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lo spazio come indicatore dell'identità urbana - La scuola di Pitagora ...

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Elena Manzo<br />

lezza che, a <strong>di</strong>spetto della preziosa reperibilità dell’opera e dei restrittivi <strong>di</strong>vieti reali a riprodurre<br />

le scoperte degli scavi, Ercolano, Pompei e Stabia erano ormai già inserite tra<br />

le mete più ambite dai viaggiatori colti, pur restando appannaggio <strong>di</strong> privilegiati e raffinati<br />

stu<strong>di</strong>osi fino agli ultimi decenni del Settecento. Tra le prime testimonianze in tal<br />

senso si devono menzionare alcune scrupo<strong>lo</strong>se valutazioni <strong>di</strong> Cherles de Brosses, registrate<br />

già nel 1739, quando si era appena aperto il cantiere archeo<strong>lo</strong>gico e le considerazioni,<br />

quasi coeve, espresse in forma <strong>di</strong> lettere dal<strong>lo</strong> scrittore inglese Horace Walpole,<br />

poi raccolte nell’epistolario pubblicato al termine del suo Grand Tour 14 .<br />

All’inizio, gli Inglesi e i Francesi furono i maggiori frequentatori del vasto sito archeo<strong>lo</strong>gico,<br />

ma i primi assumeranno un ruo<strong>lo</strong> sostanziale nell’investigazione scientifica<br />

del manufatto architettonico soprattutto negli anni venti del XIX seco<strong>lo</strong>, quando<br />

si farà strada il <strong>di</strong>battito sulla policromia e Pompei sarà in<strong>di</strong>cata tra le principali fonti<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o insieme alla Grecia e alla Sicilia 15 . Per gli altri, invece, il soggiorno partenopeo<br />

-e segnatamente quel<strong>lo</strong> nell’intera area vesuviana- era, in parte, un modo per<br />

approfon<strong>di</strong>re le ra<strong>di</strong>ci classiche della <strong>lo</strong>ro appartenenza me<strong>di</strong>terranea, la riscoperta <strong>di</strong><br />

paesaggi e luoghi ben più congeniali, con i quali non so<strong>lo</strong> si erano confrontati già in<br />

epoche remote, ma in cui presto torneranno ufficialmente durante il decennio <strong>di</strong> occupazione<br />

ottocentesca, intervenendo da protagonisti nel riassetto dell’organizzazione<br />

del vastissimo cantiere <strong>di</strong> scavo 16 .<br />

<strong>La</strong> stagione vesuviana francese era stata aperta, tra l’altro, da personaggi dalla caratura<br />

da Abel-François Poisson de Van<strong>di</strong>ères, marchese <strong>di</strong> Marigny. Questi, che presto<br />

sarebbe <strong>di</strong>ventato <strong>di</strong>rettore generale dei Bâtimentes, Arts, Jar<strong>di</strong>ns et Manufactures, giunto<br />

nella nostra Penisola tra il 1749 e il 1751, era accompagnato da Charles Nicolas Cochin,<br />

Maestro reale <strong>di</strong> Disegno e Conservatore del Gabinetto dei Disegni e delle<br />

Stampe <strong>di</strong> Corte, il quale, al rientro in patria, trascrisse le esperienze italiane in alcuni<br />

libri <strong>di</strong> viaggio. Il volume Observations, in particolare, è de<strong>di</strong>cato al soggiorno<br />

campano. Strutturato in tre parti e arricchito da un significativo corpus <strong>di</strong> tavole, in<br />

cui Cochin riprodusse “a memoria” quanto ebbe modo <strong>di</strong> vedere presso <strong>lo</strong> scavo ercolanese,<br />

il libro è ritenuto il primo e principale veico<strong>lo</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione in Francia<br />

delle opere recuperate dalla lava del Vesuvio 17 .<br />

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