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Precari ieri e oggi, quale il domani - Regione Toscana

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cazione professionale facendo ricorso alla relazione che esiste<br />

tra l’attività svolta e le aspettative lavorative (Fullin, 004). Si<br />

può distinguere, infatti, chi ha aspettative di transizione da chi<br />

ha un percorso orientato. Alcuni svolgono occupazioni instab<strong>il</strong>i<br />

che non corrispondono alle proprie aspirazioni e mirano a trovare<br />

un impiego più adeguato, oltre che più sicuro; mentre altri<br />

apprezzano i contenuti del proprio lavoro e non intendono cambiare<br />

attività, anche se aspirano a svolgerla in forme più stab<strong>il</strong>i.<br />

Chi ha aspettative di transizione svolge un lavoro che non lo<br />

soddisfa e tende a non identificarsi in esso, cercando di posticipare<br />

o di costruire altrove la propria identità professionale e<br />

sociale. Chi ha un percorso orientato, invece, è soddisfatto della<br />

propria attività e spesso riesce a fondarvi la propria identità, a<br />

prescindere dall’instab<strong>il</strong>ità del rapporto.<br />

Tuttavia, dopo alcuni anni di instab<strong>il</strong>ità occupazionale, che<br />

rende diffic<strong>il</strong>e la progettazione della propria vita fam<strong>il</strong>iare e relazionale,<br />

anche per chi ha un percorso orientato viene meno la<br />

propensione ad accettare lo scambio tra instab<strong>il</strong>ità e qualità professionale<br />

del lavoro. Perciò, anche per costoro l’instab<strong>il</strong>ità occupazionale<br />

diventa fonte di frustrazione e insoddisfazione. Il caso<br />

più clamoroso è quello dei laureati che sono rimasti intrappolati<br />

nel carosello dei rapporti a termine con le amministrazioni pubbliche.<br />

rispetto alle prime ricerche sul “vissuto” dei lavoratori instab<strong>il</strong>i,<br />

condotte quando la diffusione del fenomeno era ancora<br />

agli inizi, la situazione è ormai mutata. Anche qualora la loro percentuale<br />

fosse relativamente bassa rispetto a quanti hanno avuto<br />

un’esperienza lavorativa flessib<strong>il</strong>e, gli intrappolati cominciano ad<br />

essere molti. E i loro orientamenti verso <strong>il</strong> lavoro non possono che<br />

diventare sempre più negativi, così come diventano sempre più<br />

critiche le loro prospettive personali, soprattutto per chi vive in<br />

famiglie ove non vi sono lavoratori stab<strong>il</strong>i, una condizione sempre<br />

meno rara con <strong>il</strong> passare del tempo e <strong>il</strong> crescere dell’età, come<br />

rivela ancora l’indagine longitudinale sui lavoratori instab<strong>il</strong>i di<br />

lunga durata. va, quindi, crescendo <strong>il</strong> rischio che si formi una fascia<br />

di lavoratori sui 35-40 anni, che non riescono a trovare alcun<br />

motivo di soddisfazione nel lavoro in cui sono intrappolati, non<br />

possono pensare di poter svolgere per i propri figli <strong>il</strong> ruolo che i<br />

genitori hanno svolto per loro e per di più cominciano a prendere<br />

consapevolezza del grave futuro previdenziale che li attende.<br />

Ben si comprende come i sentimenti di insicurezza si diffondano<br />

in Italia al di là di quanto farebbe supporre la percentuale di<br />

occupazione instab<strong>il</strong>e, che è ancora inferiore alla media europea<br />

(Accornero, 006b).<br />

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