Francesco Petrarca «Ne la stagion che 'l ciel ... - Palumbo Editore

PARTE TERZA Autunno del Medioevo e rinnovamento preumanistico: l’età di Petrarca, Boccaccio, Chaucer (1310-1380)
CAPITOLO VII Il Canzoniere
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[Canzoniere, L]
da F. Petrarca, Canzoniere, testo
critico di G. Contini, Einaudi,
Torino 1964.
metrica Canzone di cinque stanze di quattordici versi ciascuna,
dieci endecasillabi e quattro settenari. La
fronte (sei versi) è collegata alla sirma dalla rima
C. Schema: ABC, BAC; cddEEFeF. Il congedo ha lo
schema della sirma.
1-11 Nell’ora (stagion) in cui (che) il sole (’l ciel) tramonta (inchina)
rapidamente (rapido) verso occidente, e in cui (che)
il nostro giorno (dì) vola [: va rapidamente] verso (a) gente
che di là [: dell’orizzonte, cioè nell’altro emisfero] forse
lo aspetta, la stanca vecchietta (vecchiarella; dimin. affettuoso)
pellegrina, vedendosi [: trovandosi] da sola in
un paese lontano [: dal suo], accelera (raddoppia; di frequenza)
i passi, e si affretta più che può (et più et più);
e poi [pur essendo] così soletta alla fine della (di) sua
giornata [di viaggio] talora è confortata (consolata) di un
po’ (d’alcun breve) di riposo, in cui (ov’ = ove = dove) ella
dimentica (oblia) il peso (la noia) e la sofferenza (’l
mal) del cammino fatto (de la passata via) [quel giorno].
Francesco Petrarca
«Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina»
Questa *canzone fu composta all’inizio del 1337, nell’avvicinarsi del decimo anniversario dell’innamoramento
del poeta (6 aprile), come si ricava dall’esplicito riferimento del v. 55.
Lo scendere della sera consente a tutti gli esseri viventi, animali e uomini, la pausa notturna di riposo
dalle fatiche e dalle preoccupazioni. Ma per il poeta non c’è mai interruzione alle sofferenze causate dall’amore.
Il raffronto, ripetuto a ogni *stanza, tra una condizione del tempo e lo stato contrastante del poeta ricorda
la canzone dantesca «Io son venuto al punto de la rota», qui non antologizzata, la quale ha agito senza
dubbio da modello a questo testo di Petrarca (fra l’altro ha lo stesso numero di stanze). La canzone
petrarchesca a sua volta è stata rielaborata da Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina
verso occidente, et che ’l dì nostro vola
a gente che di là forse l’aspetta,
veggendosi in lontan paese sola,
5 la stancha vecchiarella pellegrina
raddoppia i passi, et più et più s’affretta;
et poi così soletta
al fin di sua giornata
talora è consolata
10 d’alcun breve riposo, ov’ella oblia
la noia e ’l mal de la passata via.
Ma, lasso, ogni dolor che ’l dì m’adduce
cresce qualor s’invia
per partirsi da noi l’eterna luce.
15 Come ’l sol volge le ’nfiammate rote
per dar luogo a la notte, onde discende
dagli altissimi monti maggior l’ombra,
l’avaro zappador l’arme riprende,
et con parole et con alpestri note
20 ogni gravezza del suo petto sgombra;
et poi la mensa ingombra
di povere vivande,
simili a quelle ghiande,
le qua’ fuggendo tutto ’l mondo honora.
25 Ma chi vuol si rallegri ad ora ad ora,
ch’i’ pur non ebbi anchor, non dirò lieta,
Tanto il riferimento al tramonto, quanto il richiamo dubbioso
al sorgere del sole in un’altra terra, quanto il riferimento
alla vecchiaia e al pellegrinaggio costituiscono rimandi
alla condizione dell’uomo sulla Terra secondo la prospettiva
cristiana, cioè nella prospettiva della provvisorietà
e della morte imminente. Forse: perché era data solo
in ipotesi l’esistenza di altri uomini al di là dell’oceano.
Pellegrina: che cioè è in viaggio per compiere un pellegrinaggio
religioso, visitando luoghi sacri al culto. È una condizione
frequente nella poesia dei primi secoli (cfr. anche
A8, T3, «Movesi il vecchierel canuto et biancho»).
12-14 E invece (ma), povero (lasso) [me], ogni dolore che il
giorno mi porta (m’adduce) cresce [: aumenta] ogni volta
che (qualor) la luce eterna [: il sole] si mette in moto
(s’invia) per allontanarsi (per partirsi) da noi. L’eterna
luce: il sole è così definito in riferimento sia alla sua costante
presenza in un emisfero o nell’altro della Terra, sia
al suo legame simbolico, nella cultura medievale, con Dio.
15-24 Non appena (come) il sole muove (volge) le ruote
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fiammeggianti (’nfiammate) [del suo carro] per dare
inizio (dar luogo) alla notte, per cui (onde) dai monti
più alti (altissimi) discendono ombre più vaste (maggior),
l’avido (avaro) zappatore riprende gli attrezzi (l’arme),
e libera (sgombra) dal (del) suo petto ogni angoscia
(gravezza = pesantezza) sia (et = e; lat.) con parole
sia con melodie (note) rustiche (alpestri) [: cantando];
e poi riempie (ingombra) la mensa di povere vivande,
simili a quelle ghiande [: cibo mitico dell’età dell’oro], le
quali (qua’) tutti (tutto ’l mondo) onorano [a parole],
fuggendo [le in verità]. ’Nfiammate rote: con riferimento
al mito classico, che rappresentava il sole su un carro di
fuoco. Discende…l’ombra: c’è ripresa fedele da un luogo
virgiliano: «maioresque cadunt altis de montibus umbrae»
[e discendono ombre maggiori dai monti più alti]
(Bucoliche I, 84).
25-28 Ma chi vuole si rallegri [pure] di tanto in tanto (ad ora
ad ora), mentre io (ch’i’ = che io) non ho avuto (non
ebbi) ancora [nep]pure un’ora, non dirò felice (lieta)

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CAPITOLO VII Il Canzoniere
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ma [almeno] serena (riposata), né per il passare del
tempo (per volger ciel; volger = girare, con riferimento al
movimento degli astri) né delle stagioni (di pianeta; con
riferimento alla posizione della terra rispetto al sole).
29-38 Quando il pastore vede i raggi della grande stella (pianeta)
[: il sole] scendere (calare) nel nido [: dimora, con
*metafora] dove egli riposa (alberga), e[vede] scurirsi
(’nbrunir = imbrunire) le zone (le contrade) orientali, si
alza (drizzasi) in piedi, e con (co) il consueto (usata) bastone
(verga), lasciando l’erba e le fonti (fontane) e i
faggi [: i boschi], fa muovere (move) lentamente (soavemente)
il suo gregge (schiera); poi lontano dalla gente [:
solitario] cosparge (ingiuncha) di verdi rami (frondi) o
capanna (casetta) o grotta (spelunca) [: facendosi un
giaciglio]: qui (ivi) si distende (s’adagia) e dorme senza
pensieri. Questa rappresentazione serena della vita e della
psicologia del pastore verrà rovesciata nel Canto notturno
di un pastore errante dell’Asia da Leopardi, il quale
pure riutilizza quasi ogni verso di questa canzone nelle
sue opere.
39-42 Ahi Amore crudele (crudo), ma allora [: dopo il tramonto,
di notte] tu mi spingi (mi’nforme) di più a seguire
Francesco Petrarca ~ «Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina»
ma riposata un’hora,
né per volger di ciel né di pianeta.
Quando vede ’l pastor calare i raggi
30 del gran pianeta al nido ov’egli alberga,
e ’nbrunir le contrade d’orïente,
drizzasi in piedi, et co l’usata verga,
lassando l’erba et le fontane e i faggi,
move la schiera sua soavemente;
35 poi lontan da la gente
o casetta o spelunca
di verdi frondi ingiuncha:
ivi senza pensier’ s’adagia et dorme.
Ahi crudo Amor, ma tu allor più mi ’nforme
40 a seguir d’una fera che mi strugge,
la voce e i passi et l’orme,
et lei non stringi che s’appiatta et fugge.
E i naviganti in qualche chiusa valle
gettan le membra, poi che ’l sol s’asconde,
45 sul duro legno, et sotto a l’aspre gonne.
Ma io, perché s’attuffi in mezzo l’onde,
et lasci Hispagna dietro a le sue spalle,
et Granata et Marroccho et le Colonne,
et gli uomini et le donne
50 e ’l mondo et gli animali
aquetino i lor mali,
fine non pongo al mio obstinato affanno;
et duolmi ch’ogni giorno arroge al danno,
ch’i’ son già pur crescendo in questa voglia
55 ben presso al decim’anno,
né poss’indovinar chi me ne scioglia.
Et perché un poco nel parlar mi sfogo,
veggio la sera i buoi tornare sciolti
da le campagne et da’ solcati colli:
60 i miei sospiri a me perché non tolti
quando che sia? perché no ’l grave giogo?
perché dì et notte gli occhi miei son molli?
la voce e i passi e le orme di una belva (fera = fiera) [:
Laura] che mi distrugge (strugge), e non catturi (non
stringi) lei [: non la fai innamorare di me] che si nasconde
(s’appiatta) e fugge. Sono temi consueti della lirica
d’amore e del Canzoniere tanto il lamento perché Amore
non fa innamorare l’amata, quanto la rappresentazione
di questa come una belva feroce (priva di pietà per il
poeta).
43-45 E i naviganti, dopo (poi) che il sole tramonta (s’asconde
= si nasconde), [riparati ] in qualche insenatura (chiusa
valle), abbandonano i corpi (gettan le membra) sul
duro legno [della nave] e sotto i ruvidi vestiti (l’aspre
gonne). È anche in questo caso sottolineata la semplicità
e la povertà dei mezzi necessari per gli altri a raggiungere
la pace e il riposo, quando ciò sia possibile.
46-56 E invece (ma) io non metto (non pongo) fine alla mia
angoscia (affanno) ostinata per il fatto che (perché) [il
sole] si tuffi (s’attuffi) in mezzo alle onde, e lasci dietro
alle sue spalle la Spagna (Hispagna), e Granada e il
Marocco e le Colonne [d’Ercole] [: lo stretto di Gibilterra],
e [per il fatto che] gli uomini e le donne e il mondo
e gli animali calmino (aquetino) le loro sofferenze (i lor
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mali); e mi dolgo (duolmi) [del fatto] che ogni giorno
[che passa] aggiunge (arroge) [gravità] al [mio] dolore
(al danno), dato che io (ch’i’) sono ormai (già) ben vicino
(presso) al decimo anno [di innamoramento],sempre
(pur) aumentando (crescendo) in questo desiderio
(voglia), né posso indovinare chi me ne liberi (scioglia =
sciolga) [: non vedo nessuna via d’uscita]. Dal riferimento
del v. 55 è possibile assegnare la composizione di
questa *canzone al principio del 1337, avvicinandosi il
decimo anniversario dell’amore di Petrarca per Laura (6
aprile).
57-62 E dato che (perché) nel parlare mi sfogo un poco, [continuo
a dire:] vedo (veggio) la sera i buoi tornare sciolti
[: senza giogo] dalle campagne e dai colli arati (solcati):
perché a me i miei sospiri non [sono] tolti una volta o
l’altra (quando che sia)? perché non (no)[è tolto] il pesante
(grave) giogo? perché i miei occhi sono bagnati
(molli) [di pianto] giorno (dì) e notte? Il v. 57 «è come una
parentesi» (Leopardi), e costituisce una confessione del
poeta sul benefico effetto provocato in lui dallo sfogo
della scrittura: tema frequente. Sciolti riprende scioglia
che conclude la strofa precedente.

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CAPITOLO VII Il Canzoniere
63-70 [O] me sciagurato (misero), che intenzione sconsiderata
fu la mia (che volli) quando per la prima volta (primier)
li (gli) [: gli occhi; cfr. v. 62] tenni così fissi (sì fiso)
nel bel viso [di Laura] per scolpirlo con l’immaginazione
(imaginando) in un luogo (in parte) [: il cuore] da dove
(onde) non sarà mai tolto (mosso) né con la (per) forza
né con l’abilità (per arte), finché io (fin ch’i’) sia dato in
preda a chi spezza (diparte) tutto [: la morte]! E non
(né) so neppure (ancho = anche) che cosa pensare
(che…mi creda) di lei [: della morte; se cioè sarà vera-
esercizi
Analizzare e interpretare
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Francesco Petrarca ~ «Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina»
Misero me, che volli
quando primier sì fiso
65 gli tenni nel bel viso
per iscolpirlo imaginando in parte
onde mai né per forza né per arte
mosso sarà, fin ch’i’ sia dato in preda
a chi tutto diparte!
70 Né so ben ancho che di lei mi creda.
L’immagine della vecchiarella pellegrina riprende quella del
sonetto XVI, «Movesi il vecchierel canuto et biancho» (cfr. T3,
p. 561). Quale funzione simbolica ha il tema del viaggio?
Canzon, se l’esser meco
dal matino a la sera
t’à fatto di mia schiera,
tu non vorrai mostrarti in ciascun loco;
75 et d’altrui loda curerai sì poco,
ch’assai ti fia pensar di poggio in poggio
come m’à concio ’l foco
di questa viva petra, ov’io m’appoggio.
mente sufficiente a liberarlo dell’amore]. Alla notte e al
sonno tengono dietro, in questa ultima *stanza, la notte
e il sonno eterni della morte; con amplificazione dei contrasti
precedenti (forse neppure la morte, che spezza ogni
cosa, potrà spezzare l’amore del poeta per Laura).
71-78 [O] canzone, se lo stare con me (l’esser meco) dal mattino
alla sera ti ha (t’à) fatto [diventare] simile a me (di mia
schiera = del mio tipo) [: malinconica e solitaria], [allora]
tu non vorrai mostrarti da nessuna parte (in ciascun loco;
loco = luogo); e [ti ] curerai così poco delle lodi altrui, che
Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese LETTERATURA STORIA IMMAGINARIO [G. B. PALUMBO EDITORE]
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3
sarà (fia) per te (ti) sufficiente (assai) pensare [passeggiando]
di colle in colle (di poggio in poggio) come mi ha
ridotto (concio = conciato) il fuoco di questa pietra viva [:
Laura], alla quale io (ov’io = dove io) mi appoggio [: per la
quale vivo]. Se la *canzone assomiglia al poeta che la ha
scritta, allora il *congedo non può che risolversi in un noncongedo:
la canzone non si allontanerà dall’autore, condividendone
la solitudine e i pensieri malinconici. Petra: così
è definita Laura, nel solco delle rime “petrose” di Dante,
perché dura (cioè ostile) nei confronti del poeta.
Ogni strofa è strutturata in modo identico. Rilevane gli elementi
costitutivi: indicazione temporale, rapporto con la
realtà circostante, condizioni del soggetto. Rifletti sul diverso
spazio attribuito a questi due ultimi elementi nelle tre
strofe finali. Che cosa tende a prevalere?