lo spazio come indicatore dell'identità urbana - La scuola di Pitagora ...

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19.06.2013 Views

144 Lo spazio come indicatore dell'identità urbana Nella tradizione italiana - potrebbe anche dirsi nella più generale tradizione europea - la città è un prodotto di regole, ma anche “della loro continua violazione: per interpretazione, rielaborazione, confronto. Regole, procedure, metodi, modelli reinventati di fronte all’esperienza di una diversa condizione come figure discorsive […] tecniche per ben fare, per rendere minimi ciò che in quel momento si considerano errori” 3 ; ed è per la conoscenza e l’applicazione di dette regole - che in ambito urbano si evidenziano soprattutto nella costruzione dei vuoti - che le nostre città cambiano e si accreditano presso le comunità di appartenenza: corrispondenze tra pieni e vuoti, allineamenti, chiusure, permeabilità, ecc… definiscono, nel tempo, un formidabile repertorio di dispositivi progettuali, capace sia di confermare lo sviluppo urbano che di promuoverlo. Parlare di regole per il disegno della città, specialmente per quella antica, può sembrare un paradosso: la varietà delle forme che ne caratterizza gli spazi facilmente fa pensare a prove ripetute, a sperimentazioni sul campo, a raccordi ed acrobazie formali; facilmente fa pensare ad aggregazioni fortuite, lontane da ogni controllo normativo. In realtà, gli studi sull’evoluzione delle città ci dicono che lo spazio urbano è essenzialmente un prodotto di regole e che in ogni città, medievale o successiva che sia, apportare modifiche, aprire o anche correggere il perimetro di una piazza, o di una strada è spesso di difficile attuazione. “Nel Medioevo - scrive Cesare Brandi - entro il circuito delle mura, il terreno urbano costava caro (…) per la piazza della Signoria a Firenze, solo alla metà del Trecento fu possibile, con espropri, la costruzione della cosiddetta Loggia dei Lanzi, a regolarizzare la quinta a destra del Palazzo Vecchio” 4 . L’esproprio di un terreno interno alla città è questione che coinvolge tutti, non solo i diretti interessati: nel 1400 ad Avignone, quando i religiosi cercano di modificare lo spazio antistante la chiesa di S. Agricola, si trovano contro tutti i residenti della zona e le ragioni della comunità intera 5 . Partecipare alla vita sociale è una necessità ed un dovere diffuso e forse è proprio per questo tipo di interesse, oltre che per l’attuazione di strumenti generali di controllo, che le città antiche evolvono senza troppi errori. L’assenza di un progetto, così come oggi l’intendiamo, non significa che nella città antica strade e piazze nascano per caso, o siano prodotte senza regole. In generale, si

Aldo De Sanctis tratta di opere collettive, risultato delle motivazioni che nel tempo si sono manifestate e di modifiche ripetute; strade e piazze devono forse immaginarsi come l’esito di un , ordinato da regole essenziali e da un radicato patrimonio di esperienze comuni. Di norma, non ci sono modelli a cui rifarsi (la presenza di testimonianze più antiche è spesso occasione di riprogettazioni e di interpretazioni radicali), o schemi da applicare, come si cercherà di fare successivamente, ma precetti da seguire (allineamenti, livelli massimi e minimi, corrispondenze, consapevolezza funzionale), accorgimenti di buon senso (per l’igiene, o per la prevenzione degli incendi) e, soprattutto, statuti da osservare: a Spoleto, ad esempio, nel 1296 per la manutenzione viaria si “ordina di riparare tutte le strade della città e rifare la pavimentazione ove fosse rovinata (…) e se una strada è pavimentata per metà la si faccia pavimentare a spese dei proprietari delle case dove non c’è pavimentazione”; ancora, per la pulizia ed il decoro, “stabiliamo che l’autorità faccia tenere le vie pubbliche, quelle vicinali e le piazze pulite; e se qualcuno farà una qualsiasi bruttura nelle strade o nelle piazze che si punisca con ogni mezzo con una multa di quaranta soldi” 6 . A Siena nel 1297 si prevede che negli edifici attorno a piazza del Campo “tutte le finestre si facciano a colonnelli”; nel 1310 si stabilisce che “neuno possa da chinci innanzi haedificare ovvero rinnovare ovvero fare alcuno ballatoio ovvero solaio” 7 . I controlli ripetuti valgono anche per riportare a norma quanto realizzato in difformità. “Sulla questione dei ballatoi a Siena -scrive Franco Borsi- si ritorna anche più tardi, in pieno Quattrocento (…) gli Ufficiali dell’ornato della città, avendo comandato a un certo Augostino Dato e fratelli , li hanno trovati ” 8 . Sempre a Siena troviamo che “la strada che è tra la casa Perini e quella Ranucci debba essere sistemata e lastricata e tenuta come strada comunale cosicché non si faccia nessuna costruzione o ballatoio e sia libera fino al cielo” 9 . Si potrebbe continuare, ma per concludere questa breve rassegna ricordiamo che “nel Trecento quasi ogni città ha già elaborato i propri statuti, o per effetto di uno spontaneo sviluppo giuridico, o per imitazione dei testi già adottati da altre città” 10 . 145

Aldo De Sanctis<br />

tratta <strong>di</strong> opere collettive, risultato delle motivazioni che nel tempo si sono manifestate<br />

e <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fiche ripetute; strade e piazze devono forse immaginarsi <strong>come</strong> l’esito<br />

<strong>di</strong> un , or<strong>di</strong>nato da regole essenziali e da un ra<strong>di</strong>cato patrimonio<br />

<strong>di</strong> esperienze comuni.<br />

Di norma, non ci sono modelli a cui rifarsi (la presenza <strong>di</strong> testimonianze più antiche<br />

è spesso occasione <strong>di</strong> riprogettazioni e <strong>di</strong> interpretazioni ra<strong>di</strong>cali), o schemi da applicare,<br />

<strong>come</strong> si cercherà <strong>di</strong> fare successivamente, ma precetti da seguire (allineamenti,<br />

livelli massimi e minimi, corrispondenze, consapevolezza funzionale), accorgimenti<br />

<strong>di</strong> buon senso (per l’igiene, o per la prevenzione degli incen<strong>di</strong>) e, soprattutto,<br />

statuti da osservare: a Spoleto, ad esempio, nel 1296 per la manutenzione viaria<br />

si “or<strong>di</strong>na <strong>di</strong> riparare tutte le strade della città e rifare la pavimentazione ove fosse<br />

rovinata (…) e se una strada è pavimentata per metà la si faccia pavimentare a spese<br />

dei proprietari delle case dove non c’è pavimentazione”; ancora, per la pulizia ed il<br />

decoro, “stabiliamo che l’autorità faccia tenere le vie pubbliche, quelle vicinali e le<br />

piazze pulite; e se qualcuno farà una qualsiasi bruttura nelle strade o nelle piazze che<br />

si punisca con ogni mezzo con una multa <strong>di</strong> quaranta sol<strong>di</strong>” 6 .<br />

A Siena nel 1297 si prevede che negli e<strong>di</strong>fici attorno a piazza del Campo “tutte le finestre<br />

si facciano a co<strong>lo</strong>nnelli”; nel 1310 si stabilisce che “neuno possa da chinci innanzi<br />

hae<strong>di</strong>ficare ovvero rinnovare ovvero fare alcuno ballatoio ovvero solaio” 7 .<br />

I controlli ripetuti valgono anche per riportare a norma quanto realizzato in <strong>di</strong>fformità.<br />

“Sulla questione dei ballatoi a Siena -scrive Franco Borsi- si ritorna anche più<br />

tar<strong>di</strong>, in pieno Quattrocento (…) gli Ufficiali dell’ornato della città, avendo comandato<br />

a un certo Augostino Dato e fratelli , li hanno trovati ” 8 .<br />

Sempre a Siena troviamo che “la strada che è tra la casa Perini e quella Ranucci debba<br />

essere sistemata e lastricata e tenuta <strong>come</strong> strada comunale cosicché non si faccia nessuna<br />

costruzione o ballatoio e sia libera fino al cie<strong>lo</strong>” 9 .<br />

Si potrebbe continuare, ma per concludere questa breve rassegna ricor<strong>di</strong>amo che “nel<br />

Trecento quasi ogni città ha già elaborato i propri statuti, o per effetto <strong>di</strong> uno spontaneo<br />

sviluppo giuri<strong>di</strong>co, o per imitazione dei testi già adottati da altre città” 10 .<br />

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