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Lo status familiae

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un’integrazione sociale rapida (che, già dalla seconda generazione,<br />

avrebbe comportato una condizione pienamente cittadina dei loro<br />

discendenti).<br />

Il principio tenacemente difeso era stato quello tradizionale:<br />

solo iustae nuptiae permettevano la nascita di un matrimonium e delle<br />

conseguenti relazioni familiari che ne derivavano. La “identità”<br />

familiare era rimasta insomma affidata all’idea del matrimonio come<br />

fatto che discriminava le convivenze sotto il profilo dei loro effetti<br />

sulla condizione giuridica dei coniugi e quindi di coloro che ne erano<br />

generati.<br />

E tuttavia molte cose erano venute nel tempo cambiando.<br />

Sotto la spinta di fattori molteplici – legati da un lato al<br />

considerevole (ovviamente, in senso sempre relativo: la cittadinanza si<br />

estende, ma sempre in termini molto “controllati”) allargamento della<br />

base sociale interessata, e delle sue non sempre omogenee condizioni<br />

culturali e religiose, dall’altro ad una progressiva decadenza della<br />

conventio in manum (che già nelle XII tavole appariva un risultato non<br />

sempre voluto, tanto da essersene apprestata la possibilità di<br />

impedirne l’automatica instaurazione) – si era perduto il rilievo<br />

preponderante che avevano avuto un tempo le nuptiae confarreatae<br />

come modello sociale “dominante”. L’osservazione della realtà<br />

sociale, come descritta dai comici (in particolare da Plauto), e<br />

conservatasi nella tradizione, mostra che ormai il matrimonium è –<br />

nella realtà sociale – una relazione, il cui fondamento viene visto nel<br />

fatto della sua esistenza, quale denunciato da elementi di<br />

riconoscibilità di tipo “oggettivo”: l’intervenuta deductio in domum<br />

viri della donna e la sua perdurante considerazione di uxor, non venuta<br />

meno cioè per una volontà interruttiva dichiarata, che appare ormai<br />

non più legata, a sua volta, alle sole iustae causae di un tempo. Ora<br />

anche l’infertilità – un fatto dunque “incolpevole” – può “giustificare”<br />

(nel senso di non dare luogo alle gravi antiche sanzioni) la<br />

interruzione di una relazione matrimoniale:<br />

Gell. 17.21.44: Anno deinde post Romam conditam<br />

quingentesimo undevicesimo Sp. Carvilius Ruga primus Romae de<br />

amicorum sententia divortium cum uxore fecit, quod sterila esset<br />

iurassetque apud censores uxorem se liberum quaerundorum causa<br />

habere.<br />

Alla fine della repubblica, il quadro appare decisamente<br />

diverso da quello più antico, anche se in una logica “essenziale” che<br />

resta di continuità.<br />

Matrimonio resta infatti un’unione “qualificata” (per i<br />

presupposti giuridicamente richiesti per la sua esistenza, per i suoi<br />

peculiari modi di costituirsi e distinguersi da altre convivenze<br />

stabilizzate, per i fatti che ne giustificano l’interruzione, per gli effetti

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