La terra Garganica nella poesia di Joseph Tusiani. Contributo critico ...

La terra Garganica nella poesia di Joseph Tusiani. Contributo critico ... La terra Garganica nella poesia di Joseph Tusiani. Contributo critico ...

bibliotecaprovinciale.foggia.it
from bibliotecaprovinciale.foggia.it More from this publisher
19.06.2013 Views

CURRICULUM La terra Garganica nella poesia di Joseph Tusiani Contributo critico bibliografico 1. Chi a San Marco in Lamis, nel Gargano, conobbe Joseph (una volta Giuseppe) Tusiani, studente nel paese natale, poi nella vicina San Severo, poi all'università di Napoli, ricorderà come egli mostrasse fin dagli anni giovanili una precocità di ingegno che era qualcosa di più che non la bravura del « primo della classe ». Era, una capacità notevole di parola, negli anni in cui, per lo più, le parole si apprendeva ad usarle, e per una comune parlata quotidiana, non ancora per fini d'arte. Tra San Marco e San Severo egli fece i suoi primi studi, ed i primi, scolastici, esperimenti di poesia. All'università di Napoli si laureò in lettere « summa cum laude », sostenendo con Cesare Foligno una tesi sul poeta inglese William Wordsworth. Era il 1947. Lo stesso anno egli parte per l'America, e qui, a New York, raggiunge e, per la prima volta vede, il padre, esule del regime fascista. Comincia la carriera universitaria, non sempre lieve, non sempre dolce. Il Tusiani insegna letteratura italiana in vari « colleges » nuovaiorchesi, ed in uno di essi, il College of Mount Saint Vincent, si stabilizza, diviene preside di facoltà per il settore italiano, raggiunge il massimo grado accademico (« full professor »). Intanto pubblica volumetti di poesia in italiano. E dopo diversi anni è in grado di scrivere poesia in inglese. Il suo battesimo di poeta di lingua inglese può considerarsi la vincita del premio Greenwood, di Londra, per il 1956 (traguardo pri- 26

CURRICULUM<br />

<strong>La</strong> <strong>terra</strong> <strong>Garganica</strong><br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> <strong>Joseph</strong> <strong>Tusiani</strong><br />

<strong>Contributo</strong> <strong>critico</strong> bibliografico<br />

1. Chi a San Marco in <strong>La</strong>mis, nel Gargano, conobbe <strong>Joseph</strong> (una volta<br />

Giuseppe) <strong>Tusiani</strong>, studente nel paese natale, poi <strong>nella</strong> vicina San Severo,<br />

poi all'università <strong>di</strong> Napoli, ricorderà come egli mostrasse fin dagli anni<br />

giovanili una precocità <strong>di</strong> ingegno che era qualcosa <strong>di</strong> più che non la bravura<br />

del « primo della classe ». Era, una capacità notevole <strong>di</strong> parola, negli anni<br />

in cui, per lo più, le parole si apprendeva ad usarle, e per una comune parlata<br />

quoti<strong>di</strong>ana, non ancora per fini d'arte.<br />

Tra San Marco e San Severo egli fece i suoi primi stu<strong>di</strong>, ed i primi,<br />

scolastici, esperimenti <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>. All'università <strong>di</strong> Napoli si laureò in lettere «<br />

summa cum laude », sostenendo con Cesare Foligno una tesi sul poeta inglese<br />

William Wordsworth. Era il 1947.<br />

Lo stesso anno egli parte per l'America, e qui, a New York, raggiunge<br />

e, per la prima volta vede, il padre, esule del regime fascista. Comincia la<br />

carriera universitaria, non sempre lieve, non sempre dolce. Il <strong>Tusiani</strong> insegna<br />

letteratura italiana in vari « colleges » nuovaiorchesi, ed in uno <strong>di</strong> essi, il<br />

College of Mount Saint Vincent, si stabilizza, <strong>di</strong>viene preside <strong>di</strong> facoltà per<br />

il settore italiano, raggiunge il massimo grado accademico (« full professor<br />

»).<br />

Intanto pubblica volumetti <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> in italiano. E dopo <strong>di</strong>versi anni è<br />

in grado <strong>di</strong> scrivere <strong>poesia</strong> in inglese. Il suo battesimo <strong>di</strong> poeta <strong>di</strong> lingua<br />

inglese può considerarsi la vincita del premio Greenwood, <strong>di</strong> Londra, per il<br />

1956 (traguardo pri-<br />

26


ma d'allora mai raggiunto da concorrenti americani), con l'ode M'ascolti tu,<br />

mia <strong>terra</strong>?, che in inglese si chiama The Return (« Il ritorno »). Dopo <strong>di</strong> allora<br />

pubblica varie poesie in <strong>di</strong>versi giornali anglosassoni. E più tar<strong>di</strong> entra a<br />

far parte dei <strong>di</strong>rettivi della Società poetica d'America e della Società poetica<br />

cattolica d'America. Del 1962 è una prima raccolta <strong>di</strong> cinquanta poesie, dal<br />

titolo Rind and All (letteralmente: « Con tutta la scorza »); ed altrettante<br />

sono in The Fifth Season (« <strong>La</strong> quinta stagione »), del 1964.<br />

Dal 1960 in poi, va svolgendo una cospicua attività <strong>di</strong> traduzione della<br />

letteratura italiana in inglese.<br />

Attualmente insegna al Lehman College della City University of New<br />

York.<br />

TRAPASSO GEOGRAFICO E STORICO<br />

2. Nel considerare la <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> <strong>Joseph</strong> <strong>Tusiani</strong>, non si può trascurare<br />

un evento notevole: il suo « trapianto » in <strong>terra</strong> ben <strong>di</strong>versa da quella d'origine.<br />

Cambiamento non provvisorio ma definitivo <strong>di</strong> ambiente, <strong>di</strong> lingua e<br />

<strong>di</strong> civiltà, ed avvenuto quando già la persona s'avviava a maturare le proprie<br />

facoltà. Cosicché per taluni aspetti, per esempio la lingua, si trattò <strong>di</strong> ricominciare<br />

quasi da principio.<br />

Rispetto all'argomento che ci siamo prefissi, <strong>di</strong> questo trapasso geografico<br />

e sociale ci interessa un risvolto che ha natura emotiva: in conseguenza<br />

del <strong>di</strong>stacco, la propria <strong>terra</strong> <strong>di</strong>venta ricordo. Questo è un primo<br />

punto da fissare. Infatti, nei primi scritti poetici, anteriori alla partenza, e<br />

nati <strong>nella</strong> realtà concreta e vicina della <strong>terra</strong> garganica, non si può <strong>di</strong>re che<br />

questa abbia spicco, e fisionomia già definita.<br />

Possiamo, sì, trovarvi quegli aspetti <strong>di</strong> vita montana e campestre, o<br />

quegli episo<strong>di</strong> paesani, ai quali il giovane fu più vicino, o nei quali ad<strong>di</strong>rittura<br />

visse: riti religiosi, come la <strong>di</strong>stribuzione del cero della Candelora, la processione<br />

sammarchese del venerdì santo; lo spettacolo della gente al sole<br />

nei pomeriggi primaverili, il ruzzo dei monelli per le strade, la visione delle<br />

campagne assolate e pervase dal frinire delle cicale, il<br />

28


convento <strong>di</strong> San Matteo, la croce del Celano 1, la povertà del bimbo scalzo<br />

sulla neve e del vecchio rugoso, e la fame <strong>di</strong> ambedue, l'andare affannoso <strong>di</strong><br />

bambini dal bosco al paese con la fascina « sul muscolo » 2. E senza dubbio<br />

questi sono tratti che resteranno molto vicini al cuore del poeta. Bisogna<br />

però <strong>di</strong>re che nelle prime raccolte essi non risaltano, e non offrono ancora<br />

una immagine della <strong>terra</strong> garganica densa e fortemente sentita. Le ragioni <strong>di</strong><br />

ciò sono facili a desumersi, tenuto conto che chi scrive è il ventenne che sta<br />

svolgendo il suo tirocinio <strong>di</strong> <strong>poesia</strong>, piuttosto che creare: da un lato abbiamo<br />

l'incompiutezza del pensare e del sentire, cosa che porta il poeta in erba<br />

a pensare e sentire ricalcando formule artistiche e morali assorbite negli<br />

ambienti in cui egli si formò, principalmente gli ambienti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Ve<strong>di</strong>,<br />

per esempio, il fervore religioso <strong>di</strong> alcuni fra i primi componimenti: esso è<br />

certamente sincero, nel giovane che vuole esprimerlo poeticamente, ma il<br />

<strong>di</strong>fetto è nel non ancora solido terreno <strong>di</strong> riflessione personale; col maturare,<br />

quel fervore attenuerà i propri toni, si farà me<strong>di</strong>tazione, problema, angoscia,<br />

e talora estremo slancio <strong>di</strong> fede. Simile <strong>di</strong>scorso può esser fatto per lo<br />

stile, fin dal principio desunto dalle letture scolastiche: stile che, superando<br />

le moderne esperienze novecentesche, si riallaccia a forme pascoliane e<br />

dannunziane, e ad una tra<strong>di</strong>zione retorica <strong>di</strong> stampo carducciano. Ed è stile<br />

che, nel tempo, si raffinerà, perdendo la patina dell'oratoria ed avvicinandosi<br />

ad una forma meno ricercata, ma nel contempo conserverà una impronta<br />

« classica » e tra<strong>di</strong>zionale (nell'equilibrio verbale, <strong>nella</strong> musicalità, nelle stesse<br />

forme metriche) trasparente anche dai componimenti in lingua inglese.<br />

3. È dunque col <strong>di</strong>ventar memoria che l'immagine della <strong>terra</strong> garganica<br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> <strong>di</strong> <strong>Joseph</strong> <strong>Tusiani</strong> acquista densità e fisionomia propria. Ed è<br />

con la maturità del poeta che la memoria acquista un senso preciso, come<br />

vedremo, ed attinge livello d'arte compiuta.<br />

Il ricordo, che per propria natura può <strong>di</strong>ventare fin troppo facile materia<br />

<strong>di</strong> <strong>poesia</strong>, nel <strong>Tusiani</strong> ben presto si<br />

1 Cfr. Flora, pp. 17, 33, 25, 51, 60, 44.<br />

2 Cfr. Amore e morte. pp. 5, 11, 26.<br />

29


svincola dalla sfera del puro sentimento, per caricarsi <strong>di</strong> tutti i sensi <strong>di</strong> cui la<br />

me<strong>di</strong>tazione del poeta lo arricchisce. Nella raccolta Petali sull'Onda (finita <strong>di</strong><br />

stampare nell'agosto del 1948 - il <strong>Tusiani</strong> era emigrato <strong>nella</strong> seconda metà<br />

dell'anno precedente) forse ancora si può trovare qualche brano in cui è<br />

vivo il senso del <strong>di</strong>stacco recente, e la lontananza parla con accenti musicali<br />

ed accorati. Lo stesso titolo è in<strong>di</strong>cativo: i versi contenuti nel volumetto<br />

sono petali affidati all'onda dell'Atlantico che raggiungano il paese natale.<br />

Non si rinviene, in tale raccolta, accenno specifico alla <strong>terra</strong> garganica; la<br />

nostalgia si <strong>di</strong>rige piuttosto ad una Italia vaga e lontana, in cui la natura<br />

splende, e forse ancora rosseggia dalle piaghe fresche della guerra 3.<br />

I brani raccolti in Petali sull'Onda furono scritti alcuni prima altri dopo<br />

la partenza per l'America. Il volumetto seguente (Peccato e Luce, 1949)<br />

segna già, mi sembra, un progresso, sia dal punto <strong>di</strong> vista formale sia da<br />

quello sostanziale. L'espressione si va misurando, e l'eloquenza, seppure<br />

non scompare, si tempera. Il contenuto va arricchendosi <strong>di</strong> pensiero, e la<br />

stessa sensibilità poetica lentamente matura, nel lavoro <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione. Mi è<br />

parso <strong>di</strong> trovare qui più chiari alcuni spunti che saranno in poesie posteriori,<br />

inglesi. Fra i temi, accanto a quello religioso, torna il ricordo della propria<br />

<strong>terra</strong>, che qui è già meglio delineato e rispondente al sentire del poeta.<br />

Nella lirica « L'Esule » (Peccato e Luce, pp. 26-27) abbiamo in germe<br />

dei motivi collegati alla <strong>terra</strong> garganica, i quali torneranno più tar<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>ti<br />

e completati: l'immagine d'una splen<strong>di</strong>da natura e della vita montana:<br />

...Io sogno primavera, e affiora<br />

Sovra l'intimo ma.°e il lembo estremo<br />

D'una <strong>terra</strong> incantata nell'aurora,<br />

E trema nel silenzio la tua voce,<br />

E il suono è in essa <strong>di</strong> lontani armenti<br />

Sparsi su le colline nostre.<br />

3 Cfr. Petali sull'Onda, pp. 5, 11, 26.<br />

(vv. 7-12);<br />

30


il mattino, segno <strong>di</strong> vita fisica e spirituale, sorgente sulla montagna:<br />

...E' l'alba,<br />

Questa, che accenna a Primavera. E' 'l lieve<br />

Riso del dì novello che da un fiore<br />

Lontan si sfoglia su le nostre case,<br />

Che il Convento protegge, alto e severo.<br />

E il sol <strong>di</strong>laga infine, e forte erompe<br />

Dalle gemme e dai ni<strong>di</strong> e giú dal fine<br />

Acror del timo il canto della vita.<br />

la notte, che è buio <strong>nella</strong> natura e buio nell'anima:<br />

... Ma con l'ali <strong>di</strong>acce<br />

Scende la notte e muore in essa il sogno.<br />

Oh greve il nero della notte sulle<br />

Palpebre schiuse! Io solo qui rimango,<br />

E il tintinno non odo de' lontani<br />

Armenti sovra i nostri colli.<br />

(vv. 12-19);<br />

(vv. 20-25);<br />

la consapevolezza <strong>di</strong> non essere più parte della <strong>terra</strong> d'origine, d'esserne<br />

sra<strong>di</strong>cato per sempre:<br />

...Sorge il nuovo sole,<br />

Ma non rivedo accendersi la gloria<br />

Del Campidoglio. Sboccian le campane<br />

All'aria mattutina, ma non più<br />

M'affaccio ad innaffiar le roselline<br />

Sul davanzal della finestra mia.<br />

(vv. 26-30);<br />

la <strong>terra</strong> natale sentita come principio purificante, contrapposto alla inquietu<strong>di</strong>ne<br />

d'un mondo più ampio:<br />

C'era la guerra intorno, e brulicava<br />

Fervido il sangue, e <strong>nella</strong> colpa immane<br />

Del mondo io pur sentivami innocente<br />

Al miracol del sole nell'azzurro;<br />

Qui mi sento colpevole e bruttato<br />

Della morte <strong>di</strong> tutti a ogni tramonto.<br />

(vv. 32-37)<br />

32


S'intravede già la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> simbolo che la montagna natale va assumendo.<br />

E si può <strong>di</strong>re che i brani sopra riportati chiudano in germe l'ode<br />

M'ascolti tu, mia Terra?, che è la espressione lirica perfetta del ricordo garganico<br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> del <strong>Tusiani</strong>.<br />

I RICORDI<br />

<strong>di</strong>ce:<br />

4. In un brano delle O<strong>di</strong> Sacre (1957) il <strong>Tusiani</strong> così<br />

Ebbi, fanciullo, sol la visione<br />

Di bimbi scalzi e d'uomini <strong>di</strong>giuni,<br />

Precoci più del sole<br />

Ad aspettar che li menasse ai campi<br />

Per carità della <strong>di</strong>giuna prole.<br />

Numeravan, segnandosi, le note<br />

Del primo campanile,<br />

E sulla loro povertà rideva<br />

Il cielo dell'aprile 4.<br />

Possiamo <strong>di</strong>re che qui siano espressi, impliciti e stretti in una inscin<strong>di</strong>bile<br />

unità, gli aspetti della <strong>terra</strong> garganica che più sono rimasti impressi<br />

<strong>nella</strong> memoria del poeta. Semplificandoli, e togliendoli alla loro unità, li riduciamo<br />

ai seguenti: la povertà della gente (« uomini <strong>di</strong>giuni »), la religiosità<br />

(« Numeravan, segnandosi »), la vita campestre e montana (« ...che li menasse<br />

ai campi »), il paesaggio naturale (« il cielo dell'aprile »).<br />

5. Fortemente sentito è quel lato del ricordo che abbiamo elencato<br />

per primo: la povertà.<br />

È la povertà del gruppo sociale più <strong>di</strong>sagiato in un paese estremamente<br />

provinciale, e potremmo <strong>di</strong>re <strong>di</strong>menticato, come poteva essere San<br />

Marco fra le due guerre; la povertà <strong>di</strong> bambini affamati, e <strong>di</strong> vecchi languenti<br />

dall'ine<strong>di</strong>a; la povertà <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni stremati dalla quoti<strong>di</strong>ana lotta per la<br />

sopravvivenza. E, per il poeta, la propria antica povertà, superata e scomparsa<br />

<strong>nella</strong> vita esterna, ma non cicatrizzata <strong>nella</strong> sua sensibilità.<br />

4 O<strong>di</strong> Sacre: «Il Risorto», vv. 47-55.<br />

33


Il tema della povertà della propria gente è rintracciabile fin dai versi<br />

primi, anteriori alla partenza. In una lirica <strong>di</strong> Amore e morte (1946) si legge <strong>di</strong><br />

un bimbo che va scalzo sulla neve, o sul selciato ardente, accattando il pane,<br />

gli occhi saturi <strong>di</strong> un dolore longevo; ma non incontra carità, e lo trovan<br />

morto un mattino d'agosto, in un gran portone. E poi è un vecchio, che<br />

contende ad un cane un osso mezzo rosicchiato, e che muore con la bisaccia<br />

vuota: « sognava il pane <strong>nella</strong> notte <strong>di</strong>accia » 5. Queste figurazioni usate<br />

dal poeta principiante lasciano il dubbio che egli le abbia assunte dalla tra<strong>di</strong>zione<br />

letteraria, o da certa retorica dei buoni sentimenti <strong>di</strong>ffusa nelle nostre<br />

scuole in un tempo ancora non lontano. Ma visto il senso <strong>di</strong> quelle figurazioni<br />

- una squallida povertà - e visto che tale senso permane nel tempo,<br />

bisogna concludere che è sincero almeno il primo impulso del giovane<br />

poeta verso tale con<strong>di</strong>zione della sua gente.<br />

Legato al tema della povertà, e quasi simbolo <strong>di</strong> essa, s'incontra un<br />

motivo costante: il pane. <strong>La</strong> povertà è prima <strong>di</strong> tutto mancanza dell'elemento<br />

base, del pane. Seguiamo il motivo del pane dalle prime raccolte fino ai<br />

versi più recenti, in inglese: è il pane ancora in chicchi, <strong>nella</strong> spiga turgida 6;<br />

il pane che la nonna spezzava al bimbo 7; il pane scarso alla mensa del conta<strong>di</strong>no<br />

8; il pane che il poeta, bimbo, non aveva, simile all'uccello senza briciole<br />

9; oppure, in quanto mezzo necessario alla sopravvivenza, esso è la<br />

pastura per gli armenti della montagna garganica 10.<br />

6. Nel quadro <strong>di</strong> questo mondo povero, alla fame <strong>di</strong> pane si associa<br />

un sentimento religioso elementare, legato allo stato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>genza delle persone.<br />

<strong>La</strong> religiosità, che nell'uomo staccatosi dalla montagna è <strong>di</strong>venuta<br />

problematica ed oscillante dal dubbio, rimane semplice, fra gli abitanti <strong>di</strong><br />

quella montagna, e priva delle croste della me<strong>di</strong>tazione. Rimane essenzialmente<br />

fede <strong>di</strong>retta, a cui<br />

5 Amore e morte: « Sogno d'estate », vv. 73-94.<br />

6 Peccato e Luce: « Il Canto delle Spighe », vv. 44-47.<br />

7 Lo Speco Celeste: « Lo Speco », vv. 46-47.<br />

8 Melos Cor<strong>di</strong>s: « Messoribus Dauniis », v. 8.<br />

9 Rind and All: « San Marco In <strong>La</strong>mis », vv. 17-20.<br />

10 M'ascolti tu, mia Terra?, vv. 75-77.<br />

34


che il cuor non è stagione e non è il corpo<br />

uccello migratore: il prossim'anno<br />

mi darà l'ale la pietà d'un falco,<br />

mi farà polline un sereno aprile.<br />

Sì, tornerò per Santo Matteo,<br />

quando il largo del piano si riempie<br />

<strong>di</strong> villici e d'armenti e <strong>di</strong> speranze<br />

e sono intorno parole e belati<br />

e onnipresente sole. E, se mai l'onda<br />

il volo m'affatichi coi suoi spruzzi<br />

alati, io giungerò con la mia fede<br />

tre giorni prima <strong>di</strong> Santo Michele,<br />

quando la Compagnia cinge cor<strong>di</strong>glio<br />

e scalza parte al cielo della roccia.<br />

Presto, si cerchi un asino che salga<br />

il rupestre sentiero! E non sia questo<br />

che mille giri intorno all'aia han quasi<br />

accecato, né quello che il groppone<br />

ha d'osso e pelle e putrido <strong>di</strong> piaghe<br />

e sta su quattro zampe come sopra<br />

ciglio d'abisso e par che gli rimanga<br />

appena forza <strong>di</strong> schiacciar la mosca<br />

dal sangue, con la coda e con un lagno.<br />

(Lo Speco Celeste, « <strong>La</strong> Compagnia », vv. 8-35)<br />

C'è, in questi versi, il ricordo <strong>di</strong> una retorica tra<strong>di</strong>zionale <strong>nella</strong> quale il<br />

poeta ha svolto il proprio tirocinio; ma <strong>di</strong>rei schietto il fervore. <strong>La</strong> fantasia<br />

pare esaltata, la parola turbina e sgorga prorompente, come senza controllo,<br />

e si <strong>di</strong>spone secondo il fervore dei sentimenti del poeta.<br />

L'arciprete guida la compagnia; gli occorre la cavalcatura:<br />

Anche un'asina, presto!, purché buona<br />

sia ad inerpicarsi su le balze:<br />

ché l'Arciprete ha tutto bianco il capo<br />

pel sole <strong>di</strong> settanta primavere<br />

e parrà proprio il Cristo che riviene<br />

il giorno delle palme e degli olivi.<br />

Si partirà domani, a mattutino,<br />

con l'ultim'astro che non vuol perire.<br />

A mattutino, la corolla sogna<br />

e la campana canta: canto e sogno<br />

s'intessono nell'ora, mezzo astrale<br />

e mezzo umana, e chiama la campana<br />

ancora e, con la gente che s'avvia<br />

36


silente, par che andare il gregge voglia<br />

incontro al suono, sì l'invito è chiaro.<br />

Son qui tutti i segnati? Bianco d'alba<br />

e d'anni, l'Arciprete, con l'ausilio<br />

<strong>di</strong> sei braccia, sull'asina è montato,<br />

e gli van <strong>di</strong>etro, tutti, verso il Monte.<br />

(Id., 36-54)<br />

<strong>La</strong> partenza è accompagnata dal canto; e il verso acquista un ritmo<br />

blandente <strong>di</strong> litania. Fra i pellegrini, uno tace; è il poeta, che, presente con il<br />

pensiero e con l'anima, non ricorda l'inno <strong>di</strong> una volta (affiora la consapevolezza<br />

del <strong>di</strong>stacco):<br />

Sono gli uccelli meno <strong>di</strong> trecento<br />

(i primi son migrati) e son le capre<br />

men <strong>di</strong> dugento (l'altre l'han vendute<br />

il dì <strong>di</strong> San Matteo che ha il viso moro)<br />

e son le stelle men <strong>di</strong> cinque (il giorno<br />

è sulla vetta ormai ridente cosa):<br />

ma quattrocento, quattrocento e uno<br />

sono i segnati che or cantando vanno<br />

(e l'uno tace, lungo lo starale,<br />

ché non rammenta l'inno glorioso):<br />

<strong>La</strong> spada <strong>di</strong> Santo Michele<br />

è tutta d'oro, è tutta d'oro.<br />

Lo scudo <strong>di</strong> Santo Michele<br />

è tutto aurora, è tutto aurora.<br />

Il viso <strong>di</strong> Santo Michele<br />

è come il sole, è come il sole.<br />

<strong>La</strong> mano <strong>di</strong> Santo Michele<br />

è <strong>di</strong> viole, è <strong>di</strong> viole.<br />

Il piede <strong>di</strong> Santo Michele<br />

è terribile e forte.<br />

Santo Michele Arcangelo,<br />

salvaci dalla morte!<br />

(id., vv. 55-76)<br />

<strong>La</strong> fila dei romei esce alla campagna, ed ognuno ha negli occhi il sole<br />

che nasce. Cresce il giorno, e la polvere si fa calda sotto i pie<strong>di</strong> scalzi. A<br />

mezzodì si sosta:<br />

E va per miglia e miglia la mia gente<br />

e l'anima mia stanca l'accompagna.<br />

Sotto gli olivi, come Cristo affranto,<br />

37


or posan tutti e l'Arciprete è sceso<br />

dall'asina e carezza ogni fanciullo<br />

e <strong>di</strong>ce che la via s'è <strong>di</strong>mezzata:<br />

ed egli ha letto i libri ed i vangeli<br />

e pensa ai sette pesci ed ai tre pani.<br />

In mezzo ai cerri fanno campolata,<br />

nel mezzodí <strong>di</strong> fiamma, i pellegrini:<br />

ché anche la cicala è stanca e posa<br />

sul ramo eccelso fra la <strong>terra</strong> e il sole.<br />

(id., vv. 85-96)<br />

<strong>La</strong> fantasia, amorosa ed accesa dall'ispirazione, giunge a vedere delle<br />

particolarità che sono emblematiche <strong>di</strong> tutta una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita: l'umile<br />

pancotto, cibo dei pellegrini: i tozzi gonfi d'acqua e profumati d'aglio e d'alloro,<br />

l'olio crudo che fila da un'oliera singolare e <strong>di</strong>susata, ormai - un corno<br />

bovino:<br />

Questo che odora è il pan cotto con l'aglio<br />

fresco del campo e, rara leccornìa,<br />

c'è pur fronda <strong>di</strong> lauro nel paiuolo:<br />

ed ecco l'olio crudo che sottile<br />

esce dal corno e biondo dora i tozzi<br />

cresciuti nel bollire: a Dio sia grazia<br />

pel frutto dell'olivo e del frumento! 12<br />

(id., vv. 97-103)<br />

Nel meriggio caldo la cicala si desta, e bisogna andare. Vanno scalzi, i<br />

pellegrini, per preservar le scarpe. Questo improvviso scoprir la povertà<br />

della propria gente, in mezzo al fervore evocativo, fa il poeta memore d'una<br />

persona ch'egli amò - la nonna:<br />

Portano molti a tracolla le scarpe<br />

e le pianelle <strong>di</strong> panno e <strong>di</strong> cuoio,<br />

ché, se la roccia aguzza le consuma,<br />

esse non sono più nuove per Natale;<br />

e, nonna, nonna, tu non hai pia<strong>nella</strong><br />

al piede e già la pelle è crepe e sangue,<br />

né sulla testa il fazzoletto è doppio,<br />

ed è quadruplice il raggio del sole:<br />

seppe il tuo capo il cercine <strong>di</strong> tela<br />

12 Nel testo a stampa troviamo il refuso « olio » per « olivo ».<br />

38


in anni lunghi, e un po' delle tue carni<br />

ognun s'è preso, o nonna, perché avevi<br />

un figlio da sfamare e da vestire<br />

e da far grande per la morte in guerra:<br />

ed or non hai più carni che mai possa<br />

il sole incenerire: hai solamente<br />

la tua ferita e l'ombra <strong>di</strong> tuo figlio<br />

(id., vv. 112-127)<br />

Il dì s'avvia a finire, quando giungono alle falde del monte; la meta<br />

d'un giorno <strong>di</strong> cammino è prossima:<br />

Ora dal grembo profondo del bosco<br />

un accenno <strong>di</strong> brezza viene e ventila<br />

alla fronte che brucia la speranza<br />

del vespro prossimo: o madre, mia <strong>terra</strong>,<br />

è così cupo il tuo sguardo <strong>di</strong> fiamma<br />

che, se pur taccia questo lume d'oro,<br />

noi penseremo a un astro che s'è spento<br />

<strong>di</strong>eci millenni or sono e in ciel s'indugia<br />

come, finito l'olio, fuma ancora<br />

sul nostro altare il lucignolo breve.<br />

Ecco, solenne l'Arciprete scende<br />

dall'asina, ed in ogni umano sguardo<br />

è un'ansia che splende. Ecco, sul Monte,<br />

il fiotto fievole e fiero del vespero!<br />

L'Arcangelo sta lì.<br />

(id., vv.136-150)<br />

Nella trama « narrativa » <strong>di</strong> una costumanza religiosa il poeta inserisce<br />

i propri ricor<strong>di</strong>, gli aspetti, le figure, perfino le cose, che più sono ra<strong>di</strong>cate<br />

<strong>nella</strong> sua memoria e nel suo amore. E se il <strong>di</strong>scorso è tenuto su un costante<br />

registro <strong>di</strong> eloquenza un po' sonora, non mi sembra, come <strong>di</strong>cevo,<br />

che questo comprometta la felicità del momento poetico.<br />

7. In quanto è stato detto fino a questo punto si può rintracciare<br />

molto degli altri due aspetti della <strong>terra</strong> garganica che abbiamo in<strong>di</strong>viduato:<br />

la vita campestre e montana, e il paesaggio naturale. Ma, per completare<br />

l'analisi che stiamo conducendo, in breve consideriamoli isolatamente.<br />

Una scena dei campi che ritorna più d'una volta è la mietitura, e si<br />

capisce perché: essa è vicina al motivo del pane.<br />

39


Il grano è futuro pane, la mietitura è l'operazione che ha per risultato il pane.<br />

Così essa è vista già in Amore e Morte, del 1946 (« Sogno d'estate », vv.<br />

46-66), e torna, in toni <strong>di</strong>versi, <strong>nella</strong> raccolta <strong>di</strong> carmi latini Melos cor<strong>di</strong>s, del<br />

1955 (« Messoribus Dauniis », p. 23), e nei versi <strong>di</strong>alettali <strong>di</strong> Làcreme e sciure,<br />

dello stesso anno (« <strong>La</strong> metenna », pp. 6-7).<br />

Si nota anche, per il suo ripetersi, la figura del conta<strong>di</strong>nello che porta<br />

il fascio sulle spalle. Ed anche questa si integra in un mondo <strong>di</strong> povertà<br />

conta<strong>di</strong>na, dove la fatica è fatica per la sopravvivenza del proprio corpo. Ma<br />

colpisce <strong>di</strong> più una immagine insistente, e <strong>di</strong>rei quasi enigmatica <strong>nella</strong> sua<br />

solitu<strong>di</strong>ne e nel suo silenzio: quella del pastore. È per lo più giovane, talora<br />

fanciullo; è solo con il suo armento, per mezzo alle rocce e all'erba della<br />

montagna. Pare che racchiuda, <strong>nella</strong> sua impassibilità, il segreto <strong>di</strong> cose insondabili,<br />

che inutilmente il poeta si sforza <strong>di</strong> perseguire con la parola. È lui<br />

che all'alba sembra carpire tutto il senso della nuova luce solare, <strong>di</strong> cui si<br />

veste e si scalda:<br />

sta presso il gregge il pastorel silente,<br />

lieto <strong>di</strong> regger sull'aperta mano<br />

un cielo d'oro e per la prima volta –<br />

fatto da te, sua madre, madre nostra –<br />

un vestito <strong>di</strong> raggi.<br />

(M'ascolti tu, mia Terra?, vv. 39-43)<br />

Egli ascolta dall'antenato - quasi biblico patriarca - la storia della vita<br />

che si perpetua; e al cader della notte dorme sulla pietra, chiudendo nel<br />

sonno l'accettazione <strong>di</strong> un destino:<br />

...veglia lontano e canta<br />

una fiaba <strong>di</strong> vita un vecchio, e ascolta<br />

un pastorello, ed è religione<br />

questo silenzio della giovinezza<br />

al detto del profeta. Il mare tace,<br />

anch'esso, ad ascoltare, e ancora un poco<br />

il vecchio canta, e sulla stessa pietra,<br />

che serve da giaciglio,<br />

<strong>nella</strong> mobile notte sono immoti<br />

il bianco capo e i lievi ricci bion<strong>di</strong>.<br />

(id., vv. 56-65)<br />

40


si alimentano la speranza per le necessità <strong>di</strong> questa vita, e il pensiero <strong>di</strong> una<br />

pace <strong>nella</strong> vita avvenire. Così il poeta vede questo aspetto della propria <strong>terra</strong>;<br />

e lo esprime rievocando quegli atti <strong>di</strong> venerazione, o quelle costumanze<br />

<strong>di</strong> origine sacrale, a cui egli stesso fu abituato fin da piccolo.<br />

Già nelle prime raccolte si accenna a riti dal sapore paesano; per esempio,<br />

le processioni con i simulacri della Vergine e dei santi; e non mancano<br />

i versi de<strong>di</strong>cati alle ricorrenze liturgiche 11. Qui c'è rappresentazione <strong>di</strong><br />

cose religiose, ma non ancora un proprio sentimento religioso. Questo sorge<br />

quando cominciano gli interrogativi (principalmente sul rapporto tra il<br />

<strong>di</strong>vino e l'umano, tra il bene e il male, tra l'Angelo e Satana). Ma allora la<br />

religiosità <strong>di</strong>venta problema più vasto, e l'immagine della <strong>terra</strong> originaria<br />

trapela appena, pur se non scompare mai <strong>nella</strong> coscienza del poeta. Così è<br />

per le raccolte Peccato e Luce (1949) e soprattutto per le O<strong>di</strong> Sacre (1957).<br />

E pure in questa mutata con<strong>di</strong>zione spirituale, il <strong>Tusiani</strong> raggiungeva,<br />

con Lo Speco Celeste (1956), un felicissimo connubio tra la rievocazione del<br />

proprio ambiente d'origine, e il sentimento religioso. Sembra che in questa<br />

raccolta, frutto <strong>di</strong> un momento poetico notevole, la memoria della lontana<br />

montagna nasca freschissima, particolareggiata, estremamente concreta,<br />

tanto da travolgere il dubbio e rinvigorire la fede antica: il fervore (religioso,<br />

verbale) è equilibrato da un gra<strong>di</strong>to realismo, che giunge fino all'uso <strong>di</strong><br />

espressioni e toponimi locali (« campolata », « Noce del Passo », « Starale »).<br />

Lo « speco celeste » è la grotta garganica in cui è venerato San Michele,<br />

a Monte Sant'Angelo; e il volumetto prende lo spunto da un pellegrinaggio<br />

sammarchese alla grotta. Il brano centrale, intitolato « <strong>La</strong> Compagnia »,<br />

rappresenta la partenza e il viaggio, subito dopo la festività paesana <strong>di</strong> San<br />

Matteo, in settembre:<br />

lo tornerò per Santo Matteo,<br />

che, nel salir la via delle giumente,<br />

esausto cadde, eppur non <strong>di</strong>ede sangue<br />

il ginocchio vercosso ma un'impronta<br />

incise al masso glabro: e non mi <strong>di</strong>te<br />

11 Cfr. Flora, pp. 17, 33, 56, 60, 61.<br />

41


8. Lo scenario in cui si configurano questi ricor<strong>di</strong> è il paesaggio della<br />

montagna garganica. Può essere che l'occhio si estenda fino ad abbracciare<br />

il Tavoliere biondeggiante <strong>di</strong> grano; ma è per lo più quella « fatale montagna<br />

» che dà il sottofondo alle rievocazioni liriche: essa è sempre splen<strong>di</strong>da, nelle<br />

sue rocce, nei fili d'erba, nei boschi frondosi; è vista nel mutare della luce,<br />

alle varie ore del giorno, e nel mutare dei colori, con le stagioni.<br />

Credo <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>re che il sentimento vivo della natura, in <strong>Tusiani</strong><br />

molto spesso rappresentata con forti toni <strong>di</strong> colore, sia a lui venuto dall'abito<br />

a contemplare il paesaggio garganico, e a viverci, durante gli anni italiani,<br />

che furono poi quelli in cui si formarono i germi della sua sensibilità. Infatti,<br />

perfino nei primi versi, pubblicati quand'egli era appena <strong>di</strong>ciannovenne<br />

(il poemetto Amedeo <strong>di</strong> Savoia, 1943), può sorprendere il senso delle tonalità,<br />

chiare, sfumate, cupe:<br />

Ride <strong>di</strong> luci <strong>nella</strong> notte il cielo<br />

Mentre, dal sonno placido cullati,<br />

Taccioni i clivi. Tremano le stelle<br />

Vivide e immense, e agli ultimi orizzonti<br />

Placido muore lo splendor, sui campi<br />

Cheti ridendo e sulle turgide onde<br />

Del crespo mar.<br />

(Amedeo <strong>di</strong> Savoia, vv. 1-7)<br />

...Il vento<br />

Giungéa portando da lontano prode,<br />

Con un odor fresco <strong>di</strong> lido, un soffio<br />

Vanente <strong>di</strong> memorie assai remote.<br />

<strong>La</strong> selva ondava tutta, ed un mistero<br />

Nel fondo della notte tenebroso Penetrava ne' cuor...<br />

(id., vv. 244-249)<br />

Vennero da vicino e da lontano,<br />

Dalle sponde frugifere e dai larghi<br />

Stagni limosi e putri<strong>di</strong>, ove ronza<br />

Acci<strong>di</strong>osa la mosca del sonno.<br />

(id., vv. 466-469)<br />

anche essendo, questi, versi chiaramente <strong>di</strong> scuola, e <strong>di</strong> poeta in erba.<br />

Nei versi della maturità, alla evocazione del paesaggio si<br />

42


affianca il trasformarsi <strong>di</strong> alcuni fenomeni naturali in simbolo. L'alba che<br />

segue al buio notturno, e riporta la visione chiara degli oggetti, e risveglia la<br />

vita, è segno <strong>di</strong> rinascita spirituale, dopo l'errore, e segno premonitore <strong>di</strong><br />

una qualche rinascita, dopo il finire del corpo. Per converso, l'attenuarsi del<br />

giorno, e il suo entrare nelle tenebre, ricorda la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una qualunque<br />

luce <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento, e l'avvicinarsi della morte. Che questo apparato <strong>di</strong><br />

simboli venga associato ala <strong>terra</strong> d'origine è significativo, perché denuncia<br />

una nuova <strong>di</strong>mensione assunta dal ricordo della propria <strong>terra</strong>; <strong>di</strong>mensione in<br />

cui la memoria dei fatti esterni non è più soltanto lirica, ma viene a riflettere<br />

tutta la con<strong>di</strong>zione intellettuale e morale del poeta.<br />

Prima <strong>di</strong> passare a questo nuovo aspetto, ve<strong>di</strong>amo brevemente una<br />

raccolta che è garganica fin <strong>nella</strong> lingua usata.<br />

9. Làcreme e sciure, del 1955, comprende venti poesie del <strong>Tusiani</strong>, in vernacolo.<br />

Si troveranno qui gli stessi temi e gli stessi motivi lirici che siamo venuti<br />

considerando: la mietitura e il pane, il bambino col fascio, il pastore che nel suo<br />

sguardo domina l'altura <strong>di</strong> Castelpagano, il convento <strong>di</strong> San Matteo, le fiaccolate<br />

tra<strong>di</strong>zionali del Venerdì santo, i « sepolcri » compiuti seguendo il simulacro<br />

dell'Addolorata. Ma c'è anche qualcosa <strong>di</strong> più, <strong>di</strong>fficile - se non impossibile - a<br />

trovarsi negli altri versi de<strong>di</strong>cati alla propria <strong>terra</strong>. È una sottile vena <strong>di</strong> buonumore,<br />

<strong>di</strong> arguzia popolana, che trapela qua e là e si fa sorriso. Una scena agreste<br />

<strong>di</strong> mietitura, rivissuta in questo spirito leggero, fa <strong>di</strong>menticare il suo senso «<br />

drammatico » - che abbiamo visto - <strong>di</strong> processo verso il pane: la mietitrice mostra<br />

<strong>di</strong> eludere la corte del giovane che falcia insieme a lei, ma in fondo ne è<br />

compiaciuta:<br />

- E l'ha sapute, cumpà, che 'Ntunetta<br />

la cuscetricia ha rumaste lu zite?<br />

Facce mie, prima iè gghiuta a braccette<br />

e mo ce uasta tutte lu cummite.<br />

- Cummà, non sacce nente. Sule sacce<br />

che i' te vogghie bene e me vi' 'nzonne,<br />

e quanne non te vede i' so pacce<br />

e non raggione, corpe lu... paponne.<br />

(« <strong>La</strong> metenna », vv. 25-32)<br />

43


Anche il motivo del pane si allevia, e non fa più pensare ad una triste<br />

realtà <strong>di</strong> in<strong>di</strong>genza, ma piuttosto alla alacrità salutare del lavoro compiuto<br />

per ottenere l'alimento:<br />

<strong>La</strong> campagna tutta d'ore<br />

vò trecente meteture.<br />

Iuna, duva, duva e treia,<br />

faveceia, faveceia.<br />

<strong>La</strong> metenna iè fenuta<br />

e la state ienn'asciuta.<br />

'Nnturne 'nturne la maiesa<br />

lu cavadde pesa pesa,<br />

e la forca la spatreia<br />

quessa regghia e ventileia.<br />

'Nnzacca 'nzacca quissu rane,<br />

'nzacca forte e 'nzacca chiane,<br />

e chiamate nu traine:<br />

ima ì allu muline 12bis.<br />

Direi che i risultati più attraenti, in questa raccolta <strong>di</strong>alettale, siano<br />

proprio laddove i vari temi sentiti dal poeta vengano irraggiati dall'arguzia<br />

popolaresca, o siano espressi attraverso forme semplici, come <strong>nella</strong> filastrocca<br />

appena citata.<br />

Meno evidente è il tono lirico. Si <strong>di</strong>rebbe che il <strong>Tusiani</strong> riesca in pieno<br />

quando vive nelle cose della sua <strong>terra</strong> dette nel <strong>di</strong>aletto della sua <strong>terra</strong>,<br />

più che quando effonda il sentimento proprio su quelle cose, oppure quando<br />

voglia in esse mettere un'idea che <strong>di</strong>a loro un senso morale. Di fronte a<br />

tale esito mi chiedo se sia il poeta a trovarsi a <strong>di</strong>sagio <strong>nella</strong> espressione <strong>di</strong> un<br />

contenuto più me<strong>di</strong>tato, o sia il <strong>di</strong>aletto sammarchese a prestarsi poco per<br />

un tipo <strong>di</strong> espressione filosofica e morale, dai fondamenti più ragionati e<br />

consapevoli <strong>di</strong> quanto non siano <strong>nella</strong> ere<strong>di</strong>taria frase proverbiale e sentenziosa.<br />

12bisRendo in italiano i due brani, che sono scritti nel vernacolo <strong>di</strong> San Marco<br />

in <strong>La</strong>mis. Il primo <strong>di</strong>ce: « E l'hai saputo, compare, che Antonietta, la sarta, ha<br />

lasciato il fidanzato? Che vergogna! Prima ci è andata a braccetto, e adesso si guastano<br />

tutti i piani. - Comare, non so niente. So soltanto che ti voglio bene, e mi<br />

vieni in sogno, e quando non ti vedo, io <strong>di</strong>vento pazzo e non ragiono, corpo d'un...<br />

papònno (= orco, nel <strong>di</strong>aletto locale) ». (« <strong>La</strong> mietitura »).<br />

Il secondo brano <strong>di</strong>ce: « <strong>La</strong> campagna tutta dorata vuole trecento mietitori.<br />

Uno, due, due e tre, falcia, falcia. <strong>La</strong> mietitura è finita, e l'estate è passata. Il cavallo<br />

gira in tondo e trebbia il grano, e la forca sparge all'aria la pula. Insacca, insacca<br />

questo grano, insacca forte e insacca piano; e fate venire un carro, per andare al<br />

mulino ». (« <strong>La</strong> pagnotta »).<br />

44


In ulteriori componimenti <strong>di</strong>alettali (ine<strong>di</strong>ti), si andrà sviluppando<br />

questo contenuto <strong>di</strong> idee. E forse quanto è guadagnato <strong>di</strong> più consapevole<br />

umanità, è attenuato in freschezza <strong>di</strong> sentimento e <strong>di</strong> espressione.<br />

TRASFIGURAZIONE<br />

10. Una volta considerati gli aspetti prevalenti del ricordo garganico<br />

<strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> del <strong>Tusiani</strong>, è da vedere l'evoluzione che essi subiscono col maturare<br />

della sensibilità e della riflessione. Perché abbiamo già accennato che<br />

la <strong>terra</strong> d'origine non resta materia <strong>di</strong> ricordo puro e sentimentale, ma assume<br />

valori emblematici, alla luce dei problemi umani e cosmici che si delineano<br />

sempre più netti <strong>nella</strong> mente del poeta.<br />

11. Nel seguente brano, ine<strong>di</strong>to, del 1959, composto dal <strong>Tusiani</strong> <strong>di</strong>rettamente<br />

in italiano, traspare il lavorio dell'idea, che fa delle cose emblemi <strong>di</strong><br />

una realtà interiore vagheggiata dal poeta. Il ricordo si rivolge, qui, ad uno<br />

spettacolo naturale, l'alba; una delle albe sul monte Gargano. E il principio<br />

della luce, se pur remoto nel ricordo, fa scordare la paura della notte e del<br />

buio, e sembra tacitamente risolvere il contrasto fra l'eternità carpita in riflessi<br />

fuggevoli dalla mente, e la caducità fatale <strong>di</strong> quella mente. L'armonia<br />

della montagna che s'illumina è un punto d'arrivo, in cui il fermento intellettuale<br />

ed emotivo si placa nel riconoscimento <strong>di</strong> un destino <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong><br />

gioia:<br />

E' la mia gioia un esile ricordo<br />

Che docile s'impiglia in un residuo<br />

D'alba remota in cui trovano accordo<br />

L'eterno e il breve palpito in<strong>di</strong>viduo.<br />

Quasi mi par che il folgorare occiduo<br />

Mai non sia stato, ora che tutta scordo<br />

L'ombra vissuta dallo sguardo assiduo<br />

E più non sento il tempo cader sordo.<br />

Tutta la dolce antica luce è viva<br />

E nel cupo <strong>di</strong> me la mattino<br />

E l'anima in viaggio or ecco arriva<br />

Ove il sogno s'accende <strong>di</strong> destino<br />

E sulla vetta eternamente estiva<br />

In gioia si conchiude il mio cammino.<br />

45


Quanto <strong>di</strong> concreto si può trovare è appena un cenno ad una « alba<br />

remota » (che <strong>di</strong>ce la per<strong>di</strong>ta e la lontananza); ad un « folgorare occiduo »<br />

(lo scendere della sera, e del timore); ad una « vetta estiva » (sede <strong>di</strong> splendore<br />

e <strong>di</strong> conforto). Il resto del sonetto si può considerare idea: dell'eterno<br />

e del caduco (« l'eterno e il breve palpito in<strong>di</strong>viduo »); del dubbio e del timore<br />

(« l'ombra vissuta dallo sguardo assiduo »), del rischiararsi dell'anima<br />

alla luce <strong>di</strong> valori antichi, e, forse, oscillanti (« nel cupo <strong>di</strong> me si fa mattino<br />

»).<br />

Come si vede, l'idea compenetra e quasi <strong>di</strong>ssolve le cose ricordate. Se<br />

non sapessimo in partenza che l'alba è un'alba garganica, non sarebbe facile<br />

scoprirlo, e forse mancheremmo <strong>di</strong> cogliere tutto il valore <strong>di</strong> quella scena in<br />

quella <strong>terra</strong>. <strong>La</strong> commistione <strong>di</strong> concretezza ed intellettualità è un tratto fra i<br />

più notevoli - spesso felici - della <strong>poesia</strong> matura del <strong>Tusiani</strong>; non <strong>di</strong> rado<br />

essa porta l'espressione al limite dell'oscurità, sicché l'interpretazione <strong>di</strong><br />

molti brani richiede la nozione della « chiave », o, <strong>di</strong>ciamo, del « meccanismo<br />

» emotivo secondo cui il poeta si esprime.<br />

E pure in tale severo lavoro <strong>di</strong> riflessione, l'autore non rinuncia al<br />

senso del concreto, e sa dare alla frase la seduzione dei colori. Di passaggio,<br />

si noterà, nei primi otto versi del sonetto dato, lo spesseggiare <strong>di</strong> un tono<br />

cupo (la notte, il buio) suggerito dalla frequenza <strong>di</strong> vocali scure (basta guardare<br />

anche solo le rime, folte <strong>di</strong> « o » e <strong>di</strong> « u »), a cui si oppone, <strong>nella</strong> seconda<br />

parte, la luce (frequenza <strong>di</strong> vocali chiare - le rime hanno tutte una « i<br />

» tonica).<br />

12. Il valore significativo della notte riappare nel brano, che traduco<br />

dall'inglese, « Quando era la sera »:<br />

Nella mia <strong>terra</strong>, Dio, il conta<strong>di</strong>no<br />

Conosce il vento ed il sole e la zolla,<br />

Sì che il virgulto non ha alcun timore<br />

D'essere trasmutato dal natale<br />

Suo cespo ad altro solco.<br />

E tu, hai misurato tutta l'ombra<br />

Che possa riparare il mio lamento?<br />

E puoi antivedere una tempesta<br />

Che mi sgretoli dentro<br />

Eppure non mi scuota <strong>nella</strong> fede<br />

46


Che un mattino <strong>di</strong> pace poi ritorni?<br />

In quest'ora la brezza<br />

Veniva a carezzarmi sulla fronte:<br />

Ed hai pensato tu<br />

Ad una nota, o nuova, oppure a un cielo<br />

Che mi faccia scordare un coltro chiaro?<br />

Era felicità<br />

In quella <strong>terra</strong> unica<br />

Ricever le fragranze della sera,<br />

Quando era la sera<br />

Un alito celeste, ed un respiro<br />

Di vita nuova cominciante all'alba –<br />

Non il presente simbolo<br />

D'una morte incombente 13.<br />

Qui l'osservazione è più circostanziata. Ricompare un ambiente caro<br />

(il campo e la zolla; il conta<strong>di</strong>no, che ha cura delle sue creature vegetali; l'aratro<br />

lucente che apre i solchi; il profumo campestre dell'ora serale), opposto<br />

ad una presente con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> dubbio che fa smarrire, e fa temere l'approssimarsi<br />

della notte. Esplicitamente è <strong>di</strong>chiarata la natura simbolica della<br />

notte: morte, come per<strong>di</strong>ta fisica della vita, e come smarrimento dell'anima.<br />

Ancora una volta questa simbologia è legata al ricordo della propria <strong>terra</strong>.<br />

13. Possiamo fissare, perciò, un primo « valore lirico » che il poeta attribuisce<br />

alla lontana <strong>terra</strong> d'origine: un senso <strong>di</strong> chiarezza interiore che è<br />

fonte <strong>di</strong> sicurezza e <strong>di</strong> serenità.<br />

Nella seguente « Ode per un poeta illetterato » (1964) la <strong>terra</strong> lontana<br />

è vista attraverso la memoria <strong>di</strong> una figura dominante: la figura della nonna,<br />

l'unica chiaramente, e caldamente, identificata, nei ricor<strong>di</strong> garganici del poeta.<br />

Il motivo <strong>di</strong> questa preminenza è spiegato, con parola semplificata e corrente,<br />

nello stesso brano. Traduco:<br />

Mia nonna si esprimeva con parabole:<br />

non sapeva né leggere né scrivere.<br />

Per farmi rincasar prima <strong>di</strong> sera<br />

mi portava ad esempio la gallina<br />

che va <strong>nella</strong> sua stia alle prime ombre,<br />

13 Leggo la lirica (« When Evening Was ») su un ritaglio che non reca menzione<br />

del giornale da cui è tratto, e non ha data.<br />

47


o - spirito dei monti? - mi ammoniva:<br />

chi <strong>nella</strong> notte va, va con la morte.<br />

Non era andata a scuola, ad imparare,<br />

ché in quegli anni era scuola l'in<strong>di</strong>genza.<br />

<strong>La</strong> sola cosa scritta <strong>di</strong> suo pugno<br />

sopra un pezzo <strong>di</strong> carta fu una croce –<br />

un uomo in uniforme, scuro in volto,<br />

le portava la mano - fu una croce,<br />

con la quale accusava ricevuta<br />

<strong>di</strong> ciò che rimaneva <strong>di</strong> suo figlio:<br />

una lettera che non fu spe<strong>di</strong>ta,<br />

un ,rosario, una foto insanguinata.<br />

Fu la nonna a plasmare quei miei giorni,<br />

senza sapere affatto <strong>di</strong> sintassi.<br />

Ad ogni pane - duro, e delizioso –<br />

mi <strong>di</strong>ceva che Cristo fu più povero.<br />

Ad ogni secchio fresco attinto al pozzo<br />

mi <strong>di</strong>ceva che Dio fece l'acqua.<br />

Se avevo ancora fame, ripeteva<br />

che una piccola bocca ingoia un trono;<br />

se avevo ancora sete, ripeteva:<br />

sul campo <strong>di</strong> battaglia non c'è acqua.<br />

E non avevo visto ancor pastori<br />

o greggi, eppure già li conoscevo,<br />

perché all'irrompere dell'acre tuono<br />

sempre u<strong>di</strong>vo pregar dalle sue labbra:<br />

« Corri, agnellino; corri, pastorello:<br />

una caverna può farvi da mamma ».<br />

Ella era così saggia, e così triste,<br />

che mi domando cosa mai potesse<br />

averla fatta cosi triste e saggia.<br />

Eppure nulla faccio, nulla sento,<br />

che non mi leghi ad un'antica per<strong>di</strong>ta,<br />

o non mi porti ad un'angoscia antica.<br />

Ella moriva, me quattor<strong>di</strong>cenne;<br />

or, quarantenne, so che vive ancora 14.<br />

Più che il motivo finale (il permanere <strong>di</strong> quegli insegnamenti in fondo<br />

alla coscienza) ci interessa la <strong>di</strong>sposizione del poeta a collegare alla propria<br />

montagna ed ai suoi abitanti una capacità naturale <strong>di</strong> saggezza, che non<br />

proviene dal lavoro<br />

14 « Ode to an Illiterate Poet », in « Spirit »(New York), November<br />

1964, pp. 137-138.<br />

48


mentale, né dalla considerazione dei fatti gran<strong>di</strong> del mondo, ma dalla osservazione<br />

<strong>di</strong> cose umili che sono intorno; attraverso le quali la gente della<br />

montagna (qui, la nonna) coglie il significato riposto e immutabile delle cose<br />

stesse.<br />

Isoliamo dunque un secondo « valore lirico », che è una saggezza<br />

spontanea <strong>di</strong> gente primitiva.<br />

<strong>La</strong> fede, ugualmente primitiva ed imme<strong>di</strong>tata, è tema specifico <strong>di</strong> una<br />

<strong>poesia</strong> intitolata Tre<strong>di</strong>ci al giorno (a Sant'Antonio <strong>di</strong> Padova). Il poeta parla al<br />

santo, ricordando i giorni della infanzia, quando, <strong>di</strong>nanzi alla sua statua, la<br />

nonna gli insegnava a pregarlo, perché era un santo miracoloso: faceva tre<strong>di</strong>ci<br />

miracoli al giorno! Stupefatto, il bimbo giungeva le mani, ed era sicuro<br />

che, fra tanti miracoli, era ben poca cosa per il santo fargliene uno, quello<br />

del pane quoti<strong>di</strong>ano. Traduco:<br />

Tu forsi sorridevi a lei e a me<br />

ginocchioni <strong>di</strong>nanzi alla tua statua<br />

quasi senza guardare l'Ostia Sacra:<br />

oh, non fu certo gran peccato - allora<br />

non sapevamo <strong>di</strong> latrìa o dulía,<br />

ma solo che ogni giorno tu facevi<br />

ben tre<strong>di</strong>ci miracoli - e per noi<br />

ci volevano tutti. Primo, il pane.<br />

Ebbene, Sant'Antonio, il tempo è andato<br />

Ed ora so perché tu porti un giglio,<br />

e ti scolpiscono col Bimbo in braccio.<br />

Pure, vorrei saper molto <strong>di</strong> meno<br />

e credere <strong>di</strong> più - treenne, allora<br />

<strong>nella</strong> piccola chiesa <strong>di</strong> montagna<br />

tre<strong>di</strong>ci volte a te m'inginocchiavo;<br />

e tornavo, sicuro del mio pane 15.<br />

Il dubbio che segue allo stu<strong>di</strong>o e alla riflessione, e che intacca la<br />

schiettezza <strong>di</strong> una fede assorbita fin dalla nascita col pane <strong>di</strong> ogni giorno, è<br />

cosa non nuova, <strong>nella</strong> tra<strong>di</strong>zione letteraria, ed è esperienza intellettuale e<br />

morale comune a molti moderni. Né il poeta vuole condannare, qui, un atteggiamento<br />

15 « Thirteen Each Day - To saint Anthony of Padua », vv. 13-20 e 33-40, da<br />

Rind and All, pp. 47-48.<br />

50


<strong>di</strong> scepsi - anzi, lo considera momento ineluttabile. <strong>La</strong> fede semplice della<br />

propria <strong>terra</strong> è vista come anteriore a tale momento, ed è sentita non come<br />

frutto <strong>di</strong> mentalità acquisita in un dato ambiente in date circostanze storiche,<br />

ma è fede che sprofonda nel cuore e <strong>di</strong>venta da un lato speranza <strong>di</strong><br />

vita, dall'altro intenso sentimento <strong>di</strong> umanità (due connotazioni che abbiamo<br />

già trovato riunite <strong>nella</strong> figura della nonna).<br />

14. <strong>La</strong> per<strong>di</strong>ta del tempo della propria vita, e la morte, sono temi notevoli<br />

nell'intera <strong>poesia</strong> del <strong>Tusiani</strong>. Ed anch'essi ricompaiono collegati al<br />

ricordo della propria <strong>terra</strong>; particolarmente in una lirica <strong>di</strong> Rind and All<br />

(1962) intitolata « San Marco in <strong>La</strong>mis ».<br />

Il punto d'incontro fra il pensiero del morire e il paese natale è segnato<br />

dal camposanto del paesello. Il poeta vede tutta la piccola, circoscritta<br />

vita del borgo gravitare attorno a quel « pezzo <strong>di</strong> <strong>terra</strong> consacrata », a cui<br />

tendono tutti gli abitanti. Essi non si chiedono perché debbano finirvi -<br />

sanno solo che è così; né è timore l'avvicinarsi, con gli anni, a quella <strong>di</strong>mora<br />

- essa non pare che la naturale conclusione della vita.<br />

Riporto l'intera lirica in una traduzione dell'autore stesso, abbozzata,<br />

poi non più ripresa:<br />

Il camposanto lì, su quel pendìo consunto<br />

Ventilato dall'erba e profumato<br />

Di timo, è assai più vasto del paese –<br />

Una <strong>di</strong>stante <strong>terra</strong>, solenne, fatale.<br />

Cipressi scuri (Italia è quella <strong>terra</strong>),<br />

Muti miranti al cielo,<br />

Più non isperan resurrezione,<br />

Sì fonde <strong>nella</strong> roccia han le ra<strong>di</strong>ci.<br />

Lì ogni sera, allora che la luna<br />

Non può spiar tra nuvole e tra boschi,<br />

Un usignolo, che per te non osa<br />

Cantare, canta sopra quelle croci,<br />

Rustiche, rotte da rugiada. Ed io,<br />

Fanciullo, u<strong>di</strong>i quel canto,<br />

E fu allor che la morte immaginai<br />

Quale uccello nel folto delle foglie.<br />

51


Aveva quell'uccello più <strong>di</strong> me<br />

Briciole? Anch'io - rammento - allor cantavo;<br />

Ma per noi due, dopo l'istesso canto,<br />

Non v'era affatto pane.<br />

Poi sorgeva il mattino: oh rosa, rosa<br />

Di Dio per me, trasumanato d'incanto;<br />

Squalli<strong>di</strong> muri, e cielo e mar festivi:<br />

Dolce equilibrio ancora.<br />

Giovine mar sognavo, e trapuntato<br />

Di vele, e bianco e rosa e verde e azzurro e oro:<br />

<strong>La</strong> meraviglia aggiungendo ogni tinta<br />

Novella <strong>di</strong> lucenti cose non vere.<br />

E <strong>di</strong>venivo immemore <strong>di</strong> striduli<br />

Campani <strong>di</strong> capre lungo la strada;<br />

Di mani inaffianti basilico sui davanzali;<br />

Di corde <strong>di</strong> bucato sgocciolante<br />

Al nuovo sole; <strong>di</strong> voci mattiniere<br />

E magiche <strong>di</strong> vecchi ven<strong>di</strong>tori;<br />

E d'asini leggeri verso il monte;<br />

E d'una folla sciamante <strong>di</strong> bimbi a scuola;<br />

E d'uccelli, oh uccelli festivi nell'umile<br />

Settimana. Ero immemore d'ogni cosa;<br />

Eppure il dolce, oh dolce romorio<br />

Di tutte quelle gioiose<br />

Ore primaverili era famiglia,<br />

Era canto da u<strong>di</strong>re ed amare,<br />

Sebbene perduto in nuova meraviglia<br />

Di canto ancor non nato fosse l'orecchio.<br />

Ora so perché tutta quella vita<br />

Come onda intorno a inabissata pietra<br />

Dovesse svolgersi intorno a un camposanto,<br />

L'unico mondo noto<br />

Ai miei pastori, e da essi guardato<br />

Quando vicino vi passavan lenti<br />

Con la greggia non propria,<br />

Sotto la tenda del cielo<br />

E la scorta pietosa del riso del sole.<br />

Adesso, sì, comprendo<br />

Perché senza risponder, senza chiedere,<br />

Essi debbano andare,<br />

52


Andare ancora intorno alla montagna<br />

Finché il pen<strong>di</strong>o dall'erba ventilato<br />

Per sempre li raccolga e nel suo petto<br />

Chiuda il supremo ed unico sperare.<br />

E <strong>di</strong>mmi, pastorello: è dunque vero<br />

Che tu pur devi andare,<br />

Come tuo padre, da una cima all'altra,<br />

E a casa poi posare?<br />

O vecchierella fragile ed asciutta,<br />

Ed è vero che devi ancor filare<br />

<strong>La</strong> tua lana un altr'anno<br />

Per poterti comprare<br />

Finalmente una bara e andar lassù in pace,<br />

Senza lasciare né nome né debito?<br />

Nascere e crescer figli e poi dormire<br />

<strong>La</strong>ssù: ecco la gloria.<br />

Il camposanto lì, su quel pen<strong>di</strong>o consunto<br />

Ventilato dall'erba e profumato<br />

Di timo, è assai piú vasto del paese –<br />

Una <strong>di</strong>stante <strong>terra</strong>, solenne, fatale.<br />

Non rasegnazione, perché nel pastore, <strong>nella</strong> vecchierella che fila, non<br />

è la nozione <strong>di</strong> cose più gran<strong>di</strong>, da cui quel mondo limitato è per sempre<br />

escluso; non è un messaggio <strong>di</strong> rassegnazione (e tanto meno un ideale <strong>di</strong><br />

vita) che il poeta vuol suggerire. Gli importa, invece, constatare la naturalezza<br />

con cui sono accettati un evento, che travaglia invece la sua mente, ed<br />

una vita circoscritta, nei cui limiti egli più non potrebbe rientrare, eppure vi<br />

trova la nozione del senso ultimo delle cose.<br />

15. <strong>La</strong> <strong>terra</strong> originaria è dunque trasfigurata a sede <strong>di</strong> una chiarezza<br />

interiore che è sorgente <strong>di</strong> serenità e non fa vacillare <strong>di</strong> fronte al pensiero<br />

della morte; sede <strong>di</strong> saggezza connaturata, e non acquisita con la riflessione;<br />

luogo, infine, <strong>di</strong> fede schietta e primitiva, che nel vivere quoti<strong>di</strong>ano si tramuta<br />

in speranza e in senso profondo <strong>di</strong> umanità.<br />

Così il poeta che torna ritrova la propria montagna, <strong>nella</strong> ode M'ascolti<br />

tu, mia Terra?, che è del 1954 (in tale anno, al-<br />

53


meno, fu composta; dopo la vincita del premio Greenwood, a Londra nel<br />

1956, fu pubblicata in versione italiana dello stesso autore, fra i quaderni del<br />

« Gargano »).<br />

Il componimento è impostato su due termini <strong>di</strong> confronto: la montagna,<br />

e l'uomo che vi torna, quasi figliol pro<strong>di</strong>go. L'uomo torna alla sua<br />

montagna dopo lunghi anni, nei quali ha sofferto e conosciuto il male. Ma<br />

qui, sulle immobili pen<strong>di</strong>ci della sua infanzia, ritrova parte del proprio antico<br />

essere, immacolato:<br />

ta:<br />

Terra natale, io non ho mai sofferto,<br />

io non ho pianto e non son mai partito,<br />

se alla mesta pupilla,<br />

che ti ritrova, tu sei bella ancora<br />

e sei materna. Forse per selvaggi<br />

mari avanzò la sola mia paura;<br />

forse per venti e per valli e per sere<br />

illuni procedé, sempre sgomento,<br />

il mio pensier soltanto;<br />

ma l'anima, qual sangue tra le vene,<br />

passò per tue ra<strong>di</strong>ci eternamente<br />

e l'uomo restò bimbo e fu sereno.<br />

(M'ascolti tu, mia Terra?, vv. 1-12)<br />

<strong>La</strong> <strong>terra</strong> pure ha subìto offese, dall'uomo e dal tempo; ma è immuta-<br />

... Ha ròso il vento<br />

e portato nell'onda<br />

un masso <strong>di</strong> tua roccia, e sette inverni<br />

han gravato i tuoi fianchi seppellendo<br />

nelle nevi i tuoi fiori, e sette aprili<br />

hanno ferito <strong>di</strong> gioia il tuo grembo,<br />

ed hai sofferto lacerazioni<br />

d'uomo e schianto <strong>di</strong> nembo.<br />

Eppur sei buona ancora e sei materna...<br />

(id., vv. 145-153)<br />

Ma l'uomo no; attraverso le innumerevoli vicende <strong>di</strong> una vita, egli è<br />

mutato, la sua fiducia è incrinata, la sua originaria bontà si è venata <strong>di</strong> umori<br />

grevi; le estese cognizioni acquisite gli hanno instillato un tremore dell'esistenza.<br />

<strong>La</strong> montagna è ferma <strong>nella</strong> sua ignoranza del « mondo sotto il sole »;<br />

ma quella fissità, quella assenza <strong>di</strong> strutture che rendano complessa<br />

54


l'originaria costituzione, sembra celare il segreto che il poeta invano ha cercato,<br />

vagando per il mondo, o trivellando nel proprio intelletto:<br />

Tu non conosci il mondo sotto il sole,<br />

o severa montagna<br />

che amo. Or, <strong>di</strong> noi due,<br />

io non so <strong>di</strong>re chi più sappia o valga:<br />

io, che ho appreso il soffrire de' fratelli,<br />

o tu, che, sotto la pioggia che bagna<br />

e rode, all'alba nuova ancor possie<strong>di</strong><br />

l'innocenza <strong>di</strong> ieri.<br />

Io non lo so, perché sapere il male<br />

è forse un po' <strong>di</strong>menticare il bene.<br />

(id., vv. 112-121)<br />

Affiora, nell'immagine della montagna, la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> simbolo: essa<br />

rappresenta ciò che per l'uomo è bene; essa è il bene, quasi, allo stato puro<br />

- quasi lo stesso principio del bene, materializzato. Perciò non ha bisogno<br />

<strong>di</strong> conoscenze, né <strong>di</strong> esperienza: esiste per sé; e deve essere conosciuta, e<br />

non conoscere. Perciò resta immutata, immune dai travagli sofferti e dalle<br />

offese subìte.<br />

E, aggiungerei, non il bene astratto, universale, e perciò privo <strong>di</strong> connotazioni.<br />

<strong>La</strong> montagna rappresenta il bene materno, della madre che dà alla<br />

luce le proprie creature, e le nutre, mentre sono in vita:<br />

...E so che dentro<br />

il tuo marmoreo cuore è la speranza<br />

<strong>di</strong> nuov'erbe e d'uccelli e <strong>di</strong> pastori,<br />

è la stessa preghiera che non manchi<br />

domani il dolce volo e la pastura<br />

ad ogni tua novella creatura.<br />

(id., vv. 72-77)<br />

(pur trasfigurato, qui è presente alla coscienza del poeta il motivo del pane,<br />

cioè della sopravvivenza fisica in un mondo povero); e, ancora, che le alimenta<br />

<strong>di</strong> speranza. Essa, infatti, accoglie il figlio ritornato, e gli dona la gloria<br />

<strong>di</strong> una nuova alba (anche in questo caso, simbolicamente, il rinascere<br />

<strong>nella</strong> luce <strong>di</strong> una agognata verità):<br />

55


... Io sento ch'è segno d'aurora<br />

questo brusio tra le cime, quest'alito<br />

caldo <strong>di</strong> rosa ch'è luce e ch'è suono<br />

sopra la vetta più grande, su tutte<br />

le vette. Io ti conosco,<br />

fremer <strong>di</strong> cento cerri, canto d'arpa<br />

timida e tinnula, o,a che ogni sogno<br />

sembra finire in colore, e il colore<br />

sembra mutarsi in cuore<br />

d'uomo. Correte, accorrete alla festa<br />

del monte che si dora,<br />

della foresta che bella si desta<br />

al giorno! E' tar<strong>di</strong> già: quel che fu oro<br />

è croco, e cresce già sopra la crosta<br />

glabra un filo <strong>di</strong> bianchissimo crespe,<br />

e in un mar <strong>di</strong> candore la notte è naufragata,<br />

e in tutta questa luce il mio dolore.<br />

(id., vv. 168-184)<br />

E questa ode rappresenta l'espressione perfetta, come <strong>di</strong>cevo, del ricordo<br />

garganico <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> del <strong>Tusiani</strong>. Ma <strong>di</strong>rei che essa abbia anche un<br />

valore letterario più vasto. <strong>La</strong> parola, educata attraverso stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> stampo<br />

classico, si è notevolmente equilibrata (non si può <strong>di</strong>re che qui vi sia retorica,<br />

e nemmeno oratoria), attenuandosi, per lasciar trasparire limpido il sentimento<br />

del poeta. Quasi magicamente le idee, che abbiamo cercato <strong>di</strong> portare<br />

alla luce <strong>nella</strong> nostra analisi, si fondono e si esprimono con lo snodarsi<br />

delle immagini. E questo - sia permesso <strong>di</strong>re - sopravviene solo in momenti<br />

altamente lirici, e rari.<br />

16. Nel ricordo della propria <strong>terra</strong> rientrano dunque temi più generali<br />

(principalmente il <strong>di</strong>battito fra il bene e il male, e la compresenza <strong>di</strong> questi<br />

due principi nell'essere umano; la ricerca <strong>di</strong> un senso ultimo delle cose e<br />

della propria vita; il contrasto tra fede e razionalità; il motivo del tempo che<br />

si consuma), che sono attribuibili all'intera <strong>poesia</strong> del <strong>Tusiani</strong>.<br />

Bisogna <strong>di</strong>re che il ritorno, nel ricordo, a quella <strong>terra</strong> porta sempre un<br />

riflesso lontano <strong>di</strong> speranza; lontano tanto che pare impossibile carpirlo;<br />

porta, insomma, il sapore <strong>di</strong> cose buone, e perdute. In modo che la « nostalgia<br />

» che il poeta può provare ha un suo profilo preciso: è nostalgia dei<br />

valori<br />

56


collegati al complesso mondo dell'infanzia; i quali valori, una volta usciti da<br />

quel mondo, non possono continuare a sorreggere l'uomo, navigato nelle<br />

molteplici vicende della propria esistenza, e che ad essi non può ritornare<br />

con la primitiva adesione - se non forse in <strong>poesia</strong>.<br />

Così filtrato, il ricordo della <strong>terra</strong> garganica rimane fino in poesie recenti.<br />

Come in questo Tramonto (1971): il decadere della vita contemplato in<br />

grinzosi anziani seduti al sole, ed il calare <strong>di</strong> quel sole, con tutta la tristezza<br />

che l'associazione dei due spettacoli genera, riconducono la mente ad un<br />

pen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> montagna familiare, dove balena, inafferrabile e presto persa, una<br />

visione <strong>di</strong> speranza. Traduco:<br />

Ma dovrò vivere vent'anni ancora<br />

e soffrir venti secoli <strong>di</strong> pena<br />

per saper che visione <strong>di</strong> speranza<br />

mi può far breve un'esistenza annosa,<br />

e dolce questo raggio su un pen<strong>di</strong>o<br />

dove il pensiero si ferma, e il tremore.<br />

Maestosa tristezza c'è nel sole,<br />

se ho smesso <strong>di</strong> guardare verso il mare<br />

ogni tinta sfumarsi, e mi son chiesto<br />

che cosa <strong>di</strong>verrà <strong>di</strong> te e <strong>di</strong> me,<br />

e cosa forse resta <strong>di</strong> noi due:<br />

<strong>di</strong> me e <strong>di</strong> te, cara vita passata 16.<br />

COSMA SIANI<br />

16 « Sunset: A Reflection », vv. 19-30, in The Diamond Anthology, e<strong>di</strong>ted by C.<br />

Angoff., G. Davidson, H. Hill, A. M. Sullivan. New York, Barnes and Co., 1971, pp.<br />

250-251.<br />

57


BIBLIOGRAFIA<br />

17. Elenco i principali lavori del <strong>Tusiani</strong>:<br />

P o e s i a :<br />

Amedeo <strong>di</strong> Savoia, Poemetto in isciolti. Pref. del P. Ciro Soccio, Santa Agata<br />

<strong>di</strong> Puglia, Tip. « Casa del S. Cuore », 1943.<br />

Flora (liriche). New York, Prompt Press, 1946.<br />

Amore e morte (liriche). San Marco in <strong>La</strong>mis, Tip. G. Caputo, 1946.<br />

Petali sull'Onda Poesie. New York, Euclid Publishing Co., 1948.<br />

Peccato e Luce (liriche). Pref. <strong>di</strong> Cesare Foligno. New York, The Venetian<br />

Press, 1949.<br />

Làcreme e sciure (poesie in vernacolo garganico). Pref. <strong>di</strong> T. Nardella.<br />

Pubblicato dalla Società <strong>di</strong> Cultura « M. De Bellis » <strong>di</strong> San Marco in<br />

<strong>La</strong>mis. Foggia, Stab. Tip. Cappetta, 1955.<br />

Melos Cor<strong>di</strong>s (poesie in latino). New York, The Venetian Press, 1955.<br />

Lo Speco Celeste (o<strong>di</strong>). Siracusa-Milano, Ed. Ciranna, 1956.<br />

O<strong>di</strong> Sacre. Pref. <strong>di</strong> A. Galletti. Siracusa-Milano, Ed. Ciranna, 1957.<br />

M'ascolti tu, mia Terra? Ode al Gargano. Quaderni de « Il Gargano », n. 5,<br />

Foggia, Stab. Tip. Cappetta, s. d. (1957).<br />

Rind and All. Fifty Poems. New York, The Monastine Press, 1962.<br />

The Fifth Season. Poems. New York, Obolensky, 1964.<br />

Numerose altre poesie, per la maggioranza in inglese, sono sparse<br />

in vari perio<strong>di</strong>ci anglosassoni.<br />

P r o s a :<br />

Dante in Licenza (romanzo). Verona, Ed. Nigrizia, 1952.<br />

Envoy from Heaven (romanzo). New York, Obolensky, 1965. Tradotto in<br />

italiano col titolo: Dal cielo « inviato speciale ». Trad. Adriana Valente.<br />

Roma, Ed. Presenza, 1966.<br />

Dante's Inferno. As told for young people. New York, Obolensky, 1965.<br />

Dante's Purgatorio. As told for young people. New York. Astor-Honor,<br />

1968.<br />

58


Quarrel in a Cemetery (« Lite al cimitero » - novella), in « <strong>La</strong> Parola del<br />

Popolo » (Chicago), Luglio-Agosto 1971, pp. 109-112.<br />

Traduzioni:<br />

Wordsworthiana (poesie del Wordsworth tradotte in italiano). Intr. Di<br />

Alfredo Galletti. New York, The Venetian Press, 1952.<br />

The Complete Poems of Michelangelo. New York, Noonday Press, 1960.<br />

Testo adottato dall'UNESCO.<br />

Lust and Liberty. The Poems of Machiavelli. New York, Obolensky, 1963.<br />

T. TASSO, Jerusalem Delivered (« Gerusalemme liberata »), Rutherford,<br />

Fairleigh Dickinson U. P., 1970.<br />

G. BOCCACCIO, Nymphs of Fiesole (« Ninfale fiesolano »), Rutherford,<br />

Fairleigh Dickinson U. P., 1971.<br />

T. TASSO, The Tears of the Blessed Virgin - The Tears of Christ (« Le<br />

lagrime della Beata Vergine - Le lagrime <strong>di</strong> Cristo »), in « Italian<br />

Quarterly », XV: 57, pp. 87-99.<br />

Italian Poets of the Renaissance (antologia). New York, Baroque Press,<br />

1971.<br />

The age of Dante (antologia). New York, Baroque Press, 1974.<br />

From Marino to Marinetti (antologia). New York, Baroque Press, 1974.<br />

S a g g i :<br />

<strong>La</strong> <strong>poesia</strong> amorosa <strong>di</strong> Emily Dickinson. New York, The Venetian Press,<br />

1950.<br />

Poesia missionaria in Inghil<strong>terra</strong> e in America. Storia critica e antologica.<br />

Verona, E<strong>di</strong>trice Nigrizia, 1953.<br />

Sonettisti americani. Intr. <strong>di</strong> Frances Winwar. Chicago, Division<br />

Typesetting Co., 1954.<br />

David Gray and Sergio Corazzini: a Parallel, in « English Miscellany » - A<br />

Symposium of History Literature and the Arts, E<strong>di</strong>tor M. Praz,<br />

Roma, Ed. <strong>di</strong> Storia e Letteratura, 1958, pp. 315-328.<br />

The Translating of Poetry, in « Thought » (New York), Autumn 1963, p.<br />

375-390.<br />

Influenza cristiana <strong>nella</strong> <strong>poesia</strong> negro-americana (con una antologia <strong>di</strong> poeti<br />

negri tradotti dallo stesso autore). Bologna, Ed. Nigrizia, 1971.<br />

Inoltre, i volumi <strong>di</strong> traduzioni sopra elencati contengono ampi saggi<br />

introduttivi.<br />

18. Dopo aver anzitutto rimandato al volume Who's Who in America<br />

(A Biographical Dictionary of Notable Living Men and Women) Marquis-<br />

Who's Who, Inc., Chicago, I11., s.v. TUSIANI <strong>Joseph</strong>, dò, qui <strong>di</strong> seguito,<br />

una serie <strong>di</strong> sfritti critici sull'opera del <strong>Tusiani</strong>. Utile sarà, intanto, leggere le<br />

prefazioni <strong>di</strong> C. Foligno a Peccato e Luce e <strong>di</strong> A. Galletti alle O<strong>di</strong> Sacre.<br />

59


Si possono poi vedere:<br />

P. BARGELLINI, Pian dei Giullari, Firenze, Vallecchi, 1951 (3 a ed. 1965),<br />

vol. 3, p. 401. G. D'ADDETTA, Giornali e giornalisti garganici,<br />

Quaderni de « Il Gargano », n. 1, Foggia, Cappetta, 1952, p. 42. «<br />

Il Foglietto » (Foggia), anno XLII (nuova serie), n. 20. P.<br />

SORRENTI, <strong>La</strong> Puglia e i suoi poeti <strong>di</strong>alettali, Bari, De Tullio, 1962, p.<br />

265. T. NARDELLA, Il vernacolo non muore, nel numero unico locale<br />

« Impegno », (San Marco in <strong>La</strong>mis, 20 sett. 1964, pp. 28-30; è<br />

riportata una <strong>poesia</strong> ine<strong>di</strong>ta, in vernacolo). N. FIORELLI, Un<br />

romanzo su Dante <strong>di</strong> Giuseppe <strong>Tusiani</strong>, in « Il Progresso Italo-<br />

Americano », 23 maggio 1965, p. 3. C. BASIM, Raccolta <strong>di</strong> critiche e<br />

cronache d'arte, Roma 1971, pp. 235-239 e pp. 255-256. C. SIANI,<br />

<strong>Joseph</strong> <strong>Tusiani</strong> traduttore del Tasso, in « <strong>La</strong> Parola del Popolo »<br />

(Chicago), n. 113, Sett.-Ott. 1972, pp. 57-59. C. SIANI, Intervista<br />

con J. <strong>Tusiani</strong>, in « Stampa <strong>di</strong> Puglia » (Foggia), 7.XI. 1973, p. 5.<br />

Su Sonettisti americani si <strong>di</strong>ffondo L. Fiumi, in « Corriere Mercantile »<br />

(Genova), 10 ago. 1954, p. 3; C. Foligno nell'elzeviro Duro a morire in « Il<br />

Mattino », 17 sett. 1954, p. 3 e A. Galletti, in « <strong>La</strong> Fiera Letteraria », 3<br />

ott. 1954, p. 5.<br />

<strong>La</strong> traduzione delle poesie <strong>di</strong> Michelangelo è recensita in « Spirit »<br />

(P. E. Memmo Jr.), January 1961, pp. 179-182, e in « Cesare Barbieri<br />

Courier », III, pp. 21-23.<br />

Recensioni <strong>di</strong> Rind and All sono in « Spirit » (A. M. Sullivan), July<br />

1962, pp. 88-91, e in « The Catholic World » (B. M. Kelly), May 1962,<br />

pp. 125-126.<br />

Lust and Liberty, la traduzione inglese <strong>di</strong> tutti i versi <strong>di</strong> Machiavelli,<br />

è recensito in « The Catholic World » (R. J. Iannucci), Dec. 1963, e in «<br />

Italica » (A. Paolucci), September 1964, pp. 343-345.<br />

Recensione <strong>di</strong> The Fifth Season è in « Spirit » (J. Duffy), January<br />

1965, pp. 176-178.<br />

Sul romanzo Envoy from Heaven, oltre al già citato, vasto articolo <strong>di</strong><br />

N. Fiorelli, troviamo una recensione in « The Catholic World » (A.<br />

Duprey), 1965, pp. 408-410.<br />

<strong>La</strong> versione inglese della Gerusalemme si trova recensita in: « Forum<br />

Italicum » (P. F. Angiolillo), 1970, pp. 613-616; « Annali » dello Ist.<br />

Univ. Orientale <strong>di</strong> Napoli, sez. germanica (F. Ferrara), 1970, pp. 340-<br />

342; « Italian Quarterly » (W. J. Kennedv), XV: 58-59, pp. 99100; «<br />

Renaissance Quarterly » (C. P. Brand), Spring 1972, pp. 89-91; « Italica »<br />

(K. J. Atchity), Summer 1972, pp. 257-259; « Stu<strong>di</strong> Tassiani » (C. Siani),<br />

1972, pp. 169-176.<br />

Sulla traduzione dei poeti italiani del Rinascimento si trovano<br />

recensioni in « Italian Quarterly » (W. J. Kennedy), XVI: 62-63, pp. 138-<br />

142; « Italica » (F. Cerreta), Autumn 1973, pp. 449-451; « Renaissance<br />

Quarterly » (T. Bergin), Autumn 1973, p. 345-347; e, sulle tre antologie,<br />

C. Siani, 7 secoli <strong>di</strong> <strong>poesia</strong> italiana in inglese, in « Stampa <strong>di</strong> Puglia », 17 luglio<br />

1974, p. 4.<br />

60

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!