Lo status familiae

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19.06.2013 Views

matrimoniale alle unioni, dall’altro spingendo tuttavia, nello stesso tempo, verso un orientamento di queste alla procreazione (e alla conseguente costituzione di relazioni “familiari”), in un quadro di riaffermata distinzione (e perciò dignità sociale) delle stesse. Come già ho accennato, un importante mutamento di quadro si ebbe da quando il pretore prese a considerare – ai fini successori – la condizione “familiare” in una prospettiva più aperta di quella originaria. Sui tempi di maturazione di questa vicenda non siamo in grado di dire molto. La nostra principale informazione ci viene in proposito da Cicerone e sappiamo da Valerio Massimo (7.7.5) che già nel 70 a.C. il pretore concedeva una bonorum possessio anche correttiva di un testamento civile (dunque contra tabulas). Di certo, la materia evolve e si sviluppa ancora durante tutta la prima età imperiale. Orbene: com’è noto, il pretore finì per accordare la bonorum possessio sine tabulis (in senso non più adiutorio, ma correttivo del ius civile) secondo precedenze diverse da quelle dell’antica legislazione decemvirale. E tuttavia tenendo fermo un fatto: anche per lui la condizione di filius nato ex matrimonio restava la sola rilevante (oltre che precedente ogni altra). Nell’assetto finale – quale ricostruibile sulla base dell’editto perpetuo – tra i liberi succedevano anche emancipati e dati in adozione (se sui iuris mortis tempore), i discendenti non pervenuti in potestate, i discendenti in locum dell’ascendente defunto o anche rinunciante, i figli e nipoti postumi. E tra i cognati anche coloro che lo fossero per ‘discendenza’ naturale (dunque: per via materna). Ma la sola discendenza considerata (dal punto di vista del suo rapporto con il padre) restava la discendenza che era o era stata o anche sarebbe stata ‘legitima’ (fondata cioè su un “matrimonio”). Il figlio “naturale” (nato cioè fuori dal matrimonio) non aveva titolo alla bonorum possessio del patrimonio paterno, accedeva solo alla bonorum possessio nei confronti della madre e dei parenti acquisiti attraverso di lei. E anche vir e uxor erano chiamati reciprocamente alla bonorum possessio solo in quanto tali in forza di un iustum matrimonium in atto: D. 38.11.1pr.-1 (Ulp. 47 ad ed.): Ut bonorum possessio peti possit unde vir et uxor, iustum esse matrimonium oportet. ceterum si iniustum fuerit matrimonium, nequaquam bonorum possessio peti poterit, quemadmodum nec ex testamento adiri hereditas vel secundum tabulas peti bonorum possessio potest: nihil enim capi propter iniustum matrimonium potest. 1.Ut autem haec bonorum possessio locum habeat, uxorem esse oportet mortis tempore. sed si divortium quidem secutum sit, verumtamen iure durat matrimonium, haec successio locum non habet. hoc autem in huiusmodi speciebus procedit. liberta ab invito patrono divortit: lex iulia de maritandis ordinibus retinet istam in matrimonio, dum eam prohiberet alii nubere invito patrono. item iulia de adulteriis, nisi certo modo divortium factum sit, pro infecto habet.

L’apertura successoria operata insomma dal pretore a favore di coloro che non erano (o non erano mai stati) appartenenti alla cerchia familiare (in senso civile) modificò – e profondamente – il quadro dei diritti successori che le XII tavole avevano delineato in favore dei familiari (sia proprio che communi iure). Ma lo fece, muovendo da un dato fermo e per ora insuperato: restava rilevante solo la parentela ‘paterna’ (dalla quale quei diritti discendevano). In quanto essa fosse cioè fondata su un “matrimonium”, unico fatto, dunque, che continua a dettare il criterio di “inclusione/esclusione” delle personae dal regime ‘familiare’. E ciò, ancorché quest’ultimo venga ora determinato su nuovi presupposti di appartenenza, sia per una diversa valutazione dei fatti che un tempo sarebbero stati inesorabilmente interruttivi di esso (come l’emancipazione o la dazione in adozione), ma anche per le dimensioni della cerchia da considerare (si pensi al nipote emancipato, nato da un padre a sua volta emancipato, ai postumi e agli ammessi in locum per rinuncia). 12. Larghi mutamenti dunque nel concreto regime dei fatti che determinano la disciplina dei rapporti “familiari”, ma costante e insuperata rilevanza del criterio essenziale: solo se c’è matrimonio nasce e si sviluppa anche un regime ‘familiare’ (il che significa un insieme di relazioni tra personae legate a quel fatto fondativo). Una cosa va tuttavia ancora sottolineata. Il fatto discriminante è “il” matrimonium. Non “il primo” (o un particolare) matrimonium. Più matrimoni successivi di uno stesso pater danno luogo tutti, allo stesso modo, a relazioni di parentela ‘legitima’ e dunque ‘familiare’. La sola rilevanza che un’eventuale successione nel tempo di diversi matrimoni di uno stesso pater assume è data dal rilievo che la consaguinitas può avere – ma già nel diritto civile e da sempre – nel determinare l’ordine successorio, quando concorrano eredi maschi e femmine. Queste seconde hanno titolo, infatti, solo se anche ‘consaguinee’ (se nate cioè non solo dallo stesso pater, ma anche dalla stessa madre). Segno aggiuntivo della rilevanza della parentela “paterna” nella costituzione delle relazioni ‘familiari’. Va ricordato tuttavia come ora comincino ad essere equiparati – a certi effetti (in particolare: sotto il profilo della repressione dell’adulterio) – al matrimonio anche altre unioni stabili (concubinato, unione di cittadino e peregrina “sine connubio”). 13. Se vogliamo ora ragionare sulle relazioni tra mutamenti di costume e mutamenti giuridici di regime (nel loro reciproco influenzarsi) alla luce delle trasformazioni osservate, dovremo constatare che, nei secoli che vanno dal III secolo a.C. alla matura età imperiale, si sono verificate conseguenze molto significative sia nei rapporti tra vir ed uxor, sia in quelli tra pater e discendenti.

matrimoniale alle unioni, dall’altro spingendo tuttavia, nello stesso<br />

tempo, verso un orientamento di queste alla procreazione (e alla<br />

conseguente costituzione di relazioni “familiari”), in un quadro di<br />

riaffermata distinzione (e perciò dignità sociale) delle stesse.<br />

Come già ho accennato, un importante mutamento di quadro si<br />

ebbe da quando il pretore prese a considerare – ai fini successori – la<br />

condizione “familiare” in una prospettiva più aperta di quella<br />

originaria.<br />

Sui tempi di maturazione di questa vicenda non siamo in grado<br />

di dire molto. La nostra principale informazione ci viene in proposito<br />

da Cicerone e sappiamo da Valerio Massimo (7.7.5) che già nel 70<br />

a.C. il pretore concedeva una bonorum possessio anche correttiva di<br />

un testamento civile (dunque contra tabulas). Di certo, la materia<br />

evolve e si sviluppa ancora durante tutta la prima età imperiale.<br />

Orbene: com’è noto, il pretore finì per accordare la bonorum<br />

possessio sine tabulis (in senso non più adiutorio, ma correttivo del ius<br />

civile) secondo precedenze diverse da quelle dell’antica legislazione<br />

decemvirale. E tuttavia tenendo fermo un fatto: anche per lui la<br />

condizione di filius nato ex matrimonio restava la sola rilevante (oltre<br />

che precedente ogni altra). Nell’assetto finale – quale ricostruibile<br />

sulla base dell’editto perpetuo – tra i liberi succedevano anche<br />

emancipati e dati in adozione (se sui iuris mortis tempore), i<br />

discendenti non pervenuti in potestate, i discendenti in locum<br />

dell’ascendente defunto o anche rinunciante, i figli e nipoti postumi. E<br />

tra i cognati anche coloro che lo fossero per ‘discendenza’ naturale<br />

(dunque: per via materna). Ma la sola discendenza considerata (dal<br />

punto di vista del suo rapporto con il padre) restava la discendenza che<br />

era o era stata o anche sarebbe stata ‘legitima’ (fondata cioè su un<br />

“matrimonio”). Il figlio “naturale” (nato cioè fuori dal matrimonio)<br />

non aveva titolo alla bonorum possessio del patrimonio paterno,<br />

accedeva solo alla bonorum possessio nei confronti della madre e dei<br />

parenti acquisiti attraverso di lei. E anche vir e uxor erano chiamati<br />

reciprocamente alla bonorum possessio solo in quanto tali in forza di<br />

un iustum matrimonium in atto:<br />

D. 38.11.1pr.-1 (Ulp. 47 ad ed.): Ut bonorum possessio peti<br />

possit unde vir et uxor, iustum esse matrimonium oportet. ceterum si<br />

iniustum fuerit matrimonium, nequaquam bonorum possessio peti<br />

poterit, quemadmodum nec ex testamento adiri hereditas vel<br />

secundum tabulas peti bonorum possessio potest: nihil enim capi<br />

propter iniustum matrimonium potest. 1.Ut autem haec bonorum<br />

possessio locum habeat, uxorem esse oportet mortis tempore. sed si<br />

divortium quidem secutum sit, verumtamen iure durat matrimonium,<br />

haec successio locum non habet. hoc autem in huiusmodi speciebus<br />

procedit. liberta ab invito patrono divortit: lex iulia de maritandis<br />

ordinibus retinet istam in matrimonio, dum eam prohiberet alii nubere<br />

invito patrono. item iulia de adulteriis, nisi certo modo divortium<br />

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