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lo spazio come indicatore dell'identità urbana - La scuola di Pitagora ...

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228<br />

Verso il mito della me<strong>di</strong>terraneità<br />

Al volgere del seco<strong>lo</strong>, per gran parte dei Pensionnaires dell’Académie française a Roma,<br />

le <strong>di</strong>ssepolte città vesuviane costituivano, ormai, una tappa imprescin<strong>di</strong>bile nei <strong>lo</strong>ro itinerari<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, al punto da essere inserita tra i “lavori obbligatori” già dal 1788. Negli<br />

anni successivi, è registrato un notevole incremento dei viaggi effettuati da stu<strong>di</strong>osi,<br />

artisti e architetti, <strong>di</strong>gnitari, politici e antiquari francesi, benché esplicitamente critici e<br />

consapevoli dei <strong>di</strong>sagi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o determinati non so<strong>lo</strong> dalla già ricordata <strong>di</strong>fficoltà a re<strong>di</strong>gere<br />

riproduzioni dal vero, ma anche dai continui spostamenti dei reperti rinvenuti.<br />

Il fascino mostrato all’estero per gli oggetti reperiti, in realtà, era parte <strong>di</strong> quell’interesse<br />

scientifico e, al tempo stesso, <strong>di</strong> profonda seduzione suscitati dal ritrovamento,<br />

per la prima volta, <strong>di</strong> ampi brani <strong>di</strong> città, <strong>di</strong>ssotterrati nella <strong>lo</strong>ro interezza del quoti<strong>di</strong>ano<br />

e immobilizzati, <strong>come</strong> in una lastra fotografica, nell’intimità della vita domestica<br />

bruscamente interrotta dal drammatico evento dell’eruzione. D’altra parte, l’unicità<br />

dell’evento ritrovato alimentava quella curiosità verso la scoperta dell’oggetto<br />

d’uso comune, che ne <strong>di</strong>latava il campo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o fino all’indagine <strong>di</strong>retta delle abitu<strong>di</strong>ni<br />

e dei costumi <strong>di</strong> civiltà del mondo antico, conosciute so<strong>lo</strong> attraverso il linguaggio<br />

colto e raffinato <strong>di</strong> resti e rovine <strong>di</strong> monumenti. L’aulica cultura del Me<strong>di</strong>terraneo,<br />

qui, infatti, interagiva con il quoti<strong>di</strong>ano, perdendo la sua aurea astrazione<br />

per prepararsi a esprimere con antiretorica comunicatività le complesse implicazioni<br />

culturali del seco<strong>lo</strong> successivo.<br />

Nel 1754, mentre si dava alle stampe il Cata<strong>lo</strong>go degli antichi monumenti <strong>di</strong>ssotterrati<br />

e si era iniziato a pensare alla pubblicazione dei primi volumi de Le Antichità, era<br />

stato ripreso anche il cantiere archeo<strong>lo</strong>gico <strong>di</strong> Pompei, sebbene, qui, il primo scavo<br />

fosse stato già avviato il 23 marzo 1748, quando si era ritenuto <strong>di</strong> aver in<strong>di</strong>viduato<br />

le tracce dell’antica Stabia, per poi essere subito interrotto.<br />

Pompei, dopo la lunga pausa dei lavori a vantaggio della vicina Ercolano, dove per<br />

procedere, però, si doveva «[…] rompere e portar via tutta la lava e la terra impietrita»,<br />

negli ultimi decenni del Settecento, si preparava a offuscare la risonanza <strong>di</strong> Ercolano<br />

all’estero 18 .<br />

Le costanti <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> procedere con i lavori <strong>di</strong> sbancamento del tenace spessore <strong>di</strong><br />

lava, <strong>come</strong> aveva preannunciato Winckelmann, infatti, contribuiranno non poco a<br />

rallentare il mito delle “antichità ercolanensi” fino a dare un impulso inaspettato a

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