manuale sul trattamento del trauma complesso negli adulti

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Il trattamento degli adulti vittime di gravi maltrattamenti infantili Proposta di un modello integrato In J.E.B. Myers, L. Berliner, J. Briere, C.T. Hendrix, T. Reid, & C. Jenny (Eds.) (2002). The APSAC handbook on child maltreatment 2nd Edition. Newbury Park, CA: Sage Publications. John Briere, Ph.D. Dipartimento di Psichiatria e Scienze del Comportamento Keck School of Medicine University of Southern California Traduzione di Agnese Cheli Questo capitolo delinea un approccio integrato per il trattamento di adulti gravemente maltrattati o trascurati in epoca infantile. La teoria su cui si basa, tra cui il modello del “self trauma” (Briere, 1992, 1996), comprende aspetti della teoria sul trauma, dell’approccio cognitivo-comportamentale e della psicologia del sé. La prospettiva illustrata è implicitamente cognitivo-comportamentale, ma può anche essere intesa come un tentativo di rielaborare e riconcettualizzare, integrandoli, gli aspetti dell’approccio psicodinamico. Questo capitolo approfondisce soprattutto le componenti cognitive della teoria del self-trauma, basata sulle più recenti idee in materia di "attivazione cognitiva profonda” (Smart e Wegner, 1997), dello schema relazionale (Baldwin, Fehr, Keedian, Seidel, & Thompson, 1993), e delle esperienze precoci di 1

Il <strong>trattamento</strong> degli <strong>adulti</strong> vittime di<br />

gravi maltrattamenti infantili<br />

Proposta di un mo<strong>del</strong>lo integrato<br />

In J.E.B. Myers, L. Berliner, J. Briere, C.T. Hendrix, T. Reid, & C. Jenny (Eds.) (2002).<br />

The APSAC handbook on child maltreatment<br />

2nd Edition. Newbury Park, CA: Sage Publications.<br />

John Briere, Ph.D.<br />

Dipartimento di Psichiatria e Scienze <strong>del</strong> Comportamento<br />

Keck School of Medicine<br />

University of Southern California<br />

Traduzione di Agnese Cheli<br />

Questo capitolo <strong>del</strong>inea un approccio integrato per il <strong>trattamento</strong> di <strong>adulti</strong> gravemente maltrattati o<br />

trascurati in epoca infantile. La teoria su cui si basa, tra cui il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> “self <strong>trauma</strong>” (Briere, 1992,<br />

1996), comprende aspetti <strong>del</strong>la teoria <strong>sul</strong> <strong>trauma</strong>, <strong>del</strong>l’approccio cognitivo-comportamentale e <strong>del</strong>la<br />

psicologia <strong>del</strong> sé.<br />

La prospettiva illustrata è implicitamente cognitivo-comportamentale, ma può anche essere intesa come<br />

un tentativo di rielaborare e riconcettualizzare, integrandoli, gli aspetti <strong>del</strong>l’approccio psicodinamico.<br />

Questo capitolo approfondisce soprattutto le componenti cognitive <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong>, basata<br />

<strong>sul</strong>le più recenti idee in materia di "attivazione cognitiva profonda” (Smart e Wegner, 1997), <strong>del</strong>lo<br />

schema relazionale (Baldwin, Fehr, Keedian, Sei<strong>del</strong>, & Thompson, 1993), e <strong>del</strong>le esperienze precoci di<br />

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attaccamento e <strong>del</strong> loro ruolo sui pensieri, emozioni e ricordi (Rholes & Simpson, 1998). Inoltre,<br />

quest’analisi assume come presupposto la crescente consapevolezza <strong>sul</strong>l’importanza e <strong>sul</strong> ruolo dei<br />

circuiti cognitivo-comportamentali dei ricordi e dei processi impliciti, che sono altrettanto importanti di<br />

quelli espliciti, e che l'emozione giochi un ruolo fondamentale quanto il pensiero nella comprensione e<br />

nel <strong>trattamento</strong> dei disturbi d'ansia (Foa e Kozak, 1986; Samoilov e Goldfried, 2000; Westen, 2000).<br />

Le implicazioni di questo mo<strong>del</strong>lo sono presentate in termini di processo specifico relativo ai contenuti<br />

e agli obiettivi <strong>del</strong>la psicoterapia orientata al <strong>trattamento</strong> degli abusi.<br />

Fenomenologia <strong>del</strong> mal<strong>trattamento</strong> e <strong>del</strong>la trascuratezza: gli effetti <strong>sul</strong>lo sviluppo<br />

Come indicato in altri capitoli di questo libro, abuso e grave trascuratezza sono, purtroppo, fenomeni<br />

diffusi nel Nord America. Al di là <strong>del</strong>le obiezioni morali e umanitarie che devono essere sollevate<br />

contro il mal<strong>trattamento</strong>, è ormai chiaro che la vittimizzazione <strong>del</strong>l’infanzia è un fattore di rischio<br />

sostanziale per lo sviluppo <strong>del</strong>la salute mentale.<br />

L'impatto psicologico di specifiche esperienze precoci di mal<strong>trattamento</strong> varia in funzione di una serie<br />

di variabili, tra cui il temperamento <strong>del</strong> bambino e di altri fattori biopsicologici, <strong>del</strong>l'ambiente familiare,<br />

di un attaccamento sicuro con il care giver, una precedente storia di sostegno o di abuso. Inoltre,<br />

sembra che il tipo specifico di abuso sia, in una certa misura, in relazione a forme ulteriori di disagio<br />

psicologico.<br />

Forme di mal<strong>trattamento</strong><br />

Ai fini <strong>del</strong>la nostra discussione, è utile distinguere i diversi tipi di mal<strong>trattamento</strong> in atti omissivi e atti<br />

commissivi.<br />

Atti omissivi<br />

Di solito ci si riferisce alla trascuratezza psicologica e all’abbandono psicologico. Assenza di<br />

responsività, indisponibilità psicologica o fisica, tale per cui il minore è privato <strong>del</strong>la normale<br />

stimolazione psicologica, <strong>del</strong> necessario sostegno e conforto.<br />

Uno degli impatti più evidenti <strong>del</strong>la trascuratezza è rappresentato dal disinvestimento nella relazione di<br />

attaccamento tra genitore-figlio. Di conseguenza, il bambino trascurato avrà meno probabilità di altri a<br />

incontrare esperienze interattive benevoli che insegnano la consapevolezza e la sicurezza di sé, a<br />

ricevere pareri positivi dagli altri, a sviluppare una regolamentazione affettiva adeguata ad affrontare le<br />

sfide interpersonali.<br />

Oltre agli effetti evidenti <strong>del</strong>la indisponibilità dei genitori a livello <strong>del</strong>l’apprendimento intra e<br />

interpersonale, la trascuratezza psicologica produce acuto disagio psicologico (Bowlby, 1988). Poiché i<br />

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ambini sono esseri sociali governati da profonde esigenze di comfort biopsicologico, contatto,<br />

bisogno di nutrimento e amore, la trascuratezza può provocare sentimenti dolorosi simili a quelli<br />

determinati da deprivazione e abbandono. Questa sofferenza acuta, a sua volta, può influenzare lo<br />

sviluppo <strong>del</strong> bambino in modi simili a quelli di seguito descritti per gli atti commissivi. Inoltre può<br />

instaurarsi un crescente senso di vuoto psicologico e una successiva ipersensibilizzazione alla possibilità<br />

di abbandono o di rifiuto da altri.<br />

Atti commissivi<br />

In contrasto con gli atti omissivi, gli atti commissivi riguardano azioni abusanti dirette verso il<br />

bambino. Questi atti, sia di natura fisica sia sessuale o psicologica, possono produrre difficoltà<br />

interpersonali di lunga data, come pure schemi di pensiero distorti, disturbi emotivi e stress post-<br />

<strong>trauma</strong>tico.<br />

Quando tali esperienze sono precoci, il bambino è costretto ad adottare strategie difensive di<br />

adattamento, che gli permettono di funzionare nonostante l’inevitabile dolore emotivo (Putnam, 1997).<br />

Di fronte a genitori violenti, il bambino può sviluppare uno stile di relazione interpersonale volto ad<br />

attenuare o evitare determinate interazioni con il care giver abusante (Bowlby, 1988). Nonostante<br />

questa difesa possa proteggere in una certa misura il bambino dal pericolo, tende anche a ridurre il suo<br />

accesso a stimoli di attaccamento positivi che potrebbero essere disponibili nell'ambiente (Briere, 1992).<br />

Questa risposta, a sua volta, priva ulteriormente il bambino <strong>del</strong> normale sviluppo <strong>del</strong>l’attaccamento,<br />

rafforza l'evitamento poiché stile di risposta primaria e può in parte riprodurre le difficoltà connesse alla<br />

trascuratezza e alla deprivazione.<br />

Atti di omissione e commissione precoce costituiscono un serbatoio eziologico per lo sviluppo di<br />

disordini psicologici più tardivi. Alcune di queste risposte sono il ri<strong>sul</strong>tato diretto <strong>del</strong> danno psicologico,<br />

mentre altre sembrano rappresentare risposte di coping al dolore emotivo connesso con l'abuso e<br />

l’abbandono. Sulla base <strong>del</strong>la letteratura esistente, dei più recenti sviluppi scientifici e <strong>del</strong>l'esperienza<br />

clinica, sarà descritta in questo contributo una serie di meccanismi <strong>trauma</strong>genici caratteristici.<br />

Sviluppo dei Sintomi correlati al mal<strong>trattamento</strong><br />

Ai fini <strong>del</strong> presente capitolo, l’impatto precoce <strong>del</strong> mal<strong>trattamento</strong> (omissivo e commissivo) <strong>sul</strong><br />

funzionamento psicologico successivo (adolescenza ed età adulta) è stati suddivisi in sei aree: (1) schemi<br />

preverbali e relazionali negativi, (2) risposte emotive condizionate (CER) a stimoli abuso-correlati, (3)<br />

ricordi impliciti/sensoriali di un abuso, (4) narrazione/memorie autobiografiche di mal<strong>trattamento</strong>, (5)<br />

strutture cognitive rimosse o "profonde" che coinvolgono il materiale di abuso, e (6) inadeguato<br />

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sviluppo <strong>del</strong>le capacità di regolazione. Vi sono sicuramente altri effetti gravi prodotti da esperienze<br />

abusanti, come rilevato nel corso di questo volume, anche se molti possono essere subordinate a queste<br />

elencate.<br />

Ipotesi-schemi preverbali <strong>sul</strong> sé e sugli altri<br />

Una <strong>del</strong>le prime funzioni colpite dal mal<strong>trattamento</strong> è costituita dal mondo <strong>del</strong>le rappresentazioni<br />

interne <strong>del</strong> bambino <strong>sul</strong> sé e l'altro. Queste rappresentazioni in genere sorgono nel contesto <strong>del</strong>la<br />

relazione precoce madre-figlio, in cui il bambino fa inferenze in base a come viene trattato dal care<br />

giver principale. In caso di abuso o di trascuratezza, queste deduzioni possono divenire negative. Per<br />

esempio, il bambino che viene spesso maltrattato assume un’immagine negativa di sé e degli altri a<br />

partire dalle caratteristiche di tali atti. Il bambino può concludere di essere intrinsecamente inaccettabile<br />

o cattivo per meritare tali comportamenti o percepirsi come impotente, inadeguato, inefficace. Inoltre, il<br />

bambino abusato può vedere gli altri come pericolosi, rifiutanti, o non disponibili.<br />

Tali inferenze precoci si trasformano in credenze di base che funzionano più come un mo<strong>del</strong>lo generale<br />

di sé e degli altri che non come pensiero reale di per sé. Altri teorici intendono tali percezioni sé-altro<br />

come mo<strong>del</strong>li operativi interni (Bowlby, 1982) o schemi relazionali (Baldwin, 1992), soprattutto quando<br />

essi provengono da precoci interazioni (primi anni di vita). Questa nozione di mo<strong>del</strong>li o schemi<br />

internalizzati sottolinea l'organizzazione strutturale di questo fenomeno, in contrasto con la presenza di<br />

cognizioni discrete o memorie episodiche. Queste credenze di base e ipotesi spesso non rispondono a<br />

rassicurazioni verbali o a esperienze correttive giacché non sono, di fatto, mediate dal linguaggio. Ad<br />

esempio, l'individuo che crede, a un livello profondo di essere antipatico o poco attraente per gli altri, o<br />

che gli altri non sono attendibili, non cambierà facilmente tali opinioni <strong>sul</strong>la base di dichiarazioni di<br />

apprezzamento.<br />

La qualità e la valenza di questi schemi di base interferiscono con la capacità intrinseca di un individuo<br />

di formare e mantenere in seguito relazioni significative (basate <strong>sul</strong>la fiducia) con altre persone. Questi<br />

individui possono facilmente trovarsi nel corso <strong>del</strong>la loro vita, intrappolati in rapporti futuri conflittuali<br />

o caotici, possono avere problemi nelle relazioni intime e possono agire comportamenti che potrebbero<br />

costituire una minaccia o interrompere i rapporti intimi con gli altri (Collins & Read, 1990; Levy &<br />

Davis, 1988; Simpson 1990).<br />

In generale, l'abuso e la trascuratezza gravi sono stati associati a uno stile di attaccamento insicuro<br />

in età adulta (Alexander, 1992; Coe, Dalenberg, Aransky e Reto, 1995; Styron e Janoff-Bulman, 1997).<br />

L’attaccamento insicuro, a sua volta, può essere suddiviso in tre tipi: Timoroso (prevalente bisogno di<br />

accettazione e di affermazione interpersonale ma al contempo evitamento <strong>del</strong>l’intimità), Preoccupato<br />

(che riguarda esigenze simili ma ancor più avvertite di conferma e accettazione) con una tendenza più<br />

marcata <strong>del</strong>la preoccupazione nel raggiungere tali obiettivi attraverso le relazioni ed Evitante (rinuncia).<br />

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Questi mo<strong>del</strong>li di relazione sono suscettibili di rappresentare, almeno in parte, i ri<strong>sul</strong>tati<br />

comportamentali degli schemi relazionali o strutture implicite descritte in precedenza, in cui le<br />

esperienze nei primi anni di vita (compreso l'abuso e la trascuratezza) producono aspettative di sé e<br />

degli altri che sono giocate nella sfera interpersonale (Baldwin et al., 1993).<br />

I diversi stili di attaccamento in situazioni diverse derivano dalla memoria relazionale o da schemi<br />

impressi in un dato periodo di tempo (Baldwin, Keegan, Fehr, Enns e Koh-Rangarajoo, 1996).<br />

In aggiunta allo stile di attaccamento legato allo schema, è chiaro che l'abuso e la trascuratezza precoci<br />

possono produrre un più generale disturbo relazionale. Pearlman e Saakvitne (1995), per esempio,<br />

suggeriscono che il <strong>trauma</strong> nei primi anni di vita può portare ad aspettative e percezioni negative e<br />

croniche su questioni di sicurezza, fiducia, stima, intimità e controllo. Questi schemi negativi, a loro<br />

volta, possono essere facilmente attivati da stimoli interpersonali nel contesto attuale, come<br />

precedentemente indicato.<br />

Poiché tale perturbazione si colloca in genere a livello implicito, non verbale, e si basa soprattutto <strong>sul</strong><br />

bisogno di sicurezza e <strong>sul</strong>le esigenze di attaccamento, questi schemi relazionali possono non essere<br />

consapevoli se non in negativo o essere percepiti come potenzialmente pericolosi nelle interazioni con<br />

gli altri, momento in cui queste cognizioni cognitive di base possono attivarsi con le conseguenti<br />

difficoltà interpersonali (Simpson e Rholes, 1994). Ad esempio, un individuo che - in virtù di un<br />

precoce abbandono o rifiuto dei genitori - ha sviluppato uno stile di attaccamento ansioso può<br />

funzionare relativamente bene in un determinato contesto professionale o intimo fino a quando<br />

incontra stimoli che suggeriscono un certo livello di rifiuto o abbandono. A questo punto l’individuo<br />

può rispondere, nel contesto di una gestalt di attivazione emotiva arcaica con risposte e strutture<br />

cognitive che, anche se eccessive o inappropriate nel contesto immediato, sono tuttavia appropriate ai<br />

sentimenti e ai pensieri di un bambino abusato o trascurato. Questa gestalt, a sua volta, può motivare<br />

un comportamento che, anche se orientato ad assicurare vicinanza e al mantenimento <strong>del</strong> rapporto, è<br />

così "primitiva" (cioè, caratterizzata da risposte infantili) e affettivamente carica di sfide emotive che<br />

rischia di distruggere anche quel rapporto.<br />

E’ probabile che l'apprendimento di base che si verifica durante il mal<strong>trattamento</strong> sia quello classico di<br />

condizionamento tra associazioni di stimoli (<strong>del</strong>l’abuso) ed emozioni negative. I bambini maltrattati<br />

ripetutamente abusati sessualmente o trascurati in genere assimilano gli aspetti <strong>del</strong>l’abusante (ad<br />

esempio, il suo sesso, età, caratteristiche fisiche, o i comportamenti) assieme alla paura e ad altri stress<br />

emotivi. Queste risposte emotive condizionate (CER) divengono “paure strutturate" (Foa e Kozak,<br />

1986), così che il bambino avverte disagio nei confronti di tutti i maschi, <strong>del</strong>le figure di autorità, <strong>del</strong>le<br />

persone aggressive, ecc. In alcuni casi, queste reazioni generalizzate si tradurranno in CER negativo<br />

verso una varietà di potenziali rapporti interpersonali, in particolare quelli che riguardano l’intimità, la<br />

vicinanza o la vulnerabilità.<br />

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Queste risposte condizionate non sono classicamente codificate come i ricordi autobiografici, ma<br />

piuttosto come semplici associazioni tra certi stimoli e alcune risposte. Di conseguenza, esse non sono<br />

"ricordate" di per sé, ma piuttosto sono evocate o innescate da eventi che sono simili al contesto<br />

originale di abuso comprese le sensazioni o i ricordi autobiografici di tale abuso.<br />

Più tardi nella vita l'esposizione a tali stimoli evocatori di abusi e <strong>del</strong>le memorie associate, possono<br />

produrre forti e apparentemente inappropriati effetti negativi che, data la natura non verbale <strong>del</strong><br />

condizionamento, non sono comprensibili alla vittima. Quando un CER si attiva nel contesto di un<br />

evidente fattore di stress <strong>trauma</strong>tico (per esempio, una paura improvvisa nel vedere un’automobile<br />

simile a quella <strong>del</strong> veicolo che ha causato un incidente), è considerato uno dei criteri "B" (rivivere) <strong>del</strong><br />

PTSD. In altri casi, tuttavia, l'effetto negativo di tale condizionamento che riguarda i primi di eventi<br />

relazionali potrebbero non essere definibili come fattori di stress <strong>trauma</strong>tico, di per sé.<br />

Memorie sensoriali implicite<br />

Spesso, i ricordi di eventi particolarmente <strong>trauma</strong>tici, compresi i gravi abusi avvenuti in epoca infantile,<br />

possono essere rivissuti più tardi nella vita a livello sensoriale, ad esempio come "flashback". Questo si<br />

pensa sia dovuto, in parte, al fatto che il cervello e i sistemi psicologici incaricati di codificare e<br />

organizzare il materiale mestico esplicito possono essere bypassati dall’input emotivo <strong>trauma</strong>-correlato<br />

travolgente- con la conseguenza che ricordi derivanti dall’esposizione a tali stimoli sono meno integrati,<br />

in primo luogo a livello sensoriale (a differenza dei ricordi mediati dalla memoria autobiografica e<br />

verbale) (Metcalfe e Jacobs, 1996; Siegel, 1999; van der Kolk, McFarlane, e Weisaeth, 1996). Inoltre, le<br />

esperienze <strong>trauma</strong>tiche che si verificano prima <strong>del</strong>la acquisizione <strong>del</strong> linguaggio, avranno<br />

necessariamente una natura sensomotoria piuttosto che verbale. A differenza <strong>del</strong> ricordo narrativo, il<br />

ricordo sensoriale è generalmente privo di materiale autobiografico, ed è spesso vissuto come<br />

un’intrusione di sensazioni inaspettate (ad esempio, i suoni di un evento) piuttosto che di ricordi di per<br />

sé. Anche se la riattivazione sensoriale si accompagna spesso alle emozioni associate al momento<br />

<strong>del</strong>l'abuso, la memoria sensoriale <strong>del</strong>l'esperienza di mal<strong>trattamento</strong> e gli affetti (per esempio, CER),<br />

sono suscettibili di essere fenomeni separati (Davis, 1992; LeDoux, 1995). In<br />

molti casi, la memoria sensoriale diviene lo stimolo che riattiva un forte CER, che può, a sua volta,<br />

reintegrare il contesto <strong>del</strong>l'abuso originale tale da far scattare la riattivazione <strong>trauma</strong>tica. Come sarà<br />

descritto di seguito, la combinazione di ricordi sensoriali riattivati e I relativi effetti negativi è spesso<br />

caratteristica <strong>del</strong>lo stress post-<strong>trauma</strong>tico.<br />

Memorie autobiografiche narrative<br />

I ricordi di abusi e traumi possono anche essere codificati a livello esplicito e quindi autobiografico. In<br />

questo caso, i ricordi autobiografici e i pensieri negativi possono essere innescati da stimoli ambientali<br />

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simili agli originali che, a loro volta, attivano risposte emozionali negative connesse con il materiale<br />

mnestico. Così, ad esempio, la critica di un datore di lavoro può avere l’effetto di scatenare ricordi<br />

autobiografici di simili abusi verbali ricevuti dal padre quando era un bambino. Questi ricordi, a loro<br />

volta, possono attivare (a) la rabbia e la paura rimaste condizionate dal ricordo di essere ripetutamente<br />

rimproverati, così come (b) una più ampia percezione negativa di sé e <strong>del</strong>le cognizioni associate a questi<br />

stimoli (ad esempio, di essere cattivo o inadeguato), e (c) invadente riattivazione sensoriale dei ricordi<br />

impliciti di aspetti <strong>del</strong>le esperienze di abuso (ad esempio, il volto arrabbiato <strong>del</strong> padre). Queste<br />

associazioni aggiuntive e le relative risposte possono ripristinare il contesto (cognitivo-emotivo)<br />

<strong>del</strong>l’abuso originale, fornendo stimoli supplementari che, a loro volta, attivano ulteriori reazioni<br />

autobiografiche, sensoriali e cognitive, ciascuna con CER associati.<br />

L'esperienza clinica suggerisce che nei soggetti con traumi infantili importanti la codifica dei ricordi<br />

autobiografici si presenta come particolarmente angosciante principalmente per la loro capacità di<br />

attivare intrusioni connesse alla memoria implicita, agli schemi relazionali e a CER, come sopra<br />

descritto.<br />

In altre parole, il materiale <strong>del</strong>la memoria verbale-mediata a livello esplicito, può ri<strong>sul</strong>tare avverso per la<br />

sua capacità intrinseca di attivare sentimenti non verbali e impliciti, memorie sensoriali associate al<br />

mal<strong>trattamento</strong>.<br />

Anche se questo ri<strong>sul</strong>ta angosciante per la vittima, io propongo in questo capitolo che il terapeuta possa<br />

opportunamente utilizzare, durante il <strong>trattamento</strong>, questo fenomeno <strong>del</strong>la attivazione dei ricordi<br />

infantili impliciti per la cura.<br />

Strutture cognitive rimosse o profonde<br />

Tuttavia potrebbe accadere che alcuni ricordi narrativi autobiografici non siano disponibili alla<br />

consapevolezza. A questo proposito, una recente ricerca di psicologia sperimentale cognitiva indica che<br />

anche parte <strong>del</strong> materiale cognitivo e verbalmente mediato, normalmente disponibile, può essere<br />

escluso dal "pensiero quotidiano e più superficiale operando invece a "livello più profondo" (vale a dire,<br />

non conscio) (Wegner e Erber, 1992). Queste cognizioni di solito sono negative e producono distress e,<br />

in quanto tali, sono attivamente represse per ridurre la disforia (Wegner e Smart, 1997). Quando i<br />

pensieri repressi vengono attivati, in modo che influenzano altri pensieri o il comportamento, il<br />

fenomeno è denominato attivazione cognitiva profonda. Ai fini <strong>del</strong>la nostra riflessione, questi pensieri<br />

repressi ma ancora influenti, molti dei quali sembrano formare reti associative e, su attivazione, stimoli<br />

associati a risposte emotive (Wenzlaff, Wegner, & Klein, 1991), saranno definiti come strutture<br />

cognitive profonde.<br />

Sopprimere il pensiero è un compito più difficile di quanto si potrebbe presumere. Sembra, tuttavia, che<br />

gli individui con una storia di evitamento continuato (ad esempio, alcuni sopravvissuti abusi) siano in<br />

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grado di sopprimere il materiale per periodi notevolmente lunghi di tempo (Kelly e Kahn, 1994;<br />

Wegner e Gold, 1995), probabilmente attraverso il meccanismo <strong>del</strong>la dissociazione dal materiale<br />

cognitivo indesiderato. Tuttavia, anche la migliore strategia difensiva può essere facilmente sopraffatta<br />

dalla esposizione a stimoli ambientali che evocano in qualche modo il ricordo <strong>del</strong> materiale rimosso.<br />

Questo può essere particolarmente vero per i pensieri e ricordi legati a precedenti esperienze<br />

interpersonali molto dolorose (cioè, quelle più angoscianti per l'individuo, e quindi più probabilmente<br />

rimosse) che sono attivate da stimoli simili all’esperienza di abuso nel dominio interpersonale. Poiché<br />

entrambi tendono a operare al di fuori <strong>del</strong>la consapevolezza cosciente, le strutture cognitive profonde e<br />

gli schemi relazionali prima descritti possono sembrare simili. Tuttavia, lo schema relazionale è<br />

generalmente acquisito precocemente nell'infanzia, in genere durante il periodo di maggiore sensibilità<br />

nell’attaccamento genitore-bambino, e coinvolge la memoria che è intrinsecamente non-verbale, mentre<br />

le strutture profonde cognitive si sviluppano in genere più tardi, e i ricordi autobiografici sono<br />

attivamente soppressi per ragioni difensive. Tuttavia, entrambi operano come i processi inconsci, ed<br />

entrambi possono essere innescati da stimoli ambientali (tipicamente relazionali), che sono in qualche<br />

modo simili a quelli originali <strong>del</strong> contesto abusante.<br />

Interferenze nello sviluppo <strong>del</strong>la regolazione degli affetti<br />

Un grave conseguenza <strong>del</strong> mal<strong>trattamento</strong> infantile sembra essere quello di incidere <strong>sul</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>la<br />

capacità di regolazione interna (Pearlman, 1998). Questo concetto si riferisce alla capacità <strong>del</strong>l'individuo<br />

di controllare e di tollerare forti emozioni (soprattutto negative) senza ricorrere a strategie difensive e<br />

reattive come la dissociazione, l’abuso di sostanze, o comportamenti volti a ridurre le tensioni interne<br />

(Briere, 1992). Questa capacità si sviluppa nei primi anni di vita (Bowlby, 1988), anche se di solito<br />

continua a incrementarsi anche in seguito. Lo sviluppo normale <strong>del</strong>la capacità di regolazione degli stati<br />

affettivi sarà brevemente descritto in questo contributo per illustrare gli effetti <strong>sul</strong> suo sviluppo <strong>del</strong>le<br />

esperienze gravi di mal<strong>trattamento</strong> in epoca precoce. Inoltre, sarà evidenziato come tali competenze<br />

siano suscettibili di essere apprese nel corso <strong>del</strong>la vita successiva, in genere in modo parallelo al loro<br />

sviluppo in un ambiente sano e a un'infanzia normale.<br />

Il bambino che cresce in un contesto generale positivo con care givers disponibili, probabilmente<br />

incontra una varietà di ostacoli o sfide superabili, che vanno dalle piccole frustrazioni ai disagi minori.<br />

In un contesto sicuro e responsivo il bambino impara ad affrontare il disagio (non dirompente)<br />

associato agli stati interni attraverso tentativi ed errori, sviluppando e costruendo progressivamente un<br />

repertorio sempre più sofisticato di strategie interne di coping per fronteggiare esperienze sempre più<br />

impegnative e stressanti (Briere, 1996). Allo stesso tempo, dal momento che il disagio non supera le<br />

risorse interne in crescita <strong>del</strong> bambino, lui o lei sarà in grado di diventare sempre più abile nel tollerare<br />

livelli più alti di dolore emotivo. Questo processo sembra essere di natura autoreferenziale: man mano<br />

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che l'individuo sviluppa la capacità di modulare e tollerare angoscia o disforia, anche il disagio diventa<br />

meno destabilizzante e l'individuo è in grado di costruire interazioni più impegnative e complesse con<br />

l'ambiente senza essere bloccato dal concomitante aumento <strong>del</strong>lo stress e <strong>del</strong>l’ansia.<br />

Tuttavia, a differenza dei soggetti dotati di buone capacità di incidere <strong>sul</strong>la regolazione degli stati<br />

emotivi interni, i bambini gravemente violati o trascurati sono stati esposti a insormontabili ostacoli<br />

affettivi come estrema trascuratezza, abuso sessuale o fisico emotivamente intollerabili, o cronici,<br />

mal<strong>trattamento</strong> psicologico invasivo. In questi casi, le capacità regolative interne hanno meno<br />

probabilità di svilupparsi, tenuto conto <strong>del</strong> pericolo in corso e <strong>del</strong> dolore emotivo che travolge ed<br />

esclude le competenze che si formano nel processo per tentativi ed errori. Al contrario, si sviluppano<br />

altri meccanismi difensivi più primitivi in cui la vittima di abuso diviene piuttosto esperta: dissociazione,<br />

rimozione, evitamento, o altre strategie che garantiranno il funzionamento <strong>del</strong>l’individuo per<br />

fronteggiare difficoltà altrimenti potenzialmente soverchianti. Purtroppo, queste stesse difese, anche se<br />

efficaci per la sopravvivenza, ostacolano ulteriormente lo sviluppo di una capacità di auto-regolazione<br />

più sofisticata. Come ri<strong>sul</strong>tato determinato da uno sviluppo insufficiente <strong>del</strong>la competenza di auto-<br />

regolazione, l'adulto abusato può presentare instabilità affettiva, problemi di<br />

inibizione/espressione/esternalizzazione di affetti, può avere difficoltà a gestire gli stati disforici.<br />

Perché l'individuo non è in grado di modulare adeguatamente le proprie emozioni, può essere visto<br />

come lunatico ed emotivamente non responsivo, come tendente a reagire in modi eccessivi ad eventi<br />

negativi o stressanti nella sua vita. La mancanza <strong>del</strong>la capacità di regolazione interna influisce in molti<br />

ambiti di competenze: l'individuo può rispondere a un evento doloroso che attiva pensieri negativi con<br />

comportamenti esternalizzanti o di evitamento e inibizione (internalizzanti) per distrarsi, lenire il disagio<br />

o ridurre in altro modo gli stati interni dolorosi, come ad esempio ricorrere all'abuso di sostanze, a un<br />

inadeguato o eccessivo comportamento sessuale, aggressività, abbuffate o addirittura l'autolesionismo<br />

(Briere, 1992; Briere e Gil, 1998; McCann e Pearlman, 1990). A questo proposito, il sopravvissuto a<br />

gravi forme di mal<strong>trattamento</strong> infantile può avere a che fare con due serie di difficoltà interagenti:<br />

l'attivazione d’improvvisi ricordi, cognizioni dolorose che colpiscono la capacità di regolazione a livello<br />

<strong>del</strong> funzionamento interpersonale, e il relativo “congelamento” affettivo che potrebbe consentire la<br />

regolazione e la risoluzione di queste risposte innescate.<br />

Disturbo Post-<strong>trauma</strong>tico da Stress<br />

Le varie difficoltà cognitive e mestiche contribuiscono allo sviluppo <strong>del</strong> disturbo da stress post-<br />

<strong>trauma</strong>tico (PTSD) in una percentuale significativa nei soggetti con storie di grave mal<strong>trattamento</strong>. I<br />

sintomi principali da stress post-<strong>trauma</strong>tico associati all'abuso sono (a) rivivere l’esperienza in modo<br />

invadente, come flashback sensoriali, pensieri intrusivi, e ricordi (autobiografici) <strong>del</strong>l'abuso,<br />

incubi, accresciute reazioni emotive a eventi che ricordano stimoli <strong>del</strong> mal<strong>trattamento</strong>, (b) evitamento e<br />

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intorpidimento, ad esempio tentativi di evitare persone, luoghi e situazioni connesse con l'abuso, così<br />

come ridotta emotività, e (c) ipervigilanza autonomica, che coinvolge l'attivazione cronica <strong>del</strong> sistema<br />

nervoso simpatico, con conseguenti risposte di spavento, disturbi <strong>del</strong> sonno, tensione muscolare,<br />

irritabilità, ecc. (American Psychiatric Association, 1994).<br />

Non tutte le persone esposte ad abusi o altri eventi sconvolgenti sviluppano PTSD, né necessariamente<br />

presentano sintomi significativi di natura post-<strong>trauma</strong>tica (Blank, 1993). Vari autori suggeriscono che la<br />

misura in che un dato evento produce gravi stress post-<strong>trauma</strong>tici varia in funzione di una serie di<br />

variabili pre-<strong>trauma</strong>, come ad esempio il temperamento e la vulnerabilità biologica di base, la presenza<br />

di preesistenti difficoltà psicologiche che riducono la tolleranza allo stress, l'esposizione a precedenti<br />

eventi <strong>trauma</strong>tici, la cui memoria può essere innescata da un’esposizione <strong>trauma</strong>tica attuale tale da<br />

produrre ancora di più angoscia post-<strong>trauma</strong>tica e ridurre la capacità <strong>del</strong>l'individuo di regolare le<br />

ripercussioni negative, come sopra descritto (Briere, 1997; Yehuda e McFarlane, 1995). A proposito<br />

<strong>del</strong>l’ultimo punto, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> suggerisce che un aspetto importante <strong>del</strong>la risposta a un<br />

<strong>trauma</strong> potenziale dipenda principalmente dal grado in cui il fattore di stress travolge la capacità di<br />

"maneggiarne" gli effetti attraverso l’auto-regolazione.<br />

La capacità di reagire alle riattivazioni <strong>trauma</strong>tiche senza disregolarsi sembra derivare da due variabili<br />

principali: la gravita <strong>del</strong>l’esperienza <strong>trauma</strong>tica e un insufficiente sviluppo affettivo. Di conseguenza, i<br />

fenomeni che ricordano l'evento originario <strong>trauma</strong>tico possono innescare memorie sensoriali o<br />

narrative che, a loro volta, attivano risposte emotive negative le quali, in un processo di escalation<br />

minano e indeboliscono la capacità di regolazione interna.<br />

Quando la memoria è in primo luogo sensoriale (ad esempio, vedere o sentire gli aspetti di uno stupro<br />

accorso nell’infanzia), si parla di flashback. Quando la memoria attivata è più autobiografica (ad<br />

esempio, un ricordo più narrativo e meno sensoriale <strong>del</strong>lo stupro), è spesso definito come un ricordo<br />

riattivato di per sé.<br />

Infine, l'attivazione profonda/non controllata dei ricordi <strong>trauma</strong>tici e <strong>del</strong>le strutture cognitive profonde<br />

connesse a stimoli di abusi triggers attivati nelle interazioni interpersonali, può anche essere vista come<br />

post-<strong>trauma</strong>tica, come suggerisco più avanti in questo capitolo. In molti casi, i diversi aspetti di una<br />

memoria (ovvero le componenti sensoriali, narrative, emotive e relazionali) si attivano<br />

contemporaneamente, portando a una potente riattivazione esperenziale <strong>del</strong>l'evento <strong>trauma</strong>tico<br />

originale. E' importante ribadire a questo punto che sembrano sussistere due componenti distinte di<br />

memoria attiva: la stessa memoria, sensoriale o autobiografica e le risposte affettive negative, vissute al<br />

momento degli abusi che sono classicamente condizionate dalla memoria.<br />

La memoria <strong>trauma</strong>-correlata innescata da uno stimolo o da un richiamo narrativo spesso è<br />

sconvolgente. In risposta, come sottolineato in precedenza, molti individui attivano un certo livello di<br />

evitamento di fronte a un’emozione, un ricordo, un aspetto conoscitivo, come ad esempio reprimere<br />

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consapevolmente i propri pensieri sconvolgenti e i ricordi <strong>del</strong> <strong>trauma</strong>. In altri casi, l'evitamento può<br />

orientarsi verso la riduzione <strong>del</strong>le risposte emotive attivate proprio dalla memoria <strong>del</strong> <strong>trauma</strong>, ad<br />

esempio intorpidire i sentimenti con la droga, l'alcool, o ricorrendo alla dissociazione. Infine, possono<br />

essere evitati gli stessi stimoli ad esempio le persone, i luoghi o le situazioni che, altrimenti, potrebbero<br />

innescare un ricordo <strong>trauma</strong>tico, o, in alcuni casi, dissociando la consapevolezza dagli stimoli ambientali<br />

che altrimenti potrebbero costituire triggers riattivanti. Sono tutte risposte di natura adattive funzionali<br />

al momento in cui si verificano. Tuttavia, l'evitamento può interrompere il normale funzionamento<br />

psicologico, e, come verrà descritto più avanti, può interferire con il recupero psicologico degli eventi<br />

<strong>trauma</strong>tici.<br />

Le esperienze invadenti ed evitanti associate a stress post-<strong>trauma</strong>tico spesso interagiscono l'una con<br />

un altra. Ad esempio, come sopra descritto, una persona abusata o altrimenti <strong>trauma</strong>tizzata può avere<br />

dei flashback o dei pensieri intrusivi attivati da un evento, e quindi può cercare di eliminarli al fine di<br />

evitare le risposte condizionate associate al ricordo stesso. L'evitamento può andare dal semplice<br />

distrarsi al cercare di non pensare o sentire qualsiasi cosa che riguarda l'evento <strong>trauma</strong>tico. Tuttavia,<br />

come osservato in precedenza, la soppressione di pensieri o sentimenti è una strategia più difficile di<br />

quanto possa sembrare - un elevato numero di ricercatori hanno trovato, per esempio, che il tentativo<br />

di non pensare a qualcosa spesso si traduce in un effetto di rimbalzo (Wegner, 1994). In realtà, è<br />

probabile che l'atto stesso <strong>del</strong>la tentata soppressione <strong>del</strong> pensiero <strong>trauma</strong>-correlato giochi un ruolo<br />

cruciale nella riattivazione <strong>trauma</strong>tica (Shipherd e Beck, 1999). Anche se queste diverse esperienze<br />

intrusive e le risposte di evitamento sono comuni nel PTSD, esse possono anche verificarsi in soggetti<br />

<strong>trauma</strong>tizzati ma che non presentano tutti i criteri diagnostici per questo disturbo. Contrariamente ai<br />

mo<strong>del</strong>li più classici <strong>del</strong>la psicopatologia, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> suggerisce che le reazioni post-<br />

<strong>trauma</strong>tiche non sono da intendersi solo come sintomi disfunzionali, ma come meccanismi funzionali<br />

intrinseci a un’importante funzione psicologica: la riattivazione e l'elaborazione dei ricordi <strong>trauma</strong>tici<br />

fanno sì che essi perdano le loro caratteristiche angoscianti e possano essere accolti nelle risorse di<br />

auto-guarigione.<br />

Sintomi intrusivi di natura sensoriale e cognitiva come memoria di elaborazione<br />

Dato che il mal<strong>trattamento</strong> infantile produce esperienze emotive, cognitive e sensoriali travolgenti e<br />

invadenti nel corso <strong>del</strong>la vita, è logico chiedersi quale sia il loro “scopo psicologico” e a cosa, se <strong>del</strong><br />

caso, tali fenomeni siano funzionali per l’individuo. In altre parole, emerge una domanda interessante:<br />

potrebbero rappresentare qualcosa di più che non effetti <strong>del</strong>la riattivazione <strong>trauma</strong>tica? Potrebbe essere<br />

che l’intrusione post-<strong>trauma</strong>tica rappresenti non solo una tendenza intrinseca al processo di<br />

soppressione <strong>del</strong> materiale mnemonico ma anche un tentativo di rielaborare l’esperienza? A questo<br />

proposito, integrando il contributo di Horowitz (1976, 1986) e la teoria dei mo<strong>del</strong>li comportamentali di<br />

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esposizione (ad esempio, Foa e Rothbaum, 1998) con la nozione di '<strong>trattamento</strong> emozionale”<br />

(Rachman, 1980) e altri e il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong>, si potrebbe discutere <strong>sul</strong> fatto che l’intrusione post-<br />

<strong>trauma</strong>tica e l'elusione possano costituire un'attività innata di auto-guarigione. In particolare "sintomi",<br />

come flashback, pensieri intrusivi, incubi possono rappresentare il tentativo automatico <strong>del</strong>la mente di<br />

desensibilizzare i ricordi affettivamente carichi garantendo un’esposizione parziale e quindi più<br />

tollerabile. Le risposte possono essere (a) l'esposizione (alla attivazione <strong>del</strong>la memoria), (b) l'attivazione<br />

(<strong>del</strong>le risposte cognitive ed emotive, come le grandi gestalt cognitivo-emotive o le strutture), (c)<br />

disparità (il fatto che rivivere il ricordo significa rivivere il pericolo e il <strong>trauma</strong>, mentre, in realtà,<br />

l'ambiente attuale non è pericoloso o (<strong>trauma</strong>tico), e (d) di trasformazione (adattamento/ estinzione /<br />

de-condizionamento e ristrutturazione / riconsiderazione di significato nel caso di schemi cognitivi<br />

negativi).<br />

Pertanto, l'evocazione ripetuta (stimoli interni o esterni) <strong>del</strong>la memoria <strong>trauma</strong>tica in<br />

assenza d’immediata minaccia o pericolo, può servire per abituare o estinguere le risposte emotive<br />

condizionate spingendo a riconsiderare l’esperienza di abuso. I sintomi di evitamento di stress post-<br />

<strong>trauma</strong>tico, d'altra parte, possono servire per regolare o controllare l'impatto di ricordi intrusivi<br />

cognitivo-emotivi, diminuendo il contatto con gli stimoli post-<strong>trauma</strong>tici attraverso la dissociazione di<br />

stimoli ambientali e riducendo la consapevolezza di CER attivati.<br />

Questo meccanismo di evasione gioca un ruolo importante nei casi in cui il mal<strong>trattamento</strong> precoce<br />

(prima infanzia) ha inciso <strong>sul</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>la capacità di regolazione interna, dove è più facile<br />

soccombere alla riattivazione <strong>trauma</strong>tica ma, ironia <strong>del</strong>la sorte, dove l'ambiente è percepito come<br />

soggettivamente pericoloso.<br />

Da questa prospettiva, l'individuo <strong>trauma</strong>tizzato nel contesto di una storia d'infanzia più positiva (per<br />

esempio, nei casi di abusi extrafamiliari isolati, o quando il <strong>trauma</strong> si è verificato più tardi nella vita)<br />

avrà, in media, una migliore capacità di incidere <strong>sul</strong>le proprie capacità di regolazione interna rispetto a<br />

soggetti gravemente maltrattati durante l’infanzia (Briere, 2000; Elliott, 1994) e quindi avrà meno<br />

bisogno di evitare i ricordi <strong>trauma</strong>tici. In questi individui l’attivazione di ricordi cognitivi ed emotivi<br />

consente un’esposizione relativamente rapida, la trasformazione, assuefazione e / estinzione di affetti<br />

dolorosi che sono stati condizionati dalla memoria, portando a una più rapida<br />

risoluzione <strong>del</strong> distress post-<strong>trauma</strong>tico. A questo proposito, il CER associato al ricordo <strong>trauma</strong>tico è sì<br />

ripetutamente attivato, ma non è rinforzato da un pericolo attuale o dall’angoscia. Nel tempo, il CER<br />

diventa meno suscettibile di attivazione e conseguentemente la memoria diventa meno <strong>trauma</strong>tica.<br />

Le persone provenienti da ambienti abusanti o trascuranti, tuttavia, hanno meno capacità di incidere<br />

<strong>sul</strong>la la regolazione interna degli stati emotivi e quindi sono più facilmente sopraffatte dai ricordi<br />

<strong>trauma</strong>tici e, in quanto tali, richiedono più tempo per decongestionare l’angoscia e ricondurla a livelli<br />

tollerabili. Il ri<strong>sul</strong>tato, tuttavia, è una minore esposizione alla riattivazione, che conduce a un recupero<br />

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più lento. Nei casi estremi la bassa capacità di influenzare la regolazione interna a fronte di ricordi<br />

d'infanzia particolarmente dolorosi può esitare in strategie di prevenzione estreme e croniche (ad<br />

esempio, tossicodipendenza, disturbi dissociativi), che, di fatto, eliminano gli effetti d’intrusione ma<br />

bloccano anche la possibilità di guarigione. Da questo punto di vista, i flashback e le relative esperienze<br />

invasive, così come i sintomi di evitamento quali il disimpegno o l’inibizione cognitiva, rappresentano il<br />

tentativo <strong>del</strong>la mente di desensibilizzare l’individuo mentre le attività di trasformazione riflettono la<br />

sottostante patologia. Questo punto di vista cioè considerare la memoria intrusiva come un dispositivo<br />

ripetitivo di desensibilizzazione è per certi versi simile alla teoria cognitiva di risposta allo stress<br />

elaborata da Horowitz (1976, 1986). L’autore, tuttavia, suggerisce che le intrusioni rappresentano il<br />

tentativo <strong>del</strong>la mente di integrare il materiale <strong>trauma</strong>tico in un pre-esistente schema cognitivo che non<br />

include il <strong>trauma</strong> o le sue implicazioni. Horowitz ipotizza che il soggetto <strong>trauma</strong>tizzato attraversa<br />

automaticamente e ciclicamente periodi d’intrusione e prevenzione, nel tentativo di processare e<br />

accogliere cognitivamente i materiali <strong>trauma</strong>-correlati.<br />

Pur riconoscendo l'importanza di riconfigurare il materiale cognitivamente inaccettabile attraverso la<br />

riattivazione e il reexperiencing (un concetto simile - ma non equivalente - al mo<strong>del</strong>lo di Horowitz -<br />

vedi Foa e Rothbaum [1998] per una critica <strong>del</strong>la ipotesi di Horowitz), la teoria <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong><br />

suggerisce che questi cicli rappresentino anche (e forse più direttamente) l'esposizione graduale e il<br />

consolidamento associato a una forma innata di desensibilizzazione sistematica degli aspetti emotivi. A<br />

questo proposito, molti ricordi <strong>trauma</strong>tici sembrano essere troppo ansiogeni perché possano essere<br />

elaborati e quindi trattati cognitivamente senza che no si operi prima una qualche riduzione <strong>del</strong>la loro<br />

carica ansiogena (Foa e Riggs, 1993). Il materiale deve quindi essere almeno parzialmente<br />

desensibilizzato prima di essere elaborato dal punto di vista cognitivo. Purtroppo, come già detto,<br />

alcuni sopravvissuti a forme molto gravi di mal<strong>trattamento</strong> non sono in grado di desensibilizzare<br />

pienamente e ospitare il materiale <strong>trauma</strong>tico senza un’invadente riattivazione di emozioni, ricordi o<br />

pensieri, e quindi in assenza di sintomi da stress post-<strong>trauma</strong>tico. Ciò può verificarsi a causa <strong>del</strong>la<br />

gravità <strong>del</strong> <strong>trauma</strong> o di altri fattori predisponenti.<br />

La presenza di meccanismi dissociativi intensi o di altre risposte di evitamento volte a ridurre<br />

l’esposizione a materiale <strong>trauma</strong>tico riduce l'efficacia <strong>del</strong> processo di desensibilizzazione-intrusione. A<br />

sostegno di questa nozione, sembra che le persone che tendono a evitare l'accesso interno al materiale<br />

<strong>trauma</strong>tico, attraverso strategie cognitive di elusione o di dissociazione, soffrono un disagio psicologico<br />

più elevato rispetto a coloro che presentano minori tendenze di evitamento (Burt<br />

e Katz, 1987; Holen, 1993; Koopman, Classen e Spiegel, 1994; Wirtz e Harrell, 1987). Al contrario,<br />

l’esplorazione superficiale (esposizione) e l’espressione emotiva (attivazione) di precedenti eventi<br />

<strong>trauma</strong>tici in contesti sicuri è dimostrato che diminuisca significativamente non solo i sintomi<br />

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psicologici, ma influenza la salute fisica (Murray e Segal, 1994; Pennebaker, Kiecolt-Glaser e Glaser,<br />

1988; Petrie, Booth, Pennebaker, Davison e Thomas, 1995).<br />

L’interazione tra due processi <strong>trauma</strong>-correlati come l’intrusione e l'elusione, saranno presi in<br />

considerazione nel prossimo paragrafo.<br />

Revisione <strong>del</strong> Disturbo di personalità Borderline<br />

Se assumiamo che lo stress post-<strong>trauma</strong>tico è formato da sentimenti invadenti, pensieri e ricordi<br />

innescati dalla memoria <strong>trauma</strong>tica, spesso seguiti da tentativi di evitamento dei trigger o dei loro effetti<br />

emotivi, potremmo spingerci a considerare il PTSD come “un cugino di primo grado” <strong>del</strong> disturbo<br />

borderline di personalità. Oltre ai problemi d’identità e di confini <strong>del</strong> sé-non sé, i sintomi borderline<br />

sono spesso caratterizzati da soggette quanto improvvise esplosioni emotive, pensieri autolesivi,<br />

sentimenti di vuoto e di disforia intensi, impulsività, comportamenti volti a ridurre le tensioni interne<br />

attivate dalla paura di essere stato abbandonato, rifiutato, o maltrattato da un altro soggetto (American<br />

Psychiatric Association, 1994). La "frontiera" per la diagnosi <strong>del</strong> disturbo borderline di personalità è in<br />

genere considerata la capacità <strong>del</strong> controllo degli impulsi.<br />

Come nel caso di PTSD, molte persone gravemente maltrattate presentano "tratti borderline" che<br />

tuttavia non riescono a soddisfare tutti i criteri diagnostici per il disturbo. Alla stregua <strong>del</strong> PTSD, il<br />

mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> sostiene che ciò che tradizionalmente è considerato borderline può essere visto,<br />

invece, come una problematica innescata da ricordi impliciti, schemi e sentimenti associati a traumi<br />

precoci (in questo caso, relazionali) come ad esempio, abuso, abbandono, rifiuto, o la mancanza di<br />

risposta di sintonia nei genitori che l'individuo, a sua volta, cerca di evitare tramite "comportamenti<br />

disfunzionali" volti a ridurre le tensioni interne (ad esempio aggressivi, sessuali ecc.). In questo modo i<br />

tratti "impulsivi", l’"acting-out" <strong>del</strong> comportamento "Borderline" è simile all'esperienza <strong>del</strong> soggetto<br />

con PTSD, con la differenza che nel primo caso i ricordi attivati sono spesso impliciti, preverbali e i<br />

ricordi attivati sono più frequentemente di natura relazionale e apparentemente più primitiva poiché<br />

coinvolgono esperienze molto precoci (cfr. Jacobs e Na<strong>del</strong>, 1985 per approfondire gli effetti <strong>del</strong>la<br />

attivazione dei ricordi <strong>del</strong>la prima infanzia).<br />

Un veterano <strong>del</strong> Vietnam con PTSD potrebbe essere vittima di un’invadente riattivazione sensoriale di<br />

uno scenario di combattimento dopo aver sentito lo scoppio <strong>del</strong> motore <strong>del</strong>la sua automobile in<br />

fiamme, e sperimentare la paura associata alla memoria <strong>del</strong> combattimento in Vietnam. Il veterano in<br />

questo caso, si concentra <strong>sul</strong> tentativo di trovare sicurezza. Un individuo con disturbo borderline di<br />

personalità, dopo essere stato riattivato da un rapporto intimo, d'altra parte, potrebbe<br />

divenire vittima d’improvvisi pensieri intrusivi e sentimenti di abbandono e di tradimento associati alla<br />

propria infanzia maltrattata e conseguentemente rivivere l’angoscia e la rabbia associata a quella<br />

memoria. L'individuo cercherà di ridurre la tensione drammatica e la prossimità in modo negativo<br />

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all’interno di quello specifico rapporto. Entrambi i soggetti stanno avendo le reazioni post-<strong>trauma</strong>tiche<br />

che derivano dal rivivere un evento <strong>trauma</strong>tico precedente, ma gli aspetti e gli effetti relazionali <strong>del</strong><br />

secondo soggetto sono spesso intesi come la prova di un disturbo <strong>del</strong>la personalità.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self <strong>trauma</strong><br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self <strong>trauma</strong> suggerisce che il mal<strong>trattamento</strong> precoce, oltre ad avere effetti negativi <strong>sul</strong>le<br />

condizioni di sviluppo <strong>del</strong> bambino interrompendone il normale processo, incide negativamente e<br />

interferisce <strong>sul</strong>la acquisizione <strong>del</strong>le competenze e <strong>sul</strong>le capacità di regolazione degli stati emotivi interni<br />

e <strong>sul</strong>lo sviluppo <strong>del</strong>l’affettività. Ciò espone il soggetto al rischio di essere più facilmente sopraffatto da<br />

stress emotivo associato ai ricordi <strong>trauma</strong>tici di abuso, orientando il funzionamento difensivo verso la<br />

dissociazione e altre strategie di evitamento in adolescenza e in età adulta, che a loro volta impediscono<br />

ulteriormente lo sviluppo <strong>del</strong>le capacità di autoregolazione. Questo ciclo negativo è aggravato dalla<br />

concomitante necessità per la vittima di dover elaborare i ricordi <strong>trauma</strong>tici attraverso risposte emotive<br />

con schemi cognitivi condizionati e distorti dall’esperienza originale - un processo che può<br />

ulteriormente minacciare la capacità di auto-regolazione, sopraffacendo e producendo angoscia<br />

incontrollata. Questo avviene frequentemente nei casi in cui l'individuo è dissociato o comunque<br />

altamente evitante. Come ri<strong>sul</strong>tato, l'individuo continuerà ad avere dei flashback e altri sintomi intrusivi<br />

a tempo indeterminato, e continuerà a fare affidamento su risposte di esitamento come la dissociazione,<br />

le strategie di riduzione <strong>del</strong>la tensione, l’abuso di sostanze per fronteggiare le emozioni negative<br />

derivanti dalla riattivazione <strong>trauma</strong>tica. Conseguentemente in terapia questi soggetti si presentano come<br />

cronicamente dissociati, assediati da una sintomatologia invasiva e disturbi <strong>del</strong>l’identità, relazionali e<br />

associati a difficoltà di auto-regolazione.<br />

IMPLICAZIONI PER IL TRATTAMENTO NEL MODELLO DEL SELF-TRAUMA<br />

Il mo<strong>del</strong>lo di cui sopra presenta una serie di implicazioni per il <strong>trattamento</strong> dei pazienti <strong>adulti</strong><br />

gravemente maltrattati in epoca infantile. Tra questi: (a) la messa a fuoco, il ritmo e l'intensità <strong>del</strong>la<br />

psicoterapia, (b) le tecniche d’intervento più appropriate e le difficoltà cognitive tipiche dei<br />

sopravvissuti e (c) i possibili approcci per affrontare efficacemente la sintomatologia post-<strong>trauma</strong>tica<br />

cronica.<br />

15


Il processo terapeutico e la finestra terapeutica<br />

Un’implicazione principale <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> è che molti <strong>adulti</strong> sopravvissuti a gravi abusi<br />

infantili sono costretti a consumare una gran quantità di energia in meccanismi difensivi per affrontare<br />

le notevoli difficoltà e la scarsa capacità dir regolazione interna. In altre parole, nella riattivazione post-<br />

<strong>trauma</strong>tica il CER dei ricordi <strong>trauma</strong>tici supera generalmente la capacità di regolare gli stati emotivi<br />

interni <strong>del</strong> sopravvissuto, che si trova costretto a ricorrere alla dissociazione, all’abuso di sostanze, alla<br />

repressione dei pensieri angoscianti per mantenere l'equilibrio interno. Queste strategie di evitamento<br />

sono usate a più livelli: (a) per ridurre la consapevolezza di (e quindi la suscettibilità a) potenziali<br />

inneschi ambientali, (b) per diminuire la consapevolezza di ricordi, una volta attivati, e (c) per ridurre<br />

l’attivazione cognitiva ed emotiva <strong>del</strong> CER di questi ricordi quando sono evocati. In assenza di tali<br />

meccanismi di protezione, è probabile che l'individuo possa sentirsi sopraffatto da ansia e da altri<br />

emozioni negative - specialmente quando esposto a trigger <strong>trauma</strong>tici provenienti dall’ambiente. Di<br />

conseguenza, le difese sono viste generalmente come tentativi necessari per individuo al fine di<br />

garantirsi la sopravvivenza dai terapeuti più ottimisti, o come “resistenza", "negazione", o "sintomi<br />

dissociativi" e, in quanto tali, come potenziale minaccia per l’equilibrio interno <strong>del</strong> paziente, dai<br />

terapeuti più pessimisti. In ogni caso, il processo psicoterapeutico deve procedere garantendo una<br />

costante attenzione per evitare un sovraccarico emozionale che a sua volta incide e rafforza l'uso <strong>del</strong>le<br />

strategie difensive, con il rischio di minare il progresso nella cura.<br />

Il processo di psicoterapia efficace può essere concepito, in parte, come se avvenisse nel contesto di<br />

una finestra terapeutica (Briere, 1996). Questa finestra si riferisce a quella posizione psicologica di<br />

costante equilibrio tra l’esposizione e la protezione dal materiale <strong>trauma</strong>tico. In altre parole, gli<br />

interventi che la finestra terapeutica prende in considerazione sono quelli volti a sfidare e a motivare<br />

psicologicamente alla crescita, alla desensibilizzazione, all’elaborazione cognitiva, ma che al contempo<br />

non hanno l’effetto di soverchiare e sopraffare i sistemi interni di protezione.<br />

Interventi che sottostimano la finestra terapeutica sono quelli che (a) tendono a evitare completamente<br />

e coerentemente il materiale <strong>trauma</strong>tico, comprese le eventuali esplorazioni <strong>del</strong> mal<strong>trattamento</strong> in epoca<br />

infantile, o (b) si concentrano soprattutto <strong>sul</strong> sostegno <strong>del</strong> paziente che in realtà potrebbe tollerare<br />

un’esposizione guidata al materiale <strong>trauma</strong>tico. Il rischio è che tali interventi siano inefficaci,<br />

costituiscano una perdita di tempo e di opportunità.<br />

Il superamento <strong>del</strong>la finestra si verifica quando gli interventi prevedono un’esposizione troppo intensa<br />

o il concentrarsi su materiale <strong>trauma</strong>tico che richiede un ulteriore lavoro prima che possa essere<br />

affrontato in sicurezza. Quando la terapia supera in modo costante la finestra, il sopravvissuto deve<br />

impegnarsi in manovre di evasione, al fine di evitare di essere sopraffatto dalla terapia.<br />

16


Molto spesso, il paziente aumenterà il suo livello di dissociazione durante la seduta, cercherà di attuare<br />

manovre evasive interrompendo o bloccando il processo terapeutico o introducendo argomenti meno<br />

minacciosi. In questo caso il terapeuta può pensare che il paziente è “resistente”, piuttosto che pensarle<br />

come reazioni protettive spesso opportune, per fronteggiare gli errori <strong>del</strong> terapeuta.<br />

Nelle situazioni peggiori, gli interventi terapeutici che superano costantemente la finestra possono<br />

danneggiare la vittima. Questo si verifica quando la sovraesposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico è talmente<br />

intollerabile e il paziente è talmente compromesso nel dominio di sé o intimidito dal terapeuta che non<br />

può utilizzare adeguatamente le difese di auto-protezione. In tali casi, il superstite può sentirsi invaso da<br />

stimoli invadenti e troppo angoscianti e attivare difese dissociative estreme. Inoltre, dopo una seduta<br />

eccessivamente stimolante, il paziente può agire atti autolesivi o ricorrere all’abuso di sostanze<br />

stupefacenti nel tentativo di ripristinare un equilibrio interno. Anche se si tratta di azioni episodiche, tali<br />

reazioni ri<strong>sul</strong>tano stigmatizzanti e scoraggianti per molti pazienti, possono portare a interrompere il<br />

<strong>trattamento</strong> o a indurre comportamenti evitanti nelle sedute successive.<br />

Al contrario, una terapia efficace fornisce sufficiente sicurezza e contenimento, tale per cui il paziente<br />

non è costretto a ricorrere a strategie di evitamento. Ponendo attenzione alla soglia di esposizione<br />

terapeutica in modo che l’attivazione <strong>del</strong> “guardiano emotivo”/CER non superi la capacità regolazione<br />

interna <strong>del</strong>la vittima, il <strong>trattamento</strong> condotto in base alla premessa <strong>del</strong>la finestra terapeutica consente al<br />

paziente di muoversi all’interno di un’esposizione controllata. Com’è descritto più avanti in questo<br />

contributo, tale senso di sicurezza è un prerequisito importante per il corretto <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong>lo stress<br />

post-<strong>trauma</strong>tico.<br />

L'esperienza clinica suggerisce che nella psicoterapia centrata <strong>sul</strong>la rielaborazione <strong>del</strong>le esperienze<br />

maltrattanti, assumono centralità tre aspetti per garantire l’efficacia <strong>del</strong> processo terapeutico (window-<br />

centrato): (1) esplorazione versus consolidamento, (2) controllo <strong>del</strong>l’intensità e (3) sequenza degli<br />

obiettivi. Ognuno di essi rappresenta il tentativo <strong>del</strong> terapeuta di individuare un equilibrio (e un<br />

momento opportuno) per garantire sicurezza e cambiamento, partendo dal presupposto che, in caso di<br />

dubbio, il primo requisito è sempre più importante <strong>del</strong> secondo.<br />

Esplorazione verso consolidamento<br />

Quest’aspetto <strong>del</strong> processo terapeutico si verifica all’interno di un continuum, con un’estremità ancorata<br />

agli interventi volti a favorire l’esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico, con conseguente attivazione <strong>del</strong><br />

CER e con l’altra volta a sostenere e consolidare i progressi precedenti e a fornire una base sicura a<br />

partire dalla quale la vittima può operare senza paura.<br />

Gli interventi esplorativi sono in genere orientati a sollecitare il racconto <strong>del</strong>la storia <strong>trauma</strong>tica<br />

<strong>trauma</strong>tico (e quindi implicitamente a riviverla). Ad esempio, un intervento esplorativo potrebbe<br />

17


comportare il chiedere al paziente di esaminare la storia dolorosa cercando di ridurre le strategie<br />

cognitive di evitamento (ad esempio, il rifiuto), dissociative o di disimpegno. In alternativa, si può<br />

chiedere al paziente di raccontare quelle parti <strong>del</strong>l’esperienza <strong>trauma</strong>tica che, anche se vissute come<br />

minacciose o pericolose, rientrano nella sua capacità di fronteggiarle. L’obiettivo è offrire una<br />

“sicurezza relativa” ai tentativi di affrontare il materiale <strong>trauma</strong>tico in precedenza non completamente<br />

considerato o sperimentato. Il consolidamento, d'altro canto, è meno interessato all'esposizione o alla<br />

trasformazione ed è più centrato a favorire interventi <strong>sul</strong>la sicurezza, per far sì che il paziente possa<br />

concentrarsi sui potenziali squilibri tra la riattivazione <strong>trauma</strong>tica e le sue capacità di regolazione interna,<br />

concentrandosi su quest’ultima. Un tema importante è che il terapeuta non chiede al paziente di evitare<br />

la memoria <strong>trauma</strong>tica, ma piuttosto di rafforzare prima le proprie capacità di fronteggiare questa sfida.<br />

Gli interventi in questo dominio spaziano dal lavorare con il paziente <strong>sul</strong>le paure derivanti dal superare<br />

la finestra terapeutica, al ricordargli/le che sta cercando di muoversi troppo in fretta e che al contrario è<br />

indispensabile rispettare i suoi bisogni di sicurezza e stabilità.<br />

Controllo <strong>del</strong>l’intensità<br />

La decisione di esplorare o consolidare dipende dalla valutazione <strong>del</strong> terapeuta che confronta il livello di<br />

stress e le risorse in quel momento disponibili nel paziente. Un soggetto sopraffatto dai ricordi<br />

<strong>trauma</strong>tici in genere richiede una minore esposizione e maggior consolidamento, mentre un altro più<br />

stabilizzato può beneficiare maggiormente di un intervento volto a sollecitare l’esposizione.<br />

Inoltre, la valutazione <strong>del</strong>lo stato interno <strong>del</strong> paziente scorre lungo un continuum e può variare di<br />

momento in momento: a un certo punto l'esposizione può essere indicata, mentre in un altro è richiesto<br />

un consolidamento.<br />

Controllare l'intensità si riferisce alla consapevolezza <strong>del</strong> terapeuta circa le reali capacità <strong>del</strong> paziente di<br />

gestire la riattivazione <strong>trauma</strong>tica senza conseguenze che fuggono dal controllo <strong>del</strong> soggetto stesso e al<br />

concomitante contenimento <strong>del</strong> livello di attivazione che si verifica all'interno <strong>del</strong>la seduta. Più in<br />

generale, si raccomanda che - specialmente per i pazienti con capacità di autoregolazione compromessa,<br />

che l’intensità emotiva sia più alta circa a metà seduta, mentre l'inizio e la fine dovrebbero avere<br />

un’intensità più bassa. All'inizio <strong>del</strong>la seduta il terapeuta dovrebbe incoraggiare il paziente a entrare<br />

gradualmente nel dominio <strong>del</strong>l’esperienza <strong>trauma</strong>tica mentre verso la fine dovrebbe assicurare che il<br />

paziente sia in grado di rientrare nel mondo esterno attraverso interventi di riduzione <strong>del</strong>le tensioni.<br />

Sequenza degli obiettivi<br />

Come osservato da vari autori (Courtois, 1991; Linehan, 1993; McCann e Pearlman, 1990; van der Hart,<br />

Steele, Boon e Brown, 1993), la terapia rivolta alle conseguenze determinate da gravi maltrattamenti<br />

18


dovrebbe generalmente procedere in modo graduale, rivolgendo fin dall’inizio attenzione al<br />

consolidamento <strong>del</strong>le competenze, <strong>del</strong>le capacità auto-protettive e di coping piuttosto che al <strong>trauma</strong> in<br />

sé. Quest’assunto "aiutare prima di affrontare il <strong>trauma</strong>" tiene conto <strong>del</strong> fatto che l'esposizione e<br />

l'attivazione possono sopraffare il paziente che manca di sufficienti risorse interne (Linehan, 1993). In<br />

particolare, il processo di accesso e la trasformazione emotiva dei ricordi <strong>trauma</strong>tici richiede una<br />

capacità di base di tollerare l’intensità emotiva e di regolazione interna. In assenza di tali risorse<br />

l'esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico può facilmente superare la finestra terapeutica e portare alla<br />

frammentazione, all’aumento <strong>del</strong>la dissociazione, al coinvolgimento <strong>del</strong> paziente in attività di riduzione<br />

<strong>del</strong>la tensione e, potenzialmente, al drop-out <strong>del</strong>la terapia. Ciò richiede una preliminare e attenta<br />

valutazione psicologica (Briere, 1997) per poter stabilire se il paziente è dotato di capacità sufficienti per<br />

tollerare l’esposizione progressiva al materiale <strong>trauma</strong>tico o se richiede più attenzione terapeutica ai<br />

problemi <strong>del</strong>la identità, dei confini, alla regolazione degli stati emotivi prima di intraprendere il lavoro<br />

<strong>sul</strong> materiale <strong>trauma</strong>tico (Linehan 1993). Tuttavia, a causa <strong>del</strong>la complessa relazione tra le capacità di<br />

autoregolazione e lo stress <strong>trauma</strong>tico, tale valutazione non può essere determinata una volta per tutte.<br />

La capacità di regolazione può sembrare sufficiente all'inizio <strong>del</strong> <strong>trattamento</strong> ed emergere come più<br />

debole in una fase successiva. Può accadere che la terapia riduca la sintomatologia dissociativa<br />

disvelando che ciò che inizialmente sembrava essere una buona regolazione degli affetti in realtà è il<br />

ri<strong>sul</strong>tato di una dissociazione <strong>del</strong>le emozioni dolorose e/o la rimozione costante dei ricordi <strong>trauma</strong>tici.<br />

Un’esposizione intensa che comporta il superamento <strong>del</strong>la soglia <strong>del</strong>la finestra terapeutica può avere<br />

l’effetto di ridurre temporaneamente il funzionamento autonomo (Linehan, 1993). Alla luce di questi<br />

possibili scenari, è molto raccomandabile che il terapeuta continui a valutare nel corso <strong>del</strong> <strong>trattamento</strong><br />

le capacità di regolazione e il livello di esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico, per poter essere in grado di<br />

regolare il tipo, la messa a fuoco o l’intensità <strong>del</strong>l’intervento quando necessario.<br />

Interventi nei casi più gravi<br />

Come notato sopra, la disponibilità e la qualità <strong>del</strong>le risorse di autoregolazione <strong>del</strong> paziente<br />

costituiscono, in genere, importanti fattori che determinano il livello di sintomatologia e la risposta al<br />

<strong>trattamento</strong>. Fino ad ora ho sottolineato l’importanza <strong>del</strong>la regolazione<br />

relativa alla capacità di regolazione degli stati emotivi interni, ma anche la capacità di mantenere un<br />

senso coerente di sé è importante, competenza che nei casi precoci di abuso particolarmente gravi può<br />

essere danneggiata in modo significativo (Briere, 1992, 1996).<br />

Per questo motivo il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> rivolge particolare attenzione non solo alla regolazione<br />

degli stati emotivi interni, ma anche a problemi d’identità quando il <strong>trattamento</strong> è rivolto agli effetti<br />

prodotti fa gravi esperienze di abuso.<br />

19


Sicurezza e sostegno<br />

Perché, per molte vittime, uno dei rischi più precoci e rilevanti per lo sviluppo <strong>del</strong>la capacità di<br />

autoregolazione è da ricercare non solo nell'esperienza di pericolo ma anche nella mancanza di sostegno<br />

o di protezione, tale per cui il soggetto ha dovuto suo malgrado sviluppare un’intensa ipervigilanza, in<br />

terapia deve riservata un'attenzione continua a quest’aspetto. In assenza di sicurezza, sostegno e<br />

affidabilità durante il <strong>trattamento</strong>, è improbabile che il paziente diminuisca la sua dipendenza da difese<br />

evasive né che sia disponibile a costruire un’alleanza terapeutica. Le precoci esperienze di abbandono e/<br />

o di abuso possono avere portato allo sviluppo di un mo<strong>del</strong>lo di attaccamento ambivalente o evitante<br />

(Alexander, 1992), quindi al paziente, in un certo senso, si chiede di andare contro tale predisposizione<br />

relazionale e diventare pericolosamente vulnerabile nei confronti <strong>del</strong> terapeuta. I pazienti che accolgono<br />

questa sfida in terapia testimoniano notevole coraggio. Ciò premesso, il clinico deve lavorare<br />

intensamente per fornire un ambiente terapeutico in cui la vittima possa ricevere il necessario<br />

nutrimento e sostegno. Proprio come il bambino gravemente abusato ed evitante può respingere il<br />

genitore adottivo amorevole, l’adulto sopravvissuto può utilizzare difese analoghe, che, almeno<br />

inizialmente, ostacolano la relazione terapeutica. Come molti colleghi attestano, non c'è una scorciatoia<br />

al processo di sviluppare la fiducia in questi casi. Il clinico deve fornire sicurezza sui pericoli relativi a<br />

possibili aggressioni fisiche o sessuali, a rifiuti, dominazione, intrusioni, o abbandono.<br />

Al di là di fornire una base sicura dalla quale il paziente può esplorare il suo ambiente interno e<br />

interpersonale, la sicurezza e il sostegno terapeutico consentono l’assuefazione <strong>del</strong>le CER associate ai<br />

legami primari.<br />

Come osservato in precedenza, l'attivazione dei ricordi <strong>trauma</strong>tici in terapia deve garantire una disparità<br />

tra i contenuti <strong>del</strong> ricordo <strong>trauma</strong>tico (per esempio, la violenza, l’abuso, l’abbandono) e l'esperienza <strong>del</strong><br />

paziente nel contesto presente (vale a dire, percepito come sicuro e di sostegno). In questo caso, le<br />

reazioni emotive condizionate dalla memoria <strong>trauma</strong>tica lentamente perdono il loro potere poiché non<br />

sono alimentate da vissuti reattivi attuali. In altre parole, quando il paziente richiama, a livello sensoriale<br />

e autobiografico, le sue esperienze infantili maltrattanti, rievoca i vissuti di rabbia e paura correlati.<br />

Tuttavia, tali risposte emotive <strong>trauma</strong>-correlate non acquistano rilevanza nel contesto terapeutico che<br />

garantisce la necessaria sicurezza, e quindi la loro associazione alla memoria originale non è rinforzata e<br />

alla fine si attenua.<br />

Facilitare la consapevolezza di sé e un’identità positiva<br />

In un ambiente affidabile e accogliente il superstite ha la possibilità di impegnarsi<br />

nel lavoro “di lusso” relativo all’introspezione: guardarsi dentro può ri<strong>sul</strong>tare molto doloroso.<br />

20


Molte vittime appaiono sorprendentemente consapevoli dei loro processi interni e al contempo avere<br />

sviluppato ben poco conoscenza di sé. Questo può includere, per esempio, uno scarso senso interiore<br />

di sé, l’incapacità di prevedere le proprie reazioni o i comportamenti in diverse situazioni, o poco acume<br />

per quanto riguarda l'abuso o i suoi effetti.<br />

Facilitando l'auto-esplorazione e la riflessività interiore (in contrapposizione a una definizione di sé<br />

prevalentemente costruita su un confronto con gli altri o su aspettative o reazioni), la terapia consente<br />

potenzialmente alla vittima di sviluppare un maggiore senso di personale identità. Una maggiore<br />

consapevolezza di sé può essere particolarmente favorita da ciò che i terapeuti cognitivisti chiamano<br />

intervista "socratica" (Beck, 1995), che consiste nel formulare principalmente domande aperte durante<br />

tutto il corso <strong>del</strong> <strong>trattamento</strong>. Questi includono esplorazioni volte ad approfondire, ad esempio, la<br />

percezione iniziale <strong>del</strong> paziente e le sue esperienze, le opzioni che erano e non erano disponibili al<br />

momento <strong>del</strong>l'abuso, i propri sentimenti e le reazioni durante e dopo le esperienze di vittimizzazione, a<br />

quali conclusioni è giunto circa l’abuso e le risposte a questi interrogativi. Altrettanto importante, è<br />

l’esplorazione <strong>del</strong> sistema di credenze attuali <strong>sul</strong>l’esperienza di vittimizzazione. Poiché l’abuso confonde<br />

e mina la capacità di giudizio compromettendo la comprensione di sé e il senso <strong>del</strong>la propria identità, il<br />

superstite è incoraggiato a esplorare le opinioni riguardo sé e l'altro, i diritti e gli<br />

obblighi, e altri aspetti di sé, nel contesto <strong>del</strong> sostegno <strong>del</strong> terapeuta e di un’accoglienza accettante. Si<br />

tratta di una modalità terapeutica non necessariamente centrata <strong>sul</strong>l’abuso e di natura più ampia, in un<br />

certo senso orientata alla "formazione <strong>del</strong>l’identità" che fornisce la possibilità di scoprire quello che in<br />

realtà si pensa e si sente, al di sopra e al di là di ciò che gli altri pensano e sentono. Si tratta di un aspetto<br />

terapeutico molto importante poiché rileva le distorsioni cognitive e le percezioni negative di sé, come<br />

rilevato più avanti in questo capitolo. Queste distorsioni comprendono di norma dure sentenze auto-<br />

accusatorie come l’aver provocato, favorito, o meritato l'abuso (Briere, 2000a; Janoff- Bulman, 1992;<br />

Jehu 1988).<br />

I diritti sé-altro e i confini<br />

Come già sottolineato, molti sopravvissuti a gravi abusi infantili presentano difficoltà rilevanti a<br />

distinguere il confine tra sé e gli altri. Ciò probabilmente deriva da deficit di attaccamento, in cui il<br />

bambino è privato <strong>del</strong>la possibilità di apprendere le normali demarcazioni tra sé-altro e dalle intrusioni<br />

abusive nello spazio fisico <strong>del</strong> bambino (McCann e Pearlman (1990).<br />

Una terapia efficace centrata <strong>sul</strong>la rielaborazione <strong>del</strong>le esperienze <strong>trauma</strong>tiche infantili deve indirizzarsi<br />

a entrambi questi aspetti. Il terapeuta si preoccupa di rispettare la<br />

dignità, i diritti e l'integrità psicologica <strong>del</strong> paziente- anche se la vittima è ignara <strong>del</strong> suo diritto a tale<br />

<strong>trattamento</strong>. Nel corso <strong>del</strong> tempo, il rispetto costante <strong>del</strong> terapeuta per il diritto alla sicurezza e alla<br />

21


libertà da intrusioni possono essere internalizzati dal paziente come prova <strong>del</strong>l’esistenza di chiari confini<br />

fisici e psicologici. Mentre il paziente racconta le sue esperienze abusanti occorse nell’infanzia e più<br />

tardi come adulto le esperienze di violazione o di sfruttamento, il terapeuta rinforza attivamente il<br />

diritto pregresso e attuale all’integrità e all’auto-determinazione. Altri aspetti di questo processo sono<br />

intrinseci e impliciti nell’apprendimento: la compassione e il rispetto da parte <strong>del</strong> terapeuta favorisce<br />

lentamente un crescente senso d’identità personale, che a sua volta aumenta la consapevolezza circa i<br />

propri diritti e la validità intrinseca <strong>del</strong> sé. Quest'ultimo aspetto è particolarmente importante nei casi di<br />

precoci maltrattamenti, che colpiscono gli schemi relazionali a livello preverbale: difficilmente il<br />

paziente si rassicura con parole volte a rafforzare la sua identità positiva e la sua sicurezza o<br />

semplicemente insistendo <strong>sul</strong> diritto a ricevere un <strong>trattamento</strong> per il danno ricevuto. Al paziente deve<br />

essere fornita l’opportunità di imparare (non solo ascoltare) che è apprezzato e ha diritto a non essere<br />

violato. In altre parole, molti schemi relazionali distorti sono, per definizione, non verbali e di<br />

conseguenza, la loro bonifica deve avvenire anche a questo livello: il clinico deve dimostrare, non solo<br />

raccontare.<br />

Allo stesso tempo, la <strong>del</strong>imitazione dei diritti altrui è una capacità appresa; il sopravvissuto in terapia<br />

può essere ricevere importanti insegnamenti per quanto riguarda il rispetto dei confini altrui. Questo<br />

può verificarsi nell’ambito <strong>del</strong> transfert e <strong>del</strong>la relazione che il paziente cerca di instaurare con il<br />

terapeuta, in genere attraverso domande inappropriate, richieste, o il comportamento. Mentre il<br />

terapeuta respinge con attenzione tali intrusioni, insegna al paziente a rispettare i bisogni e i diritti degli<br />

altri, l’integrità dei confini fornendo un mo<strong>del</strong>lo da utilizzare fuori dall’ambito terapeutico (Elliott e<br />

Briere, 1995). In questo modo, l’esperienza interpersonale <strong>del</strong> dare e ricevere in psicoterapia tende a<br />

integrare alcuni apprendimenti mancati durante l'infanzia.<br />

Modulare la tolleranza<br />

Si tratta di un’acquisizione cruciale per gli <strong>adulti</strong> gravemente abusati da bambini, e per tale motivo è un<br />

aspetto rilevante nel mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong>. La competenza affettiva deriva dalla acquisizione di un<br />

repertorio affettivo modulato e dalle capacità affettive.<br />

Linehan (1993), nel suo <strong>manuale</strong> <strong>sul</strong> <strong>trattamento</strong> cognitivo-comportamentale <strong>del</strong> disturbo borderline di<br />

personalità sottolinea che la capacità di regolare e tollerare il disagio emotivo possono essere appresi in<br />

terapia. L’autore illustra alcune tecniche specifiche come il rilassamento, la valutazione dei "pro e<br />

contro" di certi comportamenti ecc. (p. 148). Nell’ambito <strong>del</strong>le competenze emotive, Linehan insegna al<br />

superstite a (a) identificare l’emozione (etichettarla), (b) individuare gli ostacoli al cambiamento <strong>del</strong>le<br />

emozioni, (c) ridurre la vulnerabilità e l’iper-emotività attraverso la diminuzione <strong>del</strong>lo stress, (d)<br />

22


aumentare la frequenza <strong>del</strong>le eventi emotivi positivi, e (e) sviluppare la capacità di provare emozioni<br />

senza giudicarle o respingerle (p. 147-148). (Lo dice anche Vasco Rossi “ho fatto un patto, sai, con le mie<br />

emozioni: le lascio vivere e loro non mi fanno fuori”. Nota <strong>del</strong> traduttore)<br />

Tale mo<strong>del</strong>lo, che si è dimostrato efficace per la cura <strong>del</strong> disturbo borderline di personalità (Linehan,<br />

1993), sottolinea un tema centrale: la disregolazione non riflette un difetto strutturale psicologico (come<br />

suggerito da alcune teorie analitiche) quanto piuttosto un deficit derivante da competenze distorte in<br />

epoca infantile che possono essere apprese nel contesto <strong>del</strong>la terapia.<br />

La finestra terapeutica assicura livelli moderati di eccitazione emotiva sviluppando una crescente<br />

capacità di muoversi dentro e fuori da forti stati affettivi e questa, a sua volta, favorisce un aumento <strong>del</strong><br />

senso di controllo emotivo e la riduzione <strong>del</strong>la paura verso gli affetti negativi.<br />

Infine, nel processo di sviluppo <strong>del</strong>la capacità di influenzare la regolazione interna, il sopravvissuto è<br />

incoraggiato a individuare e descrivere i pensieri intrusivi e ripetitivi che spesso aggravano, o addirittura<br />

scatenano il materiale <strong>trauma</strong>tico. Così, per esempio, l'attenzione può essere concentrata <strong>sul</strong>le credenze<br />

che emergono dopo il racconto di un ricordo <strong>trauma</strong>tico e poco prima di un’intensa reazione emotiva<br />

negativa (ad esempio, "stanno cercando di farmi <strong>del</strong> male", o "Sono così schifato"), e le relative<br />

credenze innescate da una forte emozione che producono il panico e il timore di essere sopraffatto o<br />

sommerso (ad esempio, "Sono fuori controllo", o "mi sento ridicolo"). Quando il paziente diventa più<br />

consapevole di questi antecedenti cognitivi che incidono in modo schiacciante, può apprendere a<br />

ridurne l'impatto in parte l’impatto, in un certo senso, dichiarandosi esplicitamente in disaccordo con<br />

loro (ad esempio, "nessuno può farmi fuori", "io sono in grado di gestire questo "), o semplicemente<br />

sperimentando tali convinzioni come" vecchi nastri registrati in memoria", piuttosto che percezioni<br />

corrette. A questo proposito, uno dei benefici proviene dalla terapia psicodinamica, la quale ci insegna<br />

che agiamo, il più <strong>del</strong>le volte, in base a credenze o percezioni erronee; assunto che aiuta a ridurre il<br />

potere <strong>del</strong>le cognizioni angoscianti sottese al comportamento disfunzionale.<br />

Deficit nell’attaccamento<br />

Come già rilevato, molti sopravvissuti a gravi abusi e trascuratezza soffrono di rilevanti difficoltà nel<br />

loro dominio interpersonale. Perché i rapporti sono di grande importanza per molte persone, e sono, in<br />

realtà, il contesto <strong>del</strong>la vita <strong>del</strong>l'uomo <strong>sul</strong>la terra, la maggior parte <strong>del</strong>le terapie orientate al <strong>trauma</strong> dedica<br />

grande attenzione a quest’aspetto.<br />

La maggior parte dei maltrattamenti avviene all’interno dei rapporti primari in una fase precoce <strong>del</strong>lo<br />

sviluppo e i loro effetti sono spesso innescati da stimoli interpersonali nelle fasi successive <strong>del</strong>la vita;<br />

conseguentemente, non è sorprendente che la maggior parte degli interventi efficaci per i problemi<br />

relazionali si manifestino all'interno di una relazione terapeutica. Com’è discusso di seguito nella sezione<br />

23


dedicata ai sintomi intrusivi, il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> concepisce la relazione terapeutica come<br />

direttamente e specificamente riparativa e non come una sorta di effetto placebo non specifico, come<br />

suggerito da alcuni teorici cognitivo-comportamentali. Tra l'altro, la relazione terapeutica è una potente<br />

fonte di trigger interpersonali - il dare e avere tra paziente e clinico quasi sempre comprende la<br />

riattivazione degli schemi interpersonali abusanti (ad esempio, momenti di empatia/sintonia ridotte,<br />

aspettative abbandoniche o vissuti di paura, sentimenti di rabbia o sconforto associati a queste<br />

percezioni o aspettative), così come l'attivazione di più <strong>complesso</strong> livello di attaccamento (ad esempio,<br />

risposte ambivalenti o evitanti agli aspetti positivi <strong>del</strong> rapporto terapeutico). La relazione terapeutica,<br />

tuttavia, è anche una potente fonte di disparità le cui reazioni cognitivo-emozionali possono essere<br />

esaminate ed elaborate nel contesto di un ambiente sicuro, supportivo, lenitivo e condurre a un<br />

miglioramento <strong>del</strong>le difficoltà nelle relazioni attuali e future.<br />

Interventi sui sintomi post-<strong>trauma</strong>tici<br />

Quando il paziente è in grado di esprimere una sufficiente capacità di regolare gli stati affettivi interni è<br />

possibile avviare il <strong>trattamento</strong> dei sintomi <strong>trauma</strong>tici. L'attuale mo<strong>del</strong>lo suggerisce almeno cinque passi<br />

importanti in questo processo: identificazione <strong>del</strong>l’evento <strong>trauma</strong>tico; graduale ri-esposizione a<br />

memorie (implicite o esplicite) di abuso; attivazione di CER associati e <strong>del</strong>le cognizioni; disparità fra il<br />

<strong>trauma</strong> originario e l'ambiente attuale, e l'elaborazione cognitivo-emotiva.<br />

Identificazione degli eventi <strong>trauma</strong>tici<br />

Affinché il materiale <strong>trauma</strong>tico si possa elaborare con efficacia in terapia, dovrebbe essere riconosciuto<br />

come tale. Anche se questo sembra ovvio, in alcuni casi è più difficile da attuare di quanto si pensi sia a<br />

causa dei meccanismi difensivi, sia a causa di credenze radicate <strong>sul</strong> mal<strong>trattamento</strong> ricevuto più o meno<br />

consapevoli. Nel caso di evitamento cosciente, per esempio, il sopravvissuto può credere che una<br />

descrizione dettagliata <strong>del</strong>l’abuso potrebbe rivelarsi più dolorosa di quanto la vittima sia disposta a<br />

sopportare, o che l'esplorazione degli abusi potrebbe sopraffare le risorse personali. La dissociazione<br />

<strong>del</strong>l’evento <strong>trauma</strong>tico, d'altra parte, potrebbe può rendere incompleto o assente ricordo degli eventi.<br />

Inoltre, i soggetti <strong>adulti</strong> con uno stile di attaccamento evitante-sprezzante (non riconoscimento <strong>del</strong><br />

disagio emotivo) hanno forse più difficoltà ad accedere ai ricordi d'infanzia dolorosi rispetto ai soggetti<br />

con uno stile di attaccamento sicuro (Fraley, Davis e Shaver, 1998).<br />

Il ruolo <strong>del</strong> terapeuta è quello di non soverchiare le difese <strong>del</strong> paziente cercando di non convincerlo in<br />

ogni modo che l'abuso si è verificato, ma piuttosto fornire le condizioni (ad esempio, sicurezza,<br />

supporto e un clima di fiducia) tali per cui sia meno necessario ricorrere a strategie di evitamento e<br />

24


possibile l’esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico. Perché questo passo può richiedere molto tempo e<br />

abilità: la descrizione degli eventi maltrattanti è ben lungi dall'essere una semplice questione (Courtois,<br />

1999).<br />

In altri casi, un determinato evento <strong>trauma</strong>tico non può essere richiamato per un motivo diverso: il<br />

materiale pertinente è collocato nella memoria implicita, non verbale, sensomotoria (ad esempio, una<br />

grave trascuratezza emotiva, ripetute violazioni dei confini personali) di abusi che si sono verificati nella<br />

prima infanzia. Eventi specifici di abbandono, rifiuto o la abuso possono essere ricordati nel contesto<br />

di un’infanzia dolorosa, o possono essersi verificati prima <strong>del</strong> linguaggio, il materiale può essere<br />

collocato all’interno <strong>del</strong>la memoria critica nel senso generale di non essere amati, di essere visti come<br />

cattivi, o di sentirsi completamente soli al mondo. Questi vissuti, come descritto in precedenza,<br />

possono essere incorporati in profondità in mo<strong>del</strong>li o sistemi di credenze generalizzati nelle strutture<br />

cognitive di sé e degli altri o all’interno di schemi relazionali distorti – molti dei quali possono essere al<br />

di fuori <strong>del</strong>la consapevolezza <strong>del</strong>la vittima e quindi <strong>del</strong>la memoria esplicita e narrativa. Questo problema<br />

può essere particolarmente rilevante per gli abusi e le trascuratezze che si sono verificati nei primi due o<br />

tre anni di vita: anche se il mal<strong>trattamento</strong> è conservato nella memoria sensoriale, esso non può essere<br />

recuperato attraverso la memoria verbale e d esplicita.<br />

Sembrerebbe che, in assenza <strong>del</strong>la memoria esplicita i maltrattamenti avvenuti in un periodo precoce<br />

<strong>del</strong>l’infanzia non siano suscettibili di rielaborazione. Tuttavia, poiché il materiale mnestico è innescato<br />

da stimoli- spesso relazionali - come sopra descritto, i terapeuti hanno l’opportunità di lavorare con le<br />

conseguenze derivanti dal mal<strong>trattamento</strong> che sono attivate nella seduta di terapia. Ciò può verificarsi<br />

senza che sia paziente o terapeuta abbiano necessariamente una comprensione narrativa dettagliata<br />

<strong>del</strong>l’esperienza di abuso.<br />

Il processo di rielaborazione <strong>del</strong> materiale implicito ed esplicito dei ricordi è descritto di seguito.<br />

Esposizione graduale ai ricordi di mal<strong>trattamento</strong><br />

Ai fini <strong>del</strong> presente capitolo, è utile suddividere le tecniche di esposizione in due tipi, in base al tipo di<br />

memoria coinvolta nei ricordi: esposizione diretta, con la partecipazione cosciente e l’accesso esplicito<br />

ai ricordi autobiografici, e l'esposizione indiretta che coinvolge i ricordi impliciti che vengono attivati<br />

nel contesto <strong>del</strong>la relazione terapeutica. L'esposizione diretta è la tecnica utilizzata dalla terapia<br />

cognitivo-comportamentale.<br />

Le ultime tre edizioni <strong>del</strong> <strong>manuale</strong> diagnostico dei disturbi mentali (American Psychiatric Association<br />

(DSM-III, DSM-III-R, DSMIV) e la più recente ricerca (vedi Courtois, 1999; Pezdek e Banks, 1996;<br />

Williams e Banyard, 1999, per maggiori dettagli) suggeriscono che un certo livello di amnesia<br />

dissociativa di eventi <strong>trauma</strong>tici non sia una conseguenza particolarmente rara.<br />

25


Esistono diversi tipi di esposizione diretta utilizzati per il <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong>lo stress <strong>trauma</strong>tico, una <strong>del</strong>le<br />

quali, l'esposizione prolungata, ha dimostrato una buona efficacia nei casi di traumi acuti nei pazienti<br />

<strong>adulti</strong>, soprattutto vittime di abusi sessuali (Foa e Rothbaum, 1998). Quest’approccio comporta<br />

l’accesso (esposizione) completa ai ricordi <strong>trauma</strong>tici e il <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong>l’ansia associata è abituato; è un<br />

approccio che può essere più efficace con soggetti che sono stati vittime di eventi <strong>trauma</strong>tici in età<br />

adulta e che hanno la capacità di incidere <strong>sul</strong>la necessaria regolazione interna degli stati emotivi.<br />

L'approccio qui suggerito è una forma di desensibilizzazione sistematica (Wolpe, 1958), in cui al<br />

soggetto è chiesto di ricordare l’esperienza di abuso nel contesto di un ambiente terapeutico sicuro.<br />

L'esposizione è graduale in base all’intensità emotiva <strong>del</strong> ricordo: si comincia con la desensibilizzazione<br />

degli aspetti meno sconvolgenti. L’approccio <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> non prevede tecniche preordinate di<br />

esposizioni prolungate al materiale <strong>trauma</strong>tico, in quanto la capacità di tollerare l'esposizione può essere<br />

<strong>del</strong> tutto compromessa, inoltre può variare notevolmente da una seduta all'altra in funzione di variabili<br />

esterne al setting terapeutico, al livello di supporto ricevuto da amici, parenti o altri e, soprattutto, dalle<br />

competenze a disposizione <strong>del</strong>la vittima.<br />

Come suggerito in precedenza, il paziente deve essere incoraggiato a rimanere come "presente" durante<br />

l’esposizione (verbalizzazione e attivazione dei ricordi di abuso), in modo che essa, di per sé, sia<br />

contenuta. Il paziente, inoltre, può offrire racconti dettagliati <strong>del</strong>l’esperienza di abuso e tuttavia operare<br />

una dissociazione degli aspetti emotivi. Naturalmente, il terapeuta deve avere in mente la finestra<br />

terapeutica e non interrompere tale processo difensivo, che può essere reattivo a una sovrastimolazione<br />

terapeutica. Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, quando il terapeuta richiede o consente al paziente di<br />

accedere alle memorie i cui CER associati superano le sue risorse personali. D'altra parte, non è raro<br />

che il paziente attivi le proprie risorse difensive. Le reazioni di fuga<br />

automaticamente (ma inutilmente) emergono durante l'esposizione allo stress. In questo caso, un certo<br />

livello (ridotto) di dissociazione durante il <strong>trattamento</strong> non è solo sicuro, ma spesso indispensabile alla<br />

desensibilizzazione che si attua nel processo terapeutico.<br />

In contrasto con un'esposizione diretta, l'esposizione indiretta si basa <strong>sul</strong>la relazione terapeutica per far<br />

emergere il materiale mnestico implicito o rimosso. Come descritto in precedenza, il materiale <strong>del</strong>la<br />

memoria implicita <strong>sul</strong>le precoci esperienze di mal<strong>trattamento</strong> sono di natura preverbale e<br />

percettivo/sensoriale. Questi ricordi sono spesso codificati in età precoce, prima <strong>del</strong>l'acquisizione <strong>del</strong><br />

linguaggio e il pieno sviluppo <strong>del</strong>le strutture cerebrali. Il cervello risponde allo<br />

stress in entrata bloccando selettivamente la codifica esplicita (van der Kolk, et al, 1996). Questo<br />

materiale non può essere "ricordato" di per sé, ma tuttavia emerge in risposta a stimoli ambientali. In tal<br />

senso, la relazione terapeutica costituisce uno stimolo potente e un’opportunità di esposizione indiretta.<br />

La nozione psicodinamica <strong>del</strong> transfert può essere ridefinita come l'attivazione di ricordi relazionali<br />

impliciti nel contesto <strong>del</strong>la terapia.<br />

26


L’attivazione<br />

L'attivazione, in tale contesto, si riferisce principalmente ai CER innescati dai ricordi di abuso, come la<br />

paura, la tristezza, l’orrore o reazioni cognitive come l'intrusione di una percezione negativa di sé o<br />

l'attivazione di uno schema relazionale. Inoltre possono essere attivate altre memorie implicite o<br />

esplicite associate a stimoli relativi ad aspetti salienti, reintegrati in memoria attraverso narrazioni<br />

sempre più dettagliate. Per esempio, l’emergere di credenze come "Io sono una puttana perché ho<br />

permesso che questo accadesse" o risposte emotive condizionate da stimoli associati all’abuso originale<br />

(ad esempio, sentimenti di paura o di orrore), oppure l’emergere di altri aspetti <strong>del</strong>l’abuso. In questi casi<br />

si può affermare che l'attivazione terapeutica abbia avuto luogo.<br />

Quando l'attivazione riguarda gli schemi interpersonali, il processo è molto simile a quello che nel<br />

linguaggio psicodinamico viene definito come "transfert". Ad esempio, si consideri una donna di 24<br />

anni con una lunga storia di maltrattamenti psicologici causati da un padre con una struttura narcisistica<br />

di personalità che avvia una terapia con un professionista di sesso maschile e di età superiore alla sua.<br />

Anche se la paziente vede inizialmente il suo terapeuta come fonte di sostegno e cura, può facilmente e<br />

precocemente sviluppare nei suoi confronti un sentimento di sfiducia crescente, arrivando a provare<br />

rabbia per la mancanza di empatia nel terapeuta verso il quale aveva riposto la sua fiducia.<br />

La prospettiva psicodinamica direbbe che la paziente sta vivendo una significativa reazione di transfert;<br />

il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> suggerisce, in modo non troppo dissimile, che il setting terapeutico contiene<br />

inevitabilmente stimoli (ad esempio, l'età e il sesso <strong>del</strong> terapeuta, la differenza di ruolo e di autorità, il<br />

crescente senso d’intimità emotiva che si sviluppa con il procedere <strong>del</strong> <strong>trattamento</strong>) che,<br />

in quanto tali, attivano i ricordi impliciti <strong>del</strong>le pregresse esperienze abusanti.<br />

Come vedremo più avanti, questo fenomeno, altrimenti descritto come trasferimento o attivazione di<br />

memorie relazionali implicite, è potenzialmente positivo, nonostante gli aspetti dolorosi per il paziente e<br />

(occasionalmente) il terapeuta.<br />

L’attivazione emozionale di solito è fondamentale per il recupero <strong>del</strong>le esperienze <strong>trauma</strong>tiche. Gli<br />

interventi terapeutici unicamente orientati alla narrazione dei ricordi di abuso senza supporto emotivo<br />

e cognitivo non necessariamente producono sollievo dai sintomi (Foa e Kozak, 1986; Goldfried e<br />

Samoilov, 2000).<br />

Disparità<br />

Anche se non sempre esplicitamente citata nei testi di psicologia cognitivo-comportamentale, nel<br />

<strong>trattamento</strong> <strong>del</strong> <strong>trauma</strong> non è sufficiente esporre e attivare il materiale <strong>trauma</strong>tico: deve essere inclusa<br />

27


anche la disparità. In altre parole, le risposte emotive condizionate dai ricordi <strong>trauma</strong>tici non devono<br />

essere amplificate dall’ambiente (fisico o emotivo). Come sostengono Foa e Kazak (1986) la memoria<br />

deve essere attivata (cioè, il paziente deve ricordare, ed esperire la paura associata) in<br />

presenza d’informazioni incompatibili con la struttura originaria <strong>del</strong>la paura (cioè, all’interno di un<br />

contesto relazionale sicuro non associabile agli eventi <strong>trauma</strong>tici).<br />

Per essere efficace, la sicurezza deve essere manifesta in almeno due aspetti cruciali: in primo luogo, il<br />

paziente dovrebbe rendersi conto di essere al sicuro con il proprio terapeuta. Questa sicurezza non<br />

deve essere limitarsi solo ai pericoli di ricevere lesioni fisiche o attenzioni sessuali. Deve ovviamente<br />

dare garanzie di non essere esposto ad aspre critiche, violazione dei confini personali, o l’ignorare<br />

l’esperienza narcisistica <strong>del</strong> paziente. Perché il superstite di violenze di natura interpersonale tende a<br />

percepire il pericolo nelle situazioni interpersonali (Briere, 2000a; Janoff-Bulman, 1992), l'assenza di<br />

pericolo in seduta deve essere sperimentata direttamente, non solo promessa.<br />

In secondo luogo, la sicurezza nel <strong>trattamento</strong> deve trasformarsi in esperienza interna per il paziente.<br />

L’attivazione dei ricordi di abuso produce prevalentemente un effetto negativo e il paziente potrebbe<br />

non percepire una sostanziale differenza tra l’esposizione terapeutica e la propria esperienza originale.<br />

Ciò può avere un effetto travolgente qualora siano compresenti due aspetti: (1) la memoria è così<br />

<strong>trauma</strong>tica e così dolorosa nei suoi risvolti emotivi (ad esempio, ansia, rabbia) o cognitivi (ad esempio,<br />

senso di colpa o vergogna) tale per cui il prenderne contatto produce notevole dolore psichico; (2) la<br />

capacità di autoregolazione <strong>del</strong>la vittima è talmente compromessa da rendere schiacciante ogni<br />

riattivazione. In ogni caso, oltre ai presupposti <strong>del</strong>la sicurezza e <strong>del</strong>la disparità, è necessario ricorrere alla<br />

finestra terapeutica. Poiché il <strong>trattamento</strong> all'interno <strong>del</strong>la finestra significa, per definizione, che<br />

l'esposizione ai ricordi non supera le capacità di autoregolazione <strong>del</strong> paziente, la riattivazione<br />

(reexperiencing) non è associata al rischio di sentirsi travolti dall’angoscia, dalla frammentazione<br />

<strong>del</strong>l’identità, o da forti sentimenti di perdita <strong>del</strong> controllo.<br />

La disparità non è da intendersi solo come assenza di pericolo, ma come presenza garantita di<br />

aspetti positivi antitetici al pericolo. Nel caso <strong>del</strong>la paziente più giovane in terapia con il terapeuta<br />

maschio più anziano, le sue aspettative “transferali” negative di abbandono, critica, squalifica non sono<br />

solo sperimentate come assenti nel contesto terapeutico, il terapeuta adotta anche un atteggiamento di<br />

accoglimento, convalida, riconoscimento e affidabilità. Val la pena di ricordare che, nell’ambito <strong>del</strong>la<br />

disparità, molti pazienti si aspettano disprezzo dai loro terapeuti mentre ottengono, invece,<br />

un’attenzione amorevole.<br />

Trasformazione e risoluzione<br />

28


E' probabile che vi siano almeno due tipi di attività che si svolgono quando l'esposizione attiva i ricordi<br />

<strong>trauma</strong>tici (impliciti e consapevoli) in un contesto terapeutico sicuro: l’elaborazione emotiva e<br />

l'elaborazione cognitiva. Tuttavia, pensieri ed emozioni sono spesso inestricabilmente legati (Siegel,<br />

1999), forse soprattutto in risposta al materiale <strong>trauma</strong>tico riattivato e quindi possono verificarsi<br />

contemporaneamente.<br />

L’elaborazione emotiva.<br />

La trasformazione emotiva si verifica quando i ricordi dolorosi di traumi passati, impliciti o espliciti,<br />

sono esperto in un contesto di disparità, e comporta l’assuefazione e la desensibilizzazione <strong>del</strong>le<br />

connessioni tra i ricordi dolorosi e le risposte emotive condizionate dal materiale mnestico. E’ un<br />

processo che, come già ribadito, deve avvenire all’interno <strong>del</strong>la finestra terapeutica, per renderlo<br />

tollerabile al paziente. Anche nelle migliori circostanze, l’attivazione dei CER che accompagna<br />

l'esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico è visto dalla maggior parte dei pazienti come doloroso e<br />

impegnativo. Il pericolo è costituito dal drop-out.<br />

Il recupero dei ricordi di abusi e altri traumi è inoltre facilitato dalla espressione emozionale, che a sua<br />

volta genera uno stato emotivo relativamente liberatorio e quindi positivo. In altre parole, “un bel<br />

pianto rende più liberi".<br />

Il livello di risposta emotiva varia da persona a persona, in parte in funzione <strong>del</strong>la capacità di tollerare<br />

l’angoscia e controllare i propri stati interni. Di conseguenza, il terapeuta non dovrebbe "spingere" per<br />

ottenere una risposta emotiva quando il paziente non è in grado o è riluttante a impegnarsi in tale<br />

attività.<br />

I processi cognitivi.<br />

Oltre alla elaborazione emotiva, è ovvio che un <strong>trattamento</strong> efficace <strong>del</strong>l’abuso deve<br />

facilitare anche l'elaborazione cognitiva. Questo dominio comprende almeno le seguenti attività:<br />

acquisizione e integrazione di nuove informazioni, lo sviluppo di una narrazione (e di significati)<br />

coerente e l’elaborazione <strong>del</strong>lo schema relazionale attivato.<br />

Nuove informazioni.<br />

L'acquisizione di nuove informazioni riguarda sia la componente psicoeducativa <strong>sul</strong> <strong>trauma</strong> sia<br />

l'apprendimento di nuovi aspetti <strong>del</strong> sé acquisiti durante la psicoterapia. Il primo comprendere<br />

le informazioni che il terapeuta fornisce <strong>sul</strong> <strong>trauma</strong> e <strong>sul</strong>le sue conseguenze <strong>sul</strong>lo sviluppo; per esempio,<br />

il carattere frequente e diffuso degli abusi sui minori, le giustificazioni assunte per maltrattare i bambini,<br />

29


e il fatto che i sintomi <strong>del</strong> paziente sono un effetto frequente di tali maltrattamenti. Queste informazioni<br />

possono diminuire il senso di colpa e la stigmatizzazione, e possono servire a depatologizzare in una<br />

qualche misura i sintomi psicologici.<br />

Gli aspetti psicoeducativi possono ri<strong>sul</strong>tare utili nella misura in cui il paziente integra nella propria<br />

esperienza personale queste informazioni. Il terapeuta può facilitare tale processo cercando di integrare<br />

tali conoscenze con i ricordi <strong>del</strong>l'abuso e con attuale immagine di sé <strong>del</strong> paziente.<br />

Nuove informazioni possono rafforzare anche le capacità auto-esplorative e riflessive <strong>del</strong> paziente,<br />

come descritto più avanti. Mentre il paziente osserva se stesso in terapia, integra<br />

i feedback <strong>del</strong> terapeuta, esamina i suoi pensieri, le motivazioni, i comportamenti passati, riconosce le<br />

ipotesi e le distorsioni cognitive correlate all’esperienza abusante alla luce <strong>del</strong>le conoscenze attuali: una<br />

forma di comprensione <strong>del</strong> proprio passato e <strong>del</strong> proprio sé si sviluppa proprio da questo processo.<br />

Tale conoscenza, a sua volta, può favorire una maggiore accettazione di sé, in quanto reinterpreta alla<br />

luce <strong>del</strong> presente le vecchie credenze su di sé. Questo è davvero un potente antidoto contro i pensieri<br />

negativi su di sé, così diffusi nelle vittime e così influenti nell’interferire con il recupero dei ricordi e<br />

l’interpretazione malevolente degli eventi ambientali.<br />

Sviluppare una narrazione coerente<br />

Recenti ricerche (ad esempio, Amir, Stafford Foa, 1998; Foa, Molnar, e Cashman, 1995) sostengono<br />

che quando la narrazione <strong>del</strong>le esperienze <strong>trauma</strong>tiche divengono più coerenti (cioè chiaramente<br />

articolato, ben organizzate e dettagliate), i sintomi diminuiscono. Anche se è probabile che la coerenza<br />

narrativa derivi intrinsecamente dal recupero <strong>trauma</strong>, è anche probabile che lo sviluppo di una "storia"<br />

<strong>del</strong> proprio <strong>trauma</strong> sia salutare. A questo proposito, è probabile che acquisire una trama narrativa<br />

coerente aumenti il senso di controllo <strong>sul</strong>l’esperienza, riduca le sensazioni di caos, sviluppi l’idea che<br />

l'universo è ordinato e prevedibile, se non benefico. Inoltre, il senso acquisito <strong>del</strong>la propria storia<br />

potrebbe fornire un nuovo reframing inserendosi <strong>negli</strong> attuali mo<strong>del</strong>li di comprensione, con l’effetto di<br />

sostenere e rendere più efficace l’elaborazione emotiva e cognitiva (Amir et al., 1998). Al contrario,<br />

ricordi frammentati di eventi <strong>trauma</strong>tici che non hanno un ordine esplicito cronologico e non<br />

hanno cause evidenti possono portare facilmente ad angoscia supplementare, insicurezza e<br />

derealizzazione, le quali si verificano a volte in presenza di eventi incomprensibili, e che, in definitiva,<br />

inibiscono la trasformazione <strong>trauma</strong>.<br />

La coerenza narrativa in genere nasce dalla discussione più dettagliata e dalla rivisitazione <strong>del</strong> <strong>trauma</strong> o<br />

dei ricordi di abuso durante la psicoterapia. A questo proposito, l'esposizione e l'attivazione versi i<br />

dettagli <strong>del</strong> ricordo <strong>trauma</strong>tico (Foa e Rothbaum, 1998) e il ripristinare la consapevolezza <strong>del</strong> contesto<br />

originario in cui l’abuso si è verificato, sostiene anche lo sviluppo di una "storia" dettagliata e logica di<br />

30


quanto accaduto. Quando il paziente diventa più consapevole dei dettagli circa la sua vittimizzazione e<br />

<strong>del</strong>la propria posizione nel momento in cui si è verificata, è anche probabile che la narrazione cambierà<br />

valenza, come descritto di seguito.<br />

Alterazione <strong>del</strong>le strutture cognitive<br />

Una parte importante <strong>del</strong> processo cognitivo è costituito dalla modificazione <strong>del</strong>le<br />

strutture cognitive negative, come descritto in precedenza in questo capitolo. Tali strutture possono<br />

essere suddivise in due tipi: distorsioni cognitive negative consapevoli e meno consapevoli, anche se<br />

spesso sono compresenti. Le prime si riferiscono ai pensieri consapevolmente disponibili, alle ipotesi su<br />

sé e gli altri che in genere sono imprecise e dannose per l'individuo, quali sentimenti di bassa autostima,<br />

d’impotenza, disperazione, senso di colpa, vergogna, o la percezione degli altri come intrinsecamente<br />

pericolosi o dannosi. Alcune di queste distorsioni possono riflettere interpretazioni o schemi mediati<br />

dal linguaggio, come verrà descritto più avanti. Altre distorsioni possono derivare da una percezione<br />

negativa di sé e degli altri sviluppatesi a seguito di infanzia connotata da abusi psicologici, come la<br />

squalifica, la svalutazione, accuse (Briere, 1992).<br />

Intervenire in modo consapevole <strong>sul</strong>le distorsioni cognitive spesso fornisce al paziente la possibilità di<br />

riconsiderare le percezioni inesatte o rivalutare se stessi o altri, alla luce <strong>del</strong>le nuove informazioni.<br />

L’esperienza clinica suggerisce che questo processo è meno probabile che si sviluppi quando il<br />

terapeuta non è d'accordo (o non sostiene) il paziente nelle sue cognizioni. Piuttosto, il riesame<br />

potrebbe ri<strong>sul</strong>tare più efficace se affrontato all’interno <strong>del</strong>la disparità. Tipicamente, ciò comporta<br />

l'esposizione e gli interventi cognitivi che, oltre ad affrontare i CER, permettono al paziente di rivisitare<br />

e riconnettere importanti aspetti <strong>del</strong>l’esperienza <strong>trauma</strong>tica originale (ad esempio, recuperare il ricordo<br />

<strong>del</strong>le reazioni dei genitori quando a scuola il paziente prendeva brutti voti) e<br />

comprenderne le cause concomitanti in una prospettiva logica (ad esempio, che i voti bassi erano<br />

dovuti a eventi spiegabili come [ad es] l’abuso, e che il rendimento scolastico non misura l’intelligenza o<br />

un’intrinseca inadeguatezza).<br />

Ciò è ottenuto non in maniera conflittuale o forzata, quanto piuttosto attraverso una serie di<br />

domande accoglienti (cioè, attraverso l'approccio socratico menzionato in precedenza) che permettono<br />

al paziente di rivedere ipotesi e interpretazioni discutibili nutrite l'abuso. Il punto qui è quello di fornire<br />

al paziente l'opportunità di esplorare la sua comprensione, non di discutere con lui/lei sui suoi “errori<br />

cognitivi” (a tal proposito si veda l’eccellente <strong>manuale</strong> di Resick e Schnicke, 1993).<br />

Le strutture cognitive “più profonde” sono simili alle distorsioni cognitive più superficiali ad eccezione<br />

<strong>del</strong> fatto che esse sono più angoscianti e quindi i pensieri vengono evitati accuratamente. Anche se<br />

esclusi dalla consapevolezza cosciente, soppresse a livello cognitivo, in virtù <strong>del</strong>la loro suscettibilità a<br />

31


trigger interni ed esterni, sono spesso attivati in terapia tramite gli stessi processi utilizzati per altro le<br />

altre distorsioni cognitive, vale a dire durante il processo di ricordare e descrivere il <strong>trauma</strong> infantile. I<br />

terapeuti esperti sono attenti a queste intrusioni, segnalate da repentini cambi di espressioni facciali,<br />

lacune nel discorso, o improvvisi cambi di umore. In generale, l'esperienza clinica suggerisce che il<br />

<strong>trattamento</strong> <strong>del</strong> materiale soppresso è associato a un aumento temporaneo <strong>del</strong>la sensazione di pericolo<br />

(Wenzlaff et al., 1991), che diminuisce dopo che il materiale è consapevolmente affrontato. Questo<br />

ri<strong>sul</strong>tato, che spesso avviene dopo diverse sedute, è probabilmente dovuto sia (a) all'assuefazione e<br />

alla desensibilizzazione <strong>del</strong>l’ansia associata al pensiero rimosso una volta che è stato elaborato, e (b) alla<br />

riduzione <strong>del</strong>la pressione causata dal dover rimuovere il pensiero stesso. Nel primo caso, anche se i<br />

pensieri repressi rimangono fuori <strong>del</strong>la consapevolezza cosciente, il loro sequel emotivo (ad esempio,<br />

ansia, rabbia) può essere vissuto consapevolmente quando viene attivato da trigger che ricordano<br />

l’abuso (Wegner e Smart, 1997), e quindi può essere desensibilizzati come aspetti affettivi <strong>del</strong> pensiero.<br />

Una volta che i pensieri e i ricordi <strong>sul</strong> mal<strong>trattamento</strong> infantile sono verbalizzati spogliati di alcune <strong>del</strong>le<br />

loro CER negative, possono essere cognitivamente elaborati alla luce di nuove informazioni. Ad<br />

esempio, quando il senso di colpa (pensieri ed emozioni) per quanto riguarda la pseudo-partecipazione<br />

<strong>del</strong> bambino al rapporto incestuoso con il padre è accessibile e viene discusso, si<br />

può più logicamente valutare e cercare feedback in merito alla correttezza di questo convincimento e<br />

che realisticamente è l’abusante da biasimare, piuttosto che la vittima. Si tratta di una Gestalt di pensieri<br />

e sentimenti prima non disponibili alla consapevolezza, consentendo l’elaborazione emotiva e<br />

cognitiva che altrimenti non potrebbe verificarsi.<br />

Elaborazione <strong>del</strong>lo schema relazionale attivato.<br />

La forma finale di elaborazione cognitiva trattata in questo capitolo coinvolge lo schema relazionale.<br />

Anche se qui presentato come un fenomeno cognitivo, si tratta piuttosto di una Gestalt di aspettative e<br />

percezioni interpersonali, basate su schemi pre-verbali, derivanti da esperienze infantili precoci.<br />

Anche le concomitanti risposte emotive condizionate dal mal<strong>trattamento</strong> (ad esempio, sentimenti di<br />

perdita, vuoto e la tristezza) producono uno schema relazionale negativo che a loro volta influenzano i<br />

pensieri.<br />

Come descritto in precedenza, lo schema relazionale negativo in genere è attivato nel contesto di una<br />

stretta relazione significativa, la quale riattiva gli schemi primari in relazione ad aspetti cruciali quali<br />

l’intimità, la vulnerabilità interpersonale, i vissuti di perdita, di abbandono, di tradimento o di violenza.<br />

Una volta attivato, lo schema relazionale negativo è spesso accompagnato da intensi e improvvisi<br />

sentimenti negativi, impulsività, facendo regredire a un livello più arcaico il comportamento evolutivo<br />

<strong>del</strong> soggetto.<br />

32


Il paziente può reagire ricercando una maggiore prossimità (ad esempio, dipendenza eccessiva),<br />

assumendo un atteggiamento punitivo (per esempio, verbale o fisicamente aggressivo), o riducendo la<br />

tensione interna (per esempio, auto-mutilazione, acting out sessuale). Nella maggior parte dei casi, i<br />

pensieri, le emozioni e i comportamenti sono più influenzati dalle esperienze infantili <strong>del</strong>l’individuo<br />

piuttosto che dalle caratteristiche <strong>del</strong> contesto interpersonale in cui si sono innescate.<br />

Sebbene tali reazioni apparentemente "borderline" appaiano immediatamente problematiche durante la<br />

terapia, in ultima analisi, il loro emergere è sia prevedibile sia, in qualche misura, necessario affinché si<br />

raggiunga una guarigione. In assenza di tali trigger relazionali, la terapia potrebbe essere più facile da<br />

condurre, ma avrebbe poche possibilità di attivare il materiale relazionale primario da elaborare per<br />

permettere al paziente di migliorare. Così come il <strong>trattamento</strong> classico per i<br />

sintomi da stress post-<strong>trauma</strong>tico comprende l'esposizione ai ricordi <strong>trauma</strong>tici e l'attivazione di<br />

risposte emotive condizione nel contesto di disparità, la terapia rivolta a pazienti con storie di gravi<br />

maltrattamenti infantili (traumi di natura relazionale) deve includere componenti simili.<br />

Come per il <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong>lo stress post-<strong>trauma</strong>tico, queste diverse componenti si manifestano entro i<br />

limiti <strong>del</strong>la finestra terapeutica, la differenza è che l’esposizione è centrata <strong>sul</strong>la relazione terapeutica,<br />

piuttosto che <strong>sul</strong>l’elaborazione sensoriale dei ricordi autobiografica. A questo riguardo, il clinico deve<br />

prestare attenzione a non essere né troppo vicino (correre il rischio di attivare intrusioni e problemi di<br />

violazione di confine, così come, paradossalmente, a rafforzare esigenze di dipendenza), né troppo<br />

lontano (potenzialmente innescare problemi di abbandono o di rigetto). Infine, il terapeuta deve<br />

monitorare il suo comportamento in relazione al suo stesso schema relazionale attivato (ad esempio,<br />

punirlo, salvarlo) dallo schema <strong>del</strong> paziente, in quanto tale "controtransfert" farebbe venir meno il<br />

requisito di disparità necessario al <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong> <strong>trauma</strong>.<br />

Nel suo insieme, l'approccio self-<strong>trauma</strong> <strong>del</strong>ineato in questo capitolo permette al terapeuta di affrontare<br />

il funzionamento alterato, i disturbi cognitivi e lo stress post-<strong>trauma</strong>tico presenti in <strong>adulti</strong> che sono stati<br />

gravemente abusati da bambini.<br />

Questo mo<strong>del</strong>lo elimina la necessità di recuperare a tutti i costi la memoria <strong>del</strong>l’esperienza <strong>trauma</strong>tica.<br />

Invece di basarsi su ipnosi o interviste farmaco-assistite, ad esempio per aumentare l'accesso al<br />

materiale <strong>trauma</strong>tico non disponibile, l'approccio self-<strong>trauma</strong> permette a questi ricordi di emergere<br />

naturalmente in funzione <strong>del</strong>la relazione terapeutica e <strong>del</strong>la minore necessità di ricorrere a strategie di<br />

evitamento.<br />

CONCLUSIONI<br />

Questo capitolo ha lo scopo di illustrare una sintesi dei più recenti approcci dinamici, cognitivi e<br />

comportamentali che sono stati efficaci nel <strong>trattamento</strong> <strong>del</strong>le vittime a gravi maltrattamenti infantili.<br />

33


Questo mo<strong>del</strong>lo parte dal presupposto che la "sintomatologia" conseguente rifletta, in generale, i<br />

tentativi di adattamento <strong>del</strong> soggetto di mantenere la stabilità interna per fronteggiare l’angoscia e gli<br />

stimoli <strong>trauma</strong>-correlati. Esso suggerisce inoltre che molti di questi sintomi siano, in realtà, tentativi<br />

innati di auto-guarigione e che abbiano esito negativo solo quando lo stress è totalmente schiacciante e<br />

le risorse interne siano insufficienti. Conseguentemente, il <strong>trattamento</strong> terapeutico dovrebbe<br />

concentrarsi <strong>sul</strong>l’aiutare il paziente “a fare meglio quello che sta già cercando di fare”. Il terapeuta<br />

dovrebbe essere particolarmente interessato ad accogliere la sfida connessa agli aspetti innati di<br />

guarigione <strong>del</strong> sé, a non contrastare le intrusioni durante il <strong>trattamento</strong>, considerandole come utili<br />

strategie raffinate che possono essere abbandonate quando perdono il loro scopo.<br />

In tal senso, potremmo definire il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> self-<strong>trauma</strong> come una prospettiva in ultima analisi<br />

ottimista. Esso presuppone che gran parte <strong>del</strong>la “patologia” derivante da gravi forme di mal<strong>trattamento</strong><br />

vissute in epoca infantile siano da intendersi come soluzioni parziali e in divenire, anche se finalizzate a<br />

garantire la sopravvivenza. Allo stesso tempo, purtroppo, è inevitabile che la terapia centrata <strong>sul</strong><br />

mal<strong>trattamento</strong> (e quindi <strong>sul</strong>l’esposizione al materiale <strong>trauma</strong>tico) suscita paura e angoscia (anche nel<br />

terapeuta). Come terapeuti, non dobbiamo dimenticare ciò che stiamo chiedendo ai nostri pazienti, per<br />

non perdere traccia <strong>del</strong> coraggio e <strong>del</strong>la forza necessari a condurre il <strong>trattamento</strong> verso il successo.<br />

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