non è una per<strong>di</strong>ta,<br />

tale terrore, tali spirali e li<strong>di</strong> e abissi<br />

<strong>di</strong> oscurità<br />

tale terrore<br />

non è una per<strong>di</strong>ta;<br />

l’inferno non è peggio della tua terra<br />

sopra la terra,<br />

l’inferno non è peggio,<br />

no, né lo sono i tuoi fiori<br />

né le tue vene <strong>di</strong> luce<br />

né la tua presenza,<br />

sono una per<strong>di</strong>ta;<br />

il mio inferno non è peggio del tuo<br />

sebbene tu passi tra i fiori e parli<br />

con gli spiriti sopra la terra.<br />

VI<br />

Sullo sfondo nero<br />

ho più passione<br />

<strong>di</strong> te in tutto lo splendore <strong>di</strong> quel luogo,<br />

sullo sfondo oscuro<br />

e il grigio desolato<br />

io ho più luce;<br />

e i fiori,<br />

se te lo dovessi <strong>di</strong>re,<br />

ti volgeresti dai tuoi sentieri sani<br />

verso l’inferno,<br />

volgiti ancora e guarda ancora<br />

e io sprofonderò in un posto persino più terribile <strong>di</strong> questo.<br />

VII<br />

Almeno io ho i fiori <strong>di</strong> me stessa,<br />

e i miei pensieri, nessun <strong>di</strong>o<br />

me li può prendere;<br />

ho la passione <strong>di</strong> me stessa come presenza<br />

e il mio spirito per luce;<br />

e il mio spirito con la sua per<strong>di</strong>ta<br />

lo sa;<br />

sebbene sia piccola sullo sfondo nero,<br />

piccola sullo sfondo delle rocce senza forma,<br />

l’inferno si deve spaccare prima che io sia perduta;<br />

prima che io sia perduta,<br />

l’inferno si deve aprire come una rosa rossa<br />

perché i morti passino. 13<br />

–74–


Il senso <strong>di</strong> sfida con cui H.D. sceglie l’inferno alla terra, che il suo se<strong>di</strong>cente<br />

amante le ha precluso, non può non ricordarci le parole frementi del<br />

Satana <strong>di</strong> Milton nel Para<strong>di</strong>so Perduto. La parola “at least” è presente là<br />

come in questi più moderni versi:<br />

Here at least/We shall be free; ...<br />

Anche quella <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce è una <strong>di</strong>chiarazione spavalda come quella <strong>di</strong><br />

Satana:<br />

Better to reign in Hell, than serve in Heaven.<br />

La sua <strong>di</strong>chiarazione potrebbe essere compen<strong>di</strong>ata in queste parole:<br />

meglio essere un soggetto vivo e parlante nell’inferno che un oggetto sulla<br />

terra. Esistono gli stessi riferimenti alla luce e all’oscurità del brano del<br />

poeta epico inglese del Seicento, lo stesso orgoglio riguardo al proprio<br />

valore. Satana era fiero della propria mente, della sua capacità <strong>di</strong> pensare,<br />

della sua libertà. Non gli è da meno Euri<strong>di</strong>ce quando afferma:<br />

almeno io ho i fiori <strong>di</strong> me stessa,<br />

e i miei pensieri, nessun <strong>di</strong>o<br />

me li può prendere;<br />

L’Inconsolabile Orfeo <strong>di</strong> Cesare Pavese dei Dialoghi con Leucò rivive<br />

il mito consapevole, come Rilke che il mondo dei morti lascia le sue tracce<br />

perenni su chi l’ha sperimentato:<br />

Orfeo. È andata così. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già<br />

lontani Cocito, lo Stige, la barca, e i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume<br />

del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscio del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e<br />

avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò<br />

13 such loss is no loss,/ such terror, such coils and strands and pitfalls/ of blackness/ such<br />

terror/ is no loss;// hell is no worse than your earth/ above the earth,/ hell is no worse,/ no, nor<br />

your flowers/ nor your veins of light/ nor your presence,/ a loss;/ my hell is no worse than yours/<br />

though you pass among the flowers and speak/ with the spirits above the earth.// Against the<br />

black/ I have more fervour/ than you in all the splendour of that place,/ against the blackness/ and<br />

the stark grey// I have more light;// and the flowers/ if I should tell you,/ you would turn from<br />

your own fit paths/ toward hell,/ turn again and glance back/ and I would sink into a place even<br />

more terrible than this.// At least I have the flowers of myself,/ and my thoughts, no god/ can take<br />

that;/ I have the fervour of myself for a presence/ and my own spirit for light;/ and my spirit with<br />

its loss/ knows this;/ though small against the black,/ small against the formless rocks,/ hell must<br />

break before I am lost;// before I am lost, hell must open like a red rose/ for the dead to pass.<br />

Ibidem.<br />

–75–


che è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta<br />

sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo<br />

traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena <strong>di</strong><br />

rivivere ancora? Ci pensai, e intravi<strong>di</strong> il barlume del giorno. Allora <strong>di</strong>ssi “Sia<br />

finita” e mi voltai. Euri<strong>di</strong>ce scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto<br />

un cigolio, come d’un topo che si salva. 14<br />

Bacca, l’interlocutore <strong>di</strong> Orfeo, vuole credere che c’entri il destino, che<br />

ciò che è accaduto sia stato “per amore”, ma l’Orfeo <strong>di</strong> Pavese replica<br />

secco che “Non si ama chi è morto”. Bacca incalza <strong>di</strong>cendo “Euri<strong>di</strong>ce era<br />

quasi rinata”, ma Orfeo ribatte che sarebbe morta un’altra volta e nel frattempo<br />

avrebbe portato “nel sangue l’orrore dell’Ade” e avrebbe tremato<br />

con lui “giorno e notte”. Riavvicinandosi alla luce Orfeo aveva capito che<br />

quello che cercava era là, nella vita dei vivi dove l’unico passato che lui<br />

poteva ancora vivere era nel “primo barlume <strong>di</strong> cielo” e deliberatamente si<br />

era voltato. Spiega che cercava solo se stesso. La conoscenza del mondo<br />

dei morti fa capire che non si può riconquistare quello che si è avuto, la<br />

vita va avanti nel senso che si sanno cose che prima non si sapevano e<br />

quin<strong>di</strong> non si può più essere ingenui. Anche qui torna ad essere <strong>di</strong>segnato<br />

il panorama del regno dei morti che, al contrario che in Rilke, non ha<br />

nessuna connotazione positiva, non è descritto con metafore che si rifanno<br />

alla fecon<strong>di</strong>tà.<br />

Nel tempo il mito <strong>di</strong> Orfeo e Euri<strong>di</strong>ce è stato capace <strong>di</strong> germogliare<br />

nuove interpretazioni, che tutte attestano della sua vitalità e persistenza. Il<br />

poeta americano Jack Spicer (1925-1965) ci presenta questo Orfeo:<br />

Acuto come una freccia Orfeo<br />

<strong>di</strong>rige la sua musica verso il basso.<br />

L’inferno è là<br />

in fondo alla scogliera.<br />

Non si sana<br />

niente con questa musica.<br />

Euri<strong>di</strong>ce<br />

è un uccello che segue i battelli o una roccia<br />

o una qualche alga marina.<br />

Non saluta niente<br />

l’infernale<br />

è un’umi<strong>di</strong>tà scivolosa verso l’orizzonte.<br />

14 Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Arnoldo Mondatori E<strong>di</strong>tore, 1966.<br />

–76–


L’inferno è questo:<br />

la mancanza <strong>di</strong> tutto tranne l’eterno a cui guardare<br />

l’ampiezza del salato<br />

la mancanza <strong>di</strong> un letto tranne la propria<br />

musica in cui dormire. 15<br />

Qui l’arte <strong>di</strong> Orfeo “sharp as an arrow”, sempre determinato a trovare la<br />

sua Euri<strong>di</strong>ce, si scontra con la vastità abissale del mare che è forse l’inferno<br />

in cui si è perduta la sua donna. Il mondo dei morti è “downward/a slippery<br />

wetness”, è qualcosa che si esprime fondamentalmente al negativo.<br />

Il poeta mitico non “sana” o “saluta” niente con la sua musica e ha a che<br />

vedere con un inferno sfuggente. Ricompaiono, le aspirate (Heal/hail/hell)<br />

usate da Milton nel suo Para<strong>di</strong>so Perduto ad evocare l’abisso profondo.<br />

Appare tracciata in questa versione del mito una vita senza appigli, a parte<br />

quelli della propria arte:<br />

The lack of any bed but one’s<br />

Music to sleep in.<br />

La scrittrice canadese Margaret Atwood ci ha regalato una serie <strong>di</strong><br />

poesie su Orfeo e Euri<strong>di</strong>ce che, inserendosi probabilmente nel solco tracciato<br />

da H.D., ci raccontano l’evento della <strong>di</strong>scesa agli Inferi <strong>di</strong> Orfeo dal<br />

punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce:<br />

Orfeo (1),<br />

Mi camminavi davanti,<br />

riportandomi ancora fuori<br />

verso la luce verde che una volta<br />

aveva tirato fuori gli artigli e mi aveva uccisa.<br />

Ero obbe<strong>di</strong>ente, ma<br />

muta, come un braccio<br />

addormentato; il ritorno<br />

al tempo non fu una scelta mia. 16<br />

15 Sharp as an arrow Orpheus/ Points his music downward./ Hell is there/ At the bottom of<br />

the seacliff./ Heal/ nothing by this music./ Eury<strong>di</strong>ce/ Is a frigade bird or a rock or some seaweed./<br />

Hail nothing/ The infernal/ Is a slippering wetness out at the horizon./ Hell is this: The lack of<br />

anything but the eternal to look at/ The expansiveness of salt/ The lack of any bed but one’s/<br />

Music to sleep in. The Collected Poetry of Jack Spicer, ed. by Robin Blaser. Wesleyan Press, 1975.<br />

16 Orpheus (1),<br />

You walked in front of me,/ pulling me back out/ to the green light that had once/ grown<br />

fangs and killed me.// I was obe<strong>di</strong>ent, but/numb, like an arm/ gone to sleep; the return/ to time<br />

was not my choice. Selected Poems II: 1976-1986.<br />

–77–


Già queste parole ci allarmano e ci fanno presagire che le cose non sono<br />

semplici come ci saremmo potuti aspettare:<br />

Ormai ero abituata al silenzio.<br />

Sebbene qualcosa ci tenesse uniti<br />

come un bisbiglio, come una corda:<br />

il mio primo nome,<br />

tirato stretto.<br />

Avevi il tuo vecchio guinzaglio<br />

con te, amore potevi chiamarlo,<br />

e la tua voce fatta <strong>di</strong> carne.<br />

Davanti a te avevi costantemente<br />

l’immagine <strong>di</strong> ciò che volevi<br />

che io <strong>di</strong>ventassi: ancora viva.<br />

Fu questa speranza che mi permise <strong>di</strong> seguirti. 17<br />

Cominciano a profilarsi un’Euri<strong>di</strong>ce che già appartiene a un altro<br />

mondo, quello del silenzio, l’amore possessivo <strong>di</strong> Orfeo che la vorrebbe<br />

trascinare fuori come se la tenesse al guinzaglio e soprattutto il fatto che<br />

Orfeo la rivuole come prima che morisse:<br />

Era la tua allucinazione, intenta<br />

e floreale, e tu stavi cantando me:<br />

già nuova pelle si stava formando su <strong>di</strong> me<br />

dentro quel sudario luminoso e nebbioso<br />

del mio altro corpo; già<br />

c’era sporco sulle mie mani e avevo sete. 18<br />

e lei si sente rivivere. Orfeo la sta strappando alla morte e alla decadenza:<br />

Potevo vedere solo il profilo<br />

della tua testa e le spalle,<br />

nere contro la bocca della caverna,<br />

e così non potei affatto vedere<br />

il tuo viso, quando ti voltasti<br />

17 By then I was used to silence/ Though something stretched between us/ like a whisper,<br />

like a rope:/ my former name,/ drawn tight./ You had your old leash/with you, love you might call<br />

it,/ and your flesh voice.// Before your eyes you held steady/ the image of what you wanted/ me<br />

to become: living again./ It was this hope of yours that kept me following. Ibidem.<br />

18 I was your hallucination, listening/and floral, and you were singing me:/ already new<br />

skin was forming on me/within the luminous misty shroud/ of my other body; already/ there<br />

was <strong>di</strong>rt on my hands and I was thirsty. Ibidem.<br />

–78–


e mi chiamasti, perché mi avevi<br />

già perduta. L’ultima cosa<br />

che vi<strong>di</strong> <strong>di</strong> te fu un ovale scuro.<br />

Sebbene sapessi quanto questo fallimento<br />

ti avrebbe fatto male, dovetti<br />

piegarmi come una tarma grigia e lasciarmi andare.<br />

Non potevi credere che io fossi niente più della tua eco. 19<br />

La funzione <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce qui appare quella <strong>di</strong> un’attenta osservatrice del<br />

dramma irreversibile che si sta svolgendo. Lei capisce che Orfeo si volta<br />

perché dubita che la sua amata esista realmente.<br />

Nella seconda poesia la voce narrante è cambiata, non è più Euri<strong>di</strong>ce<br />

che parla in prima persona, ma qualcuno che parla <strong>di</strong> lei e che comunque<br />

registra il suo punto <strong>di</strong> vista, ma un po’ <strong>di</strong>stanziato, come il coro <strong>di</strong> una<br />

trage<strong>di</strong>a greca:<br />

Euri<strong>di</strong>ce<br />

Lui è qui, è venuto a cercarti.<br />

È il canto che ti riporta in<strong>di</strong>etro,<br />

un canto <strong>di</strong> gioia e sofferenza<br />

allo stesso tempo: una promessa<br />

che le cose saranno <strong>di</strong>verse lassù<br />

rispetto all’ultima volta.<br />

Avresti preferito continuare a non sentire niente,<br />

vuoto e silenzio; la pace ristagnante<br />

del mare più profondo, che è più facile<br />

del rumore e della carne della superficie.<br />

Sei abituata a questi vaghi corridoi sbiancati,<br />

sei abituata al re<br />

che ti passa accanto senza parlare.<br />

L’altro è <strong>di</strong>verso<br />

e quasi te lo ricorda.<br />

Dice che canta per te<br />

perché ti ama,<br />

19 I could see only the outline/ of your head and shoulders,/ black against the cave mouth,/<br />

and so could not see your face/at all, when you turned// and called to me because you had/ already<br />

lost me. The last/ I saw of you was a dark oval./ Though I knew how this failure/ would hurt you,<br />

I had to/ fold like a gray moth and let go.// You could not believe I was more than your echo.<br />

Ibidem.<br />

–79–


non come sei ora,<br />

così fredda e minimale: che ti muovi e rimani ferma<br />

tutte e due le cose, come una tenda bianca che si muove<br />

nella corrente proveniente da una finestra mezzo aperta<br />

accanto a una se<strong>di</strong>a sulla quale non è seduto nessuno.<br />

Vuole che tu sia quello che lui chiama reale.<br />

Vuole che tu ti fermi leggera.<br />

Vuole sentire che acquista spessore<br />

come un tronco d’albero o una coscia<br />

e vedere sangue sulle sue palpebre<br />

quando le chiude, e il sole che batte.<br />

Questo suo amore non è qualcosa<br />

che può esprimere se tu non sei lì,<br />

ma quello che tu hai saputo improvvisamente mentre lasciavi il corpo<br />

a raffreddarsi e sbiancare sul prato<br />

era che tu lo ami da qualsiasi parte,<br />

persino in questa terra senza memoria,<br />

persino in questo regno della fame.<br />

Tieni l’amore in mano, un seme rosso<br />

che hai <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> tenere in mano.<br />

Lui è andato quasi troppo lontano.<br />

Non può credere senza vedere,<br />

e qui è scuro.<br />

Torna in<strong>di</strong>etro, bisbigli.<br />

ma lui vuole essere nutrito ancora<br />

da te. O manciata <strong>di</strong> garza, piccola<br />

benda, manciata <strong>di</strong> aria<br />

fredda, non è attraverso <strong>di</strong> lui<br />

che otterrai la libertà. 20<br />

20 Eury<strong>di</strong>ce.<br />

He is here, come down to look for you./ It is the song that calls you back,/ a song of joy<br />

and suffering/ equally: a promise/that things will be <strong>di</strong>fferent up there/ than they were last<br />

time.// You would rather have gone on feeling nothing,/ emptiness and silence; the stagnant<br />

peace/ of the deepest sea, which is easier/ than the noise and flesh of the surface.// You are used<br />

to these blanched <strong>di</strong>m corridors,/ you are used to the king/ who passes you without speaking.//<br />

The other one is <strong>di</strong>fferent/and you almost remember him./ He says he is singing to you/because<br />

he loves you,// not as you are now,/ so chilled and minimal: moving and still/ both, like a white<br />

curtain blowing/ in the draft from a half –opened window/ beside a chair on which nobody<br />

sits.// He wants you to be what he calls real./ He wants you to stop light./ He wants to feel himself<br />

thickening/ like a treetrunk or a haunch/ and see blood on his eyelids/ when he closes them,<br />

and the sun beating.// This love of his is not something/he can do if you aren’t there,/ but what<br />

you knew suddenly as you left your body/ cooling and whitening on the lawn// was that you<br />

–80–


La voce narrante <strong>di</strong>ce a Euri<strong>di</strong>ce che Orfeo è venuto per riprovare<br />

l’amore che ha sentito un tempo e che gli è in<strong>di</strong>spensabile vederla per sentirsi<br />

completo come prima. In questa versione del mito è interessante vedere<br />

come Euri<strong>di</strong>ce si lasci coinvolgere dalla venuta <strong>di</strong> Orfeo nel tetro posto<br />

dove si trova ora e crede anche lei che sia possibile tornare alla vita. “It is<br />

the song that calls you back,” esercita un potente richiamo sulla donna e lei<br />

percepisce intensamente la forza del desiderio del suo antico amante (“He<br />

wants you... He wants you... He wants to feel himself thickening”). Lei pertanto<br />

capisce che lo amerà sempre e in qualsiasi luogo (“You hold love in<br />

your hand, a red seed you had forgotten you were hol<strong>di</strong>ng.”). L’amore è un<br />

seme – ancora una reminiscenza del mito <strong>di</strong> Persefone che si confonde con<br />

quello <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce? O semplicemente l’amore è entità immateriale in<strong>di</strong>struttibile,<br />

in un senso romantico? Questa Euri<strong>di</strong>ce capisce Orfeo (“He cannot<br />

believe without seeing,”/ “but he wants to be fed again/ by you.”), ma capisce<br />

anche che lui non la raggiungerà. La sua consapevolezza si confonde<br />

con l’amore che ancora sente per lui. Lei assiste compassionevole al<br />

dramma della sfiducia <strong>di</strong> Orfeo che si volta perché dubita <strong>di</strong> averla ancora<br />

<strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé e prova a convincere l’appassionato amante a lasciarla lì (“Go<br />

back, you whisper,”).<br />

Anche nella terza poesia del ciclo su Orfeo e Euri<strong>di</strong>ce, Orpheus (2),<br />

siamo <strong>di</strong> fronte a una voce narrante che ci parla <strong>di</strong> un personaggio, ma<br />

questa volta si tratta <strong>di</strong> Orfeo. La voce si chiede se il mitico cantore continuerà<br />

a cantare “sapendo quello che sa/ dell’orrore <strong>di</strong> questo mondo”:<br />

Ha provato a cantare l’amore<br />

sino a farti rivivere<br />

e ha fallito. 21<br />

ma, pur parlando <strong>di</strong> Orfeo, si rivolge a Euri<strong>di</strong>ce. Così, come in molte<br />

versioni moderne <strong>di</strong> questo mito, è presente la percezione del mondo dell’al<br />

<strong>di</strong> là come spazio della decadenza che ha una sua fisionomia dettagliata.<br />

I due personaggi del mito restano chiusi nella loro incapacità <strong>di</strong> comunicare<br />

e il loro parlare o cantare serve a riba<strong>di</strong>re che percorreranno le loro strade<br />

love him anywhere,/ even in thisland of no memory,/ even in this domain of hunger./ You hold love<br />

in your hand, a red seed/ you had forgotten you were hol<strong>di</strong>ng.// He has come almost too far./<br />

He cannot believe without seeing, and it’s dark here./ Go back, you whisper,// but he wants to be<br />

fed again/by you. O handful of gauze, little/ bandage, handful of cold/ air, it is not through him/<br />

you will get your freedom. Ibidem.<br />

21 He has been trying to sing/ love into existence again/ and he has failed. Ibidem.<br />

–81–


<strong>di</strong>varicate, senza speranza <strong>di</strong> incontrarsi. La rabbia delle baccanti viene<br />

riflessa negli ultimi versi:<br />

Gli hanno tagliato ambedue le mani<br />

e ben presto gli staccheranno<br />

la testa dal corpo in un’esplosione<br />

<strong>di</strong> rifiuto furioso.<br />

Lui lo prevede. Pure continuerà<br />

a cantare e a lodare.<br />

Cantare è o lode<br />

o sfida. La lode è sfida. 22<br />

Anche dalle parti staccate del corpo <strong>di</strong> Orfeo, conformemente al mito,<br />

si sprigiona canto, è l’ossessione <strong>di</strong> Orfeo, la sua condanna, è la lode che<br />

vuole esprimere o la sua sfida. Ma l’andamento drammatico del verso della<br />

Atwood capovolge l’antitesi in una sintesi:<br />

... Praise is defiance.<br />

La lode è sfida. Il suo desiderio, il suo canto che ammansisce le piante,<br />

gli animali e le rocce, che aveva ammansito anche i sovrani dell’Averno,<br />

che aveva bisogno <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce ma che, <strong>di</strong> fronte all’irrealtà dell’Ade, ha<br />

dubitato della realtà <strong>di</strong> lei, continua a nutrirsi della sua assenza avidamente<br />

o della sua idea univoca <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce. Orfeo è perduto nel suo desiderio,<br />

perché cerca un’Euri<strong>di</strong>ce che non c’è più e <strong>di</strong> quella che trova dubita sino a<br />

perderla. Tuttavia, la lode dell’amore, della vita è anche sfida verso la<br />

morte.<br />

Il mito <strong>di</strong> Orfeo e Euri<strong>di</strong>ce non è solo un mito che esalta la forza dell’arte<br />

e che fatalmente trasforma la donna “guardata” in oggetto passivo, ma<br />

è un mito che esplora i nostri mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> accostarci alla morte. È anche un mito<br />

che si sofferma sui cambiamenti che il passare del tempo induce nei mortali<br />

e che sono così <strong>di</strong>fficili da accettare. L’Ade viene, <strong>di</strong> conseguenza, reso<br />

visibile attraverso una ricchezza <strong>di</strong> particolari visivi che lo deve ricreare per<br />

il nostro sguardo. Così avviene anche nella bella poesia <strong>di</strong> Maria Clelia<br />

Cardona che fa parte della raccolta Il Vino del Congedo: 23<br />

22 They have cut off both his hands/ and soon they will tear/ his head from his body in one<br />

burst/ of furious refusal./ He foresees this. Yet he will go on/ singing, and in praise./ To sing is<br />

either praise/ or defiance. Praise is defiance. Ibidem.<br />

23 I Nuovi poeti <strong>di</strong> Amadeus, Cittadella (Pd), 1994.<br />

–82–


Euri<strong>di</strong>ce<br />

Il mio già innamorato orecchio ascoltava<br />

più che la musica il tuo patteggiare che a me<br />

– francamente – sembrò sventato.<br />

Così balzai dal letto – mi copriva una coltre<br />

<strong>di</strong> bianchi papaveri e appena <strong>di</strong>stinguevo<br />

nello specchio il mio viso sbia<strong>di</strong>to più lieve<br />

tra le garze dei petali. Mi amerà<br />

ancora? pensavo, così sfarinata e<br />

il sangue mutato in bruno terriccio in fondo<br />

alla ferita. La coroncina <strong>di</strong> mirto dai<br />

capelli mi scivolò sui fianchi: ero appena<br />

una reliquia. E ad ogni movimento<br />

il mio corpo levava sbuffi <strong>di</strong> polvere.<br />

Dov’è Euri<strong>di</strong>ce? Dov’è il mio bene? cantavi<br />

al suono della lira. Non era una festa<br />

ma per farmi notare ballavo e ballavo:<br />

mulinando come un soffione sul prato.<br />

Dov’è il mio bene? Non mi vedevi o<br />

fingevi? Lusingato da tanto silenzio<br />

e ombre intorno al tuo canto.<br />

Non guardarla – bisbigliavano i cinerei<br />

sovrani – Non è che una fulina, anche<br />

uno sguardo la può lacerare. Siamo<br />

ormai <strong>di</strong>savvezzi ad ogni violenza.<br />

Solo negli occhi si vive, ma noi<br />

siamo qui per morire.<br />

E poi allungando le già lunghe lingue:<br />

Se la vuoi pur così sciupacchiata è tua<br />

con ancora indosso la veste nuziale e ancora<br />

amorosa la bocca cilestrina.<br />

E tu che fingevi <strong>di</strong> cercare sotto i sassi<br />

nei tronchi in qualche ghianda d’argento<br />

in un nido <strong>di</strong> civetta per guadagnare tempo.<br />

Ti seguivo con le mie ali <strong>di</strong> carta<br />

appesa ai tuoi capelli.<br />

Tutt’intorno un dormiveglia <strong>di</strong> ombre<br />

che leccavano latte.<br />

Notte – spiegata davanti ai miei<br />

occhi, immenso<br />

abbandono.<br />

–83–


Tu bruciavi già per la voglia<br />

<strong>di</strong> stenderti al sole, pensavi a me<br />

come al frutto carnoso <strong>di</strong> cui ero<br />

ormai solo il seme bianco e amaro.<br />

E io con la gola chiusa da un nauseante<br />

miele: ma parla! Almeno<br />

dì qualcosa. Chi ti impe<strong>di</strong>sce<br />

<strong>di</strong> parlare? E tu: Dov’è Euri<strong>di</strong>ce<br />

dov’è il mio bene – cantavi a gran voce<br />

per il sentiero in salita, finché mi <strong>di</strong>ssi:<br />

ma chi cerca?<br />

Quella lite silenziosa non ha lasciato<br />

ricor<strong>di</strong>. Una piccola nube <strong>di</strong> api<br />

nere ha invelenito il nostro viaggio<br />

nuziale.<br />

Voltandoti, non ti sei accorto neppure<br />

che già in silenzio me ne ero andata.<br />

Euri<strong>di</strong>ce è ricoperta da una “coltre <strong>di</strong> bianchi papaveri”, “il viso<br />

sbia<strong>di</strong>to più lieve/ tra le garze dei petali”, è “sfarinata”, “il sangue mutato<br />

in bruno terriccio in fondo/ alla ferita”, è “appena/ una reliquia”, “ad ogni<br />

movimento”, “il ...corpo levava sbuffi <strong>di</strong> polvere”. Pur così inconsistente e<br />

lieve conserva una decisa coscienza <strong>di</strong> sé e reagisce al canto traboccante <strong>di</strong><br />

Orfeo con una domanda precisa:<br />

... Mi amerà /ancora? ...<br />

Nei suoi tentativi <strong>di</strong> rispondere al richiamo del poeta e farsi notare si<br />

insinua un sottile umorismo:<br />

... Non era una festa<br />

ma per farmi notare ballavo e ballavo:<br />

trovai la forza per qualche piroetta in alto<br />

mulinando come un soffione sul prato.<br />

Il tono colloquiale delle considerazioni fra sé e sé <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce e i ripetuti<br />

enjambement contribuiscono alla <strong>di</strong>scorsività della poesia e a creare vivacità<br />

e aspettativa.<br />

Ben presto la protagonista dà voce a un dubbio acerbo:<br />

... Non mi vedevi o<br />

fingevi? ...<br />

–84–


I “cinerei sovrani” intervengono nella ricerca <strong>di</strong> Orfeo che non sta approdando<br />

a nulla. “Allungando le già lunghe lingue” – pare <strong>di</strong> vedere queste<br />

lingue da formichiere che si allungano ancora <strong>di</strong> più nella liqui<strong>di</strong>tà della elle<br />

–, <strong>di</strong>cono “Se la vuoi pur così sciupacchiata è tua...”. ma, concentrato nel<br />

suo canto, Orfeo sembra non sentire nemmeno queste parole <strong>di</strong> ce<strong>di</strong>mento.<br />

E tu che fingevi <strong>di</strong> cercare sotto i sassi<br />

nei tronchi in qualche ghianda d’argento<br />

in un nido <strong>di</strong> civetta per guadagnare tempo.<br />

E poi ancora la rappresentazione della Euri<strong>di</strong>ce-ombra “attiva”, sospesa<br />

nell’ironia surreale della descrizione dell’Ade:<br />

Ti seguivo con le mie ali <strong>di</strong> carta<br />

appesa ai tuoi capelli.<br />

Tutt’intorno un dormiveglia <strong>di</strong> ombre<br />

che leccavano latte.<br />

Un momento <strong>di</strong> intenso abbandono, che rende l’idea <strong>di</strong> quanto Euri<strong>di</strong>ce<br />

sia profondamente compenetrata <strong>di</strong> quel mondo notturno:<br />

Notte – spiegata davanti ai miei<br />

occhi, immenso<br />

abbandono.<br />

Il contrasto con la visione <strong>di</strong> Orfeo che continua a non rendersi conto <strong>di</strong><br />

quello che gli sta intorno, ma vive sempre nel narcisismo della sua creazione<br />

poetica, irrita la sposa agognata e la porta a un’amara conclusione:<br />

...ma parla! ...<br />

...<br />

ma chi cerca?<br />

...<br />

voltandoti, non ti sei accorto neppure<br />

che già in silenzio me ne ero andata.<br />

La Cardona ricostruisce una donna fisicamente cambiata, ma psicologicamente<br />

partecipe e vivace, che assiste impaziente all’atteggiamento<br />

<strong>di</strong> un Orfeo completamento assorbito da se stesso e dal proprio canto fino<br />

al punto <strong>di</strong> non riconoscere la persona che apparentemente era andato a<br />

cercare.<br />

Nella prefazione al libro Mario Luzi osserva come questa poetessa frequenti<br />

“assai spesso il mito e gli autori classici... Li frequenta come occor-<br />

–85–


enze della sua vita interiore, li richiama come luoghi nei quali l’esperienza<br />

dell’uomo si è instaurata ma non si è consumata...”. Aggiunge poco dopo:<br />

“...il mito cessa <strong>di</strong> essere mitologico e la soggettività emotiva della Cardona<br />

invoca quel paragone come presente perennemente coevo alla sofferenza<br />

umana, e dunque alla sua”.<br />

L’introduzione della soggettività femminile nel mito è un evento moderno.<br />

Possiamo affiancare queste parole a quelle della filosofa e teologa<br />

statunitense Mary Daly, esponente insigne del femminismo <strong>di</strong> matrice cristiana,<br />

che osserva:<br />

Alle donne è stato sottratto il potere <strong>di</strong> nominare... Esistere umanamente è nominare<br />

l’io, il mondo e Dio... parole che, materialmente parlando, sono identiche a<br />

quelle vecchie, <strong>di</strong>ventano nuove in un contesto semantico che emerge dall’esperienza<br />

qualitativamente nuova. 24<br />

Questa Euri<strong>di</strong>ce fa la sua parte nell’antica storia del mito, lo riscrive<br />

dal punto <strong>di</strong> vista femminile, muovendosi con una leggerezza che la rende<br />

unica, crea un personaggio che non esita a fare una scelta decisa, quella<br />

<strong>di</strong> scomparire prima del fati<strong>di</strong>co sguardo <strong>di</strong> controllo <strong>di</strong> Orfeo (si noti la<br />

cadenza impeccabile degli accenti negli ultimi due versi, che creano una<br />

scala immaginaria attraverso la quale la compagna del cantore è scivolata<br />

via).<br />

L’Euri<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Carol Ann Duffy, poetessa scozzese contemporanea,<br />

autrice della <strong>di</strong>ssacrante raccolta <strong>di</strong> poesie La Moglie del Mondo, 25 lavora<br />

<strong>di</strong> astuzia per non essere riportata nel mondo dei vivi contro la sua volontà:<br />

Ragazze, ero morta e sepolta<br />

nell’Oltretomba, uno spettro,<br />

un’ombra <strong>di</strong> quello che ero stata, fuori dal tempo.<br />

In quel luogo il linguaggio si fermava,<br />

un punto nero, un buco nero<br />

dove le parole erano destinate a finire.<br />

Altrochè se finivano,<br />

le ultime parole,<br />

famose o meno.<br />

Ci stavo bene sottoterra.<br />

24 Mary Daly, Beyond God the Father: toward a philosophy of women’s liberation. London:<br />

Women Press, 1986.<br />

25 La Moglie del Mondo, a cura <strong>di</strong> Giorgia Sensi e Andrea Sirotti, Le Lettere, Firenze,<br />

2002.<br />

–86–


Dunque immaginatemi laggiù,<br />

inavvicinabile,<br />

fuori dal mondo,<br />

poi figuratevi la mia faccia in quel luogo<br />

<strong>di</strong> Eterno Riposo,<br />

nell’unico posto, <strong>di</strong>reste, dove una ragazza sarebbe al sicuro<br />

da quel tipo d’uomo<br />

che ti segue dappertutto<br />

scrivendo poesie,<br />

gironzolando impaziente<br />

mentre gliele leggi,<br />

che ti chiama la sua Musa,<br />

e una volta ti ha tenuto il muso per un giorno intero<br />

perché gli hai fatto notare il suo debole per i nomi astratti.<br />

Provate a immaginarvi la mia faccia<br />

quando sentii,<br />

dei del cielo!<br />

un toc-toc familiare alla porta della Morte.<br />

Lui.<br />

Il grosso O.<br />

Più grande del normale.<br />

Con la sua lira<br />

e i suoi versi da intonare, e io ero il premio.<br />

Un tempo le cose erano <strong>di</strong>verse.<br />

Per gli uomini in fatto <strong>di</strong> poesia,<br />

Grosso O era il migliore. Leggendario.<br />

I risvolti <strong>di</strong> copertina dei suoi libri sostenevano<br />

che gli animali,<br />

dall’arma<strong>di</strong>llo alla zebra,<br />

s’accalcavano al suo fianco quando cantava,<br />

i pesci guizzavano fuori dal banco<br />

al suono della sua voce,<br />

persino le mute, aride pietre ai suoi pie<strong>di</strong><br />

piangevano minuscole lacrime d’argento.<br />

Balle. (Non lo saprò io,<br />

che ho battuto a macchina tutto quanto).<br />

E se mi venisse restituito il tempo,<br />

state tranquille che preferirei parlare per me stessa<br />

piuttosto che essere Cara, Tesoro, Dama Bruna, Dea Bianca, ecc.<br />

In realtà, ragazze, preferirei essere morta.<br />

Ma gli dei sono come gli e<strong>di</strong>tori,<br />

maschi, <strong>di</strong> solito,<br />

e quello che certamente sapete della mia storia<br />

è il patto.<br />

–87–


Orfeo avanzava tronfio declamando la sua roba.<br />

Gli spettri esangui si sciolsero in lacrime.<br />

Sisifo si sedette sulla pietra per la prima volta in tanti anni.<br />

A Tantalo fu concesso <strong>di</strong> farsi un paio <strong>di</strong> birre.<br />

La sottoscritta non credeva ai suoi orecchi<br />

volente o nolente,<br />

lo dovevo seguire alla vita precedente –<br />

Euri<strong>di</strong>ce, moglie <strong>di</strong> Orfeo –<br />

e restare prigioniera delle sue immagini, metafore, similitu<strong>di</strong>ni,<br />

ottave e sestine, quartine e <strong>di</strong>stici,<br />

elegie, limerick, villanelle,<br />

storie e miti...<br />

Gli avevano detto che non doveva guardare in<strong>di</strong>etro<br />

né voltarsi,<br />

ma camminare deciso verso l’alto,<br />

con me alle sue calcagna,<br />

fuori dall’Oltretomba<br />

in quell’aria lassù che per me era il passato.<br />

Lo avevano avvertito<br />

uno sguardo e mi avrebbe perduta<br />

per l’eternità.<br />

Così camminammo, camminammo.<br />

Non parlammo.<br />

Ragazze, <strong>di</strong>menticate quello che avete letto.<br />

È andata così:<br />

feci tutto quanto in mio potere<br />

per farlo voltare.<br />

cosa dovevo fare, mi <strong>di</strong>cevo,<br />

per fargli capire che tra noi era finita?<br />

Ero morta. Deceduta.<br />

Riposavo in pace. Defunta. Buonanima.<br />

Da lungo tempo scaduta ...<br />

Allungai la mano<br />

per toccarlo una volta<br />

sul retro del collo.<br />

Ti prego, fammi restare.<br />

Ma la luce era già incupita dal porpora al grigio.<br />

Quanta fatica quella salita<br />

dalla morte alla vita<br />

e ad ogni passo<br />

cercavo <strong>di</strong> farlo voltare.<br />

–88–


Pensai <strong>di</strong> fregargli la poesia<br />

da sotto il mantello,<br />

quando infine mi venne l’ispirazione.<br />

Mi fermai, in fibrillazione.<br />

Era un metro davanti a me.<br />

La mia voce tremava quando parlai –<br />

Orfeo, la tua poesia è un capolavoro.<br />

Fammela sentire ancora ...<br />

Sorrideva con modestia<br />

quando si voltò,<br />

Quando si voltò e mi guardò.<br />

Che altro?<br />

Notai che non si era fatto la barba.<br />

Gli feci ciao con la mano e me ne andai.<br />

Quanto talento hanno i morti.<br />

I vivi camminano ai bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un vasto lago<br />

vicino al silenzio saggio, sommerso, dei morti. 26<br />

26 Eury<strong>di</strong>ce.<br />

Girls, I was dead and down/ in the Underworld, a shade,/ a shadow of my former self,<br />

nowhen./ It was a place where language stopped/ a black full stop, a black hole/ where words<br />

had to come to an end./ And end they <strong>di</strong>d there,/ last words,/ famous or not./ It suited me down<br />

to the round.// So imagine me there,/ unavailable,/ out of this world,/then picture my face in that<br />

place/ of Eternal Repose,/ in the one place you’d think a girl would be safe/ from the kind of a<br />

man/ who follows her round/ writing poems,/ hovers about/while she reads them,/ calls her<br />

His Muse,/ and once sulked for a night and a day/ because she remarked on his weakness for<br />

abstract nouns./ Just picture my face/ when I heard –/ Ye Gods –/ a familiar knock-knock-knock<br />

at Death’s door.// Him. Big O./ Larger than life./ With his lyre/ and a poem to pitch, with me as<br />

prize.// Things were <strong>di</strong>fferent back then./ For the men, verse-wise,/ Big O was the boy. Legendary./<br />

The blurb on the back of his books claimed/ that animals,/ aardvark to zebra,/ flocked to<br />

his side when he sang,/ fish leapt in their shoals/ at the sound of his voice,/ even the mute,<br />

sullen stones at his feet/ wept wee, silver tears.// Bollocks. (I’d done all the typing myself,/<br />

I should know.)/ And given my time all over again,/ rest assured that I’d rather speak for<br />

myself/than be Dearest, Beloved, Dark Lady, White Goddess, etc., etc.// In fact, girls, I’d rather<br />

be dead./ But the Gods are like publishers,/ usually male,/ and what you doubtless know of my<br />

tale/ is the deal.// Orpheus strutted his stuff.// The bloodless ghosts were in tears./ Sisyphus sat<br />

on his rock for the first time in years./ Tantalus was permitted a couple of beers.// The woman in<br />

question could scarcely believe her ear.// Like it or not,/ I must follow him back to our life –/<br />

Eury<strong>di</strong>ce, Orpheus’wife –/ to be trapped in his images, metaphors, similes,/ octaves and sextets,<br />

quatrains and couplets,/ elegies, limericks, villanelles,/ histories, myths ...// He’d been told that<br />

he mustn’t look back/ or turn round,/ but walk stea<strong>di</strong>ly upwards,/ myself right behind him,/ out<br />

of the Underworld/ into the upper air that for me was the past./ He’d been warned/ that one look<br />

would lose me/ for ever and ever.// So we walked, we walked./ Nobody talked.// Girls, forget<br />

what you’ve read./ It happened like this –/ I <strong>di</strong>d everything in my power/ to make him look<br />

back./ What <strong>di</strong>d I have to do, I said,/ to make him see we were through?/ I was dead. Deceased./<br />

–89–


Di questa intrigante e <strong>di</strong>vertente poesia della Duffy notiamo il tono colloquiale,<br />

il senso <strong>di</strong> complicità con le altre donne (“Girls” ripetuto più<br />

volte), l’ironia con cui Euri<strong>di</strong>ce si confronta con il celebre poeta che tutti<br />

esaltano, ma che lei non può più sopportare, il gusto con cui si intrattiene a<br />

descrivere l’arrivo <strong>di</strong> Orfeo nell’Oltretomba che bussa con nonchalance alla<br />

porta della Morte!(“toc-toc”), l’irriverenza nei confronti dell’aureola che<br />

per secoli ha circondato la figura del grande vate capace <strong>di</strong> affascinare tutti<br />

e tre i regni della natura ”(Balle. (Non lo saprò io,/ che ho battuto a macchina<br />

tutto quanto)”, l’insofferenza nei confronti della mania del marito <strong>di</strong><br />

chiamarla con i nomi più scontati della tra<strong>di</strong>zione poetica e della sua volontà<br />

<strong>di</strong> fare <strong>di</strong> lei la sua musa. A tutto questo Euri<strong>di</strong>ce oppone un “preferirei<br />

parlare per me stessa”. La mescolanza <strong>di</strong> particolari del mondo moderno<br />

con le ricorrenze del mito crea un effetto comico rafforzato dall’uso<br />

sapiente della rima finale e interna. Alla luce della modernità e soprattutto<br />

da un punto <strong>di</strong> vista rovesciato, com’è quello <strong>di</strong> una donna, anche figure tra<strong>di</strong>zionali<br />

del mito acquistano una rilevanza caricaturale:<br />

Sisifo si sedette sulla pietra per la prima volta in tanti anni.<br />

A Tantalo fu concesso <strong>di</strong> farsi un paio <strong>di</strong> birre.<br />

L’apparato poetico del bardo tra<strong>di</strong>zionale viene qui deriso apertamente<br />

(“dovevo... restare prigioniera delle sue immagini, metafore, similitu<strong>di</strong>ni,/<br />

ottave...”) e quella che alla fine avrà “l’ispirazione” sarà propria la pallida<br />

ombra che preferisce restare in un luogo dove può essere se stessa. Tutto il<br />

poemetto è ricco <strong>di</strong> spunti ironici che sono messi in risalto dalla rima e dal<br />

contrasto tra le parole del mito e quelle della quoti<strong>di</strong>anità.<br />

Il poeta canadese Mark Strand è autore <strong>di</strong> una pregnante poesia sul mito<br />

in questione, Orpheus Alone, (Orfeo Solo). Il mitico cantore parla in prima<br />

persona:<br />

I was Resting in Peace. Passé. Late./ Past my self-by date .../ I stretched out my hand/ to touch<br />

him once/ on the back of his neck. Please let me stay./ But already the light had saddened from<br />

purple to grey.// It was an uphill schlep/ from death to life/ and with every step/ I willed him to<br />

turn./ I was thinking of filching the poem/ out of his cloak,/ when inspiration finally struck./<br />

I stopped, thrilled./ He was a yard in front./My voice shook when I spoke –/ Orpheus, your<br />

poem’s a masterpiece./ I’d love to hear it again ...// He was smiling modestly/ when he turned,/<br />

when he turned and he looked at me.// What else?/ I noticed he hadn’t shaved./ I waved once and<br />

was gone.// The dead are so talented./ The living walk by the edge of a vast lake/ near the wise,<br />

drowned silence of the dead. Op. cit.<br />

–90–


Era un’avventura <strong>di</strong> cui molto si poteva pensare: un cammino<br />

lungo le sponde del più oscuro dei fiumi conosciuti,<br />

tra le folle che s’accalcano incappucciate, presso rocce fumanti<br />

e file <strong>di</strong> capanne sfatte, semisepolte dal su<strong>di</strong>ciume; 27<br />

L’inferno è anche qui descritto dettagliatamente in un paesaggio quasi<br />

dantesco. Lì giunge il poeta per<br />

... parlare<br />

<strong>di</strong> ciò che aveva perso, ciò che ancora possedeva del suo lutto,<br />

e poi, senza più alcun freno, descrivere gli occhi <strong>di</strong> lei,<br />

la fronte su cui si stendeva la luce d’oro della sera,<br />

la curva del collo, il declivio delle spalle, ogni parte<br />

fino giù alle cosce, ai polpacci, lasciando sgorgare le parole<br />

come suscitate dal sonno, controcorrente, alla deriva,<br />

contro il volere dell’acqua, ... 28<br />

È pressante la voglia <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce e attraverso le parole ricostruire<br />

la fisicità della donna amata. Il poeta-Orfeo si misura con la capacità<br />

delle parole <strong>di</strong> far rivivere le persone – uno dei motivi per cui si sceglie <strong>di</strong><br />

scrivere:<br />

Come tutti sanno, questa fu la prima insigne poesia,<br />

cui seguirono giornate e giornate sfaccendate<br />

in casa d’amici, testa rovesciata all’in<strong>di</strong>etro, a occhi<br />

chiusi, cercando <strong>di</strong> farla tornare con la forza <strong>di</strong> volontà, ma trovando<br />

solo se stesso, sempre e soltanto, chiuso<br />

nel gelo del suo lutto, ... 29<br />

In questa fase è come se l’amante ci <strong>di</strong>cesse che è andato verso la morte<br />

per ritrovare la vita, ha nutrito una speranza che contiene in sé una contrad<strong>di</strong>zione.<br />

27 It was an adventure much could be made of: a walk/ On the shores of the darkest known<br />

river,/ Among the hooded, shoving crowds, by steaming rocks/And rows of ruined huts halfburied<br />

in the muck. The Continuous Life (1990). Compare nella raccolta, Mark Strand, Il futuro<br />

non è più quello <strong>di</strong> una volta, a cura <strong>di</strong> Damiano Abeni. Minimum Fax, 2006.<br />

28 ... speak/ Of what he had lost, what he still possessed of his loss,/ And, then, pulling out<br />

all the stops, describing her eyes,/ Her forehead, where the golden light of evening spread,/ The<br />

curve of her neck, the slope of her shoulders, everything/ Down to her thighs and calves, letting<br />

the words come,/ As if lifted from sleep, to drift upstream,/ Against the water’s will, ...Ibidem.<br />

29 As everyone knows, this was the first great poem,/ Which was followed by days of<br />

sitting around/ In the houses of friends, with his head back, his eyes/ Closed, trying to will her<br />

return, but fin<strong>di</strong>ng/ Only himself, again and again, trapped/ In the chill of his loss, ...Ibidem.<br />

–91–


Dopo questo primo tentativo <strong>di</strong> riportare in vita la moglie, il poeta<br />

riprende a<br />

... vagare sui colli<br />

fuori città, dove rimase fino a scrollarsi <strong>di</strong> dosso<br />

l’immagine dell’amore e a sostituirla con il mondo<br />

come aveva desiderato che fosse, costringendo forma e misura<br />

in parole tanto nuove che una vertigine corse il mondo,<br />

e alberi d’improvviso apparvero nello spazio nudo<br />

in cui parlava e innalzarono i rami e sfiorarono<br />

l’erba tenera con le falde della loro ombra,<br />

e le pietre, per una volta senza peso, vennero a sistemarsi lì,<br />

e i piccoli animali si sdraiarono nei campi miracolosi <strong>di</strong> grano<br />

e i filari <strong>di</strong> granoturco, e s’assopirono. ... 30<br />

per cercare negli infiniti sentieri della terra una ragione <strong>di</strong> vita che compensasse<br />

la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce. Attraverso la full-immersion nella molteplicità<br />

della realtà, da cui scaturirà un secondo componimento, il poeta misura<br />

l’intensità del suo sentimento e ricrea il mondo. Qui il mito è rivisitato in<br />

chiave moderna. L’affannoso andare in cerca <strong>di</strong> Euri<strong>di</strong>ce porta Orfeo a un<br />

confronto <strong>di</strong>retto con l’esterno, a un rinvigorimento del senso della vita.<br />

La terza fase delle sue peregrinazioni, corrispondente alla terza poesia,<br />

non è affatto solare, è drammatica e polimorfa:<br />

... La terza e più insigne<br />

venne al mondo come mondo, dall’in<strong>di</strong>cibile,<br />

sorgente invisibile <strong>di</strong> ogni anelito d’essere; venne<br />

come vengono le cose che periranno, per essere viste o u<strong>di</strong>te<br />

per un poco, come una coltre <strong>di</strong> brina o il sommuoversi<br />

del vento, e poi non più; venne nel cuore del sonno<br />

come una porta sull’infinito, e, cinta <strong>di</strong> fiamme,<br />

tornò al momento del risveglio, e talvolta,<br />

remota e minuta, venne come una visione con alberi<br />

lungo un torrente tortuoso, che accarezzano la sponda<br />

con la loro ombra viola, con le membra <strong>di</strong> qualcuno<br />

<strong>di</strong>sseminate tra le foglie pressate, ammuffite lì vicino,<br />

30 ... to wander the hills/ Outside of town, where he stayed until he had shaken/ The image<br />

of love and put in its place the world/ As he wished it would be, urging its shape and measure/<br />

Into speech of such newness that the world was swayed,/ And trees suddenly appeared in the<br />

bare place/ Where he spoke and lifted their limbs and swept/ The tender grass with the gowns of<br />

their shade,/ And stones, weightless for once, came and set themselves there,/ And small animals<br />

lay in the miraculous fields of grain/ And aisles of corn, and slept. ...Ibidem.<br />

–92–


e la sua testa mozzata che rotola sotto i flutti,<br />

spezzando le mutevoli colonne <strong>di</strong> luce in un vortice<br />

<strong>di</strong> granuli e schegge; venne in una lingua<br />

non sfiorata dalla pietà, in versi, oscuri e fastosi,<br />

in cui la morte è rinata e inviata nel mondo come dono,<br />

così che il futuro, privo <strong>di</strong> voce propria e <strong>di</strong> speranza<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>venire mai più <strong>di</strong> quello che sarà, possa portare il lutto. 31<br />

È la fase in cui il poeta deve in qualche modo accettare la morte e<br />

quin<strong>di</strong> è anche la più tragica e confusa. Deve sottostare alle “cose che periranno”,<br />

nel “cuore del sonno”, “come una porta sull’infinito”, a contatto<br />

con una natura adesso avversa (“lungo un torrente tortuoso”) e con la sua<br />

stessa morte (“con le membra <strong>di</strong> qualcuno”) <strong>di</strong>sseminata tra “le foglie pressate”<br />

e “la sua testa mozzata”. Alla fine non è Euri<strong>di</strong>ce che rinasce, ma la<br />

morte inviata nel mondo in versi “oscuri e fastosi”.<br />

Orpheus Alone, come Eury<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> C. A. Duffy è un poema narrativo,<br />

ma l’andamento e i toni sono molto <strong>di</strong>versi. Nel componimento del poeta<br />

canadese il racconto è soprattutto il <strong>di</strong>spiegarsi <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> atteggiamenti<br />

verso la morte: la speranza che il canto possa strappare qualcuno alla morte,<br />

la prima sconfitta nel constatare che questo è solo un rime<strong>di</strong>o temporaneo;<br />

il tentativo <strong>di</strong> recuperare la struggente vitalità <strong>di</strong> un rapporto d’amore intenso,<br />

buttandosi a capofitto nelle cose del mondo e vedere come le parole<br />

trasformano le cose, le fanno vivere; infine, la consapevolezza <strong>di</strong> perdere<br />

tutto, la donna amata e se stesso, tranne quelle parole che celebrano la<br />

morte.<br />

La drammaticità del <strong>di</strong>scorso è sostenuta da una scrittura densa – fatta<br />

<strong>di</strong> frasi lunghe, dal grande potere evocativo –, incalzante, culminante nella<br />

parte finale dove<br />

... death is reborn ...<br />

31 ... The third and greatest/ Came into the world, out of the unsayable,/ Invisible source of<br />

all longing to be; it came/ As things come that will perish, to be seen or heard/ A while, like the<br />

coating of frost or the movement/ Of wind, and then no more; it came in the middle of sleep/ Like<br />

a door to the infinite, and circled by flame,/ Came again at the moment of waking, and,<br />

sometimes,/ Remote and small, it came as a vision with trees/ By a weaving stream, brushing the<br />

bank/ With their violet shade, with somebody’s limbs/ Scattered among the matted, mildewed leaves<br />

nearby,/ With his severed head rolling under the waves,/ Breaking the shifting columns of<br />

light into a swirl/ Of slivers and flecks; it came in a language/ Untouched by pity, in lines, lavish<br />

and dark,/ Where death is reborn and sent into the world as a gift,/ So the future, with no voice of<br />

its own, nor hope/ Of ever becoming more than it will be, might mourn. Ibidem.<br />

–93–


Euri<strong>di</strong>ce manca, perché è morta, ma sappiamo molto <strong>di</strong> quello che<br />

prova il poeta e dell’evolversi vorticoso del suo sentire. Orfeo sta sempre<br />

<strong>di</strong>etro alla sua arte, ma non è un narciso infatuato e stupido, è un uomo che<br />

deve affrontare una delle cose più <strong>di</strong>fficili e dolorose che impone la vita.<br />

Per questo la poesia <strong>di</strong> Mark Strand ci viene in aiuto quando ci troviamo<br />

a misurarci con il grave problema della per<strong>di</strong>ta e il mito non è mai<br />

tanto vivo come quando ci invita a interrogarci sulla nostra vita.<br />

Molte poetesse hanno dato la parola a quella Euri<strong>di</strong>ce che per tanto<br />

tempo aveva parlato solo per bocca <strong>di</strong> Orfeo, rivelando un personaggio<br />

originale, che assume una varietà <strong>di</strong> atteggiamenti – <strong>di</strong> stizza o <strong>di</strong> ribellione<br />

verso Orfeo, <strong>di</strong> complicità con il nuovo mondo <strong>di</strong> cui è compenetrata, <strong>di</strong><br />

autonomia –, ma sempre hanno teso a sviluppare la sua soggettività, a<br />

mettersi dalla parte <strong>di</strong> una figura a cui non era stato permesso avere una<br />

voce propria, ma che era stata investita dalla ridondanza dell’immaginario<br />

maschile. Dal canto suo anche Orfeo ha sondato se stesso più intimamente:<br />

nella modernità la parola non manca mai <strong>di</strong> esplorare la profon<strong>di</strong>tà dell’io<br />

in rapporto con l’ignoto in cui si trova a vivere.<br />

Il mistero dell’amore, della morte e della parola continua ad essere<br />

messo in scena.<br />

–94–


MARCO PESCETELLI<br />

L’errante:<br />

il giallo <strong>di</strong> un film orfano<br />

Il film, il cui titolo francese era L’Errante, fu donato alla Cineteca<br />

Nazionale <strong>di</strong> Roma dal Centre National de la Cinématographie (CNC - Bois<br />

d’Arcy - Paris) nel 2000, in accordo al protocollo <strong>di</strong> scambi approvati dalla<br />

FIAF (Federation International d’Archives du Film) nell’ambito delle cineteche<br />

aderenti con il <strong>di</strong>chiarato scopo <strong>di</strong> implementare la politica <strong>di</strong> raccolta<br />

e preservazione delle pellicole. La copia inviata alla Cineteca Nazionale sembra<br />

essere la sola esistente <strong>di</strong> questo film. Il supporto è al nitrato, i colori generati<br />

per imbibizione e le <strong>di</strong>dascalie in francese. Non ci sono più titoli <strong>di</strong> testa<br />

o <strong>di</strong> coda, ma solo quello iniziale: L’Errante – drame.<br />

È uno dei tanti casi <strong>di</strong> film cosiddetti orfani, cioè non identificati, <strong>di</strong> cui<br />

si è persa memoria. Le cineteche <strong>di</strong> tutto il mondo hanno fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> questo tipo,<br />

costituiti cioè da film che attendono <strong>di</strong> ritrovare i loro autori, la loro nazionalità,<br />

un elemento che serva ad identificarli. Il loro destino è il più triste<br />

<strong>di</strong> tutti. Infatti già gli archivi faticano a reperire i fon<strong>di</strong> per conservare l’esistente<br />

e restaurare le opere ritenute – tra quelle in pericolo – le più degne <strong>di</strong><br />

essere ‘restaurate’. Figuriamoci a quale destino vadano incontro queste che<br />

invece nessuno reclama, <strong>di</strong> cui non si conosce nemmeno l’esistenza. Per sperare<br />

nella loro sopravvivenza ed impe<strong>di</strong>rne il deca<strong>di</strong>mento chimico-fisico, il<br />

primo tentativo è tentare perciò <strong>di</strong> identificare i film.<br />

La copia <strong>di</strong> questo, inviata dalla cineteca francese, era in<strong>di</strong>cata come film<br />

italiano, <strong>di</strong>retto da Baldassarre Negroni nel 1922, dal titolo La danzatrice<br />

russa. In realtà nessuna filmografia del conte Negroni riporta quest’opera e<br />

l’unica traccia del film si ritrova in un articolo <strong>di</strong> un giornale francese in cui<br />

Linda Pini viene in<strong>di</strong>cata come la protagonista; <strong>di</strong> seguito viene riassuna la<br />

trama e una breve critica. 1 Inoltre esiste il romanzo scritto da Pierre Desclaux,<br />

pubblicato in <strong>di</strong>eci episo<strong>di</strong> e alcune foto <strong>di</strong> scena prese dal film, nella<br />

rivista Mon Ciné, che forse può rappresentare una buona fonte per identificare<br />

il film. 2<br />

1 H.A., ‘L’Errante’, Hebdo-Film, 51, 10 December 1925, p. 25.<br />

2 Mon Cine, nos 212-221, 11 March-13 May 1926.<br />

–95–


Michelle Aubert, curatrice della cineteca francese, crede che il film sia<br />

un adattamento <strong>di</strong> questo romanzo e fa notare che lo scrittore era registrato<br />

come adattatore e autore cinematografico intorno agli anni Venti. Anche il<br />

nome <strong>di</strong> Georges Petit, citato insieme a quello del romanziere, è quello <strong>di</strong> un<br />

<strong>di</strong>stributore <strong>di</strong> film stranieri in Francia; ciò confermerebbe che il film è straniero.<br />

In ogni caso c’è da notare che la pubblicazione del romanzo avvenne<br />

dopo la <strong>di</strong>stribuzione del film, riutilizzando la sceneggiatura originale e adattandola<br />

ad un’opera letteraria.<br />

A parte questo, non ci sono altre fonti <strong>di</strong> informazione sul film. Non<br />

esiste traccia che sia stato <strong>di</strong>stribuito in Italia e nemmeno un documento che<br />

lo citi nei registri <strong>di</strong> censura. Dunque per identificare l’opera, l’unico modo<br />

è cercare delle prove all’interno del film. Prima tra tutte l’identificazione dell’attrice<br />

principale. Il confronto tra alcune foto e fermi immagini tratte dai<br />

film dell’epoca e quelle della protagonista de L’Errante mi hanno portato effettivamente<br />

ad identificare l’attrice con Linda Pini, protagonista<br />

– tra gli altri – del film <strong>di</strong>retto da Amleto Palermi nel 1924 La freccia nel<br />

cuore. Quest’ultimo fu girato quasi nello stesso periodo e Linda Pini sembra<br />

aver interpretato un ruolo simile.<br />

In realtà le pubblicazioni più recenti non corroborano questa tesi. Infatti<br />

un recente catalogo generale <strong>di</strong> attori italiani non cita questo film tra i lavori<br />

<strong>di</strong> Linda Pini. Il film in questione risulta piuttosto menzionato nella biofilmografia<br />

dell’attrice e <strong>di</strong> Baldassarre Negroni, forse il regista <strong>di</strong> La danzatrice<br />

russa (1922), ma non riportata da e<strong>di</strong>zioni successive. Attraverso il confronto<br />

<strong>di</strong> altri film in cui Linda Pini recitò nello stesso periodo in cui fu prodotto<br />

L’Errante, è evidente che ci sono molte somiglianze tra il plot del film e<br />

quello <strong>di</strong> altri in cui recitò Linda Pini: normalmente la protagonista è una povera<br />

ragazza pronta a sacrificare tutto per i suoi bambini e i suoi amanti<br />

(Elevazione, 1920; I <strong>di</strong>sonesti, 1922; La freccia nel cuore, 1924; La via del<br />

dolore, 1924); giovani donne i cui sentimenti puri sono minacciati da persone<br />

malvagie (Favilla, 1921); oppure giovani donne che devono lottare contro il<br />

crimine per riconquistare la loro purezza (I dannati, 1921; La madonna<br />

errante, 1921). Il successo <strong>di</strong> Linda Pini sembra essere collegato alle sue<br />

performance appassionate come donna perduta nei film citati prima, il che<br />

suggerirebbe che il ruolo de L’Errante era perfetto per lei.<br />

È molto più <strong>di</strong>fficile stabilire se Baldassarre Negroni <strong>di</strong>resse questo film<br />

o no. La più recente attribuzione <strong>di</strong> questo film a lui è contenuta in una biofilmografia<br />

pubblicata da Roberto Chiti oltre quaranta anni fa, in cui si in<strong>di</strong>ca<br />

il 1922 come l’anno <strong>di</strong> produzione del film e Linda Pini come l’attrice pro-<br />

–96–


tagonista. 3 Quel che risulta strano è che il conte Negroni, sposato per molti<br />

anni ad un’altra attrice, Olga Mambelli, il cui nome d’arte era Hesperia, lavorò<br />

per lo più con la moglie. Quin<strong>di</strong> non è chiaro perché qui Negroni avrebbe<br />

fatto un’eccezione. Per questo motivo anche il compianto Vittorio Martinelli,<br />

uno dei più accre<strong>di</strong>tati esperti <strong>di</strong> cinema muto italiano, escludeva categoricamente<br />

che Negroni potesse aver lavorato con Linda Pini in quel periodo. 4<br />

Purtroppo un esame <strong>di</strong> altri film con un titolo simile non ha prodotto<br />

alcun risultato utile. È possibile che un’altra copia dello stesso film sia stata<br />

catalogata con un altro titolo per errore. In effetti esiste un altro film intitolato<br />

La Madonna errante, <strong>di</strong>retto da Gastone Ravel, prodotto dalla Medusafilm<br />

e <strong>di</strong>stribuito a Roma per la prima volta nell’ottobre del 1921; anche qui<br />

Linda Pini è la protagonista. Purtroppo, a parte alcune somiglianze con la<br />

trama (c’è, ad esempio una scena molto simile in cui la protagonista uccide<br />

involontariamente un uomo e la sua vita cambia: in meglio in La Madonna<br />

errante, in peggio in L’Errante), la sottile <strong>di</strong>fferenza dei titoli si riferisce a<br />

due film <strong>di</strong>fferenti.<br />

In questa ricerca <strong>di</strong> ‘autore’, un altro film il cui titolo ha attratto la mia<br />

attenzione è stato L’Errante, <strong>di</strong>retto da Jacques Volnys e prodotto da<br />

Bellincioni nel 1921. In questo caso il titolo, apparentemente identico (uno<br />

francese, l’altro italiano), mi ha portato a credere che questo potesse essere<br />

un’altra stampa dello stesso film. Purtroppo, anche in questo caso, un semplice<br />

controllo alla Cineteca Nazionale <strong>di</strong> Roma ha rivelato che la supposizione era<br />

errata.<br />

L’ultimo aspetto preso in considerazione è stato quello meramente materiale<br />

del film. Prima <strong>di</strong> tutto le <strong>di</strong>dascalie in francese, in tutto centosessanta.<br />

Ad una più attenta analisi, ho potuto così constatare che la lingua<br />

usata era un cattivo francese: nelle <strong>di</strong>dascalie sono infatti presenti errori <strong>di</strong><br />

ortografia e grammatica. Ancor più rilevanti quelli <strong>di</strong> tipo lessicale che sottolineano<br />

un uso del vocabolario spesso non accurato o del tutto inadeguato.<br />

Alcuni degli errori più ricorrenti sono elencati qui <strong>di</strong> seguito:<br />

• Ortografia: paure invece <strong>di</strong> pauvre, lesqueles invece <strong>di</strong> lesquelles,<br />

detin invece <strong>di</strong> destin, sous invece <strong>di</strong> sans, acceptè, trouvè, informè,<br />

tres e etait invece <strong>di</strong> accepté, trouvé, informé, très ed était; etre,<br />

meme, pret, maitre, chateau invece <strong>di</strong> être, même, prêt, maître e<br />

château; douloureux invece <strong>di</strong> douleureux.<br />

3 Film Lexicon degli autori e delle opere, Roma, CSC, 1962, vol. V, p. 638<br />

4 Intervista telefonica con Vittorio Martinelli registrata il 14/5/2005.<br />

–97–


• Grammatica: Avez invece <strong>di</strong> aviez, avaint invece <strong>di</strong> avaient, aimes<br />

invece <strong>di</strong> aime, ‘tu voulais jouer?’ invece <strong>di</strong> ‘voulais tu jouer?’ e ‘tu<br />

veux l’être?’ invece <strong>di</strong> ‘veux-tu l’être’?<br />

• Accuratezza: person(n)e invece <strong>di</strong> jeune dame, je vous en conjure (non<br />

ha senso), A jamais (per sempre? Anche qui non ha senso in francese).<br />

Probabilmente tutti questi errori o inaccuratezze lessicali sono imputabili<br />

ad una cattiva traduzione da una lingua straniera (l’italiano?) al francese o alla<br />

composizione in francese <strong>di</strong> un adattatore. Comunque, questa sembra essere<br />

un’ulteriore prova che questo film non è francese, ma straniero, forse italiano.<br />

L’ultima questione da affrontare rimane la determinazione dell’anno <strong>di</strong><br />

produzione <strong>di</strong> questa stampa positiva, la sola che a tutt’oggi sembra essere<br />

sopravvissuta. Per identificare il film gli elementi più significativi sono i dati<br />

riportati sui bor<strong>di</strong> della pellicola, stampati dalla casa <strong>di</strong> produzione o dall’industria<br />

manifatturiera <strong>di</strong> pellicola o dagli stessi laboratori <strong>di</strong> sviluppo e stampa.<br />

Ad un’accurata analisi effettuata in moviola e ad un tavolo passa-film,<br />

ho potuto riscontrare che sui bor<strong>di</strong> della pellicola ci sono dei co<strong>di</strong>ci stampati<br />

dalla Eastman Kodak: a volte un quadratino e un cerchietto, a volte<br />

invece un triangolo con un cerchietto. Un controllo della carta dei co<strong>di</strong>ci<br />

Kodak rivela che questa copia del film fu stampata nel 1925-26. 5 Così, è<br />

possibile confermare che L’Errante fu <strong>di</strong>stribuita in Francia in quegli anni,<br />

ma non si può affermare niente <strong>di</strong> sicuro sull’esattezza dell’anno <strong>di</strong> produzione<br />

o sulla nazionalità.<br />

Film come questi, definiti film orfani (‘orphan films’ in inglese) 6 , sono<br />

essenzialmente opere che mancano <strong>di</strong> aventi <strong>di</strong>ritto (o la cui proprietà legale<br />

e commerciale è poco chiara). La conseguenza <strong>di</strong>retta è che nessuno è<br />

<strong>di</strong>sposto a pagare per la loro conservazione. Eppure tra <strong>di</strong> loro è probabile<br />

che si possano in<strong>di</strong>viduare capolavori ritenuti perduti per sempre (come<br />

ad esempio Sperduti nel buio, <strong>di</strong>retto da Nino Martoglio nel 1914). Così<br />

il restauro de L’Errante avviato dalla Cineteca Nazionale <strong>di</strong> Roma nel 2001<br />

sembra essere a prima vista un meritevole unicum. Forse però con qualche<br />

secondo fine. Ma questa è un’altra storia...<br />

5 Harold Brown, Physical Characteristics of Early Films as Aids to Identification, Bruxelles:<br />

FIAF, 1990, p. 45.<br />

6 L’origine esatta del termine non è chiara. Dagli anni Novanta, comunque, i funzionari<br />

delle cineteche comunemente usavano questo termine per riferirsi a film abbandonati dai loro<br />

proprietari. Alla fine degli anni Novanta il termine emerse come metafora della conservazione<br />

dei film, prima negli USA poi a livello internazionale.<br />

–98–


Sezione <strong>di</strong>dattica<br />

(collaborazioni degli studenti)


LICIA FIERRO<br />

Introduzione ai progetti<br />

realizzati dagli alunni <strong>di</strong> II e III B<br />

per l’anno scolastico <strong>2007</strong>-2008<br />

Il <strong>di</strong>partimento XI del Comune <strong>di</strong> Roma, nel progetto speciale “Roma<br />

per vivere, Roma per pensare”, ha proposto per l’a.s. <strong>2007</strong>/2008, il tema:<br />

Roma tra incanto e <strong>di</strong>sincanto. Come <strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, sono state in<strong>di</strong>cate<br />

una molteplicità <strong>di</strong> riflessioni particolari, pertinenti alla traccia, ma tali da<br />

essere inserite nell’approfon<strong>di</strong>mento curricolare dei programmi propri delle<br />

singole classi a seconda dell’in<strong>di</strong>rizzo delle scuole o anche degli ambiti <strong>di</strong><br />

indagine che spaziavano dall’arte alla musica, dalla storia alla politica, alla<br />

filosofia. Il Dipartimento XI ha organizzato questo lavoro in collaborazione<br />

con la Società Filosofica e la facoltà <strong>di</strong> Storia e Filosofia dell’Università<br />

Roma Tre. I professori coinvolti nel progetto hanno partecipato a due giornate<br />

introduttive <strong>di</strong> formazione, nel mese <strong>di</strong> ottobre, presso l’Università <strong>di</strong><br />

Roma Tre dove hanno avuto la possibilità <strong>di</strong> assistere ad una serie <strong>di</strong> incontri<br />

con gli specialisti delle aree <strong>di</strong>sciplinari relative ai percorsi in<strong>di</strong>viduabili e<br />

alle articolazioni tra le aree dei nuclei tematici <strong>di</strong> riferimento.<br />

È stato, poi, necessario or<strong>di</strong>nare tutto il materiale fornito per darne agli<br />

studenti una prima rielaborazione nei contenuti al fine <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare l’argomento<br />

preciso su cui costruire l’indagine. Il lavoro preliminare è stato in<strong>di</strong>spensabile<br />

anche perché le classi, sulla base della traccia prescelta hanno<br />

aderito ad alcune iniziative considerate importanti per lo svolgimento della<br />

ricerca (conferenze all’Università, visione <strong>di</strong> filmati, documentazione in biblioteca,<br />

visita al Museo del Risorgimento, ecc…).<br />

La classe II B ha costruito il suo percorso: Dalla gnoseologia degli antichi<br />

alla politica dei moderni, trasposizione storica nel Risorgimento italiano,<br />

con l’intento <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come sia <strong>di</strong>fficile, in ogni tempo, tradurre<br />

l’incanto della teoria nella prassi operativa, nella concretezza dell’azione<br />

politica. Nella prima parte del lavoro, sotto la guida dell’insegnante <strong>di</strong><br />

latino e greco, professoressa Giannì, gli studenti hanno scelto una serie <strong>di</strong><br />

documenti da tradurre e commentare perlopiù relativi ad autori in cui risulta<br />

evidente il rapporto e la connessione tra filosofia e politica. In modo parti-<br />

– 101 –


colare sono state considerate le posizioni dello scetticismo, dalla impostazione<br />

pirroniana alle rielaborazioni successive: lo scetticismo dell’Accademia<br />

con Arcesilao, il <strong>di</strong>sincanto <strong>di</strong> Carneade e Sesto Empirico, il sincretismo<br />

ciceroniano.<br />

I ragazzi, <strong>di</strong>visi in gruppi, si sono assunti la responsabilità <strong>di</strong> scegliere,<br />

tra le fonti, quelle ritenute idonee ad essere utilizzate per <strong>di</strong>mostrare la tesi<br />

<strong>di</strong> partenza o per smentire l’eccesso <strong>di</strong> generalizzazione in cui spesso<br />

incorre la storiografia. Un esercizio, questo, particolarmente fruttuoso per la<br />

crescita dello spirito critico e l’autonomia <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. L’analisi <strong>di</strong> documenti,<br />

la traduzione, i commenti e la <strong>di</strong>scussione su epoche lontane e<br />

<strong>di</strong>verse hanno reso questi giovani consapevoli dell’immutabile bisogno<br />

umano <strong>di</strong> dare risposte, anche quando esse risultano negative ed esprimono<br />

la crisi <strong>di</strong> ogni certezza. Un pensiero “debole” contro un pensiero “forte”?<br />

Su questa domanda, i ragazzi si sono impegnati a rispondere, o meglio a<br />

trovare in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> risposta nella seconda parte della ricerca, guidati dalla<br />

professoressa <strong>di</strong> Storia e Filosofia. Nell’Ottocento, secolo dominato per un<br />

verso dai gran<strong>di</strong> sistemi filosofici e per l’altro dalla tendenza a tradurre<br />

nella prassi politica i principi teorici elaborati, è stato davvero possibile<br />

mantenere l’incanto e la promessa annunciata o l’incompiutezza dei risultati<br />

ha <strong>di</strong>mostrato che lo scarto è incolmabile?<br />

Nello stu<strong>di</strong>o del Risorgimento italiano, para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> un’idea <strong>di</strong><br />

nazione, intesa come l’in<strong>di</strong>vidualità storica in cui si traduce il sentimento, la<br />

passione, la cultura <strong>di</strong> un popolo finora soggetto e schiavo, è sembrato agli<br />

studenti <strong>di</strong> poter rintracciare la forza <strong>di</strong> un pensiero concreto capace <strong>di</strong><br />

smuovere dal torpore, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care obiettivi comuni e con<strong>di</strong>visibili per i<br />

quali, se necessario, si giustificava pure il sacrificio della vita. A leggere i<br />

testi <strong>di</strong> filosofi come Rosmini che riconosce e contesta le piaghe della<br />

Chiesa o gli accenti accorati <strong>di</strong> Mazzini sulla bellezza eroica del dovere,<br />

pare quasi scontata la comprensione dell’entusiasmo giovane dei patrioti <strong>di</strong><br />

allora e, da ciò, gli studenti hanno tratto motivi <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione e confronto<br />

<strong>di</strong>alettico. I gruppi <strong>di</strong> lavoro, hanno pure tenuto conto della pubblicistica<br />

risorgimentale rintracciando pagine <strong>di</strong> giornali, risultati dei congressi degli<br />

scienziati, documenti attinenti le politiche dei vari stati italiani in materia <strong>di</strong><br />

economia e <strong>di</strong> istruzione. La storiografia sulle fonti, in parte costruita tutti<br />

insieme, in parte scelta a seconda dei singoli temi, ha rispecchiato le varie<br />

chiavi <strong>di</strong> lettura sia degli assunti teorici, sia dei risultati politici del processo<br />

risorgimentale. Una particolare attenzione è stata riservata al ruolo <strong>di</strong> Roma<br />

e al compimento dell’Unità. Sulla capitale, i ragazzi presentano l’attualizza-<br />

– 102 –


zione del problema, ovvero il passaggio dal significato del suo ruolo, l’incanto<br />

e la specificità irripetibile del suo essere “Italia” e al tempo stesso la<br />

sua eterna <strong>di</strong>sposizione a configurarsi come città che si apre e accoglie<br />

il mondo.<br />

I momenti più significativi <strong>di</strong> questa esperienza sono stati quelli in cui<br />

i ragazzi hanno saputo amalgamare il frutto delle ricerche per conferire all’insieme<br />

la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> una sintesi sicuramente limitata, ma comunque ricca<br />

della tensione intellettuale ed emotiva <strong>di</strong> ognuno <strong>di</strong> loro. Al saggio scritto,<br />

gli studenti hanno affiancato un pannello grafico in cui hanno voluto esemplificare<br />

la “caduta” delle piccole ban<strong>di</strong>ere degli staterelli italiani in nome<br />

<strong>di</strong> un unico vessillo in cui riconoscersi al<strong>di</strong>là dei campanili.<br />

La classe III B, ha scelto un percorso cui ha dato questo titolo: Dal mito<br />

deluso del ’68 al <strong>di</strong>sincanto della società <strong>di</strong>sgregata, il caso Italia.<br />

In occasione del quarantesimo “anniversario” del ’68, in sintonia col<br />

tema centrale del progetto <strong>di</strong> cui sopra e con quello specifico del Festival<br />

della Filosofia, gli studenti della terza ne hanno approfittato per inserire il<br />

loro lavoro nell’approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> natura curricolare riguardante la storia<br />

italiana del secondo dopoguerra. Sotto la guida dell’insegnante <strong>di</strong> Storia e<br />

Filosofia, sud<strong>di</strong>visi in gruppi <strong>di</strong> lavoro, i ragazzi hanno affrontato il ‘68 a<br />

partire dalle origini del movimento. Ciò ha comportato uno stu<strong>di</strong>o, per così<br />

<strong>di</strong>re allargato, ai gran<strong>di</strong> temi della cultura e della politica negli anni sessanta<br />

a livello internazionale, prima ancora che italiano. La scelta delle fonti è<br />

risultata <strong>di</strong>fficile a causa della vastità dei riferimenti, ma poi, come risulta<br />

dal testo, gli studenti hanno in<strong>di</strong>viduato alcuni documenti fondamentali e con<br />

essi le opportune e variegate chiavi <strong>di</strong> lettura. Dall’America, all’Europa,<br />

passando attraverso i nuovi frutti del pensiero filosofico e le vicende mai<br />

concluse <strong>di</strong> conflitti non meno ideologici <strong>di</strong> quelli che sembravano passati,<br />

gli studenti hanno ricercato le cause, le affinità e le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> un movimento<br />

che ha avuto come protagonisti paesi sviluppati, ma anche periferie<br />

del mondo post-industriale. La stagione dell’incanto: pensiero alternativo,<br />

gioco, fantasia, creatività, impegno <strong>di</strong> trasformazione, coscienza dei valori <strong>di</strong><br />

solidarietà. E poi la politica come lotta, lo scontro generazionale, le fratture e<br />

i tormenti. Per entrare nel vivo, nel cuore del movimento italiano, in un proliferare<br />

<strong>di</strong> saggi e pubblicazioni dell’ultimo minuto, abbiamo, <strong>di</strong> comune accordo,<br />

vagliato con cura le proposte e<strong>di</strong>toriali senza tralasciare ricostruzioni<br />

sicuramente antitetiche per le modalità dell’indagine e le priorità attribuite<br />

dagli autori a questo o quell’aspetto del movimento. Ne è risultato un mo-<br />

– 103 –


saico <strong>di</strong>fficile da rior<strong>di</strong>nare, ma qui si è manifestata l’abilità dei ragazzi che<br />

hanno saputo personalizzare le loro ricerche, pur nel vivace confronto dei<br />

punti <strong>di</strong> vista. Si può notare come sia considerato netto il passaggio dall’elaborazione<br />

teorico-filosofica alle concrete prese <strong>di</strong> posizione politica, come se<br />

ci fosse stata, in quegli anni, una sintonia tra pensiero ed azione, mai prima<br />

così chiara e sperimentata. Il <strong>di</strong>scorso sulla situazione contingente dell’Italia,<br />

i problemi irrisolti relativi allo sviluppo avvenuto con altissimi profitti e<br />

bassi salari, le promesse <strong>di</strong>sattese dei governi <strong>di</strong> centro-sinistra incapaci <strong>di</strong><br />

realizzare riforme <strong>di</strong> struttura, fanno da sfondo al grande slancio ideale<br />

del ’68 italiano. Sui frutti del movimento e le sue presunte degenerazioni, è<br />

costruita la seconda parte <strong>di</strong> questo lavoro che ci porta inevitabilmente a<br />

considerare i no<strong>di</strong> irrisolti in cui ancora oggi ci <strong>di</strong>battiamo e ai quali aspettiamo<br />

<strong>di</strong> dare risposte che siano coerenti con le attese stanche <strong>di</strong> chi è più<br />

vecchio e con le speranze rinnovate <strong>di</strong> chi si affaccia a prendere su <strong>di</strong> sé la<br />

responsabilità futura del nostro paese. Al saggio scritto, gli studenti hanno<br />

affiancato un Cd-rom in cui hanno voluto trasferire, attraverso l’immagine e<br />

la musica lo spirito con cui hanno affrontato il problema.<br />

I lavori delle due classi sono stati esposti, nel corso del Festival della<br />

filosofia, nella Serra dell’Au<strong>di</strong>torium Parco della Musica.<br />

– 104 –<br />

Licia Fierro<br />

Coor<strong>di</strong>natrice del Progetto


LICEO CLASSICO ORAZIO ROMA<br />

“Incanto e <strong>di</strong>sincanto”<br />

dalla gnoseologia degli antichi<br />

alla politica dei moderni:<br />

proiezione storica nel Risorgimento italiano<br />

– Progetto: Roma per vivere, Roma per pensare –<br />

(anno scolastico 2008-2009)<br />

CLASSE II B<br />

Coor<strong>di</strong>natrice: Prof.ssa Licia Fierro - Collaboratrice: Prof.ssa Alda Giannì<br />

GLI ALUNNI:<br />

Viviana Andolfi - Federica Balzani - Rosa Calabrese - Giulia Chakkalakal<br />

Daniele Costanzo - Flaminia Gaia Di Lorenzo - Cristiano Furnari - Arianna Giuliani<br />

Ilaria Gravina - Cristina Roxana Manescu - Adriano Masci - Luca Messina<br />

Davide Maria Meucci - Elisabetta Orlando Senatore - Giovanni Romano<br />

Arianna Sorrentino - Silvia Margareta Staffa - Chiara Ton<strong>di</strong> - Aurora Volpini.<br />

INDICE:<br />

INTRODUZIONE.<br />

CAPITOLO I<br />

1.1 La gnoseologia degli antichi: il “<strong>di</strong>sincanto” e le certezze perdute<br />

negli orizzonti teorici delle scuole <strong>di</strong> età ellenistica.<br />

1.2 Le ripercussioni a Roma dello scetticismo: Cicerone.<br />

CAPITOLO II<br />

2.1 La traduzione in politica degli assunti ideali e teorici: uno sguardo storico.<br />

2.2 “Incanto” del Risorgimento nella tensione dei suoi protagonisti.<br />

2.3 Il “<strong>di</strong>sincanto”: problemi irrisolti e funzione <strong>di</strong> Roma<br />

dall’età post-risorgimentale fino ai giorni nostri.<br />

INTRODUZIONE<br />

Nell’ambito del progetto relativo al tema “Incanto e <strong>di</strong>sincanto” dalla<br />

gnoseologia degli antichi alla politica dei moderni: proiezione storica nel<br />

Risorgimento italiano, è necessario in<strong>di</strong>viduare gli aspetti generali del<br />

problema per poi analizzarne le componenti particolari. In tale prospettiva<br />

– 105 –


l’utilità <strong>di</strong> contestualizzare il problema ci pone <strong>di</strong> fronte ad una serie <strong>di</strong><br />

interrogativi.<br />

Qual è l’orizzonte socio-politico e culturale in cui si colloca la nascita<br />

<strong>di</strong> nuove scuole <strong>di</strong> pensiero, quali lo Stoicismo, l’Epicureismo e lo Scetticismo?<br />

Come influisce la nuova visione della realtà sui caratteri specifici<br />

dello Scetticismo? Nello sviluppare tali tematiche è importante focalizzare<br />

l’attenzione sui mutamenti avvenuti nel passaggio dall’età classica (V-IV<br />

sec. a.C) all’età ellenistica (IV-III sec. a.C). Infatti un primo cambiamento<br />

del modus viven<strong>di</strong> fu determinato dalla crisi della πóλις nata come forma <strong>di</strong><br />

aggregazione politica, economica e sociale. Proprio il nucleo originario <strong>di</strong><br />

questa istituzione era rappresentato dall’α! κρóπολις centro religioso e militare<br />

<strong>di</strong> tutta la comunità, a <strong>di</strong>fferenza dell’agorà, simbolo della vita politica<br />

ed economica. Una delle πóλεις <strong>di</strong> maggior importanza fu la città <strong>di</strong> Atene,<br />

la quale, durante la cosiddetta “Età dell’oro”, assunse il ruolo <strong>di</strong> leader in<br />

campo militare e soprattutto culturale.<br />

Infatti un primo significativo traguardo fu raggiunto quando per vincere<br />

i Persiani, i quali sempre più spingevano sui confini <strong>di</strong> dominio greco, fu<br />

costretta a costruire una potente flotta navale, che le permise <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />

l’abilità <strong>di</strong> un esercito <strong>di</strong> uomini, animati dal desiderio <strong>di</strong> conquistare la<br />

propria libertà. Ciò contribuì <strong>di</strong> conseguenza all’ascesa della città, che nel<br />

giro <strong>di</strong> pochi decenni realizzò un impero marittimo, <strong>di</strong>venendo perciò la<br />

prima città della Grecia. Tuttavia l’apice della sua potenza si ebbe quando le<br />

sue sorti furono rette dal grande statista Pericle. Fu infatti dal 495 a.C. al<br />

429 a.C. che si concretizzò la vera “democrazia”. Famosa è la descrizione<br />

<strong>di</strong> Pericle tramandata dallo storico Tuci<strong>di</strong>de: “Aι#τιον δ*η ∼ jν ο$τι ε*κει ∼νος με`ν<br />

δυνατòς ω#ν τω∼ / τε α! ξιω´ματι και` τη/ ∼ γνω´μη/ χρημα´των τε διαϕανω∼ ς<br />

α! δωρóτατος γενóμενος κατει∼ χε τò πλη∼ θος ε*λευθε´ρως, και` ου! κ<br />

η# γετο μα∼ λλον υ@ π* αυ! του∼ η% αυ! τòς η ∼ jγε, δια` τò μη` κτω´μενος ε*ξ ου!<br />

προσηκóντων τη` νδυ´ναμιν πρòς η& δονη´ν τι λε´γειν, α! λλ* ε# χων ε*π*<br />

α! ξιω´σει και` πρòς ο! ργη´ν τι α! ντειπει ∼ν”. 1 (“La sua grande abilità politica<br />

consisteva nel non lasciarsi guidare dalla volontà popolare più <strong>di</strong> quanto<br />

egli stesso non riuscisse a controllarla; rimproverare il popolo quando la<br />

situazione lo richiedeva, ma sollevarlo dalle angosce nei momenti <strong>di</strong> crisi.<br />

Fu per questo, – conclude lo storico – che in Atene vi era sì la democrazia,<br />

ma <strong>di</strong> fatto la guida politica della città era nelle mani <strong>di</strong> una sola persona<br />

amata e temuta dai citta<strong>di</strong>ni”).<br />

1 Tuci<strong>di</strong>de, Le storie, Principato, 2003, libro II parr. 65.8-65.9.<br />

– 106 –


In questo clima <strong>di</strong> prosperità si evince come le certezze, specchio <strong>di</strong> una<br />

società consapevole delle proprie potenzialità e dei propri limiti, abbiano influito<br />

su quell’ideale <strong>di</strong> perfezione, proprio dell’arte <strong>di</strong> Fi<strong>di</strong>a, esemplificata<br />

nei monumenti dell’acropoli.Tuttavia la situazione mutò a partire dalla<br />

morte <strong>di</strong> Alessandro Magno e si verificò un periodo <strong>di</strong> crisi in cui non fu <strong>di</strong>menticata<br />

la lezione dei filosofi classici ovvero Socrate, Platone e Aristotele,<br />

che continuarono ad esercitare un’influenza non trascurabile sulle<br />

scuole <strong>di</strong> pensiero che si formeranno via via nell’età ellenistica. In questo<br />

passaggio si nota come dal punto <strong>di</strong> vista politico-amministrativo la nuova<br />

forma <strong>di</strong> organizzazione socio-politico sia la βασιλει´α, in cui gli in<strong>di</strong>vidui<br />

sono ormai “sud<strong>di</strong>ti”. 2 In tale contesto culturale, Atene perse il suo ruolo <strong>di</strong><br />

città egemone, poiché altre, come Alessandria d’Egitto con la sua biblioteca<br />

e con il suo Museo, le si affiancarono; ma Atene rimase il centro della vita<br />

filosofica: tanto il <strong>Liceo</strong>, retto da Teofrasto, quanto l’Accademia continuarono<br />

a svolgere la loro attività. In merito a ciò fu particolarmente importante<br />

l’in<strong>di</strong>rizzo filosofico dello Scetticismo, che elaborando in chiave gnoseologica,<br />

etica e politica i dubbi e le incertezze del tempo, trovò una prima<br />

<strong>di</strong>ffusione con una delle personalità più originali dell’epoca: Pirrone <strong>di</strong><br />

Elide. Infatti l’atteggiamento scettico si presenta come una forma <strong>di</strong> indagine<br />

aperta, giungendo alla conclusione che non è possibile conoscere nulla<br />

della realtà. Pertanto l’uomo deve porsi nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “epochè”, ovvero<br />

deve attuare la sospensione del giu<strong>di</strong>zio. In questa <strong>di</strong>mensione, che<br />

può esser definita <strong>di</strong> “DISINCANTO”, poiché i valori dell’età classica sono<br />

ormai <strong>di</strong>ssolti nel passato, in che modo si affermano gli aspetti etici dello<br />

Scetticismo? Per rispondere al quesito è in<strong>di</strong>spensabile riflettere sul valore<br />

del dubbio scettico. Partendo dalla considerazione che il dubbio, che gli<br />

scettici usano per <strong>di</strong>struggere ogni certezza, pervenendo a ciò che è indubitabile,<br />

è un dubbio ra<strong>di</strong>cale, si vede come le esigenze dell’uomo del IV sec.<br />

siano connesse al pensiero dell’etica scettica, fondamento del pensiero politico.<br />

Di conseguenza è chiaro quanto lo Scetticismo per la portata delle sue<br />

influenze sia <strong>di</strong>venuto conforme alle istanze sociali, dove trovano piena affermazione<br />

l’insegnamento socratico del “γνω ∼ θι σεαυτóν”, attraverso l’incessante<br />

ricerca conoscitiva e la capacità <strong>di</strong> creare una “!ισοστε´νεια”<br />

(uguale forza) <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi contrapposti, che però non hanno soluzione, dal<br />

momento che non si può pervenire all’essere. Ma allora sorge un altro in-<br />

2 Droysen, Storia dell’Ellenismo; sulla scia <strong>di</strong> Droysen, A.Lesky, Storia della letteratura<br />

greca, Il Saggiatore, Milano, 1965, vol. III.<br />

– 107 –


terrogativo: se si assiste a questa per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> fiducia nell’assolutizzazione dei<br />

valori, per cui si parla <strong>di</strong> un passaggio dall’incanto al <strong>di</strong>sincanto, si può vedere<br />

lo stesso processo in altri perio<strong>di</strong> storici? Correndo avanti nel tempo, il<br />

nostro percorso contempla l’esigenza <strong>di</strong> collegare l’in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong> pensiero<br />

antico come un atteggiamento, una <strong>di</strong>sposizione della mente, tale da farci<br />

intendere le componenti ideali e politiche nella temperie storica del Risorgimento<br />

italiano. Infatti il Risorgimento, durante il quale la penisola italiana<br />

venne unificata politicamente, non fu solo un’operazione politica ma<br />

anche un atto <strong>di</strong> fede nato da quell’ideale <strong>di</strong> coscienza nazionale, <strong>di</strong> carattere<br />

prettamente etico, che animò uomini <strong>di</strong> grande spirito a realizzare<br />

l’“Unità”, dando vita ad uno Stato liberale. Il filo conduttore <strong>di</strong> quest’impresa<br />

fu proprio l’idea <strong>di</strong> libertà, nata dallo spirito risorgimentale, il quale a<br />

sua volta affonda le ra<strong>di</strong>ci nel secolo dei Lumi. Infatti il concetto <strong>di</strong> Liberalismo<br />

(termine <strong>di</strong> origine francese: libéral, nell’accezione <strong>di</strong> dottrina politica,<br />

il cui obiettivo è il raggiungimento della tutela della libertà in<strong>di</strong>viduale)<br />

s’intravede per la prima volta nelle motivazioni che scatenarono la<br />

grande Rivoluzione francese. La libertà fu la scintilla che fece scoppiare<br />

l’incen<strong>di</strong>o. Il teorico <strong>di</strong> questo ideale fu l’inglese J. Locke, 3 ma una prima<br />

impronta teorica si riscontra nel pensiero filosofico <strong>di</strong> B. Constant che partecipò<br />

all’attività politica in Francia nell’ultima metà della Rivoluzione<br />

francese.<br />

Di orientamento liberale, più legato alla tra<strong>di</strong>zione anglosassone che a<br />

quella francese, guardava più all’Inghilterra che all’Antica Roma come modello<br />

pratico <strong>di</strong> libertà all’interno <strong>di</strong> una vasta società commerciale.<br />

Egli delineò la <strong>di</strong>stinzione tra la “Libertà degli antichi e dei moderni”. 4<br />

La prima era partecipatoria, basata sulla libertà repubblicana, e dava ai<br />

citta<strong>di</strong>ni il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> influenzare <strong>di</strong>rettamente la politica tramite <strong>di</strong>battiti e<br />

votazioni nelle pubbliche assemblee. Allo scopo <strong>di</strong> sostenere questo grado<br />

<strong>di</strong> partecipazione <strong>di</strong>retta, avere la citta<strong>di</strong>nanza era un obbligo morale che<br />

richiedeva un considerevole <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tempo ed energia. Generalmente<br />

ciò richiedeva una sottoclasse <strong>di</strong> schiavi per assolvere a gran parte del lavoro<br />

produttivo, lasciando così ai liberi citta<strong>di</strong>ni la possibilità <strong>di</strong> deliberare<br />

sugli affari pubblici. La Libertà degli Antichi era anche delimitata a società<br />

relativamente piccole ed omogenee, nelle quali la popolazione poteva radunarsi<br />

in un unico luogo per <strong>di</strong>battere la cosa pubblica.<br />

3 J. Locke, II trattato sul governo civile.<br />

4 B.Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, Einau<strong>di</strong>, 2005.<br />

– 108 –


La Libertà dei Moderni, <strong>di</strong> contro, è basata sul go<strong>di</strong>mento delle libertà<br />

civili, sul dominio della legge, e sulla libertà dall’ingerenza dello Stato. La<br />

partecipazione <strong>di</strong>retta è così limitata: ciò si spiega come conseguenza necessaria<br />

all’interno degli stati moderni, ed è anche un risultato inevitabile dell’aver<br />

dato vita ad una società commerciale in cui non esistono schiavi ma<br />

ognuno deve guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro. Per questo motivo<br />

coloro che hanno <strong>di</strong>ritto al voto devono eleggere dei rappresentanti che deliberano<br />

nel Parlamento in rappresentanza del popolo.<br />

Constant era convinto che nel mondo moderno grazie al commercio la<br />

guerra fosse superflua. Egli attaccò aspramente la sete <strong>di</strong> conquiste territoriali<br />

<strong>di</strong> Napoleone che considerava illiberali e non degne <strong>di</strong> una moderna<br />

organizzazione sociale e commerciale. Era l’antica Libertà ad essere guerriera,<br />

mentre uno Stato organizzato sui principi della Libertà Moderna deve<br />

essere pacifico in mezzo ad altre nazioni pacifiche.<br />

La <strong>di</strong>stinzione tra Libertà Antica e Moderna è significativa per <strong>di</strong>versi<br />

aspetti. In primo luogo, la Francia aveva cercato <strong>di</strong> riprodurre durante la<br />

Rivoluzione Francese la Libertà Antica, basando le sue istituzioni come il<br />

Consolato e il tribunato sul modello della Roma Repubblicana. Ciò aveva<br />

avuto come esito contrario il dominio personale <strong>di</strong> Napoleone. Osservando<br />

inoltre, l’esempio dell’Inghilterra, Constant concluse che la monarchia<br />

costituzionale fosse più adatta delle istituzioni repubblicane per mantenere<br />

viva la Libertà Moderna. Questa sua visione contribuì alla definizione<br />

dell’“Acte Ad<strong>di</strong>tional” del 1815, che trasformava il restaurato potere <strong>di</strong><br />

Napoleone in una monarchia costituzionale.<br />

Questa doveva durare solo cento giorni, prima che Napoleone venisse<br />

sconfitto, ma il lavoro <strong>di</strong> Constant fu non<strong>di</strong>meno utile a riconciliare la monarchia<br />

con la libertà. Inoltre, Constant <strong>di</strong>segnò una nuova teoria <strong>di</strong> monarchia<br />

costituzionale, nella quale il potere reale era da intendersi come un<br />

potere neutro, protettivo, <strong>di</strong> equilibrio e <strong>di</strong> limitazione degli eccessi <strong>di</strong> altri<br />

poteri attivi: l’esecutivo, il legislativo e il giu<strong>di</strong>ziario. Infatti il potere esecutivo<br />

era affidato a un Consiglio <strong>di</strong> Ministri o Gabinetto il quale, sebbene nominato<br />

dal re, era in definitiva responsabile <strong>di</strong> fronte al Parlamento. Delineando<br />

questa chiara <strong>di</strong>stinzione tra i poteri del re (come Capo dello Stato)<br />

e i ministri (cioè l’Esecutivo) Constant rispondeva alla situazione politica<br />

inglese da più <strong>di</strong> un secolo a quella parte: cioè che sono i ministri, e non<br />

il re, a essere responsabili, e quin<strong>di</strong> che il re “regna ma non governa”. Va<br />

ricordato, comunque, che nello schema <strong>di</strong> Constant il re non era visto come<br />

una entità senza poteri: ne avrebbe avuti <strong>di</strong>versi, tra cui quello <strong>di</strong> effettuare<br />

– 109 –


nomine tra i giu<strong>di</strong>ci, sciogliere le Camere e in<strong>di</strong>re nuove elezioni, nominare<br />

i senatori e far decadere i ministri; ma non sarebbe stato in grado <strong>di</strong> governare,<br />

determinare le linee guida o <strong>di</strong>rigere l’amministrazione, poiché questo<br />

era compito dei rispettivi ministri. Diversamente dalla maggior parte degli<br />

storici, che ritiene fondamentale l’evento della Rivoluzione Francese, Constant<br />

afferma che l’errore principale <strong>di</strong> essa è stata la pretesa <strong>di</strong> realizzare la<br />

libertà degli antichi in una situazione storico-sociale dove era attuabile solo<br />

quella dei moderni. Tuttavia, a prescindere dalle contrastanti interpretazioni<br />

storiografiche, l’anima del Risorgimento italiano fu l’aspirazione alla libertà<br />

politica ed economica in uno Stato unitario che fosse “L’Italia”. La parola<br />

unità come oggi quella <strong>di</strong> libertà fu una forza contro lo scetticismo politico<br />

nel quale caddero molti uomini e poeti, fra cui Foscolo e Leopar<strong>di</strong>. Incanto<br />

e <strong>di</strong>sincanto camminarono <strong>di</strong> pari passo! L’“INCANTO” <strong>di</strong> questo periodo si<br />

tradusse, nella prassi politica, nella compiuta realizzazione dell’unificazione<br />

del nostro paese, sebbene tuttavia fosse comunque presente quel “DISIN-<br />

CANTO”, imme<strong>di</strong>atamente riscontrabile nei gran<strong>di</strong> problemi irrisolti.<br />

Perciò se da un lato ci furono valorosi uomini come Garibal<strong>di</strong>, considerato<br />

“l’uomo d’azione”, Mazzini, “la vera anima del Risorgimento”, Rosmini,<br />

Gioberti e Cattaneo, dall’altra continuarono a persistere problematiche <strong>di</strong><br />

carattere politico-economico che saranno particolarmente evidenti nel<br />

Mezzogiorno. A partire da Rosmini il desiderio <strong>di</strong> un’unificazione politica<br />

<strong>di</strong>viene oggetto <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito politico-filosofico che coinvolge i più importanti<br />

intellettuali. Infatti Rosmini, federalista convinto e <strong>di</strong>fensore della tra<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> fede e della cultura cattolica contro il soggettivismo del pensiero<br />

moderno, nato sulla scia dell’etica scettica, ritiene necessario garantire<br />

oggettività alla conoscenza, nonostante proprio nell’ambito conoscitivo<br />

la mente umana formuli giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> natura soggettiva. La sua posizione filosofica<br />

fu tacciata da Gioberti <strong>di</strong> scetticismo e nullismo, poiché Rosmini assume<br />

come primum filosofico la coscienza, la quale intuisce unicamente<br />

l’Essere ideale ma non quello reale. Nella questione subentra anche la tesi<br />

<strong>di</strong> Gioberti, il quale, sulla base dell’anacronistico legame fra Stato e Chiesa,<br />

crede che la verità filosofica s’identifichi con la verità religiosa, poiché la<br />

filosofia è riflessione dell’Idea delle Idee – per <strong>di</strong>rla con Platone – ovvero<br />

Dio, verità che si manifesta con la rivelazione. In merito a ciò, Gioberti<br />

sul solco della tra<strong>di</strong>zione agostiniana e anselmiana, invita a ritornare alla<br />

visione filosofica degli antichi, <strong>di</strong>sprezzando così <strong>di</strong> conseguenza la teoria<br />

<strong>di</strong> Cartesio, il quale, come <strong>di</strong>chiara Gioberti, è <strong>di</strong>venuto scettico al fine <strong>di</strong><br />

credere, dando perciò origine al sensismo, da cui sono derivati l’idealismo e<br />

– 110 –


lo scetticismo. Anche Cattaneo non si astiene dal criticare Rosmini ed in<br />

accordo con Gioberti afferma che la filosofia rosminiana prescinde dalla<br />

verità e costituisce un imme<strong>di</strong>ato scetticismo che si ra<strong>di</strong>calizza in tutto e<br />

non fonda nulla. Su tali complesse tematiche abbiamo concepito l’analisi in<br />

base ad una scelta preliminare dei testi essenziali e della storiografia che ci<br />

ha permesso <strong>di</strong> coglierne oltre al senso, anche le profonde implicazioni e le<br />

“influenze” sulle scelte della politica. Il lavoro è sud<strong>di</strong>viso in due gran<strong>di</strong><br />

sezioni ed è completato da una “conclusione” che non pretende <strong>di</strong> dare<br />

risposte definitive ma solo un contributo a successive riflessioni che ognuno<br />

farà nel proseguimento degli stu<strong>di</strong>.<br />

CAPITOLO I:<br />

• La gnoseologia degli antichi: il “<strong>di</strong>sincanto” e le certezze perdute<br />

negli orizzonti teorici delle scuole <strong>di</strong> età ellenistica.<br />

• Le ripercussioni a Roma dello scetticismo: Cicerone.<br />

CAPITOLO II:<br />

• La traduzione in politica degli assunti ideali e teorici: uno sguardo<br />

storico.<br />

• “Incanto” del Risorgimento nella tensione dei suoi protagonisti.<br />

• Il “<strong>di</strong>sincanto”: problemi irrisolti e funzione <strong>di</strong> Roma dall’età postrisorgimentale<br />

fino ai giorni nostri.<br />

Bibliografia e sitografia:<br />

GRETA GASPARINI, Gli storici, Principato, 2003.<br />

G. GRICCO - F.P. DI TEODORO, Itinerario nell’arte, Zanichelli,1996.<br />

B. COSTANT, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni,<br />

2005.<br />

Enciclope<strong>di</strong>a multime<strong>di</strong>ale “Encarta”.<br />

Enciclope<strong>di</strong>a multime<strong>di</strong>ale “Wikipe<strong>di</strong>a”.<br />

– 111 –


CAPITOLO I<br />

1.1 LA GNOSEOLOGIA DEGLI ANTICHI:<br />

IL “DISINCANTO” E LE CERTEZZE PERDUTE<br />

NEGLI ORIZZONTI TEORICI<br />

DELLE SCUOLE DI ETÀ ELLENISTICA<br />

Il periodo che va dalla morte <strong>di</strong> Alessandro Magno (323 a.C.) all’affermazione<br />

della supremazia <strong>di</strong> Roma (31 a.C.), chiamato “età ellenistica”, <strong>di</strong>viene<br />

il comune denominatore dei popoli che abitavano il Me<strong>di</strong>terraneo e<br />

l’Asia Minore. Esso è caratterizzato da alcuni importanti fattori che hanno<br />

trasformato la cultura, l’economia, la società e le istituzioni politiche<br />

greche. Innanzitutto il sistema della polis con le sue strutture partecipative,<br />

che è stato alla base della vita politica dell’età classica, viene sostituito da<br />

una nuova forma <strong>di</strong> potere, la monarchia, infatti il mondo ellenistico viene<br />

dominato da tre gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>nastie: la <strong>di</strong>nastia dei Tolomei in Egitto, quella dei<br />

Seleuci<strong>di</strong> in Siria, e quella degli Antigoni<strong>di</strong> in Macedonia. Il sovrano ellenistico,<br />

nonostante mostri un atteggiamento esteriore <strong>di</strong> filantropia e <strong>di</strong> benevolenza,<br />

esercita in realtà nei confronti del popolo un potere assoluto; il citta<strong>di</strong>no,<br />

dunque, non è più chiamato ad esprimere il proprio parere attraverso<br />

le assemblee democratiche (che hanno contrassegnato l’età della polis) ma è<br />

semplicemente un sud<strong>di</strong>to che deve al re obbe<strong>di</strong>enza e riconoscenza.<br />

Inoltre, il processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinizzazione del sovrano, iniziato con Alessandro<br />

Magno, <strong>di</strong>viene sempre più forte, tanto da tradursi in un complicato cerimoniale<br />

<strong>di</strong> corte comprendente la proskynesis. Anche la corte assume importanza<br />

sia come luogo <strong>di</strong> potere che <strong>di</strong> cultura. La classe <strong>di</strong>rigente, in un<br />

primo tempo, formata da Greci, i quali costituiscono anche la maggioranza<br />

dell’esercito e dell’amministrazione civile, in seguito <strong>di</strong>viene accessibile<br />

anche ad esponenti locali, purché profondamente ellenizzati nei costumi e<br />

nella lingua: si forma dunque una classe <strong>di</strong>rigente che utilizza il greco come<br />

lingua comune e risiede quasi unicamente nelle città. Così l’urbanesimo<br />

<strong>di</strong>venta una delle caratteristiche fondamentali dell’età ellenistica, infatti,<br />

nascono nuovi centri <strong>di</strong> sviluppo e <strong>di</strong> attrazione culturale. Sul piano sociale,<br />

la trasformazione dei citta<strong>di</strong>ni in sud<strong>di</strong>ti e la coesistenza <strong>di</strong> genti <strong>di</strong>verse<br />

determinano altri importanti mutamenti nella coscienza della popolazione,<br />

che ha ripercussioni nella vita culturale. Si <strong>di</strong>ffonde, infatti, da un lato un<br />

ripiegamento verso il privato, ovvia conseguenza della <strong>di</strong>stanza che si è<br />

creata tra la gente comune e la gestione degli affari pubblici; dall’altro si<br />

– 112 –


attenua la <strong>di</strong>fferenza nei confronti della <strong>di</strong>versità etnica e culturale, che promuove<br />

un senso <strong>di</strong> cosmopolitismo per cui l’in<strong>di</strong>viduo non si riconosce più<br />

come “citta<strong>di</strong>no” <strong>di</strong> una città ma del mondo. Conseguenza del ripiegamento<br />

verso il privato è l’affermazione delle scuole filosofiche che abbiano al<br />

centro il raggiungimento della sapienza e della felicità in<strong>di</strong>viduale piuttosto<br />

che una riflessione politica. Tali dottrine filosofiche sono lo Stoicismo, 5<br />

l’Epicureismo, 6 il Neoplatonismo 7 e lo Scetticismo.<br />

Nel panorama della filosofia in età ellenistica lo scetticismo in particolare<br />

rappresenta quel “<strong>di</strong>sincanto” che opera non solo sul piano teorico ma<br />

5 Lo stoicismo è una corrente filosofica e spirituale fondata nel 308 a.C. ad Atene da Zenone<br />

<strong>di</strong> Cizio, con un forte orientamento etico. Questo movimento viene sud<strong>di</strong>viso in tre perio<strong>di</strong>: Antica,<br />

Me<strong>di</strong>a e Nuova Stoà. Gli stoici fanno dell’etica il campo fondamentale della conoscenza,<br />

comunque sviluppando teorie <strong>di</strong> logica e <strong>di</strong> fisica. In logica il loro contributo più importante è la<br />

scoperta del sillogismo ipotetico. In fisica, essi sostengono che tutta la realtà è materiale, ma che<br />

la materia inerte è <strong>di</strong>stinguibile dal principio attivo, il logos, concepito sia come ragione <strong>di</strong>vina sia<br />

come principio che materialmente anima la natura, identificandolo con uno spirito vivificante, il<br />

pneuma. Anche l’anima umana è manifestazione del logos. Per quanto riguarda l’etica stoica ciò<br />

che impe<strong>di</strong>sce l’adeguamento della condotta umana alla razionalità sono le passioni. Invece, la<br />

virtù consiste nello scegliere sempre ciò che è conveniente alla nostra natura <strong>di</strong> esseri razionali.<br />

Elemento <strong>di</strong>stintivo dello stoicismo è quell’idea <strong>di</strong> cosmopolitismo che si <strong>di</strong>ffonde in quel periodo:<br />

tutti gli esseri umani, infatti, sono manifestazioni <strong>di</strong> un unico spirito universale e dovrebbero<br />

vivere in accordo fraterno e aiutarsi reciprocamente.<br />

6 L’Epicureismo è un sistema <strong>di</strong> filosofia fondato sugli insegnamenti del filosofo greco<br />

Epicuro. Secondo la dottrina epicurea, che concepisce la felicità come bene supremo della vita,<br />

la virtù consiste nella liberazione dal turbamento e dal dolore; quin<strong>di</strong> la serenità è raggiunta<br />

liberandosi da ogni desiderio molesto, dalle opinioni irragionevoli e dalle paure. L’importanza<br />

della filosofia sta dunque nel dare all’uomo un “quadruplice farmaco”: il timore per l’al<strong>di</strong>là e<br />

la paura degli dei sono vani; la paura della morte è assurda, perché la morte è nulla; il piacere<br />

(catastematico) è possibile per tutti; il male o è breve o è sopportabile.<br />

Secondo l’etica epicurea la felicità consiste nel piacere, in quanto esso è il criterio della<br />

scelta e dell’avversione. Le virtù car<strong>di</strong>nali nel sistema dell’etica epicurea sono la giustizia,<br />

l’onestà e la prudenza, infatti Epicuro insegna che solo me<strong>di</strong>ante la continenza, la moderazione<br />

e il <strong>di</strong>stacco si raggiunge quello stato <strong>di</strong> serenità che è la vera felicità. Vengono <strong>di</strong>stinti, inoltre,<br />

due tipi <strong>di</strong> piacere: quello stabile, nel quale consiste la felicità, e quello in movimento.<br />

7 Neoplatonismo è il termine che designa le dottrine filosofiche e religiose <strong>di</strong> un movimento<br />

<strong>di</strong> pensiero sorto ad Alessandria intorno alla prima metà del III secolo d.C. I neoplatonici<br />

fondono il pensiero <strong>di</strong> Platone con l’ebraismo ellenizzante <strong>di</strong> Filone <strong>di</strong> Alessandria e con altre<br />

dottrine filosofico-religiose <strong>di</strong> provenienza essenzialmente greca. La dottrina neoplatonica è<br />

caratterizzata da un’opposizione tra spiritualità e carnalità, mutuata dal dualismo platonico <strong>di</strong><br />

idea e materia; dall’ipotesi metafisica degli agenti me<strong>di</strong>atori, il nous e l’anima del mondo, che<br />

trasmettono la potenza <strong>di</strong>vina dall’Uno ai molti; dall’avversione verso il mondo dei sensi e dalla<br />

necessità della liberazione dalla vita sensuale attraverso una rigorosa <strong>di</strong>sciplina ascetica.<br />

Il neoplatonismo è una forma <strong>di</strong> monismo idealistico nel quale l’Uno, perfetto, inconoscibile<br />

e infinito è ritenuto la realtà ultima dell’universo. Dall’Uno emanano, molteplici livelli <strong>di</strong> realtà,<br />

o ipostasi, il più elevato dei quali è il nous (l’intelletto puro), da cui deriva l’anima del mondo.<br />

– 113 –


anche pratico. Esso affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nel mondo antico e la sua storia<br />

attraversa il Me<strong>di</strong>oevo per giungere fino al Rinascimento. Nonostante l’origine<br />

e l’evoluzione dello scetticismo nell’antica Grecia e nella Roma ai<br />

tempi <strong>di</strong> Cicerone non siano stati argomenti facili da trovare, abbiamo<br />

cercato <strong>di</strong> spiegare al meglio e nel modo più semplice la sua nascita e le<br />

idee proposte dai vari filosofi.<br />

Lo scetticismo non costituisce una scuola filosofica, quanto piuttosto<br />

una “forma mentis”, un atteggiamento generale nei confronti della conoscenza.<br />

In senso stretto, però, non si può parlare <strong>di</strong> una filosofia, ma quasi<br />

<strong>di</strong> un’anti-filosofia; infatti, esso afferma che la felicità e la pace dello spirito<br />

possono essere raggiunte dall’uomo saggio nonostante il crollo dei valori<br />

tra<strong>di</strong>zionali, e senza la necessità <strong>di</strong> proporne <strong>di</strong> nuovi.<br />

Il termine scetticismo deriva dal greco “skepsis” che significa indagine,<br />

ricerca, dubbio. Come la filosofia post-aristotelica, anche quella scettica<br />

mira al raggiungimento della felicità, intesa come atarassia, ossia spassionatezza<br />

e tranquillità <strong>di</strong> spirito.<br />

Contrariamente agli Stoici e agli Epicurei, i quali collocano l’atarassia<br />

in una dottrina determinata, gli Scettici pongono come sola con<strong>di</strong>zione la<br />

negazione <strong>di</strong> ogni dottrina determinata. L’atarassia è, infatti, un’indagine<br />

che mette in luce l’inconsistenza <strong>di</strong> ogni soluzione teorico-pratica, ritenendole<br />

tutte fallaci. Quin<strong>di</strong> la tranquillità <strong>di</strong> spirito si raggiunge attraverso il<br />

rifiuto <strong>di</strong> ogni dottrina.<br />

Mentre per i filosofi classici, la prima esigenza della ricerca era quella<br />

<strong>di</strong> trovare il proprio fondamento e la propria giustificazione, l’indagine scettica<br />

non cerca una spiegazione in se stessa ma l’unico scopo è portare<br />

l’uomo all’atarassia.<br />

Inoltre, gli Scettici precludono all’uomo la metafisica intesa come un<br />

modo per raggiungere l’imperturbabilità, a causa della molteplicità <strong>di</strong> filosofie<br />

che combattono tra loro, in questo campo, la propria “metaphysikà”<br />

come ideale rendendole così tutte inaffidabili e non veritiere.<br />

Gli Scettici non negano la verità dei fatti, quanto piuttosto le teorie elaborate<br />

che pretendono <strong>di</strong> spiegare la natura profonda e ultima della realtà;<br />

quin<strong>di</strong> per questi filosofi non tutto è dubbio ma solo quello che riguarda<br />

“il come delle cose” perché il “che” è conoscibile da tutti.<br />

È necessario, però, tenere conto dell’esistenza <strong>di</strong> due forme <strong>di</strong>verse <strong>di</strong><br />

“<strong>di</strong>sincanto” scettico, le quali nel corso della storia, sono entrate in contrasto<br />

tra loro o, semplicemente, le idee dell’una non erano coincidenti con<br />

quelle dell’altra: lo scetticismo accademico e quello pirroniano.<br />

– 114 –


I principali esponenti dello scetticismo classico sono: Arcesilao, Pirrone,<br />

Carneade, Filone <strong>di</strong> Larissa, Antioco <strong>di</strong> Ascalona, Sesto Empirico.<br />

La storia dell’Accademia conosce nel terzo secolo a.C. una svolta importante.<br />

Essa è dovuta ad Arcesilao 8 . Seguendo l’esempio <strong>di</strong> Socrate, 9 egli<br />

non scrive nulla, ma i contenuti della sua attività filosofica ci sono in parte<br />

noti attraverso ricostruzioni posteriori. Sulla falsariga <strong>di</strong> Socrate, Arcesilao<br />

ritiene preferibile riconoscere l’ignoranza che pretendere <strong>di</strong> sapere. Utilizzando<br />

la tecnica <strong>di</strong>alettica dell’argomentare pro e contro una determinata<br />

tesi, egli giunge a riconoscere l’impossibilità da parte dei sensi e dell’intelletto<br />

<strong>di</strong> pervenire a una conoscenza certa. Non è chiaro se egli trasformi<br />

questo riconoscimento nell’affermazione che nulla è conoscibile o se si limiti<br />

a sostenere la necessità <strong>di</strong> sospendere l’assenso, operazione denominata<br />

in greco “epochè”. In ogni caso, egli esprime un orientamento scettico<br />

dell’Accademia, che tuttavia non annulla la necessità della ricerca. L’obiettivo<br />

polemico <strong>di</strong> Arcesilao è, soprattutto, la filosofia stoica, che appare<br />

come la filosofia dogmatica per eccellenza. Egli accetta il lato negativo<br />

della definizione del sapiente, data dallo stoico Zenone: sapiente è chi non<br />

sbaglia né corre il rischio <strong>di</strong> sbagliare, ma a suo avviso solo l’atteggiamento<br />

scettico può salvaguardare questo aspetto del sapiente. Infatti, non c’è alcuna<br />

rappresentazione che non possa essere falsa, quin<strong>di</strong> se il sapiente dà il<br />

suo assenso a una rappresentazione, opinerà; ma è proprio del sapiente non<br />

farlo; dunque il sapiente sospenderà il suo assenso (epochè). Paradossalmente,<br />

con questa argomentazione Arcesilao giunge a sostenere che la sospensione<br />

dell’assenso del filosofo scettico è la vera realizzazione del modello<br />

del sapiente, che non è mai in errore. Ma su quali basi poggerà allora<br />

la condotta dello scettico? Arcesilao in<strong>di</strong>cherebbe il criterio della condotta<br />

in ciò che, una volta compiuto, è eùlogon (eùlogon: eu, bene + logos, ragione),<br />

“ragionevole”, ossia può essere <strong>di</strong>feso ragionevolmente.<br />

È indubbio che Arcesilao si possa definire «scettico». L’accesa avversione<br />

<strong>di</strong> Timone 10 nei confronti <strong>di</strong> Arcesilao ne è, in un certo senso, la conferma:<br />

Timone sente infatti la nuova posizione dell’Accademia come un’autentica<br />

invasione del proprio campo. Del resto, sia pure a denti stretti, al-<br />

8 Arcesilao, nato a Pitane, si reca successivamente ad Atene, dove segue l’insegnamento <strong>di</strong><br />

Teofrasto, che poi abbandona per entrare nell’Accademia, <strong>di</strong> cui è scolarca dal 256 a.C. sino alla<br />

sua morte, avvenuta fra il 244 e il 240 a.C.<br />

9 Socrate (Atene 470 o 469 - 399 a.C.), filosofo greco.<br />

10 Filosofo greco (325-230/235 ca. a.C.), <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Pirrone <strong>di</strong>vulgatore delle teorie del<br />

maestro.<br />

– 115 –


meno in un’opera egli è costretto ad approvare il pensiero <strong>di</strong> Arcesilao. E, al<br />

<strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutte le polemiche, Sesto Empirico 11 riconosce espressamente <strong>di</strong> non<br />

vedere <strong>di</strong>fferenze essenziali fra Arcesilao e lo Scetticismo: “Arcesilao [...]<br />

pare a me che partecipi proprio dei ragionamenti pirroniani, tanto da essere<br />

unico l’in<strong>di</strong>rizzo suo e il nostro. E invero, né si trova ch’egli si pronunci<br />

intorno all’esistenza né intorno alla non esistenza delle cose, né giu<strong>di</strong>ca preferibile,<br />

rispetto alla cre<strong>di</strong>bilità o non cre<strong>di</strong>bilità, una cosa a un’altra, ma in<br />

tutto sospende il suo giu<strong>di</strong>zio” 12 .<br />

Arcesilao si ispira alle istanze dello Scetticismo pirroniano, e le fonde<br />

con gli elementi del Socratismo e del Platonismo, facendo perdere a essi<br />

il loro significato originario. È assai in<strong>di</strong>cativo il fatto che Arcesilao ritenga<br />

<strong>di</strong> dover respingere ad<strong>di</strong>rittura l’unica certezza che Socrate vanta, cioè il<br />

«sapere <strong>di</strong> non sapere»; infatti, Arcesilao nega perfino <strong>di</strong> «sapere <strong>di</strong> non<br />

sapere», come scrive lo stesso Cicerone: “pertanto Arcesilao <strong>di</strong>chiarava che<br />

non vi è nulla che si possa sapere, neppure quello che Socrate si era serbato,<br />

il sapere <strong>di</strong> non sapere nulla: a tal punto tutte le cose gli sembravano<br />

nascoste nel buio; e così risolutamente pensava che non vi sia nulla che si<br />

possa scorgere o intendere”. 13<br />

Tale inversione <strong>di</strong> rotta è il prezzo che l’Accademia paga per entrare nel<br />

vivo delle <strong>di</strong>scussioni filosofiche della nuova età, ma rappresenta anche la<br />

rinuncia alla fedeltà rispetto al proprio passato.<br />

Il metodo confutatorio-ironico-maieutico, che Socrate e Platone 14<br />

usano per cercare il vero, è da Arcesilao largamente utilizzato nel nuovo<br />

senso «scettico», ed è da lui <strong>di</strong>retto in modo massiccio e implacabile soprattutto<br />

contro gli Stoici, in particolare contro Zenone.<br />

Si tratta <strong>di</strong> confutare la Stoà con le sue stesse armi, e in tal modo ridurla<br />

al silenzio. In particolare, Arcesilao sottopone a serrata critica il criterio<br />

stoico della verità, che i filosofi del portico identificano con la «rappresentazione<br />

catalettica».<br />

11 Sesto Empirico (II-III secolo d.C.), filosofo e me<strong>di</strong>co greco, così chiamato perché nell’esercizio<br />

dell’arte della me<strong>di</strong>cina faceva ricorso soltanto all’esperienza (empeirìa), respingendo<br />

le costruzioni teoriche. La sua opera costituisce una sistemazione dello scetticismo antico, ma<br />

è importante anche per il suo valore dossografico, cioè come repertorio <strong>di</strong> opinioni filosofiche<br />

precedenti.<br />

12 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 232.<br />

13 Cicerone, Varro 45, tr. R. Del Re.<br />

14 Platone (Atene 428/427-348/347 a.C.), filosofo greco. È uno degli allievi più importanti<br />

<strong>di</strong> Socrate.<br />

– 116 –


La parte saliente della sua critica consiste in questo: “Se l’apprensione è<br />

l’assenso della rappresentazione catalettica, è insussistente, in primo luogo,<br />

perché l’assenso non ha luogo in relazione alla rappresentazione, bensì in<br />

relazione alla ragione (infatti gli assensi sono giu<strong>di</strong>zi), in secondo luogo<br />

perché non si trova alcuna rappresentazione vera che sia tale da non poter<br />

essere falsa” 15 .<br />

Se così è, quando noi «assentiamo», rischiamo <strong>di</strong> assentire a qualcosa<br />

che può essere anche falso. Quello che nasce dall’«assenso» non può<br />

dunque mai essere certezza e verità, ma solo «opinione». E, allora, delle<br />

due l’una: o il saggio stoico dovrà accontentarsi <strong>di</strong> opinioni, o, se ciò è per<br />

il saggio inaccettabile – dato che saggio è solo chi possiede la verità –, il<br />

saggio dovrà essere «acatalettico», ossia dovrà «sospendere l’assenso»:<br />

“Poiché tutte le cose non sono apprensibili, per il motivo che non esiste il<br />

criterio stoico, allora, se il saggio darà il suo assenso, avrà mera opinione:<br />

infatti, poiché non c’è nulla <strong>di</strong> apprensibile, se il saggio darà l’assenso a<br />

qualcosa, lo darà a ciò che è inapprensibile, e l’assenso a ciò che è inapprensibile<br />

è appunto l’opinione. Di conseguenza, se il saggio è uno <strong>di</strong> coloro<br />

che danno l’assenso, il saggio è uno <strong>di</strong> coloro che hanno semplice opinione.<br />

Ma il saggio non è uno che ha semplici opinioni (infatti per gli Stoici<br />

l’opinione è insipienza e causa <strong>di</strong> errori); dunque il saggio non è uno <strong>di</strong> coloro<br />

che danno l’assenso. Ma se è così, il saggio dovrà astenersi dal dare<br />

l’assenso su tutte le cose. Ma astenersi dal dare l’assenso non è altro che sospendere<br />

il giu<strong>di</strong>zio: dunque il saggio sospenderà il giu<strong>di</strong>zio su tutte le<br />

cose”. 16<br />

La «sospensione del giu<strong>di</strong>zio», che lo Stoico raccomanda solo nei casi<br />

<strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> evidenza, viene così generalizzata da Arcesilao, una volta<br />

stabilito che non c’è mai assoluta evidenza.<br />

Sull’“epochè” Arcesilao deve effettivamente insistere in modo del tutto<br />

particolare, come Sesto Empirico afferma: “Arcesilao <strong>di</strong>ce che il fine è la<br />

sospensione del giu<strong>di</strong>zio [...]; e, inoltre, che beni sono le singolari sospensioni<br />

del giu<strong>di</strong>zio, mali le singolari affermazioni”. 17<br />

Naturalmente gli stoici reagiscono vivacemente e obbiettano che la sospensione<br />

ra<strong>di</strong>cale dell’assenso implica l’impossibilità <strong>di</strong> risolvere il problema<br />

della vita, e inoltre che rende impossibile qualsiasi azione.<br />

15 Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 134.<br />

16 Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 156.<br />

17 Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 232.<br />

– 117 –


A tale obiezione Arcesilao deve rispondere con l’argomento dell’«eùlogon»<br />

o del «ragionevole»: “Ma poiché dopo ciò bisogna anche occuparsi<br />

<strong>di</strong> ciò che concerne la condotta della vita, la quale non si può dare senza<br />

un criterio <strong>di</strong> verità, dal quale anche la felicità, ossia il fine della vita, trae<br />

la propria cre<strong>di</strong>bilità, Arcesilao afferma che chi sospende il suo assenso su<br />

tutto regolerà le sue scelte e i suoi rifiuti e in generale le sue azioni col criterio<br />

del ragionevole o plausibile; e procedendo secondo questo criterio<br />

compirà azioni rette: infatti la felicità si raggiunge me<strong>di</strong>ante saggezza, e la<br />

saggezza sta nelle azioni rette, e l’azione retta è quella che, una volta compiuta,<br />

ha una giustificazione ragionevole o plausibile. Dunque, chi si attiene<br />

al plausibile agirà rettamente e sarà felice”. 18<br />

Il suo senso sembra essere il seguente: non è vero che, sospendendo il<br />

giu<strong>di</strong>zio, l’azione morale è impossibile. Gli stessi Stoici, infatti, per spiegare<br />

le comuni azioni morali, hanno introdotto i kathékonta, o «doveri»,<br />

considerandoli azioni che hanno una loro plausibile e ragionevole giustificazione.<br />

E mentre solo il saggio sarebbe capace <strong>di</strong> azioni morali perfette,<br />

tutti sarebbero invece capaci <strong>di</strong> compiere i kathékonta.<br />

Ma, allora, ecco <strong>di</strong>mostrato che l’azione morale è possibile, dato che i<br />

kathékonta sono possibili anche senza la verità e la certezza assoluta. Anzi il<br />

«ragionevole» o «plausibile» basta ad<strong>di</strong>rittura per compiere «azioni rette».<br />

Con le armi stesse degli Stoici, è possibile <strong>di</strong>mostrare che è sufficiente<br />

il ragionevole, e che <strong>di</strong> conseguenza sono assurde le pretese del saggio e<br />

della sua morale superiore.<br />

Lo scetticismo <strong>di</strong> Arcesilao <strong>di</strong>fferisce notevolmente da quello pirroniano:<br />

mentre quest’ultimo nasce per risolvere il problema della vita e della<br />

felicità, partendo da un sentimento della vita che vede nella rinuncia, nell’imperturbabilità<br />

e nell’impassibilità il segreto della felicità; lo scetticismo<br />

accademico, inaugurato da Arcesilao, risulta svuotato <strong>di</strong> quella carica originaria<br />

e si impoverisce in senso «<strong>di</strong>alettico», in quanto tende a <strong>di</strong>ventare<br />

puro elenchos, mera «confutazione» dell’avversario stoico.<br />

In sostanza, lo scetticismo <strong>di</strong> Arcesilao finisce per ridursi ad un tentativo<br />

<strong>di</strong> rovesciamento dei dogmi della Stoà, senza alcuna capacità <strong>di</strong> proporre<br />

positive alternative <strong>di</strong> alcun genere.<br />

Tale forma <strong>di</strong> scetticismo è <strong>di</strong> vita limitata: vive solo nella misura in<br />

cui <strong>di</strong>strugge l’avversario, e poi, ucciso l’avversario, con lui cade esanime<br />

18 Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 158.<br />

– 118 –


sul campo deserto. Invece, la figura <strong>di</strong> Pirrone 19 domina il IV secolo a.C.,<br />

caratterizzato dalla presenza <strong>di</strong> Alessandro Magno e dai suoi tentativi <strong>di</strong><br />

conquista del mondo allora conosciuto. Tra coloro che seguono la spe<strong>di</strong>zione<br />

in Asia c’è anche questo filosofo il quale, insieme con Anassarco, stu<strong>di</strong>a<br />

in In<strong>di</strong>a dove può conoscere il modo <strong>di</strong> vita dei cosiddetti “gimnosofisti”<br />

(cioè “sapienti nu<strong>di</strong>”): non è da escludere che questo modello possa aver inciso<br />

sul suo modo <strong>di</strong> concepire la vita filosofica. Dalla filosofia orientale apprende<br />

il valore e la prassi <strong>di</strong> una vita ascetica e solitaria, libera dalle passioni.<br />

Il principio essenziale del suo pensiero è espresso nella parola acatalepsìa,<br />

che implica l’impossibilità della conoscenza delle cose nella loro intima<br />

natura. Contro ogni affermazione, un principio contrad<strong>di</strong>ttorio può essere<br />

espresso con egual ragione. Secondariamente, è necessario per questo<br />

fatto mantenere un atteggiamento <strong>di</strong> sospensione dell’intelletto. Le sensazioni<br />

e le opinioni non sono né vere né false, cosicché non bisogna prestare<br />

loro cre<strong>di</strong>to, occorre piuttosto non avere né opinioni né inclinazioni. Chi<br />

raggiunge questa con<strong>di</strong>zione si troverà in uno stato <strong>di</strong> afasia, ovvero <strong>di</strong> silenzio.<br />

Ciò vuol <strong>di</strong>re che il filosofo non farà né affermazioni né negazioni<br />

sulle cose del mondo e, per tale via, egli potrà pervenire all’atarassia, l’imperturbabilità<br />

<strong>di</strong> fronte alle cose e agli acca<strong>di</strong>menti. In terzo luogo, questi risultati<br />

sono applicati alla vita in generale. Pirrone conclude che, poiché nulla<br />

può essere conosciuto, l’unico atteggiamento adatto alla vita è l’atarassia,<br />

“libertà dalle preoccupazioni”.<br />

L’impossibilità della conoscenza dovrebbe indurre l’uomo saggio a ritirarsi<br />

in sé stesso, evitando qualsiasi eccessiva propensione o partecipazione<br />

per una attività particolare, e praticando il controllo sulle emozioni,<br />

che non hanno fondamento nella realtà e appartengono al mondo delle<br />

vane fantasie. La via propria del saggio, <strong>di</strong>ce Pirrone, è <strong>di</strong> farsi tre domande.<br />

In prima istanza ci si deve chiedere cosa sono le cose e come esse<br />

sono costituite. Secondariamente, ci si chiede come noi siamo legati a tali<br />

questioni e, in terzo luogo, come dovrebbe essere il nostro atteggiamento<br />

nei loro confronti. Riguardo a cosa siano le cose, si può solo rispondere<br />

19 Pirrone (ca. 360 a.C - ca. 270 a.C.), filosofo greco <strong>di</strong> Elide, è normalmente considerato<br />

come il primo filosofo scettico. Diogene Laerzio, citando Apollodoro, <strong>di</strong>ce che inizialmente è<br />

un pittore, e che sue pitture sono visibili nel ginnasio <strong>di</strong> Elide. In seguito si in<strong>di</strong>rizza alla filosofia<br />

entrando in contatto con l’opera <strong>di</strong> Democrito, e familiarizza con la <strong>di</strong>alettica megarica tramite<br />

Brisone, allievo <strong>di</strong> Stilpone. Ritornato a Elide, dopo aver trascorso un periodo in Asia, vive in modo<br />

semplice, ma viene molto stimato dagli abitanti della sua città natale e anche dagli ateniesi,<br />

che gli concedono i <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza.<br />

– 119 –


che non sappiamo nulla. Noi sappiamo solo come esse ci appaiono, ma<br />

sulla loro essenza intrinseca siamo ignoranti. La stessa cosa appare <strong>di</strong>fferentemente<br />

a persone <strong>di</strong>verse, e <strong>di</strong> conseguenza è impossibile sapere quale<br />

opinione sia corretta. La <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> opinioni fra i saggi come fra gli ignoranti,<br />

<strong>di</strong>mostra che noi possiamo avere opinioni, ma la certezza e la conoscenza<br />

sono impossibili. Di conseguenza il nostro atteggiamento verso le<br />

cose (la terza domanda) deve essere la completa sospensione del giu<strong>di</strong>zio:<br />

non possiamo essere certi <strong>di</strong> nulla, neanche delle affermazioni più banali.<br />

Di qui il rifiuto <strong>di</strong> accettazione <strong>di</strong> tutto ciò che ci viene offerto dai sensi<br />

che contribuisce a dare il nome <strong>di</strong> scetticismo alla scuola <strong>di</strong> pensiero. Non<br />

a caso si <strong>di</strong>ce che Pirrone si facesse investire dai carri e mordere dai cani <strong>di</strong><br />

sua spontanea volontà, ragionando in questo modo: “Chi mi <strong>di</strong>ce che sia un<br />

male? I sensi, ma essi così come mi ingannano con il remo immerso in<br />

acqua possono ingannarmi sempre”. Si racconta, tra l’altro, che gli amici<br />

chiedessero a Pirrone, dal momento che si faceva mettere sotto dai carri,<br />

mordere dai cani e quant’altro: “Perché non ti ucci<strong>di</strong>?” e che lui rispondesse:<br />

“Perché non so se è un bene o no”. Per Pirrone, siccome non si può<br />

sapere nulla (neppure ciò che accade) non è possibile neanche conoscere le<br />

conseguenze <strong>di</strong> ciò che succede: chi mi <strong>di</strong>ce, allora, che farmi mordere da<br />

un cane sia un male? Pirrone non lascia nulla <strong>di</strong> scritto, ma il suo <strong>di</strong>scepolo<br />

Timone <strong>di</strong> Fliunte scrive varie opere in versi e in prosa, nelle quali alla<br />

folla rissosa degli altri filosofi contrappone Pirrone come modello <strong>di</strong> sapiente<br />

imperturbabile. Alla base <strong>di</strong> tale imperturbabilità sta la convinzione<br />

che le cose per natura sono senza <strong>di</strong>fferenze, senza stabilità, in<strong>di</strong>scriminate.<br />

Ne segue che come Socrate, Pirrone sceglie <strong>di</strong> non scrivere nulla,<br />

poiché convinto <strong>di</strong> non avere nulla da affidare allo scritto e che altri potessero<br />

apprendere: ed è per questo che egli non fonda alcuna scuola e getta le<br />

basi dello Scetticismo.<br />

I membri dell’Accademia me<strong>di</strong>a (sviluppatasi nel III secolo a.C. dall’Accademia<br />

platonica) e dell’Accademia nuova (II secolo a.C.), capeggiata<br />

da Carneade 20 , elaborano uno Scetticismo più sistematico ma meno ra<strong>di</strong>cale<br />

dei pirroniani.<br />

20 Carneade è un altro grande esponente dello scetticismo. Egli nasce a Cirene e frequenta<br />

l’Accademia, della quale <strong>di</strong>venne scolarca nel 167/166 a.C. Nel 155 a.C. fa parte della celebre<br />

ambasceria inviata a Roma dagli Ateniesi multati per aver saccheggiato Oropo; qui riscuote successo<br />

argomentando, in due giorni successivi, a favore e contro l’esistenza <strong>di</strong> una legge naturale<br />

universalmente valida. La sua morte avviene nel 129/128 a.C.<br />

– 120 –


Anche Carneade non scrive nulla, ma Clitomaco 21 ne espone le argomentazioni<br />

nei suoi scritti, che sono però andati perduti. L’obiettivo polemico<br />

<strong>di</strong> Carneade é soprattutto la filosofia stoica, in particolare Crisippo.<br />

Egli muove una critica serrata alla teologia stoica, alla sua concezione della<br />

provvidenza e della <strong>di</strong>vinazione. Secondo Carneade, tra i filosofi dogmatici<br />

c’è <strong>di</strong>saccordo sull’esistenza della provvidenza, come su qualsiasi altra dottrina.<br />

Così il fatto che una pre<strong>di</strong>zione si <strong>di</strong>mostri vera non è argomento a favore<br />

del determinismo: un evento futuro non è l’effetto prodotto dalle proposizioni<br />

vere che lo riguardano. Per esempio, la proposizione “Socrate sarà<br />

condannato”, enunciata prima della condanna, è vera, ma ciò non significa<br />

che essa sia la causa del prodursi della condanna: la necessità che riguarda<br />

queste proposizioni è una necessità logica, non casuale o fisica. In generale,<br />

riguardo al criterio <strong>di</strong> verità, Carneade afferma che nessuna rappresentazione<br />

sensibile può garantire <strong>di</strong> essere in accordo con i fatti. Che essa sia<br />

vera è possibile, ma non è possibile accertare che essa sia tale, come provano<br />

le rappresentazioni che si hanno in stato <strong>di</strong> sogno o <strong>di</strong> allucinazione o<br />

l’impossibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra due uova o due gemelli identici. Alcune<br />

rappresentazioni, tuttavia, possono essere apparentemente vere e persuasive:<br />

in ciò consiste il criterio del pithanòn, che significa propriamente<br />

“persuasivo”. Il carattere <strong>di</strong> persuasività della rappresentazione riguarda la<br />

relazione della rappresentazione non con l’oggetto, bensì con il soggetto<br />

della percezione. Infatti, l’unico tipo <strong>di</strong> rapporto possibile con l’oggetto è<br />

dato dalla rappresentazione. Carneade è il fondatore del cosiddetto probabilismo,<br />

per il quale è vero che non si può conoscere la realtà, ma si possono<br />

comunque tracciare gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> conoscibilità, ossia ci saranno cose più vere e<br />

cose meno vere, delle probabilità. Tuttavia allo scetticismo (soprattutto a<br />

quello carneadeo) si possono muovere due critiche: 1) se non posso sapere<br />

niente, allora non posso sapere neanche <strong>di</strong> non sapere niente: lo scetticismo<br />

è autocontrad<strong>di</strong>ttorio nella misura in cui nega che si possa conoscere la verità<br />

e, al contempo, propone ciò come verità. 2) Il concetto <strong>di</strong> probabilismo<br />

<strong>di</strong> Carneade non lo si può accettare: esso è correlato a quello <strong>di</strong> certezza, infatti,<br />

per poter <strong>di</strong>re che una cosa è più probabile rispetto ad un’altra, devo<br />

per forza avere una pietra <strong>di</strong> paragone; se conosco con certezza alcune cose,<br />

allora sì che posso parlare <strong>di</strong> probabilità. Ma se non conosco nulla con certezza<br />

allora non posso neanche parlare <strong>di</strong> probabilità.<br />

21 Discepolo <strong>di</strong> Carneade e originario <strong>di</strong> Cartagine.<br />

– 121 –


Oltre alle correnti filosofiche dell’età ellenistica, in Grecia e a Roma a<br />

partire dal II sec. a.C. si sviluppa la tendenza a uscire dai confini <strong>di</strong> un insegnamento<br />

filosofico limitato alla dottrina <strong>di</strong> una sola scuola: l’eclettismo.<br />

Tra gli eclettici è da ricordare Filone <strong>di</strong> Larissa 22 il quale precedentemente è<br />

esponente della filosofia scettica.<br />

Ispirandosi allo Stoicismo Filone si muove nella <strong>di</strong>fferenza fra evidenza<br />

e percezione: le cose sono evidenti quando sono presenti alla mente, anche<br />

se ciò non significa che esse siano <strong>di</strong> per sé percepite; non essendovi un<br />

segno <strong>di</strong>stintivo della percezione, il vero ed il falso si presentano nella sfera<br />

della probabilità. L’uomo può raggiungere un certo grado <strong>di</strong> certezza attraverso<br />

l’opinione e la ricerca <strong>di</strong> ipotesi più probabili <strong>di</strong> altre.<br />

Il suo <strong>di</strong>scepolo Antioco 23 si stacca dallo scetticismo <strong>di</strong> Carneade prima<br />

che il maestro parta per Roma e che egli stesso muti con i due libri ivi scritti<br />

le posizioni scettiche dell’Accademia.<br />

Sono anzi essenziali le stesse critiche <strong>di</strong> Antioco al fine <strong>di</strong> smuovere<br />

l’originario Scetticismo <strong>di</strong> Filone. Ma, mentre Filone si limita ad affermare<br />

l’esistenza del vero oggettivo senza avere il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiararlo senz’altro<br />

anche conoscibile dall’uomo, Antioco fa il gran passo con cui si<br />

chiude definitivamente la storia dell’Accademia scettica, <strong>di</strong>chiarando la verità<br />

non solo «esistente» ma anche «conoscibile» e sostituendo alla probabilità<br />

la certezza.<br />

Sulla base <strong>di</strong> tali affermazioni, egli può ben presentarsi come il restauratore<br />

del vero spirito dell’Accademia: uno spirito che è in antitesi con<br />

quello che ispira le tendenze inaugurate da Arcesilao e da Carneade, e che,<br />

contro il parere <strong>di</strong> Filone, egli non ritiene in alcun modo con esso conciliabile<br />

né me<strong>di</strong>abile. Gli Scettici nascono come ere<strong>di</strong> del messaggio platonico,<br />

ma <strong>di</strong> quest’ultimo, rifiutando il <strong>di</strong>scorso sulle Idee, mantengono soltanto<br />

quello sulla natura, che Platone definisce come ambito dell’opinione e dell’incertezza,<br />

non raggiungibile dalla ragione. Di qui il dubbio universale<br />

degli Scettici.<br />

22 Filosofo greco e <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Clitomaco. Egli si trasferisce a Roma nell’88 e tra i suoi<br />

allievi ha Antioco <strong>di</strong> Ascalona e Cicerone.<br />

23 Antioco nasce ad Ascalona fra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni venti del II secolo<br />

a.C. È a lungo <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Filone <strong>di</strong> Larissa, con il quale, abbandonata Atene, si reca ad<br />

Alessandria, ove soggiorna fra l’87 e l’84 a.C. Fa in seguito ritorno ad Atene e <strong>di</strong>viene capo degli<br />

Accademici. Nel 79 a.C., durante la <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> Silla, le sue lezioni vengono seguite per alcuni<br />

mesi da Cicerone, trasferitosi, in quel periodo, ad Atene. In seguito, dopo aver assistito alla battaglia<br />

<strong>di</strong> Tigranocenta muore, e nonostante abbia composto delle opere, non ci è pervenuto nulla.<br />

– 122 –


Tuttavia, alle aspirazioni <strong>di</strong> Antioco non corrispondono effettivi risultati:<br />

nell’Accademia non rinasce Platone, bensì un misto <strong>di</strong> dottrine; convinto che<br />

Platonismo e Aristotelismo siano un’identica filosofia e che esprimano semplicemente<br />

gli stessi concetti con nomi e con linguaggio <strong>di</strong>fferenti, Antioco<br />

giunge ad<strong>di</strong>rittura a <strong>di</strong>chiarare la stessa filosofia degli Stoici sostanzialmente<br />

identica a quella platonico-aristotelica e <strong>di</strong>fferente solamente nella forma.<br />

Pretende, così, <strong>di</strong> portare a compimento l’opera <strong>di</strong> restaurazione della<br />

vecchia Accademia, recuperando Crisippo e non Platone, tant’è che non<br />

esita a respingere la gnoseologia platonica, e dunque anche la dottrina delle<br />

Idee sulla quale essa si fonda.<br />

Antioco, che, per un certo tempo, alla scuola del primo Filone ascolta le<br />

idee scettiche dell’Accademia, si trova nelle migliori con<strong>di</strong>zioni per criticarle,<br />

conoscendole bene dall’interno, nelle loro motivazioni.<br />

Egli afferma che “il criterio <strong>di</strong> verità” e “la dottrina del sommo bene”,<br />

la cui possibilità <strong>di</strong> raggiungimento tutti gli Scettici contestano, siano irrinunciabili<br />

per chiunque intenda presentarsi come filosofo, e pretenda <strong>di</strong><br />

avere qualcosa da <strong>di</strong>re agli uomini. Lo Scettico, col suo dubbio sulle nostre<br />

rappresentazioni (cioè sul criterio della verità), rovescia ciò su cui l’esistenza<br />

umana si basa. Da un lato, negato il valore della rappresentazione, rimane<br />

compromesso anche il valore della memoria e dell’esperienza, e<br />

quin<strong>di</strong> conseguentemente la possibilità stessa delle <strong>di</strong>verse arti (che nascono<br />

dalla memoria e dall’esperienza).<br />

Dall’altro lato, negato il valore del criterio, cade qualsiasi possibilità <strong>di</strong><br />

determinare che cosa sia il bene, inoltre cade la possibilità <strong>di</strong> stabilire che<br />

cosa sia la virtù, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> fondare un’autentica scienza morale.<br />

Senza una salda certezza e una salda convinzione circa il fine della vita<br />

umana e circa i compiti essenziali da assolvere, l’impegno morale si vanifica.<br />

Inoltre, secondo Antioco, non ci si può accontentare del solo «probabile»,<br />

perché, senza il criterio <strong>di</strong>stintivo del vero, sarà impossibile ritrovare<br />

anche quello del probabile. Infatti, se fra rappresentazioni vere e false non<br />

è possibile operare una <strong>di</strong>stinzione, mancando esse <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fferenza specifica,<br />

non sarà nemmeno possibile stabilire quale rappresentazione sia vicina<br />

o prossima al vero o meno lontana da esso. Pertanto, per salvare il<br />

probabile, si dovrà reintrodurre il vero, perché, per stabilire se una cosa sia<br />

più o meno vicina o lontana dal vero, occorre sapere che cosa sia il vero:<br />

proprio in ciò sta la rottura col probabilismo <strong>di</strong> Carneade.<br />

E neanche sarà possibile sospendere in qualsiasi caso l’assenso. Infatti<br />

l’evidenza <strong>di</strong> certe percezioni naturalmente comporta l’assenso, e in ogni<br />

– 123 –


caso, senza l’assenso noi non potremmo avere né memoria né esperienza e,<br />

in generale, noi non potremmo compiere alcuna azione e per conseguenza<br />

tutta la vita si bloccherebbe.<br />

Inoltre, non si potrà dare colpa ai sensi <strong>di</strong> ingannarci. Quando gli organi<br />

sensoriali non siano guasti e le con<strong>di</strong>zioni esterne siano adeguate (come già<br />

Aristotele 24 aveva sottolineato), i sensi non ci ingannano e quin<strong>di</strong> non ci ingannano<br />

le rappresentazioni. E non vale richiamare, come argomenti in contrario,<br />

i sogni, le allucinazioni e simili: queste rappresentazioni, infatti, non<br />

sono fornite della medesima evidenza rispetto alle normali rappresentazioni<br />

sensoriali. Anche la vali<strong>di</strong>tà dei concetti, delle definizioni e delle <strong>di</strong>mostrazioni<br />

è innegabile. Lo attesta l’esistenza stessa delle arti, inconcepibili<br />

senza <strong>di</strong> essi. Infine Antioco mette in crisi Filone, costringendolo ad abbandonare<br />

Carneade con tale <strong>di</strong>lemma: non si può ammettere, nello stesso<br />

tempo, a) che alcune rappresentazioni siano false e b) che fra rappresentazioni<br />

vere e rappresentazioni false non esista una <strong>di</strong>fferenza specifica che le<br />

contrad<strong>di</strong>stingua.<br />

Se si ammette la prima affermazione, cade la seconda; se si sostiene la<br />

seconda, cade la prima. Insomma, secondo Antioco, messo alle strette, lo<br />

Scetticismo deve a poco a poco riconoscere inesorabilmente le verità negate.<br />

Purtroppo, se Antioco si mostra acuto nella critica allo Scetticismo, si<br />

mostra invece quanto mai deludente nella proposta dell’alternativa positiva<br />

che dovrebbe riempire il vuoto aperto dallo Scetticismo.<br />

In logica egli non si scosta dagli Stoici, e in particolare da Crisippo.<br />

Anche in fisica Antioco ripropone idee stoiche. Però l’elemento che stupisce<br />

<strong>di</strong> più è la fusione che lui fa tra Stoicismo, Platonismo e Aristotelismo.<br />

Né le cose migliorano quando si passa all’etica: l’uomo deve vivere<br />

seguendo la natura, anzi conformemente alla sua natura, che consiste nella<br />

ragione. In ciò sta la virtù, che è il sommo bene.<br />

Hanno però torto gli stoici nel sottovalutare il corpo e quanto è connesso<br />

al corpo. Infatti, basta, sì, la virtù alla felicità, ma non alla «perfetta<br />

felicità». Hanno dunque in parte ragione anche i Peripatetici 25 nel ritenere<br />

24 Aristotele (Stagira, Macedonia 384 - Calcide, Eubea 322 a.C.), filosofo greco. All’età <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ciotto anni Aristotele si trasferisce ad Atene per stu<strong>di</strong>are presso l’Accademia platonica, dapprima<br />

come allievo <strong>di</strong> Platone e poi come maestro.<br />

25 I Peripatetici sono i <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong> Aristotele. L’origine del termine "peripatetici" può essere<br />

ricondotta all’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Aristotele e dei suoi allievi <strong>di</strong> passeggiare (peripatéin) nel giar<strong>di</strong>no<br />

del <strong>Liceo</strong> durante le lezioni.<br />

– 124 –


che per la perfetta felicità siano necessari anche i beni materiali. Inoltre, Antioco<br />

attenua i paradossi dell’etica stoica e la pretesa che il saggio sia impassibile.<br />

È, questo, un tipico esempio <strong>di</strong> «eclettismo 26 dogmatico», che accosta<br />

idee <strong>di</strong> estrazione <strong>di</strong>versa, senza saperle unificare.<br />

Come si è potuto notare, la fonte principale delle notizie dello scetticismo<br />

antico è Sesto Empirico 27 il quale oltre ad essere un filosofo è anche<br />

uno degli ultimi filosofi scettici.<br />

Sesto Empirico è l’ultima grande figura dello scetticismo classico; infatti<br />

egli si propone <strong>di</strong> sistemare e quasi “co<strong>di</strong>ficare” le dottrine scettiche,<br />

nel momento in cui esse avevano conosciuto ormai una lunga storia e si<br />

erano espresse anche al <strong>di</strong> fuori dell’ambito delle scuole filosofiche. Caratteristica<br />

della tematica scettica, non soltanto nella cultura greca, ma anche<br />

in quella romana, è quella <strong>di</strong> assumere sempre più toni <strong>di</strong> polemica contro<br />

le forme tra<strong>di</strong>zionali della cultura ufficiale, insegnata nelle scuole o sostenuta<br />

comunque dalle istituzioni. Combinandosi con le tematiche del rifiuto<br />

proprie della tra<strong>di</strong>zione dei Cinici, lo scetticismo <strong>di</strong>viene a poco a poco una<br />

sorta <strong>di</strong> “filosofia popolare” fondata sul buon senso e sulla misura e rivolta<br />

contro le “astruserie” dei filosofi togati che insegnano nelle scuole; in<br />

questa veste esso influenza anche la produzione letteraria <strong>di</strong> vasti settori<br />

culturali, ed anche molto eterogenei tra <strong>di</strong> loro, ispirando per esempio generi<br />

letterari come la <strong>di</strong>atriba <strong>di</strong> Luciano <strong>di</strong> Samosata, o la satira del poeta<br />

latino <strong>Orazio</strong>. Per ridare una caratterizzazione più fortemente culturale allo<br />

scetticismo, Sesto Empirico si impegna ad una ridefinizione rigorosa delle<br />

dottrine scettiche, riprendendo e sviluppando i motivi più tipici del pirronismo.<br />

Mentre sono andate perdute tutte le opere me<strong>di</strong>che <strong>di</strong> Sesto, ci sono<br />

pervenuti i suoi Schizzi pirroniani, l’opera Contro i dogmatici e quella<br />

Contro i matematici. Il valore dello scetticismo consiste nel contrapporre i<br />

26 Eclettismo è un atteggiamento tipico della filosofia greca dell’età ellenistica e del pensiero<br />

romano, che consiste nello scegliere (in greco eklégein) dai <strong>di</strong>versi sistemi filosofici quelle tesi<br />

che sembrano più accettabili, fondendole in una nuova dottrina.<br />

27 Dalle fonti antiche non ci è pervenuta nessuna notizia riguardo alla sua vita: la datazione<br />

più verosimile lo vede attivo fra il 180 e il 220 d.C. La tra<strong>di</strong>zione antica gli associa l’aggettivo<br />

Empirico per segnalare la sua appartenenza alla scuola me<strong>di</strong>ca empirica, nonostante lo stesso<br />

Sesto affermi che fra le correnti me<strong>di</strong>che, quella più vicina allo scetticismo è quella meto<strong>di</strong>ca.<br />

Nonostante le scarse fonti sulla sua vita, è arrivata fino a noi gran parte delle sue opere, preziosissime<br />

in quanto non solo forniscono una dettagliata esposizione dello scetticismo “sestano”<br />

ma anche <strong>di</strong> molte altre correnti scettiche precedenti, a cui Sesto spesso si appoggia.<br />

– 125 –


fenomeni e le percezioni intellettive in qualsiasi maniera, per cui, in seguito<br />

alla uguale forza dei fatti e delle ragioni contrapposte, si arriva alla sospensione<br />

del giu<strong>di</strong>zio e quin<strong>di</strong> all’imperturbabilità.<br />

Accettando quin<strong>di</strong> l’analisi e la critica della sensibilità proprie del pirronismo,<br />

e integrandole con la critica della razionalità <strong>di</strong> Enesidemo e specie<br />

<strong>di</strong> Agrippa, Sesto Empirico porta a perfezione il metodo <strong>di</strong> contrapporre<br />

dati dei sensi a percezioni intellettive, nonché dati sensibili tra loro e percezioni<br />

intellettive tra loro, giu<strong>di</strong>cando dogmatiche perfino le posizioni<br />

moderate <strong>di</strong> un Arcesilao e <strong>di</strong> un Carneade. Contro costoro, che parlano<br />

<strong>di</strong> “probabile” ma quando “stanno nascosti in casa <strong>di</strong>cono la verità”, Sesto<br />

riafferma che non bisogna credere a quello che ci sembra probabile, ma si<br />

deve condurre una vita seguendo “le leggi, i costumi e le naturali affezioni,<br />

vivendo senza formulare alcuna opinione”.<br />

Ma la polemica <strong>di</strong> Sesto si sviluppa anche contro le forme del ragionamento<br />

razionale e scientifico, aristoteliche o stoiche che siano: in particolare,<br />

egli sostiene che tutte le premesse <strong>di</strong> qualsiasi ragionamento possono essere<br />

invalidate, perché o hanno bisogno <strong>di</strong> altre premesse in un regresso all’infinito,<br />

o sono ipotetiche, cioè poste arbitrariamente, o si <strong>di</strong>mostrano scambievolmente<br />

le une con le altre. Il valore della filosofia <strong>di</strong> Sesto è stato variamente<br />

valutato; c’è chi ha sostenuto che le sue minuziose argomentazioni e<br />

le sue infinite polemiche nascondono una scarsa statura speculativa e teorica;<br />

c’è invece chi ha sostenuto che quella <strong>di</strong> Sesto è l’ultima voce scientifica<br />

della Grecia, col suo richiamo ad una ricerca sempre aperta e ad una verità<br />

mai definitiva e conclusa, legata com’è al cambiare delle esperienze ed al<br />

tentativo <strong>di</strong> stabilire le mutevoli con<strong>di</strong>zioni entro le quali è possibile capire e<br />

valutare i fenomeni. Sta <strong>di</strong> fatto che, da un lato, col suo richiamo ad un’esperienza,<br />

lo scetticismo, anche nella formulazione <strong>di</strong> Sesto, si chiude la via alla<br />

teorizzazione ed all’astrazione proprie del <strong>di</strong>scorso scientifico; e che, dall’altro<br />

lato, sempre grazie al suo richiamo all’esperienza delle leggi e dei costumi<br />

della vita or<strong>di</strong>naria, esso, pre<strong>di</strong>cando l’epochè e l’atarassia, finisce per<br />

<strong>di</strong>ventare una filosofia del <strong>di</strong>simpegno e dell’evasione.<br />

1.2 LE RIPERCUSSIONI A ROMA DELLO SCETTICISMO:<br />

CICERONE<br />

Il I e II secolo a.C. sono molto turbolenti e ricchi <strong>di</strong> avvenimenti, da un<br />

punto <strong>di</strong> vista storico-politico nonché sociale. In seguito alla guerra sociale,<br />

– 126 –


scatenata dal desiderio degli alleati del riconoscimento della citta<strong>di</strong>nanza<br />

romana, Silla instaura una <strong>di</strong>ttatura sconfiggendo i “populares” con a capo<br />

Mario in una guerra civile. Dopo Silla e Mario emergono nuovi protagonisti<br />

sulla scena politica <strong>di</strong> Roma tra cui Pompeo Magno. Egli riceve dal Senato<br />

l’incarico <strong>di</strong> sedare le rivolte in Spagna mentre ne scoppiano alcune anche<br />

all’interno dello stesso impero. In seguito Pompeo escogita un’alleanza con<br />

Cesare e Crasso al fine <strong>di</strong> ottenere ciò che il Senato non voleva concedere<br />

loro singolarmente. Mentre Crasso muore nel 53 a.C., Cesare estende il dominio<br />

romano su tutta la Gallia, mentre a causa del potere accumulato da<br />

Cesare il Senato e Pompeo si coalizzano contro <strong>di</strong> lui. Di fronte a questa<br />

minaccia Cesare varca il Rubicone per poi sconfiggere Pompeo nella battaglia<br />

<strong>di</strong> Farsalo. Pompeo fugge in Egitto ma viene assassinato da Tolomeo.<br />

Nel 48 a.C. Cesare instaura una <strong>di</strong>ttatura ma muore quattro anni dopo a<br />

causa <strong>di</strong> una congiura <strong>di</strong> senatori. Il problema della successione causa l’ultima<br />

guerra civile tra Marco Antonio e Ottaviano, vinta da quest’ultimo. Ottaviano<br />

inoltre si presenta come il pala<strong>di</strong>no delle istituzioni e delle tra<strong>di</strong>zioni<br />

romane conquistando così la fiducia <strong>di</strong> Cicerone.<br />

A tutti questi cambiamenti si affianca una profonda crisi culturale e spirituale.<br />

Di fronte allo sfacelo delle istituzioni repubblicane e al trionfo della<br />

corruzione, ideali come l’abnegazione <strong>di</strong> sé per la grandezza <strong>di</strong> Roma e la<br />

subor<strong>di</strong>nazione del singolo alla collettività non sono più proponibili. In particolare,<br />

l’emergere <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> personalità che impongono la propria volontà<br />

con ogni mezzo spinge chi non è in lizza per il potere a rifugiarsi in uno spazio<br />

personale. D’altra parte la religione sopravvive ormai solo a livello ufficiale,<br />

quando nessuna persona colta prende sul serio le <strong>di</strong>vinità dell’Olimpo.<br />

Questa crisi dei valori favorisce il <strong>di</strong>ffondersi, nella prima metà del I sec.<br />

a.C., delle dottrine filosofiche greche, a cui i Romani si rivolgono chiedendo<br />

strumenti razionali per interpretare la realtà. I viaggi <strong>di</strong> istruzione in Grecia<br />

<strong>di</strong>ventano frequenti, così come le lezioni a Roma <strong>di</strong> filosofi greci, ospitati<br />

dagli aristocratici per lunghi perio<strong>di</strong> o ad<strong>di</strong>rittura per tutta la vita.<br />

La filosofia che riscuote maggior successo è quella epicurea sia per la<br />

sua semplicità sia per la facile attrattiva del piacere come scopo della vita<br />

umana. In realtà l’adesione a questa scuola è in<strong>di</strong>zio anche della stanchezza<br />

e della delusione che portano a rinchiudersi nel privato. Anche lo stoicismo<br />

ha un forte seguito, con la sua visione meno in<strong>di</strong>vidualistica e utilitaristica<br />

rispetto a quella epicurea, ma non meno razionalistica. Al caso, che per Epicuro<br />

domina tutte le vicende umane, gli stoici contrappongono il fato,<br />

preor<strong>di</strong>nato a fini che sono imperscrutabili per l’uomo.<br />

– 127 –


Infatti ad uno tra i più importanti filosofi e uomini politici dell’Antica<br />

Roma, Cicerone 28 , la posizione stoica appare preferibile rispetto a quella<br />

“epicurea” perché più facilmente conciliabile con la tra<strong>di</strong>zione. Dunque,<br />

sono presenti alcune convergenze tra l’etica stoica e il “mos maiorum”:<br />

l’austerità, la temperanza, la sobrietà e la semplicità della vita, l’intransigenza<br />

sulle questioni <strong>di</strong> principio. Per questo, l’adesione allo stoicismo può<br />

essere interpretata come un modo <strong>di</strong> riscoprire i “mores” e le virtù romane<br />

originarie.<br />

Nonostante lo scetticismo abbia riscosso molto successo a Roma, i Romani<br />

considerano la filosofia come “otium litterarum”. Il gusto per le speculazioni<br />

filosofiche è infatti totalmente estraneo alla società romana per<br />

cui il “vir” è un uomo d’azione. Il senato arriva ad<strong>di</strong>rittura ad espellere dall’Urbe<br />

i filosofi ateniesi Carneade, Diogene e Critolao, che vi erano giunti<br />

in visita.<br />

La nobilitas senatoriale non vuole che i giovani si interessino alla filosofia<br />

temendo che li allontani dalla vita reale, ma deve ammettere che<br />

nessun uomo degno <strong>di</strong> tale nome può restarne estraneo. In seguito i senatori<br />

decidono <strong>di</strong> richiamare a Roma i filosofi cacciati per prendere da loro lezioni<br />

<strong>di</strong> filosofia, vietando, comunque, ad essi <strong>di</strong> insegnarla pubblicamente.<br />

Persino Catone, fiero oppositore della penetrazione della cultura greco-ellenistica,<br />

stu<strong>di</strong>a la filosofia greca. Essa viene coltivata anche dall’ultimo<br />

grande scettico del periodo antico: Cicerone.<br />

L’originalità <strong>di</strong> questo personaggio in ambito filosofico non si riscontra<br />

nella creazione <strong>di</strong> nuove teorie, ma nel ricorrere alla filosofia per rispondere<br />

alle esigenze specifiche romane, conciliando tra loro aristotelismo, platonismo<br />

e stoicismo.<br />

28 Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino da una famiglia agiata <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne equestre ed è il<br />

primo ad accedere alle magistrature come “homo novus” grazie al proprio talento. In giovinezza<br />

stu<strong>di</strong>a retorica e filosofia venendo in contatto con l’aristocrazia intellettuale romana del circolo<br />

degli Scipioni e con scrittori, poeti, filosofi e grammatici provenienti dalla Grecia. Sposa Terenzia<br />

che gli dà una figlia, Tullia, mentre il figlio Marco nascerà nel 65 a.C. Percorre tutte le tappe della<br />

carriera politica <strong>di</strong> quel periodo fino alla nomina <strong>di</strong> console del 63. In questo stesso anno ha la<br />

responsabilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi dalla pericolosa congiura or<strong>di</strong>ta da Catilina per impadronirsi del potere<br />

con un’azione <strong>di</strong> forza. Dopo essere tornato dall’esilio, sua figlia muore e in uno stato <strong>di</strong> profonda<br />

angoscia in cui alle delusioni politiche si aggiungono quelle familiari, Cicerone si ritira nella villa<br />

<strong>di</strong> Tusculum cominciando la sua produzione filosofica. Inoltre, morto Cesare, si schiera dalla parte<br />

<strong>di</strong> Ottaviano mentre attacca M. Antonio nelle “Filippiche”. Ma Ottaviano stringe il secondo triumvirato<br />

proprio con l’avversario e non esita a scrivere il nome <strong>di</strong> Cicerone nelle liste <strong>di</strong> proscrizione.<br />

Nel 43 il grande oratore viene raggiunto dai sicari <strong>di</strong> M. Antonio e ucciso.<br />

– 128 –


Nonostante il grande interesse per la filosofia, Cicerone si de<strong>di</strong>ca ad<br />

essa solo negli ultimi anni della sua vita durante l’otium forzato nella villa<br />

<strong>di</strong> Tuscolo. Qui elabora tutte le sue opere filosofiche, tra cui la più strettamente<br />

filosofica è quella degli “Academica”. In quest’opera Cicerone affronta<br />

per la prima volta il problema gnoseologico, preliminare a qualsiasi<br />

altra questione filosofica. La trattazione si <strong>di</strong>vide in due libri <strong>di</strong>alogici: il<br />

“Catulus” (oggi perduto) e il “Lucullus” (superstite) dal nome <strong>di</strong> uno degli<br />

interlocutori, Lucullo appunto, che espone la dottrina della percezione: i<br />

sensi possono giu<strong>di</strong>care con certezza delle cose percettibili e queste rappresentazioni<br />

portano alla formazione <strong>di</strong> nozioni generali, quin<strong>di</strong> negare una<br />

percezione ed una comprensione delle cose significa sopprimere la virtù<br />

stessa e con essa la filosofia. Cicerone invece <strong>di</strong>fende l’accademismo probabilistico,<br />

sostenendo che i filosofi del passato hanno escluso la possibilità<br />

<strong>di</strong> qualsiasi certezza perché la ragione non possiede un criterio sicuro per la<br />

percezione del vero. In conclusione egli deve riconoscere che il vero non è<br />

mai accessibile all’uomo e ciò che pare vero è piuttosto verosimile. In realtà<br />

Cicerone rimaneggia ben presto quest’opera <strong>di</strong>videndola in quattro libri <strong>di</strong><br />

cui l’unico superstite è il “Varro” dal nome del Varrone a cui de<strong>di</strong>ca l’opera.<br />

Egli, che è anche uno degli interlocutori, delinea una sorta <strong>di</strong> storia della filosofia,<br />

accennando a Socrate e a Platone, per poi concludere con la <strong>di</strong>stinzione<br />

fra tre specie <strong>di</strong> beni: spirituali, corporali ed esterni.<br />

Cicerone è tuttavia molto più interessato ai problemi <strong>di</strong> filosofia pratica<br />

che a quelli teoretici, infatti ben presto volge le sue indagini all’in<strong>di</strong>viduazione<br />

del bene assoluto in grado <strong>di</strong> realizzare la felicità nella vita, quello<br />

che lui definisce “il termine, l’estremo, l’ultimo punto a cui bisogna riferire<br />

tutte le norme per una vita buona ed una retta condotta, che cosa la natura<br />

persegua come sommo tra ciò che è desiderabile, che cosa eviti come supremo<br />

tra i mali”. Questa indagine avviene nel “De finibus bonorum et malorum”<br />

in cui nel primo <strong>di</strong>alogo viene <strong>di</strong>scussa la dottrina epicurea che<br />

identifica il sommo bene con il piacere. Cicerone, che come avviene anche<br />

negli “Academica” è uno degli interlocutori, esalta invece come sommo<br />

bene la virtù ricordando esempi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> uomini del passato. Nel secondo<br />

<strong>di</strong>alogo viene esposta da Catone l’Uticense l’etica stoica secondo la quale<br />

ogni essere animato deve seguire gli istinti che lo conducono a placare le<br />

sue voglie, quin<strong>di</strong> sommo bene per l’uomo è vivere secondo natura. Cicerone<br />

risponde affermando che il sommo bene è invece il vivere secondo natura<br />

soltanto se per natura si intende la capacità dell’anima <strong>di</strong> dominare e<br />

non <strong>di</strong>struggere i beni corporali. Il terzo <strong>di</strong>alogo è ambientato nell’Acca-<br />

– 129 –


demia <strong>di</strong> Atene, antica sede della scuola platonica, in cui viene esposta la<br />

dottrina accademica: la felicità consiste nella virtù ma è completa solo con i<br />

beni del corpo oltre a quelli dell’anima.<br />

Nel “De finibus” la demolizione delle pretese dei sistemi filosofici contrapposti<br />

permette tuttavia <strong>di</strong> stabilire tra essi una gerarchia. L’epicureismo<br />

viene ripu<strong>di</strong>ato con decisione, per il suo edonismo materialistico e perché si<br />

fa promotore <strong>di</strong> un atteggiamento <strong>di</strong> astensione dall’impegno nella vita pubblica;<br />

dello stoicismo vengono criticati il dogmatismo, l’esasperato rigorismo<br />

morale, la pretesa della ra<strong>di</strong>cale in<strong>di</strong>fferenza del saggio rispetto a<br />

tutte le contingenze esterne (come la malattia o la salute, la libertà o l’asservimento<br />

della patria); ma viene anche sottolineata la nobiltà con la quale la<br />

dottrina stoica identifica il bene supremo con la virtù. Non sembrano sod<strong>di</strong>sfare<br />

totalmente Cicerone nemmeno altre correnti <strong>di</strong> pensiero, che tentano<br />

<strong>di</strong> conciliare l’intransigenza morale degli stoici con la maggiore apertura<br />

umana della filosofia accademica e peripatetica. L’esposizione <strong>di</strong> Cicerone<br />

non è organica ma la sua notevole cultura filosofica rivela solide basi,<br />

benché manchi una meto<strong>di</strong>ca e approfon<strong>di</strong>ta indagine dei problemi.<br />

Subito dopo Cicerone compone le “Tusculanae <strong>di</strong>sputationes”, la raccolta<br />

<strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> conferenze, che si immaginano avvenute proprio nella<br />

villa <strong>di</strong> Tuscolo.<br />

I temi trattati nei primi quattro libri sono: “la morte è un male?”; “il dolore<br />

è il più grande dei mali?”; “il sapiente è soggetto all’afflizione e agli<br />

altri turbamenti dell’anima?”. Si parla dunque <strong>di</strong> ciò che impe<strong>di</strong>sce all’uomo<br />

<strong>di</strong> essere felice concludendo che la morte in realtà è un bene (che<br />

l’anima sia mortale o no) perché dà eterna beatitu<strong>di</strong>ne, che il dolore si sconfigge<br />

con la sopportazione e con il buon senso, che la ragione può rimuovere<br />

i turbamenti dello spirito, fondati su passioni e false opinioni. Il V libro<br />

mostra, invece, come la virtù sola basti alla vita felice affrancando l’uomo<br />

da timori, dolore e sofferenza: chi la possiede è forte, magnanimo, impassibile,<br />

ad<strong>di</strong>rittura invincibile. Cicerone è dunque convinto che sia necessario<br />

l’assoluto dominio sulle passioni da parte della ragione, e che la virtù da<br />

sola basti a dare la felicità.<br />

Altre importanti opere filosofiche <strong>di</strong> Cicerone sono il “De natura<br />

deorum” che consiste in una <strong>di</strong>scussione tra uno stoico, un epicureo ed un<br />

accademico riguardo le opinioni dei vecchi filosofi sulla provvidenza, presentando<br />

infine opinioni prese in prestito da Platone sul tema dell’immortalità<br />

dell’anima, poi il “De officiis” in cui Cicerone tratta “l’onesto e l’utile”,<br />

cercando un modello <strong>di</strong> comportamento per i membri della futura classe <strong>di</strong>-<br />

– 130 –


igente, poi ancora la “Consolatio” scritta in occasione della morte della figlia<br />

Tullia, il “De legibus” e il “De republica” entrambi libri teorici, pratici<br />

e tecnici riguardo la costituzione romana. “Laelius de amicitia” tratta invece<br />

dell’amicizia, il bene più grande per l’uomo, mentre nel “De fato” Cicerone<br />

si chiede se la vita umana sia determinata dal destino o dalla libera volontà<br />

dell’uomo.<br />

Attraverso le nostre riflessioni ci sembra <strong>di</strong> aver raggiunto alcuni risultati<br />

teorici. Innanzitutto Cicerone appare come l’emblema del pragmatismo<br />

e della razionalità che hanno caratterizzato l’intera civiltà romana, ma anche<br />

della crisi che essa stava attraversando nel I secolo a.C. Una crisi che, investendo<br />

il sistema politico, aveva inevitabilmente portato al crollo dei valori<br />

tra<strong>di</strong>zionali e con essi <strong>di</strong> quelli morali. Cicerone cerca <strong>di</strong> ristabilirli: il suo<br />

passaggio da uno schieramento politico all’altro, da un pensiero filosofico<br />

all’altro, non sono forse il sintomo del turbamento che affligge l’animo <strong>di</strong><br />

un uomo alla continua ricerca <strong>di</strong> certezze laddove non esistono più? Noi<br />

non sappiamo se sia riuscito nel suo intento, ma possiamo senza dubbio riconoscerlo<br />

come una delle personalità più gran<strong>di</strong>ose e allo stesso tempo<br />

controverse <strong>di</strong> tutto il mondo classico.<br />

Bibliografia e sitografia:<br />

EMANUELE NARDUCCI, Introduzione a Cicerone.<br />

GIOVANNA GARBARINO, Opera: letteratura, testi e cultura latina.<br />

www.wikipe<strong>di</strong>a.it<br />

www.riflessioni.it<br />

www.filosofico.net<br />

– 131 –


CAPITOLO II<br />

2.1 LA TRADUZIONE IN POLITICA<br />

DEGLI ASSUNTI IDEALI E TEORICI:<br />

UNO SGUARDO STORICO<br />

Presentiamo ora, in un ideale viaggio libero da vincoli temporali e cronologici,<br />

il pensiero <strong>di</strong> tre gran<strong>di</strong> filosofi che hanno elaborato sistemi filosofici<br />

lontani tra loro ma che tuttavia sono ricchi <strong>di</strong> spunti per aprire la riflessione<br />

su tematiche comuni a tutto il pensiero umano. Partendo da Agostino<br />

e toccando alcuni punti <strong>di</strong> Ockham e Bacone abbiamo potuto constatare<br />

che, pur apparentemente lontani, questi autori hanno tracciato le linee evolutive<br />

<strong>di</strong> un pensiero politico che contiene elementi pregnanti d’attualità.<br />

L’analisi della società civile, i modelli <strong>di</strong> convivenza, la necessità dell’organizzazione<br />

giuri<strong>di</strong>ca ci sembrano universalizzabili al <strong>di</strong> là dei contesti temporali<br />

in cui furono concepiti. Quin<strong>di</strong> la filosofia non è più quella costruzione<br />

astratta, lontana dal quoti<strong>di</strong>ano che spesso è invisa ai più, ma invece<br />

si avvicina al vissuto e si innesta in quello che è il flusso della storia e<br />

quin<strong>di</strong>, se trova la sua origine nella vita, è proprio a questa che ritorna. Il<br />

nostro tentativo è proprio quello <strong>di</strong> trasferire nella <strong>di</strong>mensione culturale che<br />

ci appartiene il frutto <strong>di</strong> questo lungo cammino.<br />

Agostino e il “Contra Academicos”<br />

Il “Contra Academicos” insieme al “De Beata Vita” e al “De Or<strong>di</strong>ne” è<br />

uno dei tre “<strong>di</strong>aloghi <strong>di</strong> Cassiciaco”, che descrivono le <strong>di</strong>scussioni tra<br />

Agostino, gli allievi Licenzio e Trigezio e l’amico Alipio, nell’autunno del<br />

386 d.C.<br />

L’opera è sud<strong>di</strong>visa in tre libri: il primo, riporta il resoconto dei <strong>di</strong>aloghi<br />

delle prime tre giornate che trattano della <strong>di</strong>sputa fra Licenzio e Trigenzio riguardo<br />

la questione se sia possibile vivere felicemente cercando il vero senza<br />

trovarlo. Il secondo libro riporta i <strong>di</strong>aloghi della quarta e quinta giornata fra<br />

Licenzio e Agostino e fra quest’ultimo e Alipio, in cui il Padre della Chiesa<br />

inizia a smontare le teorie accademiche. L’opera si conclude con il monologo<br />

<strong>di</strong> Agostino, nella sesta ed ultima giornata, che in risposta agli inviti degli<br />

altri partecipanti, smaschera completamente le tesi degli accademici.<br />

La prima stesura fu redatta da uno scrivano testimone <strong>di</strong>retto dei<br />

<strong>di</strong>aloghi, in seguito Agostino ebbe modo <strong>di</strong> rivedere il testo, mantenendosi<br />

– 132 –


però molto aderente alla trascrizione dei <strong>di</strong>aloghi fatta dallo scrivano. 29 Lo<br />

stesso Agostino nel prologo chiarisce che nel testo solo le parti riguardanti<br />

se stesso e Alipio sono fedeli trascrizioni dei <strong>di</strong>aloghi, poiché i loro interventi<br />

erano stati brevi e poco numerosi.<br />

L’opera é de<strong>di</strong>cata a Romaniano, che nei due prologhi è invitato da<br />

Agostino ad intraprendere la via della filosofia, nella convinzione che tale<br />

strada avrebbe <strong>di</strong>stratto l’amico dalle questioni terrene a cui l’altro de<strong>di</strong>cava<br />

molto del suo tempo. L’esortazione <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi alla filosofia e <strong>di</strong> conoscere<br />

la verità è comunque rivolta a tutti i lettori, soprattutto a quelli che sono<br />

portati alla ricerca del vero.<br />

Nel testo Agostino attacca la filosofia dell’Accademia nuova o scettica,<br />

che a suo <strong>di</strong>re induce l’uomo ad allontanarsi dalla filosofia, perché insistendo<br />

sull’impossibilità <strong>di</strong> trovare la verità, impe<strong>di</strong>sce al saggio <strong>di</strong> dare l’assenso a<br />

ciò che è vero. In questo modo lo scetticismo contribuisce a lasciare l’uomo<br />

in uno stato <strong>di</strong> ignoranza, impedendogli <strong>di</strong> pervenire alla vera sapienza.<br />

Il <strong>di</strong>alogo, nel secondo e terzo libro, mostra come Agostino non sia<br />

avverso agli accademici, ma solo alle teorie scettiche, per cui il titolo<br />

“Contra Academicos” non appare il titolo più adatto, sarebbe forse più<br />

opportuno chiamarlo “De Academicis” o “Academicorum” 30 , come avviene<br />

in alcune e<strong>di</strong>zioni più recenti.<br />

Il <strong>di</strong>alogo inizia ponendo la questione “se si possa vivere felicemente<br />

anche senza trovare il vero, pur cercandolo”, intendendo il “vivere felicemente”<br />

come “vivere secondo ragione”. 31 Alla questione Trigenzio risponderà<br />

negativamente, sostenendo che il sapiente è felice perché, conoscendo<br />

la verità, non deve ricercarla, in contrapposizione a chi cerca, che mancando<br />

della verità non è perfetto e per questo motivo non può essere felice, perché<br />

solo il possesso della verità rende perfetti e felici. 32<br />

Licenzio controbatte richiamandosi a Cicerone e affermando che il sapiente<br />

è colui che cerca, in quanto non esiste una verità a cui l’uomo possa<br />

aderire con certezza, perché l’uomo non può conoscere la verità, se non<br />

29 Cfr. T. Fuhrer, Augustinus, Darmstadt, 2004, pag. 19.<br />

30 Cfr. Agostino, Contro gli Accademici, a cura <strong>di</strong> Giovanni Catapano, Bompiani E<strong>di</strong>tore,<br />

Milano, 2005, pag. 15.<br />

31 Cfr. Agostino, Contro gli Accademici, a cura <strong>di</strong> Giovanni Catapano, cit., pag. 93, in cui<br />

Agostino pone la domanda “Pensate che possiamo essere felici anche senza aver trovato la<br />

verità?”.<br />

32 Idem, pag. 97, in cui Trigenzio afferma: “Perché noi vogliamo che sia felice il sapiente,<br />

il quale é perfetto in ogni cosa. Chi invece cerca ancora non é perfetto”.<br />

– 133 –


dopo la morte, essendo la conoscenza una prerogativa solo <strong>di</strong> Dio 33 . Per<br />

questo motivo, secondo Licenzio, la perfezione umana sta nel ricercare la<br />

verità e non nel conoscerla 34 .<br />

Nella seconda giornata il <strong>di</strong>battito ruota attorno alla definizione <strong>di</strong> errore<br />

data da Trigenzio che afferma: “errare <strong>di</strong>fatti è soprattutto cercare sempre e<br />

non trovare mai” 35 . Questa definizione <strong>di</strong> errore viene smontata nel corso<br />

della giornata quando Licenzio definisce l’errore come la possibilità che<br />

l’uomo consideri vero ciò che è falso, demolendo in questo modo la definizione<br />

data da Trigenzio. 36<br />

La terza giornata vede Agostino intervenire nel <strong>di</strong>battito introducendo<br />

il concetto tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> sapienza come “scienza delle cose umane e<br />

<strong>di</strong>vine” 37 . La tesi trova Trigenzio d’accordo, mentre Licenzio sosterrà la tesi<br />

che è conoscenza solo ciò che riguarda la <strong>di</strong>vinità, mentre la sapienza<br />

umana è solo ricerca del vero 38 . A conclusione della giornata Agostino ricapitola<br />

i temi affrontati e considera concluso il <strong>di</strong>battito perché i due giovani<br />

hanno <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> preferire la filosofia a qualsiasi altra attività.<br />

Nella quarta giornata Agostino riassume le tesi <strong>di</strong> fondo dell’Accademia:<br />

la sapienza consiste nel trattenere l’assenso in quanto, come <strong>di</strong>ce<br />

Zenone, il vero é conoscibile solo se non può essere confuso con il falso, <strong>di</strong><br />

conseguenza nulla può essere conosciuto come certo, in quanto nessuna<br />

rappresentazione ha questa caratteristica 39 .<br />

Il filosofo prosegue attaccando la definizione degli scettici <strong>di</strong> “verosimile”<br />

e domandandosi come sia possibile <strong>di</strong>stinguere il verosimile se si<br />

ignora il vero stesso. 40<br />

Il <strong>di</strong>alogo prosegue nel quarto giorno con la <strong>di</strong>fesa delle teorie degli<br />

Accademici da parte <strong>di</strong> Alipio che, chiamato dai due giovani a controbattere<br />

33 Idem, pag. 101.<br />

34 Idem, pag. 101: “il fine dell’uomo é invece cercare perfettamente la verità; noi infatti<br />

cerchiamo sì uno perfetto, ma pur sempre un uomo”.<br />

35 Idem, pag. 105.<br />

36 Idem, pag. 105 e segg.<br />

37 Idem, pag. 117.<br />

38 Idem, pag. 129, in cui Licenzio afferma: “E se vuoi spartire questa determinazione, la<br />

prima parte, che possiede la scienza, spetta a Dio, mentre la seconda, che si accontenta della<br />

ricerca, all’uomo”.<br />

39 Idem, pag. 159: “il quale (Zenone, nda) <strong>di</strong>ce che può essere conosciuto con certezza quel<br />

vero che sia stato impresso nell’animo in modo talmente conforme a ciò da cui proviene, da non<br />

poter essere conforme a ciò da cui non proviene”.<br />

40 Idem, pag. 167: Agostino per illustrare il concetto <strong>di</strong> verosimile paragona il fratello <strong>di</strong><br />

Licenzio al padre Romaniano, affermando che sono simili.<br />

– 134 –


le affermazioni del filosofo, considera la questione sollevata da Agostino<br />

una controversia insignificante.<br />

Nella quinta giornata Agostino ritratta la sua critica al verosimile,<br />

perché con questo termine gli accademici volevano in<strong>di</strong>care il probabile,<br />

ovvero ciò che può indurre l’uomo ad agire senza obbligarlo a dare il proprio<br />

assenso. Rimangono quin<strong>di</strong> due questioni da risolvere, che vengono<br />

affrontate nella sesta giornata: l’impossibilità <strong>di</strong> conoscere il vero in modo<br />

certo e la necessità <strong>di</strong> negare l’assenso a qualsiasi rappresentazione 41 .<br />

Il <strong>di</strong>battito si concentra sulla richiesta <strong>di</strong> Agostino ad Alipio <strong>di</strong> illustrare<br />

la <strong>di</strong>fferenza fra il filosofo ed il sapiente. Alipio crede “che il sapiente non<br />

<strong>di</strong>fferisca in nulla dall’amante della sapienza, tranne il fatto che, <strong>di</strong> quelle<br />

cose <strong>di</strong> cui nel sapiente è insito un certo possesso abituale, nell’amante della<br />

sapienza esiste soltanto un ardente desiderio.” 42 In sostanza, secondo Alipio,<br />

la <strong>di</strong>fferenza fra il sapiente e il filosofo si sostanzia nel possesso della<br />

sapienza, mentre il primo la possiede, il secondo la ricerca costantemente.<br />

Agostino controbatte la definizione <strong>di</strong> Alipio sostenendo che la sapienza<br />

è una <strong>di</strong>sciplina che l’uomo impara a possedere attraverso lo stu<strong>di</strong>o<br />

del vero, e che egli per essere sapiente deve conoscere, per cui anche la<br />

conoscenza del probabile appare come una conoscenza sapienziale. In realtà<br />

secondo Agostino non è in <strong>di</strong>scussione il contenuto della sapienza, ma la<br />

definizione <strong>di</strong> chi sia il sapiente. 43<br />

In questa maniera il filosofo confuta la teoria accademica secondo cui<br />

l’uomo non può conoscere il vero, in quanto il sapiente non può non conoscere,<br />

altrimenti non potrebbe essere definito “sapiente”.<br />

Agostino, quin<strong>di</strong>, procede alla confutazione delle due tesi accademiche<br />

secondo le quali nulla si può conoscere con certezza e a nulla si deve assentire.<br />

Il filosofo si avvale <strong>di</strong> esempi: il primo riguarda la fisica, campo in cui<br />

l’unica certezza è l’esistenza <strong>di</strong> un mondo o <strong>di</strong> una molteplicità <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>,<br />

nel qual caso il numero sarebbe finito o infinito. Si tratta <strong>di</strong> proposizioni<br />

che non presentano elementi <strong>di</strong> falsità in quanto si tratta <strong>di</strong> proposizioni<br />

<strong>di</strong>sgiuntive, ovvero risulterebbero vere anche se i nostri sensi nel percepirle<br />

si stessero ingannando. 44<br />

41 Idem, pag. 187 e segg.<br />

42 Idem, pag. 205.<br />

43 Idem, pag. 209 e segg.<br />

44 Le tesi presentate da Agostino per confutare le tesi accademiche, occupano il decimo<br />

capitolo nel terzo libro, pag. 243 e segg.<br />

– 135 –


Per quanto attiene la veri<strong>di</strong>cità dei sensi, Agostino afferma che ad ogni<br />

singolo uomo le percezioni che gli derivano dai sensi sono vere per il soggetto<br />

che le sta provando, a prescindere se altri che stanno vivendo la stessa<br />

esperienza sensoriale provino o non provino le medesime sensazioni. 45<br />

Vista la relativa facilità con cui aveva confutato le tesi accademiche,<br />

Agostino avanza l’ipotesi che gli scettici non siano i responsabili <strong>di</strong> queste<br />

teorie erronee ma, visto che a quei tempi fra le scuole filosofiche era molto<br />

in voga l’esoterismo, avanza l’ipotesi che le tesi <strong>di</strong>scusse nel <strong>di</strong>alogo siano<br />

state tesi <strong>di</strong>vulgate per i neofiti della setta, mentre la vera dottrina sia<br />

rimasta segreta e sia stata rivelata solo agli iniziati alla filosofia scettica. 46<br />

Il percorso compiuto da Agostino e dai suoi compagni si conclude con<br />

l’esaltazione dell’autorità <strong>di</strong> Cristo su tutti i filosofi 47 , infatti se nei testi<br />

platonici Agostino pensa <strong>di</strong> poter trovare una sapienza utile a comprendere<br />

ciò che é vero, questo sarà possibile solo se essi non contrasteranno con i<br />

testi sacri.<br />

In sostanza il filosofo sostiene che la ricerca del vero, che l’uomo<br />

compie durante la sua vita, non è valida in sé, ma solo se conforme alla<br />

volontà del Cristo ovvero se si tratta <strong>di</strong> una ricerca illuminata dalle Sacre<br />

Scritture e perciò non solo opera umana, ma frutto maturo dell’opera <strong>di</strong><br />

ricerca della ragione umana illuminata dallo Spirito Santo. In quanto non<br />

sarà l’atteggiamento assolutamente scettico degli accademici a consentire<br />

all’uomo <strong>di</strong> scoprire la verità, ma la volontà dell’uomo <strong>di</strong> ricercare il vero<br />

nel suo tentativo <strong>di</strong> andare verso Dio.<br />

Il <strong>di</strong>battito, partito dalla domanda “se si possa vivere felicemente anche<br />

senza trovare il vero pur cercandolo”, sembra concludersi con l’idea che secondo<br />

Agostino l’uomo possa essere felice ricercando il vero, sempre che il<br />

vero sia il Cristo. Egli per sua natura non può essere posseduto da alcuno<br />

ma è presente nella storia e nella Chiesa grazie all’opera dello Spirito Santo.<br />

La felicità, quin<strong>di</strong> per Agostino, è la tensione continua dell’uomo verso<br />

45 Nell’un<strong>di</strong>cesimo capitolo del terzo libro, Agostino affronta il problema della veri<strong>di</strong>cità<br />

dei sensi, pag. 249 e segg.<br />

46 Idem, pag. 283, Agostino afferma che: “Arcesilao… abbia nascosto in profon<strong>di</strong>tà la<br />

dottrina dell’Accademia e l’abbia sotterrata, come oro lasciato alla scoperta dei posteri prima<br />

o poi”; a pag. 291 richiama gli scritti <strong>di</strong> Cicerone, che <strong>di</strong>ce “essi ebbero l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> nascondere<br />

la loro dottrina e furono soliti non rivelarla ad alcuno, se non a chi fosse vissuto con loro<br />

fino alla vecchiaia”.<br />

47 Agostino afferma: “Io ho dunque deciso <strong>di</strong> non separarmi proprio in nessun caso dall’autorità<br />

<strong>di</strong> Cristo, non ne trovo infatti una <strong>di</strong> più valida”, idem, pag. 293.<br />

– 136 –


Cristo, che su questa terra non potrà mai essere piena conoscenza del Figlio<br />

<strong>di</strong> Dio, perché Dio potrà essere conosciuto solo quando l’uomo tornerà alla<br />

casa del Padre e potrà vedere in tutto il suo splendore la grandezza <strong>di</strong>vina.<br />

Per Agostino quin<strong>di</strong> l’uomo può vivere felicemente su questa terra purché<br />

sia alla ricerca del Cristo.<br />

Una tale concezione nega la possibilità all’uomo <strong>di</strong> allontanarsi dall’insegnamento<br />

<strong>di</strong>vino non solo nel suo agire privato ma anche nelle sue scelte<br />

pubbliche. Le azioni nella sfera politica dovranno essere sempre compiute<br />

seguendo le Sacre Scritture. L’agire politico per Agostino dovrà essere rispettoso<br />

dell’altro, incurante dei propri interessi ma soprattutto sottomesso<br />

alla volontà Divina e pertanto anche delle gerarchie ecclesiastiche che, per<br />

loro natura, detengono la verità, poiché ere<strong>di</strong> <strong>di</strong>rette dei primi apostoli che<br />

in Palestina incontrarono il Cristo e capaci <strong>di</strong> guidare l’uomo nel suo cammino<br />

verso <strong>di</strong> Lui: compimento <strong>di</strong> un cammino spirituale traducibile nella<br />

“vita felice”.<br />

Ockham<br />

Per comprendere con successo quello che è il pensiero politico <strong>di</strong><br />

Ockham occorre rendersi conto del contesto storico all’interno del quale<br />

visse e operò il “Francescano <strong>di</strong> Oxford”.<br />

Siamo infatti nell’ultimo periodo della lotta per le investiture, sul finire<br />

della seconda metà del ‘300, e Ockham è protagonista <strong>di</strong> quelle che sono le<br />

<strong>di</strong>spute tra potere imperiale e potere papale.<br />

Come francescano minore decise <strong>di</strong> schierarsi con la fazione filo-imperiale<br />

dopo che fu emanata la bolla papale “Cum inter nonnullos” che<br />

avrebbe dovuto <strong>di</strong>rimere le <strong>di</strong>spute sulla presunta povertà <strong>di</strong> Cristo e dei<br />

<strong>di</strong>scepoli, ma che in realtà non era stata altro che un ennesimo tentativo del<br />

Papa Giovanni XXII <strong>di</strong> indebolire Ludovico il Bavaro e i suoi sostenitori.<br />

Se da un lato si arriva spesso alla messa in campo <strong>di</strong> eserciti da opporre<br />

alla fazione opposta, dal punto <strong>di</strong> vista dello scontro intellettuale e teorico<br />

la lotta è tra la tesi monista e ierocratica, dei sostenitori del potere papale<br />

su quello imperiale, e quella dei <strong>di</strong>fensori dell’in<strong>di</strong>pendenza dei due poteri.<br />

I più gran<strong>di</strong> esponenti della prima linea <strong>di</strong> pensiero sono personaggi come<br />

Egi<strong>di</strong>o Romano o Agostino Trionfo che, seppure con sfumature <strong>di</strong>verse, teorizzano<br />

l’assoluta <strong>di</strong>pendenza e subor<strong>di</strong>nazione dell’Imperatore al Papa che,<br />

in possesso dell’autorità concessagli da Dio, è la guida spirituale <strong>di</strong> tutti gli<br />

uomini, compreso l’imperatore che proprio al Papa deve il suo riconosci-<br />

– 137 –


mento in carica e al giu<strong>di</strong>zio del quale è quin<strong>di</strong> sottoposto inevitabilmente.<br />

Dall’altro lato del “campo <strong>di</strong> battaglia” vi è una schiera varia e variegata <strong>di</strong><br />

intellettuali e pensatori tra i quali anche Dante Alighieri, che nel suo “De<br />

Monarchia” esprime una posizione moderata <strong>di</strong> conciliazione dei due poteri<br />

e Marsilio da Padova, ra<strong>di</strong>calmente avverso al Papato, che nel suo “Defensor<br />

Pacis” arriva ad ad<strong>di</strong>tare il Papa stesso come il vero nemico della pace e<br />

della tranquillità della comunità cristiana; sopra tutti, per lo spessore della<br />

sua critica, Ockham. Il “Francescano <strong>di</strong> Oxford” sviluppa la dottrina secondo<br />

la quale i due poteri sono strettamente <strong>di</strong>pendenti l’uno dall’altro, e devono<br />

rendere entrambi conto non solo alla legge <strong>di</strong>vina, ma devono anche operare<br />

per il bene comune e, cosa fondamentale, nel rispetto delle libertà personali:<br />

è la prima volta che tale principio viene affermato con tale chiarezza e vigore.<br />

Nelle sue opere principali, il “Dialogus inter magistrum et <strong>di</strong>scipulum<br />

de imperatorum et pontificum potestate”e le “Octo quaestiones de potestate<br />

papae”, Ockham <strong>di</strong>vide in maniera netta la giuris<strong>di</strong>zione dei due poteri.<br />

L’uno, quello papale, scaturisce da Cristo in persona che affida le chiavi della<br />

sua Chiesa a Pietro e ai suoi successori stabilendo una gerarchia <strong>di</strong> tipo monarchico<br />

all’interno della Chiesa, il secondo <strong>di</strong>scende in linea <strong>di</strong>retta dall’esperienza<br />

dell’Impero Romano: ne consegue che, essendo <strong>di</strong>verse le origini,<br />

nessuno dei due poteri, e in particolare il Papato, può entrare nell’ambito dell’altro.<br />

Se da un lato quin<strong>di</strong> riesce a confutare tutte le tesi ierocratiche, dall’altro<br />

non rinuncia ad affermare che in campo dottrinale la Chiesa non abbia<br />

possibilità <strong>di</strong> essere contestata e riafferma fortemente il dogma della rivelazione;<br />

ma la Chiesa <strong>di</strong> cui parla Ockham non è quella <strong>di</strong> Roma, guidata da<br />

uomini e quin<strong>di</strong> soggetta all’errore, ma piuttosto essa è la comunità intera<br />

dei fedeli, guidata dallo Spirito Santo e quin<strong>di</strong> infallibile.<br />

Bacone e “La Nuova Atlantide”<br />

Bacone, nato a Londra nel 1561 da sir Nicola Bacone, lord guardasigilli<br />

della regina Elisabetta, può essere definito come colui che concepì la<br />

scienza come fondamento della politica. Questo è quanto si evidenzia ne<br />

“La Nuova Atlantide”, opera pubblicata nel 1626, un anno dopo la morte<br />

dell’autore.<br />

Egli fu un personaggio molto coinvolto nella politica del proprio paese,<br />

e ricoprì anche cariche importanti durante il regno <strong>di</strong> Giacomo I Stuart.<br />

Egli, inoltre, era convinto che dalla politica si dovesse separare l’etica, in<br />

quanto ogni azione umana può essere politicamente buona ma moralmente<br />

– 138 –


scorretta, e viceversa. Per cui necessità politica ed etica vanno <strong>di</strong>stinte, nonostante<br />

la loro apparente coincidenza teorica. Egli attuò per primo questa sua<br />

teoria, infatti le sue vicende politiche lo <strong>di</strong>mostrano; non a caso fu accusato<br />

<strong>di</strong> corruzione più volte, ma comunque le sue idee politiche risultano teoricamente<br />

accettabili. Bacone è considerato il “profeta della tecnica”; non a caso<br />

dalle sue teorie politiche presenti nella “Nuova Atlantide” la politica appare<br />

ridotta e minimizzata alla semplice efficienza della tecnica e della scienza.<br />

È dunque il caso <strong>di</strong> soffermarsi più da vicino sull’analisi dell’opera.<br />

“La Nuova Atlantide”<br />

“La Nuova Atlantide” contiene gli assunti politici impliciti nella filosofia<br />

<strong>di</strong> Francesco Bacone. È un testo tipicamente rinascimentale e va considerato<br />

come utopico (dal greco ou tòpos = luogo che non c’è). Esso tratta <strong>di</strong> un’isola,<br />

<strong>di</strong> nome Bensalem, sulla quale un gruppo <strong>di</strong> marinai naufragano. La<br />

netta rottura col passato da parte <strong>di</strong> quest’opera utopica si mette in risalto fin<br />

dall’inizio, col concetto <strong>di</strong> naufragio, che, in questo caso, non è considerato<br />

come dovuto all’hybris umana (un eccesso da parte dell’uomo), ma, anzi, è<br />

visto come qualcosa <strong>di</strong> positivo; lo stesso <strong>di</strong>scorso si può fare per il mare,<br />

l’antica immagine della minaccia; esso è visto come un elemento positivo<br />

che separa la pura isola <strong>di</strong> Bensalem dal resto corrotto del mondo.<br />

Bacone con quest’opera riprende a gran<strong>di</strong> linee altre opere utopistiche<br />

come “Utopia” <strong>di</strong> Tommaso Moro e “La città del sole” <strong>di</strong> Campanella, e,<br />

ancor più, si rifà all’“Atlantide” <strong>di</strong> Platone. Infatti, come Platone a capo del<br />

suo stato ideale aveva posto i filosofi e Campanella i sacerdoti, Bacone<br />

identifica negli scienziati la classe <strong>di</strong>rigente e governante del proprio stato<br />

ideale. Si tratta, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> un’utopia tecnocratica, nella quale il potere risiede<br />

nelle mani dei sapienti similmente a come avviene in Platone; tuttavia<br />

la <strong>di</strong>fferenza tra i due in questo caso sta proprio nella <strong>di</strong>versa concezione <strong>di</strong><br />

sapiente, che infatti per Bacone non è il filosofo ma lo scienziato, in quanto<br />

dotato <strong>di</strong> un sapere pratico, e da questo deriva anche il concetto baconiano<br />

secondo cui la scienza per avere il giusto valore deve essere orientata e finalizzata<br />

all’azione, e apportare innovazioni utili all’uomo. Tuttavia, per ottenere<br />

ciò non basta che ci sia il semplice lavoro degli scienziati, ma bisogna<br />

che questi governino letteralmente la società. “La Nuova Atlantide” <strong>di</strong> Bacone<br />

si <strong>di</strong>stingue anche dalle opere <strong>di</strong> Tommaso Moro e <strong>di</strong> Campanella in<br />

quanto il tema principale <strong>di</strong> essa è il potere che possiede l’uomo grazie alla<br />

scienza, in<strong>di</strong>pendente, quin<strong>di</strong>, da motivazione morali o sociali.<br />

– 139 –


Dunque l’utopia <strong>di</strong> questo viaggio non è fine a se stessa, ma rappresenta<br />

l’abbandono <strong>di</strong> qualcosa per andare verso il nuovo, quasi come a voler simbolizzare<br />

una sorta <strong>di</strong> rinascita. Analizzando le caratteristiche dell’isola in<br />

questione, la possiamo identificare come un luogo perfetto, aconflittuale,<br />

dove gli uomini vivono in armonia tra loro e possiedono, grazie al governo<br />

degli scienziati, tecniche <strong>di</strong> lavoro avanzatissime ed una conoscenza scientifica<br />

altrettanto sviluppata, praticano la religione ma non in modo ossessivo,<br />

vivono nella purezza dei loro costumi, e considerano la famiglia come<br />

perno della società, cosicché la sua prosperità <strong>di</strong>viene un affare <strong>di</strong> stato,<br />

come se questo progetto utopico debba partire dal privato per estendersi<br />

all’universale. Descrivendo questa società perfetta, Bacone raggiunge un<br />

duplice scopo: attirare l’attenzione su una qualche società perfetta e criticare<br />

quella in cui vive. Ma questa bilateralità rende <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>stinguere<br />

dove finisce la realtà e dove comincia l’utopia.<br />

Aspetto culminante dell’opera è quello dello sviluppo scientifico e tecnico<br />

visto sotto l’aspetto <strong>di</strong> uno strumento per migliorare le con<strong>di</strong>zioni e le<br />

aspettative <strong>di</strong> vita: così, ad esempio, vengono descritti strumenti per depurare<br />

l’acqua salata rendendola dolce, si sperimentano sugli animali varie<br />

forme <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cinali e veleni per provvedere alla salute del corpo umano, si<br />

prolunga la vita dell’uomo.<br />

Tuttavia è possibile muovere alcune critiche alla costruzione statale <strong>di</strong><br />

Bacone: innanzitutto non è una democrazia il regime che vige sull’isola, e<br />

in secondo luogo il filosofo riconduce la politica a semplici scelte tecniche,<br />

cosa che è assolutamente errata in quanto non si può ridurre la politica <strong>di</strong><br />

uno stato solo a tali con<strong>di</strong>zioni.<br />

Ciò che, comunque, riveste una grande importanza è il ruolo che Bacone<br />

ebbe rispetto al suo tempo e soprattutto il fatto che egli rappresenta<br />

l’in<strong>di</strong>ce e la <strong>di</strong>rezione della tendenza evolutiva del progresso umano in quel<br />

tempo.<br />

È infatti la <strong>di</strong>rezione della fede a cambiare: con Copernico e Galileo,<br />

egli sostiene il principio “geocentrico”, cioè pone l’uomo e le sue capacità<br />

intellettive al centro della storia umana. La fede che precedentemente era<br />

posta sulla conoscenza come risultato della rivelazione <strong>di</strong>vina trasmessa<br />

dalle sacre scritture, è ora invece posta nell’uomo in quanto intelletto razionale,<br />

in grado <strong>di</strong> trovare in se stesso una chiave scientifica <strong>di</strong> lettura del<br />

mondo. Bacone precorre quin<strong>di</strong> l’illuminismo e il successivo sviluppo tecnologico<br />

della società. Le sue macchine non sono altro che una prefigurazione<br />

della futura rivoluzione industriale.<br />

– 140 –


In conclusione, quin<strong>di</strong>, si può affermare che sarà proprio ispirandosi a<br />

queste utopie che la Royal Society <strong>di</strong> Londra, le Accademie delle Scienze<br />

<strong>di</strong> Parigi, Berlino e Pietroburgo, l’Accademia del Cimento <strong>di</strong> Firenze, <strong>di</strong>rigeranno<br />

i propri sforzi per la costruzione e lo sviluppo della società futura.<br />

Bibliografia e sitografia:<br />

Ockham:<br />

FORTUNATO BOZZELLI (www.francescodappignano.it)<br />

NICOLA ABBAGNANO & NICOLA FORNERO<br />

Bacone:<br />

O. BELLINI, La Nuova Atlantide<br />

DIEGO FUSARO, Francesco Bacone<br />

DIEGO FUSARO (www.filosofico.net)<br />

2.2 “INCANTO” DEL RISORGIMENTO<br />

NELLA TENSIONE DEI SUOI PROTAGONISTI<br />

Con l’acuirsi dei movimenti patriottico nazionali e la fondazione <strong>di</strong> alcune<br />

sette segrete nel Nord Italia (soprattutto in Piemonte, unico tra gli stati<br />

italiani in grado <strong>di</strong> garantire un movimento <strong>di</strong> ricostituzione nazionale), il<br />

cosiddetto “periodo pre-risorgimentale” fu caratterizzato da una notevole<br />

fioritura <strong>di</strong> idee politiche e filosofiche.<br />

Esse si svilupparono anche grazie alla presenza <strong>di</strong> alcune personalità <strong>di</strong><br />

grande rilievo: basti pensare a Rosmini (con il suo cattolicesimo liberale) 48 ,<br />

Gioberti (liberale moderato) 49 , Cattaneo (federalismo democratico) 50 , Balbo<br />

(neoguelfo) 51 e Mazzini, ai quali va attribuito il merito <strong>di</strong> aver rafforzato le<br />

già gran<strong>di</strong> aspettative riguardanti il processo <strong>di</strong> unificazione nazionale.<br />

Chiaramente, le varie ideologie avevano bisogno <strong>di</strong> un qualcosa che<br />

potesse favorire la loro <strong>di</strong>ffusione, un mezzo tramite il quale essere tra-<br />

48 Antonio Rosmini Serbati, Saggio sul comunismo e socialismo, Milano, 1858.<br />

49 Vincenzo Gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, Losanna, 1843.<br />

50 Carlo Cattaneo, Dell’insurrezione <strong>di</strong> Milano nel 1848 e della successiva guerra, 1849.<br />

51 Cesare Balbo, Le speranze d’Italia, Ed. Utet, 1844.<br />

– 141 –


smesse facilmente, ovvero la cultura. Difatti, fu proprio in ambito culturale<br />

che il pensiero dei singoli ebbe la possibilità <strong>di</strong> essere con<strong>di</strong>viso soprattutto<br />

in ambiente borghese.<br />

Entrando nello specifico, si possono <strong>di</strong>stinguere nettamente due tipologie<br />

<strong>di</strong> “informazione culturale”: la letteratura e il giornalismo.<br />

Per quanto riguarda la prima, è importante <strong>di</strong>re che fu essenziale per<br />

aver tentato <strong>di</strong> risvegliare negli italiani il sentimento nazionale: a questo<br />

proposito, è impossibile non citare l’immenso lavoro dei romantici italiani.<br />

Infatti, essi furono quasi tutti patrioti e affidarono alla letteratura i loro<br />

ideali; inoltre, furono reputati come i creatori <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi generi letterari (uno<br />

fra tutti il romanzo, che in questo periodo fu prevalentemente storico o autobiografico).<br />

Tornando alla <strong>di</strong>ffusione degli orientamenti <strong>di</strong> pensiero delle varie personalità<br />

italiane, bisogna <strong>di</strong>re che ebbe un notevole successo anche la letteratura<br />

politica. In particolare, in questo ambito è incessante l’attività del già<br />

citato Mazzini (“Dell’amor patrio <strong>di</strong> Dante”) 52 e <strong>di</strong> Carlo Pisacane 53 , autore<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi saggi storici e politici.<br />

Di notevole rilievo fu anche la storiografia filosofica, che però nel<br />

primo periodo dell’ottocento si presentò sotto il segno della <strong>di</strong>pendenza<br />

dalle correnti straniere (soprattutto francesi e tedesche).<br />

Passando invece alla seconda tipologia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione, ovvero quella<br />

giornalistica, va detto che il perio<strong>di</strong>co con la maggiore <strong>di</strong>ffusione e con la<br />

più ricca varietà <strong>di</strong> contenuti fu certamente il “Politecnico”, fondato da<br />

Carlo Cattaneo a Milano nel 1839. Lo scopo della rivista, secondo il suo<br />

fondatore, era quello <strong>di</strong> trattare gli argomenti più <strong>di</strong>sparati facendone<br />

un’approfon<strong>di</strong>ta recensione, così da poter favorire il progresso tecnicoscientifico<br />

degli stati italiani. I contenuti si articolavano nelle seguenti<br />

categorie: 1. applicazioni fisiche e matematiche, agraria, tecnologia, storia<br />

naturale, me<strong>di</strong>cina; 2. arte sociale, stu<strong>di</strong> economici, amministrativi, legali,<br />

storici; 3. stu<strong>di</strong> mentali, meto<strong>di</strong> d’istruzione, nuovi istituti; 4. belle arti e<br />

belle lettere.<br />

Un altro valido giornale fu certamente il “Risorgimento” che, sotto la<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Camillo Benso conte <strong>di</strong> Cavour, operò soprattutto in campo politico.<br />

52 Anno <strong>di</strong> pubblicazione 1837.<br />

53 Carlo Pisacane, Saggi storici-politici-militari sull’Italia, Roma, 1854.<br />

– 142 –


Le Personalità Rilevanti<br />

ROSMINI<br />

Antonio Rosmini-Serbati nasce il 24 marzo 1797 a Rovereto, compie<br />

gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> teologia e <strong>di</strong> giurisprudenza all’università <strong>di</strong> Padova e nel 1821<br />

riceve l’or<strong>di</strong>nazione sacerdotale. Dal 1822 al 1827 approfon<strong>di</strong>sce gli stu<strong>di</strong><br />

giuri<strong>di</strong>ci e filosofici (sono <strong>di</strong> questo periodo i suoi primi scritti in cui il Rosmini<br />

si pronuncia sulle principali questioni del suo tempo). Nel 1826<br />

stringe una profonda amicizia con Alessandro Manzoni. Intorno al 1830 risale<br />

l’incontro con l’abate bretone Lamennais dal quale viene a conoscenza<br />

delle tendenze innovativo-riformiste nel mondo cattolico ma anche delle<br />

polemiche e dei contrasti legati a tali tendenze; Rosmini rior<strong>di</strong>na così le sue<br />

idee sulla Chiesa e nasce l’opera più importante <strong>di</strong> tutto il corpus rosminiano:<br />

“Le cinque piaghe della Santa Romana Chiesa”. 54 Negli anni precedenti<br />

la prima guerra d’in<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong>venta un esponente del movimento<br />

neoguelfo e dopo la sconfitta nella guerra svolge un delicato lavoro <strong>di</strong>plomatico<br />

al fine <strong>di</strong> convincere il Papato ad allearsi con lo Stato sabaudo; purtroppo,<br />

invano, poiché il precipitare degli eventi (il cambiamento della politica<br />

sabauda in una molto anticlericale e tesa a combinare un’alleanza ad<br />

esclusivo vantaggio del Regno sardo) lo indurrà a presentare le <strong>di</strong>missioni.<br />

Si ritira a Stresa sul lago Maggiore dove scrive e pubblica le ultime opere.<br />

Muore, assistito tra gli altri dal Manzoni, a Stresa l’1 luglio 1855.<br />

Il pensiero politico rosminiano si sforzò <strong>di</strong> conciliare esigenze <strong>di</strong> conservazione<br />

e <strong>di</strong> progresso nel tentativo <strong>di</strong> aggiornare una visione teocentrica<br />

della vita. Egli infatti portò avanti tesi filosofiche tendenti a contrastare sia<br />

l’illuminismo che il sensismo. In una delle sue opere politiche <strong>di</strong> maggior<br />

rilievo, “Il comunismo ed il socialismo” 55 (<strong>di</strong> fondamentale importanza per<br />

ricostruire la storia dell’anti-socialismo ottocentesco) il Rosmini sottolinea<br />

l’inalienabilità dei <strong>di</strong>ritti naturali della persona, fra cui quello della proprietà<br />

privata, e, attraverso un’analisi del pensiero dei principali esponenti del<br />

socialismo del primo ottocento (Saint-Simon, Fourier e Owen) rivolge il<br />

suo interesse non verso i propositi teorici, ma verso il programma politico e<br />

i risultati <strong>di</strong> tali pensatori, trovando da <strong>di</strong>ssentire non sul fine, ma sul modo<br />

54 Antonio Rosmini Serbati, Le cinque piaghe della Santa Romana Chiesa, E<strong>di</strong>zioni rosminiane,<br />

1848.<br />

55 Antonio Rosmini Serbati, Saggio sul comunismo e sul socialismo, Milano, 1858.<br />

– 143 –


in cui realizzare tali fini. Contro gli utopici socialisti Rosmini assume i<br />

connotati del “<strong>di</strong>fensore del progresso e del vero liberalismo” e confuta i<br />

principi socialisti ricorrendo proprio ai principi del liberalismo (infatti era<br />

fervido sostenitore del cattolicesimo liberale) che pone appunto in primo<br />

piano quello della libertà, ossia la “facoltà <strong>di</strong> operare ciò che si vuole senza<br />

coazione e necessità”. 56<br />

Tuttavia la più importante opera del filosofo roveretano <strong>di</strong> ambito politico-religioso<br />

è senza dubbio “Le cinque piaghe della Santa Romana<br />

Chiesa”, in cui l’autore ad<strong>di</strong>rittura, per il coraggio e la lungimiranza <strong>di</strong> alcune<br />

sue idee sulla riforma della Chiesa, sembrò precorrere il Concilio Vaticano<br />

II. Tale modernità si riscontra proprio nel fatto che il trattato fu messo<br />

all’in<strong>di</strong>ce sin dal 1849 (un anno dopo la pubblicazione) e ne scaturì una<br />

polemica nota come “questione rosminiana” (il lavoro fu rivalutato solo in<br />

tempi recenti e fu tolto dall’In<strong>di</strong>ce da Paolo VI), tuttavia è un documento <strong>di</strong><br />

grande amore per la Chiesa e per la sua missione nel mondo.<br />

L’opera è sud<strong>di</strong>visa in cinque capitoli, e ciascuna parla <strong>di</strong> una piaga<br />

(cinque come quelle <strong>di</strong> Cristo); la struttura è sempre la stessa per ogni capitolo:<br />

elogio della Chiesa antica, nascita <strong>di</strong> un fatto che cambia la situazione<br />

precedente (nascita <strong>di</strong> una setta cristiana, invasioni barbariche, entrata dei<br />

vescovi in politica), la conseguente piaga e, infine, i possibili rime<strong>di</strong>.<br />

Prima piaga: Consiste nella <strong>di</strong>visione del popolo dal clero nel culto<br />

pubblico; nell’antichità il culto era un mezzo <strong>di</strong> catechesi oltre che <strong>di</strong> formazione<br />

e il popolo partecipava al culto. Purtroppo vari eventi, identificabili<br />

con le invasioni barbariche, con la scomparsa del latino e con la tendenza<br />

del clero a formare una casta chiusa, hanno contribuito al formarsi <strong>di</strong><br />

un “muro” tra il popolo e i prelati addetti al culto.<br />

Rosmini dunque, al fine <strong>di</strong> tornare a tale unità, auspica come rime<strong>di</strong><br />

(nei quali si può intravedere anche una certa prudenza) il ritorno all’insegnamento<br />

del latino, una più profonda e accurata spiegazione delle cerimonie<br />

liturgiche e l’uso <strong>di</strong> messalini in lingua volgare a vantaggio del popolo<br />

meno acculturato.<br />

Seconda piaga: Consiste in un’inadeguata ed insufficiente educazione<br />

del clero; un tempo infatti i preti erano educati dai vescovi in persona che<br />

potevano trasmettere tutto il loro sapere <strong>di</strong>rettamente agli alunni del seminario,<br />

successivamente i vescovi hanno ab<strong>di</strong>cato a tale importante mansione<br />

56 Antonio Rosmini Serbati, Saggio sul comunismo e socialismo, Milano, 1858, pag. 478.<br />

– 144 –


comportando così il formarsi <strong>di</strong> seminari <strong>di</strong> minor valore <strong>di</strong>dattico con “piccoli<br />

libri” e “piccoli maestri”. Rosmini, dunque, conduce una forte critica<br />

alla Scolastica e ai catechismi. Il rime<strong>di</strong>o avanzato è quello <strong>di</strong> riunire<br />

scienza e pietà per trovare maggior verità nel clero.<br />

Terza piaga: Viene in<strong>di</strong>viduata nella <strong>di</strong>sunione tra gli stessi vescovi;<br />

Rosmini attacca duramente i vescovi del cosiddetto ancien régime quando<br />

deve pronunciarsi sulle cause <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>sunione: in primis un abnorme attaccamento<br />

al proprio potere personale, poi occupazioni non inerenti all’ufficio<br />

sacerdotale, servilismo verso il governo, troppa ambizione e ansia <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere<br />

ad ogni costo i beni ecclesiastici; arriva ad<strong>di</strong>rittura a definirli schiavi <strong>di</strong><br />

uomini anziché liberi apostoli <strong>di</strong> Cristo. Il rime<strong>di</strong>o proposto è <strong>di</strong> avanzare<br />

riserve sulla <strong>di</strong>fesa del patrimonio ecclesiastico e un ritorno agli uffici meramente<br />

pastorali e <strong>di</strong> carità.<br />

Quarta piaga: Consiste nella nomina dei vescovi lasciata al potere laicale,<br />

comportando così il formarsi <strong>di</strong> vescovi burocrati. Qui il filosofo roveretano<br />

esegue una profonda e sapiente analisi sull’evoluzione dei fatti nella<br />

storia e sul come alla fine la Santa Sede abbia ceduto la nomina dei vescovi<br />

al potere statale (con un prudente accenno al vantaggio economico <strong>di</strong> tale<br />

cessione).<br />

Il rime<strong>di</strong>o presentato non è molto chiaro ma sembra sia stato definitivamente<br />

in<strong>di</strong>viduato nella richiesta <strong>di</strong> una riunione del collegio episcopale alla<br />

presenza del Papa stesso, al fine <strong>di</strong> ripristinare le nomine episcopali ad<br />

appannaggio della Santa Sede senza alcuna intrusione <strong>di</strong> sorta.<br />

Quinta piaga: L’ultima piaga è dovuta alla servitù dei beni ecclesiastici<br />

causata dal feudalesimo: qui il Rosmini rileva i danni del sistema attuale<br />

beneficiale e auspica un ritorno alla povertà iniziale propria della Chiesa<br />

tramite un sistema <strong>di</strong> offerte libere (non imposte d’autorità con l’appoggio<br />

dello stato), oltre che con la rinuncia ai privilegi ecclesiastici e la pubblicazione<br />

dei bilanci.<br />

La figura <strong>di</strong> Antonio Rosmini è stata per svariato tempo al centro <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>battiti, ma è stata rivalutata a partire dalla metà del secolo XX, a partire<br />

da Giovanni XXIII passando poi per i successivi pontefici fino ad arrivare<br />

all’attuale Benedetto XVI che ne ha autorizzato in tempi recentissimi la<br />

beatificazione (sulla base del miracolo della guarigione <strong>di</strong> Suor Ludovica<br />

Noè attribuito all’intercessione <strong>di</strong> Rosmini). Il filosofo roveretano è stato<br />

beatificato il 18 novembre <strong>2007</strong> nella città <strong>di</strong> Novara.<br />

– 145 –


VINCENZO GIOBERTI<br />

Vincenzo Gioberti nacque a Torino il 5 aprile 1801. Compì i suoi stu<strong>di</strong><br />

letterari e filosofici presso i Padri Oratoriali e poi frequentò la Facoltà<br />

Teologica <strong>di</strong> Torino. Divenuto cappellano <strong>di</strong> corte si accostò alle idee mazziniane<br />

e perse la sua carica a seguito della repressione scatenata nel 1831<br />

che lo costrinse all’esilio. Durante l’esilio <strong>di</strong> Bruxelles, ove insegnò presso<br />

la scuola italiana, condusse intensi stu<strong>di</strong> filosofici che espose nella “Teorica<br />

del sovrannaturale” (1838) cui alternò, sul finire degli anni trenta, stu<strong>di</strong> metafisici<br />

sfociati nell’“Introduzione allo stu<strong>di</strong>o della filosofia” (1840), opera<br />

però non completata. All’inizio degli anni quaranta, Gioberti, superando la<br />

sua originaria visione <strong>di</strong> stampo mazziniano, matura definitivamente la convinzione<br />

che vede il destino del popolo italiano associato allo sviluppo della<br />

cattolicità e formula le sue proposte nell’opera “Del primato morale e civile<br />

degli italiani” (1843). Il successo delle sue tesi lo spinse ad assumere una<br />

posizione critica nei confronti della Compagnia <strong>di</strong> Gesù, ritenuta il principale<br />

ostacolo all’unificazione italiana, che attaccò nel suo scritto “Il gesuita<br />

moderno” (1846-1847).<br />

Il progetto elaborato dal Gioberti, denominato “neoguelfo” perché incentrato<br />

sull’idea <strong>di</strong> uno sviluppo federalista dell’Italia all’interno <strong>di</strong> un’unità<br />

costituzionale basata su <strong>di</strong> una forte impronta cattolica, trovò però una smentita<br />

nel fallimento dei moti del biennio 1848-1849 duranti i quali, per breve<br />

tempo, egli assunse la guida del governo piemontese. Il fallimento determinò<br />

per Gioberti la scelta <strong>di</strong> un nuovo esilio, stavolta in Francia, proprio mentre<br />

le autorità cattoliche sottoposero al vaglio del Santo Uffizio tutta la sua produzione<br />

letteraria che venne condannata il 14 gennaio 1852. Gioberti morì a<br />

Parigi il 26 ottobre 1852 dopo aver riesposto i temi principali della sua opera<br />

nel “Rinnovamento civile d’Italia” (1851), in cui rivede i programmi politici<br />

possibili per lo spirito pubblico italiano.<br />

La restaurazione della religione, intesa come religione cattolica, è vista<br />

da Gioberti come fulcro per avviare la realizzazione <strong>di</strong> un obiettivo civile e<br />

filosofico che porti a compimento la missione del popolo italiano. Infatti,<br />

come Mazzini, egli assegna una missione all’Italia ma, <strong>di</strong>versamente dalle<br />

convinzioni mazziniane, Gioberti ritiene che l’unità d’Italia debba compiersi<br />

attraverso una confederazione <strong>di</strong> stati soggetti all’autorità papale.<br />

L’origine del suo pensiero politico affonda nei suoi stu<strong>di</strong> che lo portano a<br />

vedere la filosofia come esplicazione dei contenuti rivelati dalla religione. Il<br />

pensiero umano poggia su <strong>di</strong> una rivelazione primitiva, data nel linguaggio,<br />

– 146 –


che ha origine <strong>di</strong>vina ed infonde nella mente umana i principi che le consentono<br />

<strong>di</strong> conoscere la realtà. Gioberti chiama “Idea” l’oggetto <strong>di</strong> questa rivelazione<br />

e lo identifica, in un’accezione platonica del termine, con “ciò che realmente<br />

è”. L’Idea quin<strong>di</strong> è l’essere assoluto, Dio stesso, che Gioberti chiama<br />

anche Ente. La posizione filosofica <strong>di</strong> Gioberti è quin<strong>di</strong> anche detta ontologismo<br />

e si contrappone a tutte le forme <strong>di</strong> psicologismo che riducono l’idea<br />

ad una rappresentazione mentale frapposta fra l’uomo e la realtà. A giu<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> Gioberti, lo stesso Rosmini compie un errore tipico dello psicologismo, assumendo<br />

come punto <strong>di</strong> partenza non un dato reale ma un dato della mente<br />

umana, l’idea dell’essere. Alla riflessione umana spetta esplicitare ed articolare<br />

l’Idea me<strong>di</strong>ante l’elemento della parola che l’uomo trova già data nella<br />

rivelazione originaria. La filosofia fa emergere i contenuti dell’Idea e la teologia<br />

quelli soprannaturali. La formula ideale che l’uomo deve esprimere tramite<br />

la filosofia è il giu<strong>di</strong>zio che esprime l’Idea in modo chiaro e preciso. In<br />

questa formula il primo termine non può che essere l’Ente, cioè Dio, che “è<br />

necessariamente”. Dio è quin<strong>di</strong> il principio della formula ideale che però, essendo<br />

anche un giu<strong>di</strong>zio, deve contenere un altro termine: l’esistente che è<br />

una sostanza derivante dall’Ente che ad esso ritorna attraverso il processo naturale.<br />

La formula ideale <strong>di</strong> Gioberti si articola quin<strong>di</strong> nella proposizione:<br />

“l’Ente crea l’esistente” che esprime così l’intero processo ontologico.<br />

Tradotto in termini morali e politici, ciò significa che il genere umano<br />

deve assumere il linguaggio, che contiene la rivelazione <strong>di</strong>vina, come base<br />

della sua unità. La religione, quin<strong>di</strong>, crea la moralità e la civiltà del genere<br />

umano ed il cristianesimo, grazie alla sua organizzazione in forma <strong>di</strong><br />

Chiesa, unica depositaria, interprete e propagatrice della tra<strong>di</strong>zione, conserva<br />

integro il contenuto dell’Idea, che, a sua volta, rende possibile il recupero<br />

dell’unità.<br />

Il fatto che il centro propulsore del cristianesimo abbia sede in Italia,<br />

ove risiede il Papa, assegna alla nostra nazione un primato: spetta ad essa,<br />

grazie al papato, la missione universale <strong>di</strong> eliminare i mali del mondo moderno<br />

e ripristinare la vera civiltà fondata sulla tra<strong>di</strong>zione cattolica. Da<br />

questa posizione, inizialmente, Gioberti fece derivare una tesi sulla origine<br />

teocratica della sovranità; successivamente si avvicinò maggiormente alle<br />

posizioni del cattolicesimo liberale. Applicando la formula ideale alla società<br />

politica, Gioberti sostenne che “il sovrano fa il popolo e il popolo <strong>di</strong>venta<br />

sovrano”, <strong>di</strong>fferenziandosi così sia da una teoria della sovranità popolare<br />

(che capovolge la formula ideale) sia da ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>spotismo (per<br />

il quale l’esistente non ritorna mai all’ente).<br />

– 147 –


Il vero sovrano è Dio e l’unica forma adeguata <strong>di</strong> governo appare ai<br />

suoi occhi una monarchia ere<strong>di</strong>taria che allarghi progressivamente la rappresentanza<br />

alla gran parte del popolo.<br />

CARLO CATTANEO<br />

Carlo Cattaneo nasce a Milano il 15 giugno 1801. Stu<strong>di</strong>a inizialmente<br />

presso i seminari <strong>di</strong> Lecco e Monza, poi presso il <strong>Liceo</strong> Sant’Alessandro a<br />

Milano. Nel 1824 consegue la laurea in giurisprudenza all’università <strong>di</strong><br />

Pavia. In questo periodo è assiduo frequentatore della scuola <strong>di</strong> Gian Domenico<br />

Romagnosi, e questo insegnamento risulterà fondamentale per lo<br />

sviluppo del suo pensiero; infatti, nel 1833 inizia una solida collaborazione<br />

con gli “Annali universali <strong>di</strong> statistica” <strong>di</strong>retti dallo stesso Romagnosi. Nel<br />

1835 sposa l’inglese Anne Woodcock, <strong>di</strong> agiata con<strong>di</strong>zione, e può finalmente<br />

de<strong>di</strong>carsi interamente agli stu<strong>di</strong>. Nel 1839 fonda il “Politecnico”,<br />

mensile che si occupa <strong>di</strong> cultura nei più <strong>di</strong>sparati argomenti, egli lo <strong>di</strong>rige<br />

fino al 1845. Rimasto ai margini della politica per scelta e temperamento,<br />

entra a farne parte attivamente a partire dalle celeberrime Cinque Giornate<br />

<strong>di</strong> Milano (1848), quando, essendo stato nominato membro del consiglio <strong>di</strong><br />

guerra (l’organo <strong>di</strong>rettivo dell’insurrezione), per <strong>di</strong>eci giorni ha il compito<br />

<strong>di</strong> comandare le operazioni militari, <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nare la propaganda e il servizio<br />

<strong>di</strong> informazioni. Finita l’avventura ritorna a vita privata a causa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>vergenti idee con il governo provvisorio <strong>di</strong> Milano (che auspicava una<br />

fusione con il Piemonte a cui era contrario il Cattaneo), e si trasferisce in<br />

Svizzera. Acceso federalista, nel 1860 è a Napoli con Garibal<strong>di</strong>, ma se ne<br />

allontana quando nota l’impossibilità <strong>di</strong> attuare il suo progetto; nel frattempo<br />

ridà vita al “Politecnico” (1860) e alle elezioni politiche dello stesso<br />

anno e in quelle del 1867 viene eletto deputato, anche se non si recò mai<br />

in Parlamento per non prestare giuramento al Re. Morì a Castagnola il<br />

7 febbraio 1869.<br />

Il pensiero politico <strong>di</strong> Cattaneo è nettamente orientato verso una posizione<br />

federalista e democratica con una spiccata tendenza anticlericale e antiaristocratica,<br />

influenzato principalmente dalla corrente romantica. Pur<br />

mantenendo legami con la cultura illuministica egli, infatti, non riteneva<br />

utile all’Italia il programma <strong>di</strong> uno stato centralistico unitario, avversava il<br />

regime <strong>di</strong>spotico auspicato dal Metternich e guardava agli U.S.A. e alla<br />

Svizzera come modelli politici da seguire. Il Cattaneo considerava la monarchia<br />

savoiarda arretrata ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> più del modello asburgico nelle re-<br />

– 148 –


gioni italiane, e al contempo riteneva inadatta la propaganda insurrezionale<br />

<strong>di</strong> Mazzini, a cui contrappose un metodo <strong>di</strong> graduale evoluzione tramite un<br />

programma <strong>di</strong> riforme. Il pensiero <strong>di</strong> Cattaneo si <strong>di</strong>fferenzia quin<strong>di</strong> sia dall’estremismo<br />

mazziniano sia dal liberalismo cattolico <strong>di</strong> personaggi come<br />

Rosmini.<br />

Il federalismo <strong>di</strong> Cattaneo dunque appare come l’unico modo per evitare<br />

i pericoli dello stato accentratore e salvaguardare la libertà, vista come<br />

“valore primario senza il quale tutti gli altri perdono la propria ragion d’essere”.<br />

57<br />

La figura <strong>di</strong> Cattaneo è stata molto ammirata ma poco seguita nella <strong>di</strong>namica<br />

politica italiana: stimato dai suoi contemporanei, viene <strong>di</strong>menticato<br />

dagli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> fine ’800 per venire definitivamente accantonato sotto l’era<br />

fascista. Solo recentemente la figura del filosofo-politico milanese ha ridestato<br />

interesse.<br />

Cattaneo fu il fondatore e il <strong>di</strong>rettore del “Politecnico”, un mensile <strong>di</strong><br />

cultura e scienza che <strong>di</strong>venterà uno dei manifesti più famosi e in qualche<br />

modo “storici” del pensiero scientifico-culturale dell’età risorgimentale.<br />

Fondato nel 1839 grazie all’accordo stipulato tra il farmacista e cultore <strong>di</strong><br />

chimica Ottavio Ferrario, il professore Giovan Battista Menini, e Cattaneo<br />

stesso, subito il giornale prende la forma del pensiero <strong>di</strong> quest’ultimo, che<br />

infatti, desideroso <strong>di</strong> trovare un ambito in cui realizzare i suoi programmi,<br />

aveva ottenuto la responsabilità completa del giornale, nonché l’onere dell’amministrazione,<br />

degli utili e delle per<strong>di</strong>te in cambio <strong>di</strong> un annuale pagamento<br />

agli altri due fondatori.<br />

Nella prefazione al vol. I, corrispondente al primo semestre, Cattaneo<br />

enuncia il suo programma <strong>di</strong> un giornalismo moderno, civilmente impegnato,<br />

ed in<strong>di</strong>ca come intenzione fondamentale del perio<strong>di</strong>co quella <strong>di</strong> fornire<br />

ai lettori “la più pronta cognizione <strong>di</strong> quella parte <strong>di</strong> vero che dalle<br />

ardue regioni della scienza può facilmente condursi a fecondare il campo<br />

della pratica, e crescere sussi<strong>di</strong>o e conforto alla prosperità comune ed alla<br />

convivenza civile.” 58 Vige, infatti, la convinzione che “ogni scienza speculativa<br />

deve tosto o tar<strong>di</strong> anche da’ suoi più ari<strong>di</strong> rami produrre qualche inaspettato<br />

frutto all’umana società”; il compito del giornale è dunque quello<br />

<strong>di</strong> interpretare e rendere accessibile il mondo degli intellettuali e degli specialisti<br />

al piano del pubblico.<br />

57 Luciano Russi, Nascita <strong>di</strong> una nazione, C.L.U.A Ed., 1984, pag. 168.<br />

58 Carlo Cattaneo, “Il Politecnico”, Vol. I, Prefazione, 1839.<br />

– 149 –


Lo sfondo entro il quale la vicenda si svolge è la situazione lombarda,<br />

nella quale l’agricoltura aveva raggiunto un alto grado <strong>di</strong> sviluppo, al contrario<br />

vi era necessità <strong>di</strong> trasformazioni nel settore manifatturiero. Cattaneo<br />

pone il suo perio<strong>di</strong>co proprio al servizio dell’avanzante spirito industriale<br />

che si occupa della <strong>di</strong>ffusione e dell’uso dei combustibili fossili, dei nuovi<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> illuminazione e dei primi progetti <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> ferrovie senza<br />

le quali “l’addensata provincia <strong>di</strong> queste regioni non potrebbe conservare<br />

l’invi<strong>di</strong>ata sua prosperità”. 59<br />

Considerando il concetto d’arte nel suo senso più ampio, ossia come applicazione<br />

del sapere umano per gli usi più alti, il mensile offre contributi <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>azione tra ricerca e vita sociale che, in relazione alla loro estensione e<br />

natura, sono <strong>di</strong>visi in vari fascicoli: “Memorie originali”, “Rivista” (recensioni)<br />

e “Notizie”.<br />

Negli argomenti esaminati, invece, viene sottolineata la pre<strong>di</strong>lezione<br />

per i lati pratici del sapere e il duplice interesse per le arti “figlie della matematica<br />

e della fisica” e “per l’arte sociale, sul quale le nazioni fioriscono talora<br />

senza sapere come”; altri importanti settori <strong>di</strong> interesse del giornale<br />

sono le “Arti mentali” e le “Arti belle”. 60<br />

Nelle successive prefazioni Cattaneo precisa i contenuti del suo programma,<br />

tramite il riconoscimento del suo debito nei confronti dell’insegnamento<br />

<strong>di</strong> Romagnosi, e riba<strong>di</strong>sce la volontà <strong>di</strong> rendere accessibile e<br />

comprensibile il più possibile il contenuto del suo perio<strong>di</strong>co, cercando, in<br />

particolare negli argomenti <strong>di</strong> stampo prettamente scientifico, la forma “più<br />

agevole, semplice e meno te<strong>di</strong>osa” con l’intento <strong>di</strong> conquistare popolarità<br />

“con la leggerezza della forma, quella popolarità che altri giornali cercano<br />

<strong>di</strong> conquistare con la leggerezza della materia”. 61<br />

In questi brevi “spezzoni” proposti emerge quanto Cattaneo sia consapevole<br />

dell’originalità del suo progetto in cui viene lasciato poco spazio agli<br />

argomenti <strong>di</strong> cui parlano gli altri giornali, buttandosi invece nel trattare<br />

argomenti <strong>di</strong> carattere più specificatamente pratico riguardanti il progresso<br />

industriale ma anche questioni bancarie, assistenziali e monetarie, senza trascurare<br />

le “alte ragioni della morale”, e ancora problemi <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> storia,<br />

d’arte, proponendosi come una delle prime riviste specialistiche nella storia<br />

del giornalismo italiano ed europeo.<br />

59 Carlo Cattaneo, “Il Politecnico”, Vol. I, Prefazione, 1839.<br />

60 Carlo Cattaneo, “Il Politecnico”, Vol. I, Prefazione, 1839.<br />

61 Carlo Cattaneo, “Il Politecnico”, Vol. I, Prefazione, 1839.<br />

– 150 –


Per Cattaneo la quantità <strong>di</strong> lavoro è assai ingente (basti pensare che più<br />

tar<strong>di</strong> avrebbe ammesso la paternità <strong>di</strong> tre quarti degli articoli, in particolare<br />

<strong>di</strong> quelli anonimi) e, oltre a questi, anche il conseguente ritardo con cui<br />

escono sistematicamente i singoli numeri e problemi <strong>di</strong> ambito finanziario,<br />

sono alla base <strong>di</strong> alcuni cambiamenti strutturali del perio<strong>di</strong>co: la mensilità<br />

viene faticosamente mantenuta solo il primo anno, successivamente gli anni<br />

1840-41, comprendendo sei volumi per anno, vengono considerati come il<br />

secondo anno <strong>di</strong> pubblicazione, mantenendo così, tramite una finzione e<strong>di</strong>toriale,<br />

invariata la scadenza mensile: tuttavia, a partire dal 1842 viene soppresso<br />

l’aggettivo “mensile” nel sottotitolo.<br />

Avendo preso come spunto <strong>di</strong> base una filosofia dell’utile, proiettata<br />

verso il progresso e le riforme, Cattaneo fa del suo giornale uno strumento<br />

<strong>di</strong> propaganda <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso mirato a dar voce in primis ai settori più efficienti<br />

ed avanzati della regione lombarda; ponendosi come modello la civiltà<br />

moderna europea, il giornalista milanese cerca nuovi obiettivi da raggiungere<br />

e nuovi mo<strong>di</strong> per farlo.<br />

Mano a mano che il “Politecnico” aumenta <strong>di</strong> fama, aumenta anche il<br />

numero dei suoi collaboratori, che arrivano ad essere un’ottantina alla chiusura<br />

della prima serie.<br />

Mentre il quadro teorico acquista contorni sempre più chiari e definiti,<br />

tuttavia si segnalano i primi elementi <strong>di</strong> crisi: innanzitutto una <strong>di</strong>atriba con<br />

il vecchio e<strong>di</strong>tore Pirola (che si rifiuta <strong>di</strong> restituire le copie in deposito e <strong>di</strong><br />

presentare i conti), ma anche i sempre più pressanti impegni politici dello<br />

stesso Cattaneo alla fine indurranno il <strong>di</strong>rettore a interrompere le pubblicazioni<br />

della sua rivista agli inizi del 1845, tenendolo in uno stato <strong>di</strong> sospensione<br />

temporanea, pronto a riprenderlo in qualunque momento in mano.<br />

Tuttavia la ripresa delle pubblicazioni avviene solo nel 1860 e Cattaneo<br />

continua la <strong>di</strong>rezione del perio<strong>di</strong>co fino al 1863, quando abbandona (stavolta<br />

definitivamente) la sua posizione a causa <strong>di</strong> controversie sulla proprietà<br />

della testata. Al termine del 1865 avviene la cessione al finanziere<br />

Andrea Ponti, che segna una svolta ra<strong>di</strong>cale della rivista rispetto all’esperienza<br />

cattanea.<br />

Il “Politecnico” portò una ventata nuova <strong>di</strong> posizioni, prospettive, idee e<br />

ideologie all’interno della situazione politico-culturale lombarda ma anche<br />

italiana (in particolare nella fase finale della sua esistenza), riuscendo cosi<br />

ad influenzare il <strong>di</strong>battito politico-ideologico risorgimentale e anche ad importare<br />

nuove tesi grazie a numerose collaborazioni estere come il me<strong>di</strong>co<br />

greco Giovanni Kouros, il naturalista svizzero Lorenz Oken, il geografo<br />

– 151 –


svedese Jacob Graberg o l’ingegnere francese Jules-Achille Guillard, solo<br />

per citare i più eminenti. Tutte queste personalità hanno contribuito a portare<br />

in Lombar<strong>di</strong>a e successivamente in Italia conoscenze <strong>di</strong> tutti gli ambiti<br />

sviluppatesi negli altri paesi europei, sicuramente più progre<strong>di</strong>ti da un punto<br />

<strong>di</strong> vista tecnico-economico.<br />

Un altro contributo importante all’ideologia italiana dell’era risorgimentale<br />

fu dato dall’ampio spazio lasciato alle recensioni dello stesso Cattaneo<br />

<strong>di</strong> saggi contemporanei atti a far conoscere e riesumare “eroi” italiani<br />

del passato (“Vita <strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> Cesare Balbo”), opere sull’Italia (“Vico e l’Italia<br />

<strong>di</strong> G. Ferrari”; “Di varie opere sulla Sardegna”), oppure a <strong>di</strong>ffondere<br />

lavori <strong>di</strong> carattere più europeo (“Del vario grado d’importanza degli stati<br />

europei del dottor Cristoforo Negri”; “Atlante linguistico d’Europa <strong>di</strong><br />

B.Biondelli”).Tale sforzo riuscì a garantire una più ampia circolazione delle<br />

idee e a favorire un maggior confronto sui vari ideali riguardo vari argomenti.<br />

Questo fu il merito principale del “Politecnico” <strong>di</strong> Cattaneo.<br />

2.3 IL DISINCANTO:<br />

PROBLEMI IRRISOLTI E FUNZIONE DI ROMA<br />

DALL’ETÀ POST-RISORGIMENTALE AI GIORNI NOSTRI<br />

Nel corso del Risorgimento, sino alla fase conclusiva del processo dell’unificazione<br />

(1859-1861), il termine “questione romana” in<strong>di</strong>cò il problema<br />

posto al movimento nazionale italiano dal potere temporale dei papi, vale a<br />

<strong>di</strong>re il problema dell’esistenza, nel cuore della penisola, <strong>di</strong> uno stato (con<br />

Roma capitale) avente come sovrano temporale il pontefice. La questione del<br />

potere temporale del papa ha ra<strong>di</strong>ci molto antiche (già Dante, e più tar<strong>di</strong> Machiavelli<br />

62 , faceva risalire la crisi dello Stato italiano ad un’eccessiva ed inopportuna<br />

ingerenza della Chiesa nelle questioni politiche) e non ha mai smesso<br />

<strong>di</strong> rappresentare un tema delicato anche per noi oggi, come <strong>di</strong>mostrano gli ultimi<br />

fatti <strong>di</strong> cronaca. Il problema assunse particolare rilevanza nel <strong>di</strong>battito<br />

politico negli anni che precedettero la rivoluzione del 1848, e fu <strong>di</strong>scusso soprattutto<br />

dall’opinione pubblica moderata nell’ambito <strong>di</strong> soluzioni che miravano<br />

a fare salva l’esistenza <strong>di</strong> uno Stato Pontificio 63 . Il problema delle rela-<br />

62 Niccolò Machiavelli, “Principe”, 1513.<br />

63 Gioberti nel “Primato morale e civile degli italiani”, 1843 ; Balbo nelle “Speranze<br />

d’Italia”, 1844.<br />

– 152 –


zioni con la Chiesa fu affrontato da Cavour negli ultimi mesi della sua vita:<br />

lo statista piemontese si proponeva <strong>di</strong> aprire trattative <strong>di</strong>rette con la Santa<br />

Sede, che si sarebbero dovute concludere con la cessione da parte <strong>di</strong> Pio IX<br />

al nuovo Stato dei territori <strong>di</strong> cui era ancora in possesso (Roma e Lazio); in<br />

cambio il pontefice avrebbe ottenuto la garanzia della piena in<strong>di</strong>pendenza<br />

nell’esercizio delle sue funzioni <strong>di</strong> capo della Chiesa cattolica e la rinuncia<br />

dello Stato unitario alla legislazione giuris<strong>di</strong>zionalista. Morto Cavour anche il<br />

suo successore B. Ricasoli si impegnò nel tentativo <strong>di</strong> avviare a sollecita soluzione<br />

la questione romana, sulla base <strong>di</strong> un progetto che non si scostava sostanzialmente<br />

da quello <strong>di</strong> Cavour, anche se la particolare formazione religiosa<br />

dell’uomo politico toscano, venata <strong>di</strong> giansenismo, lo induceva ad insistere,<br />

più <strong>di</strong> quanto l’opportunità politica non consigliasse, sul tema riforma<br />

interna della Chiesa, nella quale avrebbe dovuto intervenire a suo giu<strong>di</strong>zio<br />

anche lo Stato. Dopo il fallimento della spe<strong>di</strong>zione garibal<strong>di</strong>na vi fu un ulteriore<br />

tentativo <strong>di</strong> avviare a soluzione il problema con la convenzione <strong>di</strong> settembre<br />

tra Italia e Francia (15 settembre 1864). Un momento <strong>di</strong> svolta nella<br />

storia della questione romana lo si ebbe con l’occupazione <strong>di</strong> Roma da parte<br />

delle truppe italiane, avvenuta il 20 settembre 1870 e resa possibile dalla caduta<br />

dell’impero <strong>di</strong> Napoleone III. Sanzionata l’annessione <strong>di</strong> Roma e del<br />

Lazio al regno d’Italia col plebiscito del 2 ottobre 1870, lo Stato italiano,<br />

vista l’impossibilità <strong>di</strong> condurre trattative bilaterali a causa dell’atteggiamento<br />

<strong>di</strong> Pio IX, fermamente deciso a non riconoscere la per<strong>di</strong>ta del dominio<br />

temporale 64 , dovette provvedere a stabilire con una legge interna le garanzie<br />

per l’in<strong>di</strong>pendenza della Santa Sede. Si arrivò, allora, alla cosiddetta legge<br />

delle Guarentigie 65 approvata alla Camera il 9 maggio 1871, firmata dal re il<br />

13 e pubblicata il 15: la legge fissava le prerogative del pontefice e le relazioni<br />

tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Anche il successore <strong>di</strong> Pio IX,<br />

Leone XIII, 1878-1903, nonostante una maggiore moderazione formale e alcuni<br />

tentativi conciliatoristi, come quello <strong>di</strong> Luigi Tosti, che sembrarono<br />

poter essere coronati da successo, mantenne un atteggiamento sostanzial-<br />

64 Nell’enciclica “Respicientes” del 1° novembre 1870 il Papa <strong>di</strong>chiarava “ingiusta, violenta,<br />

nulla e invalida” l’occupazione dei suoi territori e lanciava la scomunica contro gli “usurpatori”.<br />

65 “Legge delle Guarentigie”: approvata il 13 maggio 1871, prevedeva l’impegno italiano a<br />

garantire il libero svolgimento del magistero papale ed ecclesiastico, l’attribuzione al Papa <strong>di</strong><br />

una protezione giuri<strong>di</strong>ca simile a quella accordata al re, il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> mantenere un corpo <strong>di</strong><br />

guar<strong>di</strong>a armano, il privilegio dell’extraterritorialità per i palazzi del Vaticano e del Laterano<br />

nonché per la residenza <strong>di</strong> Castel Gandolfo.<br />

– 153 –


mente intransigente nei confronti dello Stato italiano e la <strong>di</strong>plomazia vaticana<br />

si prefissò <strong>di</strong> mantenere viva la questione romana tra le potenze europee, così<br />

da evitare la possibilità che l’unione <strong>di</strong> Roma all’Italia venisse gradatamente<br />

accettata. La <strong>di</strong>stensione delle relazioni tra Stato e Chiesa si andò accentuando<br />

durante il pontificato <strong>di</strong> Pio X (1903-1914), che si rassegnò ad accettare<br />

il fatto compiuto. Sul terreno politico questo mutamento <strong>di</strong> clima portò a<br />

rilevanti conseguenze: si moltiplicavano, infatti, le alleanze tra cattolici e<br />

conservatori sul terreno comunale, e nelle elezioni politiche del 1909 si ebbe<br />

un’ulteriore attenuazione del “non expe<strong>di</strong>t” in funzione antisocialista (con<br />

l’ingresso <strong>di</strong> 16 deputati cattolici nella nuova Camera, e con numerosi deputati<br />

eletti con il concorso dei voti cattolici), fino ad arrivare nel 1913 al patto<br />

Gentiloni, che segnò l’ingresso dei cattolici italiani nelle lotte elettorali politiche.<br />

I sondaggi per una soluzione definitiva del problema, avviati dal<br />

maggio 1919 da Benedetto XV e dal car<strong>di</strong>nal Gasparri con V. E. Orlando e<br />

con F. S. Nitti si concreteranno alcuni anni più tar<strong>di</strong> con le trattative tra Pio<br />

IX (assistito sempre dal car<strong>di</strong>nale Gasparri) e il governo fascista <strong>di</strong> B. Mussolini,<br />

iniziatesi nell’agosto 1926. A coronamento <strong>di</strong> una lunga e complicata<br />

controversia come quella che abbiamo sinteticamente rappresentato si arrivò<br />

ai Patti Lateranensi ovvero al concordato del 1929 in cui si riconosceva il cattolicesimo<br />

religione <strong>di</strong> stato in Italia, si definiva una nuova <strong>di</strong>sciplina del matrimonio<br />

e dell’insegnamento della religione, mentre un’intesa <strong>di</strong> natura finanziaria<br />

accordava alla Santa Sede un compenso monetario <strong>di</strong> 750 milioni<br />

<strong>di</strong> lire in contanti ed un miliardo in consolidato come risarcimento della per<strong>di</strong>ta<br />

del potere temporale avvenuta nel 1870. Nel secondo dopoguerra, alla<br />

nascita della Repubblica Italiana i Patti Lateranensi furono inclusi nella Costituzione<br />

(articolo 7) sebbene non mancassero voci <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso.<br />

Fin dalla proclamazione del Regno d’Italia personaggi quali Cavour e<br />

il piemontese Quintino Sella, noto politico e statista italiano, sottolinearono<br />

le motivazioni profonde per cui proprio Roma dovesse assumere il ruolo <strong>di</strong><br />

capitale; la scelta della capitale del nuovo Stato era una questione spinosa,<br />

tutt’altro che semplice, poiché ognuna delle nostre città riteneva <strong>di</strong> avere<br />

titoli sufficienti per <strong>di</strong>ventarlo, prima tra tutte Torino, già capitale in precedenza.<br />

Secondo il pensiero <strong>di</strong> Cavour, non semplicemente la collocazione geografica<br />

concorreva alla scelta della capitale, e nemmeno le sue caratteristiche<br />

climatiche o topografiche. Se così fosse stato, aggiungeva Cavour<br />

non senza un pizzico <strong>di</strong> ironia, per un motivo o per un altro né Londra né<br />

Parigi sarebbero mai <strong>di</strong>venute capitali.<br />

– 154 –


Non queste considerazioni dovevano dunque stare alla base della scelta,<br />

bensì gran<strong>di</strong> ragioni morali: in Roma concorrevano tutte le circostanze storiche<br />

e intellettuali che dovevano determinare le con<strong>di</strong>zioni della capitale <strong>di</strong><br />

un grande stato. Roma era la sola città d’Italia che non avesse avuto una<br />

storia esclusivamente municipale; tutto il suo passato, infatti, fin dal tempo<br />

dei Cesari, era stato quello <strong>di</strong> una città la cui importanza si estendeva infinitamente<br />

al <strong>di</strong> là dei suoi confini.<br />

Forse proprio questa sua naturale propensione verso l’esterno avrebbe<br />

costituito uno stimolo vincente nel processo <strong>di</strong> superamento dei vari regionalismi<br />

e provincialismi che da sempre caratterizzano la nostra bella penisola.<br />

Tuttavia il mito <strong>di</strong> “Roma caput mun<strong>di</strong>”, sempre presente nell’immaginario<br />

collettivo, proprio nei tempi più recenti sembra stia venendo meno: e<br />

c’è da chiedersi se quelle motivazioni che fecero la capitale e l’orgoglio <strong>di</strong><br />

molti italiani siano ancora valide, e soprattutto sentite, al giorno d’oggi.<br />

Non è il trascorso storico <strong>di</strong> una città sempre in primo piano che viene<br />

messo in <strong>di</strong>scussione. Al contrario, è l’attuale centralità <strong>di</strong> un polo testimone<br />

del progressivo spaccarsi a metà <strong>di</strong> un’Italia <strong>di</strong>visa tra l’ascesa <strong>di</strong> un<br />

Nord economicamente ricco, moderno e produttivo, sempre più competitivo<br />

anche a livello europeo, e un Sud ancora complessivamente arretrato. La<br />

questione meri<strong>di</strong>onale risulta in fondo ancora un nodo irrisolto, una problematica<br />

che dall’unificazione d’Italia ci siamo trascinati <strong>di</strong>etro fino ai giorni<br />

nostri.<br />

Il <strong>di</strong>vario fra Nord e Sud, che non si è mai ridotto, ha portato in tempi<br />

relativamente recenti alla nascita <strong>di</strong> piccoli partiti autonomisti per lo più nel<br />

settentrione, confluiti poi nel ben più noto partito della Lega Nord.<br />

La Lega avanza da sempre il progetto <strong>di</strong> uno Stato federale Italiano,<br />

attuabile attraverso un progressivo federalismo fiscale e la devoluzione alle<br />

regioni <strong>di</strong> alcune funzioni esercitate dallo Stato; in questo modo crescerebbe<br />

il peso politico delle regioni del Nord Italia, ritenuto non adeguato al peso<br />

demografico ed economico delle stesse.<br />

La Lega ha un peso politico notevole nel Nord Italia, dove ha trovato e<br />

trova molto seguito anche tra i giovani; qui l’ideale della “Padania” come<br />

entità territoriale avente <strong>di</strong>ritto alla propria in<strong>di</strong>pendenza in qualità <strong>di</strong> Repubblica<br />

Federale ha sostituito quello che ai tempi del nostro Risorgimento<br />

era l’ideale <strong>di</strong> un’Italia libera, in<strong>di</strong>pendente e soprattutto unita.<br />

Diceva Massimo d’Azeglio: “Fatta l’Italia dobbiamo fare gli Italiani”.<br />

Parole sante, ma forse gli Italiani non si sono mai fatti.<br />

– 155 –


È impossibile riconoscere, in quei patrioti che lottarono per l’in<strong>di</strong>pendenza<br />

e l’unità d’Italia, questi Leghisti che <strong>di</strong>sprezzano il nostro tricolore,<br />

che propongono il vessillo leghista come alternativa alla ban<strong>di</strong>era italiana,<br />

sostenendo che essa sia ben più e<strong>di</strong>ficante per altri volgari usi personali; che<br />

si rifiutano <strong>di</strong> cantare un inno nazionale in cui “bisogna sentirsi fieri <strong>di</strong> essere<br />

schiavi <strong>di</strong> Roma”, come se l’Inno <strong>di</strong> Mameli non andasse cantato con<br />

l’orgoglio e l’amore dell’appartenenza alla propria nazione.<br />

In quest’Italia <strong>di</strong>visa, in cui non si riescono a superare i particolarismi,<br />

in cui la capitale viene sfregiata al Nord con gli appellativi <strong>di</strong> “Roma ladrona”,<br />

“la piovra romana”, al grido <strong>di</strong> “Milano capitale d’Italia”, bisognerebbe<br />

interrogarsi sul ruolo che Roma attualmente riveste, sulla <strong>di</strong>fferenza<br />

tra l’apparenza e la realtà effettuale della nostra città, sulla sua vivibilità e<br />

centralità.<br />

Roma è bellezza, Roma è grandezza, Roma è una capitale europea visitata<br />

ogni anno da milioni <strong>di</strong> turisti. Per <strong>di</strong>rla con le parole <strong>di</strong> <strong>Orazio</strong> 66 :<br />

“Possis nihil Urbe Roma visere maius”, possa tu vedere nulla <strong>di</strong> più grande<br />

della città <strong>di</strong> Roma.<br />

Forse agli occhi <strong>di</strong> un turista appassionato, Roma potrebbe apparire<br />

così, ma noi, che a Roma siamo nati e cresciuti e che questa città la amiamo<br />

e la conosciamo, sappiamo che purtroppo non è soltanto questo.<br />

Roma, la città eterna che è stata sin dalla sua nascita il centro culturale,<br />

politico e sociale <strong>di</strong> molti popoli, la città caput mun<strong>di</strong> che estendeva il suo<br />

dominio su territori sconfinati, il mito dei secoli passati e forse per alcuni<br />

ancora attuale... ma cosa rappresenta ai giorni nostri questa splen<strong>di</strong>da città?<br />

Se ormai è stato sfatato quel mito che la <strong>di</strong>pingeva quasi come l’ombelico<br />

del mondo, oggi Roma riveste un ruolo estremamente importante, in primo<br />

luogo come capitale d’Italia e anche come città <strong>di</strong> rilievo nel panorama internazionale,<br />

tanto che può essere considerata come una sorta <strong>di</strong> capitale europea.<br />

Sebbene Roma si sia presentata sempre come una città aperta alle <strong>di</strong>versità<br />

che l’hanno resa meta <strong>di</strong> molte ondate migratorie, essa presenta al<br />

suo interno profonde contrad<strong>di</strong>zioni che derivano non solo dall’enorme<br />

gamma <strong>di</strong> componenti etniche e quin<strong>di</strong> dalla multiculturalità, ma soprattutto<br />

dalla questione su quanto questi gruppi si debbano omologare alla citta<strong>di</strong>nanza<br />

propriamente romana e italiana, e quanto invece debbano essere salvaguardate<br />

le <strong>di</strong>versità e le peculiarità proprie <strong>di</strong> ogni cultura.<br />

66 <strong>Orazio</strong>, “Carmen Saeculare”, XVII, vv. 11-12.<br />

– 156 –


Se prima dunque Roma era la “testa” <strong>di</strong> tutte le genti, oggi dovremmo<br />

<strong>di</strong>re “mundus intra Romam”, proprio perché non è più la città ad ergersi al<br />

<strong>di</strong> sopra del mondo ma è il mondo a stare dentro la città. Roma, microcosmo<br />

se rapportata alla totalità del pianeta, è <strong>di</strong>venuta un macrocosmo, una<br />

megalopoli, come un grande meccanismo composto <strong>di</strong> tante componenti<br />

<strong>di</strong>fferenti ed il problema principale è proprio quale debba essere il giusto<br />

rapporto tra tutte queste realtà <strong>di</strong>fferenti affinché il grande organismo possa<br />

funzionare correttamente. Lo strumento principale <strong>di</strong> integrazione è in<br />

primo luogo la comunicazione tra le <strong>di</strong>versi parti, per trovare un punto d’incontro<br />

tra le varie istanze ma soprattutto per far emergere quali particolarità<br />

vadano salvaguardate e quali vadano mo<strong>di</strong>ficate perché troppo in <strong>di</strong>saccordo<br />

con la nostra società. Roma ospita moltissimi gruppi <strong>di</strong>fferenti e non<br />

mancano i <strong>di</strong>sagi dovuti ad abitu<strong>di</strong>ni e mentalità spesso troppo <strong>di</strong>stanti tra<br />

loro, tanto che la città deve trovare una risposta alla questione dell’integrazione<br />

degli immigrati all’interno della comunità, a partire dagli scuolabus<br />

fino ad arrivare ai posti <strong>di</strong> lavoro. Ogni giorno la sfida si rinnova perché<br />

visto il grande numero <strong>di</strong> stranieri presenti, appaiono sempre problemi i più<br />

<strong>di</strong>sparati ed in primo luogo quello <strong>di</strong> una degna sistemazione per tutti gli<br />

abitanti, stranieri e non.<br />

Se Roma offre <strong>di</strong> sé un’immagine <strong>di</strong> patria dei più gran<strong>di</strong> ed immortali<br />

monumenti, bisogna però ricordare che su questi segni eterni <strong>di</strong> perfezione<br />

e profonda civiltà si profila l’ombra delle bidonvilles, delle case (se così si<br />

possono chiamare) fatte <strong>di</strong> ferraglie e <strong>di</strong> cartoni che si ergono nascoste tra le<br />

boscaglie dei parchi naturali, quasi a non voler contaminare il candore marmoreo<br />

dei monumenti storici.<br />

Roma è una città vasta, abitata da quasi 3 milioni <strong>di</strong> abitanti, sud<strong>di</strong>visa<br />

in ben 35 quartieri. Stride fortemente, all’interno della struttura della città, il<br />

contrasto tra centro e periferie, più o meno degradate, a livello sociale ed<br />

urbanistico; basti pensare, in merito a questo, alle con<strong>di</strong>zioni del Residence<br />

Bravetta, sgomberato nel settembre 2006, e, se si può <strong>di</strong>re, l’altra faccia<br />

della Roma delle notti bianche, delle feste al cinema, dell’Au<strong>di</strong>torium, degli<br />

aperitivi nei wine bar, delle estati romane, della Roma degli eventi, della<br />

Roma città aperta e tollerante.<br />

Il Residence Bravetta è solo uno tra i casi dei numerosi quartieri in cui<br />

si trovano situazioni molto <strong>di</strong>fficili per quanto riguarda il problema <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>mora vivibile. La prima conseguenza che si riscontra in queste zone è<br />

un’elevata criminalità, soprattutto tra i giovani che non riescono a vedere<br />

una speranza nel futuro e che, soffocati da quello che hanno intorno, intra-<br />

– 157 –


prendono vie sbagliate fatte <strong>di</strong> violenza, droga e crimini. È proprio questo<br />

il <strong>di</strong>sincanto: <strong>di</strong>sincanto <strong>di</strong> una generazione nuova che è inesorabilmente<br />

legata alle scelte sbagliate nel passato, che non crede più nei politici che ci<br />

rappresentano e negli ideali, che si chiede chi potrà dare e quale potrà essere<br />

una soluzione a questi problemi.<br />

Roma è polo <strong>di</strong> molte gran<strong>di</strong> manifestazioni che uniscono questi giovani,<br />

danno loro possibilità <strong>di</strong> esprimersi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirsi, <strong>di</strong> avvicinarsi alla cultura<br />

antica... ma dunque perché poi recandosi a visitare il Vittoriano ci si accorge<br />

<strong>di</strong> come la pioggia penetri dal soffitto creando crepe nei muri e rovinando<br />

le opere in esso contenute? Perché le mura del Colosseo, uno dei simboli<br />

storici <strong>di</strong> questa città a cui i romani sono affezionatissimi e che sentono<br />

parte della loro storia, cadono letteralmente a pezzi?<br />

Come è chiaro, sono molte le contrad<strong>di</strong>zioni insite alla città, e, in un<br />

clima del genere, a livello politico questa sorta <strong>di</strong> crisi si traduce in demagogia<br />

e facili promesse che ovviamente non vengono mantenute.<br />

Non possiamo e non dobbiamo credere soltanto a quella Roma “incantata”<br />

la cui fierezza e importanza rifulge nei monumenti del centro storico,<br />

perché anche essa, al pari <strong>di</strong> tante altre gran<strong>di</strong> città, nasconde al suo interno<br />

profon<strong>di</strong> e molteplici problemi cui non si riesce e forse non si vuole trovare<br />

una soluzione.<br />

È proprio allora che noi citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Roma dobbiamo assumere la consapevolezza<br />

dei limiti della nostra città e unirci per combattere, contro l’ignoranza,<br />

il pregiu<strong>di</strong>zio, l’inciviltà, il degrado, per creare con le nostre mani una<br />

città migliore, una città <strong>di</strong>versa, una Roma città aperta per davvero. Bisogna<br />

ricercare l’incanto nel <strong>di</strong>sincanto, perché seppure ve<strong>di</strong>amo quante <strong>di</strong>fficoltà<br />

la città debba affrontare, è fondamentale impegnare tutte le forze per far sì<br />

che essa torni al suo splendore originario.<br />

Ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa, soprattutto se la posta in<br />

gioco è l’Urbe... una tra le città più belle al mondo, unica nel suo genere, imbevuta<br />

<strong>di</strong> memoria e atmosfera, tra passato e presente, tra antico e moderno<br />

nel suo intramontabile fascino.<br />

– 158 –


LICEO CLASSICO ORAZIO ROMA<br />

Dal mito deluso del ’68<br />

al <strong>di</strong>sincanto della società <strong>di</strong>sgregata:<br />

il caso Italia<br />

– Progetto: Roma per vivere, Roma per pensare –<br />

(anno scolastico <strong>2007</strong>-2008)<br />

CLASSE III B<br />

Coor<strong>di</strong>natrice: Prof.ssa Licia Fierro<br />

GLI ALUNNI:<br />

Giacomo Bal<strong>di</strong>nelli - Francesca Caloccia - Arianna Carobene<br />

Giulio Alberto Caselli - Massimo Colagiovanni - Michelangelo Iuliano<br />

Giuseppe Lucchetta - Flavia Mazzulli - Martina Mincinesi - Sabina Pieroni<br />

Carlo Rengo - Valentina Riggio - Angelo Rollo - Alessandra Sbarra - Giulia Stanco<br />

Clau<strong>di</strong>a Tagliaferri - Luca Tabaro - Stefano Lorenzo Vitale.<br />

INDICE:<br />

INTRODUZIONE.<br />

CAPITOLO I<br />

La <strong>di</strong>mensione internazionale della protesta<br />

CAPITOLO II<br />

La cultura filosofica della contestazione globale: miti e utopie<br />

CAPITOLO III<br />

Anni <strong>di</strong> piombo: responsabilità presenti e passate<br />

INTRODUZIONE<br />

Talora una data storica dà il nome non solo al fatto <strong>di</strong> cui è l’in<strong>di</strong>catore<br />

cronologico, ma anche ai fermenti politici, ideologici, sociali <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>venta<br />

inevitabilmente simbolo. Con questo lavoro ci proponiamo <strong>di</strong> trattare in<br />

modo approfon<strong>di</strong>to, nonostante l’oggettiva complessità, le cause storiche,<br />

politiche, economiche e sociali, <strong>di</strong> quanto accaduto in Italia e in tutto il<br />

mondo nel 1968, ma soprattutto <strong>di</strong> analizzare, a quarant’anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza<br />

dall’evento, le ripercussioni culturali e sociali che tutt’oggi alimentano gran<br />

parte del <strong>di</strong>battito filosofico-politico. È innegabile, infatti, che “lo spirito<br />

– 159 –


del ’68 viva non solo nella memoria storica ma anche nella contemporaneità<br />

politica”. 1 Senz’altro gli eventi <strong>di</strong> quel momento straor<strong>di</strong>nario hanno<br />

inciso un solco profondo nella società, ma il problema più spinoso consiste<br />

proprio nel classificare in modo definitivo una serie <strong>di</strong> fatti che, per la loro<br />

stessa natura, rimangono ambigui e suscettibili <strong>di</strong> interpretazioni <strong>di</strong>verse.<br />

Mario Capanna 2 nel suo “Formidabili quegli anni”, ci fornisce alcuni tra gli<br />

interrogativi che maggiormente fanno riflettere: “Quest’anno ha visto fiorire<br />

straor<strong>di</strong>narie invenzioni o ha dato inizio a un degrado irreparabile? È<br />

stata la necessaria svolta che ha liberato il costume e la politica dalle<br />

gabbie della vecchia società oppure una pestilenziale epidemia <strong>di</strong> egualitarismo,<br />

un’ubriacatura demagogica <strong>di</strong> cui paghiamo ancora le conseguenze?<br />

È stata l’alba della nuova società o l’ultimo soprassalto del nuovo<br />

mondo?”. 3 Dunque, incanto o <strong>di</strong>sincanto? È fondamentale tuttavia, come ci<br />

suggerisce lo scrittore, prima <strong>di</strong> formulare giu<strong>di</strong>zi, comprendere quello che<br />

è veramente accaduto in quei mesi, e quali sono state le autentiche speranze<br />

e visioni <strong>di</strong> chi ha partecipato ad un movimento giovanile che può essere<br />

considerato come uno dei più gran<strong>di</strong>osi della storia. Dopo una breve introduzione<br />

allo sfondo politico italiano, abbiamo spostato l’analisi dei fatti <strong>di</strong><br />

quegli anni a una <strong>di</strong>mensione internazionale, trovando, dove possibile, il<br />

minimo comune denominatore tra le <strong>di</strong>verse manifestazioni <strong>di</strong> un pur comune<br />

spirito <strong>di</strong> rinnovamento: dai moti degli studenti statunitensi a Berkeley<br />

al maggio francese, dalle barricate nel quartiere latino alla primavera<br />

<strong>di</strong> Praga. L’oggetto della nostra analisi consiste, tuttavia, nello stu<strong>di</strong>o del<br />

“caso Italia”, e più approfon<strong>di</strong>tamente del tentativo, senza precedenti, <strong>di</strong><br />

unione tra studenti e operai, tra il mondo delle università e quello delle fabbriche,<br />

tra i figli <strong>di</strong> un’agiata borghesia e i lavoratori proletari. Inoltre, abbiamo<br />

analizzato i cambiamenti che avvennero nell’ambito del costume, del<br />

pensiero e della società stessa nell’arco <strong>di</strong> quegli anni, coinvolgendo filosofie<br />

contemporanee e beat generation, <strong>di</strong>battiti intellettuali e musica beat,<br />

1 Mario Capanna, “Formidabili quegli anni”, Garzanti <strong>2007</strong> (collana Saggi).<br />

2 Mario Capanna (Città <strong>di</strong> Castello, 10 gennaio 1945), laureato in filosofia, è un politico e<br />

scrittore italiano. È stato fra i principali leader del movimento giovanile del Sessantotto. Dopo<br />

un’intensa vita politica, che lo ha visto sempre militante coerentemente con le sue idee, attualmente<br />

è presidente del Consiglio dei Diritti Genetici, un organismo <strong>di</strong> ricerca e comunicazione<br />

sulle biotecnologie che opera dal 2002 come associazione scientifica e culturale in<strong>di</strong>pendente,<br />

impegnata in attività <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, informazione, progettazione sulle applicazioni e le <strong>di</strong>verse forme<br />

<strong>di</strong> impatto delle innovazioni tecnologiche.<br />

3 Ve<strong>di</strong> nota 1.<br />

– 160 –


proponendone, infine, un’analisi il più possibile approfon<strong>di</strong>ta su ogni livello,<br />

politico, sociale e filosofico.<br />

Le proteste studentesche e proletarie del 1968 trovarono, senza dubbio,<br />

una delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> esistenza nella profonda ansia <strong>di</strong> rinnovamento concretizzatasi<br />

nella svolta formidabile che fu il boom economico, in virtù del<br />

quale l’“Italietta”, agricola e arretrata, fu trasformata in una nazione industrializzata.<br />

Il profondo cambiamento che aveva contrad<strong>di</strong>stinto la situazione<br />

politica alle soglie dell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra trovò espressione<br />

anche e soprattutto nella sfera economica e sociale. Infatti, alla fine degli<br />

anni ’50 si avviò in Italia un “circolo virtuoso” che portò ad una rapida trasformazione<br />

dell’intera struttura economica. A partire dalla fine degli anni<br />

’50, si innescò una fase <strong>di</strong> rapida trasformazione delle strutture economiche<br />

e sociali. Fu un processo che in <strong>di</strong>eci anni trasformò la penisola da paese<br />

agricolo-industriale – sostanzialmente sottosviluppato – in un moderno<br />

paese industriale-agricolo. L’apice dello sviluppo <strong>di</strong> questo trend positivo fu<br />

raggiunto nei tre anni che intercorsero tra il 1959 ed il 1962, quando i tassi<br />

<strong>di</strong> incremento del red<strong>di</strong>to raggiunsero valori record: il 6,4%, il 5,8%, il<br />

6,8% e il 6,1%, rispettivamente negli anni 1959, 1960, 1961, 1962. Questa<br />

grande espansione economica fu determinata da una serie <strong>di</strong> fattori simultanei,<br />

da ricercare in ambiti <strong>di</strong>versi. In primo luogo, fu dovuta allo sfruttamento<br />

delle opportunità che venivano dalla favorevole congiuntura internazionale.<br />

Più che l’intraprendenza e la lungimirante abilità degli impren<strong>di</strong>tori<br />

italiani, ebbero effetto, infatti l’incremento vertiginoso del commercio internazionale<br />

e il conseguente scambio <strong>di</strong> merci che lo accompagnò. Anche la<br />

fine del tra<strong>di</strong>zionale protezionismo dell’Italia giocò un grande ruolo in<br />

quella congiuntura. In conseguenza <strong>di</strong> quell’apertura, il sistema produttivo<br />

italiano ne risultò rivitalizzato, lo costrinse ad ammodernarsi e ricompensò<br />

quei settori che si presentavano già <strong>di</strong>namici e in espansione. La <strong>di</strong>sponibilità<br />

<strong>di</strong> nuove fonti <strong>di</strong> energia e la trasformazione dell’industria dell’acciaio<br />

furono gli altri fattori decisivi. La scoperta del metano e degli idrocarburi in<br />

Val Padana, la realizzazione <strong>di</strong> una moderna industria siderurgica sotto l’egida<br />

dell’IRI, permise <strong>di</strong> fornire alla rinata industria italiana acciaio a prezzi<br />

sempre più bassi. Il maggior impulso a questa espansione venne proprio da<br />

quei settori che avevano raggiunto un sufficiente livello <strong>di</strong> sviluppo tecnologico<br />

e una <strong>di</strong>versificazione produttiva tale da consentir loro <strong>di</strong> reggere l’ingresso<br />

dell’Italia nel Mercato Comune. Il settore industriale, nel solo<br />

triennio 1957-1960, registrò un incremento me<strong>di</strong>o della produzione del<br />

31,4%. Assai rilevante fu l’aumento produttivo nei settori in cui prevale-<br />

– 161 –


vano i gran<strong>di</strong> gruppi: autovetture 89%; meccanica <strong>di</strong> precisione 83%; fibre<br />

tessili artificiali 66,8%. È tuttavia importante sottolineare che il “miracolo<br />

economico” non avrebbe avuto luogo senza il basso costo del lavoro. Gli<br />

alti livelli <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione negli anni ’50 furono la con<strong>di</strong>zione perché la<br />

domanda <strong>di</strong> lavoro eccedesse abbondantemente l’offerta, con le preve<strong>di</strong>bili<br />

conseguenze in termini <strong>di</strong> andamento dei salari. Il potere dei sindacati fu effettivamente<br />

fiaccato nel dopoguerra e ciò aprì la strada verso un ulteriore<br />

aumento della produttività. A partire dalla fine degli anni ’50, infatti, la situazione<br />

occupazionale mutò drasticamente: la crescita <strong>di</strong>venne notevole<br />

soprattutto nei settori dell’industria e del terziario. Il tutto avvenne, però, a<br />

scapito del settore agricolo. Del resto, anche la politica agricola comunitaria<br />

assecondò questa tendenza, prevedendo essa stessa benefici e incentivi destinati<br />

prevalentemente ai prodotti agricoli del Nord Europa. Il risultato <strong>di</strong><br />

questo processo fu l’imponente movimento migratorio avutosi negli anni<br />

’60 e ’70. Gli anni ’60 furono, dunque, teatro <strong>di</strong> un rimescolamento formidabile<br />

della popolazione italiana. I motivi strutturali che indussero prevalentemente<br />

la popolazione rurale ad abbandonare il loro luogo d’origine furono<br />

molteplici ma tutti avevano a che fare con l’assetto fon<strong>di</strong>ario del Sud,<br />

con la scarsa fertilità delle terre e con la polverizzazione della proprietà fon<strong>di</strong>aria.<br />

Ai fattori strutturali si accompagnarono quei fattori tipici <strong>di</strong> attrazione<br />

che derivano dai modelli <strong>di</strong> vita dell’ambiente urbano, con la conseguenza<br />

che a decidere <strong>di</strong> emigrare furono prevalentemente i giovani del<br />

Mezzogiorno. Il flusso migratorio fu intercettato soprattutto dal Nord del<br />

paese, in quanto, per la prima volta in quegli anni del “miracolo economico”,<br />

la domanda <strong>di</strong> lavoro superò l’offerta nelle Regioni del triangolo industriale.<br />

Attorno al 1954, il ministro dell’economia Vanoni pre<strong>di</strong>spose un<br />

piano per lo sviluppo economico controllato che, negli intenti del governo,<br />

avrebbe dovuto programmare il superamento dei maggiori squilibri sociali e<br />

geografici (il crollo dell’agricoltura, la profonda <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> sviluppo tra<br />

Nord e Sud); ma questo piano non portò ad alcun risultato. Le in<strong>di</strong>cazioni<br />

che vi erano contenute in materia <strong>di</strong> sviluppo e <strong>di</strong> incremento del red<strong>di</strong>to e<br />

dell’occupazione, si basavano su una previsione fortemente sottostimata del<br />

ruolo che avrebbe dovuto giocare il progresso tecnologico e l’incremento<br />

della produttività del lavoro che ne sarebbe derivato. Quelle previsioni furono,<br />

quin<strong>di</strong>, travolte da un processo d’espansione, ben al <strong>di</strong> là dal ristagno<br />

che il piano Vanoni inopinatamente metteva nel conto delle previsioni. Proprio<br />

perché non previsto, e per mancanza <strong>di</strong> un incanalamento regolato<br />

della crescita, il processo <strong>di</strong> espansione portò con sé gravi squilibri sul<br />

– 162 –


piano sociale. Il risultato finale fu quello <strong>di</strong> portare il “boom economico” a<br />

realizzarsi secondo una logica tutta sua, a rispondere <strong>di</strong>rettamente al libero<br />

gioco delle forze del mercato e a dar luogo a profon<strong>di</strong> scompensi. Il primo<br />

<strong>di</strong> questi fu la cosiddetta “<strong>di</strong>storsione dei consumi”. Una crescita orientata<br />

all’esportazione determinò una spinta produttiva orientata sul beni <strong>di</strong> consumo<br />

privati, spesso su quelli <strong>di</strong> lusso, senza un corrispettivo sviluppo dei<br />

consumi pubblici. Scuole, ospedali, case, trasporti, tutti beni <strong>di</strong> prima necessità<br />

restarono infatti parecchio in<strong>di</strong>etro rispetto alla rapida crescita della<br />

produzione <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> consumo privati. Il modello <strong>di</strong> sviluppo sottinteso al<br />

«boom» implicò dunque una corsa al benessere tutta incentrata su scelte e<br />

strategie in<strong>di</strong>viduali e familiari, ignorando invece le necessarie risposte<br />

pubbliche ai bisogni collettivi quoti<strong>di</strong>ani. Un altro dei mutamenti più rilevanti<br />

degli anni del “miracolo economico” fu la profonda trasformazione<br />

della struttura <strong>di</strong> classe della società italiana. Uno degli in<strong>di</strong>catori che mostravano<br />

come l’Italia fosse entrata ormai nel novero dei paesi sviluppati, fu<br />

il rapido incremento del numero <strong>di</strong> impiegati, sia nel settore privato, che nel<br />

settore pubblico. La categoria dei tecnici crebbe in maniera altrettanto rilevante<br />

in quegli anni. Al vertice del settore si collocavano i manager del<br />

comparto industriale, che furono i veri soggetti (e <strong>di</strong>vulgatori) delle idee<br />

sulla nuova organizzazione industriale, le cui teorie avevano da tempo fatto<br />

scuola nelle Università americane. Il numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigenti d’azienda che non<br />

vantavano titoli <strong>di</strong> proprietà delle realtà produttive che <strong>di</strong>rigevano aumentò<br />

sensibilmente negli anni del “miracolo” e, parimenti, aumentò il loro potere<br />

<strong>di</strong> con<strong>di</strong>zionamento del ceto politico, soprattutto <strong>di</strong> quello che controllava<br />

<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente l’industria pubblica. Ma gli anni della grande<br />

espansione furono anche teatro <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>narie trasformazioni degli stili <strong>di</strong><br />

vita, del linguaggio e dei costumi degli italiani. Nessuno strumento ebbe un<br />

ruolo così rilevante nel mutamento molecolare della società quanto la televisione.<br />

Progressivamente essa impose un uso passivo e familiare del tempo<br />

libero, a scapito delle relazioni <strong>di</strong> carattere collettivo e socializzante, che,<br />

alla lunga, avrebbe mo<strong>di</strong>ficato profondamente i ruoli personali e gli stili <strong>di</strong><br />

vita oltre che i modelli <strong>di</strong> comportamento. A questo si accompagnò anche un<br />

deciso aumento del tenore <strong>di</strong> vita delle famiglie italiane. Nelle case facevano<br />

la loro comparsa le prime lavatrici e frigoriferi (la cui produzione era dovuta<br />

soprattutto ad imprese italiane <strong>di</strong> piccole e me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>mensioni). Anche le<br />

automobili cominciavano a <strong>di</strong>ffondersi sulle strade italiane con le Fiat 500<br />

e 600 che <strong>di</strong>edero grande impulso alla produzione della casa torinese. Si costruirono<br />

anche le prime autostrade a partire dalla Milano-Napoli, l’Auto-<br />

– 163 –


strada del Sole. Anche la letteratura e il cinema si occuparono ampiamente<br />

del boom economico che fu ripreso e trattato in molti libri e film. Significativi<br />

<strong>di</strong> questo periodo sono, ad esempio, lo scrittore Luciano Bianciar<strong>di</strong> ed<br />

i film “La dolce vita” 4 ed “II sorpasso”. 5 Tutte le premesse in ambito economico<br />

e culturale sembravano costituire la base <strong>di</strong> una svolta che avrebbe<br />

catapultato l’Italia in una <strong>di</strong>mensione ormai internazionale.<br />

Per quanto riguarda la <strong>di</strong>alettica politica italiana, nel decennio tra 1958 e<br />

il 1968 si verificò un’importante svolta che avrebbe portato alla formazione<br />

dei nuovi governi <strong>di</strong> Centro Sinistra. Nelle elezioni del 1958 che avevano<br />

<strong>di</strong>mostrato la fondamentale stabilità politica dell’Italia, Fanfani leader della<br />

Democrazia Cristiana, sosteneva che DC 6 e PSI 7 avrebbero potuto costruire<br />

una solida base per una programmazione sociale, per un riformismo moderato<br />

e per ulteriori interventi pubblici nell’economia. Il primo intervento <strong>di</strong><br />

apertura verso la sinistra, tuttavia, fallì a causa delle riserve <strong>di</strong> alcuni settori<br />

della DC e la conseguente sfiducia verso il loro leader il cui governo cadde<br />

nel 1959. In quest’anno all’interno del partito democristiano nacque una<br />

nuova corrente destinata ad avere grande eco negli anni successivi: i dorotei.<br />

Grazie all’appoggio <strong>di</strong> personalità importanti come Giulio Andreotti 8 e Aldo<br />

Moro, 9 che successivamente <strong>di</strong>venne segretario della DC, questa corrente<br />

uscì vincitrice dal congresso <strong>di</strong> Firenze tenuto nel 1959; la prudenza <strong>di</strong><br />

Moro, comunque, suggerì che questa volontà <strong>di</strong> una apertura a sinistra fosse<br />

sottoposta ad uno strategico rinvio. In questo frangente l’incapacità da parte<br />

della DC <strong>di</strong> mettere in pie<strong>di</strong> una maggioranza <strong>di</strong> governo affidabile portò<br />

4 “La dolce vita” è un film del 1960 <strong>di</strong>retto da Federico Fellini (con Marcello Mastroianni<br />

e Anita Ekberg). È sicuramente uno dei film più famosi della storia del cinema. Viene solitamente<br />

in<strong>di</strong>cato come il punto <strong>di</strong> passaggio dai primi film neorealisti <strong>di</strong> Fellini ai film artistici successivi.<br />

5 “Il sorpasso” è un film <strong>di</strong> Dino Risi del 1962 (con Vittorio Gassman, Catherine Spaak e<br />

Jean Louis Trintignant); la pellicola costituisce uno degli affreschi cinematografici più rappresentativi<br />

dell’Italia del benessere e del miracolo economico <strong>di</strong> quegli anni.<br />

6 DC: Democrazia Cristiana, partito politico italiano, <strong>di</strong> ispirazione democratico cristiano e<br />

moderato, fondato nel 1942 a opera <strong>di</strong> Alcide De Gasperi<br />

7 PSI: Partito Socialista Italiano, fu un partito politico fondato nel 1892 e operante fino al<br />

1994 a opera <strong>di</strong> Filippo Turati, Clau<strong>di</strong>o Treves, Leonida Bissolati.<br />

8 Giulio Andreotti (Roma, 14 gennaio 1919) è uno statista, politico, scrittore e giornalista<br />

italiano, uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana.<br />

9 Aldo Moro (Maglie, 3 settembre 1916 - Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico italiano,<br />

cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri e presidente della Democrazia Cristiana.<br />

Venne rapito il 16 marzo 1978 ed ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo delle<br />

Brigate Rosse.<br />

– 164 –


agli orribili fatti del breve governo Tambroni. 10 Nel 1960, infatti, l’MSI 11 affiancato<br />

da una schiera <strong>di</strong> neofascisti organizzò un congresso a Genova (città<br />

insignita della medaglia d’oro per la Resistenza) che fu imme<strong>di</strong>atamente<br />

contestato dalle manifestazioni <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone. La successiva decisione<br />

<strong>di</strong> rimandare il congresso dell’MSI fu festeggiata nella città come una<br />

grande vittoria, ma Tambroni, deciso a non arrendersi, or<strong>di</strong>nò alla polizia <strong>di</strong><br />

sparare in caso <strong>di</strong> “emergenza”. La polizia cominciò così a sparare sui manifestanti,<br />

la CGIL 12 proclamò lo sciopero generale. La <strong>di</strong>rezione democristiana<br />

decise <strong>di</strong> sostituire Tambroni. La vicenda chiarì alcune costanti nella<br />

storia politica della repubblica: l’antifascismo era <strong>di</strong>ventato una parte integrante<br />

dell’ideologia egemone e ogni tentativo <strong>di</strong> svolta autoritaria veniva<br />

contrastato dall’azione unitaria delle forze repubblicane; la democrazia cristiana<br />

non poteva contare l’estrema destra tra i suoi alleati. Queste considerazioni<br />

chiusero le porte verso i partiti <strong>di</strong> destra e aprirono a possibili alleanze<br />

con i partiti <strong>di</strong> sinistra. I primi esperimenti <strong>di</strong> governo <strong>di</strong> centro sinistra furono<br />

attuati a livello locale nelle maggiori città italiane e nei piccoli comuni.<br />

Un importante contributo a questa apertura fu determinato dalla svolta della<br />

politica della Chiesa cattolica negli anni ’60. Il nuovo Papa Giovanni<br />

XXIII 13 stabilì infatti un rapporto tra Chiesa e Stato totalmente <strong>di</strong>verso rispetto<br />

al suo predecessore, egli infatti non solo vedeva <strong>di</strong> buon occhio l’apertura<br />

verso sinistra ma era favorevole alla “non intromissione” della Chiesa<br />

nella vita politica della Repubblica. Attraverso la pubblicazione <strong>di</strong> varie encicliche<br />

in cui riven<strong>di</strong>cava una maggiore giustizia sociale, l’integrazione<br />

degli emarginati, un invito alla conciliazione internazionale (con il rifiuto <strong>di</strong><br />

accettare le barriere della Guerra Fredda), la cooperazione tra le persone,<br />

l’ingresso delle donne nella vita pubblica e le lotte anticoloniali nel Terzo<br />

Mondo, Papa Giovanni XXIII riconciliò la Chiesa con il suo ruolo pastorale<br />

e spirituale che si era completamente perso durante il precedente papato.<br />

10 Fernando Tambroni (Ascoli Piceno, 25 novembre 1901 - Roma, 18 febbraio 1963) è stato<br />

un politico italiano appartenente fin da giovanissimo alla DC (ve<strong>di</strong> nota 6).<br />

11 MSI: Movimento Sociale Italiano: partito politico fondato nel <strong>di</strong>cembre 1946 da reduci<br />

della Repubblica Sociale Italiana (come Giorgio Almirante e Pino Romual<strong>di</strong>) ed ex esponenti<br />

del regime fascista (come Arturo Michelini). Il partito si sciolse il 27 gennaio 1995.<br />

12 CGIL: Confederazione Generale Italiana del Lavoro, maggiore sindacato italiano costituito<br />

con il Patto <strong>di</strong> Roma nel 1944.<br />

13 Papa Giovanni XXIII: nato Angelo Giuseppe Roncalli a Sotto il Monte il 25 novembre<br />

1881. Morì il 3 giugno 1963. Fu il 263° vescovo <strong>di</strong> Roma e papa della Chiesa cattolica, eletto il<br />

4 novembre 1958.<br />

– 165 –


D’altro canto se da una parte alcuni settori del ceto impren<strong>di</strong>toriale si affiancarono<br />

al centro-sinistra, la Confindustria, che controllava migliaia <strong>di</strong> piccoli<br />

impren<strong>di</strong>tori e i monopoli dell’industria elettrica, si chiuse a qualsiasi apertura<br />

voltando le spalle a una politica progressista e ad una più equa cooperazione<br />

con le classi socialmente più deboli.<br />

Durante il governo, La Malfa 14 e Fanfani 15 proposero una serie <strong>di</strong> riforme<br />

correttive per affrontare quei problemi propri del caso italiano. In<br />

ambito sociale fu varata dal governo una riforma cui la sinistra teneva fin<br />

dalla fine della guerra: la creazione della scuola me<strong>di</strong>a unificata e l’innalzamento<br />

dell’obbligo scolastico a 14 anni. Nei primi anni della Repubblica,<br />

la scuola dell’obbligo finiva a 11 anni e i ragazzi che intendevano<br />

accedere alla scuola secondaria venivano <strong>di</strong>visi tra coloro che proseguivano<br />

gli stu<strong>di</strong> in vista del liceo e quelli che sceglievano l’avviamento professionale.<br />

Nonostante l’avversione della destra e <strong>di</strong> parte degli insegnanti,<br />

che ritenevano che questa avrebbe <strong>di</strong>strutto la vecchia élite delle scuole<br />

me<strong>di</strong>e, la riforma fu approvata. Il numero dei ragazzi che completavano la<br />

scuola dell’obbligo aumentò man mano nel corso del decennio successivo<br />

alla riforma. Per la prima volta, anche un gran numero <strong>di</strong> ragazze ricevette<br />

una consistente forma <strong>di</strong> istruzione superiore. Tuttavia, la riforma non intaccò<br />

i contenuti della <strong>di</strong>dattica che rimasero ancorati a schemi ormai superati;<br />

inoltre, i profili organizzativi della scuola superiore e dell’università<br />

non furono per nulla mo<strong>di</strong>ficati. Nel 1962 venne inoltre definito un nuovo<br />

programma economico. In particolare, fu sottolineata la necessità <strong>di</strong> una<br />

pianificazione economica concertata sia con i sindacati che con gli industriali.<br />

L’elevato tasso <strong>di</strong> sviluppo ipotizzato nel piano doveva fornire la<br />

base per la realizzazione <strong>di</strong> servizi sociali efficienti. Il Piano avrebbe<br />

creato il necessario equilibrio tra agricoltura e industria, tra le <strong>di</strong>verse<br />

classi sociali, tra i consumi pubblici e quelli privati. Il primo passo fu la<br />

nazionalizzazione dell’industria elettrica. Il controllo statale <strong>di</strong> tale industria<br />

doveva permettere al governo <strong>di</strong> stabilire i prezzi, programmare su<br />

scala nazionale le risorse energetiche, fare investimenti dove erano più necessari,<br />

come nel Mezzogiorno. Non meno importanti erano le ragioni <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne politico: si sperava che la nazionalizzazione dei monopoli avrebbe<br />

14 Ugo La Malfa: nato a Palermo il 16 maggio 1903, morto a Roma il 26 marzo 1979. Antifascista,<br />

fu tra i fondatori del Partito d’Azione, poi capo del Partito Repubblicano.<br />

15 Amintore Fanfani: nato a Pieve Santo Stefano (AR) il 6 febbraio 1908, morto a Roma il<br />

20 novembre 1999. Fu una figura storica della Democrazia Cristiana nel dopoguerra.<br />

– 166 –


intaccato il potere del capitalismo italiano. Con la costituzione dell’ENEL,<br />

però, un delicato problema fu la determinazione dell’indennizzo da versare<br />

alle vecchie aziende ormai passate sotto il controllo <strong>di</strong> un ente pubblico. Il<br />

governatore della Banca d’Italia, Carli, 16 voleva che si pagasse <strong>di</strong>rettamente<br />

a tali aziende, le quali avrebbero così continuato ad esistere come<br />

società finanziarie. Si opponeva a tale linea la sinistra socialista che auspicava<br />

invece il pagamento <strong>di</strong> indennizzi <strong>di</strong>lazionati nel tempo, così da evitare<br />

la costituzione <strong>di</strong> trust economici nel paese. Alla fine vinse tuttavia la<br />

linea <strong>di</strong> Carli, dopo che questi minacciò le <strong>di</strong>missioni. L’influenza dei baroni<br />

dell’energia rimase perciò rilevante e, <strong>di</strong> fatto, l’obiettivo politico <strong>di</strong><br />

contrasto ai monopoli, perseguito con la nazionalizzazione dell’industria<br />

elettrica, fu vanificato. Questa vicenda alimentò il malcontento nei confronti<br />

della politica del centro-sinistra, accentuando il risentimento <strong>di</strong><br />

quanti avevano confidato nella nuova svolta politica per il raggiungimento<br />

<strong>di</strong> obiettivi <strong>di</strong> maggiore equità.<br />

In quegli anni inoltre, vi fu una forte spinta registrata dalla domanda <strong>di</strong><br />

lavoro e dalle sollecitazioni al rialzo subite dall’inflazione. A partire dall’autunno<br />

del 1962, a causa del maggiore benessere <strong>di</strong>ffusosi grazie al boom<br />

economico, nel Nord, in particolare, si registrò un eccesso della domanda <strong>di</strong><br />

forza lavoro; i salari tendevano a oltrepassare i tetti fissati dai contratti nazionali<br />

<strong>di</strong> categoria e mantenevano un ritmo <strong>di</strong> crescita che cominciava a<br />

superare la produttività. La richiesta <strong>di</strong> alcuni beni <strong>di</strong> consumo superò l’offerta<br />

e l’inflazione <strong>di</strong>venne un problema significativo, poiché gli impren<strong>di</strong>tori<br />

scaricarono sui prezzi gli aumenti salariali. I piccoli e me<strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori<br />

reagirono a tale situazione bloccando gli investimenti, sostenendo che<br />

questi sarebbero stati scarsamente produttivi a causa dei salari che corrodevano<br />

sempre <strong>di</strong> più i profitti. Fu inoltre introdotta una tassa sui <strong>di</strong>viden<strong>di</strong><br />

azionari. Come risposta a tale intervento fiscale, si registrò una rilevante<br />

fuga <strong>di</strong> capitali verso l’estero. La borsa crollò e la fiducia negli affari fu<br />

scossa. Il governatore Carli, davanti alla fuga dei capitali e al crescere dell’inflazione,<br />

decise un aumento dei tassi <strong>di</strong> interesse con conseguente <strong>di</strong>minuzione<br />

dei flussi <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to concessi dalle banche all’economia. Ne deriva-<br />

16 Guido Carli (Brescia, 28 marzo 1914 - Spoleto, 23 aprile 1993). Ricoprì cariche <strong>di</strong>rigenziali<br />

in vari istituti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, fu ministro del Commercio con l’estero e del Tesoro. Venne nominato<br />

nel 1960 <strong>di</strong>rettore generale della Banca d’Italia e ne <strong>di</strong>venne poco dopo governatore fino all’agosto<br />

1975. Fu presidente <strong>di</strong> Confindustria dal 1976 al 1980. Venne eletto senatore come in<strong>di</strong>pendente<br />

della Democrazia Cristiana nel 1983.<br />

– 167 –


ono ripercussioni sulla crescita dell’economia. Tale politica deflazionistica<br />

generò <strong>di</strong>soccupazione – le donne furono le prime a perdere il lavoro –<br />

chiusura <strong>di</strong> fabbriche <strong>di</strong> minor <strong>di</strong>mensione e conseguente assorbimento in<br />

aziende maggiori, calo del potere contrattuale dei lavoratori, compressione<br />

dei consumi.<br />

La situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà economica portò a un nuovo rinvio delle riforme<br />

promesse. I governi che si succedettero furono caratterizzati da un<br />

notevole immobilismo, a causa anche delle tensioni tra i <strong>di</strong>versi partiti. La<br />

politica del rinvio risultò predominate. Nel 1963 il presidente della Repubblica<br />

Segni 17 incaricò Moro <strong>di</strong> formare il primo dei suoi tre governi che<br />

durò meno <strong>di</strong> un anno. Divenuto presidente del Consiglio egli portò <strong>di</strong><br />

fronte al parlamento un programma che si proponeva alcuni compiti prioritari:<br />

l’istituzione delle regioni, la riforma della scuola, quella dell’e<strong>di</strong>lizia,<br />

l’agricoltura, il riequilibrio fra Nord e Sud, la riforma del fisco e delle pensioni,<br />

la legge urbanistica e quella antimonopolio. In questo frangente i socialisti<br />

rifiutarono la fiducia al governo e nel gennaio 1964 la corrente <strong>di</strong> sinistra<br />

del PSI abbandonò il partito formando il PSIUP. 18 Questa scissione<br />

mise a dura prova l’autorità <strong>di</strong> Nenni 19 come vicepresidente del partito. Nascondendosi<br />

<strong>di</strong>etro la pretesa <strong>di</strong> risolvere la grande crisi economica prima <strong>di</strong><br />

affrontare qualsiasi tipo <strong>di</strong> riforma, Moro non si attenne alle promesse che<br />

egli stesso aveva definito prioritarie nel suo programma. In questo clima <strong>di</strong><br />

sfiducia da parte dei suoi stessi collaboratori Moro si <strong>di</strong>mise nel giugno<br />

1964 concludendo il suo primo mandato.<br />

17 Antonio Segni (Sassari, 2 febbraio 1891 - Roma, 1° <strong>di</strong>cembre 1972) è stato un politico italiano,<br />

quarto presidente della Repubblica. Fu eletto Presidente della Repubblica Italiana il 6 maggio<br />

1962 (al nono scrutinio con 443 voti su 842), con i voti decisivi del MSI e dei monarchici.<br />

18 Partito Socialista Italiano <strong>di</strong> Unità Proletaria (1964-1972). Il 12 gennaio 1964, dalla scissione<br />

dal PSI della corrente <strong>di</strong> sinistra, si costituisce il nuovo Partito Socialista Italiano <strong>di</strong> Unità<br />

Proletaria (PSIUP), guidato da Tullio Vecchietti (che ne <strong>di</strong>viene il segretario) e i cui maggiori<br />

esponenti sono Lelio Basso, Vittorio Foa, Lucio Libertini, Emilio Lussu, Alcide Malagugini,<br />

Francesco Cacciatore detto Cecchino e Dario Valori, oltre ai toscani Silvano Miniati, Guido<br />

Bion<strong>di</strong>, Mario Brunetti, Aristeo Biancolini, Pino Ferraris, Daniele Protti, Dante Rossi e i sindacalisti<br />

Elio Giovannini, Antonio Lettieri e Gastone Sclavi. Aderirono allo PSIUP tutti quei militanti<br />

socialisti contrari alla formazione <strong>di</strong> un governo <strong>di</strong> centro-sinistra formato da PSI e DC,<br />

preferendo invece un accordo per una alleanza <strong>di</strong> sinistra con il Partito Comunista Italiano.<br />

19 Pietro Nenni (Faenza, 9 febbraio 1891 - Roma, 1° gennaio 1980) è stato un politico e<br />

giornalista italiano. Fondò, con Aldo Moro, Ugo La Malfa e Giuseppe Saragat, una nuova coalizione<br />

politica, chiamata centrosinistra. Tuttavia in tale occasione si ebbe la scissione della corrente<br />

dei “carristi” che, dopo il congresso al palazzo delle Esposizioni dell’EUR, all’inizio del<br />

1964 <strong>di</strong>edero vita al nuovo PSIUP, guidato da Tullio Vecchietti e Dario Valori.<br />

– 168 –


Il secondo governo Moro nacque in un clima completamente <strong>di</strong>verso e<br />

in un certo senso il suo intento fu piuttosto quello <strong>di</strong> evitare un colpo <strong>di</strong><br />

Stato. Infatti per ristabilire or<strong>di</strong>ne nel governo il Presidente della Repubblica<br />

Segni, che si era <strong>di</strong>chiarato sfavorevole ad un partito <strong>di</strong> centrosinistra,<br />

convocò al Quirinale il comandante dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo. 20<br />

L’intento <strong>di</strong> De Lorenzo era quello <strong>di</strong> attuare il piano “Solo” cioè una serie<br />

<strong>di</strong> norme e leggi contro coloro che erano considerati “pericolosi per la sicurezza<br />

pubblica”, tra i quali erano naturalmente inclusi comunisti e socialisti;<br />

in altre parole un vero e proprio colpo <strong>di</strong> stato, nonostante fosse <strong>di</strong>fficilmente<br />

attuabile in un paese come l’Italia, ancora ben attrezzato dalla recente<br />

Resistenza. Questa insolita svolta politica non rispecchiava gli interessi <strong>di</strong><br />

Segni che pensava <strong>di</strong> utilizzare De Lorenzo solo per aumentare la capacità<br />

<strong>di</strong> risposta dello Stato ai problemi <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pubblico. Pur <strong>di</strong> evitare una<br />

crisi della Repubblica, Nenni e i socialisti si mostrarono favorevoli a un<br />

reingresso nel governo presieduto da Moro. Il secondo mandato fu <strong>di</strong> gran<br />

lunga più moderato e privo <strong>di</strong> quelle promesse che avevano caratterizzato il<br />

primo; per la prima volta anche la Confindustria <strong>di</strong>ede un prudente benvenuto<br />

a un governo <strong>di</strong> centro sinistra. Tuttavia la strategia <strong>di</strong> Moro in merito<br />

al raggiungimento della stabilità prima <strong>di</strong> qualsiasi riforma continuò, il governo<br />

puntava maggiormente alla stabilità politica e questo attenuò le <strong>di</strong>fferenze<br />

con il PSDI 21 . Il secondo governo Moro cadde nel 1966.<br />

Il terzo governo durò oltre due anni, ma restò sostanzialmente in quella<br />

situazione <strong>di</strong> immobilismo ormai impossibile da ignorare. A partire da alcune<br />

“calamità” naturali come il crollo <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici e alluvioni si focalizzò<br />

l’attenzione sull’incapacità del governo <strong>di</strong> attuare riforme e<strong>di</strong>lizie necessarie<br />

al paese, a cui rispose con la “legge ponte” che si rivelò un provve<strong>di</strong>mento-tampone<br />

in attesa <strong>di</strong> una riforma organica. Il 1966 vide, con l’unificazione<br />

del PSI con il PSDI nel Partito socialista unificato (PSU), la nascita<br />

20 Giovanni De Lorenzo (Vizzini, 1907-1973) è stato un generale e politico italiano. Fu capo<br />

del SIFAR (1955-1962), Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri (15 ottobre 1962 -<br />

31 gennaio 1966) e capo <strong>di</strong> Stato Maggiore dell’esercito. Divenne noto per il ruolo avuto nello<br />

sviluppo del cosiddetto “Piano Solo”.<br />

21 Il Partito Socialista Democratico Italiano è un partito ispirato ai valori della politica<br />

socialdemocratica e riformista fondato l’11 gennaio 1947, in seguito alla cosiddetta “Scissione<br />

<strong>di</strong> Palazzo Barberini”. La denominazione iniziale del nascente partito socialdemocratico, in<br />

rievocazione degli storici fasti, fu Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI). Dalla storpiatura<br />

della sigla utilizzata a quel tempo, gli avversari politici solevano canzonarne i militanti con<br />

l’appellativo <strong>di</strong> “pisellini”.<br />

– 169 –


delle prime forme <strong>di</strong> clientelismo e le accuse <strong>di</strong> abuso <strong>di</strong> potere al Partito<br />

socialista.<br />

Sotto il profilo politico, furono congelate due riforme da tempo proposte:<br />

l’istituzione delle regioni e la pianificazione urbanistica. La prima infatti<br />

avrebbe rischiato <strong>di</strong> concedere maggiore potere ai comunisti nelle regioni<br />

centrali; la seconda naufragò per l’opposizione dei proprietari terrieri e della<br />

speculazione e<strong>di</strong>lizia, che vedevano inficiato il proprio ruolo a causa <strong>di</strong> una<br />

riforma che avrebbe assegnato maggiori poteri decisionali agli enti locali.<br />

In quegli anni proseguì immutata la paralisi dell’amministrazione pubblica,<br />

atavica <strong>di</strong>fficoltà dello Stato italiano. La burocrazia si mostrò arroccata<br />

su posizioni estremamente conservatrici. Il sospetto verso ogni innovazione<br />

era endemico. Ogni processo decisionale risultava molto frammentato,<br />

a causa <strong>di</strong> una rigida applicazione delle competenze e dei ruoli. Si rafforzò<br />

il clientelismo nel Meri<strong>di</strong>one. Il boom e<strong>di</strong>lizio fu il classico esempio<br />

che testimoniò l’ingerenza e il trionfo degli interessi privati sulle necessità<br />

pubbliche, a cui si aggiunse anche la collusione con la mafia. Nel 1966,<br />

quando ormai l’economia si era ripresa con vigore, <strong>di</strong> fronte a una serie <strong>di</strong><br />

calamità naturali (l’alluvione <strong>di</strong> Firenze, la frana della valle dei Templi <strong>di</strong><br />

Agrigento), il governo rispose con una nuova legge ponte, l’ennesimo provve<strong>di</strong>mento<br />

tampone in attesa <strong>di</strong> una riforma organica in campo urbanistico<br />

che non avrebbe mai visto la luce. Il 1968 vide un incremento patologico<br />

delle richieste e<strong>di</strong>lizie e l’arrembaggio degli speculatori. Il periodo in esame<br />

evidenziò, dunque, l’inequivocabile <strong>di</strong>stacco tra ideologia e azione che<br />

aveva sempre rappresentato un problema della politica italiana. Anche al <strong>di</strong><br />

fuori del Parlamento, le forze contrarie alle riforme si <strong>di</strong>mostrarono particolarmente<br />

attive; in seno al mondo impren<strong>di</strong>toriale, risultarono vincenti<br />

quanti preferivano lo status quo, gli speculatori e<strong>di</strong>lizi, gli ex monopoli elettrici.<br />

Diversamente da quanto prefigurato, gli anni ’60 comportarono, anzi,<br />

un chiaro deterioramento delle principali aree dell’apparato statale. Lo sviluppo<br />

effettivo dello Stato prese, infatti, una <strong>di</strong>rezione ben <strong>di</strong>versa da quella<br />

prospettata. Conseguenza <strong>di</strong> ciò fu il declino dell’impresa pubblica caratterizzato<br />

da un forte intreccio tra potere politico e <strong>di</strong>rezione industriale. Nelle<br />

industrie pubbliche il posto veniva assegnato non per merito, ma in base a<br />

lealtà <strong>di</strong> partito o <strong>di</strong> corrente. Ai livelli più alti delle gerarchie si inse<strong>di</strong>arono<br />

nuove generazioni <strong>di</strong> impren<strong>di</strong>tori, legati assai strettamente ai partiti politici<br />

dominanti.<br />

Prevalse, dunque, una modalità minimalista <strong>di</strong> attuazione delle riforme.<br />

Poche erano quelle realizzate e quasi sempre in modo parziale. Riepilo-<br />

– 170 –


gando: l’industria elettrica era stata privatizzata ma in maniera tale da favorire<br />

per gli ex monopoli il mantenimento <strong>di</strong> un enorme potere finanziario; la<br />

scuola me<strong>di</strong>a dell’obbligo fino a 14 anni era un fatto compiuto, ma i contenuti<br />

arcaici e l’organizzazione della scuola superiore e dell’università non<br />

erano stati toccati; non c’era stata né riforma fiscale né burocratica; non era<br />

stato introdotto il sistema sanitario nazionale, né la riforma dei patti agrari.<br />

Anche l’istituzione delle regioni non era stata portata a termine.<br />

In conclusione, nel periodo tra il 1962 e il 1968, i governi <strong>di</strong> centrosinistra<br />

avevano fallito nel rispondere alle molteplici esigenze <strong>di</strong> un’Italia in<br />

rapido cambiamento. Avevano parlato ininterrottamente <strong>di</strong> riforme ma lasciando<br />

poi deluse quasi tutte le aspettative. Dal 1968 in avanti l’inerzia dei<br />

vertici fu sostituita dall’attività della base. Iniziò così una stagione <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario<br />

fermento sociale, destinata a mettere in <strong>di</strong>scussione l’organizzazione<br />

della società italiana quasi a tutti i livelli.<br />

Bibliografia:<br />

MARIO CAPANNA, Formidabili quegli anni, Garzanti, <strong>2007</strong>, Roma.<br />

PAUL GINSBORG, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi.<br />

ANTONIO DESIDERI - MARIO THEMELLY, Storia e storiografia, G. D’Anna,<br />

1997, Firenze.<br />

MASSIMO SALVATORI - FRANCESCO TUCCARI, L’Europa e il mondo nella<br />

storia, Loescher, 2004, Roma.<br />

– 171 –


CAPITOLO I<br />

LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DELLA PROTESTA<br />

Le origini del movimento negli Stati Uniti<br />

Il fenomeno “Sessantotto” prende il nome dall’anno stesso in cui assume<br />

carattere internazionale: nel ’68 gran<strong>di</strong> movimenti <strong>di</strong> massa socialmente<br />

eterogenei (operai, studenti, gruppi etnici minoritari), toccando quasi<br />

tutti i paesi del mondo (paesi con culture e regimi politici alquanto <strong>di</strong>fferenti<br />

tra loro), con valenza <strong>di</strong>versa da luogo a luogo costituiscono una mobilitazione<br />

planetaria, in nome <strong>di</strong> una trasformazione ra<strong>di</strong>cale dei sistemi politici<br />

sociali e culturali.<br />

Il ’68 fu un fenomeno prima <strong>di</strong> tutto giovanile, ed in modo particolare<br />

studentesco. Caratteristica peculiare che fa delle rivolte <strong>di</strong> quegli anni una<br />

rarità storica, fu la simultaneità e la vastità geografica delle “rivolte”, senza<br />

che vi fosse stata alcuna forma <strong>di</strong> preparazione o <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento.<br />

È sufficiente ricordare alcuni eventi <strong>di</strong> quegli anni per rendersi conto delle<br />

<strong>di</strong>mensioni del fenomeno: il “Maggio francese” (<strong>di</strong>venuto quasi il ’68 per<br />

antonomasia); la primavera <strong>di</strong> Praga; l’esplodere dei movimenti studenteschi<br />

in Italia e Germania; l’opposizione negli Stati Uniti alla guerra in Vietnam;<br />

l’assassinio a Memphis del leader nero della non-violenza Martin Luther<br />

King, e le sanguinose rivolte dei ghetti neri; la terribile strage <strong>di</strong> Piazza delle<br />

Tre culture a Città del Messico, in prossimità delle Olimpia<strong>di</strong> (con un numero<br />

<strong>di</strong> vittime che non fu mai accertato, ma sicuramente superiore alle duecento<br />

persone); il famoso gesto <strong>di</strong> protesta degli atleti afro-americani alla premiazione<br />

olimpica dei 200 metri piani, con Tommy Smith e John Carlos sul<br />

po<strong>di</strong>o a pugno chiuso, a segnare l’adesione al movimento del Black Power. 22<br />

La guerra nel Vietnam, evento chiave della politica internazionale degli<br />

anni Sessanta, fu uno dei motivi più forti <strong>di</strong> aggregazione dei movimenti <strong>di</strong><br />

protesta in tutto il mondo. I giovani e gli studenti che scendevano in piazza<br />

per il Vietnam non intendevano certo schierarsi in favore dell’Unione Sovietica,<br />

ma vedevano nella crisi dell’egemonia militare americana l’elemento<br />

decisivo per una ridefinizione complessiva degli equilibri internazionali. 23<br />

22 Il filone più intransigente del movimento americano per i <strong>di</strong>ritti civili degli afroamericani<br />

che si svilupperà intorno al 1965.<br />

23 Peppino Ortoleva, “I Movimenti del ’68 in Europa e America”, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />

1988, pp. 50-53.<br />

– 172 –


Un filo conduttore nei movimenti sociali del ’68, un loro carattere storico<br />

comune, può essere in<strong>di</strong>viduato nell’essere stati i primi movimenti <strong>di</strong><br />

contestazione ra<strong>di</strong>cale del modello sociale ‘neocapitalistico’ e dell’equilibrio<br />

mon<strong>di</strong>ale fondato sull’egemonia statunitense, condotta in forme <strong>di</strong><br />

massa, ma culturalmente non ascrivibile alla tra<strong>di</strong>zione comunista. Non si<br />

battevano più (e qui stava la novità rispetto ad esempio alla tra<strong>di</strong>zione italiana<br />

<strong>di</strong> sinistra) per lo sviluppo e la modernizzazione, ma contro le caratteristiche<br />

autoritarie e <strong>di</strong> classe <strong>di</strong> quello sviluppo e <strong>di</strong> quella modernizzazione.<br />

La loro era dunque la prima critica della modernità, fatta non in<br />

nome delle nostalgie passate della destra, ma in nome <strong>di</strong> una modernità più<br />

libera e più giusta. 24<br />

L’antiautoritarismo è uno dei principali fili conduttori che attraversa tutti<br />

i movimenti <strong>di</strong> protesta sorti nei primi anni Sessanta. Viene contestata ogni<br />

istituzione che si fon<strong>di</strong> sul principio <strong>di</strong> autorità, come la famiglia e la scuola,<br />

che trasmettono modelli <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplina e che stigmatizzano ogni comportamento<br />

deviante, fino a tutte quelle istituzioni per loro natura finalizzate alla<br />

repressione o fondate su un forte principio gerarchico: l’esercito, la magistratura,<br />

la polizia, la Chiesa, la burocrazia degli stati e dei partiti tra<strong>di</strong>zionali. 25<br />

Nascono tentativi <strong>di</strong> dar vita a luoghi dove l’autorità sia ban<strong>di</strong>ta: la comune<br />

al posto della famiglia, l’assemblea e la democrazia <strong>di</strong>retta in luogo<br />

delle deleghe e della democrazia rappresentativa, con lo scopo <strong>di</strong> voler simboleggiare<br />

il rovesciamento del potere costituito e quello <strong>di</strong> creare un proprio<br />

spazio autonomo (con queste intenzioni i movimenti studenteschi adotteranno<br />

la tattica dell’occupazione). Tutte forme che finirono per mettere<br />

definitivamente in crisi le figure sociali in cui l’autorità si esprimeva: dal<br />

padre al poliziotto, dal giu<strong>di</strong>ce al militare. 26<br />

Oggetto della contestazione non è solo il potere statale, ma anche e soprattutto<br />

i singoli poteri quoti<strong>di</strong>ani: dalla famiglia autoritaria al professore<br />

in aula al caporeparto nella fabbrica. Questi movimenti combattono qualunque<br />

forma <strong>di</strong> burocrazia, da quella statale a quella delle tra<strong>di</strong>zionali organizzazioni<br />

dei partiti. All’apparato organizzativo della politica tra<strong>di</strong>zionale<br />

24 Guido Viale, “Il ’68 tra rivoluzione e restaurazione” Milano, Mazzotta E<strong>di</strong>tore, 1978,<br />

pp. 8-24.<br />

25 Guido Viale, “Il ’68 tra rivoluzione e restaurazione” Milano, Mazzotta E<strong>di</strong>tore, 1978,<br />

pp. 27-30.<br />

26 Peppino Ortoleva, “I Movimenti del ’68 in Europa e America”, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />

1988, p. 65.<br />

– 173 –


contrappongono le reti informali dei comitati, le assemblee, la democrazia<br />

<strong>di</strong>retta. Importante, per capire i motivi che hanno portato a questa simultaneità<br />

del fenomeno Sessantotto, è analizzare il contesto in cui si è formata<br />

la generazione protagonista delle mobilitazioni.<br />

La generazione nata tra gli anni ’40 e ’50 si forma nella consapevolezza<br />

della minaccia mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> una catastrofe nucleare, <strong>di</strong> un rischio <strong>di</strong> totale<br />

<strong>di</strong>struzione tecnologica che appariva essere del tutto in<strong>di</strong>pendente dal luogo<br />

<strong>di</strong> nascita e dalla volontà del singolo in<strong>di</strong>viduo.<br />

La percezione del mondo da parte <strong>di</strong> questa generazione è così del tutto<br />

<strong>di</strong>versa rispetto a quella delle generazioni precedenti: la terra risulta essere<br />

un globo dove gli antichi riferimenti locali, le precedenti <strong>di</strong>visioni per confini<br />

appaiono superate da una realtà tecnologica unificante. Lo sviluppo <strong>di</strong><br />

un nuovo sistema <strong>di</strong> telecomunicazioni mon<strong>di</strong>ali, ha permesso una circolazione<br />

delle informazioni e delle immagini più veloce e imme<strong>di</strong>ata (in quello<br />

che viene definito “villaggio globale”). La tecnologia ha creato gli strumenti<br />

per “rimpicciolire” il mondo, consentendo <strong>di</strong> concepire l’uomo non<br />

più come fortemente legato alla realtà locale, ma come membro della specie<br />

umana. 27<br />

La <strong>di</strong>ffusione del benessere nelle società ha spostato l’attenzione sulle<br />

questioni connesse alla qualità della vita. Si è passati da riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong><br />

tipo materialistico a quelle <strong>di</strong> tipo post-materialistico, e questo è uno dei<br />

tratti che <strong>di</strong>fferenzia i nuovi movimenti sociali da quelli precedenti. I movimenti<br />

del ’68 si collocano in una logica <strong>di</strong> assoluta estraneità rispetto allo<br />

Stato. A <strong>di</strong>fferenza dei precedenti movimenti <strong>di</strong> rivolta che si ponevano l’obiettivo<br />

finale della conquista del potere, dello Stato, i movimenti del Sessantotto<br />

negano ogni possibile uso positivo dello stesso.<br />

Il primo dei movimenti <strong>di</strong> contestazione giovanile, e <strong>di</strong> quelli che sono<br />

stati definiti nuovi movimenti sociali, sorge in America sul finire del 1964.<br />

La lotta degli studenti universitari americani è, sin dall’inizio, collegata al<br />

movimento pacifista ed a quello per i <strong>di</strong>ritti civili.<br />

Il 1964 è l’anno chiave nella vicenda del movimento americano: il coinvolgimento<br />

nel conflitto tra Vietnam del Sud e del Nord si trasformò proprio<br />

allora in una vera e propria guerra. Nell’estate dello stesso anno la rivolta<br />

<strong>di</strong> Harlem inaugurò il ciclo delle sanguinose rivolte nei ghetti, e il movimento<br />

studentesco bianco con<strong>di</strong>vise gran parte delle riven<strong>di</strong>cazioni del<br />

27 Peppino Ortoleva, “I Movimenti del ’68 in Europa e America”, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />

1988, pp. 46-48.<br />

– 174 –


“Black Power”, tutti i leader del quale provenivano da università americane.<br />

Gli studenti occuparono l’università <strong>di</strong> Berkeley, in California, per manifestare<br />

il loro rifiuto nei confronti del Ministero della Difesa che aveva commissionato<br />

alle università la ricerca per produrre nuove armi per la guerra<br />

nel Vietnam. 28 Il movimento studentesco americano, sebbene sostanzialmente<br />

apolitico nei suoi sviluppi, fu alle sue origini profondamente influenzato<br />

dal pensiero socialista e comunista, ma con gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze rispetto a<br />

ciò che sarebbe accaduto successivamente in Europa.<br />

Nel Vecchio Continente i movimenti si rifacevano all’ortodossia comunista,<br />

al marxismo appunto, ispirandosi a figure <strong>di</strong>verse, da Lenin a Mao, da<br />

Trotskj al Che. Negli Stati Uniti, dopo il maccartismo, un appello così<br />

aperto al marxismo non era più possibile. Per <strong>di</strong> più, la classe tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

vicina alle idee comuniste, cioè gli operai, negli Stati Uniti era non<br />

soltanto poco propensa a cambiamenti, ma ad<strong>di</strong>rittura sosteneva apertamente<br />

il governo. Il tipo <strong>di</strong> socialismo a cui si rifaceva quella che sarebbe<br />

<strong>di</strong>venuta la “Nuova Sinistra Americana”, perseguiva valori come l’eguaglianza<br />

sociale, la giustizia e l’eliminazione delle <strong>di</strong>sparità razziali, influenzato<br />

dalla rivolta castrista. In quegli anni si crearono negli Stati Uniti numerosi<br />

movimenti che si rifacevano agli ideali della rivolta castrista, come ad<br />

esempio la Student Peace Union (SPU), la Young People Socialist League,<br />

gli Students for Democratic Society (SDS) o il W.E.B. Du Bois, che prendeva<br />

il nome da uno stu<strong>di</strong>oso afroamericano curiosamente <strong>di</strong>venuto comunista<br />

all’età <strong>di</strong> novant’anni. Tutti questi gruppi, pur essendo molto attivi, rimasero<br />

sempre <strong>di</strong> scarso peso numerico. Le ragioni furono essenzialmente<br />

due: lo stretto controllo dell’FBI a cui erano sottoposti tutti i soggetti che si<br />

professavano comunisti, ed il fatto che mancava un vero progetto e una <strong>di</strong>rigenza<br />

che dettasse le <strong>di</strong>rettive da seguire. Per questo motivo l’interesse per<br />

ogni nuova lotta svaniva velocemente col passare della furia del momento. 29<br />

Con l’escalation del conflitto nel Vietnam, e il crescente invio <strong>di</strong> truppe<br />

regolari a partire dal 1965, ci fu anche un mutamento nelle finalità, sempre<br />

molto confuse, dei movimenti studenteschi. Dalla lotta sociale si passò ad<br />

una contestazione politica. I movimenti attaccavano il governo per il presunto<br />

imperialismo <strong>di</strong>mostrato nell’intervenire in una guerra così <strong>di</strong>stante<br />

28 Peppino Ortoleva, “I Movimenti del ’68 in Europa e America”, Roma, E<strong>di</strong>tore Riuniti,<br />

1988, pp. 49-50<br />

29 Guido Viale, “Il ’68 tra rivoluzione e restaurazione”, Milano, Mazzotta E<strong>di</strong>tore, 1978,<br />

pp. 92-93.<br />

– 175 –


che non era sentita come “giusta” (l’opinione pubblica era influenzata dalle<br />

immagini che la rete televisiva nazionale americana trasmetteva sui comportamenti<br />

dei soldati americani). Vennero organizzati sit-in, marce simboliche<br />

della pace che mobiliteranno le città <strong>di</strong> S. Francisco, New York e Washington.<br />

Molti giovani si rifiutarono <strong>di</strong> rispondere alla leva militare per protestare<br />

contro il sistema politico. Il movimento degli studenti riven<strong>di</strong>cava un<br />

mondo libero e pacifico e rifiutava i modelli tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> vita imposti da<br />

politica, religione e scuola. Perseguiva valori egalitari, anti-borghesi, antiautoritari<br />

e anti-militaristi, sotto l’influenza degli ideali espressi dal filosofo<br />

americano <strong>di</strong> origine tedesca Herbert Marcuse. 30<br />

Altro movimento che si è sviluppato in contemporanea a quello degli<br />

studenti è il movimento hippy. Nel 1965 a New York e S. Francisco furono<br />

fondate le prime vere comunità, che crebbero a ritmo vertiginoso fino alla<br />

metà degli anni Settanta. L’uso che facevano gli aderenti al movimento <strong>di</strong><br />

sostanze stupefacenti non rispondeva solo a una necessità <strong>di</strong> rottura con la<br />

cultura dominante, ma arrivò a <strong>di</strong>ventare una vera e propria religione. Ad<br />

esempio la “Lega per la Ricerca Spirituale”, fondata da un professore <strong>di</strong><br />

Harvard espulso dall’università perché sospettato <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire agli studenti<br />

durante le lezioni pasticche <strong>di</strong> LSD: attraverso l’uso <strong>di</strong> droghe voleva raggiungere<br />

un nuovo sta<strong>di</strong>o dello sviluppo umano.<br />

Elemento caratteristico delle “comuni” hippy era il concetto <strong>di</strong> amore<br />

libero in tutte le sue forme, ed una maggiore libertà sessuale. Il ra<strong>di</strong>cale<br />

cambiamento delle abitu<strong>di</strong>ni sessuali portò a conseguenze importanti nei<br />

rapporti interpersonali. L’amore omosessuale non fu più considerato un tabù<br />

assoluto e le prime organizzazioni gay fecero la loro comparsa.<br />

Negli stessi anni si sviluppò anche il movimento femminista, come conseguenza<br />

dell’insod<strong>di</strong>sfazione che le donne avevano nei confronti della società<br />

americana (ad esempio, a parità <strong>di</strong> mansioni e <strong>di</strong> orario <strong>di</strong> lavoro<br />

svolto le donne erano retribuite meno degli uomini). L’insod<strong>di</strong>sfazione femminile<br />

inizialmente si concentrò negli stessi gruppi studenteschi e sugli<br />

stessi ideali con<strong>di</strong>visi da questi ultimi: libertà <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong>ritti civili. Ben<br />

presto le leader del movimento femminista si resero conto che la componente<br />

maschile dei movimenti studenteschi tendeva a mettere in minoranza<br />

30 Herbert Marcuse (1898-1979) filosofo tedesco, esponente della scuola <strong>di</strong> Francoforte.<br />

Critico della tesi freu<strong>di</strong>ane dell’in<strong>di</strong>spensabilità della repressione nella costruzione della civilità<br />

(cfr: “Eros e Civiltà”, 1955), e dell’ideologia alienante della società industriale avanzata (cfr:<br />

“L’uomo a una <strong>di</strong>mensione: l’ideologia <strong>di</strong> una società industriale”, 1964).<br />

– 176 –


l’altro sesso. Nel 1966 con la nascita <strong>di</strong> movimenti come la “Women’s Intenational<br />

League for Peace”, il “Women Strike for Peace” e la “National Organization<br />

for Women”, le riven<strong>di</strong>cazioni femminili assunsero una portata<br />

autonoma e in<strong>di</strong>rizzata al conseguimento della piena uguaglianza tra i sessi.<br />

Ogni aspetto personale dell’universo femminista costituiva argomento <strong>di</strong><br />

lotta, non solo il mondo del lavoro, ma anche quello della famiglia e soprattutto<br />

della salute. Le donne pretesero la legalizzazione dell’aborto, lotta che<br />

si concluse solo nel 1973 con una sentenza che lo avrebbe permesso almeno<br />

nei primi mesi della gravidanza.<br />

Le donne <strong>di</strong> colore ebbero un ruolo <strong>di</strong> grande importanza nel movimento<br />

per i <strong>di</strong>ritti civili, nel Black Power e persino nelle Pantere Nere. Ciò<br />

fu dovuto al fatto che negli anni ’40 e ’50, esse erano le uniche in famiglia<br />

ad avere un lavoro ben retribuito, spesso come cameriere o governanti<br />

presso famiglie bianche. Con il progressivo inasprimento della rivolta razziale<br />

e la conseguente detenzione <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> colore, le donne raggiunsero<br />

più facilmente posizioni <strong>di</strong> potere.<br />

Un ultimo cenno deve essere fatto ai movimenti per l’uguaglianza razziale<br />

che si attivarono per tutto il 1961 per ottenere la scomparsa della segregazione<br />

nei servizi pubblici, in una società dove vigeva una segregazione<br />

<strong>di</strong> carattere razziale-istituzionale nella vita <strong>di</strong> tutti i giorni (bagni pubblici,<br />

posti sull’autobus, scuole, ospedali, istituzioni religiose e chiese erano<br />

<strong>di</strong>stinti per razza). Movimenti come lo “Student Nonviolent Coor<strong>di</strong>nating<br />

Committee” (SNCC) e il “Congress of Ra<strong>di</strong>cal Equality” (CORE) organizzarono<br />

“Freedom Marches”, azioni <strong>di</strong> protesta non violenta che andavano<br />

dal sit-in alla <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza, sotto l’influenza <strong>di</strong> Martin Luther King, 31 che<br />

aveva elogiato la tattica non-violenta per il raggiungimento dei fini <strong>di</strong> parità<br />

sociale.<br />

Nel 1965 vi fu una profonda revisione degli obbiettivi del movimento<br />

degli afro-americani. L’eguaglianza formale sancita dal “Civil Right Act”<br />

non era più sufficiente per uomini come Malcom X, 32 che pre<strong>di</strong>cavano con<br />

fervore l’orgoglio nero. Egli fu il padre spirituale del Black Power, l’ala più<br />

ra<strong>di</strong>cale del movimento per i <strong>di</strong>ritti civili, secondo cui se gli afro-americani<br />

31 Martin Luther King (1929-1968) pastore battista statunitense; promosse un vastissimo<br />

movimento per la <strong>di</strong>fesa non violenta dei <strong>di</strong>ritti della popolazione nera. Nobel per la pace (1964),<br />

fu assassinato a Memphis.<br />

32 Pseudonimo <strong>di</strong> Malcom Little (1925-1965), politico statunitense; sostenne il <strong>di</strong>ritto all’auto<strong>di</strong>fesa<br />

dei popoli <strong>di</strong> colore.<br />

– 177 –


volevano migliorare le proprie con<strong>di</strong>zioni non potevano ricercare un’integrazione,<br />

ma creare una società a se stante. Nel 1966 fu fondato il “Black<br />

Panther Party” (le Pantere Nere) che si <strong>di</strong>mostrò fin dall’inizio l’ala più<br />

ra<strong>di</strong>cale del movimento.<br />

Questi movimenti si rivelarono incapaci <strong>di</strong> trasformare le ideologie in<br />

concrete azioni <strong>di</strong> lotta. Martin Luther King fu l’unico in grado <strong>di</strong> rappresentare<br />

la minoranza nera a livello nazionale. L’attentato che lo uccise il<br />

4 aprile 1968 coincise con il definitivo declino delle riven<strong>di</strong>cazioni del<br />

Black Power, in quanto nessuno fu capace <strong>di</strong> raccogliere la sua ere<strong>di</strong>tà, né<br />

<strong>di</strong> fornire alla gente una nuova via da seguire.<br />

La Rivoluzione Culturale in Cina<br />

Tra le comete che attraversarono il cielo del ’68, la più lucente e più ambigua<br />

veniva dalla Cina. La Cina è stata soggetta a guerre civili per quasi 40<br />

anni. Nel 1956, durante la campagna dei “Cento Fiori” emergono i primi seri<br />

contasti tra i ra<strong>di</strong>cali vicini a Mao Zedong e i moderati facenti capo a Fiu<br />

Shaai e Ping Denai: la campagna contro la destra che ne segue allontana i tenaci<br />

e gli intellettuali. Sono le cosiddette due linee che infiammarono lo<br />

scontro politico successivo nella “Rivoluzione Culturale”. L’impostazione<br />

della linea maoista porta al grande “balzo in avanti” del 1958 grazie ad una<br />

nuova strategia varata dalla <strong>di</strong>rigenza comunista nel maggio dello stesso<br />

anno, per promuovere in tempi brevi un rilancio della produzione agricola,<br />

che si sarebbe dovuto realizzare con una maggiore razionalizzazione produttiva,<br />

ma soprattutto grazie ad un immane sforzo collettivo. Il regime comunista<br />

aveva, dapprima, ri<strong>di</strong>stribuito le terre tra i conta<strong>di</strong>ni, con la riforma<br />

agraria del 1950, creando così molte aziende agricole <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni;<br />

aveva anche incoraggiato, e solo in seguito obbligato, le famiglie <strong>di</strong> estrazione<br />

conta<strong>di</strong>na a riunirsi in cooperative, controllate strettamente dall’autorità<br />

statale. Le cooperative, a loro volta, furono riunite forzatamente in unità più<br />

gran<strong>di</strong>, le “Comuni Popolari”, ciascuna delle quali doveva tendere all’autosufficienza<br />

economica, producendo in proprio quanto era necessario alla<br />

sussistenza della medesima. L’esperimento, però, si risolse in un clamoroso<br />

fallimento: la produzione agricola crollò, con l’esito imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong> una tragica<br />

carestia, costringendo la Cina a ricorrere ad importazioni <strong>di</strong> cereali estere.<br />

Un’altra conseguenza gravissima fu il precipitare dei rapporti con l’URSS.<br />

La situazione peggiorò ulteriormente nel 1960, con la sospensione dell’assistenza<br />

economica e tecnica dell’Unione Sovietica: erano infatti emersi<br />

– 178 –


tra le due potenze comuniste contrasti <strong>di</strong> natura ideologica; i cinesi erano <strong>di</strong>venuti<br />

particolarmente critici verso il leader sovietico Nikita Khruscev, accusato<br />

<strong>di</strong> revisionismo e tra<strong>di</strong>mento degli ideali marxisti-leninisti. Il fallimento<br />

del grande balzo in avanti ebbe alcuni contraccolpi anche sul piano interno,<br />

dando spazio alle componenti più moderate e meno antisovietiche del<br />

gruppo <strong>di</strong>rigente comunista. Le <strong>di</strong>vergenze tra Mao e il partito dei moderati<br />

pragmatisti si intensificarono: questo <strong>di</strong>vario si trasformò in aperto contrasto<br />

nel 1966 quando Mao, sua moglie Lang Quing e altri suoi collaboratori, lanciarono<br />

lo slogan della Grande Rivoluzione Proletaria, intesa a recuperare lo<br />

zelo rivoluzionario del primo comunismo cinese, per contrapporlo all’imborghesimento<br />

dei quadri <strong>di</strong> governo e dell’apparato burocratico del partito.<br />

La Rivoluzione Culturale interessò prima gli intellettuali, i burocrati, i<br />

funzionari <strong>di</strong> partito, per estendersi in seguito al mondo del lavoro. Nelle<br />

scuole e nei luoghi <strong>di</strong> lavoro gruppi <strong>di</strong> giovani Guar<strong>di</strong>e Rosse, 33 in maggioranza<br />

studenti, mettevano sotto accusa insegnanti e <strong>di</strong>rigenti politici, intellettuali<br />

e artisti. L’intento era quello <strong>di</strong> provocare, in virtù dell’iniziativa <strong>di</strong><br />

massa, un ra<strong>di</strong>cale mutamento nella cultura e nella mentalità collettiva e <strong>di</strong><br />

superare in questo modo tutti gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione<br />

del comunismo. Mao riconosce ufficialmente le Guar<strong>di</strong>e Rosse e, il<br />

5 agosto, scrive il suo primo Dazibao, “fuoco sul quartier generale”, che<br />

invita gli studenti ad attaccare la fazione avversa del partito.<br />

I movimenti studenteschi sono inizialmente istigati dal partito, infatti, si<br />

manifestano nelle scuole privilegiate, frequentate soprattutto dai figli dei<br />

quadri. Le Guar<strong>di</strong>e Rosse della scuola numero 26 <strong>di</strong> Pechino creano una<br />

sorta <strong>di</strong> modello <strong>di</strong> comportamento, emulato dagli altri gruppi: citazioni e<br />

immagini <strong>di</strong> Mao devono essere presenti nelle strade, nei luoghi pubblici e<br />

nelle case. Anche in paesi molto lontani dalla Cina, soprattutto in Europa<br />

Occidentale, si formarono gruppi e movimenti giovanili ispirati all’esempio<br />

delle Guar<strong>di</strong>e Rosse e al pensiero <strong>di</strong> Mao. Nel 1967, Mao considera finito<br />

il compito delle Guar<strong>di</strong>e Rosse, che hanno ormai rovesciato il potere nelle<br />

istituzioni e tenta <strong>di</strong> limitarne le azioni. Gli studenti si <strong>di</strong>vidono in <strong>di</strong>stinte<br />

fazioni antagoniste: “terra e cielo”, “ban<strong>di</strong>era rossa” e “vento dell’est”. Gli<br />

studenti entrano in contatto con gli operai delle fabbriche che manifestano<br />

gli stessi <strong>di</strong>sagi. Anche nelle fabbriche si osservò un acceso scontro genera-<br />

33 Originarie dalla scuola me<strong>di</strong>a connessa al politecnico <strong>di</strong> Pechino si ispirano alle omonime<br />

milizie degli anni trenta; protettrici <strong>di</strong> Mao, le guar<strong>di</strong>e Rosse che impugnavano i libretti rossi<br />

sono l’icona più nota della rivoluzione culturale e della Cina <strong>di</strong> Mao.<br />

– 179 –


zionale esteso anche ai lavoratori provvisori e a quelli permanenti; tali contrasti<br />

sono inquadrati nel contesto ideologico e politico della Rivoluzione,<br />

che dovrebbe eliminare le vecchie tendenze circa la gestione del potere.<br />

Le Guar<strong>di</strong>e Rosse occupano il Ministero degli esteri nel 1967, paralizzando<br />

le relazioni <strong>di</strong>plomatiche per alcuni mesi, e inducendo le ambasciate<br />

cinesi all’estero ad agire come centri <strong>di</strong> propaganda ed istigazione dei partiti<br />

comunisti locali. Nell’agosto del 1967, il paese sprofonda nella guerra civile,<br />

combattuta tra le fazioni degli studenti e l’esercito. Nel 1968 le Guar<strong>di</strong>e<br />

Rosse vengono allontanate dalla città. I leader più ra<strong>di</strong>cali vengono emarginati,<br />

mentre riacquistano peso tecnici ed esperti. Un ruolo importante in questa<br />

fase fu svolto da Chou En Lai, il più autorevole dopo Mao fra i capi comunisti<br />

cinesi, che ricoprì ininterrottamente dal 1949 la carica <strong>di</strong> primo ministro<br />

e che rappresentò la continuità del potere istituzionale. Le gran<strong>di</strong> violenze<br />

<strong>di</strong> cui è stata costellata la “rivoluzione ininterrotta cinese” sono state taciute.<br />

Paradossalmente, mentre si esaltava la linea <strong>di</strong> massa, la società cinese<br />

è stata la grande assente negli scritti e documenti <strong>di</strong> allora. Eppure quella<br />

Cina un po’ mitica e un po’ misconosciuta, patria <strong>di</strong> una grande rivoluzione<br />

egalitaria, basata sulla spontaneità delle masse, baluardo del terzo mondo<br />

contro la “Tigre <strong>di</strong> Carta” imperialista, quella Cina è stata vicina a tutto il ’68.<br />

La Primavera <strong>di</strong> Praga<br />

Già a partire dalla metà degli anni sessanta in Cecoslovacchia si respirava<br />

un’aria <strong>di</strong> forte tensione, evidente sintomo del crescente malcontento<br />

verso il regime. 34<br />

Il movimento della Primavera <strong>di</strong> Praga (1967-1968), maturò all’interno<br />

<strong>di</strong> una Cecoslovacchia provata dagli abusi commessi in passato dal regime<br />

comunista e si propose al contempo come movimento politico e culturale.<br />

34 Il regime comunista in Cecoslovacchia, trovò la sua massima espressione nel partito<br />

comunista <strong>di</strong> Cecoslovacchia (“Komunistickà strana Ceskoslovenskà”, KSC) fondato nel 1921.<br />

Di lì, sino allo scoppio del secondo conflitto mon<strong>di</strong>ale, tuttavia, non prese mai parte al governo.<br />

Nel 1948, il KSC prese il potere con l’ausilio delle forze belliche sovietiche e soppresse tutte le<br />

libertà democratiche. Negli anni ’60, Dubcek prese le re<strong>di</strong>ni del partito cercando <strong>di</strong> dar vita al<br />

C.D. (Comunismo dal volto umano) le cui liberalizzazioni provocarono la reazione bellica dell’URSS<br />

tesa a fermare la Primavera <strong>di</strong> Praga. Espulso Dubcek, il partito fu posto alla guida <strong>di</strong><br />

Gustàv Husàk (1913-1991), neo-stalinista pragmatico. Con il crollo del muro <strong>di</strong> Berlino nel 1989,<br />

anche in Cecoslovacchia crollò il regime comunista grazie alla rivoluzione <strong>di</strong> velluto. Il KSC, a<br />

tal punto, decise <strong>di</strong> non sciogliersi ma <strong>di</strong> <strong>di</strong>vidersi organizzativamente nei due rami, quello ceco<br />

e quello slovacco.<br />

– 180 –


Le istanze dei riformisti, capeggiati da Alexander Dubcek (1921-1992),<br />

avevano trovato uno sbocco in alcuni ambienti dello stesso Partito Comunista<br />

Cecoslovacco.<br />

In occasione del sesto congresso degli scrittori tenuto a Praga il 29<br />

giugno del 1967, emerse con vigore la richiesta <strong>di</strong> libertà <strong>di</strong> stampa ed i numerosi<br />

partecipanti espressero il proprio malcontento nei confronti del regime<br />

comunista vigente.<br />

In seguito a tale risonante avvenimento, A. Dubcek prese il posto <strong>di</strong> Novotny<br />

alla carica <strong>di</strong> primo segretario del Partito comunista cecoslovacco nel<br />

gennaio del 1968. Il 5 marzo dello stesso anno, Dubcek annunciò l’abolizione<br />

della censura. Ben presto, il 21 marzo, le <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong> Novotny da<br />

capo dello stato suscitarono unanime sollievo nell’opinione pubblica, operai<br />

compresi. Di seguito alle elezioni del nuovo presidente L. Svoboda, nel governo<br />

fecero ingresso esponenti moderati <strong>di</strong> grande prestigio tra cui Oldrich<br />

Cernik, Jiri Hajek, Ota Sik. Non tardò a farsi strada, dunque, la volontà <strong>di</strong><br />

riformare ra<strong>di</strong>calmente l’economia del paese, abbandonando il centralismo<br />

e l’industrializzazione pesante per allargare le libertà ed i consensi, fino a<br />

creare le con<strong>di</strong>zioni propedeutiche ad un’articolazione pluralista del sistema<br />

politico. Le riforme politiche <strong>di</strong> Dubcek, 35 che egli stesso definì “socialismo<br />

dal volto umano”, si proponevano come il tentativo <strong>di</strong> riformare il “socialismo<br />

reale”; esse vennero confermate durante la riunione del comitato centrale<br />

del 4 e 5 aprile. Tali riforme in realtà non erano mirate al completo rovesciamento<br />

del vecchio regine e al <strong>di</strong>stacco dall’Unione Sovietica: il progetto<br />

infatti, consisteva nel mantenere il sistema economico collettivista,<br />

unendovi però una maggiore libertà politica (con l’eventualità <strong>di</strong> dar vita a<br />

partiti non alleati al partito comunista), ma anche <strong>di</strong> stampa e <strong>di</strong> espressione.<br />

La <strong>di</strong>rigenza Sovietica, tuttavia, viveva questo nuovo orientamento<br />

politico sia come una grave interferenza nei confronti dell’egemonia dell’URSS<br />

sui paesi del blocco orientale, sia come un pericolo per la sicurezza<br />

35 Il “nuovo corso” <strong>di</strong> A. Dubcek, non proponeva unicamente una serie <strong>di</strong> riforme economicopolitiche<br />

per far fronte ai vani tentativi <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are alle gravi carenze dell’apparato produttivo<br />

condotti dal PCC, guidato dal 1953 da A. Novotny, ma un intero “programma d’azione” mirato a<br />

rinnovare l’autoritaria gestione del potere da parte del PCC che ancora conservava una rigida osservanza<br />

stalinista. Con l’abolizione della censura, Dubcek invitò la popolazione ad esercitare il <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> opinione e affidò la <strong>di</strong>rezione della ra<strong>di</strong>o, della televisione e <strong>di</strong> importanti giornali ad intellettuali<br />

riformisti. I primi provve<strong>di</strong>menti del piano riformatore compresero il riconoscimento del <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> sciopero e la riabilitazione delle vittime delle purghe staliniane. Nello stesso tempo, alcuni<br />

<strong>di</strong>rigenti del PCC, tra cui Novotny, venivano espulsi dal partito e privati <strong>di</strong> ogni carica istituzionale.<br />

– 181 –


stessa dell’Unione Sovietica dal momento che la Cecoslovacchia vantava<br />

una strategica collocazione geografica, esattamente al centro dello schieramento<br />

<strong>di</strong>fensivo del Patto <strong>di</strong> Varsavia: anche una sua sola defezione non sarebbe<br />

stata tollerata in periodo <strong>di</strong> Guerra Fredda.<br />

L’atto da parte degli intellettuali <strong>di</strong> firmare il cosiddetto Manifesto delle<br />

duemila parole, che sollecitava Dubcek ad accelerare il piano <strong>di</strong> riforme e<br />

denunciava le intromissioni del patto <strong>di</strong> Varsavia negli affari interni del<br />

paese, se da un lato accelerò il processo <strong>di</strong> liberalizzazione, dall’altro allarmò<br />

i <strong>di</strong>rigenti sovietici, che scorsero nella primavera <strong>di</strong> Praga una concreta<br />

minaccia per il regime comunista e per il patto <strong>di</strong> Varsavia, 36 temendo<br />

un possibile “contagio” nel campo socialista.<br />

La Primavera, il nuovo corso del Partito comunista cecoslovacco che,<br />

accolto e sostenuto dall’opinione pubblica ed in particolare dai giovani, da<br />

quasi un anno si accingeva ad una svolta determinante per democratizzare il<br />

paese sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Alexander Dubcek, era destinata a tramontare.<br />

Durante i mesi <strong>di</strong> giugno e luglio la tensione tra governo cecoslovacco e<br />

paesi alleati continuò a salire irrefrenabilmente e Dubcek e gli altri membri<br />

del PCC <strong>di</strong>sertarono due vertici convocati dal PCUS a Varsavia. Nel corso<br />

<strong>di</strong> alcuni colloqui a Karlovy Vary (17 maggio), a Cierna-nad-Tisu (19 luglio<br />

e 1° agosto) e a Bratislava (3 agosto), Dubcek spese invano parole che potessero<br />

in qualche modo rassicurare i sovietici.<br />

Il secondo vertice fu proprio l’occasione propizia per la presentazione<br />

della cosiddetta “dottrina Breznev”, 37 che anteponeva gli interessi del<br />

Blocco alla sovranità <strong>di</strong> ciascun paese membro. L’invasione della Cecoslovacchia<br />

era annunciata.<br />

36 Il Patto <strong>di</strong> Varsavia o Trattato <strong>di</strong> Varsavia fu un accordo militare tra i paesi del Blocco Sovietico<br />

stipulato per organizzarsi contro l’avversaria Alleanza Atlantica NATO, fondata nel 1949.<br />

Il Patto fu elaborato da Nikita Khruscev nel 1955 e sottoscritto a Varsavia il 14 maggio dello stesso<br />

anno. I membri dell’alleanza promettevano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi reciprocamente in caso <strong>di</strong> aggressione.<br />

Il Patto volse al suo termine il 31 marzo 1991 e fu ufficialmente sciolto durante un incontro<br />

che ebbe luogo a Praga il 1° luglio successivo.<br />

37 La “dottrina Breznev” o dottrina della sovranità limitata, fu una linea della politica<br />

estera sovietica introdotta da Leonid Breznev (da cui prese il nome) durante un <strong>di</strong>scorso tenuto<br />

davanti al quinto congresso del Partito Operaio Unificato Polacco, il 13 novembre 1968. Secondo<br />

tale dottrina, la leadership dell’Unione Sovietica si riservava il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> definire cosa<br />

fossero socialismo e capitalismo. In pratica, a nessuna nazione era concesso <strong>di</strong> lasciare il Patto<br />

<strong>di</strong> Varsavia o interferire con il monopolio del potere da parte del partito comunista, della nazione<br />

stessa e del Blocco orientale. La “dottrina Breznev” venne usata per giustificare l’invasione<br />

della Cecoslovacchia che pose fine alla Primavera <strong>di</strong> Praga nel 1968 ed in seguito venne<br />

sostituita nel 1988 da quella che venne scherzosamente denominata “dottrina Sinatra”.<br />

– 182 –


Tuttavia, già agli inizi <strong>di</strong> agosto vennero riaperte le trattative. Contemporaneamente<br />

a Praga giungevano importanti leader del mondo comunista,<br />

tra cui Tito e Nicolae Ceausescu, per testimoniare il loro sostegno.<br />

Il destino della Primavera <strong>di</strong> Praga era ormai segnato. La stagione delle<br />

riforme ebbe bruscamente termine in quella notte tra il 20 e il 21 agosto<br />

1968, quando le truppe del patto <strong>di</strong> Varsavia, che furono schierate alla frontiera<br />

con l’allora Germania Ovest, per agevolare l’invasione ed impe<strong>di</strong>re<br />

l’arrivo <strong>di</strong> aiuti dall’Occidente, tra cui si stimavano fra i 200.000 e i<br />

600.000 soldati e fra 5.000 e 7.000 veicoli corazzati, invasero ed occuparono<br />

la Cecoslovacchia impedendo così ai riformisti qualsiasi tentativo <strong>di</strong><br />

reazione. Dubcek e altri leader del governo vennero ricevuti a Mosca, dove,<br />

il 24 agosto, furono costretti a dare il loro assenso alla presenza delle truppe<br />

straniere e a bloccare il programma <strong>di</strong> riforme.<br />

Nei mesi a seguire venne avviata la “normalizzazione”. Tutti i protagonisti<br />

della Primavera furono epurati e la vecchia nomenclatura fu ripristinata;<br />

dal PCC furono espulsi centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> iscritti; centinaia <strong>di</strong><br />

migliaia <strong>di</strong> persone persero il lavoro; migliaia furono le condanne e durissime<br />

le pene inflitte.<br />

Il movimento della Primavera, sebbene stroncato dalla repressione dei<br />

normalizzatori sostenuti dalle truppe sovietiche e dal PCUS <strong>di</strong> Breznev, sarebbe<br />

effettivamente durato ancora pochi mesi, anche se i consigli operai<br />

che erano nati a centinaia avrebbero resistito quasi fino alla fine del 1969.<br />

Si trattò dunque, per quello che allora si chiamava “Movimento Operaio Internazionale”,<br />

<strong>di</strong> subire un colpo durissimo, così come fu avvertito con dolore<br />

da molti giovani impegnati attivamente nel movimento del ’68, che<br />

contava tra i suoi motivi ispiratori la lotta contro l’aggressione militare<br />

degli Stati Uniti al piccolo Vietnam. Le proteste operaie contro l’occupazione<br />

militare e a favore del rilancio del programma riformista continuavano<br />

a svolgersi ancora in molte fabbriche, ma la Primavera <strong>di</strong> Praga era<br />

ormai finita. Ancora una volta una nuova generazione si trovava costretta a<br />

fare i conti con il peso del mondo così come era: <strong>di</strong>viso tra due potenze politiche<br />

e militari che in quella fase, anche <strong>di</strong> fronte alla gigantesca <strong>di</strong>versità<br />

dei comportamenti internazionali della Cina, specularmente contenevano,<br />

quando non reprimevano con la violenza, le spinte al cambiamento in tutto<br />

il mondo, spesso in aperta connivenza.<br />

Il 10 gennaio 1969 le speranze della gioventù cecoslovacca e dei <strong>di</strong>rigenti<br />

del nuovo corso svanivano tra le fiamme del rogo <strong>di</strong> Jan Palach (1948-1969),<br />

giovane studente <strong>di</strong> filosofia, appena ventunenne, che dopo essersi cosparso <strong>di</strong><br />

– 183 –


enzina si <strong>di</strong>ede fuoco in piazza San Venceslao a Praga; la lettera che Jan Palach<br />

temeva bruciasse con i suoi abiti e la sua carne, fu letta subito dopo la sua<br />

morte. Era, insieme ai documenti, nel sacco che Jan aveva lasciato cadere<br />

qualche metro più in là, prima <strong>di</strong> accendere il fiammifero. Era scritta su un<br />

quaderno a righe da scolaro: “Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della <strong>di</strong>sperazione<br />

e della rassegnazione, abbiamo deciso <strong>di</strong> esprimere la nostra protesta<br />

e <strong>di</strong> scuotere la coscienza del popolo. 38 Il nostro gruppo è costituito da<br />

volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore <strong>di</strong><br />

estrarre il n. 1, è mio <strong>di</strong>ritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia<br />

umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione <strong>di</strong> Zpravy (il<br />

giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno<br />

esau<strong>di</strong>te entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo<br />

non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale<br />

e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”. La lettera manifesto era firmata<br />

“la torcia n. 1”. Le calunnie postume non intaccarono il ricordo <strong>di</strong> Jan Palach.<br />

Il suo gesto <strong>di</strong>sperato venne seguito come esempio da una ventina <strong>di</strong> giovani<br />

in tutto il paese che decisero <strong>di</strong> estrarsi a sorte uno alla volta e <strong>di</strong> morire<br />

come torce umane. I funerali del giovane si tennero il 25 gennaio. La vicenda<br />

<strong>di</strong> Jan Palach <strong>di</strong>venne icona <strong>di</strong> una Cecoslovacchia silenziosa e angosciata.<br />

Ad aprile, Dubcek venne destituito e sostituito da Gustav Husàk. La situazione<br />

non poteva che suscitare vasta eco nonostante le scarse notizie trapelate<br />

per via della censura. I paesi democratici non poterono che limitarsi a<br />

proteste “verbali”, poiché evidentemente il pericolo <strong>di</strong> confronto nucleare al<br />

tempo della Guerra Fredda non consentiva ai paesi occidentali <strong>di</strong> misurarsi<br />

con la potenza militare sovietica schierata in Europa centrale ed in quanto, secondo<br />

gli accor<strong>di</strong> sottoscritti dalle potenze alleate a Yalta, la Cecoslovacchia<br />

ricadeva nell’area <strong>di</strong> influenza sovietica. Conseguenza imme<strong>di</strong>ata dell’occupazione,<br />

fu un’ondata <strong>di</strong> emigrazione, stimata <strong>di</strong> 300.000 persone in totale,<br />

che interessò in particolar modo citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> elevata qualifica professionale.<br />

La fine della Primavera <strong>di</strong> Praga accentuò la delusione <strong>di</strong> molti militanti <strong>di</strong><br />

sinistra occidentali nei riguar<strong>di</strong> delle teorie leniniste, e fu una delle ragioni dell’affermazione<br />

delle idee eurocomuniste in seno ai partiti comunisti d’occidente.<br />

L’esito finale <strong>di</strong> questa evoluzione determinò la <strong>di</strong>ssoluzione <strong>di</strong> molti <strong>di</strong><br />

questi partiti. Dunque, perché quell’invasione nell’agosto del ’68? E soprattutto<br />

38 Dichiarazione tratta da uno dei quaderni conservati in uno zaino (insieme ad appunti ed<br />

articoli) lontano dalle fiamme del rogo del giovane Jan Palach (1948-1968), studente cecoslovacco<br />

<strong>di</strong>venuto simbolo della resistenza anti-sovietica del suo paese.<br />

– 184 –


in che cosa consistevano la ambizioni <strong>di</strong> quel paese satellite, così brutalmente<br />

calpestate dall’URSS e dai carri armati degli altri paesi del Patto? Ai quesiti posti<br />

da Paolo Tomaselli 39 in un suo articolo sui funerali <strong>di</strong> Jan Palach e sulla<br />

stroncata Primavera <strong>di</strong> Praga, riportiamo la sintetica quanto efficace risposta <strong>di</strong><br />

Francesco Leoncini, 40 docente <strong>di</strong> Storia dei Paesi Slavi all’università Cà Foscari<br />

<strong>di</strong> Venezia in un suo intervento sulle pagine del mensile “Storia e Dossier”,<br />

in cui spiega quale strada avesse imboccato la Cecoslovacchia nel 1968:<br />

“Non erano la Cina <strong>di</strong> Mao né la Cuba <strong>di</strong> Castro i modelli ed i simboli che mobilitavano<br />

le masse cecoslovacche, quel vago terzomon<strong>di</strong>smo sempre in agguato<br />

nella sinistra, soprattutto italiana, ma il maturo convincimento che era<br />

necessario andare avanti nell’umanizzazione della società: questo era stato<br />

l’anelito bruscamente interrotto dopo il 1968; combattevano per mettere l’uomo<br />

al centro della società e non certo gli interessi del capitale o del Partito”. 41<br />

Bibliografia e sitografia:<br />

PEPPINO ORTOLEVA, “I Movimenti del ’68 in Europa e America”, Roma,<br />

E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1988<br />

GUIDO VIALE, “Il ’68 tra rivoluzione e restaurazione”, Milano, Mazzotta<br />

E<strong>di</strong>tore, 1978<br />

Enciclope<strong>di</strong>a Universale Garzanti, 1997<br />

TIZIANO TERZANI, “La porta proibita”, Milano, Longanesi, 1984<br />

MARIE CLAIRE BERGERE, “La Cina dal 1949 ai giorni nostri”, Bologna,<br />

Il Mulino, 1989<br />

http://it.encarta.msn.com/encyclope<strong>di</strong>a_981525108/Primavera_<strong>di</strong>_Praga.html<br />

http://it.wikipe<strong>di</strong>a.org/wiki/Primavera_<strong>di</strong>_Praga<br />

http://cronologia.leonardo.it/storia/a1969g.htm<br />

http://www.guetti.tn.it/e-school/progetti-e-attivita/laboratorio-storico/costruire<br />

storia2004-2005/gruppi/politica_societa/sessantotto/documenti/folder.2005-<br />

06-06-06.2814041935/document.2005-06-06.0610577395<br />

39 Paolo Tommaselli, studente <strong>di</strong> storia dell’università Cà Foscari <strong>di</strong> Venezia, ha redatto un<br />

articolo sull’entrata dei carri armati sovietici a Praga (brano tratto da “Storia in Network”).<br />

40 Francesco Leoncini è un ricercatore universitario al <strong>di</strong>partimento <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> storici dell’Università<br />

Cà Foscari <strong>di</strong> Venezia.<br />

41 Intervento <strong>di</strong> Francesco Leoncini sulle pagine del numero 126 dell’aprile 1999 del mensile<br />

“Storia e Dossier”.<br />

– 185 –


CAPITOLO II<br />

LA CULTURA FILOSOFICA DELLA CONTESTAZIONE GLOBALE:<br />

MITI E UTOPIE<br />

“Un’esperienza nuova per il nostro tempo è entrata nel gioco politico: ci si<br />

è accorti che agire è <strong>di</strong>vertente. Questa generazione ha scoperto quella che il<br />

<strong>di</strong>ciottesimo secolo aveva chiamato la felicità pubblica, il che vuol <strong>di</strong>re che quando<br />

l’uomo partecipa alla vita pubblica apre a se stesso una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> esperienza<br />

umana che altrimenti gli rimane preclusa, e che in qualche modo rappresenta<br />

parte <strong>di</strong> una felicità completa”.<br />

Hannah Arendt<br />

È veramente <strong>di</strong>fficile, per noi “nipoti” del ’68, spogliare quest’anno <strong>di</strong><br />

tutte le connotazioni mitiche e fantastiche, attribuitegli nel corso degli anni.<br />

La comprensione <strong>di</strong> un movimento così ricco e fecondo, procede <strong>di</strong> pari<br />

passo con l’eliminazione <strong>di</strong> tutte quelle ricostruzioni reducistiche, che tendono<br />

a ricercare il ’68 nei suoi fenomeni <strong>di</strong> superficie. Non sono, infatti, le<br />

manifestazioni studentesche o le occupazioni universitarie ad esprimere il<br />

carattere sostanzialmente unitario della Contestazione. Ma il fatto che fu<br />

una Rivoluzione culturale, nella quale dominante era quell’atmosfera <strong>di</strong> fermenti<br />

ideologici e sentimentali che permeavano tutto il mondo giovanile.<br />

Ed è questa stessa Rivoluzione (nella quale larga parte ebbe tra gli studenti<br />

la lettura e l’interpretazione del “Che fare?” <strong>di</strong> Lenin del 1902), a produrre<br />

due tendenze <strong>di</strong> fondo. Scrive Enzo Peserico: “la prima tendenza, quella<br />

che si manifesta nella rivoluzione politica, e il cui tipo antropologico è incarnato<br />

dal rivoluzionario <strong>di</strong> professione (La mia vita per la Rivoluzione),<br />

mostra il volto del ’68 a livello macrosociale. La seconda invece, rappresentata<br />

dal rivoluzionario d’elezione (La mia vita come Rivoluzione) e che<br />

può essere definita rivoluzione in interiore homine, mostra il volto del ’68 a<br />

livello dei comportamenti in<strong>di</strong>viduali e collettivi”. 42<br />

È facile capire quale delle due tendenze abbia finito per essere dominante.<br />

L’Italia degli anni ’60 era, infatti, un Paese che facilmente si prestava<br />

ad una <strong>di</strong>ffusa situazione <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione, soprattutto giovanile, nella<br />

quale un ruolo principale ricopriva la <strong>di</strong>sgregazione dei valori socialmente<br />

costituiti (oltre che del corpo sociale in sé).<br />

42 E. Peserico, “Gli anni del desiderio e del piombo”, Quaderni <strong>di</strong> Cristianità, anno II, n° 5,<br />

Piacenza 1986.<br />

– 186 –


Ed ecco così che da tale “humus sociale”, gravido sì <strong>di</strong> frustrazioni e<br />

speranze deluse, ma proprio per questo ancor più ricco e fecondo <strong>di</strong> desideri<br />

<strong>di</strong> riconquista, comincia a <strong>di</strong>ffondersi (anche grazie allo spregiu<strong>di</strong>cato e paziente<br />

influsso <strong>di</strong> molti “cattivi maestri”) l’utopia della Rivoluzione comunista.<br />

Si scorgono infatti nella teoria rivoluzionaria <strong>di</strong> Karl Marx e <strong>di</strong> Vla<strong>di</strong>mir<br />

Ilijè Uljanov detto Lenin (1870-1924), le risposte a quelle ansie e a<br />

quei desideri <strong>di</strong> un mondo nuovo e perfetto tanto ricercate (ossia l’aspetto<br />

utopico della contestazione). Il principale retroterra ideologico e culturale <strong>di</strong><br />

quest’anno così sconvolgente, è quello comunemente definito “terzomon<strong>di</strong>smo”.<br />

Una particolare attenzione e solidarietà verso le lotte rivoluzionarie<br />

dei popoli più poveri, lontani dalla realtà occidentale, anima i giovani. La<br />

formula <strong>di</strong> Mao Tse-Tung (1893-1976) “fuoco sul quartier generale” ha<br />

un’eco enorme: è tempo <strong>di</strong> intraprendere un cammino che sia davvero rivoluzionario,<br />

svincolato dalla tutela dei partiti comunisti filosovietici troppo<br />

moderati. È necessario tornare al messaggio originario delle organizzazioni<br />

comuniste: “fare la rivoluzione”. Le lotte dei Vietcong contro gli americani<br />

entusiasmano le piazze <strong>di</strong> tutto il mondo. L’icona <strong>di</strong> Ernesto Che Guevara<br />

(1928-1967), morto nel ’67 cercando <strong>di</strong> organizzare la rivoluzione in Bolivia,<br />

e il suo slogan “Uno, due, tre, molti Vietnam”, si impongono con<br />

forza. Sono tutti miti che rafforzano l’ideologia, e che, se efficacemente<br />

propagandati, arricchiscono la”fede” nella vittoria della Rivoluzione.<br />

Ecco allora che un tale clima culturale ha l’effetto <strong>di</strong> rendere, quello dei<br />

rivoluzionari <strong>di</strong> professione, un fenomeno <strong>di</strong>lagante: scuole e fabbriche accolgono<br />

sempre più gruppi rivoluzionari. L’ideologia giustifica ogni comportamento<br />

e lo eleva ad atto morale. I problemi <strong>di</strong> coscienza trovano la<br />

loro imme<strong>di</strong>ata risposta ne “I compiti delle associazioni giovanili”. Scrive<br />

Lenin: “Ma esiste una morale comunista? Esiste un’etica comunista?<br />

Certo, esiste. [...] La nostra etica scaturisce dagli interessi della lotta <strong>di</strong><br />

classe del proletariato”. 43<br />

Molti dei giovani leader della contestazione originano tra il ’68 e il ’69,<br />

gruppi extraparlamentari, caratterizzati da un netto rifiuto dello stato borghese<br />

e delle sue istituzioni. Alcuni <strong>di</strong> essi nascono dalla fortunata esperienza<br />

<strong>di</strong> assemblee ed occupazioni, altri sono gli ere<strong>di</strong> della sinistra ra<strong>di</strong>cale<br />

degli anni ’60, quella dei primi gruppi maoisti, dei “Quaderni rossi” e<br />

dei “Quaderni piacentini”. Iniziano ad emergere <strong>di</strong>verse componenti nel<br />

43 Lenin, “I compiti delle associazioni giovanili”, Opere complete, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />

1967, vol. 31, pp. 278-280.<br />

– 187 –


movimento, che pur conservando ognuna la propria identità ideologica,<br />

sono tutte caratterizzate da intenti rivoluzionari. Molti, seppur formalmente,<br />

si ispirano a Mao Tse-Tung, sebbene <strong>di</strong> stretta osservanza maoista siano<br />

solo il Partito Comunista d’Italia Marxista-Leninista e quello riunito da<br />

Aldo Bran<strong>di</strong>rali intorno al giornale “Servire il Popolo”. Quest’ultimo, che<br />

raccoglie <strong>di</strong>ecimila aderenti, presenta un programma <strong>di</strong> governo scritto nei<br />

dettagli e celebra tra i suoi componenti matrimoni rossi. Il Movimento Studentesco,<br />

i cui maggiori leader sono Mario Capanna e Luca Cafiero (registi<br />

del lancio delle uova alla “prima” della Scala il 7 <strong>di</strong>cembre contro la borghesia<br />

milanese), si attesta invece su posizioni staliniste. È un movimento<br />

caratterizzato da una rigida struttura organizzativa, dotato <strong>di</strong> un servizio<br />

d’or<strong>di</strong>ne, i Catanga, molto violento (anche nei confronti degli altri gruppi <strong>di</strong><br />

sinistra). Ma sono i gruppi che si richiamano all’operaismo dei “Quaderni<br />

rossi” la vera novità, sia per il loro spessore teorico che per forza <strong>di</strong> aggregazione.<br />

Toni Negri, Oreste Scalzone, Franco Piperno fondano nel 1969 il<br />

“Potere Operaio”, riappropriandosi del concetto <strong>di</strong> centralità operaia, nella<br />

quale la forza propulsiva della rivoluzione risiede nello spontaneismo dei<br />

lavoratori <strong>di</strong> fabbrica. Pur mantenendo sempre il carattere operaista, ma più<br />

spiccatamente libertaria e più attenta ai movimenti <strong>di</strong> piazza, “Lotta Continua”,<br />

fondata da Adriano Sofri, Luigi Manconi e Guido Viale, è l’unica organizzazione<br />

ad ottenere maggior seguito e a praticare la “controinformazione”<br />

(ovvero la raccolta <strong>di</strong> notizie sul sistema <strong>di</strong> potere politico ed economico).<br />

Lotta Continua, sensibile e vicina ai problemi sociali, cercherà<br />

sempre un <strong>di</strong>fficile equilibrio tra uso <strong>di</strong>fensivo della violenza e rifiuto del<br />

terrorismo.<br />

Per i giovani <strong>di</strong> questa Rivoluzione, il mondo era tutto un fermento <strong>di</strong><br />

protesta e <strong>di</strong> lotta, che sembrava rendere concreta la speranza <strong>di</strong> una trasformazione<br />

ra<strong>di</strong>cale.<br />

In realtà, per lo meno inizialmente, il movimento <strong>di</strong> protesta italiano<br />

manifesta il punto debole nella propria base sociale, costituita non tanto da<br />

proletari, quanto piuttosto da studenti e piccolo borghesi. A rendersene<br />

subito conto è l’intellettuale Pier Paolo Pasolini. Scrive all’indomani della<br />

battaglia <strong>di</strong> Valle Giulia (1° marzo 1968) nella celebre poesia intitolata “Il<br />

PCI ai giovani”:<br />

“[...] Adesso i giornalisti <strong>di</strong> tutto il mondo (compresi<br />

quelli delle televisioni)<br />

vi leccano (come credo ancora si <strong>di</strong>ca nel linguaggio<br />

delle Università) il culo. Io no, amici.<br />

– 188 –


Avete facce <strong>di</strong> figli <strong>di</strong> papà.<br />

Buona razza non mente.<br />

Avete lo stesso occhio cattivo.<br />

Siete paurosi, incerti, <strong>di</strong>sperati<br />

(benissimo!) ma sapete anche come essere<br />

prepotenti, ricattatori e sicuri:<br />

prerogative piccolo-borghesi, amici.<br />

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte<br />

coi poliziotti<br />

io simpatizzavo coi poliziotti!<br />

Perché i poliziotti sono figli dei poveri.<br />

Vengono da periferie, conta<strong>di</strong>ne o urbane che siano.<br />

Quanto a me, conosco assai bene,<br />

il loro modo <strong>di</strong> esser stati bambini e ragazzi<br />

le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,<br />

a causa della miseria, che non dà autorità [...]”<br />

Quello del ’68 è comunque un movimento che ha inciso più sul<br />

costume e sui comportamenti sociali, che sulla politica. La connotazione<br />

classista del sistema scolastico (denunciata anche da una parte del mondo<br />

cattolico a partire da Don Lorenzo Milani, 44 il priore della chiesa, insegnante<br />

della scuola <strong>di</strong> Barbiana, che attraverso il racconto delle sue esperienze<br />

<strong>di</strong> insegnamento, denunciava i vizi, le ipoteche classiste che ancora<br />

segnavano la scuola italiana) e l’autoritarismo accademico (espressione<br />

della recettività passiva da parte dello studente) sono gli aspetti fondamentali<br />

della contestazione. Il sistema capitalistico e le organizzazioni della sinistra,<br />

a causa della loro “non-volontà” (noluntas), della loro rinuncia nella<br />

trasformazione ra<strong>di</strong>cale del presente, sono nel mirino della critica del movimento<br />

studentesco. I <strong>di</strong>versi aspetti del pensiero critico e <strong>di</strong> protesta sociale<br />

che avevano caratterizzato gli anni ’60 (e che in parte risalivano in<strong>di</strong>etro<br />

alle rivoluzioni novecentesche), confluirono nella cultura del movimento rivoluzionario:<br />

dai fermenti terzomon<strong>di</strong>sti, alla filosofia della Scuola <strong>di</strong> Francoforte<br />

e <strong>di</strong> Herbert Marcuse nel suo celebre “Uomo a una <strong>di</strong>mensione”, 45<br />

dal movimento libertario giovanile sviluppatosi negli anni del “beat italiano”,<br />

all’“antipsichiatria” praticata da Franco Basaglia 46 nell’ospedale <strong>di</strong><br />

Gorizia (il rifiuto <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> oppressione e segregazione, avevano<br />

reso la psichiatria e l’ospedale psichiatrico una questione culturale e poli-<br />

44 L. Milani, “Lettera a una professoressa”, Libreria Ed. Fiorentina, 1967.<br />

45 H. Marcuse, “L’uomo a una <strong>di</strong>mensione”, Einau<strong>di</strong>, 1967.<br />

46 F. Basaglia, “L’istituzione negata”, Einau<strong>di</strong>, 1968.<br />

– 189 –


tica, tanto che Basaglia sarà l’ispiratore della famosa legge n. 180 che nel<br />

1978, dopo un iter parlamentare sofferto, abolirà tutti i manicomi), fino al<br />

femminismo (il quale però, nel ’68 restava ancora allo stato <strong>di</strong> latenza,<br />

pronto poi a esplodere negli anni Settanta). La predominanza dell’intensità<br />

culturale <strong>di</strong> questo movimento non fu solo il frutto della massiccia partecipazione<br />

<strong>di</strong> studenti ed élite, ma il risultato dei suoi obiettivi polemici. Diversamente<br />

dai movimenti sociali e politici del dopoguerra europeo, bersaglio<br />

polemico del ’68 era tanto la società capitalistica nella forma che andava<br />

assumendo (società dell’opulenza, dei consumi e della tolleranza repressiva,<br />

come ricordava Marcuse), quanto le forme e le istituzioni depositarie<br />

della sinistra europea figlia della rivoluzione d’ottobre. Un vento <strong>di</strong> filosofica<br />

follia, un’ondata <strong>di</strong> provocatoria giovinezza, la volontà <strong>di</strong> riappropriarsi<br />

ed essere interpreti privilegiati del proprio destino e dell’azione rivoluzionaria:<br />

ecco i motivi tipici del ’68.<br />

“Un comune denominatore sociale del movimento sembra fuori <strong>di</strong>scussione,<br />

ma è anche vero che psicologicamente questa generazione sembra<br />

dappertutto caratterizzata dal semplice coraggio, da una sorprendente volontà<br />

<strong>di</strong> agire e da una non meno sorprendente fiducia nella possibilità <strong>di</strong><br />

cambiamento. Ma queste qualità non sono cause, e se ci si domanda che<br />

cosa ha effettivamente provocato questa evoluzione del tutto inaspettata<br />

nelle Università <strong>di</strong> tutto il mondo, sembra assurdo ignorare il più ovvio e<br />

forse il più potente dei fattori, per il quale, per giunta, non esistono precedenti<br />

né analogie: il semplice fatto che il ‘progresso’ tecnologico porta in<br />

molti casi <strong>di</strong>rettamente al <strong>di</strong>sastro, cioè che le scienze, insegnate e apprese<br />

da questa generazione, sembrano non soltanto incapaci <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare le<br />

<strong>di</strong>sastrose conseguenze della propria tecnologia ma hanno anche raggiunto<br />

un livello tale <strong>di</strong> sviluppo per cui non è rimasta neanche una maledetta<br />

cosa che uno possa fare e che non possa venire trasformata in guerra”.<br />

“Siamo contro le leggi che regolano l’insegnamento universitario, contro<br />

l’autoritarismo del corpo accademico”, “Siate realisti, chiedete l’impossibile”,<br />

“Vogliamo tutto”, “L’immaginazione al potere”, “Sapere è potere”: 47<br />

ecco le richieste <strong>di</strong> piazza. Cadono tutti i limiti che separano l’uomo dall’ebbrezza<br />

del vivere la propria vita “fino all’ultimo respiro”. Si respinge<br />

tutto perché si manca del poco. E paradossalmente, i principi car<strong>di</strong>ne attorno<br />

cui ruota la vita o<strong>di</strong>erna, famiglia, patria e Dio, sono proprio i bersagli<br />

47 H. Arendt, “Politica e menzogna”, Milano, 1985.<br />

– 190 –


polemici <strong>di</strong> quegli anni. Persino l’ossessione del pensiero politico <strong>di</strong> allora,<br />

il Potere, oggi non è più sinonimo <strong>di</strong> prevaricazione, ma <strong>di</strong> protezione per i<br />

citta<strong>di</strong>ni.<br />

“[...] Venite madri e padri attraverso i paesi e non criticate quello che<br />

non potete capire i vostri figli e le vostre figlie sono al <strong>di</strong> fuori del vostro<br />

comando la vostra vecchia via è invecchiata rapidamente. Per favore lasciate<br />

spazio alle novità e non potete dare una mano perché i tempi stanno<br />

cambiando. [...]”. Siamo nel 1964 e Bob Dylan, con la sua “The Times<br />

They Are Changin’”, si annuncia già portavoce <strong>di</strong> quella generazione sognatrice<br />

e sovversiva, che aveva anticipatamente percepito quale valore rivoluzionario<br />

l’immaginazione (intesa come senso <strong>di</strong> responsabilità) potesse<br />

avere sotto forma <strong>di</strong> politica.<br />

Per la prima volta, un senso <strong>di</strong> liberazione e comunione allo stesso<br />

tempo, pervade le anime <strong>di</strong> tutti i giovani del mondo. Il concetto <strong>di</strong> rivoluzione<br />

è infatti permeato <strong>di</strong> una valenza universale: la possibilità <strong>di</strong> appropriarsi<br />

della propria vita e <strong>di</strong> <strong>di</strong>venirne gli effettivi soggetti esecutori.<br />

Questa grande rivolta studentesca, per la sua prospettiva globale, fu l’ultima<br />

risonanza della vecchia rivoluzione mon<strong>di</strong>ale.<br />

La sua universalità non è solo legata all’ideologia della tra<strong>di</strong>zione rivoluzionaria<br />

(che dal 1789 al 1917 era universale ed internazionalista), ma<br />

soprattutto al fatto che il mondo era effettivamente globale. Il tentativo rivoluzionario<br />

che caratterizza la rivolta non fu solo nel tra<strong>di</strong>zionale senso<br />

utopistico del rovesciamento permanente dei valori e dell’instaurazione <strong>di</strong><br />

una società perfetta, ma nel senso pratico che lo <strong>di</strong>stingue. La sua importanza<br />

viene riscoperta anche e soprattutto attraverso le parole <strong>di</strong> un grande<br />

filosofo: Immanuel Kant (1724-1804). Il mezzo rivoluzionario rivela infatti<br />

all’uomo la chiave <strong>di</strong> trasformazione dell’esistente, della società e<br />

della storia. La sua rilevanza, come ben precisa Kant, non risiede tanto<br />

nell’effettivo successo e riscontro pratico, quanto piuttosto nella capacità<br />

che la rivoluzione ha <strong>di</strong> porre l’uomo faccia a faccia col proprio destino.<br />

“Ora io” scrive Kant, “pur senza le doti del veggente, affermo <strong>di</strong> poter pre<strong>di</strong>re<br />

al genere umano, in base alle figure e ai segni dei nostri giorni, il raggiungimento<br />

<strong>di</strong> questo fine e con ciò anche, <strong>di</strong> qui in poi, un suo progresso<br />

verso il meglio che non si trasformi più in un suo totale regresso. Infatti un<br />

tale fenomeno, nella storia degli uomini non si <strong>di</strong>mentica più, poiché ha rivelato<br />

una <strong>di</strong>sposizione e una facoltà al miglioramento della natura<br />

umana, quali nessun politico avrebbe potuto arguire nel corso delle cose<br />

sino a quel momento e che soltanto natura e libertà riunite nel genere<br />

– 191 –


umano secondo princìpi interni al <strong>di</strong>ritto, ma solo in modo indeterminato<br />

riguardo al tempo e come evento contingente, potevano promettere. Anche<br />

quando il fine che questo avvenimento permette <strong>di</strong> scorgere non fosse ora<br />

raggiunto, anche quando la rivoluzione o riforma della costituzione <strong>di</strong> un<br />

popolo, alla fine, fallisse; oppure, se anche dopo questa costituzione fosse<br />

stata realizzata per qualche tempo, tutto venisse ricondotto all’antico<br />

corso [...] quella profezia filosofica non perderebbe tuttavia nulla della<br />

sua forza. Infatti quell’avvenimento è troppo grande, troppo legato all’interesse<br />

dell’umanità e troppo esteso nel suo influsso sul mondo in tutte le<br />

sue parti, perché non debba essere riportato alla memoria dei popoli e a<br />

ogni riproporsi <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni favorevoli, e risvegliato al fine <strong>di</strong> ripetere<br />

nuovi tentativi della stessa specie: poiché, infine, in una questione così importante<br />

per il genere umano, in un qualche momento la costituzione che si<br />

ha <strong>di</strong> mira deve necessariamente raggiungere quella saldezza che l’appren<strong>di</strong>mento<br />

da una o più frequente esperienza non mancherà <strong>di</strong> produrre<br />

nell’anima <strong>di</strong> ognuno”. 48<br />

Si può ben affermare che l’ideologia <strong>di</strong> cui si nutrì il ‘68 deve molto<br />

allo sviluppo e al programma della Scuola <strong>di</strong> Francoforte, <strong>di</strong> cui fecero<br />

parte alcuni dei più gran<strong>di</strong> teorici del suddetto movimento (Adorno,<br />

Fromm, Marcuse, ecc.). Essa presenta un’impostazione “socialista” e “materialista”,<br />

o per meglio <strong>di</strong>re una concezione <strong>di</strong>alettica del marxismo, criticando<br />

aspramente il metodo delle scienze sociali o “positive”; a queste ultime<br />

si rimproverava un approccio meccanicistico alla realtà, il limitarsi ad<br />

una registrazione dei fenomeni, insomma <strong>di</strong> non vedere che la realtà è lacerata<br />

da contrad<strong>di</strong>zioni; per gli appartenenti alla Scuola la realtà non è<br />

sempre quel che deve essere (la concezione hegeliana del “Tutto ciò che è<br />

reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale” viene completamente<br />

annullata), in cui le contrad<strong>di</strong>zioni vengono superate in nome <strong>di</strong> una superiore<br />

armonia, ma essa è un continuo <strong>di</strong>venire, in cui stasi equivale alla<br />

morte del sistema.<br />

L’accento si pone sulla totalità e sulla <strong>di</strong>alettica: la ricerca non si risolve<br />

in indagini specializzate e settoriali, ma tende ad esaminare le relazioni che<br />

reciprocamente legano gli ambiti storico-economici con quelli socio-culturali,<br />

per una visione globale e critica della società contemporanea.<br />

48 I. Kant, citato in “Archivio Foucault”, cit., p. 259.<br />

– 192 –


Interessante è quanto Horkheimer scrive nei primi anni della Scuola:<br />

“Al metodo orientato sull’essere e non sul <strong>di</strong>venire, corrispondeva il modo<br />

<strong>di</strong> considerare la forma <strong>di</strong> società esistente come un meccanismo <strong>di</strong> processi<br />

che si ripetono sempre uguali, che può essere bensì <strong>di</strong>sturbato per un<br />

tempo più o meno lungo, ma che comunque non richiede un comportamento<br />

scientifico <strong>di</strong>verso dalla spiegazione <strong>di</strong> una macchina complicata”. 49<br />

La teoria critica fa emergere le contrad<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> cui la società capitalistica<br />

è intrisa; il teorico critico è quel teorico la cui unica preoccupazione<br />

consiste in uno sviluppo che conduca ad una società senza sfruttamento. La<br />

teoria critica vuole essere comprensione totalizzante e <strong>di</strong>alettica della società<br />

umana nel suo complesso, dei meccanismi della società industriale<br />

avanzata, al fine <strong>di</strong> promuoverne una trasformazione razionale che tenga<br />

conto dell’uomo, della sua libertà, della sua creatività in una collaborazione<br />

aperta con gli altri, piuttosto che <strong>di</strong> un sistema opprimente e autoritario.<br />

Per venir correttamente intese, le teorie della Scuola <strong>di</strong> Francoforte debbono<br />

essere adeguatamente inquadrate nel periodo storico in cui furono elaborate.<br />

Questa è l’età in cui gli uomini del dopoguerra portano i segni dell’esperienza<br />

totalitaria, sia essa il fascismo, il nazismo, lo stalinismo; dopo aver<br />

attraversato l’uragano della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, hanno assistito poi allo<br />

sviluppo irrefrenabile della società tecnologica avanzata, così che al centro<br />

delle riflessioni dei Francofortesi troviamo sia le più importanti questioni politiche,<br />

come anche quei problemi teorici sui quali aveva indugiato il Marxismo<br />

occidentale in contrasto con i Neokantiani, contrasto che i Francofortesi<br />

allargheranno anche all’Esistenzialismo e al Neopositivismo. Il fascismo,<br />

il nazismo, lo stalinismo, la guerra fredda, la società opulenta, la rivoluzione<br />

mancata, da una parte; e, dall’altra, il rapporto tra Hegel e il Marxismo<br />

e tra questo e le correnti filosofiche contemporanee, come anche l’arte<br />

d’avanguar<strong>di</strong>a, la tecnologia, l’industria culturale, la psicoanalisi e il problema<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo nella società o<strong>di</strong>erna, sono tutti temi che s’intersecano<br />

all’interno della riflessione degli esponenti della Scuola <strong>di</strong> Francoforte.<br />

In particolare Erich Fromm in “Fuga dalla libertà” 50 ha messo in evidenza<br />

come l’uomo nasca, quando “viene strappato all’originaria unione<br />

con la natura che caratterizza l’esistenza animale”. Ma fino a questo momento<br />

l’uomo rimane fondamentalmente solo.<br />

49 www.geocities.com/Athens/Delphi/Francoforte.html<br />

50 Fromm E., “Fuga dalla Libertà”, Mondadori, Milano, 1994 (I e<strong>di</strong>z. 1941).<br />

– 193 –


La realtà è che l’uomo che si <strong>di</strong>stacca dal mondo fisico e sociale,<br />

l’uomo cioè che <strong>di</strong>venta libero, prendendo coscienza dei propri atti, della<br />

propria scelta e dei propri pensieri, non sempre riesce ad accettare il peso<br />

della libertà, e cede allora al “conformismo gregario” ubbidendo passivamente<br />

a norme stabilite, aggregandosi ad un gruppo <strong>di</strong> cui pensa e sente <strong>di</strong><br />

essere parte ma in realtà ne è solo un ingranaggio. In questo modo, l’uomo,<br />

che va alla ricerca della sua vera identità e della sua vera essenza, trova solo<br />

false libertà e false identità, perdendo la sua salute mentale (il lavoro nella<br />

moderna società industriale, come ben evidenzierà Marcuse, abbandona<br />

l’iniziale carattere creativo per assumere una veste autoritaria).<br />

E ancora, in “La <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza come problema psicologico e morale” 51<br />

il filosofo riporta come nella tra<strong>di</strong>zione si sia sempre ritenuto l’obbe<strong>di</strong>enza<br />

una virtù e la <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza un vizio. Ma a questo atteggiamento Fromm<br />

contrappone la prospettiva secondo cui “la storia dell’uomo è cominciata<br />

con un atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza, ed è tutt’altro che improbabile che si concluda<br />

con un atto <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>enza”. Adamo ed Eva “stavano dentro la natura<br />

così come il feto sta dentro l’utero della madre”. Ma il loro atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza<br />

ha scisso il legame originario con la natura e li ha resi in<strong>di</strong>vidui: “il<br />

peccato originale, piuttosto che corrompere l’uomo, lo ha reso consapevole<br />

della sua libertà permettendo l’inizio della sua storia. L’uomo ha dovuto<br />

abbandonare il para<strong>di</strong>so terrestre per imparare a <strong>di</strong>pendere dalle proprie<br />

forze e <strong>di</strong>ventare pienamente umano”. E come ci insegna il “delitto” <strong>di</strong> Prometeo<br />

(che ruba il fuoco agli dei e “pone le fondamenta dell’evoluzione<br />

umana”), sono successivi atti <strong>di</strong> <strong>di</strong>subbi<strong>di</strong>enza che rendono possibile l’evoluzione<br />

e il progresso. Anche lo sviluppo intellettuale dell’uomo ha la sua<br />

ragion d’essere nella capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re: <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re a qualsiasi forma<br />

<strong>di</strong> autorità e <strong>di</strong> antica credenza che tentasse <strong>di</strong> reprimere nuove idee, considerando<br />

ogni rinnovamento <strong>di</strong> per sé vuoto e inutile al fine <strong>di</strong> aiutare<br />

l’uomo nel raggiungimento della felicità.<br />

Una persona <strong>di</strong>venta libera e cresce me<strong>di</strong>ante atti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza. La<br />

capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re è, pertanto presupposto della libertà. E la libertà rappresenta<br />

la capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re: “Se ho paura della libertà non posso<br />

osare <strong>di</strong> <strong>di</strong>re no, non posso avere il coraggio <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>ente. In effetti,<br />

la libertà e la capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re sono inseparabili”. E sono esse<br />

che stanno alla base della nascita e della crescita dell’uomo in quanto tale.<br />

51 www.geocities.com/Athens/Delphi/Francoforte.html<br />

– 194 –


Ebbene, <strong>di</strong>ce Fromm: “nell’attuale fase storica, la capacità <strong>di</strong> dubitare, <strong>di</strong><br />

criticare e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re può essere tutto ciò che si interpone tra un futuro<br />

per l’umanità e la fine della civiltà”.<br />

Il più grande dei filosofi del Gran Rifiuto nei confronti della società tecnologica<br />

ed in generale uno dei più gran<strong>di</strong> nemici della moderna e stereotipata<br />

società fu Herbert Marcuse.<br />

Carattere fondamentale della sua impostazione è la negazione sistematicamente<br />

attuata nei confronti <strong>di</strong> tutto ciò che è “realtà”, perché la realtà<br />

è menzogna, ipocrisia, illusione. Si è precedentemente affermato che uno<br />

dei presupposti epistemologici dei Francofortesi si realizza attraverso una<br />

coscienza critica fortemente connotata in senso negativo: ossia attraverso<br />

“la negazione <strong>di</strong> ciò che appare evidente, il non sod<strong>di</strong>sfarsi <strong>di</strong> quel che è<br />

dato”. 52 Una coscienza critica che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto accade ad Adorno<br />

e Horkheimer, in Marcuse <strong>di</strong>venta assoluta permeando <strong>di</strong> sé tutta la sua<br />

produzione. Si potrebbe definire così il modo <strong>di</strong> confrontarsi con il reale “<strong>di</strong><br />

sinistra”; non è scorretto definirlo tale a patto che si riconosca a tale definizione<br />

un carattere progressista e rivoluzionario. La forza <strong>di</strong> tali pensatori è<br />

nel pensiero critico, nella volontà <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare il reale, rendendo, secondo<br />

il movimento <strong>di</strong>alettico, la realtà armonica con i principi della ragione.<br />

“La filosofia <strong>di</strong>venta negativa nel momento in cui cerca <strong>di</strong> demistificare<br />

la realtà sociale, giungendo alla conclusione che la verità, lungi dall’identificarsi<br />

con la realtà, resta ancora da scoprire”. 53<br />

Marx e Freud, insieme a Hegel, rappresentano i suoi punti <strong>di</strong> riferimento:<br />

da Marx assume il concetto <strong>di</strong> alienazione, grazie ad Hegel si impadronisce<br />

del concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica come <strong>di</strong>namica negativa, da Freud – per il<br />

quale il principio del piacere è alternativo al principio <strong>di</strong> realtà – concepisce<br />

che la civiltà deriva dalla continua repressione degli istinti: istinti che dovrebbero<br />

necessariamente essere “liberati” affinché l’uomo possa essere<br />

realmente felice.<br />

Il punto <strong>di</strong> partenza è dal negativo, da esso prende avvio lo sviluppo: le<br />

libertà che le democrazie occidentali consentono sono, in realtà, forme <strong>di</strong><br />

costrizione mentale e materiale molto raffinate. Il benessere stesso, creato<br />

dal mercato, altro non è che un sistema subdolo, finalizzato alla strumentalizzazione<br />

delle coscienze.<br />

52 F. Agostini, “Analitici e Continentali”, Raffaello Cortina e<strong>di</strong>tore, Milano, 2000, pag. 63.<br />

53 Porto M., “Introduzione a Marcuse”, Lacaita E<strong>di</strong>tore, Manduria, 1998, pag. 13.<br />

– 195 –


La prima fase dell’attività filosofica <strong>di</strong> Marcuse è caratterizzata dall’influenza<br />

congiunta <strong>di</strong> Heidegger e Marx, infatti egli si pone il problema dell’autenticità<br />

del reale in termini <strong>di</strong> prassi. Il progetto fallì perché non aveva<br />

identificato la decisione con la rivoluzione, quin<strong>di</strong> non aveva riconosciuto<br />

nel proletariato il vero protagonista. Diventa necessario per il filosofo rifarsi<br />

al marxismo: materiale per la costruzione <strong>di</strong> una nuova umanità era fornito<br />

dai Manoscritti del 1844, nei quali il lavoro non alienato era presentato<br />

come il mezzo con cui l’uomo realizza se stesso; esso era per Marcuse il<br />

modo <strong>di</strong> essere dell’esistenza umana nel mondo. Nel saggio “Sul carattere<br />

affermativo della cultura”, 54 egli sosteneva che il carattere specifico dell’ideologia<br />

borghese consiste nel rendere lo spirito del mondo autonomo, superiore<br />

e separato dai bisogni materiali. In tal modo, la felicità (ed anche la<br />

sessualità) è tenuta lontano dalla realtà quoti<strong>di</strong>ana, in un misterioso ascetismo<br />

al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplinare e tenere a freno le masse insod<strong>di</strong>sfatte ed eversive.<br />

La mancanza <strong>di</strong> felicità è risultato <strong>di</strong> una società irrazionale, quin<strong>di</strong><br />

nella con<strong>di</strong>zione storica attuale la felicità è irraggiungibile.<br />

Nell’opera “Ragione e Rivoluzione” 55 mette in rilievo il carattere rivoluzionario<br />

della ragione hegeliana, che contiene sempre una spinta critica e<br />

negativa. Per essa, appunto, i fenomeni storici possono esser compresi solo<br />

considerandoli come parte <strong>di</strong> una totalità. Si riscontra, però, una mentalità<br />

pessimistica riguardo le connessioni tra progresso tecnologico ed emancipazione<br />

umana, quin<strong>di</strong> sulla considerazione del socialismo come sviluppo e<br />

<strong>di</strong>ssoluzione del capitalismo. Il miglioramento della produzione è corrisposto<br />

al venir meno della coscienza rivoluzionaria e l’instaurarsi <strong>di</strong> una<br />

morale repressiva. Dunque, il socialismo reale non è altro che un’espressione,<br />

insieme con il capitalismo, dei caratteri repressivi della società industriale<br />

avanzata.<br />

Per comprendere tali caratteri in “Eros e Civiltà”, 56 interpretando in<br />

chiave progressista il pensiero freu<strong>di</strong>ano, rivede il modo <strong>di</strong> costituirsi della<br />

civiltà. La civiltà, secondo Freud, inizia quando l’umanità per sopravvivere,<br />

rinuncia al sod<strong>di</strong>sfacimento imme<strong>di</strong>ato delle proprie pulsioni e sostituisce al<br />

principio del piacere il principio <strong>di</strong> realtà. Ciò comporta la repressione degli<br />

istinti, implicando una mo<strong>di</strong>ficazione degli stessi: l’unico modo è imporre<br />

54 Marcuse H., “Sul carattere affermativo della cultura”, Cultura e società, 1963 (I e<strong>di</strong>z.<br />

1937).<br />

55 Marcuse H., “Ragione e Rivoluzione”, Il Mulino, Bologna, 1997 (I e<strong>di</strong>z. 1941).<br />

56 Marcuse H., “Eros e Civiltà”, Piccola Biblioteca Einau<strong>di</strong>, Torino, 2001 (I e<strong>di</strong>z. 1955).<br />

– 196 –


ai membri della società il lavoro, sublimando le loro energie dell’attività<br />

sessuale in attività utili. Le regole della convivenza sociale sono la base<br />

della repressione, che risulta quin<strong>di</strong> necessaria.<br />

La mo<strong>di</strong>ficazione repressiva degli istinti, secondo Freud, ha la sua ragion<br />

d’essere nella lotta primor<strong>di</strong>ale per l’esistenza. Tuttavia Marcuse all’inventore<br />

della psicoanalisi contesta il carattere <strong>di</strong> eternità della lotta,<br />

ossia il considerare eterno il contrasto tra principio del piacere e principio<br />

della realtà. Bisogna accantonare l’idea secondo cui una società <strong>di</strong>versa,<br />

quin<strong>di</strong> non repressiva, non sia possibile. Ed è proprio la speranza <strong>di</strong> rinnovamento<br />

che rappresenta la correzione <strong>di</strong> Freud attraverso Marx. Non si<br />

tratta <strong>di</strong> un conflitto eterno, esso è solo l’espressione <strong>di</strong> una determinata organizzazione<br />

storico-sociale. Una civiltà non repressiva è il risultato <strong>di</strong> uno<br />

scontro epocale che sembra contenere in sé le caratteristiche <strong>di</strong> una rivoluzione<br />

politica. Pertanto una volta che sia stato mo<strong>di</strong>ficato l’assetto sociale<br />

esistente, sarà anche possibile costruire le premesse della “liberazione”. Di<br />

fatto anche Freud ha finito col <strong>di</strong>fendere gli istinti e le aspirazioni dell’umanità,<br />

pur confinandoli nell’inconscio. Lì nella memoria recon<strong>di</strong>ta gli uomini<br />

conservano l’impulso verso la sod<strong>di</strong>sfazione integrale che è assenza <strong>di</strong> bisogno<br />

e <strong>di</strong> repressione. Secondo Marcuse la memoria in Freud ha una funzione<br />

terapeutica, essa conserva promesse e potenzialità tra<strong>di</strong>te, <strong>di</strong>chiarate<br />

ad<strong>di</strong>rittura fuorilegge dall’uomo, un uomo che per <strong>di</strong>ventare civile ha dovuto<br />

rinunciare a pulsioni che in un lontanissimo passato ha quasi certamente<br />

appagato. Di qui l’importanza dell’immaginazione: un’esplorazione<br />

dell’inconscio, un recupero della memoria. Il recuperare il passato: questo è<br />

l’unico modo per preparare la futura liberazione. “Eros e civiltà” è sotto<br />

questo aspetto un testo chiave per realizzare quel progetto rivoluzionario <strong>di</strong><br />

sostituzione della felicità al regno terribile della necessità, in cui domina la<br />

prestazione e il tempo è assorbito dall’obbligo del lavoro per rincorrere un<br />

progresso tecnologico in cui ogni fantasia si <strong>di</strong>ssolve.<br />

La scarsità <strong>di</strong> beni necessari a sod<strong>di</strong>sfare i bisogni umani non è un fatto<br />

naturale, ma <strong>di</strong>pende da una iniqua <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> essi. Freud ha considerato<br />

il modello ideale <strong>di</strong> società quello che invece era un determinato assetto<br />

sociale. Accanto alla repressione connessa all’instaurarsi del principio<br />

<strong>di</strong> realtà, fondamento della convivenza, si aggiunge una repressione ad<strong>di</strong>zionale,<br />

fondata sul principio <strong>di</strong> prestazione. Nel momento in cui si raggiunge<br />

un elevato livello <strong>di</strong> sviluppo produttivo le risorse per un mutamento<br />

dei bisogni risultano <strong>di</strong>sponibili, ma <strong>di</strong> fatto la società crea falsi bisogni per<br />

impe<strong>di</strong>re la liberazione degli in<strong>di</strong>vidui dal dominio. “Una confortevole,<br />

– 197 –


levigata, ragionevole, democratica non libertà – egli afferma – prevale<br />

nella civiltà industriale avanzata segno <strong>di</strong> progresso tecnico”; la tolleranza<br />

<strong>di</strong> cui si vanta tale società è repressiva perché è valida soltanto riguardo a<br />

ciò che non mette in <strong>di</strong>scussione il sistema stesso. Tuttavia la società tecnologica<br />

non riesce a risolvere tutti i problemi e soprattutto la contrad<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> fondo che la costituisce, quella tra il potenziale possesso dei mezzi atti a<br />

sod<strong>di</strong>sfare i bisogni umani e una politica che nega l’appagamento dei bisogni<br />

primari e stor<strong>di</strong>sce con la creazione <strong>di</strong> bisogni fittizi.<br />

Ma grazie all’automazione l’uomo si libera dal lavoro ripetitivo e ha la<br />

possibilità <strong>di</strong> riscoprire l’eros, inteso come amore del mondo e della vita<br />

senza alcuna implicazione sessuale. Il lavoro si trasforma in gioco, l’uomo<br />

torna a sentirlo come parte <strong>di</strong> sé, che permette la crescita delle facoltà<br />

umane.<br />

Diversa è la considerazione dell’avanzare della tecnologia in “L’uomo a<br />

una <strong>di</strong>mensione”: 57 per un verso essa è funzionale a costruire una società migliore,<br />

innalzando il livello <strong>di</strong> vita delle varie classi sociali, ma per l’altro può<br />

esser responsabile <strong>di</strong> un peggioramento dell’esistente, <strong>di</strong>ventando parte della<br />

logica del potere per perpetuare lo sfruttamento e reprimere il carattere rivoluzionario<br />

della tecnica. Infatti i progressi tecnici generano il bisogno ossessivo<br />

<strong>di</strong> produrre e consumare e ottundono la capacità <strong>di</strong> opporsi al sistema. Ed è<br />

proprio la concessione <strong>di</strong> libertà apparenti che permette al sistema <strong>di</strong> continuare<br />

il controllo. La società, nel momento in cui soggetto delle scelte in<strong>di</strong>viduali<br />

<strong>di</strong>viene la collettività produce un generale conformismo.<br />

Il pensiero <strong>di</strong>venta uni<strong>di</strong>mensionale, incapace <strong>di</strong> opposizione. Nel ’900<br />

la verità <strong>di</strong> una teoria è nella verifica empirica della sua vali<strong>di</strong>tà, nel vantaggio<br />

che essa può garantire.<br />

La filosofia, ritiene Marcuse, ha il compito <strong>di</strong> preservare i concetti <strong>di</strong><br />

bellezza e libertà, opponendosi alla pragmatica società. Fondamentale è la<br />

funzione dell’immaginazione, capace <strong>di</strong> andare al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una realtà che si<br />

cerca <strong>di</strong> misurare e inquadrare. Dal momento che la classe operaia è sempre<br />

più integrata nel sistema, Marcuse considera come potenziali soggetti rivoluzionari<br />

gli studenti, gli emarginati. il sottoproletariato.<br />

“Il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati<br />

<strong>di</strong> altre razze e <strong>di</strong> altri colori, dei <strong>di</strong>soccupati e degli inabili. Essi permangono<br />

al <strong>di</strong> fuori del processo democratico, la loro presenza prova quanto<br />

57 Marcuse H., “L’uomo a una <strong>di</strong>mensione”, Piccola Biblioteca Einau<strong>di</strong>, Torino, 1999<br />

(I e<strong>di</strong>z. 1964).<br />

– 198 –


sia imme<strong>di</strong>ato e reale il bisogno <strong>di</strong> porre fine a con<strong>di</strong>zioni e istituzioni intollerabili.<br />

Perciò la loro opposizione è rivoluzionaria anche se non lo è la<br />

loro coscienza. Perciò la loro opposizione colpisce il sistema dal <strong>di</strong> fuori e<br />

quin<strong>di</strong> non è sviata dal sistema; è una forza elementare che viola la regola<br />

del gioco e così facendo mostra che è un gioco truccato”. 58<br />

Tutte le <strong>di</strong>mensioni”altre” da quella della tecnologia sono conquistate<br />

dal dominio apparentemente democratico: l’uomo, la società, la cultura<br />

sono ridotti ad una unica <strong>di</strong>mensione tecnologico-consumistica, che con<strong>di</strong>ziona<br />

i bisogni. “Una confortevole levigata, ragionevole, democratica non<br />

libertà prevale nella civiltà industriale avanzata”.<br />

“È solo per merito dei <strong>di</strong>sperati che ci è data la speranza”.<br />

Il vero paradosso è che proprio quest’opera, che preclude ogni possibilità<br />

<strong>di</strong> cambiamento, <strong>di</strong>venne il vademecum dei rivoluzionari del ’68. “È<br />

ancora il caso <strong>di</strong> ripetere che la scienza e la tecnologia sono gran<strong>di</strong> veicoli<br />

<strong>di</strong> liberazione, e che è soltanto il loro uso e il loro con<strong>di</strong>zionamento nella<br />

società repressiva che fa <strong>di</strong> esse il veicolo della dominazione?”. Frase significativa,<br />

su cui vertono le principali accuse che gli sono state rivolte,<br />

esprime un nuovo modo <strong>di</strong> concepire la società tecnologica. Distrugge in tal<br />

modo sia capitalismo che comunismo, in<strong>di</strong>viduando in entrambi la stessa<br />

struttura tecnologica avanzata, che scatena una reazione spontanea ad un sistema<br />

soffocante e oltremodo autoritario.<br />

Contestazione studentesca e lotte sindacali in Italia<br />

L’ondata <strong>di</strong> cambiamenti ra<strong>di</strong>cali da cui viene travolto l’intero mondo<br />

sociale nel ’68, l’anno della contestazione globale sentita con partecipazione<br />

dal mondo giovanile, non investe solamente la morale comune, le abitu<strong>di</strong>ni,<br />

i monotoni ritmi <strong>di</strong> vita, abolendo dunque le forme in nome della<br />

vera sostanza, ma incide in maniera innovativa sui mo<strong>di</strong> e sugli strumenti<br />

della comunicazione tra pubblico e privato, tra la nuova e la vecchia generazione<br />

dei padri. Tale spinta, poi, nel suo intento <strong>di</strong> rigenerazione nei molteplici<br />

ambiti della società e della cultura, aspira ad un coinvolgimento totale<br />

della classe dei lavoratori.<br />

Per molti degli stessi protagonisti il movimento del ’68 rappresenta<br />

prima <strong>di</strong> tutto il momento dell’“incontro” tra gli studenti e i lavoratori delle<br />

58 Marcuse H., “L’uomo a una <strong>di</strong>mensione”, Piccola Biblioteca Einau<strong>di</strong>, Torino, 1999<br />

(I e<strong>di</strong>z. 1964).<br />

– 199 –


fabbriche, il tempo della nuova consapevolezza dell’esistenza delle fabbriche<br />

stesse e della classe operaia.<br />

Nell’atmosfera <strong>di</strong> contestazione, agitazione intellettuale, partecipazione<br />

critica alla politica e originale espressività artistica nasce il semplice piacere<br />

<strong>di</strong> uno straor<strong>di</strong>nario contatto tra due mon<strong>di</strong> considerati separati ma tenuti<br />

lontani a forza dalle barriere e dalla rigida compartimentazione della società.<br />

L’identica esigenza <strong>di</strong> una trasformazione urgente, imme<strong>di</strong>ata e vissuta<br />

dunque nell’istante, permette il superamento <strong>di</strong> gran parte della segmentazione<br />

fisica e sociale; il “mondo chiuso” delle fabbriche si apre agli studenti<br />

mostrando all’intero sistema il proprio reale potere: paralizzare il paese<br />

smettendo <strong>di</strong> lavorare. Così i militanti si mescolano ai lavoratori, partecipano<br />

alle riunioni degli operai, si presentano ai picchetti <strong>di</strong> scioperanti delle<br />

fabbriche ed entrano nelle officine.<br />

Allo stesso modo, in questo clima <strong>di</strong> caldo <strong>di</strong>alogo e ricco confronto tra<br />

i due rispettivi percorsi, gli operai si “intellettualizzano”.<br />

Questo nuovo e così aperto clima in cui le idee e la fantasia possono<br />

circolare senza più interme<strong>di</strong>ari, limiti o pregiu<strong>di</strong>zi, in cui ogni tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione<br />

o barriera sociale sembrano ormai essere state semplicemente spazzate<br />

via grazie al valore universale (ed anche “operaio e popolare”, per <strong>di</strong>r<br />

più propriamente) della cultura e della politica, rappresenta per molti degli<br />

storici e attenti narratori del ’68 l’aspetto centrale e realmente rivoluzionario<br />

della contestazione del grande anno.<br />

Tra questi infatti si pone la stu<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> New York Kristin Ross, la quale,<br />

in un suo lavoro del 2005 59 pubblicato da Le Monde Diplomatique e da<br />

Complete, sottolinea come la rivolta del ‘68 sia stata in primo luogo “l’occasione<br />

<strong>di</strong> uno straor<strong>di</strong>nario incontro tra operai e studenti per rimettere in<br />

<strong>di</strong>scussione, dopo tanto tempo, l’or<strong>di</strong>ne sociale”.<br />

La convinzione della reale esistenza <strong>di</strong> tale nuova “combinazione”<br />

sociale, politica e culturale tra le università e le fabbriche viene supportata e<br />

fortemente sostenuta dalla stu<strong>di</strong>osa americana attraverso un’ampia e <strong>di</strong>retta<br />

raccolta <strong>di</strong> testimonianze nell’ambito dell’attivismo dei sessantottini francesi;<br />

proprio in questo ambiente in fermento, secondo Kristin Ross, si realizza<br />

pienamente e forse unicamente quell’identità <strong>di</strong> percorsi, quell’unione<br />

globale <strong>di</strong> due realtà prima così <strong>di</strong>stanti e chiuse, che per molti degli attivisti<br />

stessi si identifica con l’anima e la molla propulsiva della loro azione.<br />

59 Kristin Ross, “May ‘68 and its afterlives”, New York, 2005.<br />

– 200 –


Se infatti in Francia, a metà maggio del ’68, agli inizi dello sciopero<br />

generale, si viene a definire sempre <strong>di</strong> più una stretta collaborazione tra il<br />

comitato d’azione degli studenti e quello degli operai tale da portare appunto<br />

alla creazione <strong>di</strong> un canale <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> collegamento tra i centri <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e<br />

i centri del lavoro, <strong>di</strong>versamente nel caso dell’Italia risulta essere più complessa<br />

e graduale l’evoluzione e l’affermazione <strong>di</strong> questo stesso rapporto.<br />

La maggiore <strong>di</strong>fficoltà nella realizzazione dell’“incontro” sessantottino<br />

nell’ambito italiano è dovuta principalmente alla notevole influenza dei<br />

partiti politici italiani, alla loro frequente opposizione con il sindacato e il<br />

movimento studentesco, ed infine al continuo ed esasperato tentativo del<br />

partito <strong>di</strong> inglobare l’MS, e quin<strong>di</strong> i lavoratori uniti a quest’ultimo. Da un<br />

lato, infatti, la pressione esercitata dai partiti, tanto quelli borghesi al fine <strong>di</strong><br />

frenare la contestazione, quanto quelli <strong>di</strong> sinistra al fine invece <strong>di</strong> raccogliere<br />

al proprio interno le forze del movimento, provoca un rallentamento<br />

nel percorso <strong>di</strong> ampliamento e sviluppo delle idee e delle azioni del ’68 italiano;<br />

dall’altro invece l’influenza positiva e il supporto <strong>di</strong> un partito specifico,<br />

il PCI, incentiva l’idea <strong>di</strong> “un’organica e reale composizione delle<br />

lotte giovanili con quelle del movimento operaio”.<br />

Uno dei problemi in relazione alla politica che i sessantottini italiani si<br />

trovano ad affrontare è il ruolo <strong>di</strong> forza-guida dell’MS nei confronti del movimento<br />

operaio e il rapporto con questo stesso.<br />

Questa “vocazione teorica generale”, come la definisce lo storico del<br />

’68 G.C. Marino, a fare dell’MS “l’avanguar<strong>di</strong>a del proletariato” è già consolidata<br />

tra le fila del cosiddetto Potere studentesco, al cui interno viene<br />

chiaramente definita come il compito degli studenti affidato loro dalla storia<br />

ormai giunta in tempi maturi. La totale immersione e adesione all’idea <strong>di</strong><br />

detenere un ruolo guida nella lotta operaia (che ottiene contemporaneamente,<br />

grazie alla Triplice sindacale, importanti conquiste in relazione ai salari<br />

e ad una migliore legge rappresentativa: lo Statuto dei lavoratori) viene<br />

inoltre percepita con maggior sentimento e <strong>di</strong>ffusa con più forza dal numeroso<br />

gruppo <strong>di</strong> studenti-operai, studenti-lavoratori e figli <strong>di</strong> operai, che, nel<br />

vivo della loro esperienza personale e familiare, con<strong>di</strong>vidono l’esigenza <strong>di</strong><br />

trasformare ra<strong>di</strong>calmente il sistema dall’interno e attraverso un intervento<br />

attivo. Gli studenti universitari del fronte sessantottino rifiutano <strong>di</strong> essere in<br />

alcun modo complici <strong>di</strong> quello stesso sistema borghese e capitalistico contro<br />

cui combattono; perciò criticano prima <strong>di</strong> tutto l’insegnamento dei vecchi<br />

professori o “baroni”, l’uso capitalistico delle macchine, l’alienazione e<br />

l’oppressione imposta dal sistema per non caderne vittima nella loro vita<br />

– 201 –


futura dopo il conseguimento della laurea. Essi esaltano il valore della professione<br />

e del lavoro secondo una visione pura, libera e <strong>di</strong>sinteressata,<br />

quin<strong>di</strong> in netta opposizione alla concezione borghese del profitto sfrenato e<br />

dello sfruttamento della “merce” pregiata del lavoratore (il lavoro stesso), e<br />

al contrario in sintonia con l’ideale operaio del valore morale e sociale della<br />

propria attività. Dunque la medesima percezione del lavoro umano rende<br />

consapevoli, prima <strong>di</strong> tutti gli studenti, dell’esistenza <strong>di</strong> un “legame organico<br />

e profondo con la con<strong>di</strong>zione operaia”.<br />

Così la coscienza studentesca riguardo l’oppressione esercitata dal sistema<br />

viene arricchita da più alti mezzi culturali, <strong>di</strong>viene poi lo strumento<br />

considerato idoneo per scoprire le motivazioni <strong>di</strong> tale situazione alienata ed<br />

alienante e soprattutto l’antidoto ai veleni della realtà borghese; in sincronia<br />

a ciò, inoltre, il lavoro manuale ritrova la sua struttura ed il suo perenne sostegno<br />

nell’attività intellettuale e creativa.<br />

Sebbene il PCI, il partito per eccellenza della classe studenti-operai del<br />

’68, svolga un’importante ruolo organizzativo e pedagogico promuovendo<br />

nelle sue <strong>di</strong>verse se<strong>di</strong> (sezioni, Camere del lavoro, se<strong>di</strong> della CGIL, Atenei e<br />

fabbriche) <strong>di</strong>battiti e confronti tra le due parti, questo avvicinamento avviene<br />

all’interno del vasto gruppo del movimento studentesco in maniera<br />

più lenta, autonoma e <strong>di</strong> conseguenza perviene ad una più profonda consapevolezza<br />

del legame esistente.<br />

Determinante è infatti la volontà dell’organizzazione degli studenti <strong>di</strong><br />

muoversi in modo completamente autonomo, <strong>di</strong> stabilire un canale <strong>di</strong> comunicazione<br />

e cooperazione con le se<strong>di</strong> delle fabbriche. Questi gli obiettivi<br />

dell’MS nel realizzare “un aggancio tra il mondo studentesco e quello operaio”:<br />

“costruire e organizzare l’unità della classe operaia per farne una<br />

grande forza contro il potere dei padroni”, come constata il prefetto <strong>di</strong> Milano<br />

Libero Mazza, e “conquistare le masse operaie meno politicizzate, allo<br />

scopo <strong>di</strong> convogliarle su una piattaforma <strong>di</strong> lotta funzionale ai temi rivoluzionari<br />

della contestazione”, come invece affermavano gli studenti dell’MS<br />

sempre nell’Ateneo milanese. 60<br />

Nell’attivismo dei giovani italiani e nel loro impegno per consolidare<br />

l’“incontro” con i nuovi compagni si vengono a definire però due <strong>di</strong>stinte<br />

linee: una ra<strong>di</strong>cale e in netta opposizione al capitalismo e alla società dei<br />

padri, l’altra improntata ad un riformismo moderato.<br />

60 G.C. Marino, “Biografia del sessantotto”, Bompiani, Milano 2004.<br />

– 202 –


Le <strong>di</strong>verse proporzioni tra queste due tendenze definiscono infatti la variabile<br />

<strong>di</strong>namica dei rapporti tra le due parti in avvicinamento. Le due realtà<br />

si incontrano e <strong>di</strong>battono tra loro, ma se da un lato i figli militanti mostrano<br />

le loro idee rivoluzionarie, dall’altro i padri sentono forte oramai la delusione<br />

o minata la loro posizione dalle azioni della contestazione. Alcuni operai<br />

percepiscono l’impegno degli studenti come un’invasione nel loro campo,<br />

come una pressione esercitata su <strong>di</strong> loro <strong>di</strong> fronte ai cancelli delle fabbriche<br />

per incitarli ad atti ra<strong>di</strong>cali, ad intraprendere progetti utopici fuori dalle concrete<br />

riven<strong>di</strong>cazioni; <strong>di</strong>viene comunemente sentito nelle fabbriche il pericolo<br />

<strong>di</strong> essere trasformati in “merce ideologica” del movimento studentesco.<br />

Nonostante i frequenti contrasti e le <strong>di</strong>ffidenze è <strong>di</strong> notevole importanza<br />

sottolineare la comune base ideologica e sociale (comune era l’esperienza<br />

personale, la con<strong>di</strong>zione degli operai e dei giovani, comune inoltre l’adesione<br />

al sindacato e alle sue riven<strong>di</strong>cazioni in campo sociale), la quale segna<br />

il medesimo sentimento <strong>di</strong> opposizione al fronte dei padroni, del capitalismo,<br />

delle forze neofasciste, dell’imperialismo e del consumismo.<br />

È dunque possibile rendersi conto come da un terreno giovane, innovativo<br />

e culturalmente in<strong>di</strong>pendente si sviluppi un movimento sinergico e <strong>di</strong><br />

protesta antiborghese e anticonsumistico in grado <strong>di</strong> unire due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vivere,<br />

pensare ed esprimersi estremamente <strong>di</strong>fferenti tra loro.<br />

Ma parallelamente tale <strong>di</strong>varicazione, intesa nell’accezione negativa del<br />

termine, viene ra<strong>di</strong>calizzata nel quadro più largamente mon<strong>di</strong>ale della contestazione<br />

da Max Horkheimer: “Oggi gli studenti che si ribellano e che vogliono<br />

rovesciare il sistema sono separati dal proletariato, giacché vogliono<br />

cambiare ra<strong>di</strong>calmente la società, mentre il proletariato, mi sembra.<br />

non ha alcun interesse a farlo; al contrario, gli preme <strong>di</strong> prendere maggiore<br />

tempo libero, migliori salari per riuscire ad accedere al benessere e quin<strong>di</strong><br />

ha paura del sovvertimento”. 61<br />

Questo è infatti il pericolo in atto, denunciato in maniera ossessiva dalla<br />

stessa leadership giovanile sessantottina, <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> imborghesimento<br />

della classe operaia, da collegare al coincidente neocapitalismo. Da<br />

ciò nasce, dunque, il totale interessamento del Movimento Studentesco ai<br />

problemi della classe degli operai e all’operazione <strong>di</strong> salvataggio della medesima,<br />

nella salvaguar<strong>di</strong>a dell’autonomia dell’MS contro ogni tipo <strong>di</strong> strumentalizzazione<br />

dei partiti.<br />

61 Intervista ad Horkheimer <strong>di</strong> Enzo Bettiza, <strong>di</strong>cembre 1968.<br />

– 203 –


In nome dell’autonomia d’azione e <strong>di</strong> pensiero, negli atenei si <strong>di</strong>ffonde<br />

un rifiuto ad ogni tipo <strong>di</strong> partecipazione degli studenti alla gestione delle<br />

strutture universitarie, al fine <strong>di</strong> resistere alla corruzione della linea politica<br />

revisionista e riformista, attribuita anche allo stesso PCI.<br />

Accanto al PCI, il sindacato viene identificato nello strumento <strong>di</strong> controllo,<br />

pianificazione e legalizzazione della lotta operaia da parte del potere<br />

capitalistico, quando invece per sua natura la lotta <strong>di</strong> classe non può che essere<br />

illegale.<br />

D’altra parte nella primavera del ’68, nascono in alcune gran<strong>di</strong> fabbriche<br />

i primi Comitati unitari <strong>di</strong> base (CUB), gruppi misti <strong>di</strong> operai e studenti,<br />

con l’obbiettivo <strong>di</strong> sviluppare e gestire nuove forme <strong>di</strong> lotta nelle<br />

aziende e <strong>di</strong> giungere all’autogestione delle stesse da parte dei lavoratori.<br />

I CUB <strong>di</strong>ventano così espressione non solo del rifiuto totale della società<br />

consumistica, ma anche della rivolta contro i gruppi sindacali, accusati <strong>di</strong><br />

verticismo, <strong>di</strong> burocraticismo autoritario e paternalistico; essi inoltre manifestano<br />

la volontà della classe operaia più matura <strong>di</strong> porsi come antagonista<br />

al sistema, <strong>di</strong> creare un rapporto nuovo tra la base e i vertici sindacali, <strong>di</strong> assumersi<br />

il ruolo <strong>di</strong> protagonista nello sviluppo economico del paese e <strong>di</strong> elaborare<br />

autonomamente le scelte e le soluzioni dei gran<strong>di</strong> problemi in <strong>di</strong>scussione.<br />

In questa nuova prospettiva delle lotte aziendali del ’68 vengono eletti i<br />

primi delegati <strong>di</strong> reparto, <strong>di</strong> linea e <strong>di</strong> squadra con il compito <strong>di</strong> controllare i<br />

tempi e l’ambiente <strong>di</strong> lavoro; questi rappresentano la voce <strong>di</strong>retta delle assemblee<br />

dei lavoratori e la realizzazione concreta dell’unità della classe<br />

operaia.<br />

Questo primo e fondamentale compimento dell’unione tra giovani studenti<br />

e lavoratori delle fabbriche si affianca al vivo impegno dei primi nella<br />

lotta ostinata conto i corruttori riformisti, fino ad ottenere la sollevazione e<br />

l’intervento rivoluzionario delle masse operaie.<br />

Però per realizzare tale proposito è ancora necessario risolvere il principale<br />

problema dell’MS riguardante “la definizione delle forme e degli strumenti<br />

organizzativi per la lotta al revisionismo e al riformismo”. 62<br />

Su tale punto ancora irrisolto, motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito e contrapposizione all’interno<br />

delle forze della contestazione, esprimono la propria opinione alcune<br />

gran<strong>di</strong> voci protagoniste: mentre, a Milano, Mario Capanna con una<br />

62 Ve<strong>di</strong> nota 2.<br />

– 204 –


profonda coscienza politica marxista-leninista è impegnato a <strong>di</strong>fendere l’autonomia<br />

dell’MS, all’interno del quale è convinto che il proletariato italiano<br />

abbia raggiunto un suo ben definito status <strong>di</strong> soggetto politico, e che sia<br />

dunque pronto ad ingaggiare una lotta politica rivoluzionaria e non più unicamente<br />

<strong>di</strong> carattere <strong>di</strong>fensivo e sindacale, altri leader del movimento quali<br />

per esempio Sofri, Viale, Piperno e Scalzone, sono attivi nella creazione <strong>di</strong><br />

un’organizzazione rivoluzionaria nella quale gli intellettuali, sempre fedeli<br />

al loro impegno <strong>di</strong> elaborazione teorico-critica, abbiano la possibilità <strong>di</strong> integrare<br />

le loro iniziative in ambito politico a quelle della classe operaia, accelerando<br />

in tal modo il processo rivoluzionario nel Paese.<br />

Su questa strada si muove fin dai suoi primi passi, come nota G.C. Marino<br />

nella sua attenta e chiara “Biografia del Sessantotto”, 63 Potere Operaio<br />

<strong>di</strong> Pisa; tra le fila del movimento pisano infatti la questione è tanto <strong>di</strong>battuta<br />

e così a lungo, perché non venga risolta sbrigativamente dando forma ad un<br />

altro partito sterile, da far esplodere un violento contrasto ideologico all’interno,<br />

e tale da determinare una separazione marcata tra due strade: quella<br />

<strong>di</strong> Potere Operaio e quella <strong>di</strong> Lotta Continua. La scissione avviene, a Torino,<br />

tra il gruppo che fa capo a Franco Piperno, che ha come ideale quello<br />

<strong>di</strong> un’organizzazione strutturata sul modello marxista-leninista, e quello<br />

guidato da Guido Viale e Adriano Sofri, favorevoli invece alla costituzione<br />

<strong>di</strong> un’organizzazione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento nazionale delle varie “avanguar<strong>di</strong>e”.<br />

Sulle premesse bolscevico-leniniste già esposte, una parte dell’MS <strong>di</strong><br />

Roma capeggiata da Piperno e un gruppo <strong>di</strong> militanti torinesi danno vita<br />

alla nuova struttura <strong>di</strong> Potere Operaio, alimentata più avanti anche dalle<br />

forze intellettuali provenienti dalle redazioni <strong>di</strong> “Quaderni rossi” e “Classe<br />

operaia”.<br />

I membri <strong>di</strong> questa formazione politica ritengono che “dentro qualsiasi<br />

livello organizzativo <strong>di</strong> Potere Operaio deve essere interamente presente la<br />

proposta politica” che essi rappresentano, il programma politico che essi<br />

portano avanti: “Dovremmo <strong>di</strong>re che siamo o meglio che rappresentiamo<br />

lo sviluppo e la crisi dell’autonomia operaia, delle lotte <strong>di</strong> fabbrica, delle<br />

lotte sociali come le abbiamo conosciute in questi anni in Italia. [...] Ci<br />

siamo definiti Potere Operaio per il partito, per l’insurrezione, per il comunismo”.<br />

64 Affermando l’attualità <strong>di</strong> queste “parole d’or<strong>di</strong>ne”, i compagni<br />

63 Ve<strong>di</strong> nota 2.<br />

64 “Potere Operaio”, anno 3, numero 45, <strong>di</strong>cembre 1971.<br />

– 205 –


<strong>di</strong> Potere Operaio <strong>di</strong>chiarano che il partito è all’or<strong>di</strong>ne del giorno, che l’insurrezione<br />

è all’or<strong>di</strong>ne del giorno e che il comunismo è all’or<strong>di</strong>ne del<br />

giorno.<br />

Il <strong>di</strong>scorso politico <strong>di</strong> Potere Operaio parte dagli inizi del secondo dopoguerra<br />

sino ad arrivare all’inizio degli anni sessanta: in questo lungo<br />

corso <strong>di</strong> tempo “gli operai hanno pagato il costo <strong>di</strong> tutto. [...] La repubblica<br />

fondata sul lavoro si è costruita alle spalle degli operai, sulla pelle <strong>di</strong> milioni<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupati, sullo sforzo produttivo intenso e massacrante della<br />

classe operaia”.<br />

E proprio in questo contesto storico-politico-sociale della fase riformista<br />

e durante l’inarrestabile corso dello sviluppo capitalistico nel Paese, si<br />

sviluppa l’ideologia politica <strong>di</strong> Potere Operaio, che si serve, contro lo Stato<br />

“pianificato”, della tra<strong>di</strong>zionale tematica leninista della Terza Internazionale,<br />

secondo cui l’organizzazione <strong>di</strong> stampo comunista sarebbe l’unica in<br />

grado <strong>di</strong> esporre fieramente e in maniera combattiva la ban<strong>di</strong>era della lotta<br />

politica e della lotta alla proprietà privata.<br />

Al problema del “che fare <strong>di</strong> fronte a questo quadro <strong>di</strong> apparente forza<br />

del capitale, a questo apparente trionfo del riformismo”, il gruppo <strong>di</strong> Potere<br />

Operaio risponde riaprendo la possibilità <strong>di</strong> una strategia rivoluzionaria e <strong>di</strong><br />

un programma comunista seppur in un paese <strong>di</strong> capitalismo avanzato;<br />

dunque gli strumenti del marxismo vengono riscoperti come gli strumenti<br />

che possono riaprire tale possibilità.<br />

“Siamo operai, compagni, braccianti e gente dei quartieri, siamo studenti,<br />

pastori sar<strong>di</strong> <strong>di</strong>visi fino a ieri.<br />

E allora lotta, lotta <strong>di</strong> lunga durata, lotta <strong>di</strong> popolo armata, lotta continua<br />

sarà.<br />

L’unica cosa che ci rimane è questa nostra vita, allora compagni usiamola<br />

insieme prima che sia finita.<br />

E allora lotta, lotta <strong>di</strong> lunga durata, lotta <strong>di</strong> popolo armata, lotta continua<br />

sarà.<br />

Una lotta dura ma senza paura per la rivoluzione, non può esistere la<br />

vera pace finché vivrà un padrone.<br />

E allora lotta, lotta <strong>di</strong> lunga durata, lotta <strong>di</strong> popolo armata, lotta continua<br />

sarà”. 65<br />

65 Inno <strong>di</strong> Lotta Continua.<br />

– 206 –


L’altra linea, costituitasi all’interno del Potere Operaio pisano e guidata<br />

dai leader Adriano Sofri, Guido Viale e Mauro Rostagno, formalizza e consolida<br />

definitivamente la scissione ideologica e organizzativa ormai in atto<br />

fondando il perio<strong>di</strong>co “Lotta Continua”, strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione politica<br />

e critica, e pubblicazione dell’omonimo movimento nato a Torino dall’incontro<br />

tra i seguaci della vecchia organizzazione pisana, gli studenti rivoluzionari<br />

dell’Università <strong>di</strong> Trento, della Cattolica <strong>di</strong> Milano, della Normale<br />

<strong>di</strong> Pisa e gli operai delle carrozzerie <strong>di</strong> Mirafiori.<br />

Lotta Continua <strong>di</strong>viene l’organizzazione per eccellenza della “sinistra<br />

rivoluzionaria” e quella avente nell’ambito dei molteplici gruppi politici il<br />

maggior seguito, grazie soprattutto all’adesione ad essa <strong>di</strong> gran parte dell’area<br />

dei “Quaderni piacentini”.<br />

I presupposti fondamentali del movimento sono l’antiautoritarismo,<br />

l’attenzione alla classe operaia, agli strati più deboli e alle interpretazioni<br />

critiche e libertarie del marxismo-leninismo; le iniziative sono orientate<br />

verso gli oppressi e gli emarginati in quanto “potenzialmente rivoluzionari”<br />

e verso un’esaltazione mitica della violenza politica e della rivoluzione.<br />

Quasi a voler richiamare la concezione tipicamente soreliana del mito e<br />

del valore morale della violenza proletaria, Lotta Continua vede l’azione<br />

violenta delle masse come la risposta naturale alla violenza interna e alla<br />

“forza” ontologica della borghesia, prendendo però sempre le <strong>di</strong>stanze da<br />

ogni tipo <strong>di</strong> episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> terrorismo.<br />

Per la sua struttura aperta e versatile Lotta Continua rappresenta la principale<br />

novità nel quadro settario e l’unica organizzazione che raccoglie in sé<br />

numerosi elementi del Movimento studentesco e <strong>di</strong>verse interpretazioni<br />

della ribellione sessantottina; perciò, come nota il prefetto Libero Mazza:<br />

“Lotta Continua, che raccoglie alcuni elementi dell’antiautoritarismo studentesco,<br />

avanguar<strong>di</strong>e operaie e giovani scissionisti <strong>di</strong> Potere Operaio, ha<br />

il compito <strong>di</strong> dare a tutti i proletari un quadro generale della lotta <strong>di</strong> classe<br />

onde consentire loro <strong>di</strong> partecipare in prima persona alla <strong>di</strong>scussione, alla<br />

critica ed all’impostazione della linea politica che la stessa lotta <strong>di</strong> classe<br />

<strong>di</strong> volta in volta impone o suggerisce”. 66<br />

La <strong>di</strong>visione avvenuta tra Potere Operaio e Lotta Continua si basa su<br />

più elementi: sulle profonde <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio sulla storia e sulla politica<br />

contemporanea dell’Unione sovietica, sulla Cina e sul Terzo mondo;<br />

66 “Informativa <strong>di</strong> Libero Mazza al ministro Restivo”, ACS, 13 aprile 1970, Milano.<br />

– 207 –


sulle <strong>di</strong>versità intercorrenti tra una cultura <strong>di</strong> sinistra più libertaria e dagli<br />

umori anarchici ed un’altra invece maggiormente improntata al marxismoleninismo;<br />

su <strong>di</strong> una <strong>di</strong>vergente interpretazione del modello organizzativo<br />

da dare alla contestazione.<br />

Per quanto riguarda quest’ultimo importante punto infatti, mentre nel<br />

gruppo <strong>di</strong> Sofri e Viale prevale “la fiducia nello spontaneismo dell’iniziativa<br />

popolare e nelle creative capacità rivoluzionarie delle masse, insieme a<br />

un antistalinismo ra<strong>di</strong>cale e a un generico maoismo”, d’altro canto nell’area<br />

<strong>di</strong> Potere Operaio <strong>di</strong> Piperno e Scalzone si consolida una pre<strong>di</strong>lezione<br />

per le avanguar<strong>di</strong>e che interpretano le istanze delle masse ma che allo stesso<br />

tempo le <strong>di</strong>sciplinano e le controllano dall’alto tramite una ferrea organizzazione<br />

centralizzata delle lotte.<br />

Se inoltre i seguaci <strong>di</strong> PO urlano lo slogan: “Gli operai sono i più forti;<br />

il potere deve essere operaio”, quelli <strong>di</strong> LC combattono per l’eliminazione<br />

<strong>di</strong> ogni possibile “potere”.<br />

Parallelamente l’ufficiale Movimento Studentesco <strong>di</strong>viene un <strong>di</strong>namico<br />

e variabile centro <strong>di</strong> convergenza per i giovani della sinistra ra<strong>di</strong>cale e oggetto<br />

<strong>di</strong> attenzione, integrazione e alleanza da parte del gruppo eretico del<br />

PCI, il Manifesto.<br />

Da parte sua invece il movimento operaio nel complesso rimane legato<br />

ai sindacati, con grande sod<strong>di</strong>sfazione delle pubbliche autorità, e sviluppa al<br />

contempo un sempre maggiore sentimento <strong>di</strong> in<strong>di</strong>fferenza e astio nei confronti<br />

<strong>di</strong> questi giovani che giocano al gioco della rivoluzione nel ruolo<br />

degli eroici condottieri.<br />

In un quadro <strong>di</strong> tal genere, in continua evoluzione, le <strong>di</strong>vergenze e le<br />

opposte scelte non impe<strong>di</strong>scono la formazione <strong>di</strong> un circuito <strong>di</strong> scambi e<br />

<strong>di</strong>aloghi <strong>di</strong> carattere politico e culturale.<br />

Però, nonostante si venga a delineare un clima favorevole caratterizzato<br />

da un profondo fermento politico e da una “nuova” e genuina comunicazione<br />

sociale e culturale, le <strong>di</strong>visioni e i contrasti ormai evidenti mettono in<br />

luce quanto sia <strong>di</strong>fficile per la cultura politica del ’68 condurre il processo<br />

rivoluzionario e far scaturire da questo una ferma e comune identità politica.<br />

La nuova espressività dell’arte<br />

Gli storici hanno pareri contrastanti riguardo all’origine, allo sviluppo,<br />

alle caratteristiche <strong>di</strong> un movimento come quello del sessantotto italiano<br />

– 208 –


che, come scrive Moni Ova<strong>di</strong>a, 67 è <strong>di</strong>ventato un topos su cui spandere fiumi<br />

<strong>di</strong> parole, nel bene e nel male. Si può parlare invece con chiarezza delle<br />

numerose manifestazioni artistiche che investono il nostro paese, profondamente<br />

rinnovate dalle nuove esigenze che pervadono gli artisti a partire<br />

dagli ultimi anni sessanta fino alla prima metà degli anni settanta. Il minimo<br />

comune denominatore delle nuove esperienze artistiche <strong>di</strong> questi anni è<br />

la contestazione della società capitalista, della creazione <strong>di</strong> una civiltà<br />

<strong>di</strong> massa, dell’omogeneizzazione del gusto collettivo. È proprio questo tipo<br />

<strong>di</strong> società che ha ridotto l’opera d’arte a bene <strong>di</strong> consumo costringendo l’artista<br />

a seguire le leggi del mercato e quin<strong>di</strong> ad adeguarsi al gusto collettivo.<br />

L’arte del sessantotto vuole denunciare quanto questa omologazione sia<br />

<strong>di</strong>struttiva per gli uomini stessi, per il libero pensiero, per la bellezza della<br />

“<strong>di</strong>versità” tra le persone (intesa nel senso più alto del termine: <strong>di</strong>versità <strong>di</strong><br />

costume, <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> cultura e più spesso anche solo <strong>di</strong> idee) che fanno<br />

parte della stessa società, valore quest’ultimo, che si consolida negli animi<br />

<strong>di</strong> molti giovani e adulti. È una contestazione su larga scala, che vuole rivoluzionare<br />

il modo <strong>di</strong> pensare senza fermarsi ad un qualche aspetto particolare<br />

del sociale. Per quanto riguarda le arti figurative si assiste al pullulare<br />

<strong>di</strong> neo-avanguar<strong>di</strong>e che esprimono le tendenze più marcatamente eversive:<br />

ecco la chiara reazione a quell’“industria culturale” che aveva asservito gli<br />

artisti alle esigenze economiche del sistema; si pensi alla pop-art, che raffigurava<br />

senza alcuna volontà ironica o critica i beni <strong>di</strong> consumo <strong>di</strong> massa,<br />

<strong>di</strong>venuti simboli <strong>di</strong> una società feticista, schiava dei suoi stessi prodotti.<br />

Andy Warhol è il massimo esponente <strong>di</strong> un’arte che spesso è stata definita<br />

“<strong>di</strong> consumo”: attraverso la tecnica dello straniamento e della ripetizione,<br />

l’artista riproduce moltissime volte la stessa immagine, alterandone esclusivamente<br />

le sfumature dei colori. Le opere più famose sono quelle che rappresentano<br />

personaggi dello spettacolo o della politica come Marilyn<br />

Monroe, Mao Tse Tung e Che Guevara, o quelle che riprendono immagini<br />

pubblicitarie <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> marchi commerciali come le celeberrime Campbell’s<br />

soup e Coca Cola. Warhol sostiene che i prodotti <strong>di</strong> massa sono il simbolo<br />

della democrazia sociale perché rappresentano tutti, e proprio questo è il significato<br />

della Pop-art: rappresentare con un simbolo un’intera società (popular-art):<br />

anche l’uomo più povero può bere la Coca Cola o mangiare la<br />

Campbell’s soup proprio come Marilyn Monroe o il presidente degli Stati<br />

67 Moni Ova<strong>di</strong>a, intervista <strong>di</strong> Micromega, n. 1/2008.<br />

– 209 –


Uniti. È proprio in risposta a un tale genere <strong>di</strong> arte che nel sessantotto si sviluppa<br />

una nuova concezione <strong>di</strong> opera artistica, che lasci libero sfogo all’immaginazione<br />

quanto alla denuncia della famigerata “società <strong>di</strong> massa” della<br />

Pop-art. L’artista lascia sempre maggiore spazio ad un’impronta politica e<br />

ideologica <strong>di</strong> carattere profondamente anti-accademico e informale che costituisce<br />

la base della nuova sensibilità artistica comune. Alla rappresentazione<br />

<strong>di</strong> oggetti comuni destinata a una fruizione puramente estetica, si sostituisce<br />

la rappresentazione del concetto, dell’idea. L’americano Joseph<br />

Kosuth è il primo grande esponente <strong>di</strong> questa nuova “arte concettuale”<br />

mossa da una profonda volontà <strong>di</strong> “rinnegare il manufatto”, <strong>di</strong> allontanarsi<br />

dall’idolatria dell’oggetto, dal trionfo del consumismo. Il soggetto d’arte<br />

può essere una qualsiasi cosa che sia generata dal pensiero. Non solo: elemento<br />

fondamentale della nuova pittura è il rifiuto dell’opera finita. L’interesse<br />

è focalizzato sul processo ideativo alla base dell’opera e sulla riflessione<br />

che vuole suscitare nell’osservatore, non sull’opera in sé.<br />

Nel teatro saltano le strutture delle compagnie, viene rivoluzionato il<br />

modo <strong>di</strong> concepire la rappresentazione, si inseriscono temi nuovi e impreve<strong>di</strong>bili,<br />

si <strong>di</strong>ffondono gli spettacoli satirici. Gli studenti invitano attori e musicisti<br />

nei licei e nelle università, dove si registrano i gran<strong>di</strong>ssimi successi <strong>di</strong><br />

questa arte rinnovata, mossa da un interesse nuovo al sapere, che pone nel<br />

confronto e nel <strong>di</strong>alogo i suoi strumenti fondamentali. Si fa strada nelle<br />

menti dei giovani una concezione nuova e rivoluzionaria del sapere, molto<br />

<strong>di</strong>versa da quella tra<strong>di</strong>zionale e accademica: filosofi, ma soprattutto letterati,<br />

vengono letti <strong>di</strong>rettamente ai giovani senza me<strong>di</strong>azioni e il <strong>di</strong>battito <strong>di</strong>venta<br />

il fondamentale momento <strong>di</strong> arricchimento comune. I ragazzi sono<br />

spronati a pensare criticamente e problematicamente con la propria testa, ad<br />

emancipare i propri cervelli senza il timore <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> sbagliato. A<br />

questo proposito è significativa l’esperienza <strong>di</strong> alcuni celebri autori italiani<br />

come Dario Fo, che in un’intervista della rivista Micromega racconta: 68<br />

“[...] Ricordo che all’inizio delle manifestazioni in cui si occupavano le<br />

scuole, proprio nel ’68 sono stato invitato dagli studenti che autogestivano<br />

le lezioni alla facoltà <strong>di</strong> Letteratura dell’università statale <strong>di</strong> Milano. Erano<br />

presenti non meno <strong>di</strong> tremila persone, sedute dappertutto, l’una sull’altra, e<br />

in quell’occasione recitai per la prima volta Mistero Buffo, nella sua prima<br />

stesura piuttosto abborracciata. Quell’esibizione si rivelò un inaspettato<br />

68 Dario Fo; intervista <strong>di</strong> Micromega n. 1/2008.<br />

– 210 –


successo, un fatto davvero rivoluzionario, soprattutto in seguito al <strong>di</strong>battito<br />

molto acceso che seguì la rappresentazione. [...] Si <strong>di</strong>batteva su come realizzare<br />

una <strong>di</strong>versa forma <strong>di</strong> espressione, capace <strong>di</strong> coinvolgere anche<br />

quella enorme quantità <strong>di</strong> popolazione che normalmente non ha la possibilità<br />

<strong>di</strong> accedere alla cultura, al teatro. Si era coscienti del fatto che lo studente<br />

ormai non si poteva più considerare un privilegiato. [...] Avevamo inventato<br />

un nuovo teatro itinerante, dove i gestori non erano gli impren<strong>di</strong>tori<br />

ma la popolazione attiva. Si trattava <strong>di</strong> un fenomeno talmente importante<br />

che ci portò a contare, soltanto a Milano, su circa 80mila associati. Oggi<br />

quando un teatro riesce ad avere 10mila abbonati è un trionfo. [...] Il nostro<br />

impegno era quello <strong>di</strong> evitare assolutamente <strong>di</strong>scorsi astratti. Cercavamo<br />

<strong>di</strong> essere sempre presenti nei luoghi <strong>di</strong> conflitto e <strong>di</strong> contestazione:<br />

alla Fiat durante le occupazioni, a Seveso al tempo della contaminazione<br />

da <strong>di</strong>ossina, là dove c’erano problemi <strong>di</strong> fame o <strong>di</strong> povera gente cacciata <strong>di</strong><br />

casa e buttata in strada. Questo clima effervescente contaminò anche alcuni<br />

gran<strong>di</strong> del teatro. Strehler, per esempio, decise <strong>di</strong> lasciare il Piccolo<br />

Teatro e <strong>di</strong> fondare una compagnia autonoma come la nostra: voleva liberarsi<br />

dall’angoscia <strong>di</strong> essere finanziato da uno stato che in quel momento<br />

non poteva accettare”.<br />

I letterati americani della cosiddetta beat generation 69 assurgono in<br />

questi anni ad un grosso successo <strong>di</strong> pubblico perché sembrano incarnare<br />

proprio quegli ideali <strong>di</strong> libertà in<strong>di</strong>viduale, <strong>di</strong> anticonformismo e critica<br />

della società, propri dei movimenti studenteschi. Si pensi a Jack Kerouac,<br />

uno dei massimi interpreti <strong>di</strong> tale movimento <strong>di</strong> pensiero che nel suo libro<br />

On the road narra <strong>di</strong> un’America in cui i nuovi valori critici si contrappongono<br />

a quelli ufficiali della società americana. Il romanzo è imperniato sul<br />

mito del viaggio inteso come ricerca <strong>di</strong> nuovi orizzonti, come necessità <strong>di</strong><br />

nuovi spazi aperti: i due protagonisti percorrono le strade degli Stati Uniti<br />

vivendo alla giornata, senza avere una meta precisa, mossi esclusivamente<br />

da un forte desiderio <strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> provare nuove esperienze, nuove emozioni.<br />

Il loro viaggio è in realtà una fuga dal presente, una ribellione contro<br />

il mondo consumistico dove tutto è già deciso, confezionato e debitamente<br />

propinato a ciascuno, in nome della libertà in<strong>di</strong>viduale e nella continua ri-<br />

69 Beat generation è l’appellativo che è stato attribuito alla generazione dei giovani americani<br />

ed europei degli anni ’50 e ’60. Sono i giovani che si entusiasmano leggendo Kerouac, che<br />

ascoltano il rock e il be-bop, che sono pervasi da una grande voglia <strong>di</strong> conquistare il proprio spazio,<br />

la propria libertà, e per questo contestano la società che li opprime nei suoi confini angusti.<br />

– 211 –


cerca <strong>di</strong> nuovi valori in cui credere, <strong>di</strong> qualcosa che possa dare un senso alla<br />

vita. Ma è il viaggio stesso che nel contempo appare come quel senso che i<br />

protagonisti ricercano poiché è solo in viaggio che essi si sentono realmente<br />

vivi, non riuscendo in alcun modo ad adattarsi alla vita già “pronta” tipica<br />

della società consumista e non trovando la piena realizzazione <strong>di</strong> sé negli<br />

eccessi, nella droga, nell’alcol e in tutti quegli espe<strong>di</strong>enti utilizzati per cercare<br />

<strong>di</strong> essere <strong>di</strong>versi dall’“omologato” e riacquistare la propria identità. Se<br />

lo scopo della musica nel sessantotto doveva essere quello <strong>di</strong> rompere gli<br />

schemi, l’ingresso del rock’n’roll è la svolta ra<strong>di</strong>cale degli orizzonti musicali<br />

fino ad allora esplorati. Il rock si allontana sempre più dalla ricerca<br />

della melo<strong>di</strong>a “bella” per dare invece un forte impatto emotivo al pubblico;<br />

si semplificano le armonie, ridotte all’essenziale per essere più incisive, fa il<br />

suo primo ingresso sui palchi la <strong>di</strong>storsione, la stessa concezione dello strumento<br />

va mo<strong>di</strong>ficandosi verso l’esaltazione <strong>di</strong> tutte le sue capacità. Niente<br />

<strong>di</strong> tanto rivoluzionario si era mai ascoltato prima da un palco. Il concerto<br />

rock è accompagnato da una partecipazione attiva e nuova da parte del pubblico,<br />

che si sente emotivamente coinvolto: si <strong>di</strong>ffonde un nuovo tipo <strong>di</strong><br />

ballo, <strong>di</strong>sinibito, scandaloso, che ricerca la libertà più assoluta <strong>di</strong> espressione<br />

<strong>di</strong> ognuno. Questo genere <strong>di</strong> musica ha un successo enorme in tutto il<br />

mondo e contribuisce in maniera determinante a <strong>di</strong>ffondere le nuove idee e i<br />

nuovi costumi già prima del sessantotto. È questa l’epoca del “beat”: il termine<br />

significa letteralmente “sconfitto”, “battuto”, ma, letto come abbreviazione<br />

<strong>di</strong> “beatus” significherebbe (come suggerito da Jack Kerouac)<br />

“santo”, in riferimento alla identificazione della santità con la sconfitta che<br />

è tipica <strong>di</strong> questa epoca. La “beat generation” è formata da quei giovani che<br />

hanno compreso <strong>di</strong> essere imprigionati e in<strong>di</strong>fesi tra le fitte trame del<br />

mondo consumistico: “Ognuno da solo e tutti invasi dagli stessi <strong>di</strong>scorsi e<br />

dagli stessi doveri, da sogni pensati da altri e infilati subdolamente nel nostro<br />

cervello: tutti uguali e tutti insieme nella solitu<strong>di</strong>ne. Una folla solitaria<br />

(per usare la felice espressione <strong>di</strong> David Riesman, famoso sociologo americano)<br />

che è soggetta a messaggi che vengono da fuori, un insieme non<br />

amalgamato <strong>di</strong> uomini orientati però a ricercare in rapporto agli altri, anziché<br />

in sé stessi, la propria identificazione”. 70 Dal punto <strong>di</strong> vista musicale<br />

il termine “beat” è sinonimo <strong>di</strong> musica ritmata, con accenti forti: si parla<br />

70 Gianni Borgna, “Storia della canzone italiana”, Mondadori, Bestsellers Saggi, Milano,<br />

1992.<br />

– 212 –


spesso <strong>di</strong> “beat rock”, ma il beat già prima del sessantotto era stato l’essenza<br />

degli standard jazz <strong>di</strong> Charlie Parker, che aveva rivoluzionato il modo<br />

<strong>di</strong> concepire e <strong>di</strong> improvvisare jazz, traducendo gli ideali <strong>di</strong> libertà in melo<strong>di</strong>e<br />

che non hanno una ritmica precisa, ogni volta <strong>di</strong>verse e rinnovate dalla<br />

sensazione <strong>di</strong> un momento. Il fenomeno del “beat” si fa sentire anche in<br />

Italia, dando origine dal punto <strong>di</strong> vista musicale a canzoni che hanno fatto la<br />

storia della musica italiana; una per tutte, “Dio è morto”, che Francesco<br />

Guccini scrisse nel 1965, sembra quasi un manifesto delle idee progressiste<br />

dei giovani degli anni sessanta ed esprime benissimo la profonda coscienza<br />

(<strong>di</strong> un artista che si fa interprete <strong>di</strong> una generazione) della possibilità <strong>di</strong><br />

cambiare, <strong>di</strong> poter agire in concreto per opporsi con forza alle storture della<br />

società. Guccini ha una profonda fiducia nella capacità dei giovani <strong>di</strong> informarsi<br />

e <strong>di</strong> unirsi per la contestazione aperta che lui stesso canta e proclama<br />

nelle sue canzoni. Credo che un testo possa parlare da solo meglio <strong>di</strong> ogni<br />

commento.<br />

DIO È MORTO<br />

Ho visto<br />

La gente della mia età andare via<br />

Lungo le strade che non portano mai a niente<br />

Cercare il sogno che conduce alla pazzia<br />

Nella ricerca <strong>di</strong> qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già<br />

Lungo le notti che dal vino son bagnate<br />

Dentro le stanze da pastiglie trasformate<br />

Lungo le nuvole <strong>di</strong> fumo, nel mondo fatto <strong>di</strong> città,<br />

Essere contro od ingoiare la nostra stanca civiltà<br />

E un Dio che è morto<br />

Ai bor<strong>di</strong> delle strade Dio è morto<br />

Nelle auto prese a rate Dio è morto<br />

Nei miti dell’estate Dio è morto.<br />

Mi han detto<br />

che questa mia generazione ormai non crede<br />

In ciò che spesso han mascherato con la fede<br />

Nei miti eterni della patria o dell’eroe<br />

Perché è venuto il momento <strong>di</strong> negare tutto ciò che è falsità<br />

Le fe<strong>di</strong> fatte <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni e paura<br />

Una politica che è solo far carriera<br />

Il perbenismo interessato, la <strong>di</strong>gnità fatta <strong>di</strong> vuoto<br />

L’ipocrisia <strong>di</strong> chi sta sempre con la ragione e mai col torto<br />

E un Dio che è morto<br />

Nei campi <strong>di</strong> sterminio Dio è morto<br />

Coi miti della razza Dio è morto<br />

– 213 –


Con gli o<strong>di</strong> <strong>di</strong> partito Dio è morto.<br />

Ma penso<br />

Che questa mia generazione è preparata<br />

A un mondo nuovo e a una speranza appena nata<br />

Ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi<br />

Perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni<br />

E poi risorge<br />

In ciò che noi cre<strong>di</strong>amo Dio è risorto<br />

In ciò che noi vogliamo Dio è risorto<br />

Nel mondo che faremo<br />

Dio è risorto,<br />

Dio è risorto.<br />

A quasi <strong>di</strong>eci anni dalla pubblicazione <strong>di</strong> “Dio è morto”, un altro cantautore<br />

italiano, Fabrizio de André, registra il suo sesto album Storia <strong>di</strong> un impiegato.<br />

È l’opera in cui de André dà la sua lettura degli eventi del sessantotto,<br />

delle lotte operaie, del conformismo borghese, in una chiave particolarmente<br />

interessante e originale. L’intero <strong>di</strong>sco è un <strong>di</strong>scorso unico, del quale<br />

ogni canzone è un periodo strettamente connesso con gli altri nella narrazione<br />

<strong>di</strong> una storia, quella <strong>di</strong> un impiegato appunto, che approfon<strong>di</strong>sce la<br />

contrapposizione tra due <strong>di</strong>verse realtà: “quella della classe borghese me<strong>di</strong>a<br />

che, in cambio del rispetto delle regole imposte da chi ha in mano le leve del<br />

comando, gode dei suoi stessi privilegi e la realtà del carcere, <strong>di</strong>ventata qui<br />

il simbolo dell’oppressione e della <strong>di</strong>suguaglianza. La scelta del carcere (da<br />

parte <strong>di</strong> De André) è ovviamente formale, ai fini del racconto, e viene usata<br />

come pretesto per in<strong>di</strong>care una situazione <strong>di</strong> collettività. Queste due situazioni<br />

hanno un punto in comune: sono due con<strong>di</strong>zioni esistenziali <strong>di</strong> costrizione<br />

ma la prima necessita, per la liberazione, della legge della jungla,<br />

l’in<strong>di</strong>vidualismo, la lotta personale, la necessità <strong>di</strong> imparare delle regole<br />

non scritte, dei co<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> comportamento che sono appannaggio <strong>di</strong> coloro<br />

che si <strong>di</strong>vidono la torta del potere. Ed il risultato, questa liberazione, può essere<br />

soltanto una posizione personale più prestigiosa, un salto <strong>di</strong> piano, una<br />

crescita obbligata all’interno <strong>di</strong> quelle regole: perciò da oppresso a oppressore.[...]<br />

In carcere la realtà concede invece due alternative. Ovvero, in con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> sfruttamento sopra una intera collettività ci sono due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> liberarsi:<br />

uno in<strong>di</strong>viduale, ma bisogna abbandonare la classe alla quale si appartiene<br />

per entrare nell’altra, quella già descritta, l’altra possibilità è<br />

quella <strong>di</strong> farlo collettivamente. Ed è proprio in una realtà collettiva che si<br />

impara un altro modo <strong>di</strong> agire, <strong>di</strong> pensare, <strong>di</strong> gestire la propria persona tenendo<br />

conto della presenza degli altri, facendosi un tutto con gli altri fino a<br />

– 214 –


cambiare l’io col noi, ripetendo la stessa posizione <strong>di</strong> lotta ma questa volta<br />

con la coscienza <strong>di</strong> appartenere alla stessa classe <strong>di</strong> sfruttati”. 71<br />

La destra, il ’68 e la figura <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini<br />

Per un’analisi accurata del ’68 italiano, non bisogna tralasciare <strong>di</strong> considerare<br />

l’apporto della destra alle ideologie, e ai movimenti studenteschi <strong>di</strong><br />

quegli anni. Si può parlare <strong>di</strong> una destra <strong>di</strong> lotta contrapposta a una destra <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> governo, quasi un “conto” da regolare in casa tra padri e figli riscaldati<br />

dalla stessa fiamma. La prima <strong>di</strong>cotomia a livello politico e ideologico,<br />

era quella tra l’establishment conservatore che guidava il MSI dell’epoca<br />

(il segretario era Arturo Michelini) e una nuova generazione <strong>di</strong> ventenni,<br />

nati dopo la guerra, che del fascismo non aveva vissuto nulla se non<br />

quello che era stato loro raccontato dai genitori e dagli zii, ma che aveva<br />

scelto <strong>di</strong> militare a destra in un modo nuovo rispetto ai propri predecessori.<br />

Di fatto movimenti come “Lotta <strong>di</strong> popolo” o “Avanguar<strong>di</strong>a nazionale”<br />

prenderanno le mosse proprio dalla delusione maturata il 16 marzo 1968<br />

con i celebri fatti <strong>di</strong> Valle Giulia e il tentativo <strong>di</strong> riportare il tricolore all’università<br />

La Sapienza. Consumata ormai la frattura con la <strong>di</strong>rigenza del MSI,<br />

molti giovani trovarono nel perio<strong>di</strong>co “L’Orologio” quello spazio negato<br />

loro dai vertici, in sintonia con quei gruppi universitari <strong>di</strong> destra che in “Primula<br />

Goliar<strong>di</strong>ca” prima e nella “Nuova Caravella” poi, <strong>di</strong>edero una “spallata”<br />

all’ambiente conservatore cercando <strong>di</strong> far ascoltare non più solo ai<br />

partiti ma alla società intera il grido <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio che animava la contestazione<br />

studentesca. La risposta degli ambienti missini fu l’intervento, anche fisico,<br />

per porre fine a una situazione <strong>di</strong> rivolta che giu<strong>di</strong>carono manovrata dal<br />

PCI. Gli scontri che infiammarono il panorama politico e studentesco del<br />

’68 erano appena iniziati e Valle Giulia fu lo spartiacque. Gli studenti tentavano<br />

<strong>di</strong> creare schieramenti nuovi che passavano attraverso le vecchie associazioni<br />

e le spaccavano, generando, in questo modo, nei due partiti che più<br />

avevano influenzato negativamente la politica universitaria, due atteggiamenti<br />

indecorosi, “quello del PCI” scrisse Giano Accame, 72 uno degli intellettuali<br />

storici della destra italiana, “che ogni giorno si asciuga la faccia<br />

dagli sputi dei ragazzi per correre <strong>di</strong>etro ai ragazzi stessi, e quello del MSI<br />

71 Roberto Danè, Note a “Storia <strong>di</strong> un impiegato”, 1973.<br />

72 Giano Accame (Stoccarda, 30 luglio 1928).<br />

– 215 –


che ogni giorno si asciuga la faccia dagli sputi del governo, per corrergli<br />

<strong>di</strong>etro offrendogli i propri servizi’’.<br />

Scrive perciò Gasparetti: “Coniugando l’aspetto nazionale, <strong>di</strong> cui gli<br />

universitari fascisti erano i maggiori sostenitori, e quello sociale, portato<br />

avanti con maggior vigore dalla sinistra rivoluzionaria, si sarebbe potuto<br />

creare un movimento generazionale su posizioni nazionali e sociali che,<br />

travalicando i partiti, si sarebbe potuto collocare contro il sistema nel suo<br />

insieme”. Fu questo “sogno sognato male”, come lo ha definito Stefano<br />

Delle Chiaie, noto esponente della destra eversiva e della destra spiritualista,<br />

a creare occupazioni parallele e la fine del <strong>di</strong>alogo tra giovani che indossavano<br />

<strong>di</strong>verse camicie ma avevano lo stesso desiderio <strong>di</strong> celebrare la<br />

propria avversione per una società e una politica che non era grande quanto<br />

la loro attesa.<br />

Un’altra voce che nel ’68 fece molto parlare <strong>di</strong> sé, assumendo una posizione<br />

equi<strong>di</strong>stante sia dalla destra conservatrice che dalla sinistra progressista<br />

fu quella <strong>di</strong> Pier Paolo Pasolini, artista poliedrico che nella varietà delle<br />

sue esperienze ha vissuto intensamente i problemi della crisi del neorealismo<br />

in poi. Fece allora molto scalpore un testo da lui pubblicato, “Il PCI ai giovani”,<br />

dopo gli scontri <strong>di</strong> Valle Giulia, in cui sosteneva che quei giovani rivoluzionari<br />

che avevano pronunciato una condanna ra<strong>di</strong>cale contro i loro<br />

padri, alzando contro <strong>di</strong> essi una barriera insormontabile, si erano perciò isolati,<br />

chiudendosi in un ghetto che impe<strong>di</strong>va loro un confronto <strong>di</strong>alettico. Si<br />

erano chiusi nel ghetto della gioventù, il loro rifiuto puro era arido e malvagio.<br />

Erano borghesi come i loro padri, non solo perché figli <strong>di</strong> borghesi,<br />

ma perché tali nella loro visione del mondo. Anche per gli studenti, allora<br />

minoritari, provenienti dalle classi popolari, la partecipazione alla contestazione<br />

fu il lasciapassare per approdare in seno alla borghesia trionfante:<br />

“Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti,<br />

io simpatizzavo coi poliziotti!<br />

Perché i poliziotti sono figli <strong>di</strong> poveri.<br />

Vengono da periferie, conta<strong>di</strong>ne o urbane che siano.<br />

I ragazzi poliziotti<br />

che voi per sacro teppismo (<strong>di</strong> eletta tra<strong>di</strong>zione<br />

risorgimentale) <strong>di</strong> figli <strong>di</strong> papà, avete bastonato,<br />

appartengono all’altra classe sociale.<br />

A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento<br />

<strong>di</strong> lotta <strong>di</strong> classe: e voi, amici (benché dalla parte<br />

della ragione) eravate i ricchi, mentre i poliziotti<br />

(che erano dalla parte del torto) erano i poveri”.<br />

– 216 –


I giovani studenti non sono, come essi immaginavano, la luce dell’avvenire<br />

comunista; essi erano certo la luce dell’avvenire, ma <strong>di</strong> quello neocapitalista.<br />

Con essi si apriva una lotta intestina alla borghesia: questo era l’equivoco<br />

che Pasolini pensava <strong>di</strong> avere smascherato, attirandosi le critiche <strong>di</strong><br />

tutta la sinistra.<br />

In polemica con Marcuse, secondo il quale gli studenti sono gli “eroi<br />

del nostro tempo”, Pasolini intende fare una <strong>di</strong>stinzione tra studenti americani<br />

e della Germania Occidentale da una parte, e studenti <strong>di</strong> Italia e Francia<br />

dall’altra. La <strong>di</strong>scriminante è data dalla presenza o meno <strong>di</strong> una cultura marxista.<br />

La qualifica <strong>di</strong> “eroi” vale solo per i paesi in cui non esiste questa cultura,<br />

mentre là dove esiste, gli studenti, secondo Pasolini, giustamente criticano<br />

un marxismo vecchio, ma da una posizione non marxista e dunque la<br />

loro è una guerra civile e non una rivoluzione. Costoro assomigliano ai loro<br />

padri borghesi per l’o<strong>di</strong>o contro la cultura, la “coscienza dei loro <strong>di</strong>ritti” e<br />

l’aspirazione al potere:<br />

“Smettetela <strong>di</strong> pensare ai vostri <strong>di</strong>ritti,<br />

smettetela <strong>di</strong> chiedere il potere.<br />

Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi <strong>di</strong>ritti,<br />

e ban<strong>di</strong>re dalla sua anima, una volta per sempre,<br />

l’idea del potere”.<br />

Per Pasolini gli studenti sono anticomunisti, anche se verbalmente adoperano<br />

il linguaggio marxista. Nella “Apologia” a “Il PCI ai giovani!”, Pasolini<br />

spiega come i suoi versi siano stati una provocazione. Il pezzo sui poliziotti<br />

sarebbe un pezzo <strong>di</strong> ars rethorica, una captatio malevolentiae,<br />

dunque appunto una provocazione. “Trasumanar e organizzar”, un libro <strong>di</strong><br />

poesie scritto tra il 1968 e il ’71, è in gran parte de<strong>di</strong>cato alla critica della rivolta<br />

studentesca. Gli studenti formano ormai la nuova opinione pubblica,<br />

ma ogni opinione pubblica è sede <strong>di</strong> Terrore: “il grido estremistico / li salva<br />

come una me<strong>di</strong>cina che fa tacere la realtà”. Pasolini aveva criticato e criticava<br />

il PCI per il suo stalinismo e il suo conformismo, e tuttavia egli si sentiva<br />

sempre legato ad esso per un patto <strong>di</strong> lealtà verso gli operai e dunque<br />

verso il loro partito, anche se ormai era <strong>di</strong>ventato una istituzione. Anche gli<br />

studenti contestatori criticarono aspramente il PCI, ma con una opposizione<br />

netta e quin<strong>di</strong> non <strong>di</strong>alettica. Anche in questo Pasolini sospetta la natura<br />

borghese <strong>di</strong> questa rivolta. La novità eretica dei contestatori è in realtà una<br />

nuova ortodossia con le sue alleanze cameratesche, il <strong>di</strong>sprezzo esaltato<br />

contro gli infedeli, la stereotipia, il tono pre<strong>di</strong>catorio, il moralismo, il ricatto<br />

nel nome della lotta dei giusti: il tutto perfettamente co<strong>di</strong>ficato e preve<strong>di</strong>-<br />

– 217 –


ile. Mirano alla purezza originaria del pensiero con le loro rivolte “<strong>di</strong>rette<br />

da una segreta ansia <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne”. E per ortodossia Pasolini intende il fanatismo,<br />

la voglia <strong>di</strong> uniformità e l’o<strong>di</strong>o per i <strong>di</strong>versi, tutte cose che il poeta<br />

assimila allo spirito borghese. Gli studenti vogliono instaurare una nuova<br />

Chiesa coi suoi riti e i suoi anatemi.<br />

La rivolta del ’68 è stata una falsa rivoluzione, che si è presentata come<br />

marxista, ma in realtà non era altro che una forma <strong>di</strong> autocritica della borghesia,<br />

che si è servita dei giovani per <strong>di</strong>struggere i suoi vecchi miti <strong>di</strong>venuti<br />

obsoleti. La rivoluzione neocapitalistica era già avvenuta nella struttura;<br />

ora bisognava che fosse perfezionata la rivoluzione a livello sovrastrutturale-culturale:<br />

questa è la più feroce critica <strong>di</strong> Pasolini al ’68. Per rivoluzione<br />

neocapitalistica si intende il passaggio all’omologazione consumistica:<br />

non più le vecchie culture (conta<strong>di</strong>na, borghese, proletaria ecc...),<br />

bensì un’unica cultura, quella del consumo ed anzi <strong>di</strong> identici consumi per<br />

tutti, così da produrre il livellamento e la fine della critica.<br />

Ogni gioventù ha <strong>di</strong>ritto alla ribellione. Ma questi giovani contestatori<br />

hanno avuto solo l’illusione della ribellione, hanno già trovato la strada<br />

spianata da coloro (la vecchia borghesia che si stava riorganizzando per approdare<br />

al neocapitalismo) che volevano contestare la tra<strong>di</strong>zione. Quin<strong>di</strong> la<br />

rivolta non fu provocata da questi giovani, ma fu instillata in loro dai padri,<br />

o meglio dalla nuova cultura neocapitalistica. Erano i padri che volevano<br />

farla finita col loro passato, con la loro storia. Il capitalismo aveva bisogno<br />

<strong>di</strong> mutare ra<strong>di</strong>calmente, e strumentalizzò i suoi figli per raggiungere l’obiettivo.<br />

Fu una ribellione voluta dall’alto e i ribelli ingenui vi si buttarono furiosamente<br />

pensando <strong>di</strong> esserne i veri promotori. Queste critiche alla contestazione<br />

studentesca non impe<strong>di</strong>rono a Pasolini <strong>di</strong> scorgervi anche gli elementi<br />

<strong>di</strong> positiva novità. Egli volle sempre un confronto-scontro con gli studenti.<br />

Ad<strong>di</strong>rittura nel 1971 fu per tre mesi <strong>di</strong>rettore responsabile <strong>di</strong> Lotta<br />

Continua, quando questo giornale ne fu momentaneamente sprovvisto, a<br />

causa <strong>di</strong> condanne per reati d’opinione dei precedenti <strong>di</strong>rettori. Nel 1972<br />

Pasolini girò anche un film-documentario assieme a Lotta Continua: “12 <strong>di</strong>cembre”,<br />

un excursus sull’Italia <strong>di</strong> quel momento. Sulla questione <strong>di</strong> Piazza<br />

Fontana, Pasolini si schiera coi gruppi extraparlamentari contro la tesi governativa<br />

degli “opposti estremismi” tendente a equiparare i gruppi <strong>di</strong><br />

estrema destra e <strong>di</strong> estrema sinistra come responsabili <strong>di</strong> quell’attentato terroristico<br />

e <strong>di</strong> tanti altri. È anche dell’avviso che gli studenti hanno svegliato<br />

dal sonno i sindacati ed hanno aiutato le lotte operaie, pur con le limitazioni<br />

sopra osservate. Il Movimento Studentesco ha anche riattualizzato la lotta <strong>di</strong><br />

– 218 –


classe, riprendendone temi che andavano scolorendo. Insomma, se soggettivamente<br />

gli studenti potevano anche essere convinti <strong>di</strong> essere dei rivoltosi,<br />

oggettivamente erano incanalati nella trasformazione neocapitalistica<br />

Bibliografia:<br />

L. MILANI, “Lettera a una professoressa”, Libreria E<strong>di</strong>trice Fiorentina,<br />

Firenze, 1967.<br />

H. MARCUSE, “L’uomo a una <strong>di</strong>mensione”, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1967.<br />

F. BASAGLIA, “L’istituzione negata”, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1968.<br />

H. ARENDT, “Politica e menzogna”, Milano, 1985.<br />

F. AGOSTINI, “Analitici e Continentali”, Raffaello Cortina e<strong>di</strong>tore, Milano,<br />

2000, pag. 63.<br />

PORTO M., “Introduzione a Marcuse”, Lacaita E<strong>di</strong>tore, Manduria, 1998,<br />

pag. 13.<br />

MARCUSE H., “Sul carattere affermativo della cultura”, Cultura e società,<br />

1963 (I e<strong>di</strong>z. 1937).<br />

MARCUSE H., “Ragione e Rivoluzione”, Il Mulino, Bologna, 1997 (I e<strong>di</strong>z.<br />

1941).<br />

MARCUSE H., “Eros e Civiltà”, Piccola Biblioteca Einau<strong>di</strong>, Torino, 2001<br />

(I e<strong>di</strong>z. 1955).<br />

MARCUSE H., “L’uomo a una <strong>di</strong>mensione”, Piccola Biblioteca Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 1999 (I e<strong>di</strong>z. 1964).<br />

KRISTIN ROSS, “May ’68 and its afterlives”, New York, 2005.<br />

G.C. MARINO, “Biografia del sessantotto”, Bompiani. Milano, 2004.<br />

Intervista ad Horkheimer <strong>di</strong> Enzo Bettiza, <strong>di</strong>cembre 1968.<br />

“Potere Operaio”, anno 3, n° 45, <strong>di</strong>cembre 1971.<br />

“Informativa <strong>di</strong> Libero Mazza al ministro Restivo”, ACS, 13 aprile 1970,<br />

Milano.<br />

MONI OVADIA, intervista <strong>di</strong> Micromega, n.1/2008.<br />

GIANNI BORGNA, “Storia della canzone italiana”, Mondadori, Bestsellers<br />

Saggi, Milano, 1992.<br />

ROBERTO DANÈ, Note a “Storia <strong>di</strong> un impiegato”, 1973.<br />

P.P. PASOLINI, “Il PCI ai giovani”, Milano, 1972.<br />

– 219 –


CAPITOLO III<br />

ANNI DI PIOMBO:<br />

RESPONSABILITÀ PRESENTI E PASSATE<br />

In questo capitolo inten<strong>di</strong>amo trattare la degenerazione del Sessantotto<br />

in quegli anni bui in cui lo Stato si presentava particolarmente fragile e soggetto<br />

a molteplici attacchi.<br />

Non fu affatto scontato il volgersi degli eventi che portarono alle stragi<br />

ed al terrorismo; se è vero che il governo Rumor era del tutto impreparato<br />

ad affrontare l’ondata <strong>di</strong> agitazioni, è vero ancor più che il MSI e le forze<br />

più conservatrici (anche una parte della DC) chiedevano un governo<br />

“forte”, denunciavano l’apertura a sinistra della DC e l’incipiente pericolo<br />

rivoluzionario. Forze eversive <strong>di</strong> destra iniziarono a tessere le “trame nere”<br />

decise a provocare il collasso della democrazia con l’appoggio mascherato<br />

<strong>di</strong> ambienti conservatori <strong>di</strong> vario tipo, e probabilmente con la connivenza<br />

dei servizi segreti. Quello che fu definito terrorismo “nero” o più ampiamente<br />

“strategia della tensione”, aveva opposta matrice ideologica rispetto<br />

a quello <strong>di</strong> sinistra, “rosso”, e <strong>di</strong>verso aveva il modo <strong>di</strong> operare: è bene <strong>di</strong>stinguere.<br />

Il tratto <strong>di</strong>stintivo del terrorismo <strong>di</strong> destra fu il ricorso ad attentati<br />

<strong>di</strong>namitar<strong>di</strong> in luoghi pubblici, che provocavano stragi in<strong>di</strong>scriminate, con<br />

lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere il panico nel paese e <strong>di</strong> favorire una svolta autoritaria.<br />

Dopo la strage <strong>di</strong> piazza Fontana del 1969 fu la volta delle bombe in Piazza<br />

della Loggia a Brescia nel maggio del ’74, quelle sul treno Italicus nell’agosto<br />

dello stesso anno e l’attentato alla stazione <strong>di</strong> Bologna con oltre ottanta<br />

morti nell’agosto ’80. La ragionevole convinzione che si poteva trarre<br />

riguardo alle responsabilità delle stragi attribuibili ad esponenti della destra<br />

eversiva, pur confortata da riscontri investigativi, non ha ancora trovato<br />

nella maggior parte dei casi una conferma della magistratura giu<strong>di</strong>cante. Al<br />

potere politico spetta a nostro parere la responsabilità <strong>di</strong> non aver saputo in<strong>di</strong>rizzare<br />

l’azione dei servizi <strong>di</strong> sicurezza e <strong>di</strong> non aver posto alcun rime<strong>di</strong>o<br />

alla loro inefficienza e alle loro specifiche deviazioni. Ma noi abbiamo deciso<br />

<strong>di</strong> focalizzare la nostra attenzione sul terrorismo <strong>di</strong> sinistra, protagonista<br />

in<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> quegli anni, sulle Brigate Rosse, cui si affiancarono, fra<br />

il ’75 ed il ’76, i Nuclei Armati Proletari e Prima linea.<br />

L’immagine <strong>di</strong> uno stato debole minato da corruzione politica, la presenza<br />

<strong>di</strong> un terrorismo <strong>di</strong> destra e la psicosi <strong>di</strong> un colpo <strong>di</strong> stato, nonché il<br />

mancato riscontro sul piano governativo <strong>di</strong> molte delle richieste e delle<br />

– 220 –


aspirazioni che avevano caratterizzato il movimento del ’68 alimentavano<br />

in alcuni settori la giustificazione <strong>di</strong> una risposta violenta e furono tra i<br />

primi fattori che contribuirono alla nascita del terrorismo dì sinistra. In<br />

realtà ci sembra che il principio della lotta armata fosse da tempo un elemento<br />

portante <strong>di</strong> tutte le ideologie estremiste rivoluzionarie che il ’68<br />

aveva contribuito a <strong>di</strong>vulgare e a mitizzare. Ma allora per la prima volta,<br />

anche per la suggestione dei modelli della guerriglia latino-americana (la<br />

<strong>di</strong>ffusione del mito del puro capo rivoluzionario Che Guevara) e del terrorismo<br />

palestinese, si formarono nuclei organizzati pronti a mettere in pratica<br />

quella che fino ad allora era rimasta solo prospettiva teorica. La lotta armata<br />

e la clandestinità apparvero a molti come una scelta <strong>di</strong> vita totale, un’esperienza<br />

eccezionale. Se è vero che in quegli anni si attuò un progressivo <strong>di</strong>stacco<br />

dei gruppi estremisti dalle esigenze concrete del resto del paese (in<br />

particolare ci riferiamo alla mancanza <strong>di</strong> comunicazione con il movimento<br />

operaio da parte <strong>di</strong> questi ultimi), tuttavia i brigatisti si chiusero progressivamente<br />

in progetti <strong>di</strong>fficilmente attuabili preferendo la via del sangue, la<br />

via dell’azione imme<strong>di</strong>ata al gradualismo <strong>di</strong> un progetto politico riformista<br />

da sinistra. Per i terroristi, giovani e giovanissimi provenienti dalla militanza<br />

nelle file dell’ex Movimento Studentesco, dei gruppi extraparlamentari,<br />

degli stessi partiti della sinistra storica, l’azione armata si presentava<br />

come un atto esemplare, destinato, loro pensavano, essenzialmente alla<br />

classe operaia al fine <strong>di</strong> mobilitarla per il rovesciamento del sistema capitalistico<br />

e dello stato borghese. Ai primi isolati attentati incen<strong>di</strong>ari seguirono<br />

tra il ’72 il ’75 sequestri <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigenti industriali e <strong>di</strong> magistrati (il più clamoroso<br />

fu quello del giu<strong>di</strong>ce Mario Sossi nell’aprile del ’74). Nel 1976, con<br />

l’uccisione del procuratore generale <strong>di</strong> Genova, Francesco Coco, si giunse<br />

all’assassinio programmato che mirava a colpire personalità eminenti, simboli<br />

veri e propri della realtà politica contemporanea.<br />

Ecco che un fenomeno che nelle sue prime manifestazioni fu giu<strong>di</strong>cato<br />

un fatto episo<strong>di</strong>co e sostanzialmente estraneo al tessuto civile del paese, doveva<br />

restare per tanti anni un elemento permanente e <strong>di</strong>sgregante della vita<br />

politica italiana. Ci proponiamo <strong>di</strong> sostanziare il nostro approfon<strong>di</strong>mento<br />

con articoli e interviste reperite dai giornali <strong>di</strong> quegli anni e dalla celebrazione<br />

decennale a questi eventi attribuita dai quoti<strong>di</strong>ani. Tra l’altro l’argomento<br />

è quanto mai attuale se consideriamo la pubblicazione del libro del<br />

figlio del commissario Calabresi “Spingendo la notte più in là” che ci ha<br />

fatto porre interrogativi e spinto alla riflessione sull’“altro modo possibile”<br />

<strong>di</strong> vedere quegli anni: dalla parte delle vittime.<br />

– 221 –


Gli anni <strong>di</strong> piombo<br />

Con “anni <strong>di</strong> piombo” si intende in Italia quel periodo, coincidente<br />

grosso modo con gli anni settanta, in cui l’insod<strong>di</strong>sfazione per la situazione<br />

politico-istituzionale, caotica, si tradusse in violenza <strong>di</strong> piazza prima e, successivamente,<br />

in lotta armata, perpetrata da gruppi organizzati che usarono<br />

l’arma del terrorismo nell’obiettivo <strong>di</strong> creare le con<strong>di</strong>zioni per influenzare o<br />

sovvertire gli assetti istituzionali e politici del Paese. Gli storici sono concor<strong>di</strong><br />

nel considerare la nascita <strong>di</strong> tale fenomeno, in Italia, con la strage <strong>di</strong><br />

Piazza Fontana; l’ultimo caso è recente e riguarda una colonna delle Brigate<br />

Rosse attiva ancora negli anni 2000.<br />

Nell’immaginario collettivo molti associano questo periodo alle imprese<br />

<strong>di</strong> alcune organizzazioni extraparlamentari <strong>di</strong> sinistra, come Lotta<br />

Continua o il Movimento Studentesco o altre attive negli anni ’70, o terroristiche<br />

come Prima Linea e le Brigate Rosse o altre, ma in quel periodo agirono<br />

anche molti gruppi <strong>di</strong> estrema destra, come i NAR e Or<strong>di</strong>ne Nero, che<br />

contrapponendosi a quelli <strong>di</strong> estrema sinistra, scrissero una pagina particolarmente<br />

cruenta del Terrorismo nero. 73 Il termine anni <strong>di</strong> piombo è posteriore<br />

(deriva probabilmente dal titolo <strong>di</strong> un film <strong>di</strong> Margarethe Von Trotta).<br />

A quei tempi era usato dagli organi <strong>di</strong> informazione il termine <strong>di</strong> “opposti<br />

estremismi”. 74 I violenti scontri <strong>di</strong> piazza, la lotta armata, e i tragici eventi<br />

<strong>di</strong> questi anni avevano certamente un minimo comune denominatore: la<br />

lotta contro la forma politica pro-tempore della società. Prevalenti in questi<br />

anni furono le spinte in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un modello marxista-leninista che prevede<br />

l’azione <strong>di</strong> una avanguar<strong>di</strong>a rivoluzionaria per dare inizio ad un cambiamento<br />

della società in senso comunista. Per alcuni si è trattato <strong>di</strong> anni <strong>di</strong><br />

“terrorismo <strong>di</strong> sinistra”, per altri <strong>di</strong> “stragismo <strong>di</strong> destra”, per altri ancora <strong>di</strong><br />

“stragismo <strong>di</strong> stato”. Altre posizioni ritengono che al riguardo “esista solo<br />

una verità giu<strong>di</strong>ziaria parziale, confusa e spesso contrad<strong>di</strong>ttoria”. 75<br />

L’economia italiana era cresciuta rapidamente ed il miglioramento del<br />

tenore <strong>di</strong> vita era percettibile. La mortalità infantile si era fortemente ridotta.<br />

La popolazione cresceva. L’analfabetismo era praticamente scomparso. La<br />

73 Leonard Weinberg, “Italian Neo-Fascist Terrorism: A comparative Perspective”, in<br />

“Terror form extreme right”, Tore Bjø´ rgo, 1995.<br />

74 Annate del stampate nel periodo.<br />

75 Sandro Provvisionato, “Anni <strong>di</strong> piombo: parte male il <strong>di</strong>battito sul superamento”, in<br />

Misteri d’Italia, 97, 2005.<br />

– 222 –


continua crescita del Partito Comunista Italiano sicuramente non era vista <strong>di</strong><br />

buon occhio negli USA, che valutarono il passaggio a forme d’intervento più<br />

incisive, rispetto al precedente finanziamento della sinistra non comunista. 76<br />

Il 1969 fu un anno ancora denso <strong>di</strong> contestazioni. Dopo le proteste studentesche<br />

arrivarono le lotte dei lavoratori per i rinnovi contrattuali, con forti contrasti<br />

nei posti <strong>di</strong> lavoro e nelle fabbriche. Era il cosiddetto “autunno caldo”.<br />

Il 25 aprile avvengono due attentati a Milano che provocano 20 feriti e il 9<br />

agosto avvengono otto attentati in Italia con 12 feriti. Il 19 novembre, durante<br />

una manifestazione a Milano dell’Unione Comunisti Italiani (marxistileninisti)<br />

muore l’agente <strong>di</strong> polizia Antonio Annarumma, colpito da un tubo<br />

d’acciaio lanciato dai manifestanti, mentre guida un mezzo. Il 12 <strong>di</strong>cembre<br />

avvengono in Italia nell’arco <strong>di</strong> 53 minuti 5 attentati.<br />

Il 1969<br />

Tutte le vocazioni del movimento sessantottino italiano sembrarono<br />

esplodere assieme a quella bomba il 12 <strong>di</strong>cembre 1969 a Milano in piazza<br />

Fontana. La serie <strong>di</strong> attentati terroristici che quella deflagrazione portò con<br />

sé lasciava intendere un piano organizzato per destabilizzare l’assetto democratico<br />

del paese sotto la costante minaccia del panico. Da quel momento<br />

in poi “non sarebbe più stato tempo <strong>di</strong> sogni”, 77 umbratili poteri<br />

erano all’opera, e tramavano per attribuire alla sinistra la responsabilità<br />

della trage<strong>di</strong>a. Ma la colpa dell’accaduto ricadde su <strong>di</strong> un capro espiatorio:<br />

la frangia anarchica, in particolare Pietro Valpreda. La sinistra rispose quasi<br />

imme<strong>di</strong>atamente mobilitando cortei e stampa, ad<strong>di</strong>tando in tutta risposta i<br />

gruppi fascisti eversivi desiderosi <strong>di</strong> fermare il movimento operaio e la democrazia<br />

ricorrendo alla violenza e al crimine.<br />

Come risposta a tali affermazioni il MSI ribadì violentemente le accuse<br />

alla sinistra. L’Italia si trovava nel pieno dello scenario caratteristico della<br />

guerra fredda: quello in cui uno stato invisibile si sovrapponeva a quello già<br />

esistente gettando la sua “longa manus” per sod<strong>di</strong>sfare i propri interessi:<br />

bloccare l’avanzata del comunismo nel Paese. Tutti gli attentati del periodo<br />

imme<strong>di</strong>atamente successivo al ‘68 avevano come modello la strage <strong>di</strong><br />

piazza Fontana; la stagione comportò la deformazione irreversibile dei ca-<br />

76 Frances Stonor Saunders, “La Guerra Fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e<br />

delle arti”, Fazi, Roma, 2004.<br />

77 Giuseppe Carlo Marino, “Biografia del Sessantotto”, Bompiani, Milano, 2004.<br />

– 223 –


atteri del movimento sessantottino. Infatti la <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> polarizzazione<br />

delle forze politiche stava facendo in modo che gli studenti fossero espropriati<br />

dell’ideologia che avevano faticosamente costruito, per andare a fomentare<br />

qualcosa <strong>di</strong> ben lontano dagli obiettivi del movimento studentesco<br />

stesso. Dopo piazza Fontana il Sessantotto, per quanto gli studenti avessero<br />

continuato a ritenersi i protagonisti, non sarebbe più appartenuto a loro, in<br />

quanto il loro ruolo sarebbe stato ben <strong>di</strong>verso da quello rivestito in passato.<br />

Il clima <strong>di</strong> tensione stava fermentando: a giu<strong>di</strong>care dai documenti delle<br />

autorità statali erano aumentati a <strong>di</strong>smisura fenomeni quali aggressioni<br />

contro nemici (veri o presunti) da parte <strong>di</strong> giovani, professori, operai, e femministe<br />

ra<strong>di</strong>cali; dalla parte opposta (la destra) giunse presto la delusione per<br />

il fallimento del golpe del principe Borghese alimentato dalla voglia <strong>di</strong><br />

scontro da parte dei più fanatici esponenti della destra stessa. Senza dubbio,<br />

dunque, l’epoca che seguì il Sessantotto, fu caratterizzata da scontri insanabili<br />

innescati da numerose micce da una parte o dall’altra. La destra avrebbe<br />

sfruttato il terrore instauratosi, ad<strong>di</strong>tando i comunisti come i responsabili, per<br />

sovvertire l’or<strong>di</strong>ne costituito dando più potere alle forze dell’or<strong>di</strong>ne seriamente<br />

provate dagli scontri con le folle “rosse”; la sinistra invece avrebbe<br />

continuato ad in<strong>di</strong>care come unica a soffiare sul fuoco del terrorismo la destra,<br />

fomentatrice <strong>di</strong> violenze e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni. La democrazia sembrava minacciata,<br />

e la sinistra tutta si spinse a controffensive ad eventi quali la morte dell’anarchico<br />

Giuseppe Pinelli vittima, forse, <strong>di</strong> un interrogatorio inumano. E<br />

sempre <strong>di</strong> più alle proteste si aggiungevano iniziative aggressive <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso<br />

genere, che con tutti quei fatti avevano poco a che spartire. Inoltre la sinistra<br />

lamentava una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> repressione reazionaria, <strong>di</strong> involuzione del sistema<br />

in senso fascista, comportamento adottato effettivamente dal governo<br />

e dalle pubbliche autorità verso coloro i quali partecipavano agli scioperi e<br />

alle manifestazioni. “È testé iniziata in Italia, da parte del governo, della<br />

magistratura, e della polizia, un’attività feroce <strong>di</strong> repressione che tende a<br />

colpire ingiustamente i lavoratori e gli studenti che nell’autunno caldo si<br />

sono battuti per tirare avanti una dura battuta d’arresto nell’intento <strong>di</strong> risolvere<br />

i numerosi problemi <strong>di</strong> carattere economico e sociale che interessavano<br />

una larga schiera <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni”: tali cose <strong>di</strong>ceva Alessandro Galante Garrone<br />

riguardo al fenomeno della repressione attuata dal governo. 78<br />

78 A. Galante Garrone (Vercelli, 2 <strong>di</strong>cembre 1910 - Torino, 1997), magistrato (a partire dal<br />

1935), avvocato (dal 1953), prefetto della sua città natale e senatore (eletto nel ’68 come in<strong>di</strong>pendente<br />

<strong>di</strong> sinistra in una lista unitaria), nonché autore, sotto lo pseudonimo <strong>di</strong> Isidoro Pagnotta,<br />

– 224 –


Tra le agitazioni e le occupazioni, le scuole non fecero altro che rimpolpare<br />

le fila dei giovani nei cortei sindacali e nelle varie manifestazioni <strong>di</strong><br />

piazza. La contestazione procedeva “a singhiozzo” mossa ora da richieste<br />

utilitaristiche, ora da istanze politiche contro la repressione, che sfociavano<br />

spesso in iniziative rischiosamente violente <strong>di</strong> stampo anti-capitalista come<br />

nel caso del febbraio ’69, quando da un corteo nato per protestare contro il<br />

quoti<strong>di</strong>ano “Il Tempo” lanciarono una bottiglia molotov contro la sede del<br />

giornale. Tuttavia i “nemici” del movimento giovanile erano <strong>di</strong>ventati<br />

sempre <strong>di</strong> più: alla destra si erano aggiunti i riformisti moderati della sinistra<br />

stessa. L’esplosione <strong>di</strong> alcuni or<strong>di</strong>gni alla base del monumento ai caduti<br />

<strong>di</strong> tutte le guerre spinse i fascisti a imbrattare la lapide commemorativa<br />

delle “Quattro giornate” a Capo<strong>di</strong>monte, e a lanciare bottiglie incen<strong>di</strong>arie<br />

nel cortile del <strong>Liceo</strong> Percalli <strong>di</strong> Napoli nel 1969; con il pretesto <strong>di</strong> aiutare le<br />

forze dell’or<strong>di</strong>ne si muovevano, armati e violenti, contro i residui <strong>di</strong> contestazione<br />

studentesca. Ma è importante sottolineare che la violenza era usata<br />

in parti uguali da ciascuna delle due fazioni, se pensiamo che i rapporti<br />

della polizia riferiscono che gli anarchici utilizzavano sbarre metalliche invece<br />

dei vecchi bastoni, forse troppo fragili, o troppo poco all’avanguar<strong>di</strong>a,<br />

poi adottate da tutti in<strong>di</strong>fferentemente. A muovere le fila del movimento non<br />

era più la frattura generatasi tra studenti e autorità accademiche, ma teppismo<br />

politico. Inoltre <strong>di</strong>versi professori furono bersagli <strong>di</strong> violenze per le<br />

loro idee politiche, ma questo tipo <strong>di</strong> atti violenti, perlopiù “pugni e<br />

schiaffi”, si andava <strong>di</strong>ffondendo dalle scuole al terreno politico. Le forze<br />

politiche <strong>di</strong> destra miravano a sostenere l’or<strong>di</strong>ne per ricevere appoggio dal<br />

governo, mentre la polizia era quasi connivente con i gruppi <strong>di</strong> provocatori.<br />

La <strong>di</strong>namica del conflitto sociale fu resa tumultuosa non solo dalle<br />

ideologie sessantottine ma anche da questioni <strong>di</strong> natura pratica come le questioni<br />

del lavoro e i <strong>di</strong>ritti civili. Nel frattempo, l’influenza della sinistra si<br />

espanse fino a comprendere la magistratura, con <strong>di</strong>versi magistrati giovani<br />

che inaugurarono la storia <strong>di</strong> Magistratura Democratica formando <strong>di</strong>versi<br />

comitati per la <strong>di</strong>fesa delle libertà costituzionali per contrastare la repressione.<br />

Il Movimento Studentesco, invece, continuava a far presente la necessità<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra violenza liberatrice e lotta <strong>di</strong> classe, <strong>di</strong>chiarando <strong>di</strong><br />

voler preparare tutto il necessario perché i militanti potessero legittima-<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>vertente raccolta delle contrad<strong>di</strong>ttorie affermazioni <strong>di</strong> Mussolini durante il ventennio<br />

fascista dal titolo: “Viva il capomastro”. Le parole sono così riportate in un rapporto del prefetto<br />

<strong>di</strong> Ferrara al ministro risalente al 9 febbraio 1970.<br />

– 225 –


mente <strong>di</strong>fendersi dalle provocazioni dei fascisti e della polizia connivente,<br />

legittimando così l’uso della forza. Il Movimento Studentesco promosse<br />

uno sciopero per l’abolizione delle norme penali contrastanti con le libertà<br />

sindacali in un’ottica tuttavia decisamente riformista e con una partecipazione<br />

del 70%, in base ai rapporti ufficiali delle prefetture, rivelando una<br />

grande sensibilità ai gran<strong>di</strong> temi politici da parte del movimento operaio, ed<br />

inaugurando una tendenza che tenterà <strong>di</strong> volgere a vantaggio dei riformisti<br />

lo sciopero generale. Ma le manifestazioni <strong>di</strong>ventarono violente in poco<br />

tempo a causa della frequente infiltrazione <strong>di</strong> fomentatori e provocatori all’interno<br />

delle fila dei <strong>di</strong>versi cortei, mentre anche gli estremisti <strong>di</strong> sinistra<br />

iniziavano a volgersi alla violenza gridando slogan agghiaccianti come:<br />

“uccidere un fascista non è un reato” insieme all’altro più frequente: “fascisti,<br />

carogne, tornate nelle fogne”.<br />

Le Erinni, 79 dunque, stavano dettando il loro linguaggio, traducendo in<br />

foschi messaggi d’o<strong>di</strong>o le passioni politiche dei due fronti, e accentuando<br />

negli estremisti la tendenza a considerare lo sciopero, ben al <strong>di</strong> là della piattaforma<br />

riven<strong>di</strong>cativa degli operai, come un’occasione <strong>di</strong> intrepida e dura<br />

testimonianza ideologica.<br />

Mentre si moltiplicavano in tutta Italia i Comitati <strong>di</strong> base contro la repressione<br />

e i Centri unitari <strong>di</strong> cultura democratica, organizzazioni legate ai<br />

partiti istituzionali, gli extraparlamentari <strong>di</strong> sinistra erano soliti considerare<br />

proprio quest’intera gamma <strong>di</strong> iniziative, proteste, manifestazioni pubbliche<br />

e scioperi organizzati dalla Triplice sindacale o dai partiti della sinistra ufficiale<br />

come subdoli tentativi dei riformisti, dal PSI al PCI, <strong>di</strong> strumentalizzare<br />

un’azione <strong>di</strong> massa che si sarebbe dovuta attribuire soltanto all’iniziativa<br />

e alla capacità <strong>di</strong> pressione delle avanguar<strong>di</strong>e rivoluzionarie, in sostanza<br />

un tentativo <strong>di</strong> svilire le istanze rivoluzionarie del ’68. Su questo<br />

tema, i vari gruppi <strong>di</strong> extraparlamentari impiantarono un recitativo ininterrotto<br />

che era il loro specifico modulo <strong>di</strong> propaganda per tentare <strong>di</strong> fare proseliti<br />

nelle fabbriche e fuori: i militanti <strong>di</strong> Lotta Continua incitavano gli<br />

scioperanti a “isolare i burocrati dei partiti e dei movimenti politici (soprattutto<br />

i “falsi marxisti” del PCI e del PSIUP), accusandoli <strong>di</strong> essere i primi a<br />

scappare durante gli scontri con la polizia”. Loro, invece, quegli scontri li<br />

propiziavano”per far saltare la pace sociale” invocata dai ceti impren<strong>di</strong>to-<br />

79 È Giuseppe Carlo Marino a fornirci questa efficace metafora, mutuata dall’antichità classica,<br />

per definire i fomentatori delle violenze dei primi anni <strong>di</strong> piombo: le Erinni, esseri mitologici,<br />

personificazioni dell’o<strong>di</strong>o da cui scaturisce il male fisico e morale.<br />

– 226 –


iali e sostanzialmente avallata dal sindacato e dalla sinistra istituzionale<br />

con “manifestazioni pilotate”.<br />

Il clima era normalmente quello <strong>di</strong> una società invelenita e in affanno,<br />

nella quale la voglia <strong>di</strong> testimoniare una presenza civile e politica era costantemente<br />

insi<strong>di</strong>ata dal tentativo delle avanguar<strong>di</strong>e <strong>di</strong> strumentalizzarla ai fini<br />

<strong>di</strong> violenza, in nome <strong>di</strong> deliranti propositi rivoluzionari. Infatti la tendenza a<br />

considerare le manifestazioni <strong>di</strong> piazza come un allenamento alla guerriglia<br />

urbana era ormai dominante tra gli estremisti <strong>di</strong> sinistra e <strong>di</strong> destra.<br />

Per loro, quasi per un processo <strong>di</strong> autoinduzione delle lotte, si stava<br />

aprendo la terribile e angosciante stagione dell’o<strong>di</strong>o e del terrore.<br />

Le stragi<br />

Il 12 <strong>di</strong>cembre 1969 si scrisse una delle pagine più tragiche e drammatiche<br />

della storia della Repubblica: la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura<br />

presso piazza Fontana a Milano fu sconvolta dalla deflagrazione<br />

<strong>di</strong> un or<strong>di</strong>gno che provocò la morte <strong>di</strong> numerosi innocenti. L’articolo<br />

scritto da Fernando Strambaci, giornalista de “L’Unità”, in un suo articolo,<br />

pubblicato in data 13 <strong>di</strong>cembre 1969, rappresenta una fonte interessante<br />

per comprendere i tragici eventi: “Tre<strong>di</strong>ci morti e un centinaio <strong>di</strong> feriti per<br />

un criminoso attentato fascista alla Banca Nazionale dell’Agricoltura<br />

nella centralissima piazza Fontana. Tra le 16,15 e le 16,30 un boato violentissimo<br />

ha squassato l’aria. Dalla porta della Banca dell’Agricoltura si<br />

è visto gente uscire <strong>di</strong> corsa e cadere a terra, mentre un fumo acre si <strong>di</strong>ffondeva<br />

nella piazza. Alle prime persone accorse nella banca si è presentato<br />

uno spettacolo allucinante: decine <strong>di</strong> corpi sanguinanti, alcuni ridotti<br />

letteralmente a brandelli, se<strong>di</strong>e e tavoli rovesciati, documenti sparpagliati<br />

dappertutto”.<br />

Altre drammatiche stragi furono compiute in questi anni:<br />

• 28 maggio 1974: Strage <strong>di</strong> Piazza della Loggia a Brescia;<br />

• 4 agosto 1974: Strage sull’espresso Roma-Brennero (Italicus);<br />

• 2 agosto 1980: Strage della stazione <strong>di</strong> Bologna.<br />

Stragi che apparvero insensate e talvolta senza colpevoli: riguardo ad alcune<br />

<strong>di</strong> esse non vi è tuttora certezza sugli esecutori, e in nessun caso risultano<br />

noti i nomi <strong>di</strong> eventuali mandanti. Emblematico il processo per la strage<br />

<strong>di</strong> piazza Fontana a Milano, al termine del quale (maggio 2005) ai parenti<br />

delle vittime sono state addebitate le spese processuali.<br />

– 227 –


Pier Paolo Pasolini, quasi certamente in chiave provocatoria, <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong><br />

conoscere i mandanti delle stragi, pur non avendo prove: 80 “Io so i nomi dei<br />

responsabili <strong>di</strong> quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie<br />

<strong>di</strong> golpe istituitasi a sistema <strong>di</strong> protezione del potere). Io so i nomi dei<br />

responsabili della strage <strong>di</strong> Milano del 12 <strong>di</strong>cembre 1969. Io so i nomi dei<br />

responsabili delle stragi <strong>di</strong> Brescia e <strong>di</strong> Bologna dei primi mesi del 1974”.<br />

Gli opposti estremismi<br />

Nascono organizzazioni come i Gruppi d’Azione Partigiana (GAP), i<br />

Nuclei Armati Proletari (NAP), Prima Linea (PL), i Comitati Comunisti<br />

Rivoluzionari (Co.Co.Ri.), i Proletari Armati per il Comunismo (PAC), le<br />

Brigate Rosse (BR), a sinistra, ed i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), Or<strong>di</strong>ne<br />

Nuovo, Or<strong>di</strong>ne Nero, Terza Posizione, Avanguar<strong>di</strong>a Nazionale a destra.<br />

Il livello dello scontro si alza nel quadro <strong>di</strong> quella che verrà poi definita la<br />

strategia della tensione. Si genera un clima <strong>di</strong> insicurezza e pericolo. Non<br />

solo attentati clamorosi, ma uno stillici<strong>di</strong>o continuo <strong>di</strong> attentati contro obiettivi<br />

minimi: singoli citta<strong>di</strong>ni, agenti delle forze dell’or<strong>di</strong>ne, fattorini <strong>di</strong><br />

banca, vengono assassinati, in esecuzione <strong>di</strong> condanne a morte decise da<br />

menti misteriose. Nelle manifestazioni <strong>di</strong> piazza molti manifestanti si presentano<br />

mascherati, spesso armati <strong>di</strong> spranghe, chiavi inglesi, talvolta <strong>di</strong><br />

bombe incen<strong>di</strong>arie, talvolta <strong>di</strong> pistole, le famose P38. In questa logica una<br />

fetta crescente dei citta<strong>di</strong>ni, non solo appartenente all’elettorato tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

“conservatore”, si prepara, rassegnata, ad accettare una risposta <strong>di</strong><br />

tipo “militare” da parte dello Stato, e a giustificare l’emanazione <strong>di</strong> leggi<br />

sempre più “speciali”. La democrazia italiana, ancora fragile e immatura, fa<br />

un passo in<strong>di</strong>etro ed il paese si trova ad un passaggio cruciale della sua<br />

storia, tuttavia necessario per la salvezza della democrazia in pericolo.<br />

Si affaccia la teoria degli “opposti estremismi” (che in Italia avrà una<br />

grande fortuna per tutti gli anni ’70), secondo cui <strong>di</strong> fronte al rischio che sia<br />

la destra, sia la sinistra contengano dentro <strong>di</strong> sé degli aspetti estremistici e<br />

pericolosi per la democrazia, i partiti democristiani (che si autoproclamano<br />

<strong>di</strong> centro, quin<strong>di</strong> equi<strong>di</strong>stanti dalle posizioni estreme e in<strong>di</strong>sponibili a collaborare<br />

con queste) sono quasi gli unici partiti realmente in grado <strong>di</strong> gover-<br />

80 Pier Paolo Pasolini, Io so, articolo pubblicato sul Corriere della Sera, 1975.<br />

– 228 –


nare in maniera democratica e senza essere potenzialmente pericolosi per il<br />

mantenimento della democrazia stessa.<br />

Le leggi speciali<br />

I partiti <strong>di</strong> governo – la Democrazia Cristiana, il Partito Socialdemocratico,<br />

il Partito Repubblicano, il Partito Liberale e il Partito Socialista – rafforzati<br />

dal sostegno del Partito Comunista, trovarono l’intesa politica per<br />

elaborare una serie <strong>di</strong> leggi per far fronte alla situazione <strong>di</strong> crisi che il paese<br />

stava vivendo. La cosiddetta “emergenza terrorismo” provoca una involuzione<br />

poliziesca dello Stato italiano, con una <strong>di</strong>minuzione delle libertà costituzionali<br />

ed un ampliamento della <strong>di</strong>screzionalità delle forze <strong>di</strong> polizia. Il<br />

Parlamento nel 1975 approvò un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> legge che autorizzava la polizia<br />

a sparare nei casi in cui ne ravvisasse necessità operativa. Nel 1978 seguirà<br />

l’istituzione <strong>di</strong> corpi speciali con finalità antiterrorismo: il GIS (Gruppo Intervento<br />

Speciale) dei Carabinieri ed il NOCS (Nucleo Operativo Centrale<br />

<strong>di</strong> Sicurezza) della Polizia. Nel 1980 viene emanata la cosiddetta “legge<br />

Cossiga” (Legge n. 15 del 6 febbraio 1980) la quale prevede condanne sostanziali<br />

per chi venga giu<strong>di</strong>cato colpevole <strong>di</strong> “terrorismo” ed estende ulteriormente<br />

i poteri della polizia.<br />

Il 1972<br />

Il 14 marzo 1972 venne ritrovato il corpo dell’e<strong>di</strong>tore Gian Giacomo<br />

Feltrinelli <strong>di</strong>laniato da un’esplosione mentre stava realizzando un sabotaggio<br />

ai danni <strong>di</strong> un traliccio dell’alta tensione a Segrate nei pressi <strong>di</strong> Milano. Per<br />

la ricostruzione della scena della trage<strong>di</strong>a sfruttiamo un articolo tratto da<br />

“L’Unità” del 17 marzo 1972 <strong>di</strong> Ilbio Paolucci: “L’uomo trovato <strong>di</strong>laniato<br />

da una esplosione sotto un traliccio dell’alta tensione nelle campagne <strong>di</strong><br />

Segrate presso Milano, è l’e<strong>di</strong>tore e industriale Gian Giacomo Feltrinelli. Il<br />

riconoscimento della salma è stato fatto stasera all’obitorio <strong>di</strong> Milano, alle<br />

ore 23,30, dalla ex moglie Inge Schoental, alla presenza del sostituto procuratore<br />

Pomarici, del capo dell’ufficio politico della questura Allegra e del<br />

maggiore dei carabinieri Rossi. Il riconoscimento, come abbiamo detto, è<br />

avvenuto a conclusione <strong>di</strong> una giornata convulsa, in cui le notizie e le smentite<br />

si sono intrecciate in un ritmo frenetico. Già però due elementi avevano<br />

praticamente resa sicura la notizia che si trattasse <strong>di</strong> Feltrinelli: le fotografie<br />

dell’ultima donna, Sibilla Melega, con la quale Feltrinelli conviveva e<br />

– 229 –


del figlio Carlo in una tasca del cadavere; il riscontro, peraltro dubbio, delle<br />

impronte <strong>di</strong>gitali. La notizia esplosa verso le 10 del mattino e accolta, in un<br />

primo momento, con profondo scetticismo da tutti, è risultata sempre più atten<strong>di</strong>bile<br />

man mano che passavano le ore. Assieme all’intrecciarsi frenetico<br />

delle telefonate cominciavano a sorgere anche i primi inquietanti interrogativi:<br />

perché mai un uomo ricco, un miliardario, come Feltrinelli si sarebbe<br />

recato da solo a piazzare <strong>di</strong>namite sotto un traliccio? La fotografia pubblicata<br />

dai giornali, ripresa da quella della carta <strong>di</strong> identità con il falso nome<br />

<strong>di</strong> Vincenzo Maggioni, 46 anni, veniva girata da tutte le parti, e c’era naturalmente<br />

chi giurava che essa fosse somigliantissima a quella dell’e<strong>di</strong>tore e<br />

chi invece sosteneva a spada tratta il contrario. Ma, intanto, nell’ufficio del<br />

procuratore capo della Repubblica De Peppo si trattenevano, per un’ora almeno,<br />

il comandante del gruppo carabinieri colonnello Petrini col maggiore<br />

Rossi, presenti anche il capo dell’ufficio politico della questura Allegra e<br />

il commissario. Uno dei magistrati pressato dai giornalisti che facevano<br />

esplicitamente il nome <strong>di</strong> Feltrinelli, ha detto ufficialmente «Non possiamo<br />

ancora <strong>di</strong>re nulla su una vicenda che non si può ritenere ufficialmente ancora<br />

conclusa. Mi rendo conto che ciò è ri<strong>di</strong>colo, perché si tratta <strong>di</strong> una circostanza<br />

che ormai sembra che tutta l’Italia conosca. Ma per il momento, ripeto,<br />

non si può ancora <strong>di</strong>re nulla». È una <strong>di</strong>chiarazione che riferiamo<br />

perché può servire a dare il clima creatosi attorno alla sensazionale notizia.<br />

Fra le prime reazioni alla clamorosa notizia vi è stato un comunicato firmato<br />

oltre che dalla casa e<strong>di</strong>trice e dalle librerie Feltrinelli da alcune personalità<br />

milanesi e dal Movimento studentesco. In esso si afferma che Feltrinelli<br />

è stato assassinato.<br />

Tale comunicato è stato <strong>di</strong>stribuito nel pomeriggio <strong>di</strong> oggi all’Università<br />

statale dal Movimento studentesco nel corso <strong>di</strong> una assemblea. Ecco<br />

il testo: «Gian Giacomo Feltrinelli è stato assassinato. Dalle bombe del<br />

25 aprile si è cercato <strong>di</strong> accusare l’e<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> essere il finanziatore e l’ispiratore<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi attentati attribuiti agli anarchici. Il potere politico, il governo,<br />

il capitalismo internazionale avevano bisogno <strong>di</strong> un mandante. Non era possibile<br />

che un gruppo <strong>di</strong> anarchici potesse essere considerato organizzatore<br />

ed esecutore esclusivo <strong>di</strong> un <strong>di</strong>segno criminoso che ha portato alla strage <strong>di</strong><br />

stato. Feltrinelli era il mandante ideale: amico <strong>di</strong> Fidel Castro, legato idealmente<br />

al movimento <strong>di</strong> liberazione dell’America Latina, uomo coerentemente<br />

<strong>di</strong> sinistra. Per <strong>di</strong> più la sua ricchezza e la sua posizione sociale ne<br />

facevano il personaggio ideale con cui chiudere in pace la coscienza dei<br />

benpensanti italiani».<br />

– 230 –


L’accusa, come si vede, è esplicita. Di essa si è parlato anche nel corso<br />

<strong>di</strong> un incontro col sostituto procuratore Antonio Bevere, il quale si è stretto<br />

nelle spalle. Questo scambio <strong>di</strong> battute con i giornalisti – una specie <strong>di</strong><br />

conferenza stampa – c’è stato alle 19 <strong>di</strong> oggi, nella sede del Comando dei<br />

carabinieri, dove si è svolto il «vertice» <strong>di</strong> cui abbiamo detto.<br />

È stato anche chiesto al magistrato se poteva precisare l’ora esatta<br />

della morte: ha detto <strong>di</strong> non saperlo con precisione, ma <strong>di</strong> ritenere che<br />

l’uomo sia morto mentre, a cavallo <strong>di</strong> un traliccio, sistemava un tubo <strong>di</strong> <strong>di</strong>namite.<br />

Il cadavere era molto rigido; una gamba era lontana venti metri dal<br />

corpo. A questo proposito era circolata la voce, poi smentita, ma raccolta<br />

dal quoti<strong>di</strong>ano torinese «La Stampa» che i carabinieri avrebbero rimosso il<br />

corpo prima dell’intervento – prescritto dalla legge – del magistrato.<br />

Questa, al momento in cui scriviamo, la cronaca convulsa del fatto sensazionale,<br />

in cui molti sono gli elementi tali da suscitare gravi interrogativi.<br />

L’ipotesi che viene avanzata è che Feltrinelli sia stato ucciso e poi portato<br />

sotto il traliccio. Mancano finora elementi <strong>di</strong> fatto a sostegno <strong>di</strong> tale gravissima<br />

ipotesi. Anche l’imme<strong>di</strong>ata presenza sul posto <strong>di</strong> elementi del servizio<br />

segreto <strong>di</strong> controspionaggio (SID) resa nota da <strong>di</strong>versi quoti<strong>di</strong>ani non può<br />

da sola assumere un significato tanto grave”.<br />

Il personaggio Feltrinelli è legato a storie complesse e non sempre<br />

chiare. Su taluni suoi atteggiamenti pseudo-rivoluzionari, improntati ad una<br />

logica inaccettabile, abbiamo avuto modo, nel passato, <strong>di</strong> esprimere il nostro<br />

giu<strong>di</strong>zio severo. Ma ora si <strong>di</strong>ce che sarebbe andato a piazzare <strong>di</strong>namite<br />

sotto un traliccio allo scopo ovvio <strong>di</strong> alimentare il clima <strong>di</strong> tensione tanto<br />

caro e tanto utile alle forze della destra. Per questo - ripetiamo - la nostra richiesta<br />

è che al più presto si faccia luce su questo episo<strong>di</strong>o che, in ogni<br />

caso, si inserisce nel clima torbido voluto dalle forze politiche interessate<br />

specialmente in periodo elettorale a provocare un’atmosfera <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne e<br />

<strong>di</strong> confusione nel Paese. Nel corso delle indagini seguite all’attentato <strong>di</strong><br />

Piazza Fontana del 1969, un esponente dei movimenti anarchici milanesi, il<br />

ferroviere Giuseppe Pinelli, fu convocato in questura per accertamenti. Pinelli<br />

vi fu trattenuto per tre giorni consecutivi e venne sottoposto ad estenuanti<br />

interrogatori, in violazione del limite legale del tempo, per verificare<br />

il suo alibi, inizialmente impreciso. Il 15 <strong>di</strong>cembre 1969, Pinelli precipitò<br />

dalla finestra dell’ufficio del commissario Luigi Calabresi, uno degli incaricati<br />

delle indagini sul caso, giacendo morto sul selciato. Nella stanza non<br />

era presente in quel momento il commissario, chiamato a rapporto dal suo<br />

superiore, ma vi erano 5 addetti alle forze dell’or<strong>di</strong>ne, che continuavano<br />

– 231 –


l’interrogatorio. Nei confronti del commissario l’estrema sinistra, valendosi<br />

<strong>di</strong> una notevole forza nei me<strong>di</strong>a, mise in atto una lunga campagna <strong>di</strong> isolamento,<br />

con calunnie e minacce. Furono inventati <strong>di</strong> sana pianta rapporti con<br />

servizi stranieri ed altri elementi chiaramente falsi, tendenti a isolarlo. Il settimanale<br />

“L’Espresso”, in tre successivi numeri apparsi in e<strong>di</strong>cola a partire<br />

dal 13 giugno 1971, pubblicò un documento cui <strong>di</strong>edero la propria adesione<br />

800 intellettuali. Tale documento, tra l’altro, definiva il commissario Luigi<br />

Calabresi «un torturatore», lo accusava quale «responsabile della morte <strong>di</strong><br />

Pinelli» e chiedeva <strong>di</strong> ricusare i «commissari torturatori, i magistrati persecutori,<br />

i giu<strong>di</strong>ci indegni».<br />

Tali accuse erano infondate, ma pochi ebbero il coraggio <strong>di</strong> ritirare la<br />

loro adesione, sia pure a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni. Tra i firmatari c’erano artisti, registi,<br />

e<strong>di</strong>tori, giornalisti, politici, accademici, filosofi, scienziati, sindacalisti<br />

e, in generale, molti tra i più noti esponenti della società e della cultura italiana<br />

del tempo. Questi sono solo alcuni dei firmatari del manifesto: Giorgio<br />

Bocca, Umberto Eco, Norberto Bobbio, Furio Colombo, Natalino Sapegno,<br />

Eugenio Scalfari, Giulio Carlo Argan, Bernardo Bertolucci, Pier Paolo Pasolini,<br />

Marco Bellocchio, Alberto Bevilacqua, Paolo Mieli.<br />

Sulla <strong>di</strong>namica degli eventi interessante è l’articolo tratto da”L’Unità”<br />

del 18 maggio 1972 <strong>di</strong> Ennio Elena.<br />

“Ancora una criminale provocazione, ancora Milano: ieri alle 9,15<br />

Luigi Calabresi commissario capo, funzionario dell’ufficio politico della<br />

questura, personaggio-chiave dell’“affare” – è stato ucciso a rivoltellate<br />

sotto casa, in via Cherubini 6, nella zona <strong>di</strong> Porta Magenta. Ecco, nella<br />

ricostruzione fatta dalla polizia, l’attentato, compiuto con la spietata efficienza<br />

dei “killers” <strong>di</strong> mestiere. Poco dopo le 9 una “125” blu con l’antenna<br />

ra<strong>di</strong>o alzata imbocca via Cherubini proveniente da corso Vercelli.<br />

L’auto procede lentamente, passa davanti allo stabile numero 6, <strong>di</strong> fronte<br />

al quale è parcheggiata “a pettine” contro lo spartitraffico la “500” blu<br />

<strong>di</strong> Calabresi, targata MI A69411. Sulla “125” ci sono due persone: l’autista<br />

e l’uomo che gli siede al fianco danno un’occhiata in giro e la macchina<br />

prosegue in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> via Mario Pagano. Giunta al termine dello<br />

spartitraffico l’auto svolta a sinistra e torna a percorrere via Cherubini<br />

dalla parte opposta. All’altezza <strong>di</strong> via Giotto la “125” urta <strong>di</strong> striscio,<br />

sorpassandola, una “Simca” appena immessasi in via Cherubini. Il conducente<br />

dell’auto investita si ferma, sorpreso (secondo un’altra versione<br />

lo scontro sarebbe avvenuto dopo il delitto): la “125” prosegue, accelerando<br />

leggermente, giunge in fondo alla strada, piega a sinistra, ritorna<br />

– 232 –


sul lato dove si trova l’abitazione del commissario Calabresi. Luigi Calabresi<br />

attraversa il portone e saluta l’uomo delle pulizie, Benedetto Vasi <strong>di</strong><br />

60 anni, poi esce in strada. Intanto la “125” si è fermata una decina <strong>di</strong><br />

metri oltre la casa <strong>di</strong> Calabresi, in seconda fila, davanti ad un negozio <strong>di</strong><br />

frutta e verdura.<br />

Un uomo descritto come alto e biondo, dall’aspetto <strong>di</strong>stinto, scende<br />

dall’auto e si <strong>di</strong>rige verso il commissario. Questi sta per infilare le chiavi<br />

nella portiera dell’auto: l’attentatore gli arriva alle spalle e lo colpisce con<br />

tre rivoltellate. Il commissario cade a terra, nello spazio fra la sua “500” e<br />

una “Kadett” azzurra parcheggiata <strong>di</strong> fianco, in una pozza <strong>di</strong> sangue.<br />

L’assassino, sempre con la pistola in pugno, ritorna <strong>di</strong> corsa alla<br />

“125” che parte con il motore imballato, i pneumatici che stridono per il<br />

violento attrito sull’asfalto. L’auto si <strong>di</strong>rige verso via Mario Pagano, poi,<br />

invece, svolta a destra, percorre via Rasori e si ferma all’angolo con via<br />

Alberto da Giussano, dove viene abbandonata, con il motore acceso, davanti<br />

all’agenzia della Banca Popolare <strong>di</strong> Novara. Intanto un vigile urbano<br />

chiama un’ambulanza della Croce Bianca <strong>di</strong> Via Alba: sono le 9,18.<br />

L’ambulanza arriva in via Cherubini <strong>di</strong>eci minuti dopo e trasporta il commissario<br />

all’ospedale San Carlo dove viene portato al reparto <strong>di</strong> rianimazione.<br />

Viene tentata la rianimazione car<strong>di</strong>aca e respiratoria ed eseguito un<br />

elettrocar<strong>di</strong>ogramma che dà un tragico responso: Luigi Calabresi è<br />

morto. Sono le 10,30. Due rivoltellate lo hanno raggiunto alla testa (alla<br />

nuca e alla regione temporale destra), una alla schiena. Uno dei tre<br />

proiettili viene estratto: è stato sparato con una pistola calibro 38. Davanti<br />

allo stabile <strong>di</strong> via Cherubini 6 si formano assembramenti, ad alcuni<br />

poliziotti saltano i nervi, viene malmenato un fotografo. Fra i testi ascoltati<br />

c’è Luciano Gnappi, <strong>di</strong> 26 anni, impiegato, abitante in via Cherubini<br />

al numero 4 che ha avuto modo <strong>di</strong> seguire più da vicino le tragiche sequenze<br />

dell’attentato. «Erano le nove e un quarto» ha detto il giovane «ed<br />

ero appena uscito <strong>di</strong> casa per recarmi al lavoro. Stavo per raggiungere la<br />

mia “Giulia” quando la mia attenzione è stata attirata da un uomo che indossava<br />

una giacca uguale alla mia. L’uomo ha attraversato la strada e si<br />

è insinuato in un varco fra una “500” e una “Kadett”. È stato a questo<br />

punto che gli si è avvicinato un uomo sui 30-32 anni, con aria esagitata;<br />

indossava un abito sportivo. Subito dopo ho sentito degli spari, mi sembra<br />

due. Il commissario Calabresi si è abbattuto a terra, nello spazio fra le<br />

due automobili. L’uomo che aveva sparato è corso in avanti, con la pistola<br />

in pugno, lungo via Cherubini”.<br />

– 233 –


Il 1977<br />

L’anno della svolta violenta, quello che caratterizza il periodo, è probabilmente<br />

il 1977, così riassunto da Moroni e Balestrini: “Nel ’77, <strong>di</strong>vampò<br />

la generalizzazione quoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> un conflitto politico e culturale che si<br />

ramificò in tutti i luoghi del sociale, esemplificando lo scontro che percorse<br />

tutti gli anni Settanta, uno scontro duro, forse il più duro, tra le classi e<br />

dentro la classe, che si sia mai verificato dall’unità d’Italia. Quarantamila<br />

denunciati, quin<strong>di</strong>cimila arrestati, quattromila condannati a migliaia <strong>di</strong><br />

anni <strong>di</strong> galera, e poi morti e feriti, a centinaia, da entrambe le parti”. 81<br />

L’11 marzo 1977, durante scontri a Bologna lo studente Pier Francesco<br />

Lorusso, simpatizzante <strong>di</strong> Lotta Continua, cade colpito a morte da un proiettile.<br />

Alle successive proteste degli studenti il ministro degli interni Francesco<br />

Cossiga risponde inviando mezzi cingolati nel centro <strong>di</strong> Bologna. Nel<br />

successivo settembre viene arrestato il carabiniere Massimo Tramontani,<br />

accusato <strong>di</strong> aver esploso il colpo mortale; sarà successivamente prosciolto.<br />

Il 22 marzo a Roma muore, ucciso dai NAP, tentando <strong>di</strong> arrestare una ricercata,<br />

l’agente <strong>di</strong> P.S. Clau<strong>di</strong>o Graziosi. Il 21 aprile 1977 a Roma, nel corso<br />

degli eventi che conseguirono allo sgombero dell’università a Roma, militanti<br />

dell’area dell’autonomia sparano contro le forze dell’or<strong>di</strong>ne, l’allievo<br />

sottufficiale <strong>di</strong> P.S. Settimio Passamonti raggiunto da due colpi cade ucciso.<br />

L’agente Antonio Merenda, altri due agenti e un carabiniere furono feriti,<br />

ma si salvano. Il 14 maggio 1977 a Milano, nel corso <strong>di</strong> una manifestazione<br />

alcuni manifestanti dell’area dell’autonomia aprono il fuoco contro la<br />

polizia, uccidendo l’agente <strong>di</strong> P.S. Antonio Custra. L’anno con più vittime e<br />

il 1980 in cui periscono 125 persone, <strong>di</strong> cui 85 nella strage della stazione<br />

centrale <strong>di</strong> Bologna.<br />

Il sequestro Moro<br />

Uno degli episo<strong>di</strong> più drammatici <strong>di</strong> quegli anni fu il sequestro, lo<br />

sterminio della scorta e il successivo assassinio <strong>di</strong> Aldo Moro, consumato<br />

il 9 maggio 1978 dalle Brigate Rosse.<br />

A questo proposito inseriamo, a conclusione <strong>di</strong> questa sezione del nostro<br />

lavoro, due interessanti articoli apparsi su “La Repubblica” il 14 marzo 1998,<br />

81 Primo Moroni e Nanni Balestrini, “L’orda d’oro”, SugarCo E<strong>di</strong>zioni, Milano 1988.<br />

– 234 –


proprio a proposito del drammatico evento. Il primo è <strong>di</strong> Eugenio Scalari,<br />

allora <strong>di</strong>rettore della testata: si tratta <strong>di</strong> un appassionato ricordo personale <strong>di</strong><br />

quei drammatici giorni <strong>di</strong> trent’anni fa. Il secondo invece contiene un’intervista<br />

<strong>di</strong> Giorgio Bocca a Franco Bonisoli.<br />

Articolo <strong>di</strong> Eugenio Scalfari<br />

“Fu terribile quel 16 marzo <strong>di</strong> venti anni fa! Il governo Andreotti, proprio<br />

quel giorno, si presentava in Parlamento per ottenere la fiducia e per<br />

la prima volta avrebbe anche avuto l’appoggio del Partito comunista. Moro<br />

si era molto battuto per arrivare a questo risultato, aveva dovuto superare<br />

resistenze fortissime nei gruppi parlamentari della DC inimicandosi potenti<br />

“lobbies” politiche ed economiche, interne e internazionali.<br />

Di prima mattina, mentre cominciavamo appena a passare le agenzie <strong>di</strong><br />

stampa e a preparare le macchine da scrivere per il lavoro che stava per<br />

cominciare, arrivò la folgorante notizia: Aldo Moro era stato rapito, la sua<br />

scorta sterminata, i rapitori scomparsi.<br />

Calò sulla città una cappa <strong>di</strong> stupore e <strong>di</strong> paura mentre un’imponente<br />

quanto inutile caccia all’uomo si scatenava; le strade del centro e della periferia<br />

del nord-ovest della città erano percorse da un carosello <strong>di</strong> auto e<br />

motociclette delle forze <strong>di</strong> polizia a sirene spiegate, gli elicotteri dei carabinieri<br />

volteggiavano nel cielo; c’era, lo ricordo benissimo, un’atmosfera <strong>di</strong><br />

dramma che incombeva dovunque, uno smarrimento collettivo.<br />

Sapemmo che non solo i membri del nuovo governo, ma i <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong><br />

tutti i partiti erano affluiti nelle sale del governo a Palazzo Chigi. I giornali<br />

ra<strong>di</strong>o e i telegiornali trasmettevano in continuazione. Anche noi preparammo<br />

in gran fretta un’e<strong>di</strong>zione straor<strong>di</strong>naria che a mezzogiorno era già<br />

nelle e<strong>di</strong>cole.<br />

Intanto le Brigate Rosse avevano riven<strong>di</strong>cato l’operazione. Col passar<br />

delle ore si allontanava sempre <strong>di</strong> più la speranza <strong>di</strong> intercettare i rapitori e<br />

liberare il prigioniero. Poi cominciarono i giorni dell’attesa, delle polemiche,<br />

dei sospetti.<br />

Fu ben presto chiaro quale fosse l’obiettivo delle Br: non un riscatto in<br />

denaro e neppure, come in apparenza sembrava, la liberazione <strong>di</strong> alcuni<br />

“prigionieri”, come essi definivano con termine militaresco i brigatisti incarcerati<br />

per precedenti operazioni. Le BR volevano un riconoscimento politico<br />

da parte del governo e dello Stato; volevano essere riconosciuti come<br />

controparte, come partito armato, come forza combattente. Solo a queste<br />

– 235 –


con<strong>di</strong>zioni avrebbero rilasciato l’ostaggio, fidando nel fatto che nel frattempo<br />

egli avrebbe provocato spaccature traumatiche dentro il suo partito e<br />

nell’intera coalizione governativa.<br />

E le lettere <strong>di</strong> Moro cominciarono ad arrivare, implacabilmente, <strong>di</strong>rette<br />

a tutti i principali attori <strong>di</strong> quel dramma collettivo: Andreotti, Cossiga,<br />

Zaccagnini, Fanfani, Leone e molti altri.<br />

Che valore bisognava dare a quelle lettere? Erano estorte da chi aveva<br />

su <strong>di</strong> lui “pieno dominio”? Riflettevano, pur scritte in stato <strong>di</strong> orribile<br />

costrizione, sentimenti e convinzioni autentici?<br />

Attorno a questo problema cominciò la polemica e nacquero quei due<br />

partiti trasversali che furono definiti e si autodefinirono il partito della<br />

fermezza e quello della trattativa.<br />

Del primo facevano parte la <strong>di</strong>rezione della DC, pur composta in<br />

gran parte da amici intimi <strong>di</strong> Moro; il governo (in particolare Andreotti e<br />

Cossiga); il PCI <strong>di</strong> Berlinguer; il movimento sindacale al completo; il<br />

partito repubblicano, con La Malfa in testa; Sandro Pertini. Del secondo,<br />

Craxi e quasi tutta la <strong>di</strong>rigenza del partito socialista, i ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> Pannella,<br />

gli extraparlamentari dell’Autonomia e degli altri gruppuscoli <strong>di</strong><br />

estrema sinistra.<br />

I rapporti tra queste due posizioni si inasprirono rapidamente. I maggiori<br />

organi <strong>di</strong> informazione furono abbastanza compatti in favore della<br />

fermezza, pur subendo pressioni e anche minacce <strong>di</strong> vario tipo. Gli intellettuali<br />

si <strong>di</strong>visero; molti <strong>di</strong> loro, a cominciare da Sciascia, lanciarono lo<br />

slogan pericolosissimo “né con le Br né con lo Stato”.<br />

Furono giorni tragici durante i quali la macchina dello Stato rivelò<br />

tutta la sua inefficienza e lasciò intravedere anche alcuni aspetti oscuri che<br />

non sono mai stati interamente chiariti.<br />

Poi, dopo quasi due mesi <strong>di</strong> tormento che debbono essere stati orribili<br />

per il prigioniero e per i suoi familiari, gli ultimatum finali dei brigatisti e<br />

infine l’omici<strong>di</strong>o.<br />

L’obiettivo – ormai è chiarissimo e gli stessi uomini delle Br l’hanno<br />

reso esplicito – era quello <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re che il PCI compisse il suo cammino<br />

e <strong>di</strong>ventasse quella forza riformista <strong>di</strong> cui il paese aveva bisogno perché<br />

ci fosse anche in Italia una democrazia compiuta. Quel processo per fortuna<br />

non si è arrestato, ma tardò <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>eci anni a compiersi. L’uccisione<br />

<strong>di</strong> Moro fu il tragico e orrendo prezzo con il quale fu bloccata per<br />

altri <strong>di</strong>eci anni un’evoluzione che avrebbe potuto verificarsi molto tempo<br />

prima”.<br />

– 236 –


Intervista <strong>di</strong> Giorgio Bocca a Franco Bonisoli<br />

Giorgio Bocca: “Nei giorni del sequestro <strong>di</strong> Aldo Moro Franco Bonisoli<br />

faceva parte della <strong>di</strong>rezione delle Brigate Rosse e del comando esecutivo<br />

con Mario Moretti e Lauro Azzolini. Oggi lavora durante il giorno a Milano<br />

e la sera deve rientrare nel carcere <strong>di</strong> Monza. Fra qualche mese dovrebbe<br />

tornare in piena libertà.<br />

Bonisoli, quando avete pensato per la prima volta al sequestro <strong>di</strong> Aldo<br />

Moro?<br />

Nel 1976, durante il processo <strong>di</strong> Torino ai capi storici delle BR. Doveva<br />

essere il nostro processo, la rivoluzione che processava lo Stato. E la<br />

Democrazia Cristiana per noi era lo Stato e alcuni suoi <strong>di</strong>rigenti, come<br />

Andreotti e Moro, la rappresentavano. Fu allora che le Brigate Rosse<br />

assunsero una <strong>di</strong>mensione nazionale. Dovevamo uscire dalle nostre roccaforti<br />

nor<strong>di</strong>ste <strong>di</strong> Milano, Torino, Genova e formare una colonna a Roma,<br />

nella capitale.<br />

Furono necessari degli anni per costituire la colonna e per progettare<br />

una serie <strong>di</strong> campagne che ci avrebbero portato ad attaccare il cuore dello<br />

Stato. Il sequestro Moro doveva essere seguito da quello <strong>di</strong> Leopoldo Pirelli<br />

e <strong>di</strong> altri protagonisti.<br />

Dai memoriali anche recenti <strong>di</strong> alcuni brigatisti sembra <strong>di</strong> capire che<br />

l’operazione <strong>di</strong> via Fani fu in notevole parte aiutata dal caso e dalla<br />

fortuna.<br />

Fu lo scontro frontale <strong>di</strong> due forme <strong>di</strong> mitizzazione. Noi pensavamo ai<br />

carabinieri e alla polizia politica come a dei corpi monolitici, addestratissimi.<br />

Loro pensavano a noi come alla “potenza geometrica” <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>sse.<br />

La realtà stava a mezza strada. La nostra preparazione militare era modesta,<br />

qualche esercitazione nei ‘covi’ o in montagna, ma la coesione del<br />

gruppo e la determinazione era superiore a quella <strong>di</strong> un normale commando.<br />

È vero, molti dei mitra impiegati nell’attacco si incepparono, ma la<br />

rapi<strong>di</strong>tà della esecuzione, la complessità della operazione furono notevoli.<br />

Non è vero che la scorta fosse imbelle e impreparata. Il fatto che uno dei<br />

poliziotti riuscì a uscire dall’auto <strong>di</strong> scorta e a sparare nonostante la<br />

sorpresa lo <strong>di</strong>mostra.<br />

– 237 –


Quel 16 <strong>di</strong> marzo doveva formarsi il governo <strong>di</strong> solidarietà nazionale,<br />

premessa del compromesso storico <strong>di</strong> cui Aldo Moro era fra gli ideatori.<br />

C’è chi vede nella coincidenza la vostra decisione <strong>di</strong> prevenire una svolta<br />

politica che avrebbe allontanato il Partito comunista da ogni prospettiva<br />

rivoluzionaria.<br />

Forse gli interpreti politici e intellettuali del caso Moro sono stati fuorviati<br />

dai nostri documenti, dalle nostre risoluzioni strategiche in cui, per ragioni<br />

<strong>di</strong> propaganda, entravamo nei dettagli della politica italiana, sembravamo<br />

interessati a tutti i suoi risvolti. In realtà eravamo molto più schematici.<br />

Per noi la Democrazia Cristiana era lo Stato che faceva parte del Sim, Stato<br />

imperialista delle multinazionali, e il Partito Comunista, il compromesso storico<br />

non erano che una delle forme, delle manovre <strong>di</strong> questo superpotere.<br />

Allora e adesso c’è chi si chiede: ma che cosa poteva contare il sequestro<br />

<strong>di</strong> Aldo Moro nella lotta contro il capitalismo mon<strong>di</strong>ale?<br />

Torniamo sul <strong>di</strong>scorso delle reciproche mitizzazioni, su come noi pensavamo<br />

lo Stato e su come voi pensavate le Brigate Rosse. Nei nostri documenti<br />

ideologici e propagan<strong>di</strong>stici noi fingevamo <strong>di</strong> avere delle visioni globali.<br />

Non a caso la nostra <strong>di</strong>rezione si chiamava strategica. In realtà seguivamo<br />

la logica del passo dopo passo seguita nel crescere delle Brigate<br />

Rosse. Per noi qualsiasi azione destabilizzante dello Stato era un passo<br />

avanti, un passo che doveva essere fatto.<br />

Senta Bonisoli, ancora oggi, dopo avere sentito voi e seguito i vostri<br />

processi non si è capito bene che cosa doveva essere il “riconoscimento<br />

politico” chiesto per la liberazione <strong>di</strong> Moro.<br />

Anche qui si contrappongono le due ottiche, quella <strong>di</strong> chi stava fuori<br />

della organizzazione e <strong>di</strong> chi era dentro. Per chi stava fuori il riconoscimento<br />

politico consistente nella liberazione <strong>di</strong> un prigioniero era un simbolismo<br />

quasi incomprensibile. Ma per noi dare la prova alla base rivoluzionaria<br />

che lo Stato aveva dovuto trattare con noi era importantissimo, ci<br />

legittimava come guida della rivoluzione.<br />

Ma c’era davvero questa base?<br />

Siamo sempre lì, alle interpretazioni <strong>di</strong>verse. Nei giorni del sequestro<br />

ricevevamo dai nostri informatori terminali le notizie <strong>di</strong> cosa si <strong>di</strong>ceva e<br />

– 238 –


faceva nelle fabbriche. A noi sembravano notizie esaltanti, come si fosse<br />

messa in moto una ondata rivoluzionaria: lì avevano brindato, là gli operai<br />

avevano partecipato alla <strong>di</strong>stribuzione dei nostri manifestini o collaborato<br />

al soccorso rosso, nella tal sezione del Partito Comunista si era pubblicamente<br />

parlato <strong>di</strong> solidarietà ai ‘compagni combattenti’. Poi abbiamo capito<br />

quali sono gli umori mutevoli delle masse, la propensione a stare dalla<br />

parte <strong>di</strong> chi sembra vincente. Non è accaduto qualcosa <strong>di</strong> simile in questi<br />

anni con gli entusiasmi effimeri per Mani pulite?<br />

Sono anni, lei lo sa bene, che si parla del caso Moro come <strong>di</strong> un grande<br />

irrisolvibile complotto. Dopo avere deriso per anni la vostra invenzione<br />

del Sim, Stato imperialista delle multinazionali, l’informazione, i processi,<br />

i politici hanno fantasticato e ipotizzato sul complotto internazionale<br />

per non scoprire la prigione <strong>di</strong> Moro, per far sparire i suoi memoriali.<br />

Lei fu uno che ebbe il compito <strong>di</strong> portare a Milano il memoriale<br />

dattiloscritto e i brogliacci che furono successivamente trovati nel<br />

“covo” <strong>di</strong> via Montenevoso. Che cosa c’è <strong>di</strong> vero in questa misteriosa vicenda<br />

in cui la fanno da protagonisti Andreotti, il generale Dalla Chiesa,<br />

i servizi segreti nostri e americani?<br />

Spesso nelle ricostruzioni dei fatti dalle cose minime si passa alle massime.<br />

In quei giorni erano state scoperte casualmente alcune delle nostre<br />

basi. Non dalla polizia, ma da un vigile del fuoco chiamato per un incen<strong>di</strong>o<br />

nel caseggiato o da un vigile urbano che doveva compiere un controllo. E<br />

capitò che così venisse trovato del materiale lasciato su un tavolo, su un<br />

letto. Decidemmo che le carte dovevano sempre essere tenute al chiuso, in<br />

una valigia, in un cassetto. Fui io a portare in valigia da Roma a Milano le<br />

carte del sequestro Moro. Il dattiloscritto lo usammo per fare un opuscolo,<br />

le carte degli interrogatori le chiudemmo nel vano sotto una delle finestre.<br />

Era un buon nascon<strong>di</strong>glio, stucco e pittura del muro erano stati fatti con<br />

attenzione.<br />

Lei vide, stu<strong>di</strong>ò quei documenti. Pensa che in essi fossero contenute<br />

delle rivelazioni tali da poter <strong>di</strong>ventare strumento <strong>di</strong> ricatto politico da<br />

parte del generale Dalla Chiesa o <strong>di</strong> altri?<br />

Direi <strong>di</strong> no. C’è stato rimproverato anche da compagni come Curcio <strong>di</strong><br />

non aver saputo usare quel materiale, ma non mi pare che ci fossero documenti<br />

esplosivi. Ricordo che cercai invano qualcosa che si riferisse ai mi-<br />

– 239 –


steri della strage <strong>di</strong> piazza Fontana. Può darsi, anzi certamente, non eravamo<br />

dei buoni propagan<strong>di</strong>sti politici, vivevamo nella nostra scatola<br />

chiusa, dei brani degli interrogatori, che a noi sembravano insignificanti o<br />

risaputi, avrebbero avuto una eco nella opinione pubblica. Ma siamo<br />

sempre lì, nella vita le interpretazioni hanno un grande ruolo. Ho notato,<br />

per <strong>di</strong>re, che <strong>di</strong> quei documenti sono state date in questi anni da voi professionisti<br />

dell’informazione e da storici, da intellettuali, delle interpretazioni<br />

<strong>di</strong>verse, magari con<strong>di</strong>zionate dall’evolversi della politica. Vista oggi e dall’esterno<br />

quella nostra storia può anche sembrare una pazza storia, può<br />

sembrare che abbiamo compiuto degli errori incre<strong>di</strong>bili. Penso anche io<br />

che abbiamo commesso degli errori, soprattutto dei gravi errori umani,<br />

penso che neanche la nostra mitica rivoluzione valesse il sacrificio <strong>di</strong> vite<br />

umane. Ma sono cose che si pensano dopo.<br />

A conclusione della nostra ricerca sugli anni <strong>di</strong> piombo, abbiamo deciso<br />

<strong>di</strong> inserire un approfon<strong>di</strong>mento, da noi giu<strong>di</strong>cato molto pertinente, a proposito<br />

dell’organizzazione terroristica protagonista <strong>di</strong> quegli anni, le Brigate<br />

Rosse. Nel contesto più ampio <strong>di</strong> un lavoro de<strong>di</strong>cato al sessantotto in Italia,<br />

cre<strong>di</strong>amo che trattare in maniera più analitica la storia <strong>di</strong> un movimento<br />

come questo, il quale affonda le sue ra<strong>di</strong>ci proprio nella contestazione studentesca<br />

<strong>di</strong> quegli anni, possa costituire un interessante spunto per <strong>di</strong>verse<br />

riflessioni.<br />

Al <strong>di</strong> là, infatti, dell’enorme mole <strong>di</strong> documenti e dell’ancora più lunga<br />

lista <strong>di</strong> articoli e saggi de<strong>di</strong>cati all’argomento, ciò che più ha colpito la nostra<br />

attenzione è stata la lista degli attentati e degli omici<strong>di</strong> compiuti dall’organizzazione<br />

nel corso della sua storia.<br />

Noi viviamo in un periodo strano (perlomeno dei semplici <strong>di</strong>ciottenni<br />

del 2008 lo percepiscono così): siamo bombardati ogni giorno da dozzine <strong>di</strong><br />

notizie contenenti lunghissimi elenchi <strong>di</strong> morti ammazzati in attentati, massacri,<br />

bombardamenti, e ogni altro genere <strong>di</strong> atrocità commesse dagli uomini<br />

sui propri simili. L’overdose <strong>di</strong> informazione in questo senso rende<br />

spesso le nostre coscienze e i nostri cuori sempre più (purtroppo) insensibili:<br />

interviene il filtro della lontananza. Paradossalmente nell’epoca del villaggio<br />

globale il fatto che un massacro avvenga in Darfour o in Bosnia costituisce<br />

già un motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco emotivo dall’evento. Le immagini,<br />

spesso anche brutali, che le televisioni o internet ci propongono, vanno a<br />

sommarsi, nei nostri ricor<strong>di</strong>, ad altre situazioni, altre visioni: tutto si mescola,<br />

l’orrore da concreto si frantuma e si abbatte sull’impenetrabilità delle<br />

– 240 –


nostre coscienze stanche. Ve<strong>di</strong>amo un mondo brutto, e la parola”speranza”,<br />

nel senso “ecumenico”, collettivo del termine, sparisce sempre <strong>di</strong> più dal<br />

nostro vocabolario quoti<strong>di</strong>ano, così come la vera “compassione” non è più<br />

contemplata nei nostri sentimenti, uccisa da una contemplazione del dolore<br />

umano sempre più affidata al potentissimo filtro <strong>di</strong> un tubo cato<strong>di</strong>co e meno<br />

ad una profonda con<strong>di</strong>visione della nostra vita con gli altri.<br />

Per questo la storia delle Brigate Rosse, il suo scorrere attraverso una<br />

lunga lista <strong>di</strong> morti e <strong>di</strong> dolore, ci colpisce: giovani come noi, figli del nostro<br />

stesso paese, in grado non solo, in linea teorica, <strong>di</strong> immaginare un futuro<br />

migliore per la società, ma anche <strong>di</strong> agire per la sua costruzione rovesciando<br />

gli stessi principi sulla base dei quali una società migliore dovrebbe<br />

basarsi, ossia uccidendo e terrorizzando.<br />

Ci viene detto e sottolineato da più parti quanto la nostra generazione<br />

sia priva <strong>di</strong> quegli ideali <strong>di</strong> unione e <strong>di</strong> lotta collettiva per un cambiamento<br />

del mondo e della società in meglio, che invece caratterizzavano i nostri<br />

coetanei <strong>di</strong> quarant’anni fa. Si può essere molto d’accordo su questa analisi,<br />

tanto è vero che noi, confrontandoci anche attraverso questo lavoro con<br />

quella generazione, spesso non siamo riusciti nemmeno a percepire o ad immaginare<br />

l’atmosfera che si respirava in quegli anni. E ci siamo ritrovati ancora<br />

più estraniati <strong>di</strong>nanzi all’esperienza delle BR, in qualche modo figlie<br />

malate, ma pur sempre figlie, della contestazione studentesca <strong>di</strong> quegli anni.<br />

Sarà la nostra insensibilità, o il mondo così <strong>di</strong>verso, o il fatto che la politica<br />

ricopra un ruolo sempre più marginale nelle nostre vite, ma il solo concepire<br />

la possibilità <strong>di</strong> organizzarsi, <strong>di</strong> sacrificare l’intera propria esistenza, e<br />

infine <strong>di</strong> attuare azioni come l’omici<strong>di</strong>o in nome <strong>di</strong> un ideale politico, ci<br />

risulta come un qualcosa <strong>di</strong> totalmente estraneo. Per questo è <strong>di</strong>fficile collegare<br />

quella lunga lista <strong>di</strong> stragi in un contesto, come quello italiano, a noi<br />

invece abbastanza familiare. Per questo ci lasciano a bocca aperta omici<strong>di</strong><br />

recenti come quello D’Antona o Biagi. Non li riusciamo a capire, non riusciamo<br />

a cogliere nemmeno un po’ la forza delle motivazioni che possono<br />

aver spinto certa gente a compierli. Più che l’orrore, l’incredulità.<br />

Ecco dunque il nostro approfon<strong>di</strong>mento, corredato nell’ultima sua sezione<br />

da un’intervista a Giovanni Moro, il figlio dello statista Aldo Moro<br />

ucciso proprio dalle Br: per vedere come alla fine certe azioni, per quanto<br />

possano essere nobili gli ideali che le sostengono (e quelli delle Brigate<br />

Rosse non ci appaiono tali), non lasciano altro che rammarico e dolore.<br />

La”fredda” ricostruzione che segue ci è sembrato l’unico modo per<br />

affrontare un argomento così delicato. Molti degli avvenimenti riferiti sono<br />

– 241 –


ancora oggi oggetto <strong>di</strong> indagini da parte della magistratura, mentre il <strong>di</strong>battito<br />

storiografico sulla natura stessa del fenomeno delle Brigate Rosse è ben lungi<br />

dal raggiungere una sua almeno parziale conclusione. Ci auguriamo che la<br />

descrizione in maniera asettica degli avvenimenti che hanno caratterizzato la<br />

storia delle Br (e dunque in un certo senso anche dell’Italia durante gli anni<br />

<strong>di</strong> piombo) non appaia come una forma <strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> rispetto nei confronti<br />

delle numerose vittime della strategia terroristica <strong>di</strong> quegli anni.<br />

Le Brigate Rosse (spesso abbreviato in BR) è dunque il nome <strong>di</strong> un’organizzazione<br />

terroristica <strong>di</strong> matrice marxista-leninista fondata da Alberto<br />

Franceschini e da Renato Curcio nel 1970.<br />

Da un certo punto <strong>di</strong> vista, è considerata il maggiore gruppo <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a<br />

rivoluzionaria del secondo dopoguerra in Italia e nell’Europa Occidentale.<br />

Ha operato in Italia a partire dall’inizio degli anni settanta, attraverso<br />

una struttura politico-militare organizzata per “cellule”, compiendo atti <strong>di</strong><br />

guerriglia urbana e terrorismo contro persone ritenute rappresentanti del<br />

potere politico, economico e sociale (uccisione, ferimento o sequestro <strong>di</strong><br />

numerosi uomini politici, magistrati e giornalisti).<br />

Lo scopo <strong>di</strong>chiarato del piano brigatista era l’abbattimento <strong>di</strong> un fantomatico<br />

“Stato Imperialista delle Multinazionali” (S.I.M.) e la sua sostituzione<br />

con una democrazia popolare espressione della <strong>di</strong>ttatura del proletariato.<br />

L’organizzazione fu smantellata principalmente grazie alla promulgazione<br />

<strong>di</strong> una legge che concedeva cospicui sconti <strong>di</strong> pena ai membri che<br />

avessero rivelato l’identità <strong>di</strong> altri compagni. Questo processo <strong>di</strong> delazione<br />

fu massiccio, al punto che la maggior parte dei membri delle Brigate Rosse,<br />

anche tra coloro che si macchiarono dei delitti più gravi, non scontarono<br />

che pochi anni <strong>di</strong> carcere. Oggi, in questo modo, molti <strong>di</strong> costoro vivono<br />

con stipen<strong>di</strong> o sussi<strong>di</strong> statali o <strong>di</strong> altri enti pubblici.<br />

Secondo fondatori e <strong>di</strong>rigenti, le Brigate Rosse dovevano in<strong>di</strong>care il<br />

cammino per il raggiungimento del potere, l’instaurazione della <strong>di</strong>ttatura<br />

del proletariato e la costruzione <strong>di</strong> uno stato comunista anche in Italia. Tale<br />

obiettivo doveva realizzarsi attraverso azioni politico-militari e documenti<br />

<strong>di</strong> analisi politica detti “risoluzioni strategiche”, i quali designavano gli<br />

obiettivi principali e il modo per raggiungerli.<br />

È da tenere presente che le Brigate Rosse hanno sempre rifiutato la definizione<br />

<strong>di</strong> “organizzazione terroristica”, attribuendosi invece quella <strong>di</strong><br />

“guerrigliera”, sicuramente più suggestiva (basti pensare alle guerrillas dei<br />

paesi latino-americani come Cuba o la Bolivia) ed evocatrice <strong>di</strong> modalità <strong>di</strong><br />

– 242 –


lotta armata teorizzate da personaggi-miti come Ernesto “Che” Guevara<br />

(autore, tra l’altro, nel 1960, <strong>di</strong> un’opera intitolata “La guerra <strong>di</strong> guerriglia”).<br />

La tattica della guerriglia (condotta quando vi è una sproporzione<br />

notevole tra le due forze in campo), consiste infatti in una lotta episo<strong>di</strong>ca<br />

composta <strong>di</strong> numerose azioni volte ad indebolire gradualmente e a fiaccare<br />

l’umore dell’avversario (Mao Tse Tung, grande esperto <strong>di</strong> questa modalità<br />

<strong>di</strong> combattimento, definisce la guerriglia come “l’arte <strong>di</strong> fiaccare il nemico<br />

con mille piccole punture <strong>di</strong> spillo”).<br />

I brigatisti ritenevano infatti non conclusa la fase della Resistenza all’occupazione<br />

nazifascista dell’Italia (non a caso la guerra <strong>di</strong> resistenza partigiana<br />

fu essenzialmente una guerra <strong>di</strong> guerriglia). Per la precisione, giu<strong>di</strong>cavano<br />

che all’occupazione nazifascista si fosse sostituita la più subdola dominazione<br />

economico-imperialista del già citato SIM (Stato Imperialista<br />

delle Multinazionali), al quale era necessario reagire con un processo <strong>di</strong><br />

lotta armata al fine <strong>di</strong> sviluppare un’insurrezione popolare.<br />

Analizzando il termine a posteriori, il sostantivo “Partito” non può essere<br />

applicato alla realtà brigatista, in quanto il movimento eversivo non<br />

aveva la struttura dei partiti come li conosciamo, mentre l’aggettivo “Armato”<br />

possiede invece una sua logica nel mito rivoluzionario della “Guerra<br />

<strong>di</strong> liberazione tra<strong>di</strong>ta a causa della spartizione del potere tra le <strong>di</strong>verse<br />

anime politiche del Comitato <strong>di</strong> Liberazione Nazionale (CLN)”, com’ebbe a<br />

scrivere lo stesso Franceschini in un suo noto pamphlet.<br />

Per continuare la liberazione del paese, sospesa, secondo il loro parere,<br />

nel 1945, una parte degli aderenti al movimento eversivo recuperò le armi<br />

mai consegnate alle autorità da parte <strong>di</strong> alcuni partigiani. Nel contempo,<br />

l’altra parte del movimento, quella d’ispirazione “cattolica” e sindacalista,<br />

stava muovendo i primi passi nell’ambito della contestazione giovanile.<br />

La preparazione e l’avvio vero e proprio della lotta al sistema comincia<br />

con l’occupazione <strong>di</strong> alcune università italiane nel 1967, ed in particolare<br />

presso la facoltà <strong>di</strong> sociologia dell’Università <strong>di</strong> Trento, istituita nel 1962<br />

(lo stesso anno in cui s’iscrive lo studente Renato Curcio). In questa situazione<br />

nasce e si sviluppa quella che <strong>di</strong>venterà successivamente la sintesi tra<br />

cristianesimo e rivoluzione <strong>di</strong> quegli anni e cioè la consapevolezza che il<br />

Regno <strong>di</strong> Dio sia da ricondurre al regno dell’uguaglianza teorizzato dal<br />

marxismo rivoluzionario. Non è un caso che alcune tra le più importanti<br />

personalità del movimento delle future Br appartengano al mondo cattolico,<br />

laddove il Vangelo veniva sentito come lettera tra<strong>di</strong>ta: tra questi Renato<br />

Curcio e Marco Boato.<br />

– 243 –


Da Trento questi studenti si trasferiscono poi a Milano dove, nel 1969,<br />

danno vita al Collettivo Politico Metropolitano. La contestazione studentesca<br />

venne presto incanalata in un contesto politico <strong>di</strong> lotta generazionale.<br />

In Italia il movimento studentesco venne assorbito per la maggior parte dal<br />

mondo della sinistra extraparlamentare o, in parte minoritaria, dall’estrema<br />

destra.<br />

Gli albori - Periodo 1970-1974: la propaganda armata.<br />

Viste dal loro interno, le Br non costituirono mai quel fronte unitario<br />

che la propaganda descrisse, e che gli stessi terroristi volevano fosse loro<br />

attribuito.<br />

Il retroterra culturale in cui nascono le future Brigate Rosse è quello<br />

dello scontro sociale che contrad<strong>di</strong>stingue il biennio 1968-1969, un periodo<br />

violento <strong>di</strong> lotte operaie e studentesche. Il movimento politico e culturale<br />

sessantottino cercava l’unione tra l’università e la fabbrica, ovvero il coor<strong>di</strong>namento<br />

stretto tra le lotte operaie e le occupazioni studentesche delle<br />

università. Nell’area milanese, al fianco <strong>di</strong> quelli che saranno i “gruppi storici”<br />

della nuova sinistra, si formano molti Comitati Unitari e Collettivi Autonomi.<br />

Il contesto storico in cui le Br cominciano la loro attività è quello <strong>di</strong><br />

un’Italia <strong>di</strong> stragi <strong>di</strong> Stato e tentativi <strong>di</strong> golpe.<br />

Il coor<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> collettivi autonomi, nell’autunno<br />

del 1969 a Milano, prese il nome <strong>di</strong> Collettivo Politico Metropolitano<br />

(CPM), un movimento che raccoglieva tutte le idee in fermento della nuova<br />

sinistra <strong>di</strong> quel periodo. Il CPM raccolse decine <strong>di</strong> collettivi eterogenei<br />

composti da operai, cantanti, grafici, insegnanti, tecnici, attori e musicisti e<br />

lavorò sotto forma <strong>di</strong> centro politico-ricreativo-culturale fino al <strong>di</strong>cembre<br />

del ’69, quando, a causa delle mutate con<strong>di</strong>zioni politiche (la tensione generale<br />

dovuta alla strage <strong>di</strong> piazza Fontana) cessò l’attività e <strong>di</strong>ede vita all’organizzazione<br />

extraparlamentare Sinistra Proletaria.<br />

Tale organizzazione esprimeva alcune delle posizioni teoriche che saranno<br />

alla base dell’ideologia brigatista: l’occupazione statunitense dell’Italia<br />

tramite le multinazionali si esprimeva con la collocazione al potere <strong>di</strong><br />

una classe <strong>di</strong>rigente immutabile e non eliminabile in maniera pacifica con le<br />

votazioni. Nel contempo, la messa all’opposizione dei partiti della sinistra<br />

s’inquadrava nella strategia tipica delle multinazionali capitaliste, le quali<br />

sfruttavano il lavoro malpagato della classe operaia solo per incrementare i<br />

propri profitti.<br />

“Sinistra Proletaria” sarà dunque un’organizzazione <strong>di</strong> riferimento per<br />

operai e tecnici <strong>di</strong> due stabilimenti produttivi milanesi: Sit-Siemens e Pirelli.<br />

– 244 –


I personaggi che <strong>di</strong>edero vita a questo progetto provenivano dalla<br />

Libera Università <strong>di</strong> Trento (Renato Curcio, Margherita Cagol, Giorgio<br />

Semeria), dalle federazioni giovanili comuniste <strong>di</strong> Reggio Emilia (Alberto<br />

Franceschini, Prospero Gallinari, giovani usciti dalla FGCI, l’organizzazione<br />

giovanile del PCI) e dal movimento delle fabbriche (Mario Moretti,<br />

tecnico della Sit-Siemens). Nel primo periodo <strong>di</strong> attività la lotta politica<br />

delle Br si esprimeva con attentati incen<strong>di</strong>ari contro le macchine dei capi<br />

delle fabbriche, operazioni <strong>di</strong> volantinaggio e “rapimenti lampo”.<br />

Con tali gesti eclatanti, ma non sanguinari, il gruppo armato intendeva<br />

scuotere le coscienze e creare adepti. Le posizioni delle Br erano esposte,<br />

oltre che dai volantini che accompagnavano gli interventi, da brevi documenti<br />

o da auto-interviste dei membri. Curiosamente, questa prima fase del<br />

movimento, che, in seguito,verrà ripu<strong>di</strong>ata, sortiva un notevole effetto in<br />

termini <strong>di</strong> consensi. Essa frutterà, a posteriori, molto più della campagna <strong>di</strong><br />

sangue negli anni successivi al 1975.<br />

Tra il 1970 e il 1974 le Br agivano prevalentemente in ambito operaio,<br />

con piccoli gruppi che operavano all’interno delle fabbriche in modo spesso<br />

clandestino. Inizialmente agivano solo nel milanese. Successivamente estesero<br />

il loro raggio d’azione in Piemonte, Liguria, Veneto ed Emilia Romagna.<br />

Vennero organizzati gruppi parasindacali, ognuno dei quali, detto<br />

“Brigata”, faceva propaganda nelle fabbriche.<br />

Il primo comizio politico delle neonate Brigate Rosse avvenne nel quartiere<br />

milanese <strong>di</strong> Lorenteggio, nell’aprile 1970. Secondo molti esperti del<br />

settore, la denominazione “Brigate Rosse” fu assunta in contrapposizione a<br />

quella <strong>di</strong> uno dei più famigerati corpi <strong>di</strong> repressione antipartigiana della Repubblica<br />

Sociale Italiana, le Brigate Nere. Uno dei suoi fondatori (Renato<br />

Curcio) racconta invece <strong>di</strong> un riferimento all’organizzazione armata legata<br />

alla Resistenza partigiana milanese, la Volante Rossa, da cui l’aggettivo<br />

“Rossa” legato a”Brigata”, tipica denominazione militare. Le prime azioni<br />

dell’organizzazione infatti furono firmate “Brigata Rossa” al singolare.<br />

Nel settembre del 1970 Sinistra Proletaria entrava in crisi durante un convegno<br />

a Pecorile (un piccolo paese in provincia <strong>di</strong> Reggio-Emilia), dove alcuni<br />

componenti dell’organizzazione decisero <strong>di</strong> dare vita ad una nuova esperienza<br />

organizzativa che adottasse come pratica politica la lotta armata, sull’esempio<br />

della guerriglia metropolitana dei Tupamaros (attivi in Uruguay tra<br />

gli anni ’60 e gli anni ’70), delle azioni dei Black Panthers negli Usa e della<br />

Bolivia <strong>di</strong> Che Guevara, e seguendo l’onda della nascita dei primi gruppi<br />

armati italiani (il Gruppo XXII Ottobre e i GAP <strong>di</strong> Giangiacomo Feltrinelli).<br />

– 245 –


Il primo periodo <strong>di</strong> attività si svolse tutto all’interno del mondo delle<br />

fabbriche e le azioni avevano come obiettivi i nemici politici del movimento<br />

operaio e delle attività delle organizzazioni <strong>di</strong> sinistra attive all’interno degli<br />

stabilimenti: da qui i primi sequestri lampo <strong>di</strong> personalità legate alla <strong>di</strong>rigenza<br />

delle aziende e i vari attentati incen<strong>di</strong>ari contro le automobili dei “capi”.<br />

Questo fu il periodo della cosiddetta “propaganda armata”. Successivamente<br />

le Br uscirono dalla logica dello scontro all’interno delle fabbriche<br />

per dare vita ad un progetto politico <strong>di</strong> più ampio respiro: incidere <strong>di</strong>rettamente<br />

sul processo politico nazionale per mo<strong>di</strong>ficare i rapporti <strong>di</strong> forza politici<br />

all’interno del paese.<br />

Questa scelta, dettata dalla necessità <strong>di</strong> cercare uno sbocco politico che<br />

potesse portare a dei risultati politici concreti, portò a quello che venne definito<br />

“l’attacco al cuore dello Stato”.<br />

Non esiste un atto ufficiale <strong>di</strong> fondazione delle Brigate Rosse. Molti ritengono<br />

che la nascita dell’organizzazione sia avvenuta nel corso del convegno<br />

organizzato dal Collettivo Metropolitano Milanese del 28 Novembre<br />

1969, nell’albergo Stella Maris <strong>di</strong> Chiavari (<strong>di</strong> proprietà ecclesiastica, la cui<br />

sala convegni fu affittata da Curcio).<br />

Secondo Alberto Franceschini, nel suo libro dal titolo “Mara, Renato ed<br />

io”, in quell’occasione non si accennò alla lotta armata e alla clandestinità,<br />

che <strong>di</strong>vennero in seguito tratti <strong>di</strong>stintivi dei militanti delle BR. Di <strong>di</strong>versa<br />

opinione è Giorgio Galli nel suo libro “Storia del Partito Armato” (1986),<br />

in cui afferma che – nel contesto della suddetta riunione – fu trattato il tema<br />

“Il fiore violento della lotta armata”.<br />

Dopo la strage <strong>di</strong> Piazza Fontana, che <strong>di</strong>ede l’avvio alla cosiddetta<br />

“Strategia della tensione”, con un crescendo <strong>di</strong> attentati che per venticinque<br />

anni insanguinarono il paese, e che fu interpretata da gran parte dei movimenti<br />

del tempo come strage <strong>di</strong> stato intesa a <strong>di</strong>ssuadere, con meto<strong>di</strong> terroristici,<br />

il cammino delle lotte operaie e studentesche, il <strong>di</strong>battito già in corso<br />

sull’uso della violenza, trovò in molte formazioni extraparlamentari sollecitazione<br />

ed impulso per la creazione <strong>di</strong> un gruppo armato <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>fesa. In<br />

Sinistra Proletaria esso si traduce nella scelta da un lato <strong>di</strong> dare vita ad<br />

un giornale (Nuova Resistenza), mentre dall’altro si forma, alla Pirelli <strong>di</strong><br />

Milano, la prima Brigata Rossa (20 ottobre 1970).<br />

La prima azione delle Brigate Rosse che abbia un certo peso avvenne<br />

però nella notte del 25 gennaio 1971: otto bombe incen<strong>di</strong>arie vennero collocate<br />

sotto altrettanti autotreni sulla pista prova pneumatici <strong>di</strong> Lainate dello<br />

stabilimento Pirelli. Tre autotreni vennero <strong>di</strong>strutti dalle fiamme.<br />

– 246 –


La prima azione Br che invece ebbe come obiettivo una persona<br />

avvenne a Milano il 3 marzo 1972, quando l’ing. Idalgo Macchiarini, <strong>di</strong>rigente<br />

della Sit-Siemens, venne prelevato <strong>di</strong> fronte allo stabilimento, fotografato<br />

con un cartello al collo e sottoposto ad un interrogatorio <strong>di</strong> alcune<br />

ore sui processi <strong>di</strong> ristrutturazione in corso nella fabbrica.<br />

Il 2 maggio 1972, a Milano, scattò la prima rilevante operazione <strong>di</strong><br />

polizia contro le BR. La maggior parte dei militanti ricercati, tuttavia, riuscì<br />

a sottrarsi all’arresto. Da questo momento la semiclandestinità si trasformò<br />

per la nascente organizzazione in vera e propria scelta clandestina.<br />

Nell’agosto-settembre 1972 le Br costituirono a Milano e a Torino due<br />

colonne, ognuna delle quali composta da più brigate operanti all’interno<br />

delle fabbriche e dei quartieri. Inoltre con la <strong>di</strong>stinzione tra forze regolari<br />

(militanti <strong>di</strong> maggior esperienza politica totalmente clandestini) e forze irregolari<br />

(militanti <strong>di</strong> tutte le istanze che fanno parte a tutti gli effetti dell’organizzazione<br />

senza essere totalmente clandestini), venne precisata la definizione<br />

dei livelli <strong>di</strong> militanza.<br />

Intanto si consolidarono accor<strong>di</strong> organizzativi con collettivi del lo<strong>di</strong>giano<br />

e dell’Emilia-Romagna.<br />

Nell’autunno 1973, in un incontro tra esponenti della colonna <strong>di</strong> Milano<br />

e <strong>di</strong> Torino venne deciso <strong>di</strong> articolare il lavoro delle colonne in tre settori: il<br />

settore delle gran<strong>di</strong> fabbriche; il settore della lotta alla controrivoluzione; il<br />

settore logistico.<br />

A Milano la brigata <strong>di</strong> fabbrica della Sit-Siemens incoraggiò la formazione<br />

dei Nuclei Operai <strong>di</strong> Resistenza Armata (NORA) con una propria autonomia<br />

operativa.<br />

I NORA, la cui prima azione è del 2 maggio 1973 e l’ultima del 28 gennaio<br />

1974, compirono alcuni attentati incen<strong>di</strong>ari contro beni <strong>di</strong> fascisti della<br />

fabbrica (in genere automobili) e contro alcune se<strong>di</strong> della polizia.<br />

A Torino, in breve tempo, le Br trovarono adesioni in tutti gli stabilimenti<br />

della Fiat ed in molte altre gran<strong>di</strong> fabbriche (Pininfarina, Bertone,<br />

Singer).<br />

Con il contratto aziendale integrativo dell’autunno-inverno maturò il<br />

sequestro del capo del personale della Fiat Ettore Amerio (10-18 <strong>di</strong>cembre<br />

1973).<br />

Nel febbraio-marzo 1974 avvenne il primo salto <strong>di</strong> qualità: una riflessione<br />

congiunta delle due colonne sull’esito delle lotte operaie alla Fiat,<br />

portò alla decisione <strong>di</strong> dare respiro strategico all’organizzazione, proiettando<br />

la sua forza contro le istituzioni politiche e contro lo stato. La fase<br />

– 247 –


della propaganda armata era finita. Cominciava l’attacco al cuore dello<br />

Stato.<br />

Dalla necessità <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nare a livello nazionale i Settori nascono due<br />

Fronti: il Fronte delle gran<strong>di</strong> fabbriche ed il Fronte della lotta alla controrivoluzione.<br />

Il 18 aprile 1974, a Genova, venne sequestrato il magistrato Mario<br />

Sossi, già inquisitore del gruppo XXII Ottobre. Questa azione fu la prima<br />

operazione nazionale progettata dal Fronte della lotta alla controrivoluzione.<br />

Nel corso del sequestro le Br chiesero la liberazione <strong>di</strong> alcuni detenuti<br />

della formazione armata genovese, ma liberarono l’ostaggio senza contropartite.<br />

Oltre ai volantini, durante il sequestro, viene <strong>di</strong>ffuso l’opuscolo:<br />

“Contro il neo-gollismo portare l’attacco al cuore dello Stato”.<br />

Tra il 1973 ed il 1974, le Br allargarono i loro rapporti organizzativi in<br />

varie regioni: consolidando i contatti con operai dei Cantieri Navali Breda e<br />

del Petrolchimico venne inaugurata la terza colonna, la colonna veneta; in<br />

Liguria, con alcuni operai dell’Italsider, dopo la Campagna Sossi, venne<br />

creata la prima istanza della nuova colonna genovese; nelle Marche si strinsero<br />

relazioni con esponenti dei Proletari Armati in Lotta, alcuni dei quali<br />

daranno vita al comitato marchigiano delle BR.<br />

Il 17 giugno 1974, a Padova, nel corso <strong>di</strong> un’incursione nella sede<br />

missina <strong>di</strong> via Zabarella, restarono uccise due persone, Graziano Giralucci e<br />

Giuseppe Mazzola. Per le Br si trattò della prima azione mortale, anche se<br />

– con ogni probabilità – non programmata.<br />

Il nucleo veneto gestì l’evento, riven<strong>di</strong>candolo all’interno della pratica<br />

dell’antifascismo militante. Le Brigate Rosse, a livello nazionale, pur assumendone<br />

la responsabilità, riba<strong>di</strong>rono che la questione centrale dell’intervento<br />

armato era l’attacco allo Stato e non l’antifascismo militante.<br />

Nell’estate 1974 l’espansione delle BR, seguita alla campagna Sossi,<br />

portò alla decisione <strong>di</strong> creare un terzo Fronte – il Fronte logistico – al fine <strong>di</strong><br />

affrontare, in modo più adeguato, oltre al coor<strong>di</strong>namento dei settori logistici<br />

<strong>di</strong> ciascuna colonna, anche i problemi della scuola quadri e del finanziamento.<br />

L’8 settembre 1974 ci fu un primo duro colpo per le BR: grazie ad un<br />

infiltrato, il falso Frate Mitra, Silvano Girotto, i carabinieri del gen. Carlo<br />

Alberto Dalla Chiesa arrestarono due capi dell’organizzazione, Renato<br />

Curcio ed Alberto Franceschini.<br />

Il 13 ottobre 1974, alla cascina Spiotta <strong>di</strong> Arzello, Acqui (AL), si riunì<br />

la prima Direzione strategica delle BR. L’or<strong>di</strong>ne del giorno riguardava la<br />

– 248 –


idefinizione delle strutture e dell’intervento alla luce degli arresti dei due<br />

<strong>di</strong>rigenti dell’organizzazione.<br />

Nell’inverno 1974 si riunì, nel Veneto, la seconda Direzione strategica.<br />

All’or<strong>di</strong>ne del giorno vi era la liberazione dei prigionieri. Venne deciso<br />

l’assalto al carcere <strong>di</strong> Casale Monferrato, che fu effettuato il 18 febbraio<br />

1975 e portò alla liberazione <strong>di</strong> Renato Curcio.<br />

Nel marzo 1975 furono riallacciati i contatti presi negli anni precedenti<br />

con alcuni militanti <strong>di</strong> Roma, provenienti da varie aree ed esperienze politiche<br />

(Potere Operaio, marxisti-leninisti), e venne dato avvio alla costruzione<br />

della colonna romana.<br />

Nell’aprile 1975 venne <strong>di</strong>ffusa la prima Risoluzione della Direzione<br />

strategica.<br />

Il 15 maggio 1975, nel quadro della campagna contro il neo-gollismo, fu<br />

“gambizzato” il consigliere comunale della DC milanese, Massimo De Carolis.<br />

Il 4 giugno 1975, avvenne il primo sequestro per autofinanziamento ai<br />

danni dell’industriale Vallarino Gancia. Nel corso <strong>di</strong> questa operazione, il<br />

5 giugno, in un conflitto a fuoco fu ferito mortalmente l’appuntato dei carabinieri<br />

Giovanni d’Alfonso, mentre restò uccisa Margherita Cagol Curcio,<br />

detta “Mara”, la storica compagna <strong>di</strong> Renato Curcio. La colonna <strong>di</strong> Torino<br />

assunse il suo nome.<br />

Sempre nel corso del 1975, il confronto politico con i Nuclei Armati<br />

Proletari (NAP) portò ad una campagna congiunta, la quale si concretizzò<br />

in due momenti offensivi: uno contro le strutture dell’Arma dei carabinieri<br />

con azioni in varie città italiane (1° marzo 1976); un altro con l’incursione<br />

nella sede dell’ispettorato <strong>di</strong>strettuale degli Istituti <strong>di</strong> Prevenzione e Pena <strong>di</strong><br />

Milano (22 aprile 1976).<br />

Nei volantini <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>cazione le due organizzazioni rendevano noto<br />

che “BR e NAP, nel rispetto della propria autonomia politica ed organizzativa,<br />

possono praticare comuni scadenze <strong>di</strong> lotta e d’azione in un unico<br />

fronte <strong>di</strong> combattimento”.<br />

Tra il 1974 ed il 1976, in conflitti a fuoco tra militanti e forze dell’or<strong>di</strong>ne<br />

persero la vita tre militari: Felice Maritano, Antonio Niedda e Francesco<br />

Cusano.<br />

L’8 giugno, a Genova, le Br colpirono mortalmente il procuratore<br />

generale Francesco Coco e i due militari della sua scorta (Antioco Dejana e<br />

Giovanni Saponara). Nei giorni del sequestro Sossi, Coco si era infatti rifiutato<br />

<strong>di</strong> firmare la liberazione dei detenuti che le Br chiedevano in cambio<br />

della liberazione dell’ostaggio.<br />

– 249 –


Le Br definirono questa azione come una “<strong>di</strong>sarticolazione politica e<br />

militare delle strutture dello stato”. Questo evento concluse la campagna<br />

iniziata con il rapimento del giu<strong>di</strong>ce Mario Sossi e commemorò, ad un anno<br />

dalla sua uccisione, Margherita Cagol Curcio “Mara”.<br />

Il 15 <strong>di</strong>cembre 1976, intercettato da forze <strong>di</strong> polizia durante una visita<br />

alla famiglia, Walter Alasia, militante clandestino della colonna <strong>di</strong> Milano,<br />

ingaggiò un conflitto a fuoco con la polizia. Morirono, oltre ad Alasia, due<br />

sottufficiali, Sergio Bazzega e Vittorio Padovani.<br />

La colonna <strong>di</strong> Milano delle Br prese il suo nome: Walter Alasia “Luca”.<br />

Nel corso del 1976, dopo il nuovo arresto <strong>di</strong> Curcio, catturato assieme<br />

ad altri militanti, l’impianto organizzativo sancito nelle Risoluzioni<br />

del 1974 e del 1975 subì una trasformazione ra<strong>di</strong>cale che non restò senza<br />

conseguenze nel <strong>di</strong>battito interno. Più precisamente: il Fronte delle gran<strong>di</strong><br />

fabbriche fu assorbito all’interno del Fronte della lotta alla controrivoluzione.<br />

Questa trasformazione costituì una vera e propria “seconda fondazione<br />

delle BR”: tutti i comparti e tutte le attività dell’organizzazione vennero ripensati<br />

per mettere meglio a punto “l’attacco al cuore dello Stato”. Il capo<br />

delle Brigate Rose ora era Mario Moretti.<br />

Il 12 febbraio 1977, con il ferimento intenzionale <strong>di</strong> Valerio Traversi,<br />

<strong>di</strong>rigente del ministero della Giustizia, la Colonna <strong>di</strong> Roma compì la sua<br />

prima azione.<br />

Il sequestro dell’armatore Costa a Genova (12 gennaio - 3 aprile 1977)<br />

mirò ancora una volta all’autofinanziamento. Fino ad allora, e ad esclusione<br />

del sequestro dell’industriale Vallarino Gancia, le Br avevano compiuto solo<br />

rapine in banche.<br />

Il 28 aprile 1977, le Br uccisero Fulvio Croce, presidente del consiglio<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne degli avvocati <strong>di</strong> Torino. La Corte d’Assise, in seguito a questa<br />

azione, sospese nuovamente il processo in atto contro il primo gruppo <strong>di</strong> inquisiti<br />

per le BR.<br />

Il l° giugno 1977 prende avvio la campagna contro i giornalisti intesa a<br />

“<strong>di</strong>sarticolare la funzione controrivoluzionaria svolta dai gran<strong>di</strong> me<strong>di</strong>a”.<br />

Vengono feriti, nei giorni tra il 1° e il 3 Giugno 1977, rispettivamente a<br />

Genova, Milano e Roma, Valerio Bruno, Indro Montanelli, ed Emilio Rossi.<br />

Il 16 novembre, a Torino, venne colpito mortalmente Carlo Casalegno, giornalista<br />

del quoti<strong>di</strong>ano “La Stampa”.<br />

L’iniziativa contro il trattamento carcerario dei prigionieri politici, duramente<br />

irrigi<strong>di</strong>to nel luglio del 1977 con l’apertura del circuito delle carceri<br />

– 250 –


<strong>di</strong> massima sicurezza sotto il controllo del generale Carlo Alberto Daella<br />

Chiesa, si sviluppò con attentati mortali contro il magistrato Riccardo<br />

Palma e gli agenti Lorenzo Cotugno e Francesco Di Cataldo.<br />

Il 10 marzo 1978 le Br colpiscono mortalmente Rosario Berar<strong>di</strong>, maresciallo<br />

della Polizia della sezione antiterrorismo, in relazione alla riapertura<br />

del processo a Torino.<br />

Il 16 marzo 1978, le Br sequestrano, a Roma, l’onorevole Aldo Moro,<br />

presidente della DC e can<strong>di</strong>dato alla formazione del nuovo governo”aperto<br />

al PCI”. Cinque militari della scorta restarono uccisi: Oreste Leonar<strong>di</strong>, Raffaele<br />

lozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.<br />

Con questa azione le Br si propongono <strong>di</strong> intervenire negli equilibri<br />

politici generali del Paese.<br />

Nel corso dei 55 giorni del sequestro, l’onorevole Moro scrisse varie<br />

lettere, e le Br chiesero la liberazione <strong>di</strong> 13 prigionieri politici e <strong>di</strong>stribuirono<br />

9 comunicati ed una Risoluzione della Direzione strategica.<br />

Il sequestro si concluse il 9 maggio 1978, con il ritrovamento del corpo<br />

dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani, a Roma.<br />

Il 21 giugno 1978, a Genova, le Br colpirono mortalmente Antonio<br />

Esposito, funzionario dell’Antiterrorismo. Questa azione coincise con l’entrata<br />

in camera <strong>di</strong> consiglio dei giu<strong>di</strong>ci del processo <strong>di</strong> Torino, che si concluse<br />

il 23 giugno.<br />

Tra ottobre e <strong>di</strong>cembre del 1978, le Br continuarono la campagna<br />

contro il trattamento carcerario dei prigionieri. Vennero colpiti mortalmente:<br />

Girolamo Tartaglione, <strong>di</strong>rettore generale degli affari penali del ministero<br />

della Giustizia, Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu, agenti <strong>di</strong> polizia<br />

addetti alla sorveglianza esterna del carcere Le Nuove a Torino.<br />

Per tutto il 1978 la presenza delle Br nelle gran<strong>di</strong> fabbriche <strong>di</strong> Torino,<br />

Milano, Genova e del Veneto fu scan<strong>di</strong>ta da <strong>di</strong>verse azioni contro le gerarchie<br />

ed i <strong>di</strong>rigenti industriali. Nel corso <strong>di</strong> questa campagna venne ucciso<br />

Pietro Coggiola, capofficina Fiat (Torino 28 settembre 1978). L’azione<br />

contro <strong>di</strong> lui, nelle intenzioni dell’organizzazione, doveva essere solo un ferimento.<br />

Fu invece intenzionale l’attentato mortale contro Sergio Gori, a<br />

Mestre, il 19 gennaio 1980, che <strong>di</strong> fatto costituì l’ultima azione delle Br inserita<br />

in questo contesto.<br />

Il 24 gennaio 1979, a Genova, il sindacalista della CGIL, Guido Rossa,<br />

ritenuto responsabile dell’arresto dell’operaio dell’Italsider Francesco Berar<strong>di</strong><br />

(24 ottobre 1978), venne colpito mortalmente. Nella riven<strong>di</strong>cazione, le Br resero<br />

noto che questa azione era stata concepita come ferimento intenzionale.<br />

– 251 –


Nel gennaio 1979 uscirono dalle Br sette militanti, tra cui Valerio Morucci<br />

ed Adriana Faranda, della colonna romana. Le loro posizioni furono<br />

esposte nel documento: “Fase: passato, presente e futuro”, Roma, febbraio<br />

1979. Essi confluirono successivamente nel Movimento Comunista Rivoluzionario.<br />

Nei primi mesi del 1979, a Roma, vennero effettuati due interventi<br />

contro la Democrazia Cristiana: fu colpito mortalmente il consigliere<br />

provinciale Italo Schettini, il 29 marzo 1979 e venne attaccata la sede della<br />

DC <strong>di</strong> Piazza Nicosia, nella quale persero la vita, intervenendo <strong>di</strong> pattuglia,<br />

gli agenti Antonio Mea e Pietro Ollanu, il 3 maggio 1979.<br />

Nel corso dell’estate dello stesso anno, le Brigate Rosse allacciarono<br />

relazioni in Sardegna anche al fine <strong>di</strong> sostenere un’eventuale evasione dall’Asinara<br />

dei suoi militanti lì incarcerati, e <strong>di</strong> costruire una nuova colonna.<br />

Nel luglio 1979, i detenuti Br del carcere speciale dell’Asinara fecero<br />

pervenire all’Esecutivo dell’organizzazione un documento <strong>di</strong> 130 pagine in<br />

cui erano esposte le tesi politiche che, secondo la loro opinione, dovevano<br />

in<strong>di</strong>rizzare l’attività dopo la campagna Moro.<br />

È il primo segnale <strong>di</strong> una crisi che in breve tempo travolgerà le Brigate<br />

rosse. L’Esecutivo non con<strong>di</strong>vise queste tesi e rese noto ai prigionieri il suo<br />

<strong>di</strong>saccordo. A ottobre, i prigionieri risposero chiedendo le <strong>di</strong>missioni dell’Esecutivo.<br />

Tra il giugno del 1978 e la primavera del 1980 fu condotta una campagna<br />

contro gli apparati dell’antiterrorismo. In complesso, tra carabinieri e<br />

polizia, vennero colpiti mortalmente 12 militari <strong>di</strong> vario grado: Antonio<br />

Esposito, Vittorio Battaglini, Mario Tosa, Antonino Casu, Emanuele Tuttobene<br />

(tutti a Genova), Antonio Varisco, Michele Granato, Domenico Taverna<br />

e Mariano Romiti (a Roma), Antonio Cestari, Rocco Santoro e Michele<br />

Tatulli (a Milano).<br />

Il 2 ottobre 1979 i brigatisti detenuti all’Asinara annunciarono la loro<br />

intenzione <strong>di</strong> smantellare il carcere speciale. Dopo una notte <strong>di</strong> battaglia,<br />

con esplosivo, scontri a fuoco e lotte corpo a corpo, la struttura del carcere<br />

venne resa inagibile.<br />

Il 24 ottobre 1979, nel carcere speciale <strong>di</strong> Cuneo, si suicidò Francesco<br />

Berar<strong>di</strong>, militante Br denunciato da Guido Rossa. La colonna <strong>di</strong> Genova fu<br />

de<strong>di</strong>cata al suo nome: Francesco Berar<strong>di</strong> “Cesare”.<br />

Si concluse a Torino, nel mese <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, l’appello del cosiddetto<br />

“processone”. I detenuti riassunsero le loro tesi, già esposte nel documento<br />

<strong>di</strong> luglio, nel Comunicato n. 19.<br />

– 252 –


Il 21 febbraio 1980 venne arrestato, a Torino, Patrizio Peci. Le modalità<br />

del suo arresto sono ancora oggi avvolte nel più fitto mistero.<br />

In seguito alla sua collaborazione con le forze dell’or<strong>di</strong>ne, nei mesi successivi<br />

si susseguirono in tutta Italia centinaia <strong>di</strong> arresti e il 28 marzo, a Genova,<br />

anche in risposta alla campagna contro gli apparati dell’antiterrorismo,<br />

vennero uccisi dai carabinieri Annamaria Ludmann, Lorenzo Betassa,<br />

Riccardo Dura e Piero Panciarelli.<br />

In ricordo <strong>di</strong> questi quattro compagni la colonna <strong>di</strong> Roma prese il nome<br />

“Colonna XXVIII Marzo” e la colonna veneta quello <strong>di</strong> Colonna “Annamaria<br />

Ludmann ‘Cecilia’”.<br />

Nei primi mesi 1980 venne colpita la magistratura con due attentati<br />

mortali, a Roma: il 12 febbraio 1980 Vittorio Bachelet, vicepresidente del<br />

Consiglio superiore della magistratura ed il 18 marzo 1980 Girolamo Minervini,<br />

in procinto <strong>di</strong> essere nominato <strong>di</strong>rettore generale degli istituti <strong>di</strong><br />

prevenzione e pena.<br />

Il 12 maggio 1980, a Mestre, in relazione alla riunione dei capi <strong>di</strong> stato<br />

dei paesi più industrializzati, in programma per il mese <strong>di</strong> giugno, le Br intervennero<br />

colpendo mortalmente il <strong>di</strong>rigente della Digos Alfredo Albanese.<br />

Il 19 maggio 1980, con l’attentato mortale all’assessore regionale al Bilancio<br />

e alla Programmazione, Pino Amato, della DC, nacque ufficialmente<br />

la Colonna <strong>di</strong> Napoli.<br />

Il 5 agosto 1980, in provincia <strong>di</strong> Roma, si riunì la Direzione strategica,<br />

la quale elaborò una propria Risoluzione strategica (ottobre 1980).<br />

Alle prese con le loro contrad<strong>di</strong>zioni interne, le Br non riuscirono a manifestare<br />

alcuna presenza nella reazione che tra ottobre e <strong>di</strong>cembre, la Fiat,<br />

sostenuta anche dai suoi quadri interme<strong>di</strong> (manifestazione dei quarantamila),<br />

sviluppò contro le vertenze operaie, mettendo in cassa integrazione<br />

migliaia <strong>di</strong> operai e effettuando un centinaio <strong>di</strong> licenziamenti.<br />

Il 12 novembre del 1980 la Colonna Walter Alasia gestì autonomamente<br />

una propria azione (un attentato mortale al <strong>di</strong>rigente industriale Renato<br />

Briano) e con ciò, <strong>di</strong> fatto, si pose al <strong>di</strong> fuori del controllo politico dell’Esecutivo.<br />

Tentativi successivi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione e composizione delle <strong>di</strong>vergenze non<br />

ebbero alcun esito.<br />

Nel mese <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, con l’Opuscolo n. 10, l’Esecutivo delle Br decretò<br />

ufficialmente la separazione organizzativa della Colonna Walter Alasia.<br />

Il 12 <strong>di</strong>cembre 1980, a Roma, con il rapimento del giu<strong>di</strong>ce Giovanni<br />

D’Urso, <strong>di</strong>rettore dell’Ufficio III della <strong>di</strong>rezione generale degli istituti <strong>di</strong><br />

– 253 –


prevenzione e pena del ministero della Giustizia, le Brigate Rosse chiesero<br />

la chiusura imme<strong>di</strong>ata dell’Asinara, che era stata tenuta aperta con pochissimi<br />

detenuti brigatisti, dopo lo smantellamento della rivolta del 2 novembre<br />

1979.<br />

La campagna si sviluppò con l’attentato mortale al generale dei carabinieri<br />

Enrico Galvaligi (Roma, 31 <strong>di</strong>cembre 1980), responsabile del coor<strong>di</strong>namento<br />

delle misure <strong>di</strong> sicurezza nelle carceri speciali e ritenuto responsabile<br />

dell’assalto compiuto il 29 <strong>di</strong>cembre 1980 dal Gruppo d’Intervento<br />

Speciale (GIS) per riprendere il controllo del carcere <strong>di</strong> Trani in rivolta da<br />

due giorni.<br />

Il sequestro <strong>di</strong> Giovanni D’Urso si concluse il 15 gennaio 1981 con la<br />

liberazione del magistrato e la chiusura del carcere speciale dell’Asinara.<br />

Con la campagna D’Urso e la sua gestione (Opuscolo n. 11, gennaio<br />

1981) <strong>di</strong> fatto si concluse il percorso unitario delle Brigate Rosse.<br />

Gli opuscoli n. 12 e 13, tuttavia, espressero ancora posizioni unitarie<br />

(ad eccezione delle BR-Walter Alasia) ed in particolare il secondo tentò <strong>di</strong><br />

fissare le basi per una ripresa d’iniziativa sul terreno delle lotte operaie.<br />

Nell’aprile 1981, i già precari equilibri tra le varie istanze e le <strong>di</strong>verse<br />

posizioni politiche all’interno delle Br precipitarono. A Milano viene arrestato<br />

colui che era stato fino a quel momento il capo incontrastato delle BR,<br />

Mario Moretti.<br />

All’autonomizzazione delle BR-WA, che gestì per proprio conto il sequestro<br />

dell’ingegnere dell’Alfa Romeo Sandrucci, fece seguito quella della<br />

Colonna <strong>di</strong> Napoli e del Fronte Carceri, che, insieme, gestirono le campagne<br />

Cirillo e Peci, dando vita alle Brigate Rosse – Partito della Guerriglia,<br />

che saranno guidate da Giovanni Senzani.<br />

Solo il sequestro dell’ingegnere Giuseppe Taliercio, <strong>di</strong>rettore del Petrolchimico<br />

<strong>di</strong> Mestre (20 maggio - 5 luglio 1981), fu ancora riven<strong>di</strong>cato con la<br />

sigla BR. Ma anche nel Veneto, in seguito a <strong>di</strong>vergenze sorte nella gestione<br />

dell’operazione, tra l’ottobre e il novembre del 1981, alcuni militanti della<br />

colonna veneta uscirono dall’organizzazione e <strong>di</strong>edero vita alla colonna<br />

“2 Agosto”.<br />

Nell’agosto del 1981, per iniziativa della colonna <strong>di</strong> Roma, venne fatto<br />

un tentativo <strong>di</strong> ricomposizione delle contrad<strong>di</strong>zioni esplose tra i vari spezzoni.<br />

Ma esso fallì.<br />

Ad ottobre, si tenne a Milano una riunione della Direzione strategica. In<br />

essa venne impostata la campagna contro il generale USA James Lee Dozier<br />

e venne deciso, onde evitare conflitti sui <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> primogenitura, <strong>di</strong> mo-<br />

– 254 –


<strong>di</strong>ficare anche la sigla. Al vertice <strong>di</strong> quello che rimase delle Brigate Rosse<br />

ora era una donna: Barbara Balzerani.<br />

Da questo momento le Brigate Rosse, intese come un’unica formazione<br />

armata, cessarono formalmente <strong>di</strong> esistere.<br />

Accanto alle BR-Walter Alasia e alle BR-Partito Guerriglia si formarono<br />

le BR-Per la Costruzione del Partito Comunista Combattente (BR-<br />

PCC) che continueranno la strada della lotta armata.<br />

Negli anni successivi alcuni detenuti delle BR, dopo aver esaurito in<br />

tempi più o meno brevi la loro esperienza in uno o nell’altro <strong>di</strong> questi raggruppamenti<br />

e non ritenendo <strong>di</strong> doversi <strong>di</strong>ssociare, rimasero, pur senza una<br />

precisa definizione organizzativa, nell’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito generale delle BR.<br />

L’inizio del processo Moro, nel 1986, consentì loro <strong>di</strong> incontrarsi e confrontarsi.<br />

Nel gennaio del 1987 una serie <strong>di</strong> “lettere aperte” firmate da <strong>di</strong>versi militanti,<br />

sancirono la chiusura unitaria dell’esperienza storica delle Br e l’inizio<br />

<strong>di</strong> una battaglia <strong>di</strong> libertà finalizzata alla soluzione politica del conflitto<br />

degli anni ’70, alla liberazione <strong>di</strong> tutti i prigionieri e al rientro degli<br />

esuli.<br />

Qui termina la nostra lunga parentesi de<strong>di</strong>cata alle Brigate Rosse. Ma<br />

prima <strong>di</strong> concludere definitivamente, inseriamo, come preannunciato,<br />

un’intervista datata 14 marzo 1998 e pubblicata su “Repubblica”, <strong>di</strong><br />

Silvana Mazzocchi al figlio dello statista ucciso, Giovanni Moro. La voce<br />

<strong>di</strong> una delle persone maggiormente sconvolte, in quanto colpite negli<br />

affetti più cari, dalla brutalità terrorista del movimento, ci è sembrata<br />

più eloquente <strong>di</strong> qualsiasi analisi effettuata a posteriori sull’organizzazione.<br />

Di fronte al dolore <strong>di</strong> chi ha perso un padre in nome <strong>di</strong> un <strong>di</strong>segno<br />

la cui brutalità è molto mal celata da una patina <strong>di</strong> idealismo, ogni <strong>di</strong>segno<br />

<strong>di</strong> società migliore fallisce. Sembra banale, ma spesso le conclusioni più<br />

semplici sono quelle più <strong>di</strong>fficili da accettare. Dinanzi alla morte, all’omici<strong>di</strong>o,<br />

crolla qualsiasi pretesa o speranza <strong>di</strong> un futuro migliore, perché si è<br />

spezzato irrime<strong>di</strong>abilmente l’unico grande e vero bene che ogni singolo,<br />

ogni società che voglia ritenersi giusta, dovrebbe rispettare e preservare: la<br />

vita.<br />

Fa impressione riflettere che spesso per noi il drammatico bilancio delle<br />

vittime <strong>di</strong> quegli anni, che potremmo definire <strong>di</strong> “guerra”, si riduca ad un<br />

freddo elenco <strong>di</strong> nomi (come spesso appaiono i bilanci delle guerre), o ad<br />

una sbia<strong>di</strong>ta immagine <strong>di</strong> un cadavere nel bagagliaio <strong>di</strong> un’automobile. Ci<br />

sono vite spezzate, famiglie <strong>di</strong>sperate <strong>di</strong>etro ognuno dei nomi elencati nel<br />

– 255 –


esoconto degli omici<strong>di</strong> descritto nelle pagine precedenti. Forse ascoltare<br />

il racconto <strong>di</strong> una delle vittime “in<strong>di</strong>rette” della violenza <strong>di</strong> quel periodo<br />

può essere d’aiuto a comprendere meglio il reale impatto <strong>di</strong> questa “guerra”<br />

tanto violenta e folle nel cuore delle persone. Gli anni <strong>di</strong> piombo, le Brigate<br />

Rosse, le stragi, gli omici<strong>di</strong>, sono una ferita aperta nella pelle del nostro<br />

paese, che forse anche a causa <strong>di</strong> un confronto irrisolto del nostro presente<br />

con questo passato, non riesce a trovare una via d’uscita ad una frattura che<br />

appare proprio per questo insanabile. Frattura politica (spesso avvertiamo<br />

come i <strong>di</strong>versi partiti ad<strong>di</strong>rittura non riconoscano legittimità a chi la pensa<br />

<strong>di</strong>versamente), ma soprattutto frattura sociale.<br />

Ecco perché abbiamo ritenuto che il modo migliore per chiudere una<br />

ricerca sulla storia <strong>di</strong> quegli anni fosse quello <strong>di</strong> adottare uno sguardo retrospettivo<br />

che si interrogasse sulle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un male alla luce delle sue conseguenze<br />

più dolorose, ponendosi, una volta tanto, dalla parte delle vittime.<br />

“Da allora, ci ho pensato tante volte, e con rammarico: quel mattino<br />

avrei potuto salutarlo meglio, parlare un po’ con lui... invece – saranno<br />

state le otto, le otto meno un quarto – passai <strong>di</strong>nanzi al bagno <strong>di</strong>strattamente,<br />

lo vi<strong>di</strong> che si stava facendo la barba, con sapone e pennello, come<br />

sempre. Dissi appena un ciao e uscii”. Un’ora dopo, Aldo Moro sarebbe<br />

stato rapito e gli uomini della scorta massacrati. Era il 16 marzo 1978. Giovanni<br />

Moro, suo figlio, aveva vent’anni. Adesso ne ha quaranta e s’immerge<br />

nei ricor<strong>di</strong> con qualche riluttanza: “Era un giovedì, mia madre era andata a<br />

tenere la sua lezione <strong>di</strong> catechismo nella parrocchia lì vicino... in famiglia<br />

solo mio padre si alzava tar<strong>di</strong>, del resto a casa non tornava mai prima <strong>di</strong><br />

mezzanotte e dunque...”.<br />

Dalla strage sono ormai trascorsi due decenni e sono arrivati i giorni<br />

delle memorie e dei bilanci. Giovanni Moro accusa: “Non c’è ancora verità,<br />

né quella storica, né quella giu<strong>di</strong>ziaria, e tantomeno quella politica. Moro<br />

non fu colpito perché era un simbolo, come si <strong>di</strong>sse, ma per fare un’operazione<br />

chirurgica sulla politica italiana, per fermare il suo progetto. Anche i<br />

brigatisti non hanno detto la verità: perché non hanno reso pubblico tutto<br />

ciò che ha raccontato mio padre? E perché lo uccisero proprio quando<br />

nella DC si era aperto uno spiraglio? E, infine, perché lo Stato non fece<br />

nulla per salvarlo?... Andreotti era il capo del governo, il responsabile politico...<br />

E Cossiga? In qualsiasi paese, un ministro dell’Interno a cui fosse<br />

capitata una <strong>di</strong>sgrazia del genere, sarebbe finito a coltivare rose... lui invece<br />

<strong>di</strong>venne due volte presidente del Consiglio e una volta capo dello<br />

Stato”.<br />

– 256 –


Intervista a Giovanni Moro <strong>di</strong> Silvana Mazzocchi<br />

(in “La Repubblica”, 14 marzo 1998)<br />

Come venne a sapere, quel 16 marzo, che suo padre era stato rapito?<br />

Ero arrivato da poco nella sede del Movimento Febbraio ’74, in via<br />

Gregorio VII, avevamo appena traslocato e non c’era ancora il telefono.<br />

Verso le 9 e 30 qualcuno me lo venne a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> persona. Ma le notizie erano<br />

incerte, confuse. Non si sapeva che cosa gli fosse successo, né dove fosse,<br />

né si sapeva dei morti. No, non ricordo chi fu ad avvertirmi, forse un uomo<br />

della mia scorta. Tutti noi della famiglia eravamo scortati.<br />

Perché?<br />

Noi... ce l’aspettavamo prima o poi.<br />

Riprenda il filo del suo ricordo.<br />

Mi avviai verso casa, con la mia macchina. Quando arrivai all’angolo<br />

<strong>di</strong> via Fani, vi<strong>di</strong> tutto bloccato, la polizia, le volanti... compresi che era successo<br />

qualcosa <strong>di</strong> veramente grave. A casa trovai mia madre. L’aveva saputo<br />

subito, in parrocchia. E <strong>di</strong> lì a pie<strong>di</strong> si era precipitata in via Fani.<br />

Aveva visto la scena, il se<strong>di</strong>le <strong>di</strong> <strong>di</strong>etro che non era sporco <strong>di</strong> sangue... capì<br />

che lo avevano rapito. Ma solo ad un certo punto della mattinata se ne ebbe<br />

la certezza... venimmo a sapere che gli uomini della scorta erano stati uccisi.<br />

Fu un grande dolore, eravamo tutti molto legati. Loro, le loro famiglie,<br />

stavano spesso con noi, la domenica, in vacanza...<br />

La prima riven<strong>di</strong>cazione delle Br delle 10.10...<br />

Non ricordo cosa <strong>di</strong>sse mia madre... in casa c’erano anche le mie sorelle.<br />

La nostra impressione fu comune: tutti insieme sentimmo che non si<br />

era voluto colpire un simbolo, come poi si <strong>di</strong>sse. Ma che si stava facendo<br />

un’operazione chirurgica sulla politica italiana. Moro era l’artefice dell’incontro<br />

con i comunisti, era un soggetto a rischio. E del resto basta guardare<br />

agli anni delle bombe... e fare una considerazione. Che quando Moro<br />

si marginalizza, anche le bombe si marginalizzano. La sua politica è strettamente<br />

collegata a questo pezzo <strong>di</strong> storia italiana.<br />

– 257 –


Quella mattina, il progetto <strong>di</strong> suo padre doveva andare in porto con il<br />

governo <strong>di</strong> solidarietà nazionale, temevate qualcosa?<br />

Non si era mai parlato esplicitamente dei rischi. Ma lui, già qualche<br />

mese prima, aveva insistito moltissimo perché tutti noi fossimo scortati.<br />

Aveva cominciato a preoccuparsi soprattutto dopo il rapimento del figlio <strong>di</strong><br />

De Martino, l’anno precedente... lui non <strong>di</strong>ceva mai niente <strong>di</strong> concreto, ma<br />

in quel periodo in famiglia c’era una grande tensione, un clima che si tagliava<br />

con il coltello. Infine, accadde.<br />

Che cosa ricorda <strong>di</strong> quelle prime ore?<br />

Eravamo tutti un po’ sbandati, soprattutto non riuscivamo a capire<br />

fino in fondo che cosa fosse davvero successo. Ci sentivamo nell’occhio<br />

del ciclone, ma separati. Intorno a noi succedevano le cose più incre<strong>di</strong>bili.<br />

E noi lì, insieme, in calma apparente a leggere i giornali, a vedere i telegiornali.<br />

Dalle lettere <strong>di</strong> Moro traspare un forte legame con la moglie...<br />

Sì, ma era un rapporto molto... insomma, nella vita famigliare, Moro<br />

non era granché presente. Lui usciva la mattina, e magari tornava alle due<br />

<strong>di</strong> notte. Non c’era la domenica, né le feste... Non ricordo che fossimo andati,<br />

neanche una volta a mangiare fuori. Se si voleva chiacchierare con<br />

lui, lo si faceva da mezzanotte in poi, e per cena lo si doveva aspettare. Non<br />

esisteva la <strong>di</strong>mensione quoti<strong>di</strong>ana.<br />

In una lettera a Zaccagnini, suo padre accennò a gravi problemi famigliari...<br />

In famiglia c’erano i normali conflitti. Ma, al <strong>di</strong> la <strong>di</strong> questo, lui era<br />

molto preoccupato per tutti noi e probabilmente aveva le sue ragioni... mia<br />

sorella Anna stava aspettando un bambino, insomma un insieme <strong>di</strong> preoccupazioni,<br />

anche per la nostra sicurezza.<br />

A lei, suo padre scrisse mai dalla prigione?<br />

Due lettere per me vennero ritrovate a Milano, solo nel ’90, in via Montenevoso.<br />

In una mi avvertiva sul che cosa fosse la politica... forse voleva<br />

<strong>di</strong>re che dentro la politica c’era anche quello che gli stava capitando.<br />

– 258 –


Che cosa ricorda dei giorni precedenti all’agguato?<br />

In quel periodo sembrava molto stanco, provato. Aveva 62 anni, pensava<br />

<strong>di</strong> aver avuto già tutto dalla politica. Io non so se lui pensasse alla presidenza<br />

della Repubblica. Credo che lui non lo desiderasse. Ma ritengo anche<br />

che sarebbe stato pronto a farlo... ed era nell’or<strong>di</strong>ne delle cose. E forse<br />

anche questa è stata una delle cause scatenanti <strong>di</strong> questa vicenda. Insomma<br />

in quei giorni era scocciato, irritato dalle <strong>di</strong>fficoltà... dalle risse tra quelli<br />

che volevano entrare nel governo. E poi convincere la Dc a quell’operazione,<br />

convincere il Pci, era stato davvero duro. Durante la conduzione <strong>di</strong><br />

quella crisi c’era stato uno scambio <strong>di</strong> battute molto pesanti con Andreotti.<br />

Moro prendeva molte me<strong>di</strong>cine? È vero che le teneva in una borsa, tra<br />

quelle che si portava <strong>di</strong>etro? A proposito, quante erano veramente le<br />

borse? I brigatisti <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> averne prese due.<br />

Un po’ lui aveva la tendenza a preoccuparsi per le malattie, un po’<br />

aveva anche dei reali problemi <strong>di</strong> ansia e <strong>di</strong> stress. Sì, aveva una borsa<br />

piena <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cine, ma quante borse si portasse <strong>di</strong>etro, non lo so. Ce ne era<br />

una con i materiali dell’Università, e poi aveva altre carte. Che riguardavano,<br />

per esempio, lo status dei servizi segreti. Faccio notare che quelli<br />

erano i giorni cal<strong>di</strong> dello scandalo Lockeed. Proprio quella mattina”Repubblica”<br />

era uscita con un titolone: Moro Antelope Cobbler. Si cercava <strong>di</strong> buttare<br />

addosso a Moro lo scandalo... Lui non c’entrava niente, ma il punto<br />

era che la vicenda veniva usata per ostacolare il processo politico che<br />

aveva avviato.<br />

Moro era un democristiano, ma anche un uomo nuovo, <strong>di</strong> frontiera...<br />

Per questo, forse, al <strong>di</strong> là della sua appartenenza, era considerato pericoloso.<br />

Mi sono spesso chiesto perché non sono mai stati ritrovati gli<br />

elenchi completi del piano Solo, dello scandalo Sifar del ’64. E mi rispondo<br />

che, probabilmente, la ragione è che non c’erano solo i comunisti, i sindacalisti<br />

e i socialisti, ma perché era pieno <strong>di</strong> democristiani amici <strong>di</strong> Moro<br />

che dovevano essere presi. Lui aveva intuito che la guerra fredda era destinata<br />

a <strong>di</strong>ventare marginale, era stato per anni ministro degli esteri... Dall’interpretazione<br />

<strong>di</strong> quello che accade nel ’68 da noi e nel mondo, lui capisce<br />

che le società civili tendenzialmente <strong>di</strong>ventano autonome dai poteri<br />

politici... E forse capisce troppo.<br />

– 259 –


Suo padre aveva un buon rapporto con Berlinguer?<br />

Sì, stima e rispetto, anche se Moro aveva un <strong>di</strong>segno politico <strong>di</strong>verso.<br />

Berlinguer guardava al confronto tra due gran<strong>di</strong> potenze che si dovevano in<br />

qualche modo impegnare per salvare la democrazia. Moro credeva che si<br />

dovessero creare le con<strong>di</strong>zioni sociali, culturali e politiche della democrazia<br />

dell’alternanza. Lo voglio ripetere: mio padre era l’uomo del superamento<br />

della guerra fredda. E c’era un sacco <strong>di</strong> gente, in Italia e fuori <strong>di</strong><br />

Italia, che lo considerava un pericolo. Questa è una spiegazione che rende<br />

conto <strong>di</strong> tanti possibili coinvolgimenti.<br />

Nel ’78, il terrorismo già era molto <strong>di</strong>ffuso, Moro ne parlava?<br />

Era preoccupato. Anzi, credo sia stato il primo a coniare l’espressione<br />

“partito armato” per definirne la complessità. Per lui significava una forza<br />

politica, con una intenzionalità e con delle strategie. Non solo un agire politico.<br />

Ricordo che rimase molto colpito dall’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Casalegno. Disse<br />

<strong>di</strong> avere la percezione che costituiva il salto <strong>di</strong> qualità del terrorismo.<br />

Torniamo ai 55 giorni, Cossiga era il ministro dell’Interno, guidava le<br />

ricerche <strong>di</strong> suo padre. Venne mai in casa vostra?<br />

Due volte, mi pare. Sicuramente il 17 marzo e poi il giorno in cui fu<br />

scoperta la base brigatista <strong>di</strong> via Gradoli, il 18 aprile. Ne ricavammo la<br />

sensazione che non sapessero dove sbattere la testa. Anzi, sin dall’inizio, si<br />

ebbe l’impressione che fosse in atto una strategia della rappresentazione,<br />

un conflitto simbolico. Che usava le forze dell’or<strong>di</strong>ne per mettere in scena<br />

una lotta simbolica alle Br. E cinque processi non sono riusciti a chiarire<br />

questo aspetto della vicenda.<br />

Il 18 aprile, poco dopo la scoperta della base <strong>di</strong> via Gradoli, arrivò il<br />

falso comunicato <strong>di</strong> Lago della Duchessa che annunciava la morte <strong>di</strong><br />

Moro. Vi sembrò atten<strong>di</strong>bile?<br />

Ci venne detto che si era tardato ad andare in via Gradoli, dopo la segnalazione,<br />

perché la strada non era sulle pagine gialle. Si era andati al<br />

paese Gradoli... soltanto in seguito si apprese che in quella via c’erano<br />

stati, ma che, avendo bussato alla porta e non avendo trovato nessuno, se<br />

ne erano andati. Quanto al falso comunicato, no... non ci credemmo, si<br />

ebbe l’imme<strong>di</strong>ata impressione che non fosse autentico. Non lo interpre-<br />

– 260 –


tammo come una prova generale, come poi si <strong>di</strong>sse, ma genericamente<br />

come un’interferenza, come un tentativo <strong>di</strong> qualcuno <strong>di</strong> forzare la situazione.<br />

La Dc (ma non solo la Dc), sostenne che le lettere che venivano dalla<br />

prigione non potevano essere state scritte da Moro, lei riconosceva suo<br />

padre?<br />

Sì, completamente. E senza alcuna ombra <strong>di</strong> dubbio. Ad<strong>di</strong>rittura dal<br />

punto <strong>di</strong> vista linguistico... e poi la continuità del pensiero, dell’espressione.<br />

Era lui, non c’è <strong>di</strong>scussione.<br />

In quei giorni, lei, voi credeste davvero che Moro poteva tornare libero?<br />

Pensammo fino alla fine che potesse essere salvato, lo abbiamo sempre<br />

creduto, e ci siamo battuti con tutti i mezzi e fino all’ultimo. Certo non era<br />

una speranza fondata su chissà cosa. Ma abbiamo sempre agito in questa<br />

<strong>di</strong>rezione, fino alla fine. Ed eravamo uniti. Capivamo che la situazione era<br />

grave. La lettera del Papa era stata terribile, quel “liberatelo senza con<strong>di</strong>zioni”...<br />

Il 30 aprile le Br al telefono sollecitano l’intervento <strong>di</strong> Zaccagnini.<br />

È vero che lei lo chiamò e fu lei a darsi da fare?<br />

Sì, lo chiamai dalla casa del portiere, perché il nostro telefono si era<br />

bloccato. Gli riferii l’ultimatum dei brigatisti, fu una conversazione piuttosto<br />

tumultuosa... noi avevamo una sensazione <strong>di</strong> impotenza. Altro che canali<br />

privilegiati... Di recente Cossiga ha <strong>di</strong>chiarato alla commissione stragi<br />

che la famiglia Moro, all’epoca, ebbe informazioni che non ha messo a <strong>di</strong>sposizione...<br />

ma quando mai... la storia che noi avevamo un canale <strong>di</strong> ritorno<br />

privilegiato, è una sciocchezza. E in ogni caso <strong>di</strong> noi si sa tutto,<br />

perché eravamo microfonati.<br />

Qualche giorno dopo il rapimento fu <strong>di</strong>ffusa la foto <strong>di</strong> suo padre nella<br />

prigione, in camicia, con la stella a cinque punte alle spalle. Che impressione<br />

le fece?<br />

La guardai a lungo. Mio padre lo rivedevo lì, vestito come Aldo Moro<br />

non si sarebbe mai mostrato in pubblico, la camicia aperta, la canottiera.<br />

Sul suo volto lessi una sottile smorfia <strong>di</strong> ironia, ma soprattutto rabbia.<br />

– 261 –


Forse per la natura della vicenda, un po’ da comme<strong>di</strong>a tragica, tragicissima.<br />

Gli è stato rimproverato <strong>di</strong> non essersi comportato come un eroe<br />

della Resistenza. Ma lo si capiva anche dalle lettere: lui era consapevole<br />

che quella non era la resistenza, che si trattava <strong>di</strong> una faccenda molto meno<br />

seria. E le Br non erano l’esercito <strong>di</strong> Hitler.<br />

In quei giorni in casa vostra venne spesso Tina Anselmi, in seguito andò<br />

a presiedere la commissione P2. Che cosa vi <strong>di</strong>ceva, che cosa vi <strong>di</strong>sse in<br />

seguito?<br />

Lei si convinse molto della correlazione tra i due eventi: il caso Moro e<br />

la Loggia <strong>di</strong> Gelli. Del resto, a parte le <strong>di</strong>etrologie, leggendo certi storici,<br />

come Franco De Felice, viene fuori che la realtà del doppio Stato ha attraversato<br />

decenni <strong>di</strong> storia repubblicana del nostro paese.<br />

Suo padre aveva delle verità democristiane che avrebbe potuto rivelare<br />

ai brigatisti?<br />

Certamente nella prigione Br Moro non <strong>di</strong>ce tutto quello che sa. Dice<br />

quello che gli interessa <strong>di</strong>re. E porta avanti anche una riflessione politica.<br />

Ma <strong>di</strong> Gla<strong>di</strong>o parla per la prima volta e racconta molte altre cose. Perché<br />

non sono state rese pubbliche? I brigatisti hanno <strong>di</strong>ffuso episo<strong>di</strong> ben meno<br />

pregnanti: quelli che pure avrebbero potuto creare imbarazzo alla Dc, li<br />

tennero segreti. Guardando le carte ritrovate nel ’90 in via Montenevoso,<br />

viene spontaneo chiedersi il perché. Con la rivelazione <strong>di</strong> Gla<strong>di</strong>o, le Br<br />

avrebbero <strong>di</strong>strutto l’immagine dello Stato che si voleva saldo e integro.<br />

Sono sicuro che su questo punto i brigatisti mentono ancora oggi.<br />

Lei ha mai avuto interesse a incontrarli?<br />

Per carità... Non ci tengo. Mi sono arrivate varie richieste, negli anni.<br />

L’ultimo è stato Maccari, ma non mi interessa.<br />

Lei continua a chiedere verità. Vent’anni dopo, qual è il pezzo <strong>di</strong> verità<br />

che ancora lei cerca?<br />

La verità è un fenomeno complesso. È a strati. C’è una verità storica e<br />

riguarda il perché Moro. Abbiamo detto che si volle sventare un progetto<br />

politico, ma non basta essere d’accordo in tre o quattro, deve <strong>di</strong>ventare la<br />

verità <strong>di</strong> tutti. Molti <strong>di</strong>cono che Moro era un simbolo. No, era il catalizza-<br />

– 262 –


tore, per non <strong>di</strong>re il demiurgo <strong>di</strong> un’operazione politica. E l’hanno fermato<br />

per questo, altro che simbolo... Poi c’è una verità politica. Che riguarda il<br />

comportamento dei partiti. In particolare della Dc e del Pci, d’accordo<br />

nella decisione <strong>di</strong> darlo morto fin dal primo giorno. Ed è la questione principale,<br />

ancora tutta aperta. Se non si riconosce questo, se non si riflette su<br />

questo, non arriveremo mai veramente alla seconda Repubblica. Non c’è<br />

stata alcuna autocritica all’interno della Dc sui comportamenti <strong>di</strong> allora,<br />

né c’è stata riflessione all’interno del mondo che all’epoca era il Pci.<br />

Ormai i comunisti chiedono scusa <strong>di</strong> tutto, perfino <strong>di</strong> aver starnutito nel<br />

1921, ma <strong>di</strong> questo... non se ne parla. Non hanno ceduto neanche <strong>di</strong> un millimetro.<br />

Lei parla <strong>di</strong> verità politiche. C’è chi sostiene che le Br non fornirono il<br />

bandolo che avrebbe potuto salvare Moro, è così?<br />

Non è vero. Alla fine sarebbe bastata una semplice presa <strong>di</strong> posizione,<br />

un comunicato chiaro. Invece, si è voluto dare per morto Moro dal primo<br />

momento.<br />

Si rende conto che è un’accusa gravissima?<br />

Per interesse, per cinismo, qualcuno per calcolo. O perché si pensò che<br />

non ci fosse più nulla da fare. E anche per paura, per viltà. Credo che, finalmente,<br />

sarebbe giusto <strong>di</strong>stinguere fra quelli che credettero veramente<br />

nella linea della fermezza con <strong>di</strong>sperazione e tormento e fecero appunto<br />

una scelta <strong>di</strong>sperata. E quelli che invece cominciarono da subito a calcolare<br />

quanto avrebbero potuto guadagnare alle prossime elezioni sul cadavere<br />

<strong>di</strong> Moro. In fondo poteva essere un buon affare, togliere <strong>di</strong> mezzo un<br />

personaggio tanto fantasioso... Insomma la verità è ancora lontana. Se non<br />

fosse così, il caso Moro sarebbe chiuso. Invece Moro è un fantasma che<br />

continua a inseguirci. E non ci lascia in pace.<br />

Lei ha fatto queste <strong>di</strong>stinzioni? I capi dell’interpartito della fermezza<br />

erano Berlinguer, Zaccagnini, uomini interessati alla politica <strong>di</strong> Moro.<br />

Dunque?<br />

Chi contava a quei tempi erano Zaccagnini, Donat Cattin, Piccoli, Andreotti.<br />

Quanto al Pci, penso che dal primo minuto, i comunisti abbiano<br />

dato per persa la partita. E abbiano valutato che, se si fossero spostati <strong>di</strong><br />

– 263 –


un solo centimetro, si sarebbe detto che c’era connessione tra loro e l’area<br />

dei combattenti. Vede, io mi sono detto tante volte che la storia del Novecento<br />

è piena <strong>di</strong> omici<strong>di</strong> politici che hanno reso la vittima ancor più ingombrante<br />

che da viva. Basti pensare a Martin Luther King o a Kennedy, due<br />

casi in cui l’immagine rimase ancor più importante... Allora, ecco, forse<br />

c’era bisogno anche <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere l’immagine <strong>di</strong> Moro, evitare che potesse<br />

essere utilizzata come un simbolo positivo: per questo la sua demolizione<br />

attraverso le lettere.<br />

Dal suo elenco <strong>di</strong> misteri e <strong>di</strong> verità lacunose, manca quella giu<strong>di</strong>ziaria...<br />

Cinque processi, due commissioni parlamentari non sono serviti a dare<br />

risposta ad alcune domande fondamentali: perché le Br non pubblicizzarono<br />

tutto il memoriale <strong>di</strong> Moro? E perché lo uccisero proprio mentre si<br />

apriva uno spiraglio all’interno della Dc? Infine, perché agirono proprio<br />

quel giorno che mio padre passò in via Fani? Come facevano a saperlo?<br />

Lui cambiava spesso itinerario... invece loro erano sicuri che quel giorno<br />

Moro sarebbe passato proprio <strong>di</strong> lì. E poi: la metà dei colpi esplosi in via<br />

Fani vengono da un’unica arma che non è mai stata trovata. E restano i misteri<br />

della Honda e del camioncino presenti sul luogo dell’agguato. Fin qui<br />

ciò che manca dal versante dei terroristi. E per quel che riguarda le forze<br />

<strong>di</strong> polizia: perché tante omissioni, tante superficialità?<br />

Lei ha detto che non vuole incontrare i terroristi, ma i leader Dc <strong>di</strong> allora<br />

li incontrerebbe?<br />

In questi giorni ho rifiutato <strong>di</strong> partecipare ad una trasmissione televisiva<br />

su mio padre, insieme con Cossiga, Andreotti e altri. Io non accetto un<br />

piano <strong>di</strong> parità con i responsabili politici del caso Moro. O con i responsabili<br />

delle forze <strong>di</strong> polizia. Piuttosto sarebbe necessario sottolineare la<br />

<strong>di</strong>sparità. Si deve ricordare che qualcuno è morto e qualcun altro no. Che<br />

qualcuno ci ha rimesso, mentre qualcun altro ha costruito carriere. Per<br />

amore della memoria.<br />

E il partito della trattativa? Suo padre ringraziò Craxi...<br />

Craxi si era dato da fare, e dunque... Anche se bisogna <strong>di</strong>re che per<br />

Craxi quello era un passo positivo, comunque fosse andata a finire. Si met-<br />

– 264 –


teva in questione l’egemonia Pci-Dc. Era in ogni caso, una questione che<br />

valeva la pena affrontare.<br />

Cerchi <strong>di</strong> spersonalizzare. Lei non ritiene che, se all’epoca si fosse trattato<br />

con le Br, le istituzioni ne sarebbero state danneggiate?<br />

Faccio un ragionamento generale e brutale. Quando c’è un rapimento,<br />

lo Stato – che ha il dovere <strong>di</strong> tutelare la sicurezza e la vita dei citta<strong>di</strong>ni – ha<br />

due possibilità: o libera il prigioniero o tratta. Se non fa né l’una né l’altra<br />

cosa, è corresponsabile <strong>di</strong> quel che accade dopo. È una valutazione eccessiva?<br />

Può darsi. Resta il fatto che dal sequestro Sossi a Soffiantini, passando<br />

per Dozier e Cirillo, lo Stato o ha liberato il prigioniero o ha trattato.<br />

L’unico caso in cui non ha né trovato il prigioniero, né ha trattato, è<br />

stato Moro. Non farei nessun’altra considerazione. E poi, durante i 55<br />

giorni, nel nostro Paese dove si litiga continuamente, si ebbe la sensazione<br />

che ci fosse una straor<strong>di</strong>naria, ine<strong>di</strong>ta, inspiegabile unità tra le forze politiche.<br />

Le voci <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssenso erano pochissime e ci si sentiva veramente impotenti.<br />

In una delle sue lettere, Moro si era rivolto a Zaccagnini, lo aveva in<strong>di</strong>cato<br />

come il responsabile morale...<br />

Quando Zaccagnini venne eletto segretario della Dc, costrinsero mio<br />

padre ad assumere la carica <strong>di</strong> presidente del partito. Mia madre si oppose,<br />

aveva con Moro un enorme contrasto sul fatto che lui continuasse a fare<br />

politica. Del resto l’ostilità nei confronti <strong>di</strong> papà era evidente... come le minacce.<br />

Dalle lettere, specie dalle ultime, sparisce il Moro paludato. Va giù duro<br />

con Cossiga, Piccoli, Zaccagnini...<br />

Mio padre non era un muro <strong>di</strong> gomma. Era un uomo forte, deciso,<br />

quando doveva esserlo. Ma le lettere devono essere lette anche sotto il genere<br />

letterario della profezia.<br />

Che vuol <strong>di</strong>re? Che lui sa <strong>di</strong> scrivere profezie, <strong>di</strong> scrivere per il domani?<br />

In una parola sa che l’uccideranno?<br />

Lui lotta fino alla fine. Certo, man mano, in successione, <strong>di</strong>minuisce la<br />

capacità <strong>di</strong> resistenza. Arrivano botte. Basti pensare alla lettera del Papa.<br />

– 265 –


A quel “liberatelo senza con<strong>di</strong>zioni”. Il Papa fece la sua parte. Ma quello<br />

che produsse... <strong>di</strong>ciamo che sarebbe stato meglio che non l’avesse prodotto.<br />

Anche se quell’espressione “senza con<strong>di</strong>zioni”, <strong>di</strong>cono che gliel’abbiano<br />

imposta.<br />

Andreotti?<br />

Era il capo del governo, il responsabile politico della gestione <strong>di</strong><br />

questa vicenda. Credo che ci si possa limitare a questo.<br />

Siamo alla fine, il comunicato numero 9 del 5 maggio, annuncia:<br />

“Conclu<strong>di</strong>amo la battaglia, eseguendo...”<br />

No, non pensai che lo stessero uccidendo. Interpretammo quel gerun<strong>di</strong>o<br />

come l’inizio dell’ultima fase. Capimmo che c’era un messaggio, uno spiraglio<br />

per agire. La mattina del 9 maggio ci sarebbe stata la <strong>di</strong>rezione della<br />

Dc e il <strong>di</strong>ssenso <strong>di</strong> Fanfani e dei suoi sarebbe stato rappresentato, manifestato.<br />

In quel momento non abbiamo cognizione <strong>di</strong>retta che le cose stiano<br />

proprio così, ma lo intuiamo. La telefonata delle Br, in cui si chiedeva l’intervento<br />

<strong>di</strong> Zaccagnini, l’avevamo letta in questo senso. Avevamo sentito i<br />

compagni <strong>di</strong> corrente, i colleghi della Dc, avevamo fatto pressioni. Senza<br />

gran<strong>di</strong> risultati. Ma neanche i suoi pochi compagni <strong>di</strong> corrente furono in<br />

grado <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> più. Certo, alcuni si attivarono per chiedere tramite Misasi<br />

la convocazione del Consiglio nazionale. Ma insomma non è che si siano<br />

dati fuoco nelle piazze... E tuttavia qualcosa nella Dc si stava muovendo.<br />

Il 9 maggio, invece lo uccisero.<br />

Io rimasi... non me l’aspettavo. Per due mesi, certo sapevo che sarebbe<br />

potuto succedere in qualsiasi momento. Invece accadde proprio quando le<br />

Br stavano ottenendo qualcosa...<br />

Dove si trovava quel giorno?<br />

A casa. Non ci chiamò nessuno <strong>di</strong> quelli che avrebbero dovuto farlo, né<br />

dal ministero dell’Interno, né da qualsiasi altra parte. Ci telefonarono<br />

amici, forse Gianfranco Quaranta, il capo del nostro Movimento. Ma è pazzesco<br />

che nessuno si volle prendere la responsabilità ufficiale <strong>di</strong> comunicarcelo.<br />

Appena saputo, andammo all’obitorio, mia madre, le mie sorelle ed<br />

io, per l’autopsia. No, non voglio parlare <strong>di</strong> quello che provai.<br />

– 266 –


Moro era l’espressione della grande trage<strong>di</strong>a italiana, lei quel giorno<br />

vide anche questo o solo suo padre?<br />

Non è facile rispondere. Tutto insieme. Mi colpì qualche tempo fa un<br />

signore anziano che mi <strong>di</strong>sse: “Quel 9 maggio per me fu come l’8 settembre”.<br />

Mi ha fatto pensare: interpretava bene l’idea del tutto che crolla,<br />

lo sbandamento.<br />

Alla fine, la famiglia ha chiesto il silenzio, non è andata ai funerali <strong>di</strong><br />

Stato.<br />

Sì, e non solo perché erano le ultime volontà <strong>di</strong> mio padre. Eravamo in<br />

perfetta consonanza con lui.<br />

Vent’anni dopo ha ancora la speranza che si possa arrivare alla verità?<br />

Mi conforta che, pur tra tentativi <strong>di</strong> trovare scorciatoie o versioni <strong>di</strong><br />

comodo, ritorni sempre fuori la voglia <strong>di</strong> raggiungere la verità. È nell’interesse<br />

del Paese liberarsi <strong>di</strong> questo fantasma. Vede, io ho due figli, <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci<br />

e otto anni. Mi hanno chiesto tante volte del nonno. Ho tentato <strong>di</strong> rispondere<br />

e ho spiegato che non è un problema nostro privato, è un problema<br />

della democrazia, un problema insoluto che riguarda il nostro paese.<br />

Bibliografia:<br />

GIORGIO GALLI, “Il partito armato - Gli “anni <strong>di</strong> piombo” in Italia 1968-<br />

1986”. Rizzoli, Milano, 1986.<br />

AA.VV., “La Strage <strong>di</strong> Stato”, Samonà e Savelli, Roma, 1970.<br />

CAMILLA CEDERNA, “Pinelli. Una finestra sulla strage”, Feltrinelli, Milano<br />

1971.<br />

PAOLO PERSICHETTI, “Esilio e Castigo”, Ed. La Città del Sole, 2006.<br />

GIOVANNI FASANELLA - ANTONELLA GRIPPO, “I silenzi degli Innocenti - un<br />

libro che racconta le vittime”, Rizzoli, Milano, 2006.<br />

MARCO MARIA SAMBO, “Contro chi - La primavera spezzata <strong>di</strong> Ezio Tarantelli”,<br />

Castelvecchi, 2005.<br />

MAURIZIO CALVI - ALESSANDRO CECI - ANGELO SESSA - GUILIO VASATURO,<br />

“Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima<br />

dell’eversione dal 1945 al 2003”, Luca Sossella E<strong>di</strong>tore, Roma, 2003.<br />

– 267 –


MARIO CALABRESI, “Spingendo la notte più in là”, Mondadori, Milano,<br />

<strong>2007</strong>.<br />

ALBERTO FRANCESCHINI - GIOVANNI FASANELLA, “Che cosa sono le BR”,<br />

BUR, Milano, 2004.<br />

ALBERTO FRANCESCHINI - PIER VITTORIO BUFFA - FRANCO GIUSTOLISI,<br />

“Mara, Renato e io - Storia dei fondatori delle BR”, Oscar Mondadori,<br />

Milano, 1988.<br />

LORENZO RUGGIERO, “Dossier Brigate Rosse 1969-1975”, Kaos e<strong>di</strong>zioni,<br />

Milano, <strong>2007</strong>.<br />

LORENZO RUGGIERO, “Dossier Brigate Rosse 1976-1978”, Kaos e<strong>di</strong>zioni,<br />

Milano, <strong>2007</strong>.<br />

– 268 –


MARIO CARINI<br />

Proposte <strong>di</strong> scrittura creativa<br />

su Manzoni e “I Promessi Sposi”<br />

1. SPUNTI BIOGRAFICI PER UN LAVORO IN CLASSE<br />

È un appuntamento inelu<strong>di</strong>bile per il docente che insegna nella seconda<br />

classe del biennio delle superiori affrontare, con i propri allievi, la lettura<br />

dei Promessi Sposi: una lettura che talvolta riesce ostica e tormentosa,<br />

nonostante la presenza <strong>di</strong> ottimi commenti scolastici a <strong>di</strong>sposizione del<br />

docente, sia per la lontananza sempre più ampia tra il capolavoro manzoniano<br />

e i gusti e la mentalità dei giovani <strong>di</strong>scenti sia per il sostanziale <strong>di</strong>simpegno<br />

con cui il testo viene affrontato da buona parte degli studenti, i quali<br />

si accostano al Manzoni più per obbligo prescrittivo che per interesse o<br />

almeno curiosità verso quello che resta, a <strong>di</strong>spetto del trascorrere del tempo<br />

e delle generazioni, il più grande romanzo italiano dell’Ottocento. Chi <strong>di</strong><br />

noi docenti non ha colto almeno un suo studente <strong>di</strong>stratto o palesemente<br />

annoiato durante una spiegazione del testo manzoniano?<br />

Questo nostro contributo non vuole affatto avere la pretesa <strong>di</strong> risolvere<br />

il problema, che si presenta invariabilmente a tutti i docenti, <strong>di</strong> come riuscire<br />

a motivare gli studenti a una lettura impegnata e criticamente consapevole<br />

del testo manzoniano. Piuttosto, molto più modestamente, vuole essere<br />

un contributo che nasce dall’esperienza svolta in una classe <strong>di</strong> quinta<br />

ginnasiale (la V A) nel corso dell’anno scolastico <strong>2007</strong>-2008: lo presentiamo<br />

pertanto come una semplice ipotesi <strong>di</strong> lavoro, che nel nostro caso ci è<br />

servita per stimolare la curiosità e accendere la fantasia sull’autore Alessandro<br />

Manzoni e sul suo capolavoro.<br />

Presentando ai nostri studenti il Manzoni siamo, anzitutto, partiti dal<br />

dato biografico, e in particolare dai primi anni della vita del Milanese, che<br />

videro, com’è noto, il <strong>di</strong>vorzio dei suoi genitori, Giulia Beccaria e il conte<br />

don Pietro Manzoni, e l’entrata del fanciullo nel collegio dei Padri Somaschi<br />

a Merate e poi in quello <strong>di</strong> Lugano. Abbiamo evidenziato, dunque,<br />

come all’origine dell’itinerario umano e spirituale dello scrittore vi sia l’evento<br />

traumatico della separazione dei suoi genitori e del temporaneamente<br />

perduto rapporto con la madre Giulia, poi incontrata <strong>di</strong> nuovo e “riscoperta”<br />

– 269 –


nella sua grande capacità <strong>di</strong> affetto materno, a Parigi. Su questi fatti, presentando<br />

la vita del Manzoni, abbiamo cercato <strong>di</strong> attirare l’attenzione degli studenti,<br />

come elementi fondanti <strong>di</strong> una straor<strong>di</strong>naria biografia umana e intellettuale.<br />

È noto quanto il <strong>di</strong>fficile (ma sarebbe meglio <strong>di</strong>re enigmatico) rapporto<br />

col padre abbia con<strong>di</strong>zionato la personalità <strong>di</strong> Alessandro, nel segno dell’assenza<br />

della figura genitoriale. È stato notato, in proposito, dal critico Geno<br />

Pampaloni, il cui commento ai Promessi Sposi ha il pregio <strong>di</strong> dare particolare<br />

risalto ai valori religiosi del romanzo, come Alessandro non parli mai<br />

del padre e nel testo sia pressoché assente la figura paterna, se non in senso<br />

spirituale. 1 È consuetu<strong>di</strong>ne dei biografi del Manzoni rimarcare, tra le cause<br />

che portarono al <strong>di</strong>vorzio dei suoi genitori, la <strong>di</strong>sarmonia dell’età e del carattere<br />

dei due coniugi. All’epoca del matrimonio, celebrato nel 1781,<br />

Giulia, la bella e spregiu<strong>di</strong>cata (per quel tempo) figlia <strong>di</strong> uno dei più gran<strong>di</strong><br />

intellettuali d’Europa, l’illuminista Cesare Beccaria (autore del trattatello<br />

Dei delitti e delle pene, che segna un fondamentale passo in avanti nel cammino<br />

della civiltà giuri<strong>di</strong>ca europea), aveva ventitré anni e ventisei <strong>di</strong> più il<br />

futuro marito, quel conte Pietro Manzoni proveniente da una famiglia <strong>di</strong><br />

piccoli feudatari della Valsassina, boriosi e prepotenti (tanto che pretendevano<br />

l’omaggio da parte dei loro conta<strong>di</strong>ni perfino al cane legato all’ingresso<br />

del palazzo: e questi dovevano levarsi il cappello e pronunciare il rituale<br />

“Riverissi sciur can”). 2 Il matrimonio era stato concluso come un vero<br />

e proprio affare dal padre <strong>di</strong> Giulia, che nei rapporti familiari ci appare<br />

molto meno illuminista e illuminato <strong>di</strong> quanto la fama del suo ingegno lasci<br />

prevedere, e dal conte Pietro, con l’interme<strong>di</strong>azione dell’amico comune<br />

Pietro Verri, altro grande intellettuale del tempo. Dato il <strong>di</strong>ssesto in cui versavano<br />

le finanze <strong>di</strong> Cesare Beccaria, peraltro ben felice <strong>di</strong> accasare quella<br />

figlia così esuberante, alle spese <strong>di</strong> nozze dovette provvedere lo sposo, che<br />

versò anche buona parte della dote <strong>di</strong> lei. Ma la triste con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Giulia<br />

fu quella <strong>di</strong> una sposa senza mezzi, come scrive Marta Boneschi in Quel<br />

che il cuore sapeva (Mondadori, Milano 2004):<br />

1 Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, introduzione, commento critico e note <strong>di</strong> Geno<br />

Pampaloni, De Agostini, Novara 1996, n. ed., p. 784. Tra le figure <strong>di</strong> “padri” elencate dal Pampaloni,<br />

quella del sarto, quella <strong>di</strong> Renzo alla fine del romanzo, quella, o<strong>di</strong>osa, del padre <strong>di</strong> Gertrude,<br />

manca stranamente fra Cristoforo, il padre spirituale <strong>di</strong> Lucia (e, poi, soprattutto nel bellissimo<br />

episo<strong>di</strong>o del perdono a don Rodrigo morente, anche <strong>di</strong> Renzo).<br />

2 “La riverisco, signor cane”.<br />

– 270 –


Le con<strong>di</strong>zioni della sven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Giulia sono pesanti: il padre si impegna a versare<br />

30 mila lire (24 mila per la dote e 6 mila per la scherpa, cioè il corredo), alle<br />

quali si aggiungono 4 mila lire offerte dallo zio Michele de Blasco. Lo sposo accresce<br />

la dote <strong>di</strong> 9 mila lire, si impegna a mantenere la moglie e a pagare le spese<br />

delle nozze. «Per ciò che riguarda apparati nuziali, vestiario e trattamento della<br />

detta dama sposa, la stessa e il signor marchese consigliere <strong>di</strong> lei padre, si rimettono<br />

pienamente alla notoria politezza, e generosità <strong>di</strong> detto signor don Pietro<br />

sposo, e del detto monsignor canonico or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> questa Metropolitana don<br />

Paolo, <strong>di</strong> lui fratello, sicuri che questo sarà corrispondente alla qualità delle famiglie<br />

contraenti.» In pratica Giulia non possiede nulla <strong>di</strong> suo, salvo il corredo, e rimane<br />

in balia degli umori del padre (che non verserà neppure la dote, se non in<br />

parte) e affidata all’ipotetica generosità del marito. Se questi sono i patti – e sono<br />

già abbastanza svantaggiosi per la sposa – la realtà è ancora peggiore. Cesare<br />

versa effettivamente soltanto 6 mila lire delle 30 mila che ha promesso, e per il<br />

resto cede a Manzoni un cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> 23.900 lire da lui vantato nei confronti della<br />

contessa Giuseppa Alipran<strong>di</strong> Calderari. Lo zio Michele da parte sua versa solo la<br />

metà <strong>di</strong> quanto pattuito. 3<br />

Dopo il matrimonio, continua la Boneschi, la coppia va a vivere in una<br />

casa d’affitto sul naviglio <strong>di</strong> San Damiano, «forse non troppo angusta per<br />

una coppia <strong>di</strong> sposi, ma <strong>di</strong> sicuro troppo piccola per la schiera <strong>di</strong> sorelle e<br />

fratelli che accompagnano don Pietro»: 4 le nubili Teresa, Paola (ex monaca),<br />

Benedetta, Carolina e Silvia, e i maschi Antonio e Paolo, entrambi<br />

preti. La convivenza non doveva certamente essere facile tra i Manzoni, bigotti<br />

e conservatori, e la figlia <strong>di</strong> un celebre pensatore illuminista, ancorché<br />

piuttosto spregiu<strong>di</strong>cata per quel tempo e già sentimentalmente legata a Giovanni<br />

Verri, fratello <strong>di</strong> Pietro. Giulia amava la vita <strong>di</strong> società e le serate<br />

mondane, don Pietro era d’indole piuttosto selvatica, data anche l’età avanzata:<br />

i due non erano certo fatti per intendersi e sicuramente, e presto, si<br />

manifestarono i primi screzi. Al riguardo Antonio Stoppani, biografo della<br />

giovinezza del Manzoni, 5 nulla <strong>di</strong>ce dei rapporti tra i genitori del Manzoni,<br />

ma dà numerose informazioni, prevalentemente aneddotiche, sulla vita del<br />

Manzoni in collegio: da ricordare, quale significativo tra i primi eventi traumatici<br />

che turbarono prematuramente la vita del grande Milanese, l’episo<strong>di</strong>o<br />

del ceffone che gli <strong>di</strong>ede un precettore laico per farlo smettere <strong>di</strong><br />

piangere, quando fu allontanato dalla madre all’ingresso del collegio.<br />

3 Marta Boneschi, Quel che il cuore sapeva, Mondadori, Milano 2004, pp. 166-167.<br />

4 Ibid., p. 169.<br />

5 Antonio Stoppani, I primi anni <strong>di</strong> Alessandro Manzoni, E<strong>di</strong>zioni Paoline, Milano 1959²,<br />

p. 36.<br />

– 271 –


Don Pietro Manzoni morì il 18 marzo 1807 senza rivedere il figlio, il<br />

quale neppure volle partecipare ai funerali, come afferma egli stesso nella<br />

lettera del 30 marzo 1807 a Claude Fauriel: secondo il Bezzola, «le ragioni<br />

che il Manzoni dà qui circa la sua assenza suonano male e sanno <strong>di</strong> pretesto».<br />

6<br />

I biografi hanno provato a ricostruire <strong>di</strong>aloghi e scene <strong>di</strong> famiglia in<br />

casa Manzoni, per mettere in rilievo la penosa infelicità <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>fficile legame,<br />

intessuto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmonie, meschinità, incomprensioni, silenzi, e una<br />

fitta sequela <strong>di</strong> guerricciole quoti<strong>di</strong>ane tra Giulia e gli invadenti parenti<br />

<strong>di</strong> lui. Ve<strong>di</strong>amo come Natalia Ginzburg, in La famiglia Manzoni (Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 19834), ha ricostruito questo piccolo inferno domestico:<br />

Don Pietro Manzoni viveva con sette sorelle nubili, una delle quali ex monaca, e<br />

aveva un fratello Monsignore, canonico al Duomo. 7 Giulia fu subito molto infelice.<br />

Litigava col marito e le cognate le si mostravano ostili. La casa sui Navigli<br />

era brutta, piccola, umida e buia. Il marito le sembrava una misera persona, senza<br />

ingegno, senza gran<strong>di</strong> ricchezze e senza prestigio. Era conservatore e clericale e<br />

lei aveva respirato, sia nella casa paterna sia nella famiglia Verri, idee nuove e libere.<br />

S’annoiava perdutamente. Non smise <strong>di</strong> frequentare Giovanni Verri e la<br />

bella casa dei Verri, festosa e sempre piena <strong>di</strong> ospiti. Condusse una vita brillante<br />

suscitando nei cognati un’avversione sempre più palese, e nel marito l’impulso a<br />

spiarla. 8<br />

Il rinvenimento <strong>di</strong>etro la cornice <strong>di</strong> un quadro <strong>di</strong> una carta con un sonetto<br />

amoroso in<strong>di</strong>rizzato a una certa Dafni, opera probabilmente <strong>di</strong> un giovane<br />

amico <strong>di</strong> famiglia, l’architetto Pietro Taglioretti (un futuro cavalier servente<br />

<strong>di</strong> Giulia), avevano persuaso Pietro Manzoni che la poesia fosse in<strong>di</strong>rizzata<br />

alla moglie. E perciò, ingelosito e sospettoso, de<strong>di</strong>cava ogni giorno<br />

un po’ <strong>di</strong> tempo ai suoi “scandagli da sbirro”: passava una bacchetta <strong>di</strong><br />

legno lungo le cornici, nel retro, alla ricerca <strong>di</strong> fogli <strong>di</strong> carta contenenti<br />

poesie e messaggi per la moglie. Maria Luisa Astal<strong>di</strong> ha ricostruito, partendo<br />

da questa maniacale fisima del padre <strong>di</strong> Alessandro, un emblematico<br />

<strong>di</strong>alogo tra i due coniugi, nella sua biografia Manzoni ieri e oggi (Rizzoli,<br />

Milano 1972 2 ). Giulia, rientrando <strong>di</strong> sera da una gita a Seregno, per vedere<br />

uno spettacolo <strong>di</strong> cavalli ammaestrati assieme al fratello <strong>di</strong> una sua amica,<br />

6 In Alessandro Manzoni nelle sue lettere, scelta e commento <strong>di</strong> Guido Bezzola, Federico<br />

Motta E<strong>di</strong>tore, Milano 1985, p. 31.<br />

7 In realtà, le nubili erano le cinque sopra nominate, le sposate Emilia e Rosa, che vivevano<br />

a casa dei mariti. Vi era poi anche un altro fratello prete, Antonio.<br />

8 Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, Einau<strong>di</strong>, Torino 1983 4 , p. 8.<br />

– 272 –


sorprende nel salotto <strong>di</strong> casa il marito Pietro intento alle sue quoti<strong>di</strong>ane<br />

esplorazioni:<br />

Vide (scil. Giulia) che i polpacci maritali si stavano <strong>di</strong>rigendo verso la porta <strong>di</strong><br />

fondo, e chiamò con voce allegra: «Pietro!».<br />

Pietro Manzoni si sentì scoperto ed ebbe un po’ <strong>di</strong> vergogna. Tuttavia spianò il<br />

volto, e atteggiandolo a sorriso si <strong>di</strong>resse verso il triangolo <strong>di</strong> luce in cui s’inquadrava<br />

la figura della moglie colle mani alzate per ravviarsi i capelli.<br />

«Siete tornata? avete passato una bella giornata, m’immagino. Avete la faccia<br />

accesa».<br />

«È l’aria calda», rispose Giulia appoggiando una mano sulla guancia «e voi, che<br />

facevate qui al buio?»<br />

Il marito esitò un istante.<br />

«Volevo raddrizzare i quadri che sono sempre sbilenchi per i colpi <strong>di</strong> spazzola<br />

delle fantesche. M’era parso <strong>di</strong> vedere qualcosa, come una strisciolina che pendesse<br />

da <strong>di</strong>etro una cornice».<br />

Giulia sbottò a ridere dell’ingenuità <strong>di</strong> quel brav’uomo, che non aveva ritegno a<br />

<strong>di</strong>chiarare i meschini compiti in cui s’impegnava.<br />

«E che carta o bigliettino o sonetto avete scoperto stavolta?»<br />

«Nessuno, m’ero ingannato».<br />

«Vi vorrei pregare ancora una volta, Pietro, <strong>di</strong> non abbandonarvi a queste perquisizioni.<br />

Vi rendete ri<strong>di</strong>colo agli occhi dei domestici. V’assicuro che nessuno pone<br />

per me bigliettini segreti <strong>di</strong>etro le cornici. E se si trattasse <strong>di</strong> ammiratori delle vostre<br />

sorelle, dovreste essere il primo a incoraggiare il maneggio. Sarebbe una<br />

gran bella cosa se una o due <strong>di</strong> loro passasse a nozze. Le volete tener qui a muffire?»<br />

«Non è alle nozze che mi oppongo, lo sapete benissimo, ma agli amorazzi<br />

scervellati e <strong>di</strong>sonesti. Se vi va <strong>di</strong> scendere a cena, è l’ora», e aggiunse dopo un<br />

istante «son tutti giù, ed è venuto anche monsignore». 9<br />

Ma non è escluso che al fondo dei <strong>di</strong>fficili rapporti tra Pietro e Giulia<br />

vi fosse una grave anomalia fisica da parte <strong>di</strong> lui, tale che lo avrebbe reso<br />

inabile al matrimonio, secondo la testimonianza <strong>di</strong> Pietro Custo<strong>di</strong>: l’anorchi<strong>di</strong>a.<br />

10<br />

Dopo la nascita del bambino i due coniugi non dormirono più assieme:<br />

col pretesto <strong>di</strong> certi malesseri della moglie, Pietro era stato confinato in<br />

una sua cameretta ove passava le notti. Inoltre Giulia commissionò al pittore<br />

Andrea Appiani un ritratto <strong>di</strong> lei e del piccolo Alessandro e lo inviò a<br />

Giovanni Verri (qualcuno ha letto nell’episo<strong>di</strong>o un in<strong>di</strong>zio che rivelerebbe<br />

9 Maria Luisa Astal<strong>di</strong>, Manzoni ieri e oggi, Rizzoli, Milano 1972², pp. 8-9.<br />

10 La testimonianza del Custo<strong>di</strong> è riportata in Marta Boneschi, Quel che il cuore sapeva,<br />

cit., p. 174.<br />

– 273 –


la reale paternità del piccolo Alessandro, quella che lo scrittore chiama<br />

l’“operosa calunnia”), fatto che non mancò <strong>di</strong> irritare don Pietro.<br />

Sia la biografia manzoniana sia la trama del capolavoro del grande<br />

Milanese, ossia I Promessi Sposi, hanno offerto molteplici spunti per elaborare<br />

ulteriori trame narrative. Mario Pomilio, con il romanzo Il Natale<br />

del 1833 (Rusconi, Milano 1984 9 , I ed. 1983), rappresenta, attraverso una<br />

lettera della madre Giulia, il tormento interiore <strong>di</strong> Alessandro per un Dio<br />

che, <strong>di</strong> fronte alle più atroci sofferenze dell’uomo, non lascia intravedere<br />

neppure il mistero della Sua giustizia. La dolorosa scomparsa dell’amata<br />

moglie Enrichetta, avvenuta appunto nel giorno <strong>di</strong> Natale del 1833, poteva<br />

essere forse il momento <strong>di</strong> fare i conti con Dio, <strong>di</strong> chiamare in giu<strong>di</strong>zio<br />

Colui che col Suo terribile, inappellabile giu<strong>di</strong>zio, confina nel dolore il destino<br />

umano: ma lo scrittore non volle mettere alla prova la sua fede e si<br />

arrestò mentre andava componendo l’ultimo suo inno sacro e, probabilmente,<br />

una riscrittura in forma <strong>di</strong> romanzo del saggio Storia della colonna<br />

infame. Ferruccio Ulivi ha tracciato nel romanzo La straniera (Mondadori,<br />

Milano 1991) il delicato ritratto dell’amatissima moglie <strong>di</strong> Manzoni, Enrichetta<br />

Blondel, forse l’ispiratrice della sua conversione e, in qualche<br />

modo, il modello a cui rimanda Lucia, idealizzato specchio delle virtù<br />

cristiane.<br />

Prove narrative recenti vanno, invece, in <strong>di</strong>rezione della rivalutazione<br />

del personaggio negativo per eccellenza, don Rodrigo. Ferruccio Ulivi, critico<br />

letterario e stu<strong>di</strong>oso del Manzoni, nel romanzo Tempesta <strong>di</strong> marzo (E<strong>di</strong>zioni<br />

Piemme, Casale Monferrato 1993) ha voluto narrare in forma <strong>di</strong>aristica<br />

la passione del signorotto per Lucia: il personaggio, tormentato da una<br />

inappagata ma sincera passione per la conta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Olate, ne esce in certo<br />

senso rivalutato (del resto, nel romanzo, il vero vilain, come hanno notato<br />

alcuni critici, è il conte Attilio, cugino <strong>di</strong> Rodrigo). Ma, prima ancora, Giovanni<br />

Arpino nel racconto Diario <strong>di</strong> Rodrigo (1973) 11 aveva presentato un<br />

don Rodrigo che badava a <strong>di</strong>fendersi, in una <strong>di</strong>sperata confessione postuma,<br />

dalle calunnie ingiustamente appioppategli riferendo ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> un biglietto<br />

segreto con l’invito a incontrare Lucia “alla tal ora, <strong>di</strong>etro la tal<br />

chiesa”, che lei stessa o sua madre Agnese gli avrebbero mandato. Quasi<br />

che la trama immaginata da Manzoni celasse un’altra, inaspettata e ben più<br />

inquietante, vicenda.<br />

11 Giovanni Arpino, Diario <strong>di</strong> Rodrigo, in Raccontami una storia, Tutti i racconti II, Rizzoli,<br />

Milano 1982, pp. 219-222.<br />

– 274 –


2. DIALOGHETTI DI CASA MANZONI<br />

Un lavoro che abbiamo svolto in classe, traendo spunto dalle biografie<br />

manzoniane, è stato aver invitato gli alunni a scrivere un breve <strong>di</strong>alogo tra i<br />

due coniugi, Pietro Manzoni e Giulia Beccaria, collocandolo nel contesto dei<br />

loro <strong>di</strong>fficili rapporti. Ci è sembrato utile far svolgere questo esercizio <strong>di</strong><br />

“scrittura creativa” per varie finalità: anzitutto, rendere consapevoli gli studenti<br />

della <strong>di</strong>fficile situazione familiare all’interno <strong>di</strong> casa Manzoni, una situazione<br />

che il piccolo Alessandro doveva percepire, pur non vivendola con<br />

piena consapevolezza. Sono state <strong>di</strong>stribuite alcune pagine fotocopiate dal<br />

testo <strong>di</strong> Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni (le pp. 8-11). Grazie alla lettura<br />

<strong>di</strong> questo testo, gli studenti hanno potuto rendersi conto dell’ambiente<br />

familiare in cui il piccolo Alessandro venne al mondo, e isolare alcuni punti<br />

fermi del rapporto tra Pietro Manzoni e Giulia Beccaria: la scontrosa misantropia<br />

<strong>di</strong> lui, la sua mentalità arretrata e chiusa, la voglia <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> lei, il<br />

suo perenne desiderio <strong>di</strong> evadere dal chiuso e opprimente ambiente domestico<br />

tuffandosi nella vita <strong>di</strong> società, rappresentata dagli incontri e dalle feste<br />

a casa dei Verri. Quin<strong>di</strong>, assodati questi pochi elementi basilari, gli studenti<br />

hanno provato a elaborare dei “mini<strong>di</strong>aloghi”, ossia dei <strong>di</strong>aloghi costituiti da<br />

poche battute, tra marito e moglie. In questi “<strong>di</strong>aloghetti” gli studenti hanno<br />

provato a ricostruire i <strong>di</strong>ssapori, le <strong>di</strong>sarmonie familiari, prodromi della futura<br />

separazione: sono nate così queste brevi sequenze <strong>di</strong>alogiche, che possono<br />

configurasi anche come nuclei narrativi, potenzialmente sviluppabili –<br />

quelle migliori – in sequenze narrative o <strong>di</strong>alogiche, <strong>di</strong> più ampio respiro.<br />

Come giu<strong>di</strong>care questi piccoli lavori? Intanto bisogna giustificare con<br />

l’età e l’ovvia inesperienza sentimentale l’inevitabile affiorare <strong>di</strong> ingenuità, e<br />

anche banalità. Tuttavia nei migliori tra essi sembra già affiorare un intreccio<br />

in miniatura, una sorta <strong>di</strong> microsceneggiatura, sia pur con scarse in<strong>di</strong>cazioni<br />

spaziotemporali. Il nostro lavoro, è bene precisarlo, non riguarda l’elaborazione<br />

delle sceneggiature, finalità che necessita <strong>di</strong> ulteriori attività e competenze,<br />

12 ciononostante, lo <strong>di</strong>ciamo senza vanteria, alcuni <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>aloghi<br />

potrebbero essere utilizzati per ideare vere e proprie sceneggiature. E poi, se<br />

è vero che la sceneggiatura deve caratterizzare i personaggi, che i <strong>di</strong>aloghi<br />

devono rivelare emozioni e conflitti, va detto che, a nostro giu<strong>di</strong>zio, alcune<br />

12 Riman<strong>di</strong>amo in proposito al testo <strong>di</strong> Massimo Moscati, Manuale <strong>di</strong> sceneggiatura, Mondadori,<br />

Milano 1989, soprattutto alle pp. 107-109, per quanto riguarda la funzione dei <strong>di</strong>aloghi<br />

nella sceneggiatura.<br />

– 275 –


fulminanti battute lasciano pensare che gli studenti abbiano saputo cogliere<br />

in qualche modo il cupo dramma familiare all’interno <strong>di</strong> casa Manzoni. In<br />

alcuni <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>aloghi vi è, dunque, un’indubbiamente efficace caratterizzazione<br />

dei personaggi, quasi agissero sulla scena <strong>di</strong> un dramma, o meglio<br />

nel contesto <strong>di</strong> una situazione familiare già drammaticamente compromessa,<br />

al limite dell’incomunicabilità o certamente <strong>di</strong> una grande, <strong>di</strong>remmo abissale,<br />

incomprensione tra due figure che nel quoti<strong>di</strong>ano scontrarsi rappresentavano,<br />

in fondo, due mon<strong>di</strong> e due culture inconciliabili: il mondo nuovo,<br />

con le sue idee <strong>di</strong> luminoso progresso e <strong>di</strong> libertà, e quello vecchio, l’epoca<br />

dell’autorità assoluta e dell’oscurantismo.<br />

I brevi <strong>di</strong>aloghi tra Giulia e la cognata ex monaca, sorella <strong>di</strong> Pietro, <strong>di</strong><br />

nome Paola, pur nella loro ingenuità, con brevi battute fulminanti <strong>di</strong>pingono<br />

bene rapporti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffidenza, o<strong>di</strong>o e crudeltà. La povera Giulia era osservata<br />

perennemente dalle cognate, che certamente dovevano correre a riferire al<br />

fratello monsignore e al marito <strong>di</strong> lei. Le uscite <strong>di</strong> Giulia, il suo desiderio,<br />

inevitabilmente frustrato dall’atteggiamento misantropico del marito, <strong>di</strong><br />

partecipare alla vita sociale, il suo temperamento per natura brioso e vivace,<br />

non dovevano riuscire gra<strong>di</strong>ti ai parenti del conte Pietro, in particolare alla<br />

sorella Paola, ex monaca, forse rosa da un complesso <strong>di</strong> gelosia possessiva<br />

verso il fratello. Il che è quanto gli studenti hanno tentato <strong>di</strong> rappresentare<br />

dal loro punto <strong>di</strong> vista.<br />

Gli obiettivi <strong>di</strong>dattici che il docente può proporsi attraverso questo tipo<br />

<strong>di</strong> esercizio, ossia la costruzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>aloghi attinti a momenti biografici <strong>di</strong><br />

un personaggio famoso della letteratura, in questo caso Alessandro Manzoni,<br />

possono essere i seguenti:<br />

• interessare gli studenti agli aspetti del vissuto <strong>di</strong> un autore letterario,<br />

quali momenti importanti del suo itinerario <strong>di</strong> formazione umana e<br />

artistica;<br />

• abituare gli studenti a caratterizzare i personaggi <strong>di</strong>aloganti sotto il<br />

profilo psicologico, rendendone evidenti gli stati d’animo, le emozioni,<br />

i sentimenti, i conflitti interiori;<br />

• acquisire il senso del ritmo del <strong>di</strong>alogo, nelle parti parlate e nelle<br />

pause (non è necessario che il personaggio <strong>di</strong>ca tutto, molto può essere<br />

fatto intuire al lettore);<br />

• attraverso l’elaborazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>aloghi brevi e concentrati costruire<br />

degli abbozzi <strong>di</strong> sceneggiature (ovviamente, senza l’in<strong>di</strong>cazione<br />

delle inquadrature, campi e piani <strong>di</strong> ripresa, che potrebbero essere<br />

aggiunti eventualmente in una fase successiva);<br />

– 276 –


• provare a immaginare, attraverso la costruzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>aloghi, delle<br />

vere e proprie storie, da sviluppare come testi narrativi o soggetti per<br />

il cinema.<br />

2.1. Dialoghi tra Pietro Manzoni e Giulia Beccaria<br />

Pietro M.: Giulia, ti sembra questa l’ora <strong>di</strong> tornare? Dove sei stata per tutto<br />

questo tempo?<br />

Giulia: Pietro, sempre la stessa storia... Sono stata a sbrigare delle faccende e...<br />

sono andata a trovare Maria... Sai, quell’amica che purtroppo è ammalata, povera<br />

donna!<br />

Pietro M.: Finiscila! Non fai altro che raccontarmi sciocchezze! Quali faccende<br />

avresti dovuto sbrigare, scusa? Non so più cosa fare, con te... Esci sempre...<br />

A casa non ci sei mai...<br />

Giulia: Pietro, lasciami stare...<br />

Pietro M.: No, Giulia! Non ti lascio stare! Sei mia moglie, <strong>di</strong>amine! Dovresti<br />

avere più rispetto nei miei confronti...<br />

Giulia: Non ce la faccio più... In questa casa non fate altro che impormi ciò che<br />

devo fare, cosa devo pensare o <strong>di</strong>re... Sai cosa ti <strong>di</strong>co? Esco, non ho intenzione<br />

<strong>di</strong> continuare questa conversazione...<br />

(Giorgia Baglio)<br />

* * *<br />

Pietro e Giulia si trovavano nella loro <strong>di</strong>mora sui Navigli e questo era l’ennesimo<br />

litigio fra i due. «Il nostro rapporto non può andare avanti così, Pietro! Siamo<br />

completamente <strong>di</strong>versi! Io amo vivere, <strong>di</strong>vertirmi, frequentare gente, mentre voi?<br />

Siete solo un misero uomo senza prestigio, chiuso in voi stesso, che non fa altro<br />

che criticare il mio modo <strong>di</strong> essere! Non è possibile vivere in una famiglia<br />

animata tutta contro <strong>di</strong> me. Per non parlare poi delle vostre sorelle! Non fanno<br />

altro che essere ostili nei miei confronti».<br />

Pietro allora si alzò <strong>di</strong> scatto dalla poltrona e rispose puntandole il <strong>di</strong>to contro:<br />

«Voi fate solo la vittima! Fate sempre come vi pare in questa casa! Credete che<br />

non sappia della storia tra voi e il vostro amante, Giovanni?!» «Almeno lui sì che<br />

è un gentiluomo! Elegante, sicuro <strong>di</strong> sé, intelligente, pieno <strong>di</strong> vita. Quando sono<br />

con lui mi sento un’altra persona. Libera e felice. E non giu<strong>di</strong>cata!! Per questo lo<br />

amo». Sentendo queste ultime parole Pietro la guardò attonito e, a<strong>di</strong>rato, se ne<br />

andò sbattendo la porta.<br />

(Marta Cappelloni)<br />

* * *<br />

Una sera a casa Manzoni, Giulia Beccaria, intenta a uscire, viene fermata dal<br />

marito, il conte Pietro.<br />

Pietro: Giulia, dove vai? È tar<strong>di</strong>, non ve<strong>di</strong>?<br />

– 277 –


Giulia: Lo so, ma devo andare a casa della contessa Enrica <strong>di</strong> Merate. Pietro,<br />

davvero non ricor<strong>di</strong>? Te l’avevo accennato ieri sera a cena – e guardando l’orologio<br />

– ora scusami, caro, ma il tempo passa ed ho fretta <strong>di</strong> andare.<br />

Giulia prendendo il soprabito, si avvicina alla porta, dove viene bloccata dal<br />

marito.<br />

Pietro: Giulia, cosa penserà la gente nel vederti uscire da sola e così tar<strong>di</strong>?<br />

Giulia ignorando il marito apre la porta ed esce senza degnare <strong>di</strong> uno sguardo<br />

Pietro, <strong>di</strong>cendo: Pietro, non cercare <strong>di</strong> ostacolarmi, sono giovane e con te mi<br />

sento in prigione, lasciami andare, fammi vivere la mia vita.<br />

E con parole fredde sale su una carrozza e si allontana.<br />

(Rebecca Casini)<br />

* * *<br />

Pietro Manzoni: Giulia, anche questa sera vi state vestendo elegante, per quale<br />

ragione?<br />

Giulia Beccaria: Io... veramente stavo per <strong>di</strong>rvelo: ho intenzione <strong>di</strong> andare ad un<br />

ricevimento, la carrozza dovrebbe arrivare a momenti.<br />

Pietro M.: Ma, moglie cara, uscite ogni giorno! Non c’è volta che vi si riesca a<br />

intravedere fra queste mura... Perché non rimanete qui a casa e preparate una<br />

buona cenetta come ogni moglie dovrebbe fare, ogni tanto? Vi sembra un comportamento<br />

responsabile il vostro? È questo forse il modo <strong>di</strong> amare lo sposo? Se<br />

<strong>di</strong> me non vi importa nulla, pensate almeno a nostro figlio, a vostro figlio! Se<br />

solo ogni tanto vi degnaste <strong>di</strong> essere presente! Voi avete dei doveri morali in<br />

quanto moglie e madre, non potete vivere solo <strong>di</strong> piaceri e frivolezze, e non mi<br />

sembra questa la prima volta che ve lo faccio presente... E a che ora tornerete,<br />

poi? La gente chiacchiera, Giulia, e io stesso ho il sospetto che voi vi incontriate<br />

con qualcuno... o forse mi sbaglio?!<br />

Giulia B.: Pietro, scusatemi, ma ora non ho tempo per le vostre scenate e i vostri<br />

rimproveri, vostri e <strong>di</strong> vostra sorella; questa casa mi opprime ogni giorno <strong>di</strong> più<br />

e le sue pareti sembrano volermi intrappolare. Non starò dunque a sentire voi<br />

che mi accusate e mi incolpate <strong>di</strong> non essere una brava moglie, perché se questo<br />

matrimonio sta cadendo in pezzi, la colpa è anche vostra. Ma ecco che arriva la<br />

mia carrozza, buonasera Pietro, non sentitevi in dovere <strong>di</strong> aspettarmi alzato, arrivederci.<br />

(Clau<strong>di</strong>a Castellani)<br />

* * *<br />

Giulia: Sono stata invitata ad un ricevimento in casa del conte Verri.<br />

Pietro: Sono stanco, voi pensate sempre a sod<strong>di</strong>sfare i vostri futili piaceri.<br />

Giulia: E voi siete un uomo misero, senza gran<strong>di</strong> ricchezze e senza prestigio.<br />

Ogni giorno mi chiedo perché mai vi ho sposato, cosa potevo aver visto nel<br />

vostro animo.<br />

Pietro: Nel mio animo c’è qualcosa che voi non conoscete, la <strong>di</strong>gnità e l’onore.<br />

Il conte Verri è un uomo <strong>di</strong> malaffare e io non voglio compromettermi con quella<br />

gente.<br />

– 278 –


Giulia: Via, per amor <strong>di</strong> Dio, smettetela, ormai ho promesso. Andrò anche senza<br />

il vostro consenso.<br />

Pietro: E va bene, se è così che la pensate andate, ma non tornate più in questa<br />

casa.<br />

Giulia: Il nostro amore è ormai finito, passerò il resto della mia vita accanto ad<br />

un uomo che sod<strong>di</strong>sferà i miei desideri.<br />

Pietro: Ebbene andate, chiederò al mio avvocato <strong>di</strong> occuparsi del <strong>di</strong>vorzio.<br />

(Ludovica Celletti)<br />

* * *<br />

Pietro ferma Giulia intenta ad uscire <strong>di</strong> casa, durante una serata d’autunno.<br />

Pietro: Giulia, dove vai? Stai uscendo? Fuori fa freddo questa sera...<br />

Giulia: Sì, tranquillo. Sto andando a casa della contessa Isaura <strong>di</strong> Merate, mia<br />

carissima amica. Non ricor<strong>di</strong>? Ti avevo detto che stasera mi sarei recata a casa sua...<br />

Pietro: Già... Cosa penserà la gente nel vederti uscire tutta sola al calar del sole?<br />

Giulia, sono stanco <strong>di</strong> questo tuo atteggiamento... Parliamone con franchezza...<br />

Chi è lui?<br />

Giulia: Lui? Pietro, per favore, basta! Non ascoltare ciò che <strong>di</strong>ce la gente... E<br />

ricorda che nonostante mi sia sposata ed abbia un figlio, io resto pur sempre una<br />

donna! Ho <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> comportarmi come tale! Ho <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> vivere la mia età e <strong>di</strong><br />

godermi la mia vita!<br />

Pietro: Sempre con questa storia! Giulia, pensa a comportarti come una moglie e<br />

come una madre! Non ti privo <strong>di</strong> nulla, ti rispetto... Dimmi, dove sbaglio? Non<br />

capisco questo tuo smoderato desiderio <strong>di</strong> uscire! Stai a casa!<br />

Giulia: Pietro, non voglio mancarti <strong>di</strong> rispetto... E tu lo sai bene... Tornerò presto,<br />

te lo prometto! La mia amica mi sta aspettando, ora devo andare!<br />

(Sara Composto)<br />

* * *<br />

I due coniugi sono seduti ai due lati opposti <strong>di</strong> una lunga tavola da pranzo e<br />

mangiano silenziosamente, serviti dai servitori. Improvvisamente Pietro parla.<br />

Pietro: Tra due settimane vorrei recarmi alla villa <strong>di</strong> Caleotto per controllarne lo<br />

stato. Ho sentito <strong>di</strong> alcune voci che raccontano <strong>di</strong> strani in<strong>di</strong>vidui che si sono<br />

aggirati lì nei <strong>di</strong>ntorni. Dovremo organizzare dunque per la nostra partenza.<br />

Giulia: No, caro marito, ho il <strong>di</strong>spiacere <strong>di</strong> <strong>di</strong>rvi che non potrò aiutarvi. Si dà il<br />

caso che esattamente tra due settimane sia organizzata una splen<strong>di</strong>da festa a casa<br />

Verri.<br />

Pietro: Ma suvvia, non credo che sia opportuno recarvisi. Non vi sembra <strong>di</strong><br />

trascurare sempre più questa famiglia? Una breve gita potrebbe farci star meglio,<br />

e anche il piccolo Alessandro...<br />

Giulia: Mi sono stufata <strong>di</strong> sentirvi sempre tirar fuori questa scusa della famiglia!<br />

La realtà è che voi volete tenermi prigioniera <strong>di</strong> una vita che non ho mai voluto!<br />

Pietro: Non capisco perché voi amiate tanto uscire per frequentare certi ambienti<br />

affollati. Il vostro compito sarebbe quello <strong>di</strong> stare accanto a vostro marito, ma<br />

ahimé, non ne avete la minima intenzione!<br />

– 279 –


Giulia: Ma come fate ad essere così ottuso! Solo perché la vostra educazione è<br />

stata tremendamente bigotta ed insufficiente per apprezzare le gioie della vita,<br />

non vuol <strong>di</strong>re che io debba far parte <strong>di</strong> questa vostra visione delle cose! Io non mi<br />

sottometterò agli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un marito che non ho scelto e che non amo.<br />

Pietro: Bisogna che la prossima volta voi mi rispon<strong>di</strong>ate con un tono più adeguato.<br />

E per ora vorrei smettere <strong>di</strong> rovinarmi la serata.<br />

Giulia: Non ci sarà neanche una prossima volta. Mi rifiuto <strong>di</strong> parlarvi ancora. Ed<br />

ora con il vostro permesso, mi allontano.<br />

Giulia esce dalla sala da pranzo sbattendo i tacchi.<br />

(Giulia D’Alia)<br />

* * *<br />

Giulia: Oggi alla casa dei Verri c’è un ballo dove parteciperanno tutte le famiglie<br />

più nobili. Vogliamo andare? Mi piacerebbe molto.<br />

Pietro: Grazie, ma preferisco davvero rimanere qui. Sono molto stanco e gra<strong>di</strong>rei<br />

che tu mi facessi compagnia.<br />

Giulia: Veramente, come ti ho detto prima, ci tengo moltissimo ad andare. Visto<br />

che tu vuoi rimanere a casa, andrò io. Ti <strong>di</strong>spiace?<br />

Pietro: Te l’ho detto, preferirei rimanessi qui in casa. Non mi piace la vita che<br />

conduci: sei sempre in giro, vuoi andare sempre a queste feste. Non cre<strong>di</strong> che<br />

dovresti rimanere qui con tuo marito?<br />

Giulia: Lo sappiamo benissimo tutti e due che questo matrimonio è una farsa,<br />

non posso continuare così, il mio unico sfogo per non pensare a ciò che mi ha<br />

costretto a fare mio padre è uscire. Non mi piace l’aria che si respira in questa<br />

casa e le persone che la frequentano, al contrario adoro uscire e <strong>di</strong>vertirmi per<br />

scappare dalla monotonia <strong>di</strong> questa vita e credo che dovresti farlo anche tu.<br />

Detto questo Giulia sparì nella sua stanza mentre Pietro era rimasto impassibile<br />

a quelle parole così amare. Dopo un’oretta Giulia uscì da quella stanza con i<br />

capelli legati e raccolti con alcune mollettine ed un vestito molto elegante.<br />

Giulia: Allora, io andrei. Sei proprio sicuro <strong>di</strong> non voler venire?<br />

Pietro non rispose.<br />

Giulia: Rientrerò tar<strong>di</strong>, non mi aspettare.<br />

(Francesca De Luca)<br />

* * *<br />

«Sei davvero un misero uomo». Pietro Manzoni a quella affermazione alzò lo<br />

sguardo dal suo libro e guardò <strong>di</strong> sottecchi la giovane moglie. «Come, scusa?»,<br />

chiese con aria scettica. «Sei davvero un misero uomo», ripeté Giulia, stavolta<br />

con maggiore decisione. Pietro ignorò la moglie e tornò al suo libro. «Non hai ingegno,<br />

non hai ideali...», Giulia continuava, mossa dal suo cuore carico <strong>di</strong> rabbia<br />

verso quella famiglia che le aveva violentemente tarpato le ali. «Non partecipi<br />

mai alle feste della società. Non apri mai la tua mente verso la cultura o verso<br />

pensieri aperti e liberi!» Pietro non degnava la moglie <strong>di</strong> uno sguardo, apparentemente<br />

catturato dalla lettura del suo libro. «Non apprezzi le nuove idee, il progre<strong>di</strong>re<br />

della nostra società... Rimani chiuso nel tuo ormai vecchio mondo!» Il ma-<br />

– 280 –


ito voltò una pagina. «Sei ancora una bambina. Cresci», <strong>di</strong>sse gelido l’uomo,<br />

sistemandosi gli occhiali a mezzaluna. A quelle parole Giulia si fece rigida e il<br />

suo sguardo <strong>di</strong>venne pieno d’o<strong>di</strong>o. «Sei tu che devi crescere», <strong>di</strong>sse aspramente<br />

la fanciulla, <strong>di</strong>rigendosi con passo agitato verso la camera da letto, per poi sbattere<br />

rumorosamente la porta.<br />

(Giulia Di Stefano)<br />

* * *<br />

Pietro: Ciao, Giulia! Da dove torni? Cos’hai? Perché quello sguardo stravolto<br />

domina il tuo viso?<br />

Giulia: Pietro, devo parlarti! Sono stata dal me<strong>di</strong>co poiché non sono stata bene e...<br />

Pietro: E...?<br />

Giulia: E ho scoperto <strong>di</strong> essere in attesa <strong>di</strong> un bambino, tuo figlio!<br />

Pietro: Ah! Non era quello che mi aspettavo e sinceramente nemmeno quello che<br />

desideravo! Il nostro non è un matrimonio sereno, ma travagliato da forti incomprensioni...<br />

e un figlio non ci voleva proprio!<br />

Giulia: Hai proprio ragione, sai?! Male<strong>di</strong>co mio padre, che insieme a quell’altro<br />

sciagurato <strong>di</strong> Verri, mi hanno portata qui a marcire, tormentata dalle stupide<br />

chiacchiere delle tue sorelle e dai tuoi strani mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare. Ma io qua non ci sto<br />

più, me ne vado via!<br />

Esce così sbattendo violentemente la porta, Pietro non la ferma.<br />

(Salvatore Gallo)<br />

* * *<br />

Don Pietro: Giulia, dove vai?<br />

Giulia: Sto uscendo.<br />

Don Pietro: Ma dove vai e con chi?<br />

Giulia: Sono stata invitata ad una festa a casa Verri e ci vado in carrozza.<br />

Don Pietro: Esci tutte le sere, perché oggi non resti a casa?<br />

Giulia: Te l’ho già detto che vado ad una festa. Ho da fare, E ora tolgo il <strong>di</strong>sturbo,<br />

sennò faccio tar<strong>di</strong>.<br />

Don Pietro: Ma torni presto, vero? Ieri sei tornata <strong>di</strong> mattina.<br />

Giulia: Perché la festa è durata tanto. Comunque la cosa non ti riguarda affatto.<br />

Don Pietro: Sì che mi riguarda! Sono tuo marito! Una moglie deve stare in casa<br />

con il suo coniuge, non uscire a <strong>di</strong>vertirsi.<br />

Giulia: Scusami, ma adesso devo proprio andare.<br />

Don Pietro: Con chi ci vai, con Giovanni Verri?<br />

Giulia: Ci vado da sola. Ora ti saluto altrimenti la carrozza se ne va.<br />

(Caterina Jekot)<br />

* * *<br />

È sera e i coniugi Manzoni si trovano davanti ad uno scoppiettante camino.<br />

Pietro Manzoni: Giulia, perché siete così triste quando state in mia compagnia?<br />

Avete sempre questo volto infelice e sembrate quasi assente.<br />

Giulia: Beh, questa casa per me è come una prigione, mi annoio continuamente.<br />

– 281 –


Pietro: Come fate a <strong>di</strong>re questo? Ogni giorno e ad ogni ora della sera uscite, fate<br />

tar<strong>di</strong> e mi mentite su cosa abbiate fatto. Perché non volete stare con me?<br />

Giulia: Vi premetto, mio caro Pietro, che è in arrivo un bambino, ma comunque<br />

ora non ho voglia <strong>di</strong> ascoltare le vostre pre<strong>di</strong>che, è per questo che non voglio<br />

stare con voi, siete noioso e polemico. Comunque ora me ne vado, arrivederci.<br />

Pietro: Ma... Giulia... perché fate così?<br />

Giulia: Vi ho già detto che non ho voglia <strong>di</strong> parlare!<br />

E così sbatte la porta <strong>di</strong> casa uscendo <strong>di</strong> fretta, mentre Pietro si accende la sua<br />

pipa.<br />

(Elisa Iezzi)<br />

* * *<br />

Giulia era davanti alla porta <strong>di</strong> casa, si stava guardando per l’ultima volta allo specchio<br />

prima <strong>di</strong> uscire quando Pietro, vedendola, si fermò a parlarle. «Giulia, cosa<br />

state facendo?» «Esco», rispose lei gelida. «E dove andate?» Lei, irritata: «Vado<br />

dalla contessa Bianchi, mi ha invitata a cena». E ironica aggiunse: «Adesso posso<br />

andare?» «No. Quella donna ha una pessima reputazione. Non voglio che an<strong>di</strong>ate!»<br />

«No?! Chi siete voi per impe<strong>di</strong>rmelo?! Io non sono vostra né <strong>di</strong> nessun altro. Sono<br />

libera e lo sarò sempre!» Stava per uscire quando lui l’afferrò per il braccio: «Vi ho<br />

detto che non potete uscire.» «E io ho detto che non voglio obbe<strong>di</strong>rvi! Sono stufa <strong>di</strong><br />

questa casa, <strong>di</strong> voi e dei vostri parenti! Siete più pesanti dell’aria viziata che si respira<br />

qui! E ora lasciatemi!» Lui invece <strong>di</strong> lasciarla strinse ancora <strong>di</strong> più la presa facendole<br />

male. Allora lei urlò: «Lasciatemi!», e con uno strattone riuscì a liberarsi e<br />

a uscire. Lui rimase un secondo a guardare prima la porta e poi la propria mano,<br />

dopo si girò e andò nella sala da pranzo dai suoi parenti.<br />

(Maria Vittoria Manzoni)<br />

* * *<br />

Giulia scese le scale gioiosa e raggiante come non mai, indossava uno splen<strong>di</strong>do<br />

abito color lavanda e aveva i capelli accuratamente raccolti in uno chignon. Si<br />

fermò solo per un attimo a rimirare la sua immagine nella specchiera dell’ingresso,<br />

prima <strong>di</strong> indossare il soprabito, quando Pietro la chiamò: «Giulia?!»<br />

«Sì!», rispose lei. «Dove ti stai recando?» «Sono stata invitata per cena dalla<br />

contessa De Gregorio», <strong>di</strong>sse Giulia mentendo: in realtà si sarebbe recata a casa<br />

<strong>di</strong> Verri. Pietro si oppose: «Non voglio che tu ci vada, lo sai, le sue cene sono fin<br />

troppo fastose e festose per i miei gusti». «Non c’è da preoccuparsi», lo tranquillizzò<br />

Giulia, «questa sera saremo solo io e lei, una tranquilla cena tra vecchie<br />

amiche. La contessa mi ha invitata per tenerle compagnia poiché suo marito si è<br />

recato fuori città per affari». Ma Pietro non volle saperne, obbligò Giulia a non<br />

andare e a trascorrere la serata in casa.<br />

(Giulia Nonni)<br />

* * *<br />

Era sera e Giulia era appena tornata a casa da una festa <strong>di</strong> una sua amica.<br />

Appena tornata in casa incrociò lo sguardo del marito.<br />

– 282 –


Giulia: Ciao, Pietro.<br />

Pietro: Dove sei stata?<br />

Giulia: Da Maria, ha fatto una festa.<br />

Pietro: C’era anche Verri, giusto?<br />

Giulia abbassò lo sguardo e quella fu una risposta più che sod<strong>di</strong>sfacente per<br />

Pietro. Giulia si avviò alle scale, ma presa da un attimo <strong>di</strong> rabbia urlò.<br />

Giulia: Cosa vuoi? Io sto con chi mi pare, sei una persona orribile, sei freddo, totalmente<br />

incapace <strong>di</strong> trasmettere amore, sei veramente insopportabile. Già, non ti<br />

sopporto più!<br />

Pietro: Rassegnati, sono tuo marito!! Passeremo la vita insieme!<br />

Giulia a sentire quelle parole aveva voglia <strong>di</strong> piangere, urlare, scappare. L’idea <strong>di</strong><br />

passare la vita (come aveva detto lui) insieme a quell’insopportabile uomo le<br />

sembrò insostenibile. Scoppiò a piangere e corse verso la porta. Pietro la fermò<br />

afferrandola per un braccio.<br />

Pietro: Dove vai?<br />

Giulia: Via <strong>di</strong> qui.<br />

Pietro: Non puoi.<br />

Giulia: Scommettiamo.<br />

Pietro le lasciò il braccio ma continuò a fissarla.<br />

Pietro: Rientra in casa.<br />

Giulia non sapeva che fare, rimase qualche secondo immobile, poi rientrò in<br />

casa.<br />

(Benedetta Prignano)<br />

* * *<br />

Don Pietro: Giulia, dove pensi <strong>di</strong> andare a quest’ora <strong>di</strong> notte?<br />

Giulia: La cosa non ti riguarda, smettila <strong>di</strong> ficcare il naso nella mia vita privata!<br />

Don Pietro: Come osi parlarmi in questo modo? Io sono sempre tuo marito, che<br />

ti piaccia o no!<br />

Giulia: Sai benissimo che questa situazione non mi piace affatto, sono stata costretta<br />

a sposarti! Lo capisci? Ora lasciami andare, che mi stanno aspettando.<br />

Don Pietro: Di nuovo a casa dei Verri?<br />

Giulia: E se anche fosse? Sappi che io ho il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> evadere da questa vita<br />

noiosa che con<strong>di</strong>vido con te, le feste dei Verri mi risollevano il morale dopo una<br />

giornata chiusa qui dentro!<br />

Don Pietro: Dato che <strong>di</strong>sprezzi tanto la vita che hai scelto, a questo punto puoi<br />

anche andartene.<br />

Giulia: Ti ripeto che non è questa la vita che ho sempre desiderato, ma mi è stata<br />

imposta!! E se tanto lo vuoi sapere ho deciso <strong>di</strong> lasciarti!<br />

Don Pietro: Benissimo, fai pure, tanto <strong>di</strong> donne come te se ne trovano a bizzeffe!<br />

Giulia: Ad<strong>di</strong>o, Pietro, sappi che non ti ho mai amato (sbatte la porta alle sue<br />

spalle e abbandona per sempre casa Manzoni).<br />

(Martina Proietti)<br />

* * *<br />

– 283 –


Pietro è seduto nella sua stanza, quando arriva Giulia.<br />

Giulia: Ho da darvi una notizia.<br />

Pietro: Dimmi pure.<br />

Giulia: Avremo un figlio.<br />

Pietro: Oh, che notizia meravigliosa, non trovi?<br />

Giulia: Mah, per me sarà solo un peso.<br />

Pietro: Ma Giulia, cosa vorresti <strong>di</strong>re con questo?<br />

Giulia: Le mie parole sono state molto chiare, mi pare (risponde acidamente).<br />

Pietro: Ma avere un figlio è una cosa splen<strong>di</strong>da!In che modo potrebbe essere un peso?<br />

Giulia: Dovrò restare a casa per accu<strong>di</strong>rlo. Io non ho voglia <strong>di</strong> starmene qui tutto<br />

il giorno.<br />

Pietro: Non mi pare che dover rimanere qualche volta a casa sia una trage<strong>di</strong>a così<br />

grande! È tuo figlio dopotutto. E poi passi più tempo fuori!<br />

Giulia: La pensiamo <strong>di</strong>versamente, comunque adesso esco. Non so quando sarò<br />

<strong>di</strong> ritorno (<strong>di</strong>cendo ciò esce velocemente).<br />

Pietro: Come stavo <strong>di</strong>cendo (commenta tra sé).<br />

(Benedetta Straini)<br />

2.2. Dialoghi tra Giulia Beccaria e la cognata ex monaca 13<br />

Lucia: Buon giorno, Giulia... state bene?<br />

Giulia: Buongiorno a lei... certo, benissimo.<br />

Lucia: Credevo che qualcosa non andasse... dal litigio che avete avuto ieri sera<br />

con vostro marito sono certa che abbiate bisogno <strong>di</strong> parlare con qualcuno...<br />

dunque, se volete...<br />

Giulia: La ringrazio per il suo interesse, ma non si deve preoccupare...<br />

Lucia: Come volete... Pietro però è stato molto in pensiero... non riuscirà neppure<br />

a star seduto!<br />

Giulia: Ho semplicemente avuto un imprevisto e sono dovuta uscire per questo<br />

motivo... niente <strong>di</strong> più.<br />

Lucia: Ma quale imprevisto! Io credo proprio che voi nascon<strong>di</strong>ate qualcosa... la gente<br />

parla <strong>di</strong> voi, mia cara Giulia, e le voci che girano non piaceranno a vostro marito...<br />

Giulia: Ma come vi permettete! Non credo che questo vi riguar<strong>di</strong>... non siete<br />

forse voi che ogni giorno intralciate me e mio marito?<br />

Lucia: Giulia, io lo faccio per voi, cosa credete...<br />

Giulia: Sono in gabbia! Cosa dovrei fare? Restare chiusa in questa casa fino alla<br />

fine dei miei giorni?<br />

Lucia: Voi non avete rispetto né per vostro marito né per me né per questa casa!<br />

Bene, non mi lasciate altra scelta... parlerò con Pietro!<br />

(Giorgia Baglio)<br />

* * *<br />

13 La cognata <strong>di</strong> Giulia Beccaria e sorella <strong>di</strong> Pietro Manzoni, il cui vero nome era Paola, è<br />

stata variamente ridenominata dagli alunni.<br />

– 284 –


Nel frattempo la sorella <strong>di</strong> Pietro, Concetta, scese piano piano le scale interne per<br />

sentire cosa <strong>di</strong>cevano: vide il fratello uscire <strong>di</strong> casa brontolando qualcosa fra sé,<br />

mentre Giulia era rimasta nella stanza. Subito l’ex monaca vi fece irruzione e<br />

parlando con tono aspro e duro, <strong>di</strong>sse a Giulia: «Come vi permettete <strong>di</strong> parlare in<br />

quel modo a mio fratello! Vi ha sempre voluta bene trattandovi come una regina.<br />

Non si merita tutto questo! Pensate solo a voi stessa non facendo altro che i<br />

vostri como<strong>di</strong>! Uscite tutte le volte senza <strong>di</strong>re dove andate. La gente mormora...<br />

siete una vergogna!»<br />

Giulia non potendo sottostare alle critiche della cognata le rispose gridando:<br />

«Basta! Non sopporto più le vostre offese! Non fate altro che umiliarmi insieme<br />

alle vostre sorelle! La crisi <strong>di</strong> questo maledetto matrimonio <strong>di</strong>pende anche da voi<br />

che non fate altro che intromettervi nella nostra vita coniugale <strong>di</strong>mostrandovi,<br />

non so per quale motivo, ostile nei miei confronti!» Così Giulia proferendo<br />

queste ultime parole se ne andò lasciando la cognata in forte collera.<br />

(Marta Cappelloni)<br />

* * *<br />

Un pomeriggio Elide, sorella del conte Pietro, ex monaca, dopo aver ascoltato l’ennesima<br />

conversazione tra il fratello e Giulia Beccaria, scende le scale e parla a Giulia.<br />

Elide: Giulia, cos’è successo? Ti vedo un po’ strana, cara.<br />

Giulia: Signora Elide, non faccia finta <strong>di</strong> non aver ascoltato, non sono così ingenua<br />

come lei pensa e riesco a capire chi mente, come lei, Elide!<br />

Elide: Non osare quel tono saputo nei miei confronti, sciocca ragazzina! Sei la<br />

rovina del mio povero fratello, succube <strong>di</strong> tutti i tuoi capricci!<br />

Giulia: Capricci? Voglio solo un po’ <strong>di</strong> libertà. Con Pietro mi sento in prigione,<br />

non riesce proprio a capirlo?<br />

Elide: L’unica cosa che capisco, Giulia, è che stai infangando il nome della nostra<br />

famiglia. Esigo rispetto!<br />

Giulia: Io vi rispetto, non è questo che manca nella mia famiglia, ma l’amore e la<br />

libertà. Forse lei non può capire, come del resto Pietro. Ora, se non le <strong>di</strong>spiace,<br />

mi ritiro nella mia camera.<br />

E chiudendosi nella sua stanza, Giulia inizia a piangere.<br />

(Rebecca Casini)<br />

* * *<br />

Teresa: Giulia, dove siete stata ieri per tutto il giorno? Vostro marito vi attendeva<br />

per la passeggiata che avevate programmato, e anche questa volta lo avete deluso.<br />

Passate così poco tempo con lui!<br />

Giulia: Scusate, ho avuto un imprevisto, mi <strong>di</strong>spiace.<br />

Teresa: Imprevisto? Oh, bella davvero questa! E sentiamo, coraggio, che genere<br />

<strong>di</strong> imprevisto? Non è la prima volta, mi pare.<br />

Giulia: Con tutto il rispetto, non credo che questo sia affar vostro. La mia vita<br />

privata riguarda me soltanto.<br />

Teresa: Siete molto impertinente e sfacciata, cara mia! Povero il mio buon fratello!<br />

Ebbene, se la mettete così, vedete bene che non ho altra scelta: riferirò a<br />

– 285 –


Pietro – pover’uomo – con chi avete trascorso la giornata ieri, poiché si dà il caso<br />

che io vi abbia vista con questi occhi che passeggiavate a braccetto con un bel<br />

giovane bruno... è questo che voi chiamate imprevisto, dunque? Siete una donna<br />

irresponsabile e piena <strong>di</strong> fantasie, e questo vostro atteggiamento non può restare<br />

impunito. È tempo <strong>di</strong> cambiamenti, signorina, oh, vedrete voi...!<br />

(Clau<strong>di</strong>a Castellani)<br />

* * *<br />

Giulia: Nora, ho qualcosa <strong>di</strong> importante da <strong>di</strong>rvi.<br />

Nora: Ditemi, cosa mai è accaduto?<br />

Giulia: Ho deciso <strong>di</strong> <strong>di</strong>vorziare da Pietro.<br />

Nora: Come mai? Non lo amate più?<br />

Giulia: No, purtroppo lo ritengo un uomo così misero, non sono più felice con<br />

lui, mi sento rinchiusa.<br />

Nora: Non potete fargli questo, lui vi ama più <strong>di</strong> qualunque altra cosa, morirebbe<br />

per voi.<br />

Giulia: Questo lo so, ma non posso andare avanti così.<br />

Nora: La cosa più giusta da fare è parlare e <strong>di</strong>scutere con Pietro <strong>di</strong> questi problemi.<br />

Giulia: Va bene, lo farò.<br />

(Ludovica Celletti)<br />

* * *<br />

Naide, ex monaca e sorella <strong>di</strong> Pietro Manzoni, dopo aver origliato una conversazione<br />

fra Giulia Beccaria e Pietro, si reca dalla cognata per parlarle.<br />

Naide: Giulia, non puoi continuare a infliggere queste umiliazioni a mio fratello!<br />

Giulia: Non è mio intento mancargli <strong>di</strong> rispetto... ma io sono giovane! Voglio vivere<br />

la mia vita! Voglio assaporare il mondo! Voglio scoprire cosa c’è all’infuori<br />

<strong>di</strong> queste mura!<br />

Naide: Non meriti Pietro... pover’uomo! Costretto a sopportare i capricci <strong>di</strong> una<br />

ragazzina! Vergognati! Pensa a comportarti come una brava moglie e soprattutto<br />

come una brava madre!<br />

Giulia: Ah, sì! Ma... non deve andare a riferire tutto al degno Prelato?<br />

Naide: Ragazzina, non osare rivolgermi queste parole sarcastiche! Porta rispetto!<br />

A me e a tuo marito!<br />

Giulia: Non è il rispetto che manca in questa famiglia... manca l’amore! Non c’è<br />

amore! Non posso amare chi non ama la vita e la bellezza! Mi sento in gabbia!<br />

A quanto pare, per quanto mi sforzi <strong>di</strong> parlare, nessuno comprende ciò che<br />

provo! L’atteggiamento che mio marito ha nei miei confronti è un fardello che mi<br />

grava sul cuore. Io vi rispetto! Ma voi dovete rispettare le mie esigenze!<br />

(Sara Composto)<br />

* * *<br />

Dialogo fra Giulia Beccaria e la sorella del conte Pietro, Giuseppina, ex monaca.<br />

Giuseppina: Giulia, avvicinatevi, debbo parlarvi in privato.<br />

Giulia: Sì, vi ascolto.<br />

– 286 –


Giuseppina: Ho sentito <strong>di</strong>re che vi frequentate con un certo Taglioretti.<br />

Giulia: Non credo che siano cose che vi riguar<strong>di</strong>no.<br />

Giuseppina: Invece mi riguardano eccome! Riguardano mio fratello, quel poveretto.<br />

Dite un po’, vi <strong>di</strong>vertite a prendervi gioco della nostra intera famiglia? Credete che<br />

non si sappia dei vostri ripetuti tra<strong>di</strong>menti a quella santa anima che è mio fratello?<br />

Giulia: Ripeto che non sono cose che vi riguardano. E poi pensate a voi stessa;<br />

più vi conosco, più inorri<strong>di</strong>sco al pensiero <strong>di</strong> come siete stati cresciuti male, voi<br />

Manzoni. Signora mia, voi non capite? Voi mi soffocate! Voi opprimete il mio<br />

spirito! Ma io vi ho capiti bene. Ed è per questo che non darò nessuna importanza<br />

alle vostre pre<strong>di</strong>che. Con voi io vivo la mia vita come se fossi un’aquila rinchiusa<br />

in una gabbia!<br />

Giuseppina: Ah, parole futili! Tutti sciocchi ideali romantici! La verità è che mio<br />

fratello avrebbe fatto meglio a non sposarvi. Ingrata! Noi vi abbiamo offerto una<br />

vita da principessa! Non ricordate quanto fosse scarsa la vostra dote? Siete solo<br />

una irriconoscente donzelletta frivola e senza prospettive.<br />

Giulia: Non un solo attimo <strong>di</strong> più le mie orecchie riusciranno a sentire questo<br />

baccano che fate. Sarà meglio per me allontanarmi.<br />

(Giulia D’Alia)<br />

* * *<br />

Dialogo tra Giulia Beccaria e l’ex monaca Clara, sorella <strong>di</strong> Pietro.<br />

Giulia era rientrata da una delle solite feste.<br />

Clara: Dove sei stata?<br />

Giulia: Credo che ciò non ti riguar<strong>di</strong>.<br />

Clara: Lo cre<strong>di</strong> davvero? Sappi invece che ti sbagli, mia cara, mi riguarda perché<br />

sei la moglie <strong>di</strong> mio fratello e mi sento in dovere <strong>di</strong> <strong>di</strong>rti <strong>di</strong> smetterla <strong>di</strong> uscire<br />

così spesso.<br />

Giulia: Io non faccio quello che mi suggerite voi, perché sono adulta e solo<br />

perché sono stata costretta a sposare Pietro non sono altrettanto costretta ad essere<br />

come una moglie per lui, visto che non lo considero un marito.<br />

Clara: Ma non pensi a Pietro?<br />

Giulia: Lui pensa a me? La verità è che nessuno dei due voleva questo matrimonio<br />

ed è stupido fingere <strong>di</strong> essere felici e <strong>di</strong> considerarci come marito e moglie<br />

quando noi per primi non ne siamo convinti.<br />

Clara: Ti stai sbagliando.<br />

Giulia: Cosa ne puoi sapere? Nessuno lo sa, tanto meno tu che sei un’ex monaca.<br />

Clara: Non ti permetto <strong>di</strong> parlarmi in questo modo.<br />

Giulia: E allora se non vuoi sentirti <strong>di</strong>re certe cose, smettila <strong>di</strong> impicciarti e<br />

darmi or<strong>di</strong>ni.<br />

(Francesca De Luca)<br />

* * *<br />

Giulia era immersa nei suoi pensieri, quando fu interrotta dal ruvido tono <strong>di</strong> voce<br />

della sua cognata ex monaca. «Dovresti portare più rispetto nei confronti <strong>di</strong> tuo<br />

marito, sciagurata!» «Il rapporto che ho con mio marito non è affare che la<br />

– 287 –


iguarda, Elisabetta», <strong>di</strong>sse Giulia con tono in<strong>di</strong>fferente. «Non rispondermi in<br />

questo modo, insolente! Sei solo una ragazzina!», <strong>di</strong>sse acida Elisabetta. «Me lo<br />

<strong>di</strong>ce sempre anche suo fratello...» fece la giovane Beccaria con aria annoiata.<br />

«Mi chiedo come Pietro abbia potuto sposare una maleducata e impertinente<br />

come te! Oltretutto avevi una poverissima dote...». Pronunciò quest’ultima frase<br />

con un perfido sorriso sulle labbra. «Sa? Me lo sono sempre chiesto anche io»,<br />

<strong>di</strong>sse Giulia sorridendo ironicamente, e aggiunse: «Mi creda, avrei preferito rimanere<br />

nubile per il resto della mia esistenza, piuttosto che essere stata data in<br />

moglie ad un essere come il suo adorato fratello». A queste sincere ed irriverenti<br />

parole, Elisabetta se ne andò con aria in<strong>di</strong>gnata, lasciando Giulia da sola.<br />

(Giulia Di Stefano)<br />

* * *<br />

Maria: Giulia, sono stanca <strong>di</strong> vedere mio fratello e la sua vita bruciati dai vizietti<br />

<strong>di</strong> una ragazzina sciocca come te! Spero che uscirai presto dalla sua e dalla nostra<br />

vita!<br />

Giulia: Ah, bene! Quin<strong>di</strong> non lo sai! Non sai che io e Pietro aspettiamo un figlio!<br />

Ma sappi che entrambi non lo desideriamo! Ricordalo!<br />

Maria: E tu ricorda che un tuo figlio qua non sarà mai ben accetto!<br />

Giulia: Io nella vostra vita non ci sarei mai voluta entrare, se non fosse stato per<br />

mio padre! Dio, quanto lo o<strong>di</strong>o e quanto o<strong>di</strong>o voi e la vostra vita da falsi signorotti!<br />

Maria: Ah, è così?! Esci <strong>di</strong> corsa da qua, ingrata!<br />

Giulia: Con molto piacere, carogna!<br />

Giulia esce <strong>di</strong> corsa sbattendo la porta.<br />

(Salvatore Gallo)<br />

* * *<br />

Eufrasia: Giulia, sei tu, vero?<br />

Giulia: Sì, sono io!<br />

Eufrasia: Ti sembra questa l’ora <strong>di</strong> tornare? Sono le tre del mattino.<br />

Giulia: Ero ad una festa a casa dei Verri. E tu, che ci fai in pie<strong>di</strong> a quest’ora? Stai<br />

facendo una veglia notturna o mi stai spiando?<br />

Eufrasia: Non sono affari tuoi. Con chi sei stata? Scommetto che eri ancora con<br />

quel cascamorto <strong>di</strong> Giovanni Verri. Hai tra<strong>di</strong>to tuo marito?<br />

Giulia: Macché! E poi questa volta sono io che lo <strong>di</strong>co: fatti gli affari tuoi, Eufrasia!<br />

Già non sopporto mio padre che mi piega al suo volere, ora me la devo<br />

prendere pure con te! Non esiste!<br />

Eufrasia: Sei maleducata e impertinente.<br />

Giulia: Perché nonostante tutto voglio vivere la mia vita. Buonanotte.<br />

(Caterina Jekot)<br />

* * *<br />

Giulia si ritira nella sua stanza, assorta nelle sue letture, mentre entra Clelia, sorella<br />

<strong>di</strong> Pietro.<br />

– 288 –


Clelia: Giulia, dovete avere un comportamento più rispettoso e <strong>di</strong>gnitoso verso<br />

vostro marito, che è anche mio fratello.<br />

Giulia: Le ricordo, ancora una volta, che questo non è affar vostro. Questo è il<br />

mio matrimonio e non sarete <strong>di</strong> certo voi a <strong>di</strong>rmi come devo comportarmi.<br />

Clelia: Io voglio solo aiutare mio fratello a farsi rispettare da voi, che lo umiliate<br />

continuamente facendo la bella vita con i vostri “amici”!<br />

Giulia: Lasciate che sia vostro fratello ad avere il controllo della propria vita... ed<br />

ora, se volete scusarmi, avete interrotto le mie letture.<br />

Clelia: Come volete...<br />

E così la sorella <strong>di</strong> Pietro, ancora una volta delusa dall’esito della <strong>di</strong>scussione<br />

avuta con Giulia, ritorna alle sue faccende.<br />

(Elisa Iezzi)<br />

* * *<br />

Dialogo fra Giulia e Aurora, sorella <strong>di</strong> Pietro.<br />

Era mattina. «Giulia! Giulia! Giulia! Svegliatevi!» Giulia aprì gli occhi e vedendo<br />

Aurora, si spaventò. «Cosa ci fate nella mia stanza?!», <strong>di</strong>sse lei eccitata.<br />

«Che domande! Sono venuta a svegliarvi, oggi è domenica. C’è la messa.» «Ah<br />

sì?», <strong>di</strong>sse Giulia con una voce che esprimeva tutto il suo menefreghismo. «Sapevo»,<br />

continuò Aurora, «che non vi sareste svegliata in tempo, siete tornata alle<br />

quattro <strong>di</strong> mattina. Comunque mentre eravate via ho pensato <strong>di</strong> sistemarvi la<br />

stanza.» E con voce sarcastica, «Ho trovato cose molto interessanti.» «Come vi<br />

siete permessa?! Questa è la mia stanza! Voi non avete il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> entrare!»<br />

«Cara, ma questa è casa mia, comunque... ho sentito molto su <strong>di</strong> voi e sulla<br />

vostra amica contessa», <strong>di</strong>sse, «aspetta, come vi hanno chiamate?... Ah sì, hanno<br />

detto che siete delle donnine allegre! Ah ah ah!» Giulia sentendo <strong>di</strong> essere attaccata<br />

e accorgendosi che era stata violata la sua intimità, rispose ad Aurora con altrettanta<br />

cattiveria: «È vero, ci <strong>di</strong>vertiamo... ma anche voi quando eravate giovane<br />

dovete esservi <strong>di</strong>vertita. Rinfrescatemi la memoria: perché vi hanno cacciata<br />

dall’or<strong>di</strong>ne?» Aurora umiliata provò a rispondere: «Ma come vi permettete?!»<br />

Ma Giulia era pronta a rispondere: «Io come mi permetto?! Parlate voi<br />

che entrate nella mia stanza privata senza permesso, frugate fra le mie cose e poi<br />

gettate infamia sulla mia persona! Adesso uscite! Subito!» Aurora guardò con<br />

occhi pieni <strong>di</strong> rancore e <strong>di</strong>sprezzo la cognata ma non replicò e uscì dalla stanza.<br />

Giulia assicuratasi che Aurora non fosse nei paraggi tornò a letto e si rimise a<br />

dormire.<br />

(Maria Vittoria Manzoni)<br />

* * *<br />

Dialogo tra Giulia Beccaria e la sorella <strong>di</strong> Pietro Manzoni ex monaca.<br />

Giulia era nella sua camera, si stava vestendo per andare alla prima <strong>di</strong> teatro<br />

quando la sorella <strong>di</strong> Pietro, ex monaca, Margherita, entrò nella sua stanza. «Dovresti<br />

vergognarti!», le <strong>di</strong>sse con impeto. «Ti rechi a teatro nonostante tuo marito<br />

sia qui in casa solo e ammalato.» «È vero», rispose Giulia, «forse non dovrei ma<br />

ho bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>lettare il mio animo, non posso vivere la mia vita dentro queste<br />

– 289 –


mura.» «Non mi importa <strong>di</strong> quanto tu abbia bisogno <strong>di</strong> uscire e svagarti, non permetterò<br />

che tu esca umiliando mio fratello, e per <strong>di</strong> più vestita in quel modo.»<br />

«Perché, cos’ha che non va il mio vestito?», domandò Giulia impertinente. Margherita<br />

la guardò da cima a fondo, si voltò bruscamente e uscì <strong>di</strong>cendo: «Tu<br />

questa sera rimarrai in casa ad assistere tuo marito.» E chiuse con impeto la porta<br />

della camera <strong>di</strong> Giulia.<br />

(Giulia Nonni)<br />

* * *<br />

Giulia dopo il litigio con Pietro si era rifugiata nel balcone della propria<br />

camera. Vedeva tutte quelle stelle e sorridendo pensava alla festa alla quale<br />

aveva preso parte poco più <strong>di</strong> due ore prima. Improvvisamente sentì un botto e<br />

vide entrare nella sua camera Giovanna, l’ex monaca sorella <strong>di</strong> Pietro.<br />

Giulia: Che succede?<br />

Giovanna: Succede che devi smettere <strong>di</strong> fare soffrire Pietro.<br />

Giulia abbassò lo sguardo. Per la prima volta non si vide più come una vittima,<br />

ma come la colpevole. Davvero era colpa sua? No, era Pietro che era troppo<br />

introverso.<br />

Giovanna: Perché non inizi a comportarti come una vera moglie?<br />

Giulia: Perché non lo amo.<br />

Giovanna: Non lo ami?<br />

Scoppiò in una risata.<br />

Giovanna: Ma l’amore non esiste!<br />

Giulia: Non è vero! Se veramente non esiste spiegami che cosa è questo batticuore<br />

appena lo vedo, come mai mi viene un insolito sorriso quando penso a lui e<br />

perché, nei momenti in cui mi sfiora, io sarei capace <strong>di</strong> abbandonare tutto per<br />

stare con lui?<br />

Giovanna: Pensa che faresti adesso se fossi sposata con Verri.<br />

Giulia: Sarei felice.<br />

Giovanna: Hai detto qualche cosa?<br />

Giulia: Tu non lo sai che cosa vuole <strong>di</strong>re innamorarsi, vero? Non lo sai e non lo<br />

saprai mai.<br />

Giulia aveva ragione, capì che aveva centrato la questione. Per una volta non<br />

vedeva quella donna come una specie <strong>di</strong> mastino, ma come una persona che non<br />

aveva mai amato.<br />

Giovanna: Già, può darsi che non amerò mai qualcuno, ma può darsi anche che<br />

tu e Verri vi lasciate e così ti dovrai accontentare <strong>di</strong> Pietro!<br />

Giulia questa volta la guardò con pietà e sussurrò: Già, può darsi.<br />

(Benedetta Prignano)<br />

* * *<br />

Rachele: Giulia, a quest’ora si torna a casa? Sono quasi le sette del mattino, lo sai?<br />

Giulia: Io torno a casa quando voglio!<br />

Rachele: Abbassa il tono con me, non ti permetto <strong>di</strong> parlarmi in questo modo!<br />

Giulia: Tu, piuttosto, cosa ci fai in casa mia alle sette <strong>di</strong> mattina?<br />

– 290 –


Rachele: Ieri sera sono venuta a trovare mio fratello e la sua consorte ma sfortunatamente<br />

lei non era in casa... oh, ma che sbadata che sono stata! Ho <strong>di</strong>menticato<br />

che la signora Manzoni, ogni sabato, si reca a casa dei Verri a far festa fino a<br />

tarda notte...<br />

Giulia: Ma cosa vuoi da me? Si può sapere?<br />

Rachele: Voglio che impari a fare la moglie e a prenderti cura <strong>di</strong> tuo figlio e della<br />

casa. Invece <strong>di</strong> andarti a <strong>di</strong>vertire fa’ il tuo dovere <strong>di</strong> donna, una volta tanto!<br />

Giulia: Ti ripeto che io faccio quello che voglio e non mi importa un bel niente<br />

delle tue teorie!<br />

Rachele: Sei solo una poco <strong>di</strong> buono, mio fratello non ti merita.<br />

Giulia: E io non merito <strong>di</strong> avere una cognata così irritante come te (<strong>di</strong>ce furiosa<br />

uscendo dalla stanza).<br />

(Martina Proietti)<br />

* * *<br />

Teresa: Buongiorno, Giulia, come vanno le cose con Pietro?<br />

Giulia: Come al solito, è talmente cupo che mi toglie la voglia <strong>di</strong> parlargli.<br />

Teresa: Questo mi <strong>di</strong>spiace, ma perché tu non provi a chiedergli i motivi per i<br />

quali è sempre così triste?<br />

Giulia: No, non me ne sono mai curata.<br />

Teresa: Questo è sbagliato, Giulia, magari potreste scoprire <strong>di</strong> avere delle cose in<br />

comune parlando un po’, non trovi?<br />

Giulia: Potrei provare.<br />

Teresa: Sono contenta che proverai, Giulia. Ora devo andare, speriamo <strong>di</strong> vederci<br />

presto.<br />

Giulia: Sarò più contenta io se riuscirò a trovare qualcosa in comune con lui.<br />

Arrivederci, Teresa.<br />

(Benedetta Straini)<br />

– 291 –


3. RISCRITTURE, PARODIE E TRAME ALTERNATIVE<br />

DEI PROMESSI SPOSI<br />

I capolavori dell’arte e della letteratura si prestano per loro natura alle<br />

<strong>di</strong>ssacrazioni: si pensi alle decine <strong>di</strong> versioni che ha generato La Gioconda<br />

<strong>di</strong> Leonardo, tra cui quelle celeberrime <strong>di</strong> Duchamp, <strong>di</strong> Dalì, <strong>di</strong> Botero, <strong>di</strong><br />

Warhol, per citarne solo alcune. 14 Com’è stato ben osservato, mentre la satira<br />

si dà come <strong>di</strong>scorso contro le Forme <strong>di</strong> Potere, la paro<strong>di</strong>a è un lavoro<br />

che il linguaggio compie contro il Potere delle Forme. 15 Un’opera <strong>di</strong> alto livello<br />

estetico che, per i valori etici e spirituali in essa contenuti, sia para<strong>di</strong>gmatica<br />

e assurga a grande notorietà nella sua epoca, sempre si presterà alla<br />

<strong>di</strong>ssacrante contraffazione, quale giocosa e anarcoide trasgressione contro<br />

l’autorità ottenuta dalla perfezione formale e dal consenso sui valori rappresentati<br />

in quell’opera: ma tale atto <strong>di</strong> trasgressione si risolve, a ben vedere,<br />

in un omaggio all’autore e all’opera stessa. La paro<strong>di</strong>a, dunque, attesta in<strong>di</strong>rettamente<br />

la fortuna <strong>di</strong> un’opera, che sia stata capace <strong>di</strong> improntare <strong>di</strong> sé il<br />

patrimonio culturale <strong>di</strong> un’epoca, come hanno fatto I Promessi Sposi rispetto<br />

al Romanticismo e alla cultura dell’Ottocento in Italia. Sulle ragioni<br />

e le operazioni della paro<strong>di</strong>a, quale tipica pratica intertestuale, citiamo dalla<br />

prefazione al saggio <strong>di</strong> Gino Tellini, Rifare il verso.La paro<strong>di</strong>a nella lettera-<br />

14 Sulla “iconoclastia” della Gioconda riman<strong>di</strong>amo a Mario Alinei, Il sorriso della Gioconda,<br />

Il Mulino, Bologna 2006, pp. 31-47: l’autore ne vede la causa nella particolare ‘ambivalenza<br />

psicologica’ del ritratto, in quel misto <strong>di</strong> bellezza e artificio, attrazione e repulsione, che esso non<br />

ha mai mancato <strong>di</strong> suscitare in ogni spettatore. Ciò dall’Alinei viene spiegato col fatto che Leonardo<br />

avrebbe <strong>di</strong>pinto, nella Gioconda, una giovane donna morta attribuendole le fattezze da viva.<br />

Per una storia del capolavoro leonardesco vd. Donald Sassoon, La Gioconda, trad. <strong>di</strong> Dora<br />

Bertucci e Andrea Palla<strong>di</strong>no, Carocci e<strong>di</strong>tore, Roma 2002. Decisamente più maliziosa, e in chiave<br />

paro<strong>di</strong>stica, è la Gioconda rappresentata nel racconto dello scrittore <strong>di</strong> fantascienza Bob Shaw,<br />

Una vergogna per l’Italia (The Gioconda Caper, 1976), ove si immagina la scoperta dell’ultima,<br />

straor<strong>di</strong>naria invenzione leonardesca, precorritrice <strong>di</strong> quella dei fratelli Lumière: una gigantesca<br />

macchina cinematografica. Occultata in una grotta, una complessa struttura in legno, concepita<br />

come un grande meccanismo girevole a ruota, contiene sessanta <strong>di</strong>pinti della Gioconda, che ruotando<br />

vorticosamente creano l’effetto del movimento, come una ottocentesca “lanterna magica”:<br />

ma il meccanismo serve a rappresentare... lo striptease <strong>di</strong> Monna Lisa. Forse Leonardo creò la<br />

complessa macchina per il privato <strong>di</strong>vertimento <strong>di</strong> Ludovico il Moro, lascia intendere l’autore.<br />

Per fortuna la macchina viene <strong>di</strong>strutta da uno dei personaggi del racconto, un italiano un po’ truffal<strong>di</strong>no,<br />

che però vuole giustamente tutelare la reputazione del nostro più grande artista e scienziato.<br />

Il racconto <strong>di</strong> Bob Shaw si legge in: Bob Shaw, Una vergogna per l’Italia, trad. <strong>di</strong> Vittorio<br />

Curtoni («Urania», n.864), Mondadori, Milano 1980, pp. 4-26.<br />

15 Piero Ricci, Paro<strong>di</strong>a, in Riscritture, Atti del convegno del CRS Roma, 8-10 marzo 1991,<br />

a cura <strong>di</strong> Pina Gorgoni, Eurelle E<strong>di</strong>zioni, Torino 1993, p. 235.<br />

– 292 –


tura italiana (Mondadori, Milano 2008):<br />

Fin dall’antichità, gli scrittori si sono <strong>di</strong>vertiti a contraffare lo stile <strong>di</strong> opere illustri,<br />

familiari alla memoria collettiva dei lettori. La notorietà del modello è con<strong>di</strong>zione<br />

preliminare perché la paro<strong>di</strong>a abbia effetto. Il paro<strong>di</strong>sta mo<strong>di</strong>fica e trasforma<br />

ma lascia intravedere le fattezze dell’originale, introduce mutamenti <strong>di</strong><br />

lessico, <strong>di</strong> tonalità, <strong>di</strong> struttura, <strong>di</strong> significato, con intenti per lo più (non sempre)<br />

<strong>di</strong>lettevoli: comici, faceti, burleschi, senza – almeno intenzionalmente – il sottofondo<br />

puntuto e moralistico che è proprio della satira. Rifà il verso a opere e autori<br />

<strong>di</strong> grido, li prende in giro più o meno bonariamente, li riecheggia, ne propaga<br />

il ricordo: è una riscrittura come sconvenienza, come trasgressione dal canone<br />

convenuto, come alterazione programmatica delle norme vigenti. E in essa si mescolano<br />

insieme, in una sorta <strong>di</strong> statuto binario, il linguaggio del paro<strong>di</strong>ato e il<br />

linguaggio del paro<strong>di</strong>sta. Non è un passatempo meccanico e autoreferenziale, ma<br />

un rilancio se<strong>di</strong>zioso, che comporta la necessità <strong>di</strong> reinterpretare e rinnovare. Il<br />

referente può essere un’opera, un autore, oppure, più generalmente, una consuetu<strong>di</strong>ne<br />

letteraria, un tipo <strong>di</strong> espressione, uno stile. Né mancano le autoparo<strong>di</strong>e,<br />

volontarie o involontarie, quando uno scrittore ritorna, con scarti o variazioni, sui<br />

propri passi (notevoli, sempre volontarie, s’incontrano in Boccaccio, come in<br />

Gozzano o in Montale). Nelle multiple e seducenti modalità <strong>di</strong> questa proteiforme<br />

scrittura, <strong>di</strong> questo sofisticato gioco <strong>di</strong> specchi, si beano oggi i moderni<br />

teorici delle pratiche intertestuali. 16<br />

Un’opera d’arte o letteraria, quanto più si avvicina a modelli <strong>di</strong> perfezione,<br />

produce quin<strong>di</strong> sempre un altro testo, frutto <strong>di</strong> una lettura deformante<br />

dell’opera originaria ed elaborato in forma <strong>di</strong> caricatura, quasi che il bello e<br />

l’elegante celassero in sé il loro contrario. Bersaglio tipico delle paro<strong>di</strong>e<br />

sono sempre stati, ad esempio, i poeti canonizzati dai manuali <strong>di</strong> letteratura.<br />

La riscrittura <strong>di</strong> testi poetici è, peraltro, un esercizio praticato dagli autori<br />

<strong>di</strong> “scrittura creativa”, come quelli riuniti nel celebre gruppo dell’OuLiPo, 17<br />

i quali ne hanno oltrepassato i limiti per giungere fino alle sperimentazioni<br />

linguistiche, vere e proprie acrobazie formali.<br />

Tra gi esercizi letterari <strong>di</strong> questo genere possiamo annoverare la riscrittura<br />

a contrario <strong>di</strong> famose poesie dell’Ottocento e del Novecento: i testi<br />

sono stati riscritti a contrario, ossia conservando la struttura e il ritmo dei<br />

versi, ma rovesciandone il contenuto. Ad esempio La signorina Felicita<br />

16 Gino Tellini, pref. a Rifare il verso.La paro<strong>di</strong>a nella letteratura italiana, Mondadori,<br />

Milano 2008, pp. 5-6.<br />

17 Formatosi in Francia nel 1960, l’OuLiPo (Ouvrier de Littérature Potentielle) annovera<br />

tra i suoi esponenti Raymond Queneau e Italo Calvino: una ricca antologia <strong>di</strong> testi è Oulipiana,<br />

a cura <strong>di</strong> Ruggero Campagnoli, Guida e<strong>di</strong>tori, Napoli 1995.<br />

– 293 –


ovvero la felicità <strong>di</strong> Guido Gozzano è stata riconvertita in Il signor Tristano<br />

ovvero la tristezza (da Corrado Vanni): per citare soltanto l’inizio, i versi<br />

Signorina Felicita, a quest’ora/ scende la sera nel giar<strong>di</strong>no antico/ della<br />

tua casa. Nel mio cuore amico/ scende il ricordo... sono <strong>di</strong>ventati: Signor<br />

Tristano, in qualche altro momento/ sorge l’aurora nel cortil novello/ della<br />

tua strada. Nel mio ostil cervello/ sale l’oblio... 18<br />

La riscrittura <strong>di</strong> un testo letterario può implicare il rifacimento <strong>di</strong> un’opera<br />

famosa non necessariamente in senso paro<strong>di</strong>stico. La riscrittura <strong>di</strong> un<br />

romanzo, come esercizio <strong>di</strong> scrittura creativa, è più consueta <strong>di</strong> quanto possa<br />

apparire, soprattutto nella o<strong>di</strong>erna pratica letteraria. 19 Sono state riscritte, in<br />

chiave <strong>di</strong> mistery o <strong>di</strong> surreale pastiche (anche non paro<strong>di</strong>stico), opere appartenenti<br />

alla letteratura maggiore e minore. Philippe Doumenc ha riscritto<br />

Madame Bovary <strong>di</strong> Flaubert (1856) in chiave d’indagine poliziesca sull’apparente<br />

suici<strong>di</strong>o della protagonista, Lo strano caso <strong>di</strong> Emma Bovary. 20 Mirella<br />

Salvaggio ha tratto da Il fu Mattia Pascal <strong>di</strong> Pirandello (1904) un voluminoso<br />

romanzo, Il fu Mattia Pascal romanzo del fu Luigi Pirandello. 21 Per<br />

la letteratura minore ricor<strong>di</strong>amo, tra i numerosi rifacimenti delle Avventure<br />

<strong>di</strong> Pinocchio <strong>di</strong> Collo<strong>di</strong>, 22 quattro testi, due dovuti ad autori italiani e altri<br />

due a stranieri: Ugolini, Compagnone, Tolstoj e Charyn. Luigi Ugolini,<br />

18 Il testo si legge, assieme ad altri esempi <strong>di</strong> riscritture “rovesciate” <strong>di</strong> celebri poesie dell’Ottocento<br />

e del Novecento, in Giampaolo Dossena, T’o<strong>di</strong>o empia vacca.Dileggio e descolarizzazione,<br />

Rizzoli, Milano 1994, pp. 32-33; vd. anche al riguardo Ersilia Zamponi, I Draghi locopei,<br />

E<strong>di</strong>zione CDE, su lic. Einau<strong>di</strong>, Milano 1991, pp. 71-73. La riscrittura come paro<strong>di</strong>a letteraria<br />

ha goduto <strong>di</strong> una pratica risalente: una celebre antologia <strong>di</strong> letteratura apocrifa è quella <strong>di</strong><br />

Paolo Vita-Finzi, Antologia apocrifa, Bompiani, Milano 1977, che raccoglie testi dal 1927 (prima<br />

serie) al 1976 (quarta serie). Un’altra famosa antologia <strong>di</strong> testi celebri (<strong>di</strong> Balzac, Gide, Montale,<br />

Vittorini, etc.) “riscritti” è quella <strong>di</strong> Guido Almansi - Guido Fink, Quasi come, Bompiani,<br />

Milano 1991 (I ed. 1976).<br />

19 Modalità ed esempi <strong>di</strong> riscritture in Stefano Brugnolo – Giulio Mozzi, Ricettario <strong>di</strong><br />

scrittura creativa, Zanichelli, Bologna 2003, rist., pp. 152-186, con molti esercizi ispirati dai<br />

personaggi e dalle situazioni dei Promessi Sposi.<br />

20 Philippe Doumenc, Lo strano caso <strong>di</strong> Emma Bovary, trad. <strong>di</strong> Guya Parenzan, Castelvecchi<br />

e<strong>di</strong>tore, Roma 2008.<br />

21 Mirella Salvaggio, Il fu Mattia Pascal romanzo del fu Luigi Pirandello, Luigi Pellegrini<br />

e<strong>di</strong>tore, Cosenza 2008.<br />

22 Vd. l’elenco delle imitazioni <strong>di</strong> Pinocchio in Antonio Lugli, Storia della letteratura per<br />

la gioventù, Sansoni, Firenze 1966 2 , p. 236. Su questa varia produzione (v’è anche Il figlio <strong>di</strong><br />

Pinocchio), ripetiamo il giu<strong>di</strong>zio del Lugli: «In una squallida imitazione priva <strong>di</strong> poesia, anche<br />

se ricca <strong>di</strong> inventiva (ma è un’inventiva senza equilibrio, fine a se stessa) e scarsa <strong>di</strong> insegnamenti,<br />

i vari Pinocchi non ci restituiscono del magico burattino neppure un autentico truciolo<br />

del suo corpicciolo <strong>di</strong> legno» (p. 236).<br />

– 294 –


scrittore e giornalista fiorentino (1891-1980), famoso per aver romanzato la<br />

vita <strong>di</strong> molti personaggi storici, artisti, poeti e condottieri, 23 ci ha lasciato<br />

Il seguito <strong>di</strong> Pinocchio (I ed. 1946): 24 il celebre burattino <strong>di</strong> legno, già <strong>di</strong>ventato<br />

ragazzino in carne e ossa, mal si adatta alla nuova esistenza e nostalgicamente<br />

rievoca le sue avventure con il padre Geppetto. È in crisi <strong>di</strong> identità:<br />

non riesce più a parlare con gli animali (come faceva quand’era burattino)<br />

e comincia a provare il dolore fisico. Ma soprattutto, vuole sapere chi<br />

era sua madre. Geppetto non sa rispondere e il ragazzino, fatta amicizia con<br />

un compagno <strong>di</strong> scuola <strong>di</strong> nome Stoppino (che gli ricorda Lucignolo, ma è<br />

ben più assennato), decide <strong>di</strong> ripercorrere i sentieri <strong>di</strong> Pinocchio, per ritrovare<br />

la Fata Turchina, che ritiene essere sua madre. A bordo del carro del<br />

grasso Pallino (l’Omino <strong>di</strong> Burro), Pinocchio ritorna al Paese dei Balocchi,<br />

soggiorna all’osteria del Granchio Verde e viene ancora una volta derubato<br />

delle sue monete d’oro da due musici ambulanti, il professor Fox e il commendator<br />

Catone, che ricordano il Gatto e la Volpe; quin<strong>di</strong> ritorna al Paese<br />

delle Api industriose, s’incontra con la Regina delle api (che ha i capelli<br />

turchini), approda alle Isole della Fortuna, dei Granchi, delle Capre, della<br />

Sete, dei Serpenti, dei Topi, è inghiottito <strong>di</strong> nuovo dal Pescecane e rigettato<br />

sull’isola <strong>di</strong> Antilia, nell’impero dei Pappagalli. Rinchiuso assieme all’inseparabile<br />

Stoppino in una gabbia, salva il re dei pappagalli da una congiura,<br />

ma riceve come premio il dubbio privilegio <strong>di</strong> servire da pasto, in salsa<br />

verde, al re pennuto: allora fugge dall’isola con l’aiuto del Pescecane ed è<br />

salvato da un bastimento, ove viene curato da una dolce infermiera dai<br />

capelli turchini. La nave riporta Pinocchio sul molo del suo paese, ove trova<br />

Geppetto che, lungi dall’essere in ansia, gli rivela che il viaggio glielo aveva<br />

organizzato proprio lui, d’accordo con Stoppino e con l’Omino <strong>di</strong> Burro. Era<br />

una esperienza necessaria per la crescita del fanciullo, ancora perso <strong>di</strong>etro le<br />

favole della sua infanzia burattinesca, spiega sorridendo Geppetto a Pinocchio<br />

che lo ascolta sbalor<strong>di</strong>to. E la mamma? Era davvero la Fata Turchina?<br />

O la Regina delle Api? O la buona infermiera del piroscafo? Affannarsi a<br />

trovare una mamma a Pinocchio è fatica inutile, risponde l’autore nella morale<br />

conclusiva: «Pinocchio, che è figlio della fantasia, non può avere una<br />

mamma <strong>di</strong> carne come tutte le altre; Pinocchio è un simbolo, e anche <strong>di</strong>ven-<br />

23 Un elenco della copiosa produzione dell’Ugolini, destinata prevalentemente ai ragazzi, è<br />

in Antonio Lugli, Storia della letteratura per la gioventù, cit., p. 317.<br />

24 Esiste una e<strong>di</strong>zione scolastica del testo dell’Ugolini: Luigi Ugolini, Il seguito <strong>di</strong> Pinocchio,<br />

Schede <strong>di</strong>dattiche a cura <strong>di</strong> Concetta Greco Lanza, E<strong>di</strong>zioni Greco, Catania 2002.<br />

– 295 –


tato <strong>di</strong> carne è sempre l’incarnazione <strong>di</strong> un burattino. Geppetto è stato il suo<br />

padre adottivo, quegli che dal pezzo <strong>di</strong> legno sbozzò la meravigliosa figura<br />

della marionetta parlante, ma Geppetto non ha creato Pinocchio, perché<br />

Pinocchio esisteva anche prima, nell’interno del pezzo <strong>di</strong> legno. Perciò l’anima<br />

<strong>di</strong> Pinocchio non l’ha creata nessuno. Essa è antica come il mondo». 25<br />

L’atmosfera fiabesca del testo originale si stempera in una temporanea fuga<br />

e in un progressivo ritorno alla normalità del quoti<strong>di</strong>ano: i personaggi e i<br />

luoghi fantastici che Pinocchio incontra ancora risultano scialbe imitazioni<br />

<strong>di</strong> quelli del testo collo<strong>di</strong>ano, mentre motivi sostanzialmente nuovi, in<br />

questo romanzo destinato a un pubblico adolescente, sono la crisi <strong>di</strong> identità<br />

in cui cade l’ex burattino, che non sa accettare la sua nuova vita <strong>di</strong> fanciullo<br />

in carne e ossa, e la palese, a tratti angosciata, ricerca della figura materna.<br />

Lo scrittore napoletano Luigi Compagnone (1915-1998) ha in<strong>di</strong>rizzato, invece,<br />

a un pubblico ben più adulto e smaliziato la sua versione collo<strong>di</strong>ana,<br />

ossia La vita nova <strong>di</strong> Pinocchio (I ed. 1971). 26 Il burattino incontra eventi<br />

e miti <strong>di</strong> tutti i tempi, personaggi letterari e storici (da Giona a Medea, da<br />

Marx a Freud, da Amleto ai “ragazzi <strong>di</strong> vita” pasoliniani), che si succedono<br />

in una sfrenata, fantasmagorica sarabanda. Per averne un’idea, basti ricordare<br />

sommariamente i primi capitoli: il burattino Pinocchio, appena viene<br />

a sapere dal falegname Geppetto che egli è suo padre, corre via da casa a<br />

25 Luigi Ugolini, Il seguito <strong>di</strong> Pinocchio, cit., p. 216.<br />

26 Luigi Compagnone, La vita nova <strong>di</strong> Pinocchio, Bal<strong>di</strong>ni Castol<strong>di</strong> Dalai, Milano 2004. Lo<br />

scrittore ne ha ricavato anche una versione poetica per ragazzi (più aderente al testo collo<strong>di</strong>ano),<br />

in settenari e ottonari, quasi una sorta <strong>di</strong> “opera buffa” dalla travolgente comicità. Citiamo dall’episo<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> Pinocchio e il Pescatore Verde (il Pescatore Brutto nella versione <strong>di</strong> Compagnone),<br />

che avendo trovato nella rete il burattino, lo vuol friggere in padella assieme agli altri pesci (da<br />

Luigi Compagnone, La ballata <strong>di</strong> Pinocchio, illustrazioni <strong>di</strong> Vittoria Facchini, Mondadori,<br />

Milano 2002, pp. 53-54):<br />

“Pinocchio (fra sé)<br />

Mi rincresce per lui, sì mi rincresce,<br />

ma che fortuna che non sono un pesce.<br />

Pescatore<br />

Ottime queste triglie.<br />

Belle, queste fragaglie.<br />

Buoni, ’sti gamberetti,<br />

gustosi, ’sti rognotti.<br />

(afferra Pinocchio)<br />

E questo pesce, cos’è?<br />

E il nome suo, qual è?<br />

Non mi vorrei sbagliare,<br />

questo è un granchio <strong>di</strong> mare.<br />

– 296 –


per<strong>di</strong>fiato e si imbatte in uno sgangherato autoveicolo che trasporta la Sacra<br />

Famiglia (con i sei Evangelisti: i quattro canonici più Ernest Renan e Giovanni<br />

Papini), 27 la quale è in fuga dai Killer del Führer <strong>di</strong> Giudea e Germania<br />

che vuole uccidere il Bambino. Il veicolo incrocia un torpedone che trasporta<br />

gli angeli della Nazionale <strong>di</strong> calcio (tra i quali si <strong>di</strong>stingue Rivera), acclamati<br />

Pinocchio<br />

Ma che granchio <strong>di</strong> mare.<br />

Ma non faccia il cretino.<br />

Ma non lo vede, lei,<br />

che sono un burattino?<br />

Pescatore<br />

Ochei. Sarà una specie<br />

<strong>di</strong> bei pesci stranieri.<br />

Meglio così: ti mangio<br />

assai più volentieri.<br />

Pinocchio<br />

Ma lei non lo capisce<br />

che mica sono un pesce?<br />

Pescatore<br />

Verissimo. Perfetto.<br />

Perciò ti voglio usare<br />

il massimo rispetto.<br />

Pinocchio<br />

La prego <strong>di</strong> spiegare.<br />

Pescatore<br />

In segno <strong>di</strong> sincera<br />

stima particolare<br />

scegli liberamente<br />

come ti devo friggere<br />

e come cucinare.<br />

Ti piace la padella<br />

o vuoi, caro tesoro,<br />

esser cotto in tegame<br />

con olio e pomodoro?<br />

Pinocchio<br />

Se devo scegliere,<br />

in verità<br />

io scelgo subito<br />

la libertà.<br />

Pescatore<br />

Sai che faccio? Ti friggo a fuoco lento<br />

con gli altri pesci e rimarrai contento:<br />

ché l’esser fritto in buona compagnia<br />

ti dà buon appetito ed allegria.”<br />

27 Autori, com’è noto, <strong>di</strong> celebri e <strong>di</strong>scusse vite <strong>di</strong> Cristo.<br />

– 297 –


dalla folla esultante: <strong>di</strong>etro la folla, però, appaiono i carri armati degli scherani<br />

del Führer alla caccia della Sacra Famiglia. I Killer chiedono agli spettatori<br />

se hanno visto passare <strong>di</strong> lì un falegname e quelli in<strong>di</strong>cano Geppetto, che<br />

viene subito afferrato e spinto entro un carro che riparte alla volta <strong>di</strong> un<br />

Lager. Separato così da suo padre, Pinocchio si imbatte nel Grillo Parlante,<br />

che abita in un vecchio volume della pedagogista Maria Montessori, ed entra<br />

poi nel Teatro dei Burattini, dove si sta recitando lo psicodramma <strong>di</strong> E<strong>di</strong>po e<br />

Giocasta, per la regia del dottor Freud. Il me<strong>di</strong>co viennese lo ascolta paziente,<br />

analizza una sua fantasia (ovviamente ostile verso il padre) e lo fa<br />

pro<strong>di</strong>giosamente incontrare con la madre, la Ma’, che ha le fattezze della<br />

Gioconda leonardesca. Non proseguiamo oltre nella trama escogitata <strong>di</strong><br />

questo pastiche romanzesco, 28 ove il desiderio <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssacrazione si accompagna<br />

a una denuncia dei mali e delle ipocrisie del nostro tempo (ossia del<br />

tempo dell’autore, quegli anni Settanta che videro, a livello internazionale, il<br />

fallimento <strong>di</strong> una possibile “<strong>di</strong>stensione” tra i due blocchi e, in Italia, una<br />

grave crisi politica culminata con il terrorismo). Il compagno Pinocchio <strong>di</strong><br />

Aleksej Tolstoj (1936) 29 è una rivisitazione del capolavoro <strong>di</strong> Collo<strong>di</strong> ambientata<br />

nell’incantevole paesaggio russo (con qualche variante rispetto all’originale<br />

e soprattutto con qualche intrusione ideologica dal marxismo-leninismo).<br />

In chiave decisamente più surreale che fiabesca si sviluppa la<br />

trama de Il naso <strong>di</strong> Pinocchio (1983) dell’americano Jerome Charyn, in cui il<br />

protagonista alter ego dell’autore, lo scrittore Jerome Copernicus Charyn, riscrive<br />

la storia del burattino <strong>di</strong> Collo<strong>di</strong>. Ma è un Pinocchio assolutamente sui<br />

generis quello narrato dalla penna <strong>di</strong> Charyn: nasce in un cestino nella panetteria<br />

<strong>di</strong> mastro Geppetto (che fa il fornaio ed, essendo socialista, è perseguitato<br />

dalle Camicie Nere), viene educato dalla demi-mondaine Brunilde (che<br />

funge da Fata Turchina), si azzuffa con i fascisti, è catturato e portato davanti<br />

a Mussolini, che lo adotta volendosene servire per la sua propaganda e soprattutto<br />

per suscitare l’invi<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Hitler. Quin<strong>di</strong> è il protagonista Copernicus<br />

che si trasforma nel personaggio collo<strong>di</strong>ano, entrando nelle pagine del ro-<br />

28 Nel quale la fantasia dell’autore si sbizzarrisce in straor<strong>di</strong>narie etimologie: il nome Pinocchio<br />

viene scomposto in Πυ´νδαξ, “fondo <strong>di</strong> vaso”, e oculus, “occhio”, a significare Fondo <strong>di</strong><br />

Occhio, per in<strong>di</strong>care uno che guarda il mondo con sguardo me<strong>di</strong>tativo, profondo, dal fondo dell’occhio<br />

(p. 15).<br />

29 Aleksej Tolstoj, Il compagno Pinocchio, trad. <strong>di</strong> Luigi Garzone, E<strong>di</strong>zioni Stampa Alternativa,<br />

Roma 1992 3 . Sulla versione <strong>di</strong> Tolstoj vd. l’analisi in Piero Zanotto, Pinocchio nel<br />

mondo, E<strong>di</strong>zioni Paoline, Torino 1990, pp. 68-78.<br />

– 298 –


manzo che sta scrivendo, e vive le folli avventure del suo Pinocchio, saltando<br />

pro<strong>di</strong>giosamente in epoche <strong>di</strong>verse, tra la Roma degli anni Trenta e la<br />

Parigi e la New York contemporanee: Copernicus-Pinocchio, iniziato da un<br />

falso prete alla dottrina marxista, <strong>di</strong>venta quin<strong>di</strong> una spia dei socialisti, si introduce<br />

nella corte del re Vittorio Emanuele (detto Spadetta) ed entra nelle<br />

sue grazie, partecipa a un complotto contro Mussolini ma si rifiuta all’ultimo<br />

momento <strong>di</strong> ucciderlo riconoscendo in lui un padre putativo, segue il Duce a<br />

Salò e scampa alla fucilazione dei gerarchi, e poi, dopo una ulteriore serie <strong>di</strong><br />

peripezie, finisce la sua carriera in America, premiato dalla fortuna con l’elezione<br />

a senatore del Texas. Come si vede, un pastiche letterario dallo scoperto<br />

gioco <strong>di</strong>ssacratorio, certamente stravagante ma anche alquanto pretestuoso<br />

e presuntuoso (per le numerose citazioni colte) nella trama e negli<br />

episo<strong>di</strong>: il <strong>di</strong>vertente è che, pur catapultato nelle situazioni più improbabili, il<br />

burattino, tutt’altro che ingenuo, conserva un’allegra faccia tosta (incarnando,<br />

potremmo <strong>di</strong>re, lo spirito <strong>di</strong> Lucignolo assieme a quello <strong>di</strong> Franti) che<br />

si coniuga a una attivissima, vitalistica joie de vivre. Da ultimo, ricor<strong>di</strong>amo il<br />

“<strong>di</strong>vertimento” <strong>di</strong> Beniamino Placido, Le <strong>di</strong>savventure <strong>di</strong> Pinocchio, scritto<br />

in occasione del centenario collo<strong>di</strong>ano: 30 Pinocchio è deciso a restare burattino<br />

e inoltra un’istanza al Tribunale per i Minorenni <strong>di</strong> Roma affinché sia<br />

espunto da tutte le copie del romanzo <strong>di</strong> Collo<strong>di</strong> il capitolo 36°, quello della<br />

sua trasformazione in ragazzino perbene. In risposta il Tribunale <strong>di</strong>spone una<br />

perizia psichiatrica e una controperizia sul burattino, richiede un parere al<br />

Pontificio Istituto Biblico sulle implicazioni cristologiche delle Avventure <strong>di</strong><br />

Pinocchio e commissiona un rapporto al CENSIS sul significato sociale del<br />

fenomeno Pinocchio. Il caso provoca tale clamore nella pubblica opinione<br />

che viene istituita ad hoc una Commissione Parlamentare d’Inchiesta,<br />

mentre Pinocchio finisce intervistato in una trasmissione RAI, “Alla ricerca<br />

dell’Arca”, dal giornalista Mino Damato, il quale gli propone <strong>di</strong> accettare<br />

come Fata Turchina una serie <strong>di</strong> note giornaliste e da ultimo l’attrice Sandra<br />

Milo. È evidente anche in questo testo l’intento satirico dell’autore, noto anglista<br />

e critico televisivo, su famosi personaggi del mondo dello spettacolo.<br />

Ancora nella letteratura minore, frequenti sono i casi <strong>di</strong> romanzi che,<br />

quando il loro autore è assurto a pubblica notorietà, hanno prima o poi generato<br />

una serie <strong>di</strong> continuazioni, quale consapevole sfida al modello lanciata<br />

30 Beniamino Placido, Le <strong>di</strong>savventure <strong>di</strong> Pinocchio, in Tre <strong>di</strong>vertimenti, Il Mulino, Bologna<br />

1990, pp. 45-81.<br />

– 299 –


dagli epigoni: al lettore giu<strong>di</strong>care della vali<strong>di</strong>tà dei testi epigonici rispetto al<br />

capostipite. Per fare un primo esempio, Le avventure <strong>di</strong> Gordon Pym <strong>di</strong><br />

Edgar Allan Poe (1838) hanno avuto una continuazione con La sfinge dei<br />

ghiacci <strong>di</strong> Jules Verne (1897), in chiave razionale e positivistica, e con Le<br />

montagne della follia <strong>di</strong> Howard Phillips Lovecraft (1931), in chiave orrorifica<br />

ed esoterica. 31 Da Il conte <strong>di</strong> Montecristo <strong>di</strong> Alexandre Dumas (1844)<br />

sono state tratte almeno tre ulteriori versioni: quella <strong>di</strong> Jules Verne in Mathias<br />

Sandorf (1885), 32 che rielabora la vicenda dumasiana ambientandola tra<br />

i patrioti ungheresi in lotta contro il dominio austriaco, quella decisamente<br />

fantascientifica <strong>di</strong> Destinazione stelle, scritto da Alfred Bester (il cui protagonista,<br />

Gulliver Foyle, ossessionato dalla vendetta contro gli uomini che lo<br />

hanno abbandonato dentro un relitto spaziale, ricalca il carattere <strong>di</strong> Edmond<br />

Dantès), 33 quella in chiave <strong>di</strong> intrigo giallo-erotico-politico de Il caso Montecristo<br />

<strong>di</strong> Enzo Russo (Mondadori, Milano 1976). Robinson Crusoe <strong>di</strong> Daniel<br />

Defoe (1719), con il suo ottimistico messaggio del dominio della Tecnica<br />

sulla Natura, ha generato, nell’Ottocento e dopo, numerose imitazioni, delle<br />

quali la prima, a quanto ricor<strong>di</strong>amo, è La famiglia Robinson del pastore protestante<br />

Johann David Wyss (1812), storia <strong>di</strong> una famiglia <strong>di</strong> svizzeri, gli<br />

Zermatt, approdati su una terra deserta, che essi battezzano Nuova Svizzera.<br />

34 Jules Verne ha rifatto il verso a Defoe in almeno due romanzi: La<br />

scuola dei Robinson (1882), 35 nel quale un eccentrico miliardario fa rivivere<br />

l’esperienza <strong>di</strong> Robinson Crusoe al proprio sfaccendato nipote, che ha mandato<br />

capricciosamente all’aria il matrimonio per fare il giro del mondo, e Seconda<br />

patria (1900), 36 una brillante continuazione delle avventure della famiglia<br />

Zermatt, a cui si aggiungono i coniugi inglesi Wolston, nella terra<br />

della Nuova Svizzera. Anche il nostro Emilio Salgari ha voluto omaggiare<br />

31 Per le continuazioni <strong>di</strong> Verne e Lovecraft, vd. il mio articolo Fantastica Antartide, in<br />

«Abstracta», n. 48, 1990, pp. 70-77. Sul romanzo <strong>di</strong> Verne vd. Luca Guelfi, Jules Verne e le Terre<br />

Polari, testo <strong>di</strong>sponibile sul sito del Centro stu<strong>di</strong> storici sul territorio e il paesaggio Alexander<br />

von Humboldt all’in<strong>di</strong>rizzo www.storicipaesaggi.blogspot.com<br />

32 Jules Verne, Mathias Sandorf, trad. <strong>di</strong> Franca Gambino, Mursia, Milano 1990.<br />

33 Alfred Bester, Destinazione stelle, trad. <strong>di</strong> Luciano Torri, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1976.<br />

34 Sulle operazioni <strong>di</strong> riscrittura del Robinson Crusoe vd. Roberto De Romanis, Di alcune<br />

“robinsonate” dei nostri tempi, in Riscritture, cit., pp. 81-103.<br />

35 Jules Verne, La scuola dei Robinson – Il Raggio Verde, trad. <strong>di</strong> Giuseppe Mina, Mursia,<br />

Milano 1986.<br />

36 Jules Verne, Seconda patria, trad. <strong>di</strong> Vincenzo Brinzi, Mursia, Milano 1981. Anche<br />

L’isola misteriosa risente non poco del modello <strong>di</strong> Defoe: su questo romanzo vd. Beril Becker,<br />

Jules Verne il viaggiatore della fantasia, trad. <strong>di</strong> Elsa Ducci, Mursia, Milano 1974, pp. 157-174.<br />

– 300 –


Defoe con I Robinson italiani (1897): 37 qui un gruppo “transnazionale” <strong>di</strong> novelli<br />

Robinson (un veneziano, un genovese, un napoletano e un maltese),<br />

dopo l’affondamento della loro nave, approda su un’isola del Pacifico e rivive<br />

le avventure <strong>di</strong> Alexander Selkirk, nel segno dell’esotismo salgariano.<br />

E poi non mancano i Robinson della fantascienza, ossia gli astronauti che approdano<br />

su pianeti sconosciuti e/o inospitali, come in Prigioniero del silenzio<br />

<strong>di</strong> Rex Gordon (1957), ove il protagonista, naufragato su Marte, rivive esplicitamente<br />

l’esperienza <strong>di</strong> Selkirk (“Quella fu la prima volta in cui pensai alla<br />

mia situazione come a quella <strong>di</strong> Robinson Crusoè”, narra l’astronauta), 38 e in<br />

Un’o<strong>di</strong>ssea marziana (1934) <strong>di</strong> Stanley G. Weinbaum, in cui l’astronauta che<br />

esplora il deserto marziano incontra un in<strong>di</strong>geno alieno, dalla forma <strong>di</strong><br />

struzzo. 39 E, ancora, la vicenda <strong>di</strong> Robinson è stata rielaborata nel Novecento<br />

anche in chiave <strong>di</strong> utopia negativa da William Gol<strong>di</strong>ng con Il signore delle<br />

mosche (1954): 40 qui un gruppo <strong>di</strong> bambini inglesi fa naufragio, dopo un incidente<br />

aereo, su un’isola deserta del Pacifico e, privo <strong>di</strong> una guida adulta, degenera<br />

fino a <strong>di</strong>ventare un’orda <strong>di</strong> piccoli selvaggi sanguinari. 41<br />

37 Emilio Salgari, I Robinson italiani, E<strong>di</strong>zioni Paoline, Roma 1974. Sulle affinità e le <strong>di</strong>fferenze<br />

tra Salgari e Verne vd. Bruno Traversetti, Introduzione a Salgari, Laterza, Roma-Bari<br />

1989, pp. 34-37.<br />

38 Rex Gordon, Prigioniero del silenzio (“Classici Fantascienza”, n. 27), trad. <strong>di</strong> Beata<br />

della Frattina, Il titolo originale, No Man Friday, è un esplicito omaggio a Defoe.<br />

39 Stanley G. Weinbaum, Un’o<strong>di</strong>ssea marziana, in Un’o<strong>di</strong>ssea marziana e altre storie, trad.<br />

<strong>di</strong> Viviana Viviani, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 2001.<br />

40 William Gol<strong>di</strong>ng, Il signore delle mosche, trad. <strong>di</strong> Filippo Donini, Mondadori, Milano<br />

1980.<br />

41 Ulteriori esempi <strong>di</strong> celebri personaggi della letteratura minore ripresi, dopo la morte dei<br />

loro autori, da scrittori che ne hanno continuato le avventure possono agevolmente rinvenirsi<br />

nei generi del giallo e delle spy-stories: citiamo per tutti i mitici Sherlock Holmes e James<br />

Bond, l’agente 007. Il detective creato da sir Arthur Conan Doyle è tornato a rivivere in decine<br />

<strong>di</strong> romanzi e racconti <strong>di</strong> autori “sherlockiani”, che hanno inteso così omaggiare il grande scrittore<br />

scozzese. Tra i numerosissimi testi ricor<strong>di</strong>amo l’antologia <strong>di</strong> casi “fantascientifici” <strong>di</strong><br />

Holmes: Sherlock Holmes nello spazio e nel tempo, a cura <strong>di</strong> Isaac Asimov, Martin Harry<br />

Greenberg e Charles Waugh, Mondadori, Milano 1990. Una serie <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>e in forma “teatrale”<br />

sul personaggio <strong>di</strong> Conan Doyle si deve all’umorista francese Cami (Pierre Louis Adrien Cami,<br />

1884-1958), Le avventure <strong>di</strong> Lufock Holmes (a cura <strong>di</strong> Roberto Pirani, Sellerio e<strong>di</strong>tore, Palermo<br />

19892 ). Per quanto riguarda il celebre agente segreto 007, le avventure <strong>di</strong> James Bond sono state<br />

continuate, dopo la morte del suo creatore, lo scrittore inglese Ian Fleming (1908-1964), da<br />

Kingsley Amis, John Gardner e Raymond Benson. Una paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> James Bond è James Bond:<br />

Missione Tacchi a spillo <strong>di</strong> Cyril Connelly (Bond strikes Camp, 1963), trad. <strong>di</strong> Amedeo Poggi,<br />

Rosellina Archinto, Milano 1993: questa volta l’agente segreto, per esigenze <strong>di</strong> servizio, deve<br />

sedurre en travesti un generale sovietico. Sui molteplici aspetti del personaggio creato da Fleming<br />

riman<strong>di</strong>amo alla fondamentale raccolta <strong>di</strong> saggi Il caso Bond, a cura <strong>di</strong> Oreste del Buono e<br />

– 301 –


Venendo ai Promessi Sposi e alle sue continuazioni, un maestro della<br />

moderna satira <strong>di</strong> costume come Ennio Flaiano, ad in<strong>di</strong>care la scarsa preparazione<br />

culturale dei produttori cinematografici e la loro attitu<strong>di</strong>ne a realizzare<br />

prodotti seriali sfruttando un’idea fino all’esaurimento, presenta uno <strong>di</strong><br />

questi, tale Massaciuccoli, che, dopo aver letto entusiasticamente I Promessi<br />

Sposi durante un riposo forzato, si stupisce <strong>di</strong> non trovare all’e<strong>di</strong>cola<br />

il seguito del romanzo. 42 In realtà anche I Promessi Sposi hanno avuto nell’Ottocento<br />

i loro continuatori, modesti artigiani della penna che si sono cimentati<br />

a narrare le vicende della famiglia <strong>di</strong> Renzo e Lucia, come Antonio<br />

Balbiani. 43<br />

A noi però interessa più da vicino la riscrittura, fenomeno a cui un romanzo<br />

come I Promessi Sposi non poteva non essere estraneo: la straor<strong>di</strong>naria<br />

fortuna del romanzo è attestata anche dai rifacimenti apparsi successivamente,<br />

quasi tutti in chiave ironico-paro<strong>di</strong>stica. 44 Pensiamo, anzitutto, a<br />

una celebre e assai <strong>di</strong>scussa paro<strong>di</strong>a (ma oggi caduta pressoché nell’oblio, e<br />

ristampata soltanto per iniziativa <strong>di</strong> piccole case e<strong>di</strong>trici), dovuta a Guido da<br />

Verona, che, scritta nel 1929 e uscita l’anno successivo, tanto scandalo<br />

suscitò in quei tempi, cadendo sotto le maglie dell’occhiuta censura fascista<br />

per le audaci descrizioni nonché per certe spregiu<strong>di</strong>cate e temerarie allusioni<br />

al regime e alla Chiesa cattolica, e valse all’autore, negli anni Dieci e<br />

Venti popolarissimo, l’ostracismo da parte dell’e<strong>di</strong>toria italiana, praticamente<br />

fino alla morte. 45 I Promessi Sposi <strong>di</strong> Alessandro Manzoni e Guido<br />

da Verona (l‘autore volle mettere provocatoriamente, accanto al suo, il<br />

nome del grande Lombardo, sulla copertina del volume nella prima e<strong>di</strong>-<br />

Umberto Eco (presente con il famoso saggio Le strutture narrative in Fleming, pp. 73-122), Bompiani,<br />

Milano 1965. Altri testi: Antonello Sarno, Il mio nome è Bond.Viaggio nel mondo <strong>di</strong> 007,<br />

E<strong>di</strong>trice Il Castoro, Milano 1996; Guida completa a James Bond, 007 da Licenza <strong>di</strong> uccidere a<br />

Il mondo non basta, a cura <strong>di</strong> Fabio Giovannini, l’Unità Iniziative E<strong>di</strong>toriali, Roma 2000.<br />

42 Ennio Flaiano, Un convegno (1957), in La solitu<strong>di</strong>ne del satiro, in Opere. Scritti postumi,<br />

a cura <strong>di</strong> Maria Corti e Anna Longoni, Bompiani, Milano 2001, pp. 563-565.<br />

43 Sui riecheggiamenti, le continuazioni e le imitazioni del romanzo manzoniano riman<strong>di</strong>amo<br />

a Angelo Stella, Alessandro Manzoni, in Storia della Letteratura Italiana, <strong>di</strong>retta da Enrico<br />

Malato, vol. VII (14) Il primo Ottocento, parte II Da Manzoni a De Sanctis, e<strong>di</strong>zione speciale<br />

per Il Sole 24 ORE, su lic. Salerno e<strong>di</strong>trice, Milano 2005, pp. 714-719.<br />

44 Sulle paro<strong>di</strong>e dei Promessi Sposi vd. Gino Tellini, Rifare il verso, cit., pp. 111-122.<br />

45 Su Guido da Verona: Antonio D’Orrico, A lui l’hanno rovinato I Promessi Sposi, in<br />

«Magazine» n.50, suppl. «Corriere della Sera», 15 <strong>di</strong>cembre 2005, pp. 147-151; Paolo Albani,<br />

Delle correzioni che non finiscono mai e <strong>di</strong> alcune bizzarre riscritture, in “GriseldaOnline”,<br />

numero VII, <strong>2007</strong>-2008 (testo accessibile all’in<strong>di</strong>rizzo: www.storicipaesaggi.blogspot.com).<br />

– 302 –


zione, stampata dalla Società E<strong>di</strong>trice Unitas <strong>di</strong> Milano nel 1930) era in effetti<br />

un testo troppo all’avanguar<strong>di</strong>a per quei tempi, anche in un genere<br />

come quello satirico, che godeva <strong>di</strong> una pur limitata tolleranza da parte del<br />

regime (come mostra la pubblicazione in quegli anni del perio<strong>di</strong>co Marc’Aurelio):<br />

sebbene l’intenzione fosse stata soltanto quella <strong>di</strong> “rifare la<br />

storia d’amore del Manzoni con lo stile del cantore <strong>di</strong> Bluette”, come precisa<br />

Guido da Verona nell’introduzione, 46 più che un romanzo umoristico il<br />

libro alla fine risultò una vera e propria <strong>di</strong>ssacrazione, in stile hard core dell’epoca,<br />

<strong>di</strong> uno dei “testi sacri” della scuola e della nazione italiana. 47 In effetti<br />

Guido da Verona non ha la mano leggera nelle descrizioni, ad esempio,<br />

degli slanci amorosi <strong>di</strong> Lucia (trasformata da “piagnucolosa bifolcherella”<br />

48 a seduttrice appassionata e sensuale), vivacizzandoli con ar<strong>di</strong>ti (per<br />

quei tempi) dettagli, che non dovevano mancare <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertire e, soprattutto,<br />

scandalizzare i lettori benpensanti; si veda il brano seguente, in cui lo scrittore<br />

dà la sua versione del cap. III dei Promessi Sposi, quello in cui Lucia<br />

rivela alla madre Agnese e a Renzo le ragioni della minacciosa intimazione<br />

<strong>di</strong> don Rodrigo al curato:<br />

Lucia entrò nella stanza terrena mentre Renzo stava angosciosamente informando<br />

Agnese, la quale angosciosamente lo ascoltava.<br />

– Ehm! Ehm! – <strong>di</strong>ceva la scaltra Agnese, scuotendo il capo a tutte le buone<br />

ragioni che le andava snocciolando il fidanzato; – qui gatta ci cova!<br />

Renzo trasse fuori l’astuccio delle sigarette; accese una Macedonia, poi, <strong>di</strong>strattamente,<br />

ne offerse una alla devota Agnese.<br />

– Grazie, non fumo, – rispose costei, con un tono che non ammetteva repliche.<br />

– Se non vi spiace <strong>di</strong> offrirne una anche a me, – <strong>di</strong>sse Lucia, – la fumerei più che<br />

volentieri.<br />

Il fidanzato non sapeva rifiutarle nulla; tosto le passò la propria, che Lucia si<br />

mise tra le labbra con l’elegante garbo <strong>di</strong> una provetta fumatrice. Frattanto canticchiava<br />

l’aria <strong>di</strong> Ramona, e ne accennava con la punta dei pie<strong>di</strong> il ritmo irresistibile.<br />

46 Guido da Verona, intr. a I Promessi Sposi, Otto/Novecento, Milano 2008, p. 30. Il testo è<br />

stato precedentemente ristampato dalla E<strong>di</strong>trice La Vela, Modena 1976, e da La Vita Felice, Milano<br />

1998.<br />

47 Ha ben notato Max Bruschi, a proposito dei proce<strong>di</strong>menti paro<strong>di</strong>zzanti usati da Guido da<br />

Verona, l’attualizzazione del contesto temporale e la satira, a tratti anche feroce, del fascismo,<br />

vd. Max Bruschi, intr. a Guido da Verona, I Promessi Sposi, cit., pp. 14-16.<br />

48 Così la definisce Guido da Verona, intr., p. 26, riservando lo<strong>di</strong> entusiaste, com’è ovvio, a<br />

Gertrude (“Questa Signora, per mio conto, vale una dozzina <strong>di</strong> Lucie; ne vale tante, quante<br />

volte è <strong>di</strong> lei più donna, più signora, più monaca e più amante”, ibid.).<br />

– 303 –


Agnese, benché zotica, benché incolta, era tutta in ammirazione <strong>di</strong> questa sua elegante<br />

e galante figliuola, che mostrava le migliori <strong>di</strong>sposizioni per <strong>di</strong>venire un<br />

numero eccezionale da caffè-concerto. Volle far la burbera, ma si vedeva che il<br />

suo sdegno non era troppo sincero.<br />

– Fatto sta, – <strong>di</strong>sse Agnese, – che né io né il tuo fidanzato, sappiamo ancora come<br />

si siano svolte le cose.<br />

– Ora vi <strong>di</strong>rò tutto, – rispose Lucia, fingendo <strong>di</strong> rasciugarsi una lacrima col rovescio<br />

della mano. – L’origine <strong>di</strong> tutto questo risale a qualche tempo fa, quando ancora<br />

lavoravo alla filanda. Poiché non mi riusciva, con quegli orribili zoccoli, <strong>di</strong><br />

camminar spe<strong>di</strong>ta come le mie compagne, spesso, al ritorno dall’opificio, mi accadeva<br />

<strong>di</strong> rimanere un pezzo in<strong>di</strong>etro, e poiché la strada era lunga, non <strong>di</strong> rado mi<br />

toccava compierla da sola. Come andò, come non andò, a un certo punto dal cammino<br />

vedevo sempre un’automobile ferma – credo fosse una Chrysler modello 70<br />

– guidata da un signore non più <strong>di</strong> primissimo pelo, però vestito con eleganza e <strong>di</strong><br />

mo<strong>di</strong> assai compiti. Egli, per risparmiarmi quel lungo tratto <strong>di</strong> strada, molto cortesemente,<br />

non appena mi vedeva giungere, balzava giù dal volante e m’invitava a<br />

salire nella sua macchina. In principio, vi giuro mamma, ho resistito con tutte le<br />

mie forze. Ma se sapeste che <strong>di</strong>fferenza corre tra il fare quattro o cinque chilometri<br />

a pie<strong>di</strong>, e farli invece in una comoda automobile che tiene magnificamente<br />

la strada, non dà scosse, e fa tutte le salite in quarta, credo che anche voi, mamma,<br />

ne’ miei panni, avreste finito con profittare della buona occasione.<br />

– E dove ti conduceva poi quel signore <strong>di</strong> così elevati sentimenti? – volle sapere<br />

Agnese.<br />

– Mi conduceva sino alle prime case del nostro paesello, dove, galantemente,<br />

togliendosi il berretto dal capo, mi baciava la punta delle <strong>di</strong>ta e mi <strong>di</strong>ceva, con<br />

una squisita galanteria da uomo <strong>di</strong> mondo: A domani, se permette, signorina.<br />

– E tu? – insistette Agnese.<br />

– E io, che volete, mamma... gli lasciavo comprendere con un mezzo sorriso che<br />

una ragazza, se non è una stupida, non può aver la passione <strong>di</strong> andare a pie<strong>di</strong>.<br />

Frattanto, ogni giorno, mi portava qualche regaluccio, e mi parlava del suo amore<br />

per me, con termini talmente rispettosi, che io, qualche volta, ero lì lì per <strong>di</strong>rgli:<br />

«Ma si faccia coraggio! non abbia tanti peli sulla lingua! si spieghi con un<br />

esempio...»<br />

– Nespole! – brontolò Agnese; – a tua madre non <strong>di</strong>r niente d’una cosa simile!<br />

Ma non lo sai, figliuola, che al giorno d’oggi, <strong>di</strong> signori così ben educati, se ne<br />

trovano pochini? E francamente – scusate veh, Renzo! – se avessi mai creduto<br />

che una fortuna simile potesse capitare a mia figlia, vi avrei pregato <strong>di</strong> ritirarvi in<br />

buon or<strong>di</strong>ne, e <strong>di</strong> sposare una ragazza del vostro rango. Noi, come vedete bene,<br />

siamo donne venute al mondo per andare in auto con la nobiltà.<br />

Renzo si arricciò i mostacci, sputò via furiosamente la sigaretta, poi <strong>di</strong>sse con un<br />

cipiglio truce: – Questa è l’ultima che mi fa quell’assassino!<br />

Lucia, che non sapeva per qual verso prenderlo, gli mise un braccio intorno al<br />

collo, gli appiccicò le labbra su le labbra, gli fece passare nell’interstizio della<br />

bocca la puntina umida della sua dolcissima lingua, poi gli mormorò in un sospirone:<br />

– Lo sai bene, cocotino mio, che per me al mondo non ci sei che tu!...<br />

– 304 –


Renzo <strong>di</strong>venne tosto mansueto come un pulcino, mentre su la bocca gli rimaneva<br />

impresso il cerchio purpureo delle labbra <strong>di</strong> Lucia. E questa, con un sospiro<br />

ancor più profondo, non tralasciò <strong>di</strong> aggiungere:<br />

– Vero è, mamma, che un tal segreto mi pesava notte e giorno sul cuore. Se con<br />

voi non ebbi coraggio <strong>di</strong> aprirmene, un bel dì, con l’auto del signor don Rodrigo,<br />

mi feci condurre a Pescarenico, e mi liberai del mio segreto, raccontando subito...<br />

– A chi hai raccontato? – domandò Agnese, in grande angustia, certo per il timore<br />

che le cattive lingue dei <strong>di</strong>ntorni trovassero il mezzo <strong>di</strong> mandare in fumo la<br />

grande fortuna che stava per toccare a sua figlia. 49<br />

Ammettiamolo: Lucia, in quella posa da maliarda fumatrice, sembra<br />

uscita da un quadro <strong>di</strong> Tamara de Lempicka. Ritratta da da Verona in modo<br />

sfacciatamente procace come le eroine dei suoi romanzi popolari, anticipa<br />

nella mentalità e nell’atteggiamento il personaggio boccaccesco in cui la<br />

trasforma la successiva paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Piero Chiara: il suo destino, nella versione<br />

daveroniana, è quello, dopo aver risvegliato i sopiti sensi <strong>di</strong> un ultracentenario<br />

Innominato, <strong>di</strong> finire in una casa d’appuntamenti <strong>di</strong> via Ta<strong>di</strong>no,<br />

gestita da donna Prassede. La madre Agnese, dal canto suo, veste i panni <strong>di</strong><br />

un’astuta ruffiana in pro della figlia, mentre Renzo vi fa la figura del povero<br />

allocco. La Chrysler <strong>di</strong> don Rodrigo, ritratto peraltro come un galante<br />

viveur, una sorta <strong>di</strong> Porfirio Rubirosa degli anni Venti, contribuisce a creare<br />

un contesto <strong>di</strong> gusto tra il surreale e il goliar<strong>di</strong>co, tipico della riscrittura <strong>di</strong><br />

da Verona, che volle adattare un testo nato ai tempi delle <strong>di</strong>ligenze a un<br />

mondo dove corrono le automobili. 50<br />

Ma vi è anche il gusto per il gioco <strong>di</strong> parole, per l’attorcigliamento<br />

verbale, per l’iperbole anche linguistica. Si veda il modo deliziosamente<br />

surreale con cui Guido da Verona riscrive la storia del giovane Lodovico, il<br />

futuro fra Cristoforo, e del tragico incontro con il nobile prepotente (cap. IV<br />

dei Promessi Sposi), facendo recitare le battute del <strong>di</strong>alogo ai cani che i<br />

due portano a passeggio. Qui la causa che provoca il fatale duello è una<br />

questione <strong>di</strong> precedenza... canina:<br />

Egli (scil. Lodovico) era figlio <strong>di</strong> mercanti arricchiti, che gli avevan trasmesso,<br />

con un buon sacco <strong>di</strong> quattrini, la voglia <strong>di</strong> far parte della nobiltà. Ma la nobiltà<br />

faceva orecchio da mercante, a costui che aveva l’ambizione <strong>di</strong> potersi ricamar<br />

sui fazzoletti un leone rampante, una biscia contorta, tre anelli fissati insieme con<br />

la saldatura autogena, o qualche altra armeria del tenor <strong>di</strong> queste, che la plebe<br />

ammira nei blasoni della nobiltà.<br />

49 Guido da Verona, I Promessi Sposi, cit., pp. 55-57.<br />

50 Così Antonio D’Orrico, A lui l’hanno rovinato I Promessi Sposi, cit., p. 150.<br />

– 305 –


Bocciato per ben due volte al club dei nobili, e tenuto da costoro in conto d’un<br />

personaggio <strong>di</strong> bassa estrazione, Lodovico se l’era legata al <strong>di</strong>to, e non bramava<br />

che <strong>di</strong> rintuzzar l’orgoglio d’alcuno <strong>di</strong> que’ nobiluomini, tanto più ch’egli aveva<br />

un carattere cachettico.<br />

Andava or egli un giorno per una strada della sua città, seguito dal suo fedel<br />

cane, che si chiamava Cristoforo, ed era un bel bassotto, <strong>di</strong> quelli da scavare i tartufi,<br />

lungo e sgangherato come un trenino a vapore. Vide Lodovico spuntar da<br />

lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore <strong>di</strong> professione, il quale s’avanzava<br />

<strong>di</strong>ritto, con passo superbo, con la fronte alta, seguìto egli pure da un cagnozzo<br />

che certo era un bastardo, se pur non lo era il suo stesso padrone. Tutt’e<br />

due, cioè tutt’e quattro, cani e padroni, camminavan rasente il muro, Lodovico<br />

tenendo la sua destra, l’altro la mancina. Accostati l’un l’altro che si furono, il<br />

bassotto non intendeva punto <strong>di</strong> cedere al bastardo la destra, né quest’ultimo <strong>di</strong><br />

scansarsi nel mezzo della strada per far passare il can d’un plebeo; ed ambi e<br />

quattro ringhiavano furiosamente.<br />

– Fate luogo al mio bull-dog inglese, che ha tanto <strong>di</strong> certificato del Kennel Club,<br />

– <strong>di</strong>sse con cipiglio imperioso il signor tale, e con un tono corrispondente <strong>di</strong> voce.<br />

– Faccia luogo il vostro bastardo! – rispose Lodovico. – La <strong>di</strong>ritta è del mio bassotto.<br />

– Co’ vostri pari è sempre mia.<br />

– Sì, se l’arroganza de’ vostri pari fosse legge per i pari miei.<br />

Frattanto il bassotto ed il bull-dog, con il vello irto e co’ denti <strong>di</strong>grignati, si scambiavano<br />

feroci contumelie, facendo <strong>di</strong> tempo in tempo, su lo zoccolo del muro,<br />

qualche gocciolino <strong>di</strong> pipì. La gente che arrivava <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là si teneva a <strong>di</strong>stanza<br />

ad osservare il fatto.<br />

– Nel mezzo vile meccanico! – <strong>di</strong>sse il bull-dog al bassotto, raspando furiosamente<br />

la terra; – o ch’io t’insegni una volta come si tratta co’ gentiluomini.<br />

– Voi mentite ch’io sia vile! – rispose il bassotto al bull-dog.<br />

– Tu menti ch’io abbia mentito!<br />

– La tua menzogna è <strong>di</strong> andar mentendo ch’io menta nel non smentire che tu<br />

abbia mentito!<br />

– Se io mentissi nell’affermare che tu menti, allorché <strong>di</strong>ci menzogna nel <strong>di</strong>re<br />

ch’io vada mentendo, non io mentirei, ma tu mentiresti, nel non smentire ch’io<br />

abbia mentito.<br />

Questo frasario era <strong>di</strong> prammatica, tra persone che avessero letto il manuale del<br />

Gelli.<br />

Così andarono avanti per una buona mezz’ora finché sul posto si furono radunate<br />

non meno <strong>di</strong> un<strong>di</strong>cimila persone, compreso il Podestà, gli Assessori del Broletto,<br />

il Comandante dei Civici Pompieri e il Corpo <strong>di</strong> ballo della Scala. 51<br />

Ricor<strong>di</strong>amo, poi, i Promessi Sposi <strong>di</strong> Piero Chiara, riscritti in forma <strong>di</strong><br />

sceneggiatura per un film che non si fece, tra il 1970 e il 1971: il piccolo<br />

51 Guido da Verona, I Promessi Sposi, cit., pp. 62-63.<br />

– 306 –


mondo lombardo è descritto a tinte forti, all’insegna <strong>di</strong> una vitalistica e<br />

spregiu<strong>di</strong>cata carnalità (tanto per rendere l’idea, Lucia, prosperosa conta<strong>di</strong>notta<br />

nella versione bassaniana, non appare affatto insensibile alle lusinghe<br />

<strong>di</strong> don Rodrigo né al maturo fascino dell’Innominato, mentre Renzo, ribattezzato<br />

Renzo Brambilla, all’osteria della Luna Piena si consola con la<br />

Schiscianûs, “la più bella barbisa <strong>di</strong> Milano”). 52 Avverte nell’introduzione<br />

Ferruccio Parazzoli che Chiara non voleva che il suo lavoro potesse essere<br />

scambiato per una paro<strong>di</strong>a: nelle intenzioni dello scrittore il suo testo doveva<br />

essere il romanzo che avrebbe scritto Manzoni, se fosse vissuto ai nostri<br />

giorni. 53 Soltanto che il riuso <strong>di</strong> citazioni manzoniane in contesti che alterano<br />

spregiu<strong>di</strong>catamente l’originale, rende la sceneggiatura <strong>di</strong> Chiara assai<br />

simile a una vera e propria paro<strong>di</strong>a, che molto concede al boccaccesco. Si<br />

veda come viene rielaborata la <strong>di</strong>sputa tra il podestà e il conte Attilio, assisi<br />

al banchetto <strong>di</strong> don Rodrigo, sulla questione se fosse lecito o no percuotere<br />

l’ambasciatore dell’avversario (cap. V dei Promessi Sposi):<br />

CONTE ATTILIO (riprendendo un <strong>di</strong>scorso interrotto all’arrivo del frate e<br />

rivolgendosi al Podestà che ha <strong>di</strong> fronte) - Il Tasso, signor Podestà riverito, era<br />

un uomo che <strong>di</strong> donne non se ne intendeva: era un poeta, un chiacchierone...<br />

PODESTÀ - Ah, non se ne intendeva, non se ne intendeva uno che scriveva <strong>di</strong><br />

questi versi? Mi stia a sentire signor Conte. Statemi a sentire tutti, che li so a<br />

memoria:<br />

Una intanto drizzassi e le mammelle,<br />

e tutto ciò che più la vista alletti,<br />

mostrò dal seno in suso aperto al cielo,<br />

e ’l lago a l’altre membra era un bel velo.<br />

Il Conte Attilio prorompe in una gran risata e si rovescia sullo schienale.<br />

PODESTÀ - Sentite, sentite:<br />

E dolce campo <strong>di</strong> battaglia il letto<br />

siavi, e l’erbetta morbida de’ prati.<br />

CONTE ATTILIO - Ma tutto questo non vuol <strong>di</strong>r niente! È solo poesia. Come<br />

uomo, come uomo <strong>di</strong> carne e ossa – non so se mi spiego – il Tasso era un inconcludente,<br />

un mollaccione, uno che si contentava <strong>di</strong> star a guardare. Infatti non sa<br />

che descrivere, che vedere a <strong>di</strong>stanza: ma le mani sulla polpa, non le mette mai,<br />

per<strong>di</strong>o!<br />

52 I Promessi Sposi <strong>di</strong> Piero Chiara, Mondadori, Milano 1996.<br />

53 Ferruccio Parazzoli, intr. a I Promessi Sposi <strong>di</strong> Piero Chiara, cit., pp. X-XI.<br />

– 307 –


PODESTÀ - Eppure io le <strong>di</strong>co che se ne intendeva! E come!<br />

CONTE ATTILIO - A parole! Voi sapete benissimo, Podestà riverito, che queste<br />

cose, chi le <strong>di</strong>ce non le fa, e chi le fa... non le <strong>di</strong>ce (sbircia prima il cugino poi il<br />

frate).<br />

DON RODRIGO - Ho un’idea: rimettiamo la questione al Padre Cristoforo, e<br />

stiamo alla sua sentenza.<br />

CONTE ATTILIO - Bene, benissimo! 54<br />

Anche la conclusione della storia, come si ricava dalle annotazioni <strong>di</strong><br />

Chiara che lasciò incompiuto il suo lavoro, è in linea con la sua scoperta<br />

(anche se negata dall’autore) <strong>di</strong>mensione paro<strong>di</strong>stica: dopo che donna Prassede<br />

è morta <strong>di</strong> peste, Lucia va in sposa al vecchio, ma ancora aitante, don<br />

Ferrante e <strong>di</strong>venta contessa <strong>di</strong> Linares, mentre il povero Renzo, sempre perdutamente<br />

innamorato della poco fedele già promessa sposa, praticando una<br />

sorta <strong>di</strong> “autocastrazione”, si adatta a impiegarsi come suo cocchiere. 55<br />

Ma, prima ancora dell’uscita della sceneggiatura <strong>di</strong> Chiara, un altro<br />

grande scrittore, Giorgio Bassani, nel 1956 aveva pensato a trattare il romanzo<br />

manzoniano come soggetto per il cinema, su incarico della casa <strong>di</strong><br />

produzione Lux Film. 56 Il critico televisivo Beniamino Placido, in uno dei<br />

suoi “<strong>di</strong>vertimenti” dal significativo titolo I compromessi sposi, ha provato a<br />

far interpretare i personaggi manzoniani a celebri uomini politici della cosiddetta<br />

Prima Repubblica: così, per il ruolo <strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o ha pensato allo<br />

storico e uomo politico repubblicano Giovanni Spadolini, per Lucia al democristiano<br />

Mino Martinazzoli, per Renzo al comunista Achille Occhetto, per<br />

don Rodrigo al socialista Bettino Craxi, per l’Azzeccagarbugli al democristiano<br />

Ciriaco De Mita, per padre Cristoforo al ra<strong>di</strong>cale Marco Pannella, per<br />

la Monaca <strong>di</strong> Monza alla comunista Rossana Rossanda, per il Car<strong>di</strong>nal Federigo<br />

al filosofo Norberto Bobbio, per il Conte Zio, alternativamente, ai democristiani<br />

Giulio Andreotti e Arnaldo Forlani, per donna Prassede alla gior-<br />

54 I Promessi Sposi <strong>di</strong> Piero Chiara, cit., pp. 66-67.<br />

55 Nel finale della versione <strong>di</strong> Chiara troviamo una singolare coincidenza con un celebre film<br />

degli anni Cinquanta, la comme<strong>di</strong>a noir Viale del Tramonto (Sunset Boulevard, 1950) <strong>di</strong> Billy<br />

Wilder, in cui l’ex marito e regista della vecchia e semifolle attrice Norma Desmond (Gloria<br />

Swanson), ossia Eric von Stroheim, ancora innamorato <strong>di</strong> lei, si adatta a farle da autista e maggiordomo,<br />

accompagnando per le loro uscite la donna e il giovane suo amante William Holden.<br />

56 Il testo ricavato dal romanzo si può leggere in Giorgio Bassani, I Promessi Sposi.Un<br />

esperimento, a cura <strong>di</strong> Salvatore Silvano Nigro, Sellerio e<strong>di</strong>tore, Palermo <strong>2007</strong>.<br />

– 308 –


nalista Camilla Cederna, per don Ferrante all’allora Presidente della Repubblica<br />

Francesco Cossiga. 57 L’autore si è dunque servito dei personaggi manzoniani<br />

per fare una satira bonaria sui <strong>di</strong>fetti, soprattutto caratteriali, dei più<br />

noti politici italiani <strong>di</strong> allora, riducendone alcuni a grottesche macchiette<br />

(nello stile, peraltro, del tra<strong>di</strong>zionale giornalismo politico italiano, in cui eccelle,<br />

per citare un maestro del genere, Guido Quaranta), ma senza troppa<br />

cattiveria e sempre conservando il rispetto per la figura istituzionale. Vedasi<br />

il ritratto caricaturale <strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o, interpretato dall’uomo politico repubblicano<br />

e allora Presidente del Senato Giovanni Spadolini:<br />

Cominciamo da don Abbon<strong>di</strong>o. E da chi altri si potrebbe cominciare? È nell’ouverture<br />

del romanzo. Che la nostra sceneggiatura segue scrupolosamente, salvo<br />

qualche lieve spostamento, che ci faremo scrupolo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care.<br />

Per la parte <strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o abbiamo pensato a Giovanni Spadolini. Per la faccia<br />

innanzitutto: come <strong>di</strong>cevamo. E poi, per quella blanda sod<strong>di</strong>sfatta pingue<strong>di</strong>ne,<br />

quella stupefatta lentezza che il lettore dei Promessi Sposi sempre attribuisce al<br />

celebre curato, sin dal momento in cui lo incontra per la prima volta, che «tornava<br />

bel bello dalla passeggiata verso casa: per una <strong>di</strong> quelle stra<strong>di</strong>cciole», eccetera.<br />

C’è poi la rigorosa, religiosa solitu<strong>di</strong>ne, in cui Spadolini vive, al pari <strong>di</strong> don<br />

Abbon<strong>di</strong>o. Anzi, non sappiamo nemmeno se abbia una Perpetua (ve<strong>di</strong> appresso).<br />

C’è poi il breviario. Giovanni Spadolini ce lo immaginiamo sempre con un breviario<br />

in mano. Un bel breviario <strong>di</strong> tela nera con fregi in oro. Nel quale egli non<br />

legge, ma scrive. Perché il Presidente del Senato forse non legge quanto don<br />

Abbon<strong>di</strong>o, ma certamente scrive più <strong>di</strong> lui. E tutto quello che scrive – in bella<br />

calligrafia – è prima o poi coronato da un premio giornalistico-letterario.<br />

C’è infine l’alta carica. Il Presidente del Senato è la seconda autorità dello Stato.<br />

Sostituisce, quando occorre, il Presidente della Repubblica. Conduce – anche<br />

quando non occorre – missioni esplorative che dovrebbero agevolare la soluzione<br />

delle crisi <strong>di</strong> governo.<br />

Deve tenersi istituzionalmente al <strong>di</strong> sopra delle parti. Non è che «il coraggio non<br />

se lo può», non se lo «deve» dare. Deve ricordarsi anzi che «noi poveri curati<br />

siamo fra l’incu<strong>di</strong>ne e il martello». Deve sempre ripetere, come don Abbon<strong>di</strong>o all’arrivo<br />

dei lanzichenecchi: «In una battaglia non mi ci colgono, oh! in una battaglia<br />

non mi ci colgono».<br />

Difficilissimo pertanto cogliere il senatore Spadolini in una battaglia. È il nostro<br />

don Abbon<strong>di</strong>o. 58<br />

E come non ricordare, nel campo del fumetto, anche le paro<strong>di</strong>e del<br />

capolavoro manzoniano interpretate dai personaggi <strong>di</strong> Walt Disney? Dovute<br />

57 Beniamino Placido, I compromessi sposi, in Tre <strong>di</strong>vertimenti, cit., pp. 21-43. Lo scritto era<br />

già apparso su «Mercurio», suppl. «La Repubblica», 11 novembre 1989.<br />

58 Beniamino Placido, I compromessi sposi, cit., pp. 25-26.<br />

– 309 –


alla penna <strong>di</strong> sceneggiatori e <strong>di</strong>segnatori italiani (così come buona parte della<br />

produzione Disney oggi nel mondo), <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>e “fumettistiche” ne sono state<br />

pubblicate ben due: I Promessi Paperi, storia sceneggiata da Eddy Segantini<br />

e <strong>di</strong>segnata da Giulio Chierchini (1976), 59 e I Promessi Topi, sceneggiatura <strong>di</strong><br />

Bruno Sarda e <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Franco Valussi (1989). 60 Caratteristica <strong>di</strong> queste paro<strong>di</strong>e<br />

(o “papero<strong>di</strong>e”), 61 come si afferma nell’introduzione a I Promessi Paperi,<br />

62 è quella <strong>di</strong> aver collocato le storie nel medesimo ambiente spaziotemporale<br />

del romanzo manzoniano: le conseguenze sono aver rafforzato<br />

l’idea che si tratti <strong>di</strong> una storia made in Italy e aver fatto assumere a Paperino<br />

& C. identità “parallele”, staccandoli dalla quoti<strong>di</strong>anità dell’abituale contesto<br />

<strong>di</strong> Paperopoli. Sicché gli autori della paro<strong>di</strong>a hanno calato i personaggi <strong>di</strong>sneyani<br />

nei panni <strong>di</strong> quelli manzoniani, non per riprodurli pe<strong>di</strong>ssequamente<br />

ma per adattarvi le peculiarità caratteriali, i tic e le i<strong>di</strong>osincrasie della Banda<br />

dei Paperi. La storia dei Promesi Paperi s’impernia sul rovesciamento della<br />

celebre scena del matrimonio che apre il romanzo: qui il perfido e ricchissimo<br />

don Paperigo (zio Paperone) intende far sposare l’assidua e ossessionante<br />

corteggiatrice Gertrude da Monz (alias Brigitta), accompagnata nella<br />

versione “paperesca” dal voracissimo e insaziabile servitore don Ciccion<strong>di</strong>o<br />

(Ciccio, il guar<strong>di</strong>ano factotum <strong>di</strong> nonna Papera), al povero e sfortunato menestrello<br />

Paperenzo Strafalcino (Paperino), per liberarsi finalmente <strong>di</strong> lei, e<br />

invia i Bravotti (la Banda Bassotti) per costringere Paperenzo al matrimonio<br />

col minaccioso comando che fa il verso, al contrario, a quello subito da don<br />

Abbon<strong>di</strong>o (“Questo matrimonio s’ha da fare! E al più presto!”). Ma Paperenzo<br />

è già promesso sposo <strong>di</strong> Lucilla Paperella (Paperina): <strong>di</strong>sperato, il menestrello,<br />

dopo aver contenuto a stento l’ansia <strong>di</strong> nozze <strong>di</strong> Lucilla Paperella,<br />

si rivolge all’alchimista Mescolaintrugli (Archimede Pitagorico), che gli fornisce<br />

una ampolla piena <strong>di</strong> “elisir dello sciopero” (un potentissimo effluvio<br />

che toglie le forze a chiunque), onde sventare la minaccia dei Bravotti. Sfor-<br />

59 I Promessi Paperi (“Le gran<strong>di</strong> paro<strong>di</strong>e Disney”, n. 16), The Walt Disney Company Italia,<br />

Milano 1993. La storia è apparsa, in prima e<strong>di</strong>zione, su due numeri <strong>di</strong> «Topolino»: n. 1086, 19<br />

settembre 1976, e n. 1087, 26 settembre 1976.<br />

60 I Promessi Topi (“Le gran<strong>di</strong> paro<strong>di</strong>e Disney”, n. 32), The Walt Disney Company Italia,<br />

Milano 1995. La storia è apparsa, in prima e<strong>di</strong>zione, su tre numeri <strong>di</strong> «Topolino»: n. 1769, 22<br />

ottobre 1989, n. 1770, 29 ottobre 1989, e n. 1771, 5 novembre 1989.<br />

61 Così le chiama Gino Frezza, nel saggio Il fumetto, in Letteratura italiana, <strong>di</strong>retta da Alberto<br />

Asor Rosa, vol. 12 L’età contemporanea – Letteratura <strong>di</strong> massa, La Biblioteca <strong>di</strong> Repubblica<br />

– L’Espresso, su lic. Einau<strong>di</strong>, Torino <strong>2007</strong>, p. 390.<br />

62 I Promessi Paperi, cit., p. 10.<br />

– 310 –


tunatamente Paperenzo rompe l‘ampolla e l’effluvio invade, come una pestilenza,<br />

la città <strong>di</strong> Milano, <strong>di</strong>ffondendo un particolare contagio: a tutti i milanesi<br />

passa la voglia <strong>di</strong> lavorare e l’ufficio delle poste, per l’inerzia degli impiegati,<br />

“scoppia” letteralmente, seppellendo la città sotto tonnellate <strong>di</strong> lettere,<br />

missive e carte non consegnate. Dalla città “impostata” Paperenzo<br />

fugge per rifugiarsi da suo cugino Gastolo (il fortunatissimo Gastone), che,<br />

per liberarsi dell’ingombrante ospite, gli trova un impiego presso il potente<br />

signore Mainomato (l’Innominato, ossia Rockerduck, il rivale <strong>di</strong> zio Paperone),<br />

che appunto sta cercando un menestrello da assumere per curare col<br />

canto la sua malinconia. Ma il Mainomato è in combutta con don Paperigo,<br />

che vuole la consegna del menestrello per costringerlo allo sgra<strong>di</strong>to matrimonio<br />

con Gertrude. Paperenzo si ritrova così prigioniero nel castello del<br />

Mainomato. Il progetto <strong>di</strong> don Paperigo va però in fumo: il Mainomato si<br />

pente del suo gesto e libera (sia pur con un calcio nel posteriore) Paperenzo,<br />

che svela l’intrigo a Gertrude. Questa, d’accordo con Lucilla Paperella, si<br />

ven<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> don Paperigo denunciandolo all’ufficio dei Gabellotti (gli esattori<br />

fiscali): Paperenzo può così convolare a nozze con la sua Lucilla e don Paperigo<br />

alla fine sconta sulla pubblica gogna la condanna per una colossale evasione<br />

fiscale. Come si vede, <strong>di</strong>etro le maschere manzoniane agiscono i personaggi<br />

<strong>di</strong>sneyani, impegnati a interpretare quello che è il perenne canovaccio<br />

delle loro vicende: zio Paperone or<strong>di</strong>sce un sotterfugio per liberarsi da un pericolo<br />

(in questo caso Brigitta) e/o ottenere <strong>di</strong>sonestamente un vantaggio, ai<br />

danni dello sfortunato nipote Paperino, ma alla fine viene scornato. Il testo <strong>di</strong><br />

partenza è dunque utilizzato dagli autori della paro<strong>di</strong>a come un “testo<br />

vuoto”, da riempire con l‘universo dei paperi, al fine <strong>di</strong> ridere non tanto del<br />

testo manzoniano quanto della lettura che la tra<strong>di</strong>zione scolastica ha fatto <strong>di</strong><br />

esso. 63 La paro<strong>di</strong>a è ottenuta anche attraverso gli artifici linguistici che<br />

creano paradossali, surreali situazioni: un semplice cambio vocalico trasforma<br />

la “peste” manzoniana in un <strong>di</strong>sastro della “posta” <strong>di</strong> Milano. Se una<br />

critica si può fare a questa <strong>di</strong>vertente paro<strong>di</strong>a è l’aver delimitato a una parte<br />

marginale don Ciccion<strong>di</strong>o (ossia Ciccio), che forse sarebbe riuscito un’eccellente<br />

caricatura del don Abbon<strong>di</strong>o manzoniano.<br />

63 Vd. sulla paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong>sneyana le considerazioni nel saggio <strong>di</strong> Gino Frezza, Il fumetto, in<br />

Letteratura italiana, <strong>di</strong>retta da Alberto Asor Rosa, vol. 12 L’età contemporanea – Letteratura <strong>di</strong><br />

massa, cit., pp. 391-392; ha espresso il suo apprezzamento alla paro<strong>di</strong>a anche il filosofo Giulio<br />

Giorello, vd. l’intervista <strong>di</strong> M. Gian. a Giulio Giorello, «L’Innominato? Il solito ateo devoto. Perciò<br />

preferisco I Promessi Paperi», in «Corriere della Sera», 8 maggio 2006.<br />

– 311 –


La seconda e più recente paro<strong>di</strong>a, I Promessi Topi, vede ovviamente<br />

impegnati Topolino e i suoi amici: il locan<strong>di</strong>ere don Pietrigo (Gamba<strong>di</strong>legno)<br />

vuole impe<strong>di</strong>re non il matrimonio, ma il contratto <strong>di</strong> acquisto del grande<br />

albergo Continental, che farebbe <strong>di</strong>ventare i due promessi sposi, Renzo<br />

Topoglino (Topolino) e Lucia Minnella (Minnie), i primi ristoratori del paese.<br />

Per evitare ciò don Pietrigo manda i suoi bravi a spaventare il notaio don<br />

Pippon<strong>di</strong>o (Pippo), che non è certo un cuor <strong>di</strong> leone. Vistosi rimandare il<br />

giorno del contratto dal tremebondo notaio, Renzo-Topolino e Lucia-Minnie<br />

riescono a sapere la verità dalla governante <strong>di</strong> don Pippon<strong>di</strong>o, Clarabella, e<br />

chiedono aiuto alla Fattucchiera <strong>di</strong> Monza (la strega Nocciola, <strong>di</strong> cui un gustoso<br />

flashback mostra la tormentata educazione familiare: i genitori ne volevano<br />

fare a forza una strega, lei voleva invece recitare a teatro) per inoculare<br />

a don Pippon<strong>di</strong>o il filtro del coraggio. Intanto, non contento delle minacce<br />

al notaio, don Pietrigo fa rapire Lucia, verso la quale prova una certa<br />

simpatia (anche se è “accasato” con la gelosissima Trudy), dai bravi del suo<br />

amico Innominabile, il conte Macchia Nera (il cui nome non deve pronunciarsi<br />

perché porta una terribile jella). Poi manda i bravi a casa del notaio per<br />

rapire anche Renzo, ma don Pippon<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>ventato coraggiosissimo, li fa prigionieri<br />

e va lui stesso al castello dell’Innominabile deciso a liberare Lucia-<br />

Minnie: purtroppo svanisce l’effetto del filtro <strong>di</strong> Nocciola e don Pippon<strong>di</strong>o si<br />

ritrova anch’esso prigioniero del terribile conte. Nel frattempo, Renzo-Topolino,<br />

fuggito a Milano, trova la città in baia della “peste”: non il morbo, ma<br />

la marchesina Esmeralda de Gomez, una viziatissima ragazzina, nipote del<br />

governatore spagnolo, che ha imposto a tutti i forni <strong>di</strong> vendere soltanto dolciumi.<br />

I milanesi non ne possono più e assaltano i forni alla ricerca del pane.<br />

Renzo-Topolino con un sotterfugio riesce ad allontanare dalla città la marchesina<br />

e la penuria <strong>di</strong> pane ha fine: per ricompensa ottiene <strong>di</strong> far convocare<br />

don Pietrigo dal questore della città, Acchiappagarbugli (il commissario Basettoni),<br />

per chiedergli conto del rapimento <strong>di</strong> Lucia. Ma mancherebbero le<br />

prove per inchiodare don Pietrigo-Gamba<strong>di</strong>legno, se proprio l’Innominabile,<br />

provvidenzialmente convertitosi al bene e liberato dalla jella, non si presentasse<br />

assieme a Lucia-Minnie e a don Pippon<strong>di</strong>o, da lui liberati. La conclusione<br />

è che Renzo Topoglino e Lucia Minnella possono coronare il sogno<br />

d’amore e quello impren<strong>di</strong>toriale, acquistando il grande albergo, mentre don<br />

Pietrigo (già malmenato dalla fidanzata Trudy per un accesso <strong>di</strong> furiosa gelosia<br />

verso Lucia-Minnie) è condannato per le sue malefatte a servire ai tavoli<br />

del ristorante nell’albergo, assieme ai suoi complici. Anche questa paro<strong>di</strong>a<br />

a fumetti ripropone, <strong>di</strong>etro le maschere manzoniane, il motivo dell’eter-<br />

– 312 –


na rivalità della coppia Topolino-Gamba<strong>di</strong>legno, mentre il personaggio <strong>di</strong><br />

don Abbon<strong>di</strong>o è sfruttato dal ruolo <strong>di</strong> Pippo in modo più comicamente incisivo<br />

che nella precedente paro<strong>di</strong>a recitata dai paperi. Ricor<strong>di</strong>amo da ultimo<br />

che una versione a fumetti dei Promessi Sposi, non paro<strong>di</strong>stica ma rispettosa<br />

dell’originale manzoniano, è stata sceneggiata da Clau<strong>di</strong>o Nizzi e <strong>di</strong>segnata<br />

da Paolo Piffarerio per la Perio<strong>di</strong>ci San Paolo. 64<br />

Singoli episo<strong>di</strong> del romanzo hanno poi ispirato altri racconti, ironici<br />

omaggi al grande scrittore lombardo: La peste motoria <strong>di</strong> Dino Buzzati è un<br />

fedele riadattamento del capitolo XXXIII dei Promessi Sposi, quello in cui<br />

don Rodrigo scopre <strong>di</strong> essere contagiato dalla peste e viene venduto dal suo<br />

servo, il Griso, ai monatti. Buzzati ha operato una trasposizione del testo<br />

manzoniano, cambiandone l’epoca e l’oggetto: la “peste” in questo caso<br />

non è il morbo bubbonico, ma uno strano <strong>di</strong>sturbo che colpisce i motori<br />

delle automobili e che si manifesta dapprima con un insopportabile stri<strong>di</strong>o<br />

per esplodere poi in un vero e proprio <strong>di</strong>sfacimento della struttura meccanica<br />

del veicolo. La descrizione del morbo rimanda chiaramente all’orribile<br />

<strong>di</strong>sfacimento organico degli appestati manzoniani, come attesta il particolare<br />

delle gibbosità che richiama i “livi<strong>di</strong> bubboni” sui corpi infetti:<br />

Sui prodromi e manifestazioni del misterioso male se ne sentì <strong>di</strong> ogni colore.<br />

Dicevano che l’infezione si rivelasse con una cavernosa risonanza del motore,<br />

come per un intoppo <strong>di</strong> catarro. Poi i giunti si gonfiavano in gibbosità mostruose,<br />

le superfici si ricoprivano <strong>di</strong> incrostazioni gialle e fetide, infine il blocco motore<br />

si <strong>di</strong>sfaceva in un intrico sconvolto <strong>di</strong> assi, bielle ed ingranaggi infranti. 65<br />

Di fronte all’epidemia che contagia tutte le auto, le autorità decidono <strong>di</strong><br />

attuare il “ricovero conservativo” delle automobili “appestate” in un apposito<br />

“lazzaretto”, dove vengono bruciate come i cadaveri degli appestati. Le<br />

auto contagiate sono sequestrate e inviate al “lazzaretto” da appositi incaricati<br />

che girano per le case, come i monatti. Il narratore, conducente della<br />

Rolls-Royce <strong>di</strong> una vecchia nobildonna, preoccupato per le avvisaglie della<br />

“peste motoria”, chiama in aiuto il meccanico Celada, che crede suo amico.<br />

Il <strong>di</strong>alogo telefonico tra il narratore e il meccanico Celada, nel racconto<br />

buzzatiano, rimanda esplicitamente a quello, drammatico, tra don Rodrigo e<br />

64 Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi a fumetti, realizzazione <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Nizzi e Paolo<br />

Piffarerio, suppl. a «Il Giornalino», n. 31, 3 ottobre 1994, Perio<strong>di</strong>ci San Paolo, Roma 1994.<br />

65 Dino Buzzati, La peste motoria, in Sessanta racconti, CDE, su lic. Mondadori, Milano<br />

1969, p. 477.<br />

– 313 –


l’infedele Griso che sta per consegnarlo ai monatti:<br />

«Celada» gli <strong>di</strong>ssi «tu sei sempre stato mio amico.»<br />

«Eh, spero bene?»<br />

«Siamo sempre andati d’accordo.»<br />

«Per grazia <strong>di</strong> Dio.»<br />

«Di te mi posso fidare...?»<br />

«Diavolo!»<br />

«Vieni, allora. Vorrei che tu vedessi la Rolls-Royce.»<br />

«Vengo subito.» E mi parve, prima che quello mettesse giù la cornetta, <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re<br />

un lieve risolino.<br />

Restai, seduto su una panca, ad aspettare, mentre dalle profon<strong>di</strong>tà del motore<br />

uscivano sempre più frequenti rantoli. Con l’immaginazione contavo i passi del<br />

Celada, calcolavo il tempo; fra poco sarebbe stato lì. E, standomene in orecchi,<br />

per sentire se il meccanico arrivava, tutt’a un tratto u<strong>di</strong>i nel cortile uno stropiccìo<br />

<strong>di</strong> pie<strong>di</strong>, ma non <strong>di</strong> un uomo solo. Un orrendo sospetto mi passò per la mente.<br />

Ed ecco aprirsi l’uscio del garage, presentarsi e venire avanti due su<strong>di</strong>ce tute<br />

marrone, due facce scomunicate, due monatti, in una parola: vi<strong>di</strong> mezza la faccia<br />

del Celada che, nascosto <strong>di</strong>etro un battente, rimaneva lì a spiare.<br />

«Ah, lurida carogna... Via maledetti!» E cercavo affannosamente un’arma, una<br />

chiave inglese, una barra metallica, un bastone. Ma quelli mi erano addosso, fra<br />

quelle braccia forzute fui ben presto prigioniero.<br />

«Tu, mascalzone» gridavano, con versacci <strong>di</strong> rabbia insieme e <strong>di</strong> scherno «rivoltarsi<br />

contro i controllori del Comune, contro i pubblici funzionari! contro quelli<br />

che lavorano per il bene della città!» E mi legarono alla panca, dopo avermi infilato<br />

in una tasca, suprema irrisione, il modulo regolamentare per il ricovero “conservativo”.<br />

Infine misero in moto la Rolls-Royce che si allontanò con un mugolìo<br />

doloroso ma pieno <strong>di</strong> sovrana <strong>di</strong>gnità. Sembrava volesse <strong>di</strong>rmi ad<strong>di</strong>o. 66<br />

L’umanizzazione dell’automobile “appestata” è in funzione dell’intento<br />

paro<strong>di</strong>stico ma le battute del <strong>di</strong>alogo, che ricalcano fedelmente quelle manzoniane,<br />

conferiscono al testo <strong>di</strong> Buzzati una “sottile e tragica ironia”. 67 I<br />

capitoli della peste nei Promessi Sposi hanno ispirato, peraltro, due racconti<br />

<strong>di</strong> un maestro della narrativa del terrore, come Edgar Allan Poe (1809-<br />

1849), in chiave orrorifica l’uno (La maschera della Morte Rossa) in chiave<br />

ironico-surreale l’altro (Re Peste).<br />

Dalla paro<strong>di</strong>a dei Promessi Sposi alla satira sui Promessi Sposi: eccelle<br />

in questo campo Umberto Eco, che negli anni Sessanta ha de<strong>di</strong>cato alcune<br />

pagine <strong>di</strong>ssacratorie al romanzo nel suo Diario minimo. Il brano My exag-<br />

66 Dino Buzzati, La peste motoria, cit., pp. 480-481.<br />

67 Così Stefano Brugnolo – Giulio Mozzi, Ricettario <strong>di</strong> scrittura creativa, cit., p. 164.<br />

– 314 –


mination round his factification for incamination to reduplication with<br />

ridecolation of a portrait of the artist as Manzoni (1962), compreso nella<br />

raccolta Diario minimo, è una lunga recensione sui Promessi Sposi, esaminati<br />

come se fossero stati scritti da Joyce: 68 l’autore, con la consueta,<br />

straor<strong>di</strong>naria abilità per le citazioni, riesce a trovare nel testo le più improbabili<br />

e apparenti analogie, riecheggiamenti, somiglianze con l’Ulisse e il<br />

Finnegans Wake <strong>di</strong> Joyce, nonché richiami alla tra<strong>di</strong>zione ermetica, all’antropologia<br />

strutturale e al Mutterrecht <strong>di</strong> Bachofen. Si veda lo schema<br />

seguente in cui, a somiglianza dell’Ulisse joyciano, condensa la trama dei<br />

Promessi Sposi nello spazio <strong>di</strong> una giornata e ne sviscera la simbologia:<br />

Sezione prima. Dall’alba al primo pomeriggio. Ore 6-14. Renzo Tramaglino sta<br />

per sposare la propria fidanzata Lucia Mondella quando il curato del paese, Don<br />

Abbon<strong>di</strong>o, gli fa sapere che un signorotto locale, Don Rodrigo, concupisce Lucia<br />

e si oppone al matrimonio. Renzo chiede consiglio a un leguleio, ma visto vano<br />

ogni tentativo fugge con Lucia aiutato da un cappuccino, Padre Cristoforo. Lucia<br />

si rifugia in un convento <strong>di</strong> Monza, Renzo va a Milano. Simbolo della sezione:<br />

il Curato. Tecnica: la tessitura. Animale: il cappone, emblema <strong>di</strong> impotenza e<br />

castrazione.<br />

Sezione seconda. Il Meriggio. Ore 14-17. Renzo a Milano si fa coinvolgere in<br />

una sommossa e deve riparare a Bergamo. Lucia viene rapita da un potente<br />

signorotto, l’Innominato, grazie alla complicità della monaca Gertrude. Il Car<strong>di</strong>nale<br />

<strong>di</strong> Milano libera Lucia e la fa custo<strong>di</strong>re da un eru<strong>di</strong>to, Don Ferrante, e<br />

da Donna Prassede. Simbolo: la Monaca. Tecnica: la biblioteconomia. Animale:<br />

la mula, emblema <strong>di</strong> ostinazione (dei malvagi).<br />

Sezione terza. Tramonto e sera. Ore 17-24. Scoppia a Milano la Peste, e Don<br />

Rodrigo, don Abbon<strong>di</strong>o e Padre Cristoforo muoiono, Renzo torna a Milano da<br />

Bergamo e ritrova Lucia sana e salva. Finalmente riuniti si sposano. Simbolo: il<br />

Monatto. Tecnica: ospedaliera. Animale: non esiste, perché il male è sconfitto; in<br />

luogo dell’animale c’è la pioggia purificatrice, che richiama il motivo iniziale<br />

dell’acqua, nonché quello delle lavandaie del Finnegans (episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Anna Livia<br />

Plurabelle). 69<br />

68 Umberto Eco, My exagmination round his factification for incamination to reduplication<br />

with ridecolation of a portrait of the artist as Manzoni (1962), in Diario minimo, Mondadori,<br />

Milano 1988, rist. (I ed. 1963), pp. 54-65. Eco ha anche riscritto in paro<strong>di</strong>a La Pentecoste manzoniana<br />

come una grottesca celebrazione della sapienza gnostica (Alessandro Manzoni,<br />

La Gnosi, in Umberto Eco, Il secondo <strong>di</strong>ario minimo, Bompiani, Milano 1992, pp. 257-261).<br />

69 Umberto Eco, My exagmination round his factification, cit., pp. 57-58. Per un confronto<br />

con la <strong>di</strong>sposizione strutturale dell’Ulisse <strong>di</strong> Joyce, quale risulta anche dallo schema Linati, riman<strong>di</strong>amo<br />

all’intr. <strong>di</strong> Giorgio Melchiori in James Joyce, Ulisse, unica trad. integrale autorizzata<br />

<strong>di</strong> Giulio de Angelis, vol.II, Mondadori, Milano 1978, rist., pp. 38-45.<br />

– 315 –


Com’è evidente, molteplici sono i bersagli della paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Eco: non<br />

solo Manzoni, ma anche un certo tipo <strong>di</strong> analisi strutturale sconfinante nella<br />

ermetica complessità, e, forse, la stessa pratica della recensione come genere<br />

<strong>di</strong> scrittura. Un’altra occasione <strong>di</strong> satira sui Promessi Sposi è in Dolenti<br />

declinare, un rapporto <strong>di</strong> lettura a un e<strong>di</strong>tore sull’opera manzoniana, che<br />

viene clamorosamente bocciata, 70 mentre una citazione ironica appare nel<br />

romanzo L’isola del giorno prima, 71 al cap.XXI, p.230: la biblioteca <strong>di</strong> don<br />

Ferrante è acquistata da padre Caspar, che ne porta alcuni libri con sé<br />

durante il viaggio. 72<br />

Un particolare tipo <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>a è l’“intervista impossibile” o immaginaria,<br />

come quelle fatte a celebri personaggi storici e raccolte nel libro <strong>di</strong> Roberto<br />

Gervaso, A tu per tu con il passato (1994). Una <strong>di</strong> esse è de<strong>di</strong>cata alla<br />

Monaca <strong>di</strong> Monza, la Gertrude manzoniana che nella realtà, com’è ben noto,<br />

si chiamava suor Virginia, al secolo Marianna de Leyva, <strong>di</strong>scendente da una<br />

nobilissima famiglia spagnola. 73 Buona parte dell’intervista rievoca la storia<br />

della passione <strong>di</strong> suor Virginia per Gian Paolo Osio, lo sciagurato Egi<strong>di</strong>o del<br />

Manzoni. È evidente dalle risposte del personaggio il tentativo dell’autore <strong>di</strong><br />

“modernizzare” la figura della Monaca <strong>di</strong> Monza, prestandole una <strong>di</strong>sinvolta,<br />

spregiu<strong>di</strong>cata passionalità, quale movente <strong>di</strong> una storia da “cronaca nera” dei<br />

nostri giorni:<br />

D. Dove lo incontrò?<br />

R.. Il monastero confinava con la casa e il giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> una famiglia nobile, facoltosa<br />

e influente: gli Osio, appunto. Il padre era morto, lasciando la moglie con<br />

due figli, Teodoro e Gian Paolo; giovani riottosi, prepotenti, maneschi, scansafatiche.<br />

Il secondo, uno sciagurato giorno, mi notò dall’alto <strong>di</strong> una finestra della<br />

sua abitazione, dove avendo ucciso un uomo, se ne stava rintanato per timore <strong>di</strong><br />

rappresaglie e sanzioni.<br />

D. Chi aveva ucciso?<br />

R. Un certo Giuseppe Molteni, <strong>di</strong> professione fiscale. Fra l’altro, mio agente.<br />

D. Le parlò?<br />

R. No, ma <strong>di</strong> lì a poco ricevetti una sua lettera.<br />

D. Come gliela fece pervenire?<br />

R. La buttò nel cortiletto dove si trovava il pollaio del monastero.<br />

70 Umberto Eco, Dolenti declinare, in Diario minimo, cit., pp. 154-155.<br />

71 Bompiani, Milano 1994.<br />

72 Ricor<strong>di</strong>amo, da ultimo, che è ricchissimo <strong>di</strong> aneddoti e curiosità sulle celebrazioni per il<br />

primo centenario della morte <strong>di</strong> Manzoni (1973) il volumetto Dossier Manzoni <strong>di</strong> Paola Alberti,<br />

Giovanna Franci e Rosella Mangaroni, Cappelli e<strong>di</strong>tore, Bologna 1977.<br />

73 Roberto Gervaso, A tu per tu con il passato, Bompiani, Milano 1994, pp. 7-20.<br />

– 316 –


D. Il contenuto?<br />

R. Espressioni galanti, che non mi lusingarono affatto. L’Osio aveva assassinato<br />

un uomo che conoscevo e stimavo. Più tar<strong>di</strong> ricevetti un altro messaggio, in cui<br />

mi richiedeva un appuntamento.<br />

D. Un appuntamento?<br />

R. Sì: per “ragionare” con me.<br />

D. Dove?<br />

R. In parlatorio.<br />

D. E lei?<br />

R. Acconsentii.<br />

D. Chiese il permesso alla superiora?<br />

R. Me ne guardai bene.<br />

D. E in che modo introdusse l’Osio nel parlatorio?<br />

R. Suor Ottavia gli lanciò le chiavi <strong>di</strong> là dal muro.<br />

D. Come andò?<br />

R. Divisi dalla doppia grata, ragionammo <strong>di</strong> cose <strong>di</strong> creanza; mi domandò perdono<br />

dell’omici<strong>di</strong>o del Molteni, e mi esibì <strong>di</strong> farmi ogni servizio in suo scambio;<br />

insomma, mostrò la maggior modestia che si potesse immaginare.<br />

D. Non fece avances?<br />

R. No. E le confesso che la cosa un po’ mi <strong>di</strong>spiacque. Non avevo mai visto un<br />

giovane così affascinante: bruno, snello, atletico, sicuro <strong>di</strong> sé, dalla battuta pronta<br />

e dal piglio ribaldo. Non era facile resistergli.<br />

D. Insomma, la conquistò.<br />

R. E io conquistai lui. Ero una <strong>di</strong> quelle bellezze me<strong>di</strong>terranee che tolgono il<br />

fiato: alta, appariscente, con magnifici capelli color pece, occhi e sopracciglia<br />

dello stesso colore; i lineamenti del viso, stranamente pallido, perfetti ma non banali.<br />

E poi lo sguardo, l’espressione: da vera “Signora”, da feudataria abituata più<br />

a comandare che a ubbi<strong>di</strong>re, e non solo nello spazio ristretto <strong>di</strong> un convento.<br />

D. Un colpo <strong>di</strong> fulmine?<br />

R. Dapprincipio, un’irresistibile attrazione fisica. L’incontro <strong>di</strong> due nature più<br />

passionali che appassionate, un terremoto dei sensi, un’esplosione ormonale. Capimmo<br />

subito che a quel convegno altri sarebbero seguiti.<br />

D. Dove?<br />

R. Sempre in parlatorio, ma senza più la grata che, fra l’altro, ci avrebbe impe<strong>di</strong>to<br />

quelle effusioni che saranno la causa del nostro dramma, della nostra rovina. 74<br />

È toccato al Manzoni <strong>di</strong> essere coinvolto anche in un ulteriore, tipico<br />

<strong>di</strong>vertimento letterario quale il “falso d’autore”: un testo apocrifo scritto da<br />

un autore moderno nello stile e con evidenti richiami allusivi ai testi <strong>di</strong> un<br />

altro autore, antico o moderno. La storia dell’Intelligenza infame <strong>di</strong> Giampaolo<br />

Rugarli (Guida, Napoli 2008) è la riscrittura paro<strong>di</strong>stica della celebre<br />

74 Roberto Gervaso, A tu per tu con il passato, cit., pp. 11-13.<br />

– 317 –


Storia della colonna infame, adattata all’anno 2030: in un’Italia futuribile,<br />

stor<strong>di</strong>ta dai massme<strong>di</strong>a e ottusamente prona <strong>di</strong> fronte alle molteplici nequizie<br />

dei politici, un onesto benpensante, tale Gian Paolo Garruli, 75 decide<br />

<strong>di</strong> pubblicare un notiziario realmente in<strong>di</strong>pendente, l’unico (giacché tutta la<br />

stampa <strong>di</strong>sponibile è nelle mani <strong>di</strong> un celebre politico-impren<strong>di</strong>tore), con il<br />

lodevole scopo <strong>di</strong> far sentire finalmente alla gente la voce dell’autentica verità.<br />

Mal gliene incoglie: un car<strong>di</strong>nale (simbolo della Chiesa), un deputato<br />

conservatore e uno progressista (chiamati significativamente Oliosanto, Rimanendo<br />

e La Riscossa) fanno lega contro <strong>di</strong> lui e lo perseguitano in ogni<br />

modo, come fosse un untore. Le vicende del misero protagonista, letteralmente<br />

schiacciato dai “poteri forti” riecheggiano quelle del <strong>di</strong>sgraziato Gian<br />

Giacomo Mora, che nel 1630 fu torturato e indotto a confessare <strong>di</strong> essere un<br />

untore (allusivamente il giornale del Garruli si chiama L’estrema unzione).<br />

Ve<strong>di</strong>amo l’incipit della storia <strong>di</strong> Rugarli:<br />

Fra i molteplici casi, che nel 2030 e al <strong>di</strong> là, toccarono persone accusate <strong>di</strong> aver<br />

propagato intelligenza e <strong>di</strong>ssenso con scritti e <strong>di</strong>scorsi peggio <strong>di</strong> unzioni, uno<br />

parve così degno <strong>di</strong> memoria che fu decretato a mantenergliela un pubblico<br />

monumento. E fu eretto un so che <strong>di</strong> circolare, <strong>di</strong> rotondo, 76 talché l’ignaro viandante,<br />

non comprendendo la cagione dell’opera singolarissima, si empiva <strong>di</strong><br />

bistento, ma poi, letta l’iscrizione, si rincuorava, e ben si apponeva, sapendosi<br />

estraneo a ogni velleità <strong>di</strong> sommovimento e soqquadro.<br />

Avvenne che tale Garruli Gian Paolo, il quale avendo bottega <strong>di</strong> speziale a Milano,<br />

nel quartiere della Vetra, ere<strong>di</strong>tò da un lontano parente un <strong>di</strong>screto peculio.<br />

In luogo <strong>di</strong> volgere a crapule, <strong>di</strong>ssipazioni e voluttuosi congressi l’insperata ricchezza,<br />

il Garruli ebbe il tristo ghiribizzo <strong>di</strong> investirla per intero nel confezionamento,<br />

nella stampa e nello smercio <strong>di</strong> un giornalucolo che volle intitolare<br />

L’estrema unzione, con riferimento non alla santa pratica della nostra fede, sibbene<br />

al crimine scellerato, ai tempi della peste, <strong>di</strong> infettare con empiastri i muri<br />

delle case al fine <strong>di</strong> accrescere la carneficina. Il Garruli maldestramente celiava,<br />

essendo suo inten<strong>di</strong>mento spandere intelligenza e <strong>di</strong>ssenso, per sconfiggere la<br />

cretineria imperante, e, presi accor<strong>di</strong> con uno stampatore, sparò il numero uno de<br />

la sua gazzetta, con la quale colmava <strong>di</strong> redarguizioni quante se ne vuole ra<strong>di</strong>o,<br />

televisione, giornali, riviste e magazines. 77<br />

Purtroppo la battaglia per far trionfare l’intelligenza e il <strong>di</strong>ssenso costeranno<br />

al coraggioso giornalista-stampatore fratture multiple in varie parti<br />

75 Il trasparente anagramma svela l’alter ego dell’autore.<br />

76 È il particolare monumento che viene descritto alla fine della storia.<br />

77 Giampaolo Rugarli, Storia dell’Intelligenza infame.Storie quasi eterne <strong>di</strong> potenti, <strong>di</strong> violenti<br />

e <strong>di</strong> perdenti, Guida, Napoli 2008, pp. 13-14.<br />

– 318 –


del corpo, a seguito <strong>di</strong> non casuali “incidenti”, e abbrevieranno notevolmente<br />

il suo soggiorno tra i mortali. A ricordo comunque della sua coraggiosa<br />

iniziativa e ad ammonimento dei citta<strong>di</strong>ni sempre più istupi<strong>di</strong>ti, il governo<br />

decide <strong>di</strong> erigere un monumento a Milano, ossia due sfere <strong>di</strong> marmo<br />

del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> un metro ciascuno (senza la colonna manzoniana, che sarebbe<br />

sembrata troppo irriverente), che i milanesi chiameranno I ball de la<br />

patria nostra. E il <strong>di</strong>ssenso e l’intelligenza, conclude l’autore, non si videro<br />

e non si sentirono mai più. 78 Aggiungiamo anche che Fer<strong>di</strong>nando Camon ne<br />

Il santo assassino fa enunciare al critico Geno Pampaloni (con il supporto<br />

<strong>di</strong> una mimica macchiettistica) una paradossale lezione sui Promessi Sposi<br />

<strong>di</strong> tono notevolmente critico sull’ideologia del romanzo e con richiami a<br />

Gramsci e Moravia. 79 Conclu<strong>di</strong>amo questa breve rassegna delle riscritture e<br />

paro<strong>di</strong>e dei Promessi Sposi con una curiosità. Avendo la critica esaminato<br />

minuziosamente tutti i possibili aspetti del romanzo, non poteva mancare<br />

anche un’indagine sui sapori dei Promessi Sposi, il che è quanto ha fatto<br />

Domenico Crosso ne I promessi sapori, il sugo della storia <strong>di</strong> Alessandro<br />

Manzoni (E<strong>di</strong>zioni Il leone verde, Torino <strong>2007</strong>): nel saggio sono raccolti e<br />

illustrati tutti i piatti descritti dal Manzoni, ossia la polenta in casa <strong>di</strong> Tonio,<br />

lo stufato all’osteria della Luna Piena, i raveggioli, le polpette alla Lucia,<br />

etc. 80<br />

I Promessi Sposi hanno dunque originato una produzione paro<strong>di</strong>stica<br />

ben risalente nel tempo, che ha toccato anche la produzione <strong>di</strong> carattere più<br />

popolare e commerciale, come i fumetti. 81 Scrivere la paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> un testo è<br />

un’esperienza che, ovviamente, richiede una riflessione sulla scrittura oltre<br />

78 Ibid., p. 47.<br />

79 Che, com’è ben noto, esprimono posizioni antitetiche a quelle del Pampaloni, soprattutto<br />

nel giu<strong>di</strong>zio sul ruolo della religione e degli “umili”: si veda il paragrafo Attualità del Manzoni<br />

in Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, intr., commento critico e note <strong>di</strong> Geno Pampaloni, De<br />

Agostini, Novara 1996, pp. 790-796.<br />

80 La ricetta delle polpette manzoniane è anche in Pinuccia Ferrari, Letteratura a tavola,<br />

Rizzoli, Milano 1983, p. 105.<br />

81 E perfino i fotoromanzi, come quello prodotto e pubblicato dalla Mondadori, su cui vd.<br />

Alberto Abruzzese, Fotoromanzo, in Letteratura italiana, <strong>di</strong>retta da Alberto Asor Rosa, vol. 12<br />

L’età contemporanea – Letteratura <strong>di</strong> massa, cit., pp. 406-409. Per quanto riguarda le paro<strong>di</strong>e<br />

apparse in TV, come quella del Trio Tullio Solenghi-Anna Marchesini-Massimo Lopez o del<br />

Quartetto Cetra (del 1985, su cui riman<strong>di</strong>amo al saggio <strong>di</strong> Aldo Grasso, Una lacrima sul<br />

Griso.Appunti in margine a una paro<strong>di</strong>a televisiva, in AA.VV., Leggere i “Promessi sposi”, a<br />

cura <strong>di</strong> Giovanni Manetti, Bompiani, Milano 1989, pp. 293-297), non ne abbiamo trattato <strong>di</strong><br />

proposito, appartenendo esse alla storia dello spettacolo televisivo.<br />

– 319 –


che una specifica competenza delle tecniche narrative, ed è uno degli oggetti<br />

dei corsi <strong>di</strong> scrittura creativa che da qualche anno sono stati introdotti,<br />

sull’esempio delle scuole <strong>di</strong> scrittura angloamericane, nel nostro Paese. 82<br />

Ma anche la riscrittura delle trame romanzesche è un collaudato esercizio <strong>di</strong><br />

scrittura creativa, in particolare per quanto riguarda la rielaborazione dei finali.<br />

83 Abbiamo voluto pertanto assegnare ai nostri studenti un analogo esercizio:<br />

provare a riscrivere parzialmente la trama dei Promessi Sposi accettando<br />

la variazione <strong>di</strong> un fatto della trama e mo<strong>di</strong>ficando la successione<br />

degli avvenimenti. Non appaia ciò una scelta gratuita. Immaginare variazioni<br />

alle trame letterarie è un tipico esercizio <strong>di</strong> scrittura creativa, così<br />

come molti narratori e saggisti hanno immaginato varianti negli eventi storici<br />

accaduti e su quelle hanno costruito ingegnose trame narrative e saggi<br />

<strong>di</strong> “storia alternativa”, dando origine a un vero e proprio filone letterario,<br />

quello dell’ucronia (o “fantastoria”, “allostoria”, “storia controfattuale”, che<br />

ha per oggetto la rappresentazione <strong>di</strong> epoche storiche in cui Napoleone<br />

avrebbe ipoteticamente vinto a Waterloo o Antonio e Cleopatra ad Azio).<br />

Va tenuto presente che le trame possono essere riscritte, anche inconsapevolmente.<br />

È, peraltro, una vera e propria trama con variazione nel finale<br />

lo sgrammaticato ma <strong>di</strong>vertentissimo tema <strong>di</strong> uno dei bambini napoletani<br />

del maestro Marcello D’Orta, raccolto assieme ad altri cinquantanove nel<br />

celebre Io speriamo che me la cavo:<br />

A Lucia uno l’aveva rapinata, ma no perché se la voleva baciare, perché celaveva<br />

detto Tonrodrico. Lucia tornò, Renzo non la trovava, domandava a tutti i bravi se<br />

vedevano Lucia, ma erano tutti morti, il fumo usciva dalle case. Non c’era un’anima<br />

viva. Tutti i pani stavano a terra. Poi incontra un prete, vivo, che celo <strong>di</strong>ce.<br />

82 Sulle paro<strong>di</strong>e e riscritture vd. Stefano Brugnolo – Giulio Mozzi, Ricettario <strong>di</strong> scrittura<br />

creativa, cit., pp. 152-186. Una approfon<strong>di</strong>ta riflessione sulla scrittura è costituita dalla raccolta<br />

<strong>di</strong> saggi compresi in Teoria e pratica della scrittura creativa, a cura <strong>di</strong> Tullio De Mauro, Pietro<br />

Pedace, Annio Gioacchino Stasi, Omero Ricerche n. 1, Controluce, Roma 1996.<br />

83 Segnaliamo al riguardo che il concorso internazionale «Scrivi con me», organizzato dal<br />

Ministero degli Affari Esteri in collaborazione con l’Accademia della Crusca nell’ambito delle<br />

manifestazioni per la Settimana della lingua italiana nel mondo, propone annualmente agli studenti<br />

delle scuole italiane un racconto <strong>di</strong> uno scrittore italiano, del quale essi devono scrivere il<br />

finale. I do<strong>di</strong>ci migliori scritti vengono poi pubblicati, assieme al racconto nella sua versione<br />

completa (ossia con il finale scritto dall’autore), in una apposita collana <strong>di</strong> volumetti, per cura<br />

dell’e<strong>di</strong>tore Gremese. Ricor<strong>di</strong>amo, fra i testi usciti nella serie “Un racconto con do<strong>di</strong>ci finali”:<br />

Dacia Maraini, Berah <strong>di</strong> Kibawa, Gremese E<strong>di</strong>tore, Roma 2003; Alberto Bevilacqua, Il segreto<br />

della moglie scomparsa, Gremese E<strong>di</strong>tore, Roma 2004; Carlo Sgorlon, La fuga a Verona, Gremese<br />

E<strong>di</strong>tore, Roma 2005.<br />

– 320 –


Dice: «Fai presto, senò muore pure Lucia e rimani tu solo, io fra sei o sette minuti<br />

muoro purio». E andò, e l’incontrava, e si sposavano, e cambiarono città.<br />

Sene andarono in SPAGNA! 84<br />

Aggiungiamo, come caricaturale pendant, quest’altro lavoro <strong>di</strong> uno studente<br />

ginnasiale, apparso nella raccolta <strong>di</strong> John Beer, Maledetti Promessi<br />

Sposi, era meglio se vi sposavate (Rizzoli, Milano 2008 3 , pp.17-18):<br />

La più vera delle storie <strong>di</strong> Manzoni è quella che parla dei promessi sposi. Si<br />

orienta su un braccio del lago <strong>di</strong> Como dove viveva l’avvocato Garbugli. Ci sono<br />

due ragazzi che si chiamano Renzo il Tramaccino e Lucia Monella che cercano in<br />

tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> sposarsi ma Don abbon<strong>di</strong>o (minuscolo nel testo) non vuole perché<br />

ha paura <strong>di</strong> Don Rodrigo e si nasconde fra i vasi <strong>di</strong> coccio. Allora Renzo per sposare<br />

sua moglie decide <strong>di</strong> andare con fra Cristoforo dalla Monaca <strong>di</strong> Monza per<br />

celebrare il matrimonio in gran segreto. Nel frattempo arriva la peste che fa moltissime<br />

vittime e quando muoiono tutti compreso don Rodrigo e Don Abbon<strong>di</strong>o<br />

che non era fatto più vivo i due innamorati possono finalmente sposarsi.<br />

I testi sopra citati costituiscono involontarie paro<strong>di</strong>e del testo manzoniano.<br />

Di tutt’altro tenore, invece, sono i lavori degli studenti della nostra<br />

classe (la V A dell’anno scolastico <strong>2007</strong>-2008), i quali hanno provato a<br />

immaginare una trama alternativa a quella dei Promessi Sposi, ricreando le<br />

vicende del romanzo, a partire da un fatto non contemplato dal Manzoni:<br />

il rapimento <strong>di</strong> Lucia da parte dei bravi <strong>di</strong> don Rodrigo, nel cap. VIII. Cosa<br />

sarebbe accaduto, infatti, se per ipotesi Lucia fosse stata rapita e portata al<br />

palazzotto <strong>di</strong> don Rodrigo? Ovviamente non può rispondere il Manzoni, che<br />

ha scartato questa possibilità, né ci azzar<strong>di</strong>amo a immaginare quale seguito<br />

avrebbe concepito il grande Milanese alle vicende <strong>di</strong> una Lucia, se, per ipotesi,<br />

fosse stata rapita dai bravi (il lettore sa bene che questa ipotesi non si<br />

verifica: Lucia non viene rapita dai bravi <strong>di</strong> don Rodrigo e, allorché viene<br />

rapita da quelli dell’Innominato – e il suo destino sembra segnato –, questi<br />

provvidenzialmente si converte mandando a vuoto le attese del prepotente<br />

signorotto e mandante dell’atto criminoso). Però abbiamo voluto stuzzicare<br />

la fantasia degli studenti assegnando loro il compito, a nostro giu<strong>di</strong>zio<br />

quanto mai stimolante, <strong>di</strong> immaginare le peripezie che avrebbero potuto affrontare<br />

i due giovani fidanzati, qualora il progettato rapimento <strong>di</strong> Lucia<br />

fosse andato a buon fine. Gli studenti hanno pertanto elaborato una trama<br />

84 Io speriamo che me la cavo.Sessanta temi <strong>di</strong> bambini napoletani, a cura <strong>di</strong> Marcello<br />

D’Orta, Mondadori, Milano 2008, rist., p. 168. Abbiamo riprodotto il testo con i suoi propri errori<br />

linguistici.<br />

– 321 –


alternativa, condensando in alcuni capitoli (quattro o cinque) il prosieguo<br />

degli avvenimenti dopo il capitolo VIII del romanzo, quale sarebbe potuto<br />

essere se Lucia fosse stata rapita.<br />

Siamo consapevoli che le trame alternative escogitate dagli alunni appariranno<br />

inevitabilmente piene <strong>di</strong> errori, ingenuità, contrad<strong>di</strong>zioni, inverosimiglianze,<br />

anche perché nessuno può immaginare cosa avrebbe potuto<br />

scrivere Manzoni se avesse deciso <strong>di</strong> far rapire Lucia dai bravi <strong>di</strong> don Rodrigo<br />

(forse il romanzo – ci permettiamo <strong>di</strong> supporre – avrebbe attinto maggiormente<br />

ai motivi tipici della narrativa “gotica”, ben oltre i riecheggiamenti<br />

del Fermo e Lucia). Ma va considerato che si tratta <strong>di</strong> alunni <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci<br />

anni, alle prime armi con lo stu<strong>di</strong>o dei gran<strong>di</strong> testi letterari e con la<br />

composizione <strong>di</strong> scrittura creativa. Una <strong>di</strong>fficoltà ulteriore è poi data dal<br />

fatto che sono stati conservati i ruoli e le funzioni dei personaggi, quali<br />

sono stati prestabiliti nella notissima trama, essendo quella alternativa la<br />

prosecuzione del cap. VIII, nel quale è innestata la variante del riuscito rapimento<br />

<strong>di</strong> Lucia ad opera dei bravi: quin<strong>di</strong> don Abbon<strong>di</strong>o continua a impersonare<br />

il prete pavido, don Rodrigo il malvagio tirannello, Renzo l’innamorato<br />

fedele, fra Cristoforo l’ardente e coraggioso cappuccino. Lucia, invece,<br />

mostra qualche imprevisto cambiamento nel carattere e, per conseguenza,<br />

nelle sue scelte (è il personaggio che è variato <strong>di</strong> più). Giocare sì con i personaggi<br />

(cosa che peraltro pensava <strong>di</strong> fare anche il Manzoni), 85 ma rispettando<br />

i limiti della coerenza narrativa e dei ruoli prestabiliti.<br />

Diamo <strong>di</strong> seguito le trame alternative, che iniziano con una variante nel<br />

contenuto del cap. VIII e comprendono i capitoli dal IX al XIII (ossia dal I<br />

al V delle trame alternative), riscritte da alcuni alunni della classe V A, nell’ambito<br />

del nostro piccolo laboratorio <strong>di</strong> scrittura creativa svolto in classe<br />

nell’anno scolastico <strong>2007</strong>-2008.<br />

I PROMESSI SPOSI<br />

(riscritti da Clau<strong>di</strong>a Castellani)<br />

Capitolo VIII (con variante nel contenuto)<br />

Don Abbon<strong>di</strong>o e Perpetua, scoperto l’inganno, si barricano in casa; Lucia, Renzo e<br />

Agnese, scoraggiati e allarmati dal suono delle campane, tornano velocemente<br />

nella casetta <strong>di</strong> Lucia, dove però li attendono i bravi, che legano e imbavagliano<br />

Agnese, picchiano Renzo e rapiscono Lucia, portandola al castello <strong>di</strong> don Rodrigo.<br />

85 Si pensi alla bellissima similitu<strong>di</strong>ne del fanciullo che gioca con i porcellini d’In<strong>di</strong>a al cap.<br />

XI del romanzo.<br />

– 322 –


Nel frattempo i paesani accorsi da don Abbon<strong>di</strong>o vengono rimandati alle loro<br />

abitazioni dal prete, che si scusa <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> essersi sbagliato e che non c’è nessuno<br />

in casa sua; tutti tornano a dormire.<br />

Capitolo IX (I della trama alternativa)<br />

L’indomani <strong>di</strong> buonora fra Cristoforo, allarmato poiché né Menico né i due promessi<br />

sono andati da lui al convento come era stato convenuto, si reca alla casa <strong>di</strong><br />

Agnese per accertarsi che non sia accaduto nulla, e così scopre Menico, Agnese e<br />

Renzo legati e imbavagliati. Il frate li libera e cura le ferite <strong>di</strong> Renzo, poi essi gli riferiscono<br />

l’accaduto spaventati, raccontando del rapimento <strong>di</strong> Lucia. Menico viene<br />

rimandato a casa con la raccomandazione <strong>di</strong> non <strong>di</strong>re niente a nessuno <strong>di</strong> ciò che è<br />

successo, con qualche moneta per ricompensa del <strong>di</strong>sturbo. I tre adulti, rimasti soli,<br />

cercano <strong>di</strong> trovare una soluzione e <strong>di</strong> ideare un piano per salvare la ragazza.<br />

Capitolo X (II della trama alternativa)<br />

Cambio <strong>di</strong> scena: palazzotto <strong>di</strong> don Rodrigo. I bravi, secondo gli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> don<br />

Rodrigo, conducono Lucia (che nel frattempo è stata bendata) in una recon<strong>di</strong>ta e<br />

buia cantina del palazzo, della cui esistenza neppure i servi e i domestici sono a<br />

conoscenza. Don Rodrigo si prepara e scende a farle visita, intimandole <strong>di</strong> essere<br />

più gentile e ben <strong>di</strong>sposta nei suoi confronti, della volta precedente; poi le <strong>di</strong>ce<br />

che se ci tiene a vivere dovrà assecondare i suoi desideri e sposarlo. La ragazza si<br />

getta piangente sull’improvvisato letto <strong>di</strong> paglia, e don Rodrigo la avverte che le<br />

sono concessi solamente due giorni per prendere una decisione, poi se ne va,<br />

chiudendo la porta con il chiavistello.<br />

Capitolo XI (III della trama alternativa)<br />

Nel frattempo Agnese, Renzo e fra Cristoforo hanno deciso <strong>di</strong> provare a convincere<br />

don Abbon<strong>di</strong>o a celebrare le nozze dei due promessi nel castello <strong>di</strong> don Rodrigo,<br />

<strong>di</strong> nascosto, e poi <strong>di</strong> fuggire al paese, in modo che se anche la fuga fosse impe<strong>di</strong>ta<br />

i due giovani sarebbero ormai maritati ufficialmente e il nobilotto non potrebbe<br />

pretendere più nulla. I tre così vanno da don Abbon<strong>di</strong>o, che però sentendo le<br />

loro richieste si rifiuta decisamente, ma Renzo, che aveva già messo in conto<br />

questa reazione del prete, apre un coltello e lo costringe a seguirli minacciandolo:<br />

don Abbon<strong>di</strong>o, terrorizzato, obbe<strong>di</strong>sce dopo vane suppliche. Durante il tragitto<br />

verso il palazzo del signorotto fra Cristoforo rimprovera a Renzo il fatto <strong>di</strong> aver<br />

usato la violenza, ma deve riconoscere che quello era l’unico modo rimasto per<br />

cercare <strong>di</strong> salvare Lucia. Nel cammino il gruppetto fa una sosta alla casa <strong>di</strong> Tonio e<br />

Gervaso che, informati <strong>di</strong> tutto, seppur con reticenza rispettano la promessa fatta a<br />

Renzo all’osteria <strong>di</strong> fare da testimoni al matrimonio, e si aggiungono ai quattro.<br />

Verso sera finalmente giungono a destinazione e passano la notte nascosti in una<br />

stalla lì vicino, ripassando il piano per l’indomani e cercando <strong>di</strong> riposare.<br />

Capitolo XII (IV della trama alternativa)<br />

Il giorno dopo don Rodrigo fa visita a Lucia, ricordandole che entro il tramonto<br />

dovrà dargli la risposta; intanto il gruppetto riesce a entrare nel castello <strong>di</strong> na-<br />

– 323 –


scosto grazie all’aiuto del vecchio e buon servitore <strong>di</strong> don Rodrigo, che abbiamo<br />

già avuto occasione <strong>di</strong> conoscere. Il servo osservava da qualche giorno gli spostamenti<br />

del suo padrone, e aveva scoperto il luogo dove Lucia era tenuta prigioniera;<br />

vi ci porta quin<strong>di</strong> gli amici, ma proprio quando riescono ad arrivarvi e a<br />

slegare Lucia, nella cantina piombano il Griso e i suoi compari, che li avevano<br />

seguiti, e gli impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> celebrare le nozze, mandando a chiamare don Rodrigo.<br />

Egli arriva imme<strong>di</strong>atamente e decide <strong>di</strong> sfruttare la situazione a suo favore:<br />

obbliga Lucia a sposarlo, altrimenti oltre lei farà uccidere anche Agnese e Renzo.<br />

La ragazza, <strong>di</strong>sperata, accetta, e don Abbon<strong>di</strong>o li unisce in matrimonio, nonostante<br />

le suppliche <strong>di</strong> Agnese e le grida <strong>di</strong> Renzo. Don Rodrigo, allegro e sod<strong>di</strong>sfatto,<br />

fa subito preparare un sontuoso banchetto nuziale, lasciando liberi Agnese,<br />

Renzo, Tonio, Gervaso, padre Cristoforo e don Abbon<strong>di</strong>o. Nel frattempo il Griso<br />

scopre con orrore <strong>di</strong> aver contratto la peste, che ormai si sta <strong>di</strong>ffondendo in tutta<br />

la regione, e don Rodrigo lo allontana dal suo castello, abbandonandolo al suo<br />

triste destino.<br />

Capitolo XIII (V della trama alternativa)<br />

Mentre don Abbon<strong>di</strong>o, Tonio e Gervaso tornano alle loro abitazioni, fra Cristoforo,<br />

Renzo e Agnese riescono a parlare con Lucia tramite il buon servitore,<br />

ma tutte le uscite sono controllate dai bravi e non c’è modo <strong>di</strong> poter salvare<br />

la fanciulla. Il matrimonio è fatto, ormai tutto è perduto; l’aiuto giunge però<br />

inaspettato: il Griso, ferito nell’orgoglio e deciso a ven<strong>di</strong>carsi del trattamento<br />

ricevuto dopo anni e anni <strong>di</strong> fedeltà, coglie don Rodrigo alla sprovvista e lo<br />

pugnala, proprio durante il banchetto (i bravi, che ancora lo considerano un<br />

capo, non avevano avuto il coraggio <strong>di</strong> rifiutargli un favore, e non sapendo le<br />

sue intenzioni, lo avevano lasciato entrare nuovamente nel castello). I pochi<br />

invitati si sparpagliano <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>natamente, urlando e correndo via, e Lucia<br />

approfitta della confusione per raggiungere gli altri. Fra Cristoforo si avvicina<br />

al corpo <strong>di</strong> don Rodrigo per soccorrerlo, ma l’uomo è già spirato, così dopo<br />

aver detto una preghiera per quell’anima meschina torna dai tre e insieme corrono<br />

al convento. Da qui Renzo e Lucia, <strong>di</strong>venuta da moglie imme<strong>di</strong>atamente<br />

vedova, fuggono <strong>di</strong>retti a Milano, dove arrivano sani e salvi e dove un sacerdote<br />

amico <strong>di</strong> Cristoforo, avvisato con una lettera delle loro sciagure dal cappuccino,<br />

accetta <strong>di</strong> sposarli. I due giovani iniziano felici una nuova vita lì, dove ben<br />

presto vengono raggiunti da Agnese, che si era nel frattempo ammalata <strong>di</strong> peste<br />

ma – come <strong>di</strong>ce fra Cristoforo – la Provvidenza aveva voluto che risanasse.<br />

Il Griso fugge evitando il carcere, ma ben presto le sue con<strong>di</strong>zioni peggiorano e<br />

muore <strong>di</strong> peste. In quanto a don Abbon<strong>di</strong>o, invece, spaventato a morte da tutti<br />

quegli avvenimenti e terrorizzato al pensiero <strong>di</strong> essere rimproverato dal car<strong>di</strong>nale<br />

Borromeo, una notte fa fagotto e fugge <strong>di</strong> nascosto, e da quel momento<br />

nessuno lo rivedrà mai più. L’unica a versare qualche lacrima per lui è la povera<br />

Perpetua.<br />

* * *<br />

– 324 –


I PROMESSI SPOSI<br />

(riscritti da Sara Composto)<br />

Capitolo IX (I della trama alternativa)<br />

Menico narra l’agguato che gli è stato teso dai bravi ed invita Lucia, Renzo ed<br />

Agnese a non recarsi a casa per nessun motivo.<br />

Lucia con parole supplichevoli riesce ad ottenere ospitalità presso don Abbon<strong>di</strong>o.<br />

La ragazza trascorre una notte a casa del curato, ed il giorno seguente offre a Perpetua,<br />

come segno <strong>di</strong> riconoscenza, la sua <strong>di</strong>sponibilità ed il suo aiuto riguardo lo<br />

svolgimento delle faccende domestiche.<br />

Perpetua accetta senza indugiare e chiede a Lucia <strong>di</strong> recarsi alla fonte per attingere<br />

dell’acqua. Presso la fonte, il Griso e i bravi rapiscono la fanciulla e, dopo<br />

averla bendata, la conducono al palazzotto <strong>di</strong> don Rodrigo.<br />

Capitolo X (II della trama alternativa)<br />

A sua insaputa Lucia viene condotta da don Rodrigo. La ragazza si trova così al<br />

cospetto del signorotto, e <strong>di</strong>nanzi alle assillanti attenzioni <strong>di</strong> questo, lo prega <strong>di</strong><br />

ridarle la libertà negatale per un così futile capriccio.<br />

Don Rodrigo pare non curarsi dei sentimenti <strong>di</strong> Lucia piangente e implorante, ma<br />

in seguito comprende lo stato d’animo della fanciulla ed or<strong>di</strong>na al Griso <strong>di</strong> chiamare<br />

Renzo.<br />

Capitolo XI (III della trama alternativa)<br />

Renzo si reca imme<strong>di</strong>atamente da don Rodrigo. Non sapendo però che le intenzioni<br />

<strong>di</strong> colui che l’ha mandato a chiamare sono prive d’inganno, pensa che ad<br />

attenderlo, lì al palazzotto, ci sia un duello. In realtà, giunto al cospetto <strong>di</strong> don<br />

Rodrigo, trova l’amata Lucia che lo accoglie a braccia aperte. In seguito ad una<br />

serie <strong>di</strong> chiarimenti, Renzo comprende che in realtà Lucia, con le sue suppliche e<br />

le sue preghiere, è riuscita a far breccia nel cuore <strong>di</strong> don Rodrigo, che permette il<br />

ricongiungimento dei due innamorati.<br />

Capitolo XII (IV della trama alternativa)<br />

Renzo si reca con Lucia presso il convento dove Agnese ha trovato appoggio e<br />

riparo. In questo modo Lucia ha l’occasione <strong>di</strong> intraprendere un intenso percorso<br />

spirituale, che presto la conduce ad una decisione ben precisa.<br />

Così mentre Renzo ed Agnese stabiliscono il da farsi riguardo il matrimonio e<br />

scelgono la data delle tanto attese nozze, Lucia trascorre le sue giornate nel convento<br />

de<strong>di</strong>candosi alla preghiera e alla me<strong>di</strong>tazione. Pondera a lungo le numerose<br />

peripezie affrontate, e l’amore che pare legarla a Renzo. Perciò giunge ad<br />

un’inattesa conclusione.<br />

Capitolo XIII (V della trama alternativa)<br />

Lucia decide <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi alla vita monacale. La scelta della ragazza inizialmente<br />

non viene accettata né da Agnese né da Renzo, poiché ritengono che questa decisione<br />

sia dettata da un ragionamento frutto <strong>di</strong> un momento <strong>di</strong> tensione.<br />

– 325 –


Lucia è invece più che decisa a prendere i voti e spiega le sue motivazioni, chiedendo<br />

alla madre ed a colui che sarebbe dovuto essere il suo promesso sposo,<br />

<strong>di</strong> accettare la sua scelta.<br />

Agnese asseconda la figlia, pur provando una triste rassegnazione, ma Renzo,<br />

che arde d’amore per Lucia, si oppone e ritiene la decisione <strong>di</strong> prendere i voti<br />

avventata e folle. In seguito ad un colloquio fra i due, Renzo si trova costretto a<br />

piegare la sua passione <strong>di</strong> fronte all’immenso amore che Lucia prova per Dio.<br />

* * *<br />

I PROMESSI SPOSI<br />

(riscritti da Salvatore Gallo)<br />

Capitolo IX (I della trama alternativa)<br />

Il gruppo <strong>di</strong> bravi appostati al casolare per il rapimento <strong>di</strong> Lucia penetra nella casa<br />

trovando la ragazza in compagnia <strong>di</strong> Menico, rientrato da poco dal convento.<br />

Questi non badano alla presenza <strong>di</strong> Menico, pensano soltanto a prendere la ragazza<br />

e a portarla alla svelta all’osteria in cui attendevano il loro arrivo don Rodrigo e gli<br />

altri suoi bravi, per poi portare la ragazza nel suo sfarzoso appartamento.<br />

Arrivati, don Rodrigo si alza in pie<strong>di</strong> e si toglie il cappello come segno <strong>di</strong> accoglienza<br />

nei confronti della giovane fanciulla ammutolita e tremante dalla paura<br />

che le possano fare del male.<br />

– Desidera qualcosa da bere o da mangiare, mia cara e dolce fanciulla? Posso<br />

avere il piacere <strong>di</strong> offrire qualcosa a lei gra<strong>di</strong>to? – , <strong>di</strong>ce don Rodrigo, con aria da<br />

uomo fiero e sod<strong>di</strong>sfatto del riuscito rapimento della bella Lucia, che risponde: –<br />

Sì, mio signore, desidero la serenità che non riesco ad avere ultimamente, quella<br />

serenità che mi permetterebbe <strong>di</strong> vivere una vita migliore <strong>di</strong> quella attuale, se si<br />

può chiamare vita, quella serenità che hanno in molti, o forse non l’ha nessuno,<br />

quella che riuscirebbe a regalare il sorriso a tutti, quella letizia che credo <strong>di</strong> meritare,<br />

ma la stessa che voi e i vostri compari non volete concedermi!<br />

Don Rodrigo, sbalor<strong>di</strong>to dalle parole <strong>di</strong> Lucia e dalla responsabilità che gli addebita,<br />

risponde: – Non posso concedervela, mia giovane, sarebbe causa del mio<br />

dolore pensarla senza fare nulla per averla, e questo è quanto! –, conclude, or<strong>di</strong>nando<br />

ai bravi <strong>di</strong> portare Lucia a casa: – Voi portate la fanciulla nella mia casa e<br />

badate <strong>di</strong> non farvi vedere, io arriverò il prima possibile!<br />

Si chiude così il capitolo.<br />

Capitolo X (II della trama alternativa)<br />

Lucia viene così portata nella casa del malvagio signorotto e rinchiusa in una<br />

stanza buia e fredda. Intanto Renzo, avvertito del rapimento, corre a casa <strong>di</strong><br />

Lucia, dove sono riuniti fra Cristoforo, Menico, travolto dalla rabbia e in preda<br />

alla <strong>di</strong>sperazione, la madre della fanciulla, Tonio e Gervaso. Qui il giovane viene<br />

colto dalla rabbia, afferra un coltello da cucina ed esce da casa alla ricerca <strong>di</strong><br />

don Rodrigo, aiutato da Tonio e Gervaso. Le parole <strong>di</strong> fra Cristoforo sono vane, il<br />

desiderio <strong>di</strong> Lucia regna su tutti e tutto. Dopo vari giri e tentativi vani <strong>di</strong> ricerca,<br />

– 326 –


i tre si trovano davanti all’osteria, dove vedono don Rodrigo e quattro dei suoi<br />

bravi scherzare e ridere a volontà.<br />

Senz’altri pensieri Renzo gli si scaglia contro violentemente puntandogli il coltello<br />

affilato. Inizia qui una <strong>di</strong>scussione molto viva tra i due che finirà con una rissa violenta.<br />

Capitolo XI (III della trama alternativa)<br />

– Con quale coraggio ti presenti qua, con aria minacciosa e animo impietrito da<br />

una rabbia che non conosce confini, o Lorenzo Tramaglino? Sei per caso spinto<br />

dall’amore? Non sarà facile convincermi, il mio cuore è più forte del ferro! Stermino,<br />

come fa la peste, tutti quelli che intralciano il mio cammino! E tu sarai il<br />

prossimo! – <strong>di</strong>ce il signorotto.<br />

Allora Renzo riba<strong>di</strong>sce: – Oh cane, non basterebbe la tua morte per cancellare<br />

ogni tuo danno, ogni <strong>di</strong>spiacere che hai dato a noi come a tanti altri, ma potesse<br />

passarti attraverso il cuore questa lama affilata, solo per farti provare tanto dolore<br />

quanto tu ne ven<strong>di</strong> senza prezzo, verme!<br />

– Stimo il tuo coraggio, Renzo, ma non ti permetterò <strong>di</strong> offendermi, <strong>di</strong> offendere un<br />

uomo d’onore come me, quin<strong>di</strong> modera termini e toni se desideri riuscire a pensare<br />

ancora alla tua amata, altrimenti sappi che non vedrai più neanche la luce del sole. –<br />

<strong>di</strong>ce don Rodrigo, e Renzo controbatte: – Allora non apprezzare il mio coraggio! Perché<br />

continuerò fino alla morte, l’amore <strong>di</strong> Lucia Mondella vale la vita, se non <strong>di</strong> più!<br />

Don Rodrigo, spinto dalla folle rabbia, si scaglia contro Renzo, passando dalle<br />

pesanti parole alle mani. Inizia una rissa che vede Renzo vincitore, dopo aver<br />

conficcato un coltello in gola al signorotto e dopo che Tonio e Gervaso, nonostante<br />

siano rimasti feriti, sono riusciti a stendere i bravi.<br />

Impauriti dalla presenza <strong>di</strong> altre persone dentro la locanda, Renzo, Tonio e<br />

Gervaso fuggono sporchi <strong>di</strong> sangue. Corrono alla prima fontana per lavarsi e<br />

poi verso casa, per l’ultimo ristoro veloce prima della fuga a Milano.<br />

Capitolo XII (IV della trama alternativa)<br />

Arrivati a casa trovano solo la madre <strong>di</strong> Lucia e Menico. Dicono imme<strong>di</strong>atamente<br />

alla donna <strong>di</strong> preparare la cena e fare un breve riposo, cosicché all’alba<br />

possano partire per Milano. Così è. Alla prima luce del mattino Renzo e i suoi<br />

due amici liberano Lucia a casa <strong>di</strong> don Rodrigo, mentre i bravi dormono, e<br />

insieme intraprendono il viaggio che avrebbe cambiato tutto.<br />

Capitolo XIII (V della trama alternativa)<br />

Renzo, Lucia, Agnese, Tonio e Gervaso prendono il battello e senza farsi notare<br />

affrontano il viaggio in una mattinata in cui regnano fulmini e tempesta. Ma<br />

fortunatamente arrivano a Milano senza problemi, si sistemano presso un convento<br />

che gli dà grande ospitalità e pochi giorni dopo Renzo e Lucia si sposano.<br />

In seguito si sistemano in una propria casa e vivono la loro vita felicemente senza<br />

più quei pensieri che li tormentavano.<br />

* * *<br />

– 327 –


I PROMESSI SPOSI<br />

(riscritti da Elisa Iezzi)<br />

Capitolo VIII (con variante nel contenuto)<br />

Don Abbon<strong>di</strong>o, assorto nelle sue letture, autorizza Perpetua a far salire Tonio e<br />

Gervaso. Perpetua, scesa in strada, incontra Agnese che finge <strong>di</strong> passare lì per caso<br />

e la coinvolge in una conversazione. Tonio e Gervaso entrano nello stu<strong>di</strong>o del curato,<br />

mentre Renzo e Lucia raggiungono, <strong>di</strong> nascosto, il pianerottolo della canonica.<br />

Tonio intanto salda il suo debito e mentre il curato esamina le monete, al segnale<br />

convenuto, Renzo e Lucia entrano nella stanza: improvvisamente Renzo<br />

balza davanti alla scrivania del curato e con Lucia pronuncia l’intera frase che li<br />

avrebbe resi marito e moglie. Così i due finalmente sono sposi. “Certo”, pensa<br />

Lucia, “non è il matrimonio che ho sempre sognato, ma in fondo l’importante è che<br />

tutto sia andato per il meglio.” Don Abbon<strong>di</strong>o caccia infuriato i due sposi e i loro<br />

testimoni dalla sua casa e si rinchiude in una stanza attigua gridando. Dopo essere<br />

usciti dalla <strong>di</strong>mora del curato incontrano Agnese intenta a parlare con Perpetua:<br />

madre e figlia si scambiano uno sguardo e Agnese capisce che è andato tutto bene.<br />

Così tutti tornano a casa: Tonio ha saldato il suo debito, Agnese è felice per la figlia e<br />

per il genero e i due sposi, più innamorati che mai, tornano a casa mano nella mano.<br />

Capitolo IX (I della trama alternativa)<br />

Intanto i bravi <strong>di</strong> don Rodrigo si trovano al <strong>di</strong> fuori dell’abitazione <strong>di</strong> Agnese e<br />

aspettano impazienti. È buio e quando Renzo, Lucia e Agnese si trovano vicino<br />

alla porta <strong>di</strong> casa non si accorgono della loro presenza: improvvisamente Lucia<br />

si sente quasi soffocare, viene bendata e portata via, Renzo, ribellandosi, viene<br />

picchiato e lasciato a terra, Agnese, invece, riesce a nascondersi.<br />

Lucia si sente smarrita, nel buio <strong>di</strong> quella carrozza che va troppo veloce. Agnese<br />

grida aiuto, svegliando tutti i vicini e facendoli scendere in strada. Renzo viene<br />

soccorso e accolto nel monastero <strong>di</strong> padre Cristoforo, dove passa la notte pieno <strong>di</strong><br />

dolore, come Lucia che, quando viene fatta scendere dalla carrozza, è condotta in<br />

una stanza illuminata solo da una candela. In quel momento entra don Rodrigo<br />

che l’afferra bruscamente e la minaccia, <strong>di</strong>cendole che se non lo avesse sposato<br />

la sua famiglia e i suoi cari sarebbero stati in grave pericolo. Lucia con le lacrime<br />

agli occhi lo prega <strong>di</strong> lasciarla in pace e <strong>di</strong> andarsene: don Rodrigo l’accontenta<br />

con un sogghigno sul volto.<br />

Capitolo X (II della trama alternativa)<br />

Il giorno dopo il rapimento, Agnese chiede aiuto a padre Cristoforo, il quale <strong>di</strong>ce<br />

che andrà a parlare con don Rodrigo. Quin<strong>di</strong> si mette in cammino verso il suo palazzo<br />

e quando arriva davanti all’entrata, ov’erano due bravi <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a, viene<br />

fermato e interrogato. Intanto don Rodrigo, affacciatosi alla finestra e vedendo<br />

il frate, fa un cenno ai bravi che, inaspettatamente, uccidono padre Cristoforo<br />

pugnalandolo al cuore. Lucia, vedendo la scena dalla stanza, cade in un pianto<br />

<strong>di</strong>sperato, ma è proprio in quel momento che capisce cosa fare: decide che quella<br />

sera stessa sarebbe scappata.<br />

– 328 –


Nel frattempo Agnese prega e Renzo cammina su e giù per la stanza: entrambi<br />

aspettano preoccupati il ritorno <strong>di</strong> padre Cristoforo. Giunge la sera e nella <strong>di</strong>mora<br />

<strong>di</strong> don Rodrigo si cena: il padrone in compagnia dei suoi bravi è seduto a una<br />

tavola che trabocca <strong>di</strong> cibo. Lucia si è rifiutata <strong>di</strong> mangiare, come a pranzo, e si<br />

trova nella sua stanza a pregare e ad aspettare la notte fonda.<br />

Quando giunge la notte tutti dormono nella casa <strong>di</strong> don Rodrigo, tranne Lucia, impaziente<br />

<strong>di</strong> fuggire; finalmente, prende coraggio spinta dall’amore per Renzo, con<br />

un candelabro d’argento rompe il vetro della finestra e, accertandosi che nessuno<br />

in casa abbia sentito, fugge. Corre come non ha mai fatto nella sua vita, con lacrime<br />

<strong>di</strong> gioia che scendono sul suo volto infreddolito. Sa che nel convento troverà<br />

la sua famiglia: infatti, quando arriva e chiede <strong>di</strong> Renzo e Agnese un frate<br />

l’accompagna alla loro cella. Renzo sente dunque dei passi avvicinarsi alla porta,<br />

quando questa si apre vede Lucia, che con il suo sorriso angelico lo guarda e gli<br />

salta con le braccia al collo. Agnese ringrazia la Provvidenza e abbraccia la figlia.<br />

Lucia racconta la sua fuga e inoltre annuncia la triste notizia della morte <strong>di</strong> padre<br />

Cristoforo. I tre, allora, si riuniscono in preghiera per ricordarlo.<br />

Capitolo XI (III della trama alternativa)<br />

Ormai giunta la mattina, Renzo e Lucia chiedono consiglio ad Agnese su cosa<br />

fare. La donna rimane un po’ in silenzio, poi <strong>di</strong>ce: “Ragazzi, in questa situazione<br />

la migliore via d’uscita è proprio la fuga. Sicuramente don Rodrigo si<br />

sarà accorto che tu, Lucia, sei fuggita, e starà mandando i suoi bravi a cercarti<br />

qui al paese. Dunque fuggite: attraversate il lago e trasferitevi a Bergamo dove<br />

c’è tuo cugino, Renzo. Cambiatevi i nomi e cominciate a vivere il vostro matrimonio”.<br />

I due sposi così fanno: uscendo dal convento con il volto coperto si <strong>di</strong>rigono<br />

al lago dove un barcaiolo li conduce all’altra riva. Da quel momento un<br />

senso <strong>di</strong> speranza, ma soprattutto <strong>di</strong> libertà, inizia a pervadere la mente e il<br />

corpo dei novelli sposi. Quel giorno segna per loro l’inizio <strong>di</strong> una vita tranquilla<br />

e serena.<br />

Intanto, però, nella piccola citta<strong>di</strong>na dove Agnese trascorre la sua vecchiaia in<br />

solitu<strong>di</strong>ne, giunge la peste che si <strong>di</strong>ffonde sempre più velocemente.<br />

Capitolo XII (IV della trama alternativa)<br />

Dopo un mese <strong>di</strong> viaggio i due sposi arrivano a Bergamo, ove vengono ospitati<br />

dal cugino <strong>di</strong> Renzo. Renzo ora ha cambiato nome, è <strong>di</strong>ventato Antonio Romaglino,<br />

mentre Lucia si chiama Agnese Nodella, in ricordo della madre, che è<br />

morta <strong>di</strong> peste. Anche don Abbon<strong>di</strong>o, rimasto nascosto in casa fino alla fine, è<br />

morto <strong>di</strong> peste, così come Perpetua e don Rodrigo. Quest’ultimo prima <strong>di</strong> morire<br />

fa la sua ultima richiesta: che il suo pentimento e la domanda <strong>di</strong> perdono arrivino<br />

fino a Renzo e Lucia. Una lieta notizia giunge infine da Bergamo: Antonio e<br />

Agnese, ossia Renzo e Lucia, hanno avuto due gemelli, Giovanni e Stefania, e<br />

l’amore dei loro genitori è più duraturo che mai.<br />

* * *<br />

– 329 –


I PROMESSI SPOSI<br />

(riscritti da Caterina Jekot)<br />

Capitolo IX (I della trama alternativa)<br />

Lucia viene rapita dai bravi e condotta al cospetto <strong>di</strong> don Rodrigo. Intanto<br />

Agnese, Renzo e Menico, <strong>di</strong>sperati, si recano da fra Cristoforo per essere aiutati.<br />

La povera Lucia, ormai in casa del signorotto, viene condotta in una stanza elegante<br />

e i bravi le comunicano che il giorno seguente don Rodrigo desidera incontrarla<br />

<strong>di</strong> persona e parlarle.<br />

Capitolo X (II della trama alternativa)<br />

Fra Cristoforo, nel frattempo, cerca <strong>di</strong> tranquillizzare Renzo e Agnese, pensando<br />

ad un piano, ad una risoluzione al loro problema. Agnese propone <strong>di</strong> riprendere<br />

Lucia in qualche modo <strong>di</strong> nascosto e <strong>di</strong> fuggire tutti e tre insieme (lei, Lucia e<br />

Renzo) lontano dalle insi<strong>di</strong>e <strong>di</strong> don Rodrigo. Padre Cristoforo propone <strong>di</strong> recarsi<br />

lui stesso dal nobiluomo e <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> riscattare Lucia. Un’altra idea che viene<br />

in mente al frate è quella <strong>di</strong> chiedere aiuto ad un uomo potente e ricco. Renzo,<br />

dal canto suo, decide <strong>di</strong> andare al palazzo <strong>di</strong> don Rodrigo e <strong>di</strong> convincerlo a restituirgli<br />

la sua Lucia, anche con un duello.<br />

Capitolo XI (III della trama alternativa)<br />

Allarmati da questa notizia, sia Agnese che Padre Cristoforo cercano <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re<br />

a Renzo <strong>di</strong> fare qualche sciocchezza. Il frate in particolare, gli rammenta che<br />

essendo molto giovane e impulsivo, spesso compie azioni che lo danneggiano e<br />

gli <strong>di</strong>ce che per aiutare Lucia è necessario aiutarsi a vicenda.<br />

Capitolo XII (IV della trama alternativa)<br />

Mentre Renzo si calma un po’ e insieme pensano ad una soluzione, passa la notte e<br />

la mattina seguente Lucia incontra don Rodrigo. I due si parlano, anche se all’inizio<br />

la ragazza è un po’ intimorita, poi chiede a don Rodrigo cosa ha intenzione <strong>di</strong> farle.<br />

Il nobiluomo le confessa <strong>di</strong> essersi innamorato a prima vista e che intende sposarla.<br />

Lucia risponde <strong>di</strong> non volerne sapere e don Rodrigo or<strong>di</strong>na ai bravi <strong>di</strong> scortarla<br />

nella sua stanza e <strong>di</strong> chiuderla a chiave. L’uomo, temendo che il gelosissimo Renzo<br />

tenti in qualche modo <strong>di</strong> portargliela via, decide <strong>di</strong> trasferire la ragazza a Milano, <strong>di</strong><br />

farla sorvegliare dai bravi, mentre lui nel loro paesino natale svolge delle faccende.<br />

In seguito decide che, risolte le sue faccende, si sarebbe recato da lei a Milano.<br />

Capitolo XIII (V della trama alternativa)<br />

Renzo, che non ne può più <strong>di</strong> aspettare, decide <strong>di</strong> recarsi da don Rodrigo per<br />

riprendersi Lucia, che nel frattempo, scortata dai bravi, sale in una carrozza <strong>di</strong>retta<br />

a Milano. Renzo per strada intravede Lucia nella carrozza e le corre <strong>di</strong>etro ma,<br />

sfortunatamente, incontra un gruppo <strong>di</strong> bravi sempre al servizio <strong>di</strong> don Rodrigo,<br />

che lo fermano e gli impe<strong>di</strong>scono il passaggio. Il giovane, infuriato, in un primo<br />

momento ha intenzione <strong>di</strong> combattere con loro, ma alla fine, ricordando il consiglio<br />

<strong>di</strong> fra Cristoforo, mantiene la calma e si allontana prudentemente.<br />

– 330 –


Capitolo XIV (VI della trama alternativa)<br />

Menico, vedendo passare i bravi <strong>di</strong> don Rodrigo, li sente <strong>di</strong>re che Lucia è stata<br />

portata in carrozza a Milano a casa <strong>di</strong> un amico <strong>di</strong> don Rodrigo. Così corre ad<br />

avvisare Renzo, che parte imme<strong>di</strong>atamente per Milano. Contemporaneamente,<br />

anche don Rodrigo, svolte le sue faccende, si reca a Milano. Intanto la povera<br />

Lucia prega Dio che la aiuti a ritornare dal suo Renzo.<br />

– 331 –


MAURIZIO CASTELLAN<br />

Miscellanea <strong>di</strong> matematica<br />

INTRODUZIONE<br />

All’interno <strong>di</strong> questa sezione della miscellanea vengono illustrati due<br />

risultati <strong>di</strong> geometria sintetica nell’ambito della teoria dell’equiestensionalità.<br />

Il primo contributo ha come argomento il teorema <strong>di</strong> equiestensionalità<br />

trapezio-triangolo, da cui scaturisce la ben nota formula dell’area del trapezio:<br />

(base maggiore + base minore) × altezza<br />

Area = ––––––––––––––––––––––––––––––––––<br />

2<br />

Viene qui presentata una <strong>di</strong>mostrazione “alternativa” a quella che si<br />

trova normalmente sui manuali scolastici.<br />

La seconda attività <strong>di</strong> ricerca aveva come obiettivo l’in<strong>di</strong>viduazione<br />

<strong>di</strong> una costruzione semplice che permettesse <strong>di</strong> determinare il lato <strong>di</strong> un<br />

quadrato avente la stessa estensione <strong>di</strong> un triangolo dato.<br />

Gli allievi, dopo aver stu<strong>di</strong>ato il problema, hanno trovato una soluzione<br />

sod<strong>di</strong>sfacente, mostrando come la costruzione finale sia la sintesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

passaggi, la cui correttezza è giustificata da opportuni teoremi <strong>di</strong> equiestensionalità.<br />

ATTIVITÀ DI RICERCA N° 1<br />

Definizioni e Annotazioni<br />

F = G : figure uguali (sono un’unica figura)<br />

F = ~ G : figure congruenti (sovrapposte coincidono)<br />

F = . G : figure equiestese (hanno la stessa estensione)<br />

F + G : somma <strong>di</strong> figure (ottenuta unendo le due figure)<br />

Assiomi<br />

(i) A = B cA = ~ B e A = ~ B cA = . B<br />

(ii) A = . B e B = . C cA = . C<br />

(iii) A = . B e C = . D cA + C = . B + D<br />

– 332 –


Lemma<br />

Due triangoli che hanno basi e altezze congruenti sono equiestesi.<br />

Teorema<br />

Un trapezio ha la stessa estensione <strong>di</strong> ogni triangolo che ha la base congruente<br />

alla somma delle basi del trapezio e altezza congruente all’altezza<br />

del trapezio.<br />

Ipotesi: EF = ~ AB+CD,eDH1 = ~ GH2 Tesi: ABCD = . EFG<br />

Dimostrazione<br />

Consideriamo il trapezio ABCD e prolunghiamo la sua base AB <strong>di</strong> un<br />

segmento BL = ~ CD.<br />

Il triangolo ACL è dunque un triangolo che ha per base la somma delle<br />

basi del trapezio e la stessa altezza.<br />

ACD = . BCL per il lemma<br />

perché:<br />

CD = ~ BL per costruzione<br />

e<br />

DH1 = ~ CH3 per costruzione.<br />

Notiamo ora che<br />

ABCD = ABC + ACD<br />

– 333 –


ACL = ABC +BCL<br />

Quin<strong>di</strong><br />

ACL = . ABCD per l’assioma (iii).<br />

Notiamo ora che, per il lemma, ACL = . EFG,<br />

infatti:<br />

EF = ~ AL per costruzione<br />

GH2 = ~ CH3 per costruzione.<br />

Si conclude, per l’assioma (ii), che:<br />

ABCD = . EFG.<br />

QED<br />

ATTIVITÀ DI RICERCA N° 2<br />

– 334 –<br />

Silvia FEDI<br />

Classe I H (P.N.I.), a.s. <strong>2007</strong>-2008<br />

Premettiamo gli enunciati <strong>di</strong> alcuni teoremi che saranno usati nella<br />

trattazione.<br />

Teorema 1<br />

Un rettangolo e un triangolo con altezze congruenti, e con la base del<br />

primo congruente alla metà della base del secondo, sono equiestesi.<br />

Teorema 2<br />

Un triangolo avente come base il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> una circonferenza e come<br />

vertice un suo punto P, è rettangolo in P.<br />

Teorema 3<br />

(2° teorema <strong>di</strong> Euclide). Un rettangolo avente i lati congruenti alle<br />

proiezioni dei cateti <strong>di</strong> un triangolo rettangolo, ha la stessa estensione del<br />

quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa.


Problema<br />

Dato un triangolo ABC determinare il lato <strong>di</strong> un quadrato avente la<br />

stessa estensione del triangolo.<br />

Il lato del quadrato può essere determinato attraverso la seguente costruzione<br />

(fig. 1):<br />

• si tracciano la retta a passante per A e C e la retta b passante per B e<br />

parallela al lato AC;<br />

• si traccia M, punto me<strong>di</strong>o del lato AC e si traccia la retta t passante per<br />

M e perpen<strong>di</strong>colare al lato AC;<br />

• si traccia H, punto <strong>di</strong> intersezione tra la retta t e la retta b;<br />

• si traccia K, punto <strong>di</strong> intersezione tra la circonferenza <strong>di</strong> centro M e<br />

raggio HM e la retta a;<br />

• si traccia O, punto me<strong>di</strong>o del segmento AK;<br />

• si traccia L, pundo <strong>di</strong> intersezione tra la circonferenza <strong>di</strong> centro O e<br />

raggio AO e la retta t,<br />

il lato del quadrato è il segmento ML.<br />

– 335 –<br />

Fig. 1


La correttezza della costruzione poggia sulla seguente argomentazione<br />

(fig. 2)<br />

Per il Teorema 1, il rettangolo AMHD e il triangolo ABC sono equiestesi.<br />

Per il Teorema 2, il triangolo AKL è rettangolo, notiamo inoltre che le<br />

proiezioni dei cateti sono congruenti ai lati del rettangolo AMHD; ne segue,<br />

per il Teorema 3, che il rettangolo AMHD e il quadrato costruito sul segmento<br />

ML sono equiestesi.<br />

Per l’assioma (ii) (pag. 332) il triangolo e il quadrato sono equiestesi.<br />

– 336 –<br />

Fig. 2<br />

Andrea DI LORENZO, Valerio STINCO, Riccardo VIGNOLI<br />

Classe I D (P.N.I.), a.s. <strong>2007</strong>-2008<br />

– FINE –

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!