Lo status familiae

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19.06.2013 Views

certamente rilevante, ma non può dirsi tuttavia che essa – anche in un’ottica antica e puramente civile – possa considerarsi alla stregua di una totale sudditanza (nemmeno in linea di puro principio) dei secondi al primo. Per quanto riguarda infine la condizione di coloro che formano la cerchia di persone costituenti la familia communi iure, essa è regolata, per ciascuna delle familiae proprio iure in cui essa si articola, ovviamente dagli stessi principi che abbiamo ora considerato, mentre – per i riflessi giuridici che la riguardano direttamente – essa genera diritti successori inter se degli adgnati (nei limiti tuttavia già ricordati della prossimità) e vincoli di solidarietà ulteriori tra i medesimi per il caso che si renda necessario l’esercizio di tutelae o curatelae, per le quali non sia stato eventualmente altrimenti disposto. 9. La descritta condizione “familiare” ha rilevanza soltanto nel diritto privato. Dal punto di vista infatti dell’ordinamento pubblico cittadino, i gruppi familiari non hanno rilevanza “giuridica”. I diritti politici legati alla cittadinanza sono “individuali” e indipendenti perciò dalla esistenza o meno di legami familiari. Ne sono del tutto escluse le donne (che hanno invece una condizione di diritto privato, più limitata, rispetto a quella degli uomini, ma comunque rilevante). Patres e filii hanno identici diritti e doveri (possono rivestire cariche, votano individualmente nelle assemblee). La appartenenza ai distretti che organizzano la vita pubblica, anche quando hanno collegamento con l’origine delle personae (come le tre antiquae tribus) lo hanno in un senso dipendente da fattori diversi dalla loro appartenenza familiare, anche se naturalmente è da ritenere che questa esercitasse di fatto la sua influenza ai fini della collocazione. Da un lato è verosimile infatti che i gruppi familiari seguissero in antico una logica di formazione – e di conseguente collocazione nelle singole curiae – legata non solo alla comune origine nazionale, ma anche alle relazioni gentilizie e familiari. Dall’altro che anche la loro collocazione nel territorio (intervenute le regiones e le tribù territoriali) avvenisse di fatto in termini ordinari di contiguità rispetto ai gruppi parentali più vicini. Ma tutto questo senza alcun vincolo di necessità. La familia – come cerchia di persone tra le quali si definiscono speciali rapporti di solidarietà – non genera, al di fuori dei diritti e doveri disciplinati dal diritto privato, relazioni giuridicamente rilevanti oltre quelle previste. Anche i vincoli di clientela e di patronato (derivante da manomissione), sono – da un punto di vista giuridico – vincoli che riguardano direttamente ed esclusivamente le personae che li contraggono. La deditio in fidem e l’applicatio dei clientes avvengono nei confronti di un singolo e non della sua familia e la inosservanza dei doveri che ne derivano genera perciò conseguenze solo sui singoli (il patronus e il cliens). La manomissione ha effetti per il liberto e il manumissor, ma non coinvolge i loro familiari.

Da questo punto di vista, va sottolineato anche un ulteriore fatto. Nessuna altra relazione umana genera – nel mondo romano – vincoli di solidarietà giuridicamente rilevanti. Non contano ragioni affettive. Parenti di sangue, nutrici, precettori, amici non hanno alcun “diritto”. Persino la uxor di un iustum matrimonium che non sia “in manu” – e dunque integrata nel gruppo “familiare” del marito – non avrà a lungo diritti successori (il relativo editto pretorio non sembra potersi fare risalire oltre il II secolo a.C., mentre l’esistenza di uxores non in manu è sicura già almeno dalle XII tavole). Verso costoro sono possibili solo benefici volontari (donazioni, lasciti ereditari). E lo stesso vale per le solidarietà che nascano da fatti politici, religiosi o culturali. Senza dire che anche coloro ai quali sono riconosciute “attese” lo sono sempre subordinatamente alla inesistenza di una diversa volontà testamentaria. Il solo vincolo non “familiare” che genera reciproche attese anche economiche è quello che deriva dal “patronato” (che lega il liberto al suo manumissor). La familia è stata dunque concepita dai Romani come uno strumento di inclusione/esclusione rivolto ad assicurare ad una cerchia definita di persone una condizione di speciale considerazione sotto il profilo dei vincoli di solidarietà personale ed economica che reciprocamente le coinvolgono. Il padre ha doveri solo verso i figli in potestate e deve assicurare il suo sostegno (come tutore o curatore) solo a coloro verso i quali lo lega l’appartenenza alla familia communi iure. I figli in potestate (ed essi soltanto) hanno doveri forti. Ma hanno anche (al contrario dei figli puramente naturali) protezione e sicurezza personali, diritto ad essere alimentati ed educati, e soprattutto una speciale considerazione ereditaria (non possono essere ignorati senza ragione; succedono ipso iure, in regime tra loro di consortium, e non sono esposti perciò al rischio di una eredità giacente). 10. Il regime familiare che abbiamo descritto avrà uno sviluppo storico complesso, che ne toccherà nel tempo ogni aspetto, stemperandone molti rigori. E tuttavia su un punto la linea di continuità resterà fermissima. Dalle origini lontane fino a Giustiniano (che segnerà la rottura decisa con la tradizione), esso si caratterizzerà sempre per il fatto di avere esclusivo fondamento in un “matrimonium” (inteso come unione “qualificata”, che si distingue, giuridicamente, da altre analoghe). Anche di questo (intendo dire del matrimonium) cambieranno nel tempo molti aspetti specifici: fatti costitutivi ed estintivi, specifica disciplina delle relazioni che ne dipendono (tra coniugi, tra questi e i loro figli, tra tutti costoro e coloro con i quali vi è o vi è stata una

certamente rilevante, ma non può dirsi tuttavia che essa – anche in<br />

un’ottica antica e puramente civile – possa considerarsi alla stregua di<br />

una totale sudditanza (nemmeno in linea di puro principio) dei secondi<br />

al primo.<br />

Per quanto riguarda infine la condizione di coloro che formano<br />

la cerchia di persone costituenti la familia communi iure, essa è<br />

regolata, per ciascuna delle <strong>familiae</strong> proprio iure in cui essa si<br />

articola, ovviamente dagli stessi principi che abbiamo ora considerato,<br />

mentre – per i riflessi giuridici che la riguardano direttamente – essa<br />

genera diritti successori inter se degli adgnati (nei limiti tuttavia già<br />

ricordati della prossimità) e vincoli di solidarietà ulteriori tra i<br />

medesimi per il caso che si renda necessario l’esercizio di tutelae o<br />

curatelae, per le quali non sia stato eventualmente altrimenti disposto.<br />

9. La descritta condizione “familiare” ha rilevanza soltanto nel<br />

diritto privato.<br />

Dal punto di vista infatti dell’ordinamento pubblico cittadino, i<br />

gruppi familiari non hanno rilevanza “giuridica”.<br />

I diritti politici legati alla cittadinanza sono “individuali” e<br />

indipendenti perciò dalla esistenza o meno di legami familiari. Ne<br />

sono del tutto escluse le donne (che hanno invece una condizione di<br />

diritto privato, più limitata, rispetto a quella degli uomini, ma<br />

comunque rilevante).<br />

Patres e filii hanno identici diritti e doveri (possono rivestire<br />

cariche, votano individualmente nelle assemblee). La appartenenza ai<br />

distretti che organizzano la vita pubblica, anche quando hanno<br />

collegamento con l’origine delle personae (come le tre antiquae<br />

tribus) lo hanno in un senso dipendente da fattori diversi dalla loro<br />

appartenenza familiare, anche se naturalmente è da ritenere che questa<br />

esercitasse di fatto la sua influenza ai fini della collocazione. Da un<br />

lato è verosimile infatti che i gruppi familiari seguissero in antico una<br />

logica di formazione – e di conseguente collocazione nelle singole<br />

curiae – legata non solo alla comune origine nazionale, ma anche alle<br />

relazioni gentilizie e familiari. Dall’altro che anche la loro<br />

collocazione nel territorio (intervenute le regiones e le tribù<br />

territoriali) avvenisse di fatto in termini ordinari di contiguità rispetto<br />

ai gruppi parentali più vicini. Ma tutto questo senza alcun vincolo di<br />

necessità.<br />

La familia – come cerchia di persone tra le quali si definiscono<br />

speciali rapporti di solidarietà – non genera, al di fuori dei diritti e<br />

doveri disciplinati dal diritto privato, relazioni giuridicamente rilevanti<br />

oltre quelle previste. Anche i vincoli di clientela e di patronato<br />

(derivante da manomissione), sono – da un punto di vista giuridico –<br />

vincoli che riguardano direttamente ed esclusivamente le personae che<br />

li contraggono. La deditio in fidem e l’applicatio dei clientes<br />

avvengono nei confronti di un singolo e non della sua familia e la<br />

inosservanza dei doveri che ne derivano genera perciò conseguenze<br />

solo sui singoli (il patronus e il cliens). La manomissione ha effetti<br />

per il liberto e il manumissor, ma non coinvolge i loro familiari.

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