lo spazio come indicatore dell'identità urbana - La scuola di Pitagora ...
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Verso il mito della me<strong>di</strong>terraneità<br />
tettonico nel suo contesto paesistico e nel suo significato antropico, cioè oltre l’aulicità<br />
artistica, trovava concreti e insormontabili ostacoli nelle <strong>di</strong>scutibili tecniche adottate<br />
e nelle controverse opinioni al riguardo. Prima fra tutte quella esplicitamente<br />
espressa dal più rinomato archeo<strong>lo</strong>go del tempo, Johann Joachim Winckelmann, secondo<br />
cui Ercolano offriva a stu<strong>di</strong>osi e visitatori «una città <strong>di</strong>roccata e mucchi <strong>di</strong> pietre»,<br />
giacché la lava aveva coperto sotto uno spesso strato <strong>di</strong> roccia vulcanica l’intera<br />
città, lasciando so<strong>lo</strong> «antiche muraglie rovinate» 7 . Un giu<strong>di</strong>zio duramente aspro e assolutamente<br />
<strong>lo</strong>ntano dal va<strong>lo</strong>re che <strong>di</strong>mostrava avere, giorno dopo giorno, il vasto sito<br />
vesuviano, esteso tra Portici e Resina, Torre dell’Annunciata (Pompei) e Gragnano<br />
(Stabia), interamente sepolto dalla tragica eruzione del 79 d.C.<br />
Le considerazioni <strong>di</strong> Winckelmann, <strong>di</strong> fatto, avrebbero implicitamente accompagnato<br />
il lento e progressivo declino della città, a favore <strong>di</strong> Pompei: rimarcandone la <strong>di</strong>fficoltà<br />
<strong>di</strong> scavo, infatti, si era evidenziato <strong>come</strong> quest’ultima, non coperta dalla consistente coltre<br />
<strong>di</strong> lava, ma so<strong>lo</strong> da un manto <strong>di</strong> cenere e lapilli, avrebbe potuto offrire un repertorio<br />
integro <strong>di</strong> più facile accessibilità ed era, quin<strong>di</strong>, una meta da preferire per co<strong>lo</strong>ro che<br />
«vogliono vedere interamente scoperte le quattro mura <strong>di</strong> case […] seppellite» 8 .<br />
Per molti anni, però, l’accesso agli scavi fu consentito so<strong>lo</strong> a pochissime persone, le<br />
quali, tra l’altro, avevano il preciso <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> prendere <strong>di</strong>segni dal vero. Eppure, a <strong>di</strong>spetto<br />
dei numerosi decreti reali, che vietavano qualunque forma <strong>di</strong> riproduzione, la<br />
fortuna critica delle scoperte in atto, <strong>come</strong> è noto, stava avendo una <strong>di</strong>vulgazione sorprendente,<br />
al punto da inserire l’intero scavo vesuviano tra le delle tappe d’obbligo<br />
negli itinerari del Grand Tour 9 .<br />
Quando, però, negli ultimi mesi del 1767, l’abate Galiani scrive una delle sue più celebri<br />
lettere a Bernardo Tanucci - ormai <strong>di</strong>ventato Ministro degli Esteri e della Casa<br />
Reale borbonica dal 1754 - con grande lungimiranza in<strong>di</strong>vidua uno <strong>di</strong> principali<br />
temi <strong>di</strong> interessi suscitati dai ritrovamenti ercolanensi sul mercato internazionale della<br />
produzione dell’oggetto d’arte e <strong>di</strong> quel<strong>lo</strong> domestico.<br />
A <strong>di</strong>spetto della ritrosia <strong>di</strong>mostrata dalla Corte partenopea verso una e<strong>di</strong>zione in inglese<br />
e francese de Le Antichità <strong>di</strong> Ercolano esposte, maggiormente accessibile a un vasto<br />
pubblico e alla ven<strong>di</strong>ta dei volumi sul mercato comune, infatti, l’Ambasciatore