Lo status familiae

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19.06.2013 Views

La soggezione personale ed economica della donna al marito diviene progressivamente, nei fatti, un lontano ricordo. La stessa conventio in manum sopravvive solo per le indirette utilizzazioni fiduciarie alle quali essa si presta. La donna conserva ora di norma – anche da sposata – la sua autonomia patrimoniale (alla quale di certo doveva concorrere significativamente – al di là della vexata quaestio della ‘titolarità’ giuridica di essa – la presenza di una dote, su cui sono ora, per altro, più garantite che in passato le sue attese di restituzione, in caso di scioglimento dell’unione: con Augusto, si limitano espressamente anche i poteri dispositivi del marito sui beni dotali). In coerenza, del resto, con un generale favore verso una progressiva più sostanziale indipendenza personale della stessa (che si manifesta attraverso i mutamenti che intervengono in materia di tutela e che di fatto la sottraggono ai vincoli di un tempo). La sola cosa che resiste è il dovere della donna di essere fedele al marito e di non commettere perciò adulterio. E tuttavia ne cambia in qualche modo la valutazione sociale. Ora si introducono restrizioni nell’esercizio del ius occidendi da parte del marito ed ampliamenti invece nelle facoltà di reazione concesse al pater. Comincia ad emergere una prospettiva che valuta la reazione piuttosto sotto il profilo di un iustus calor, considerato come esimente o attenuante, piuttosto che come esercizio di un diritto punitivo, ma si guarda ora con disfavore ad una eventuale composizione pecuniaria dell’offesa da parte dell’adultero, una volta invece ordinario strumento liberatorio). Anche lo sfaldamento della patria potestas è – nei secoli che osserviamo – progressivo ed inesorabile. Benché rimasta ancorata al suo principio fondante (dura per la vita del genitore, distinguendo in questo profondamente – come avrebbe osservato ancora Gaio – il regime romano da ogni altro), essa risulta lentamente, ma inesorabilmente svuotata. L’autorità domestica del pater non va – nei fatti – oltre l’adolescenza dei figli. I poteri disciplinari riconosciuti al padre tendono a perdere l’incisività che una volta avevano probabilmente avuto. L’idea che l’esercizio della potestà debba avvenire con moderazione è più volte affermata. Traiano costringe un padre – che maltrattava il figlio – ad emanciparlo. Sul piano personale, la sua influenza sulle scelte decisive per la vita dei figli tende a scomparire. Non può (se mai lo abbia potuto prima) imporre il matrimonio. Il consenso alle nozze e al mantenimento in essere dell’unione può essere ora imposto o comunque mancare senza conseguenze. Anche la soggezione economica dei figli si allenta molto. Concorrono al riguardo fattori diversi e di diversa risalenza. Abbastanza per tempo i padri sono indotti a concedere ai figli un peculium (e dunque una sostanziale autonomia patrimoniale, ben presto con effetti pretori nei confronti dei terzi). E ragioni economiche legate agli sviluppi politici e territoriali innescati dalle conquiste mediterranee inducono i padri (il fenomeno si osserva già nel II sec. a.C. almeno) a giovarsi della collaborazione

dei figli (come per altro anche di schiavi) nell’esercizio di attività ai quali egli li prepone (presto con conseguente sua esposizione anche qui, sul piano del diritto pretorio, verso i terzi). Si giunge – con Augusto – ad imporre al padre (con riferimento ad acquisti del figlio in castris) un regime peculiare, che attribuisce al figlio diretti poteri dispositivi mortis causa sui beni che ne sono oggetto. 14. Il processo, di cui abbiamo ora considerato gli sviluppi osservabili già nel corso dell’impero, subisce un’ulteriore accelerazione nei secoli del tardo antico. Il quadro che la materia presenta nel suo assetto giustinianeo – che costituisce un punto di arrivo non privo anche di elementi di reazione contro fenomeni di allentamento delle antiche pratiche derivanti da costumi completamente estranei alla tradizione romana – è significativamente diverso. Vi confluiscono le conseguenze sia delle grandi correnti di pensiero (che, già nei primi secoli dell’impero, avevano spinto nella direzione di profondi cambiamenti di atteggiamento, soprattutto quanto ai rapporti tra padri e figli, sia in termini di rilevanza della generazione naturale, sia in termini di soggezione dei secondi ai primi), sia della religione cristiana (che diventa ora la bussola di orientamento dei costumi e della legislazione). Per quanto riguarda il nostro limitato punto di osservazione, deve osservarsi come, ancora una volta, gli sviluppi siano conseguenza delle profonde trasformazioni che toccano la disciplina dei due aspetti fondamentali del sistema: il matrimonium, come unica unione idonea a fondarlo, e il regime ‘familiare’ che ne discende. Ora è matrimonium (o si favorisce che lo diventi) qualunque unione lecita stabile e le relazioni familiari, pur restando un fatto che determina una condizione di privilegio per coloro che ne sono coinvolti, rispetto ad ogni altra possibile persona con la quale sussistano vincoli derivanti dalla generazione, non hanno più lo stesso privilegiato trattamento successorio di un tempo. Per quanto riguarda il matrimonium, esso continua ad essere il rapporto lecito (perciò legittimato dal reciproco connubium) che lega due personae di sesso diverso in conseguenza di una convivenza attuata pubblicamente. Non si richiedono, in via generale, forme per la manifestazione del consenso nuziale, ma senatori ed illustres non si considerano in matrimonio se non vi è stata redazione dei nuptialia documenta (relativi a doti e donazioni nuziali) o – in sostituzione – una dichiarazione in chiesa dinanzi al defensor. Più rigoroso diviene il regime del divorzio. Non solo esso è consentito in presenza di causae giustificative, ma non è nemmeno più, forse (Nov. 134.11 pr.), inesorabilmente interruttivo del matrimonio, che sopravvive alla volontà di scioglierlo ingiustificatamente.

dei figli (come per altro anche di schiavi) nell’esercizio di attività ai<br />

quali egli li prepone (presto con conseguente sua esposizione anche<br />

qui, sul piano del diritto pretorio, verso i terzi).<br />

Si giunge – con Augusto – ad imporre al padre (con<br />

riferimento ad acquisti del figlio in castris) un regime peculiare, che<br />

attribuisce al figlio diretti poteri dispositivi mortis causa sui beni che<br />

ne sono oggetto.<br />

14. Il processo, di cui abbiamo ora considerato gli sviluppi<br />

osservabili già nel corso dell’impero, subisce un’ulteriore<br />

accelerazione nei secoli del tardo antico.<br />

Il quadro che la materia presenta nel suo assetto giustinianeo –<br />

che costituisce un punto di arrivo non privo anche di elementi di<br />

reazione contro fenomeni di allentamento delle antiche pratiche<br />

derivanti da costumi completamente estranei alla tradizione romana –<br />

è significativamente diverso.<br />

Vi confluiscono le conseguenze sia delle grandi correnti di<br />

pensiero (che, già nei primi secoli dell’impero, avevano spinto nella<br />

direzione di profondi cambiamenti di atteggiamento, soprattutto<br />

quanto ai rapporti tra padri e figli, sia in termini di rilevanza della<br />

generazione naturale, sia in termini di soggezione dei secondi ai<br />

primi), sia della religione cristiana (che diventa ora la bussola di<br />

orientamento dei costumi e della legislazione).<br />

Per quanto riguarda il nostro limitato punto di osservazione,<br />

deve osservarsi come, ancora una volta, gli sviluppi siano<br />

conseguenza delle profonde trasformazioni che toccano la disciplina<br />

dei due aspetti fondamentali del sistema: il matrimonium, come unica<br />

unione idonea a fondarlo, e il regime ‘familiare’ che ne discende.<br />

Ora è matrimonium (o si favorisce che lo diventi) qualunque<br />

unione lecita stabile e le relazioni familiari, pur restando un fatto che<br />

determina una condizione di privilegio per coloro che ne sono<br />

coinvolti, rispetto ad ogni altra possibile persona con la quale<br />

sussistano vincoli derivanti dalla generazione, non hanno più lo stesso<br />

privilegiato trattamento successorio di un tempo.<br />

Per quanto riguarda il matrimonium, esso continua ad essere il<br />

rapporto lecito (perciò legittimato dal reciproco connubium) che lega<br />

due personae di sesso diverso in conseguenza di una convivenza<br />

attuata pubblicamente.<br />

Non si richiedono, in via generale, forme per la manifestazione<br />

del consenso nuziale, ma senatori ed illustres non si considerano in<br />

matrimonio se non vi è stata redazione dei nuptialia documenta<br />

(relativi a doti e donazioni nuziali) o – in sostituzione – una<br />

dichiarazione in chiesa dinanzi al defensor.<br />

Più rigoroso diviene il regime del divorzio.<br />

Non solo esso è consentito in presenza di causae giustificative,<br />

ma non è nemmeno più, forse (Nov. 134.11 pr.), inesorabilmente<br />

interruttivo del matrimonio, che sopravvive alla volontà di scioglierlo<br />

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