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Costanzo Lavagno 107 per primo pubblica il mosaico presso la sepoltura di Aleramo<br />

nel 1897, ritenendo che possa provenire dalla chiesa campestre di San Martino,<br />

“ecclesie veteris” secondo l’iscrizione, e che sia stato trasportato nell’antico<br />

monastero nel contesto della traslazione del corpo del fondatore. Lo studioso<br />

individua nella figura di sinistra un’arpia, ed in quella di destra un ippodrago<br />

rampante, dal corpo di cavallo e testa di dragone, data inoltre il mosaico all’età<br />

medievale, al XII e al XIII secolo, periodo in cui vengono realizzati i mosaici d’Ivrea,<br />

Aosta, Piacenza, Pavia, Acqui e Casale Monferrato: se la figurazione di animali<br />

simbolici spinge lo studioso a datare l’opera al periodo medievale, individua nel<br />

litostrato due elementi tecnici caratteristici dei mosaici piemontesi, “grande<br />

semplicità di toni, e una certa libertà nelle saldature dei tasselli”. Il Porter 108 segnala<br />

l’esistenza dell’”interesting fragment” senza tuttavia commentarlo o datarlo<br />

Secondo Anna Maria Brizio 109 il mosaico sarebbe stato datato dal Porter al 1140,<br />

mentre lo studioso statunitense riferisce a tale datazione il mosaico del Sant’Evasio di<br />

Casale: la studiosa ne segnala l’esistenza senza però analizzarne la datazione e<br />

l’iconografia. Viene solo citato nello studio della Pianea 110 sui mosaici romanici in<br />

Piemonte: nella didascalia relativa 111 viene dubitativamente riferito alla prima metà<br />

del XII secolo.<br />

Olimpio Musso 112 ipotizza che la figura di sinistra possa identificarsi con l’arpia<br />

descritta da Mesomede, con testa di donna, corpo di leone nella parte mediana e di<br />

drago nella posteriore e zampe da chimera, nel riquadro destro lo studioso individua<br />

un drago leonino aptero. Se l’identificazione delle figurazioni può anche essere<br />

accettata, seppur con le dovute cautele, non può essere condivisa la datazione dei<br />

mosaici al II secolo d.C. come anche Aldo Settia 113 ammette; tali mosaici, realizzati<br />

probabilmente per una villa a Grazzano, secondo lo studioso sarebbero stati in seguito<br />

107<br />

C. LAVAGNO, Un musaico inedito in Grazzano (Monferrato), in “ Atti della Società di Archeologia e<br />

Belle Arti per la provincia di Torino”, VII 1897, pp. 377-382.<br />

108<br />

A. K. PORTER, Lombard architecture cit., I, p. 310.<br />

109<br />

A. M. BRIZIO, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento, Torino 1942, pp. 12, 17.<br />

110<br />

E. PIANEA, I mosaici pavimentali, in Piemonte Romanico, a cura di G. Romano, Torino 1994, pp.<br />

394-420, in part. p. 419.<br />

111<br />

Ivi, p. 420.<br />

112<br />

O. MUSSO, La Sfinge di Mesomede alla luce di un mosaico del Monferrato, in “Zeitschrift für<br />

Papyrologie und Epigraphik”, 120 1998, pp. 35-38.<br />

113<br />

A. A. SETTIA, recensione a O. MUSSO, La Sfinge di Mesomede alla luce di un mosaico del<br />

Monferrato, in “ Monferrato Arte e Storia”, XIII 2001, pp. 113-114.<br />

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