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“dove c'è musica non esiste malvagità” Bach - Altervista

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3 Mario Fancello D Suggestioni paesistiche<br />

4 Mario Fancello Note informative: Endre Szkárosi<br />

8 ------------ -------------- Profilo biografico di Endre Szkárosi<br />

10 Endre Szkárosi Trascrizione dell’intervento (a c. di M. Fancello)<br />

21 Mario Fancello Sottolineature<br />

22 Gianni Milano I camminanti<br />

34 Nicolas Stoppa Colloquio (a c. di M. Fancello)<br />

55 ------------ -------------- Puntaspilli (a c. di M. Fancello)<br />

70 ------------ -------------- Genova (a c. di M. Fancello)<br />

72 ------------ -------------- L’anello mancante (a c. di M. Fancello)<br />

74 ------------ -------------- Vetrina (a c. di M. Fancello)<br />

2<br />

SOMMARIO<br />

78 ------------ -------------- Turlupinature – Letture in filigrana – Collusioni (a c. di M. Fancello)<br />

79 ------------ -------------- Farfalle metropolitane (a c. di M. Fancello)<br />

95 ------------ -------------- Scheletri nell’armadio: Michel Foucault (a c. di M. Fancello)<br />

96 ------------ -------------- Indizi<br />

Cantarena<br />

Anni IX/X – Numero 33<br />

Marzo 2006 – Settembre 2007<br />

Aperiodico<br />

Direzione e redazione<br />

Mario Fancello<br />

Silvana Masnata<br />

Rosangela Piccardo<br />

Mirella Tornatore<br />

Realizzazione grafica<br />

Mario Canepa<br />

Mauro Grasso<br />

Rosangela Piccardo<br />

Produzione e distribuzione in proprio<br />

Per contatti ed informazioni<br />

Scuola Media Statale V. Centurione<br />

Salita inferiore Cataldi, 5<br />

16154 Genova<br />

Fax 010 / 6011225<br />

Posta elettronica<br />

vcenturione@tin.it<br />

www.cantarena.splinder.com<br />

cantarenaedizioni.wordpress.com<br />

cantarena@libero.it<br />

In copertina:<br />

FABIO MAURI, Il Muro Occidentale o del Pianto<br />

(particolare),<br />

Genova, Palazzo Ducale, 21 gennaio -12 febbraio 2006,<br />

già alla Biennale veneziana del 1993<br />

In quarta di copertina:<br />

ENDRE SZKÁROSI, Urlo a A A,<br />

2003 (su rivista), 2007 (in libro, intitolato: Merülő Monró)<br />

Le fotografie raffiguranti la cronaca<br />

degli incontri sono di M. Fancello.<br />

Ringraziamo per la collaborazione<br />

la Circoscrizione VI – Medio Ponente<br />

del Comune di Genova.


3<br />

SUGGESTIONI PAESISTICHE<br />

La potenza di un insegnamento è data dal grado di passionalità presente nella risposta degli<br />

allievi.<br />

Pare che le più incisive conquiste culturali debbano istigare l’enorme massa dei benpensanti<br />

ad una scomposta e pubblica lacerazione delle vesti.<br />

A onor di cronaca sarà sempre opportuno contemplare i sommovimenti prodotti dalla schiera<br />

dei genitori che, in premurosa difesa dell’avvenire dei loro figli, si ergono a baluardo del<br />

sapere costituito e massacrano l’apprendimento autentico. Sull’altro fronte sarà utile prendere<br />

in considerazione la qualità delle lezioni e delle gite didattiche che si affannano a idolatrare i<br />

più rancidi luoghi comuni.<br />

Se la vera conoscenza procede per strappi e per salti, se espone a rischi continui di caduta nel<br />

vuoto, se è faticoso superamento di grandi difficoltà, quelle numerosissime programmazioni<br />

d’istituto e di classe che mirano a suffragare le convinzioni più condivise <strong>non</strong> si configurano<br />

come un sadico progetto d’addormentamento delle intelligenze?


4<br />

NOTE INFORMATIVE:<br />

ENDRE S Z K Á R O S I<br />

La terza tappa del ciclo di performance e conferenze, intitolato La Voce in scena / La Voce riflessa,<br />

curato dall’Archivio 3Vitre di Polipoesia, ha avuto come protagonista il simpatico poeta e docente<br />

universitario ungherese Endre Szkárosi.<br />

Endre Szkárosi conversa gustosamente con le giovanissime leve della Centurione.


Accompagnato dalla sua squisita consorte, venerdì 18 marzo 2005, alle ore 10, il nostro ospite si è<br />

affabilmente intrattenuto con i tredicenni allievi della Centurione.<br />

Nel pomeriggio, alle ore 17, presso la Stanza della Poesia di Palazzo Ducale, Endre ha<br />

gioiosamente conversato con un prezioso manipolo d’irriducibili kamikaze della cultura.<br />

Disponiamo di una registrazione in audio e di un’altra in video.<br />

La trascrizione verbale del colloquio si giova dell’assenso del protagonista.<br />

Rosangela Piccardo accanto a un allievo della Centurione che riprende in video lo svolgersi dell’incontro.<br />

5


Fronte ed ultima pagina del pieghevole relativo all’iniziativa.<br />

6


Retro del pieghevole.<br />

7


8<br />

PROFILO BIOGRAFICO DI<br />

E N D R E S Z K Á R O S I<br />

Endre Szkárosi č nato a Budapest il 1952. Poeta, performer, studioso,<br />

insegna letteratura italiana all’Universitœ di Budapest (ELTE). Le sue<br />

sperimentazioni di poesia sonora, di <strong>musica</strong>, di arti visuali, video e<br />

performance sono ben note nella rispettiva scena internazionale. Ha<br />

collaborato con vari gruppi fra i quali il suo Konnektor, o il band<br />

inglese Towering Inferno, o – negli anni ’90 – anche Spiritus Noister<br />

(di cui fa parte anche Katalin Ladik). Come solista o come collaboratore<br />

partecipa a numerosi festival internazionali di poesia e di arte. Ha<br />

pubblicato vari libri, dischi e cassette di poesia e di <strong>musica</strong>,<br />

recentemente č uscito il suo cd di poesia sonora intitolato szkárosicon,<br />

inoltre, sempre un cd e con Spiritus Noister, una sonorizzazione<br />

particolare di Ursonate for 2 voices and <strong>musica</strong>l environment, <strong>non</strong>ché<br />

un cd di poesia "art-wave" szkárosi & konnektor. Nel centro della sua<br />

attivitœ di studioso, fra l’altro, sta appunto la storia e la teoria della<br />

poesia sperimentale e dell’arte intermediale, inoltre la storia di cultura<br />

Endre Szkárosi, Foltos, 1985<br />

del modernismo, le tendenze innovative del Novecento dalle<br />

avanguardie storiche fino alle sperimentazioni artistico-poetiche<br />

contemporanee – in questi argomenti ha pubblicato parecchi saggi in varie lingue e ha partecipato a<br />

numerosi convegni scientifici.<br />

Libri/Books<br />

ISMERETLEN MONOLÓGOK [Monologhi sconosciuti], Budapest, 1981<br />

SZELLŐZŐ MŰVEK [Opere in ventilazione, con G. Galántai], Budapest, 1990<br />

MI AZ, HOGY AVANTGÁRD. ÍRÁSOK AZ AVANTGÁRD<br />

HAGYOMÁNYTÖRTÉNETÉBŐL. (What's that avant-garde. Essays on the history<br />

of tradition of avant-garde), Budapest, Magyar Műhely Kiadó, 2006, p. 303<br />

MERÜLŐ MONRÓ (Diving Monroe). Magyar Műhely Kiadó, 2007, p. 155


CD<br />

Towering Inferno: KADDISH, London, TI Records, Budapest, Bouvard&Pécuchet, 1993.<br />

Island Records, London, 1995<br />

Márta-Szkárosi-Bernáth(y): THE WIND RISES. London, ReR, 1998<br />

SZKÁROSICON (vol. 1, Bird Machine), Budapest, Bahia, 2002<br />

Kurt Schwitters-Spiritus Noister: URSONATE for 2 voices and <strong>musica</strong>l environment,<br />

Budapest, Hungaroton Classic, 2003<br />

SZKÁROSI & KONNEKTOR (vol. 2), Budapest, A38, 2004<br />

Cassette/Cassettes<br />

RÓZMARI [Wallarush, con Konnektor), Budapest, 1990<br />

TŰZFAL [Muro maestro, con Konnektor], Bahia, Budapest, 1993<br />

SPIRITUS NOISTER (Kovács-Sőrés-Szkárosi), Budapest, 1994.<br />

NEMZETI ZAJZÁRVÁNYOK [Inclusioni di rumore nazionali, con Spiritus Noister], Bahia,<br />

Budapest, 1996<br />

Dischi/Records<br />

TÁMAD A SZÉL [Si alza il vento, con I. Márta & S. Bernáth(y)], Budapest 1987<br />

HANGMÁNIA [Suonomania, Ungheria-Italia, with E. Minarelli, 3ViTrePair-Új Hölgyfutár,<br />

Cento-Budapest, 1992<br />

Antologie internazionali/International anthologies<br />

Baobab (Reggio Emilia), Inter (Québec), Doc(k)s (Ajaccio), Voicimage (Providence), BoXoN (Lyon),<br />

Markers (Venezia), Homo Sonorus (Kaliningrad), Impermanenza (Venezia)…<br />

Fesztiválok / Festivals<br />

Amsterdam, Paris, Bologna, Szeged-Budapest, Érsekújvár-Nové Zámky, Ruigoord, Bonn, Łucznica-<br />

Warsaw-Kraków, Firenze, New York, Québec, Vevey, Roma, Dresden, Lublin, Fribourg, Stuttgart,<br />

Berlin, Glasgow, Venezia, London, Talliándörögd, Wien, Torino, Galway, Edinburgh, Roskilde,<br />

Szombathely, Locarno, Pavia, Trieste, Szentendre, Melbourne, Barcelona, Lyon, Napoli, Vicenza,<br />

Genova, Monza, Salerno, Catania, Vercelli, Milano, Eger, Bratislava-Pozsony…<br />

Díjak / Awards<br />

KASSÁK-díj, 1986<br />

LOCUS SIGNI díj, 1994<br />

STELLA DELLA SOLIDARIETΠITALIANA, 2004<br />

JÓZSEF ATTILA díj, 2007<br />

9<br />

Endre Szkárosi, Drotugro, 1986


Legenda<br />

ES = Endre Szkárosi<br />

RR = Alunni<br />

RP = Rosangela Piccardo<br />

MF = Mario Fancello<br />

I = Insegnante <strong>non</strong> identificato<br />

TRASCRIZIONE DELL’INTERVENTO:<br />

E N D R E S Z K Á R O S I<br />

L A V O C E P O S S E N T E A L L ’A S S A L T O<br />

PERFORMANCE PER UN TRIONFO ASSOLUTO DELL’UGOLA<br />

- ES - Cerco di approfittare di questo onore per mostrare qualcosa di interessante, per<br />

lavorare sul serio come sempre, però so che ogni principio è difficile, più noioso, come<br />

dice il proverbio che conoscete voi, ma io, per rendere più o meno difficile questo<br />

principio, comincio con uno spogliarello garibaldino. [Si riferisce al colore rosso della<br />

cintura che gli sostiene il braccio ].Va bene? Se no, ad ogni modo, se <strong>non</strong> va bene, lo<br />

faccio lo stesso, eh. [Pausa. Si toglie con fatica la giacca. Ha un braccio ingessato]. Ed<br />

eccoci arrivati. È il colore della rivoluzione, no? Va bene. Allora, anche se ci sono un<br />

po’ di problemi – talvolta – con la rivoluzione e con la libertà, però facciamo lo stesso.<br />

Allora cosa facciamo? Cosa facciamo? Si tratta di poesia, parliamo di poesia. Ma che<br />

cos’è la poesia? Eh, voi studiate questa cosa nella scuola, tutti la studiate. Vi interessate<br />

un po’, siete obbligati a interessarvi di poesia. Ma che cos’è la poesia? Io direi<br />

brevemente che la poesia e la <strong>musica</strong> sono la stessa cosa, mh? Forse <strong>non</strong> so se consentite<br />

che la poesia e la <strong>musica</strong> sono la stessa cosa. Posso chiedere quali sono i musicisti<br />

preferiti da voi? Di questo periodo, di questo tempo.<br />

- RR – [Rispondono e ridono].<br />

- MF – Uno ha detto Mozart, in maniera un po’ scherzosa.<br />

- ES – Dal rumore che fate credo che ci siano tanti – no? – tanti musicisti che ... Nel<br />

tempo più antico, cioè quando avevo la stessa età come voi o qualcosa del genere, la<br />

<strong>musica</strong> era molto importante come ispirazione anche per i poeti o per quelli che<br />

10


volevano diventare poeti, e alcuni di questi nomi sicuramente conoscete, evidentemente<br />

conoscete, era l’epoca dei Beatles, poi l’epoca dei Pink Floyd, che voi conoscete<br />

sicuramente, poi l’epoca di Jimi Hendrix. Conoscete Jimi Hendrix? C’era un bellissimo<br />

gruppo Cream, conoscete?<br />

- R – No.<br />

- ES – Okay. Lasciamo perdere.<br />

Adesso, adesso cerchiamo di fare<br />

qualcosa che assomiglia un po’<br />

alla <strong>musica</strong> o alla poesia o a tutte<br />

e due. Vediamo un po’. [Fa una<br />

pausa. In sottofondo si percepisce<br />

il chiacchiericcio dei ragazzi. Poi<br />

inizia ad emergere un suono<br />

cadenzato a cui si accompagna in<br />

seguito la voce ritmata di Endre ].<br />

Adesso facciamo sentire qualcosa<br />

che ho fatto di un po’ più<br />

professionale. [Esecuzione di un<br />

brano <strong>musica</strong>le, sulla base del<br />

ritmo precedente, con<br />

-<br />

performance vocale].<br />

RR – [Battono le mani].<br />

- ES – Questa era una band<br />

<strong>musica</strong>le, però c’è anche un<br />

materiale linguistico – direi –<br />

anche se come materiale<br />

Endre parla agli studenti della Centurione.<br />

linguistico c’è una lista un po’ in<br />

italiano e un po’ in ungherese, ma<br />

soltanto un pochino, perché maio<br />

maio maio maio maio <strong>non</strong> significa niente; cioè cantare senza le parole è un uso<br />

quotidiano, come il gran poeta del Novecento italiano Aldo Palazzeschi ha detto nella<br />

sua poesia Lasciatemi divertire quando uno con cui sta parlando che chiede che cosa sia<br />

questa poesia [recita i suoni della poesia: sciù sciù eccetera] , ma che cosa sia questa<br />

poesia: “Signore, <strong>non</strong> è così la poesia perché <strong>non</strong> ha testo”, allora risponde Palazzeschi:<br />

Sapete cosa sono? Come se qualcuno prende una canzonetta e <strong>non</strong> sa le parole e fa<br />

[canticchia un’arietta <strong>musica</strong>le], una cosa quotidiana dice Palazzeschi, cioè le cose che<br />

nella vita comprendiamo e accogliamo senza problemi. Se uno va nella strada così<br />

[fischietta un motivetto]: “Che allegro questo ragazzo, eh, beato lui”, ma se viene un<br />

poeta e fa così tatatatà: “Questo è scemo!”. Fa la stessa cosa, solo che è poeta, dovrebbe<br />

fare qualcosa di grande, di grandioso, <strong>non</strong> so che. Allora: si trattava di <strong>musica</strong>, di poesia.<br />

Continuiamo questo filo di <strong>musica</strong> e poesia. Per esempio, per esempio, per esempio, per<br />

esempio; per esempio un grande vostro poeta e uomo di cultura, organizzatore di<br />

cultura, fondatore del Futurismo, Filippo Tommaso Marinetti ha iniziato tante cose – col<br />

Futurismo – tra l’altro quella tendenza di oltrepassare i limiti, oltrepassare i limiti<br />

quotidiani tradizionali – direi così – del parlar poetico, del linguaggio poetico, della<br />

comunicazione poetica (possiamo fare ancora si<strong>non</strong>imi). Voi di solito leggete poesie –<br />

<strong>non</strong> so – di Dante, di Leopardi, eccetera, però dovete sapere che la poesia è più vecchia,<br />

la poesia è una cosa più vecchia della scrittura e della stampa dei libri. La poesia viveva<br />

millenni fa, quando <strong>non</strong> c’era ancora la scrittura. Allora cos’è la scrittura? È la<br />

denotazione. Anche nel caso della poesia scritta la poesia è la denotazione del parlato<br />

11


poetico, del canto poetico, eccetera eccetera eccetera. È questa delocazione, invece di<br />

note come nella <strong>musica</strong> sul pentagramma, succede con lettere. Allora Marinetti fra l’altro<br />

prende la declamazione, si riappropria della declamazione, che lui chiama declamazione<br />

dinamica e sinottica, e fa delle poesie. Adesso vi faccio una delle sue più famose poesie<br />

declamate che si chiama Marcia Futurista. Io <strong>non</strong> farò la marcia con le mie gambe ma<br />

cercherò di farla con la voce. Bene? [Performa la poesia avvalendosi anche<br />

dell’intervento degli studenti]. Bene. Grazie.<br />

- RR – [Applaudono. Dopo aver<br />

battuto le mani chiacchierano a<br />

profusione<br />

pausa].<br />

approfittando della<br />

- ES – Adesso mi è venuta in mente<br />

un’idea: prima – un minuto fa –<br />

avete ascoltato una poesia<br />

cosiddetta moderna e adesso vi<br />

mostrerei una poesia classica<br />

classica classica bellissima; è una<br />

cosa molto interessante perché è<br />

una poesia di un grandissimo<br />

poeta ungherese che si chiamava<br />

Janus Pan<strong>non</strong>ius, cioè avete<br />

intuito che era un poeta<br />

dell’umanesimo ungherese, Janus<br />

Pan<strong>non</strong>ius, molto noto anche in<br />

Italia come Giano Pan<strong>non</strong>io;<br />

Endre curvato sul microfono in aula video.<br />

perché? Perché nella sua gioventù<br />

ha vissuto quasi otto anni in Italia,<br />

ha studiato a Bologna e a Padova.<br />

Aveva sempre amore per l’Italia,<br />

poi è tornato in Ungheria. È il<br />

primo grande poeta – grandissimo<br />

-<br />

poeta – ungherese, di dimensione europea, e, come umanista, ha scritto le sue poesie in<br />

latino, che è una lingua vicinissima alla vostra, che è stata la vostra lingua; la vostra<br />

lingua risale al latino, l’ungherese no. E così prima vi mostro questa poesia leggendola,<br />

leggendola cerco di fare sentire un po’ il metro. Il titolo è De Amygdalo in Pan<strong>non</strong>ia.<br />

L’amygdalo è l’albero del mandorlo. Adesso chiedo un po’ di silenzio perché <strong>non</strong> si<br />

tratta di me, ma si tratta di un grande poeta dell’umanesimo europeo. [Interpreta – in<br />

latino – la poesia]. E va beh, la poesia scritta ..., <strong>non</strong> si capisce niente eccetera eccetera,<br />

però diciamo che è una poesia bella. Vi mostro una interpretazione – o transcreazione –<br />

mia su questa poesia, il senso è lo stesso, però il modo di eseguirlo è forse un po’<br />

irregolare, sì, perché è molto importante quando leggiamo un nostro grande poeta come<br />

Leopardi, come – <strong>non</strong> so – come Manzoni, come Dante, come Petrarca, qualsiasi<br />

persona allora – forse dico una cosa eretica – ma <strong>non</strong> sono tempi da rispettare così come<br />

nella chiesa o <strong>non</strong> so, sono cose vive che in qualche modo dobbiamo comprendere,<br />

dovremmo comprendere, dovremmo penetrare, dovremmo metterci nel centro di quella<br />

problematicità – eh – che è l’ascolto della poesia, perché molte volte queste cose sono<br />

abbastanza raccolte – come sapete. Va beh. Adesso cerco di darvi una piccola chiave<br />

tramite il suono, tramite la <strong>musica</strong>. Posso chiedervi di tenermi gentilmente la carta?<br />

Così. Grazie. [Performa vocalmente la poesia].<br />

RR – [Applaudono fragorosamente].<br />

12


Un’allieva, per ovvi motivi, fa da leggio al poeta Endre Szkárosi.<br />

- ES –Okay. Adesso facciamo una ..., perché si presenta anche un problema: il linguaggio<br />

della poesia; anche come linguaggio sonoro, linguaggio visivo, linguaggio lineare, la<br />

poesia lineare, ormai è un termine che si usa quotidianamente nella critica, cioè la poesia<br />

è scritta in versi, così da sinistra a..., leggere da sinistra a destra e da su verso il fondo, è<br />

la poesia lineare che si scrive in versi, poi c’è la poesia sonora, più o meno questa roba<br />

qua e poi c’è la poesia visiva, che adesso lasciamo in disparte, però sempre è un<br />

problema; avete visto come possiamo comportarci con il linguaggio: in latino, in<br />

italiano, in ungherese. A questo proposito faccio una parentesi, poniamo l’attenzione a<br />

un altro grande artista, che <strong>non</strong> conoscete perché è conosciuto soprattutto negli ambiti<br />

artistici, si tratta di Fortunato Depero, che ha scritto un bellissimo programma,<br />

L’onomalingua. Forse vale la pena, in questa parentesi, farvi leggere qualche frase di<br />

questa Onomalingua, che è del 1916, di Fortunato Depero, c’è un sottotitolo molto<br />

interessante: Verbalizzazione astratta; perché è interessante questa verbalizzazione<br />

astratta? È interessante perché nella pittura siamo già abituati (anche voi siete già<br />

abituati) ad accettare la cosiddetta pittura astratta, dove <strong>non</strong> ci sono le cose figurative che<br />

riconosciamo, ma ci sono segni, segni pittorici che percepiamo, che vediamo. La stessa<br />

13


cosa si può fare anche con la lingua, cioè anche la comunicazione poetica usa un<br />

linguaggio, ma <strong>non</strong> è sempre capibile. [...]. Questa poesia di Marinetti che cosa è? Di<br />

solito dico ai miei studenti all’Università: Pensateci un po’. Voi pensate che Dante è un<br />

grande poeta, ed è vero, perché è il più grande che esista; però se qualcuno mi dice, fra<br />

voi o fra noi, ci sono anche i professori, che capisce Dante meglio che Marinetti <strong>non</strong> ci<br />

credo, perché anche Dante va letto con sotto le note, ci vogliono due, tre, cinque letture<br />

per capire una frase, alla fine; soltanto che usa i segni linguistici che noi conosciamo e<br />

usa le parole che, come parole, contengono vari significati, ma il significato della poesia<br />

– della frase della poesia – <strong>non</strong> è decifrabile parola per parola, bisogna ricomporre il<br />

senso, <strong>non</strong> è facile abbattere le barriere; in certi casi è più facile, naturalmente nella<br />

poesia politica c’è l’impegno politico. Allora, torniamo a Fortunato Depero, a<br />

L’onomalingua e a Verbalizzazione astratta. Perché astratta? Dice Depero che<br />

l’Onomalingua è strutturata dalle onomatopee, è derivata dall’onomatopea, dal<br />

rumorismo, cioè dalla scoperta dei rumori, dalla brutalità delle parole in libertà futuriste.<br />

È il linguaggio delle forze naturali, è il linguaggio degli esseri artificiali rumoreggianti<br />

creati dagli uomini: biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine. Esistono due<br />

nature: come mare, bosco e poi c’è la cosiddetta natura secondaria, che abbiamo creato<br />

noi. Vi leggo soltanto la fine: “Con l’onomalingua si può parlare e intendersi<br />

efficacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali, con le macchine.<br />

L’onomalingua è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale <strong>non</strong><br />

sono necessari i traduttori”; cioè stanno cercando un linguaggio, un modo di esprimersi,<br />

con cui si possono capire tutti, tutte le persone del mondo; ma <strong>non</strong> soltanto tutte le<br />

persone ma quasi tutti i fenomeni, tutti i viventi, tutti i fenomeni viventi dell’universo,<br />

che è un’utopia, una bella utopia, cioè: una bella aspirazione. Adesso, per illustrarvi<br />

questo, vi presento una poesia in lingua ungherese. [La interpreta sonoramente].<br />

- RR – [Applausi] Bravo! Bravo!<br />

- ES – Grazie tante. Do you speak English?<br />

- RR – Sììììì, sììììì, sììììì.<br />

- ES – Vediamo, vediamo. [Interpreta, nella versione inglese, la precedente poesia]. Era<br />

bella?<br />

- RR – [Sembrano spellarsi le mani, prodighi di un applauso più che mai vigoroso;<br />

qualcuno si cimenta anche in performance imitative: uuuhhhhhhh].<br />

- ES – Proviamo a cantare in coro. Meglio tardi che mai? No? Adesso viene la versione<br />

italiana. Va bene? Versione italiana della stessa poesia, perché <strong>non</strong> vi ho detto, ma le<br />

parole sono le stesse, solo che sono in ungherese, in inglese, adesso in italiano. Ve bene?<br />

[La interpreta in italiano].<br />

- RR – [Applausi dubbiosi].<br />

- ES – Quando capite [gli applausi via via più calorici coprono purtroppo le successive<br />

parole di Endre]. Adesso vi cito l’ultima versione. Ve bene? L’ultima. Sono sicuro che<br />

tutti capite perché <strong>non</strong> l’ho ancora detta. [Altra interpretazione].<br />

- RR – [Applauso vivacissimo].<br />

- ES – Quanto tempo abbiamo ancora?<br />

- MF – Volendo, ancora un’ora, [...]<br />

- RR – [Dialogano, tra di loro, in modo fittissimo producendo molto rumore].<br />

- ES – Allora, ragazzi, vi chiedo ancora dieci minuti e poi, se volete, potremmo fare delle<br />

cose insieme.<br />

- RR – Sììì. [Rispondono in maniera assai caotica].<br />

- ES – Allora <strong>non</strong> cambiamo idea. L’ultima poesia e poi facciamo insieme. Va bene?<br />

Questa è una poesia sempre in ungherese, ma <strong>non</strong> importa il significato. [Si prodiga<br />

nell’interpretazione].<br />

- RR – [Applaudono con vigore].<br />

14


In fondo all’aula, la signora Szkárosi osserva (con cipiglio?) la performance del marito.<br />

- ES – Facciamo qualcosa insieme. Okay. La poesia che vi faccio è molto semplice: ma –<br />

sapete – lavorare si deve sempre con precisione, per cui, se volete che facciamo insieme,<br />

dovete stare ancora attenti, anche se so che è un po’ stancante. Ma lo facciamo sul serio,<br />

tanto più che si tratta di un tema molto serio. La poesia comincia così, in ungherese<br />

comincia così: [interpreta, in ungherese, l’incipit della poesia], in italiano sarebbe più o<br />

meno così: A Piazza Cavour qualcuno ha detto. Adesso facciamo in modo che, quando<br />

io mi volto verso qualcuno, lei, lui, lei fa: Ahì. Va bene? Nei modi più variabili.<br />

- RR – [Qualche allievo ripete ad alta voce e per proprio conto l’interiezione Ahì, altri se<br />

ne aggiungono e, a mano a mano, il fiume s’ingrossa finché quasi tutti si prodigano<br />

nella reiterazione del gesto sonoro].<br />

- ES – Okay.<br />

- RR – [Lo strepito lievita velocemente e l’empito giovanile dei ragazzi erompe in una<br />

pinguissima gamma di smaccate potenzialità].<br />

- I – Sssccc!!!<br />

- ES – Facciamo il coro. Una bella idea.<br />

- RR – [Assentono ma continuano a schiamazzare].<br />

- ES – Allora, allora, vi scopro – vi rivelo – [tacciono di colpo] il segreto compositivo di<br />

questa poesia. Ogni volta diremo uno in più: Ahì una volta, poi due volte: ahì ahì, poi tre<br />

15


volte: ahì ahì ahì. È molto <strong>musica</strong>le perché dovete contare, come one, two, three, four,<br />

one, two, three, quattro! Eh? Cioè: uno, due, tre, quattro. allora una bella concentrazione.<br />

Okay? Silenzio [c’è un sommesso parlottio]. Concentrazione, eh? A Piazza Cavour<br />

qualcuno ha detto<br />

- RR – Àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto<br />

- RR – Àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto<br />

- RR – Àhi àhi àhi<br />

- ES – State attenti a variare il tono,<br />

il timbro, l’intonazione.<br />

-<br />

Cominciamo da capo. A Piazza<br />

Cavour qualcuno ha detto<br />

RR – Àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto<br />

- RR – Àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

ha detto, sei<br />

Endre in aula video.<br />

ha detto, sette<br />

-<br />

-<br />

RR – Àhi àhi àhi àhi àhi àhi<br />

ES – A Piazza Cavour qualcuno<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno ha detto, otto<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno ha detto, nove<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – A Piazza Cavour qualcuno ha detto, dieci<br />

- RR – Àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi àhi<br />

- ES – Grazie.<br />

- RR – [Applausi e strilli].<br />

- ES – Potremmo fare [il rumore originato dalle voci dei ragazzi subissa Endre]. Sarà un<br />

po’ più difficile sotto l’aspetto <strong>musica</strong>le, ma <strong>non</strong> è difficile. Mettiamo quattro parti del<br />

coro, va bene? Per prima questa parte del coro. Qui la seconda parte, va bene? Qui la<br />

terza parte. Di là la quarta parte.<br />

- RR – [Prorompono in commenti espressi a ruota libera].<br />

- ES – Adesso hanno realizzato tutti a quale parte appartengono. Adesso dovete<br />

verbalizzare due parole. Una parola è šùioš,<br />

- RR – [Ripetono all’unisono il vocabolo indicato].<br />

- ES – l’altra parola è cisàr.<br />

- RR – Cisàr cisàr [Si diffonde un intenso frastuono nell’aula].<br />

- ES – Scusate. Le due parole insieme šùiošcisàr.<br />

16


- RR – Šùiošcisàr, šùiošcisàr.<br />

[Termina il nastro dal lato A].<br />

- ES – Bene, allora grazie ancora della vostra pazienza, accoglienza, papapapapapà; okay,<br />

adesso <strong>non</strong> trovo più parole convinte. Mi è stato detto che sarebbe bello chiarire il<br />

significato di queste magiche parole che avete quasi cantato. Šùioš è pesante o grave,<br />

šùioš pesante o grave; mentre cisàr vuol dire un mestiere che è oscuro anche per me,<br />

anche in ungherese, perché i poeti usano delle parole che <strong>non</strong> sempre capiscono – molto<br />

normale; ma è una persona che lavora con i cavalli, cura i cavalli, pulisce i cavalli<br />

- RP – Stalliere.<br />

- ES – Come?<br />

- RP – Stalliere.<br />

- ES – Lo stalliere è pesante, lo<br />

stalliere è grave avete cantato<br />

prima. Mentre la parola con cui io<br />

ho interrotto la vostra bella<br />

canzone è il nome di un paese<br />

ungherese; è molto bello ma<br />

inspiegabile. Forse anche in Italia<br />

si trovano paesi che hanno nomi<br />

molto interessanti ma <strong>non</strong> sono<br />

decifrabili, <strong>non</strong> capibili. Anche<br />

per l’ungherese, [pronuncia un<br />

termine ungherese], molto bello,<br />

suona molto bello; ci sono anche<br />

elementi da capire ma il<br />

In primo piano il braccio ingessato di Endre.<br />

significato è tutto nella parola, è<br />

già oscurato nel tempo. Okay.<br />

Adesso – per istigarvi – farei una<br />

poesia che ho scritto in inglese,<br />

<strong>non</strong> perché sia un inglesista o<br />

parlo l’inglese senza errori, ma<br />

appunto perché ho lavorato per<br />

anni, da molti anni, con musicisti<br />

inglesi, amici cari, ottimi artisti;<br />

ho fatto parti vocali mentre<br />

-<br />

dovevo scrivere versi eccetera, e quando scrivi un testo (ecco questo è importante,<br />

potrebbe essere importante anche per voi) anche il poeta, anche l’uomo, quando scrive,<br />

può essere chiaro quando usa soltanto tre intenti, tre parole, tre intenti, tre connessioni di<br />

parole, che controlla completamente, dei quali conosce completamente il significato, la<br />

sua dura...eccetera. Adesso vi cito una poesia di [...].<br />

[Interpretazione particolarmente sonora “arricchita” da un sottofondo diffuso di voci<br />

adolescenziali prive d’inibizioni].<br />

[Applausi].<br />

- ES – Grazie grazie. Adesso forse potrei mostrarvi una <strong>musica</strong> da CD, va bene? Ecco.<br />

- RR – [Chiacchierano fittamente].<br />

- ES – Ecco: [Si ode una <strong>musica</strong> cantata. Endre ripete ritmicamente ad altissima voce<br />

alcuni vocaboli della canzone e i ragazzi della Centurione lo seguono replicando, a loro<br />

17


volta in coro,le parole ungheresi]. Ecco, toiàsh vuol dire uovo, uovo, vabbè. Allora<br />

facciamo qualcosa insieme.<br />

- RR – [Cicalecciano].<br />

- ES – Se volete facciamo la sonorizzazione,<br />

l’interpretazione sonora, di una cosiddetta<br />

poesia visiva di un artista italiano futurista<br />

che si chiamava Pietro Gigli; si tratta di<br />

queste lettere i messe in prospettiva. Allora<br />

cerchiamo di dare qualche interpretazione<br />

sonora. Io proporrei che uno due tre quattro<br />

sei, ci sono sette lettere, per cui facciamo<br />

sette altezze di suono e così facciamo un bel<br />

coro, facciamo sette gruppi. Ragazzi con la<br />

voce bassa, relativamente bassa<br />

- RR – [Clamori giovanili].<br />

- ES – Ragazzi, allora facciamo così. Un po’<br />

di pazienza per favore. La voce bassa la farò<br />

io, va bene? Allora la seconda nota, la<br />

seconda voce un po’ più alta, ... Potrebbero<br />

venire quei ragazzi che hanno un po’ la voce<br />

opaca, bassa così [pronuncia “opaca” e<br />

“bassa” scurendo volutamente l’usuale<br />

-<br />

-<br />

dizione]. Ecco chi ce l’hanno, <strong>non</strong> c’è<br />

problema.<br />

RR – [Si riproduce il chiasso di prima].<br />

ES – Allora facciamo in altro modo. Scusate,<br />

La consorte <strong>non</strong> demorde?<br />

-<br />

questa parte qui – ragazzi e ragazze insieme – fanno iiiiiiiiiiiiiiiiiiii. La terza parte<br />

RR – iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii... [Si divertono un mondo a commentare e a riflettersi nel<br />

suono della i, che intonano in vario modo variandone freneticamente l’altezza. Si<br />

accalca nell’angusto spazio dell’aula una scarica d’onde sonore in libertà che si<br />

riverbera dappertutto assordando le orecchie degli infelici astanti].<br />

- ES – Ragazzi, [Endre tenta inutilmente di riprendere la parola; le iiiiiiiiiiiiiiiiii esondate<br />

travolgono ogni cosa].<br />

- RP – Bastaaa!<br />

- ES – Se vogliamo farlo bene dobbiamo prendere un impegno con attenzione – okay? – e<br />

poi possiamo divertirci, dopo. Bene? Allora tutti attenti. Io do il segno di entrare – va<br />

bene? – di cominciare.<br />

- I – Sssssss.<br />

- RR – [Pronunciano la i dapprima in tono molto grave e a bassa voce e poi in un<br />

progressivo crescendo in altezza e volume; il tutto su un intreccio ovattato e ininterrotto<br />

di chiacchiericci diffusi].<br />

- ES – Grazie. Bravi.<br />

- RR – [Soddisfazioni, commenti, lazzi e molto altro].<br />

- ES – Grazie, ragazzi, grazie. Grazie e qualche parola: e adesso, <strong>non</strong> so, forse avete<br />

capito che qualche volta parlare è più difficile che fare poesia, perché, se c’è il senso<br />

della partecipazione, se c’è il senso della scoperta, del conoscere cose nuove, cioè di<br />

conoscenze ancora <strong>non</strong> avute, allora ci cura la mente, ci cura un po’ l’anima, forse anche<br />

il corpo, ma ad ogni modo ci dà un’esperienza forse insolita, un’esperienza della vita<br />

ancora negativa o <strong>non</strong> piacevole, allora è più difficile parlare del senso di tutto questo,<br />

cioè adesso mettiamo che abbiate il compito di scrivere un’avventura, che cosa ho visto,<br />

18


che cosa ho capito, forse potete farlo ma sarebbe difficile com’è provare a fare<br />

composizioni di questo genere iiiiiiiiiiiiii ... ooooooooooo ... tojaš tojaš tojaš tojaš<br />

eccetera eccetera. Allora quello che speravo in parte di mostrarvi, in parte di introdurvi<br />

in questo modo di concepire la poesia, di fare la poesia, di vivere la poesia è appunto<br />

questo aspetto complesso dei linguaggi che da un lato è uno sviluppo moderno nel senso<br />

che la cultura del Novecento (voglio dire la civiltà del Novecento, la civiltà delle<br />

macchine, la civiltà delle tecniche, delle tecnologie nuove) ha reso di nuovo – questo è<br />

importante – ha reso di nuovo possibile ricercare – esplorare – questi territori della<br />

lingua e dell’espressione nostra – no? – perché i linguaggi che usiamo, sia il linguaggio<br />

parlato sia il linguaggio <strong>musica</strong>le sia il linguaggio del divertimento, tutto è linguaggio,<br />

tutto è segno, anche se <strong>non</strong> ce ne rendiamo conto, cioè in questa complessità dei<br />

linguaggi possibili si possono fare esperienze artistiche ed esperienze poetiche nuove;<br />

anzi ormai questo modo di fare poesia, questa esperienza di esprimersi con due<br />

movimenti poetici, esplorare nuovi terreni per la poesia e per l’arte, ha già una storia di<br />

cento anni; però ripeto [...] un grande ritorno, la possibilità di un grande ritorno, perché<br />

naturalmente c’è la poesia lineare ancora, sopravvive, orale; anch’io faccio poesia<br />

lineare, scrivo delle poesie, pubblico, eccetera; <strong>non</strong> si tratta assolutamente di<br />

contraddizione, queste cose vivono insieme. Questa bella parola di Giacomo Balla, il<br />

vostro grandissimo pittore del Novecento, si tratta di una compenetrazione –<br />

compenetrazione – dei linguaggi e delle vite. Questo è un lato che volevo mostrarvi,<br />

l’altro lato, che è sempre un interessante segno di evoluzione dell’arte del Novecento e<br />

dei nostri giorni, è appunto l’intento della partecipazione, della partecipazione. Cosa<br />

vuol dire? Che l’arte, che la poesia <strong>non</strong> è una cosa che uno fa e l’altro deve ascoltare o<br />

deve leggere. Sì, sì, ci sono quelli che lo fanno, quelli che leggono. Molte volte leggono<br />

quelli che lo fanno e molte volte fanno anche quelli che leggono e soprattutto anche<br />

l’arte, ci sono tanti che in qualche modo fanno arte, teatro, cercano di esprimersi,<br />

cercano di conoscersi in quel lavoro che stanno facendo perché quando conosciamo<br />

nuovi territori, nuovi mezzi, nuovi linguaggi, tanto più conosciamo noi stessi meglio,<br />

meglio e riscopriamo anche noi stessi e così questa partecipazione, che è molto possibile<br />

nella poesia e nell’arte moderna, è sostanziale e importante. Per farvi qualche esempio:<br />

perché tornano tutti gli avanguardisti del primo Novecento alla situazione scenica?<br />

Fanno le cosiddette serate futuriste, dove leggono poesia, dove recitano poesia, dove<br />

fanno piccole scene della cosiddetta sintesi teatrale dove fanno <strong>musica</strong> rumoristica,<br />

fanno rumore eccetera, creano degli scandali da parte del pubblico, che <strong>non</strong> era ancora<br />

abituato a situazioni del genere; o accanto, e dopo i futuristi, i dadaisti che fanno il<br />

cabaret, il teatro di varietà, anche i futuristi. Marinetti ha scritto tra l’altro, tra i tanti<br />

programmi, il programma del teatro di varietà. Poi i dadaisti fanno il Cabaret Voltaire,<br />

dove fanno poesia sonora [recita, in lingua <strong>non</strong> italiana, versi di qualche poesia<br />

sonora]. Poi un altro grande artista che fa teatro, che fa poesia, nel secondo Novecento,<br />

già più vicino anche a voi, probabilmente avete già incontrato parecchie volte questa<br />

parola: performance, o prima – negli anni Settanta – happening, happening eccetera,<br />

appunto era inventato, appunto era evoluto, sviluppato, per cancellare, per distruggere,<br />

per eliminare i limiti, le barriere, i confini fra produttori dell’arte e consumatori dell’arte,<br />

produttori dell’arte e consumatori dell’arte, perché l’arte si fa insieme,, cioè <strong>non</strong> sono<br />

più ascoltatori passivi, <strong>non</strong> sono più soltanto consumatori passivi, ma l’esperienza è per<br />

tutti noi, cioè il risultato poetico-artistico può essere raggiunto se riusciamo a creare una<br />

situazione in cui tutti, in qualche modo, si riconoscono; a tutti viene la voglia di almeno<br />

sentirsi entro, entro, la creazione; entro, <strong>non</strong> fuori, entro. Ecco questo è importante e<br />

molto buono. Il mio intervento voleva informarvi di quest’esperienza. Naturalmente<br />

esistono tutti gli altri generi, come film eccetera, teatro tradizionale e così via.<br />

19


Allora io direi che ho finito; però avete voglia di fare qualche domanda o osservazione o<br />

qualsiasi cosa da chiarire? Naturalmente sarei felice, ma <strong>non</strong> è obbligatorio, ma sono<br />

curioso se avete qualcosa da essere chiarita o domande.<br />

- RP – Enzo Minarelli scrive le sue poesie su dei grandi fogli e mette dei segni che solo lui<br />

comprende, ecco, tu come scrivi quei testi? Cioè fai anche tu uso di questi segni, di<br />

questi geroglifici personali?<br />

- ES – Per dire, è vero, no; per dire, è vero, no. No, perché faccio anch’io poesia visiva,<br />

ma anche nella poesia visiva mi interessa la struttura piuttosto che il carattere del segno<br />

eccetera.<br />

- RP – Ma fa questo per se stesso, per poter leggere.<br />

- ES – Ah, per poter leggere. Per quello che riguarda la poesia sonora <strong>non</strong> faccio delle<br />

partiture perché elaboro tutto in mente, elaboro tutto in mente. Sapete quando faccio<br />

partitura? Quando – per esempio – devo dare un disegno, un concetto, un disegno ai<br />

tecnici che vogliono sapere dove stanno gli altoparlanti, dove vanno le luci,<br />

- RP – Il quadro tecnico.<br />

- ES – E sì, ma si fanno delle cose meravigliose quando si ha l’interpretazione visiva, e<br />

poi anche così faccio qualche partitura per denotare le poesie sonore. Perché? Per<br />

esempio t’invitano a un progetto stampato di un libro, allora <strong>non</strong> puoi metterci la poesia<br />

sonora; allora, oltre al testo, devi dare l’impressione visiva, cioè devi in qualche modo<br />

denotare, ma io preferisco denotare soprattutto la struttura del testo.<br />

- RP – Va bene. Grazie.<br />

- RR – [Producono grande rumore con il loro chiacchierare].<br />

- RP – Grazie.<br />

- RR – [Applaudono].<br />

[La registrazione termina con queste battute].<br />

20<br />

Altra istantanea dell’incontro.


21<br />

SOTTOLINEATURE<br />

ENDRE SZKÁROSI<br />

1. La poesia e la <strong>musica</strong> sono la stessa cosa.<br />

2. La poesia di Dante <strong>non</strong> è più facilmente interpretabile di quella di Marinetti.<br />

3. La poesia è cosa viva, va compresa e messa al centro di quella problematicità che è<br />

l’ascolto.<br />

4. La partecipazione, la scoperta e la conoscenza di cose nuove curano la mente, l’anima e<br />

forse anche il corpo.<br />

5. Esiste un modo di concepire e di vivere la poesia come interrelazione complessa di più<br />

linguaggi.<br />

6. La civiltà novecentesca delle macchine, delle tecniche e delle nuove tecnologie, ha reso di<br />

nuovo possibile esplorare i territori della lingua.<br />

7. Quanto più si viene a conoscenza di nuovi territori, di nuovi mezzi, di nuovi linguaggi,<br />

tanto meglio si riesce a conoscere se stessi.<br />

8. La partecipazione (caratteristica fondamentale dell’arte del Novecento) consiste nel<br />

superamento delle barriere <strong>esiste</strong>nti tra artista e fruitore (es.: performance, happening,<br />

cabaret, ecc.).


Immagine di Ivan Generalic<br />

I CAMMINANTI


1<br />

Migrano anime<br />

nel freddo inverno<br />

com‟oche bianche<br />

sulla tela grezza –<br />

pietà pietà<br />

ché il turbine è di pianto<br />

e il luogo è santo.<br />

Avvenne alle soglie dell‟inverno.<br />

Duro, in montagna.<br />

Tempo di peregrinazioni solitarie, di nebbie improvvise sui dorsali, di canti lenti e monodici tra i<br />

rami rivestiti con le ultime foglie color bronzo.<br />

Solidale, anche.<br />

Le creature rabbrividiscono, rimpiccioliscono. Si spogliano del superfluo e si coniugano con la<br />

notte. Alta, pervasiva, fredda.<br />

Condizione da solitari, da monaci salmodianti mantram, da profughi delle città di pianura.<br />

La terra del sentiero crocchiava sotto i piedi. Le rocce mostravano il loro volto di licheni rossastri.<br />

Sulle vette, la neve aveva posto sigillo, e qui, nella frazione di poche case in pietra, il silenzio<br />

spalmava le lose dei tetti. Nessun ricciolo di fumo turbava l‟acquerello del cielo.<br />

Stufa spenta, dimora disabitata.<br />

I ripari degli umani tendevano al ritorno, nella natura austera e dignitosa.<br />

Donde venisse <strong>non</strong> fu dato sapere.<br />

Di certo proveniva dal valico, dall‟oltr‟Alpe, dalla terra a nord-ovest. Da là era partito, come altri<br />

camminanti, secchi, stanchi ed essenziali, dimagriti nel vento che sul passo soffiava umido.<br />

Appoggiato a un bastone, scendeva verso il villaggio abbandonato, con un passo regolare, quasi<br />

fosse palpito del paesaggio.<br />

Di lontano era macchia un po‟ curva, misto di colori opachi, castagne, bacche, foglie dorate.<br />

Avvicinandosi alle prime case, erette direttamente sulla schiena della montagna, mostrava un volto<br />

dagli zigomi alti, con occhi fessurati, bocca sommersa nel pelo bianco dei baffi che si prolungavano<br />

in una barba svolazzante. Sulla testa un berretto di lana, dal quale spenzolava una penna.<br />

Fuoriuscivano lunghi capelli, fini come quelli dei bambini, riposanti sulle spalle. L‟abito, di panno<br />

pesante, indicava il lungo camminare dell‟uomo. Solo la sciarpa, color bacche di rosa, offriva alla<br />

vista una luce violenta. Il resto, giaccone, maglione, calzoni e scarponi, raccontavano storie di<br />

stagioni cangianti. Sulla schiena uno zaino, a tracolla una bisaccia.<br />

L‟apparizione sarebbe piaciuta a Rinaldo, l‟amico delle capre, l‟unico abitante fisso della frazione.<br />

Egli, infatti, intercettò l‟ospite.<br />

Stava risalendo verso casa, a fianco della somarella, quando s‟accorse dell‟uomo, seduto accanto<br />

alla fontana.<br />

“Arrivate da lontano?”<br />

“Da altre terre, sì!”<br />

“Scusate la curiosità…Sono quasi sempre solo, a parte i miei animali, e mi piacerebbe sapere con<br />

chi ho a che fare…”<br />

“Avete ragione, e me ne scuso. Sono Capitan Nuvola…”<br />

“Capitan che?”<br />

Rinaldo ebbe un soprassalto. Il nome gli rievocava antiche storie personali, quando, più giovane, in<br />

pianura, nella città, aveva pensato di poter cambiare il mondo, considerandolo, in quel momento,<br />

23


cattivo. Girava una voce, tra il popolo dei dissidenti. Un nome, color del cielo, veniva evocato, ma a<br />

chi corrispondesse nessuno lo sapeva.<br />

“Capitan Nuvola, proveniente dal mondo. Già felice e rispettato membro di comunità ìlari e<br />

pacifiche, già cantore della bellezza e della bontà della vita. La mia gente è stata dispersa<br />

dall‟arroganza e dal potere, mio caro amico. Ma il cielo sta sempre sopra la mia testa e la terra sotto<br />

i miei piedi. Fino a quando avrò respiro sarò Capitano e sarò Nuvola, <strong>non</strong> so se mi spiego…”<br />

“Ma voi siete una leggenda! Quando avevo meno anni e facevo più errori, giù, nelle fabbriche, per<br />

le strade e le piazze della città, tra tanta gente arrabbiata, sofferente ed umiliata, girava il nome di<br />

Capitan Nuvola. Sareste forse voi?”<br />

“Sono, e <strong>non</strong> sono, colui che tu evochi. Sappi che quella voce di speranza era il corpo del Capitano,<br />

ovunque e chiunque egli fosse. Fino a che, da bocca a orecchio, il nome continuerà a spostarsi,<br />

l‟uomo dal nome di cielo vivrà. Ma ora devo continuare il mio viaggio e voglio lasciarti un dono…”<br />

“A me? E perché?”<br />

“Perché sei una creatura, perché sei buono, perché <strong>non</strong> arrechi sofferenza. Ti chiami Rinaldo, <strong>non</strong> è<br />

vero? D‟ora in avanti il tuo nome sarà Capitan Nuvola e cerca di portarlo con dignità!”<br />

“Ma perché questo! Perché io!”<br />

“Perché la storia continui, perché il vento, su questi monti e tra queste vecchie case, possa sempre<br />

ricordare il messaggio, perché sono vecchio e sto per andarmene…”<br />

“Rimani, invece, raccontami di te, tienimi compagnìa…Sapessi com‟è rigido l‟inverno da queste<br />

parti! Sarò un buon ascoltatore e i cani ci proteggeranno da spiriti cattivi. Dividerai con me la<br />

polenta ed il formaggio. La neve ci aiuterà a dormire…”<br />

“Non posso fermarmi. Vorresti impedire alle nuvole di migrare?”<br />

Si alzò lentamente, ma pareva più giovane, più sollevato.<br />

Sorrise a Rinaldo.<br />

Volse uno sguardo attorno, quasi a benedire con gli occhi quella porzione d‟Alpe.<br />

Poi s‟incamminò.<br />

Rinaldo era frastornato, <strong>non</strong> credeva a quel che gli era successo. Pensava ad uno scherzo della<br />

stanchezza.<br />

In lontananza, quasi inghiottita dal bosco, scorse ancora la figura dell‟uomo, che la leggenda<br />

chiamava Capitan Nuvola, esule da tribù pacifiche come le greggi del cielo.<br />

La nebbia si sollevò dal vallone.<br />

Inghiottì il bosco, le case in pietra, il tempo.<br />

Rinaldo Capitan Nuvola accarezzò l‟asina.<br />

2<br />

Giugno trionfava nel rosso delle sue ciliegie.<br />

Lungo le strade delle valli capitava di incontrare uomini e donne che vendevano i frutti maturi.<br />

Ci si avvicinava alla festa di S. Giovanni.<br />

Un baco bianco, che nelle zone pedemontane chiamano Giovannetto, già si nutriva della polpa<br />

dolce.<br />

L‟estate esplodeva nel calore e nei colori. Le mucche stavano sugli alpeggi ed il cielo indugiava tra<br />

l‟azzurro intenso ed il biancastro.<br />

Sui monti ci si preparava a celebrare il 24, con falò, feste e bevute. Affermavano che in quella notte,<br />

magica, si sarebbe aperta una porta tra il Qua e il Là, di modo che vivi e morti potessero<br />

comunicare. E la gente di montagna sa quel che dice!<br />

Fuori dal villaggio, sul dorso dei prati, i giovani avevano accatastato fascine e legname più<br />

consistente. Gli anziani avevano riempito i pintoni d‟un vino gagliardo, cupo come la notte ed<br />

acidulo come le fragole. Le donne, di qualunque età, avevano preparato il pane al forno e sughi e<br />

sughetti appetitosi.<br />

24


Si attendeva che calasse la sera e, con il primo buio, un po‟ di frescura allietasse la gente del<br />

villaggio che, riunitasi in famiglie ampie, formava grandi cerchi sull‟erba, al centro dei quali la<br />

tovaglia bianca richiamava il pallore dei morti. Il 24 di giugno, però, <strong>non</strong> ci sono più nemici o<br />

persone lontane. Morti e vivi fraternizzano. La loro differenza è temporanea. O prima o poi tutti<br />

saranno simili, ed allora…<br />

Il sole spariva lentamente, sostituito dalla luna. Nuvole rossastre striavano il cielo. L‟allegrìa era<br />

rumorosa. Qualcuno ricordava chi <strong>non</strong> c‟era più a festeggiare il S. Giovanni, ma sperava nella notte,<br />

in questa notte particolare, quando s‟apriva la porta…<br />

Anche i bambini sembravano comprendere l‟eccezionalità del momento. Dopo che il capofamiglia<br />

ebbe benedetto il cibo, iniziarono tutti a mangiare in silenzio. I rumori del prato si accendevano,<br />

come fiammelle, o forse erano lucciole. Le ore passavano.<br />

Le donne avevano sparecchiato e riposto tovaglia e posate in un canestro. Gli uomini avevano<br />

acceso sigarette, sigari o pipe. Il fumo saliva lentamente, cambiando di forma e direzione. Le ore<br />

passavano.<br />

A mezzanotte avrebbero dovuto dar fuoco ai falò, che li vedessero dalle valli, che dialogassero con<br />

le lingue vermiglie su altri dorsali, mentre i boschi d‟abeti e di pini sprofondavano in una macchia<br />

cupa.<br />

Si prepararono tutti, ciascuno con una torcia in mano, attorno ai cumuli di legna, ammassata come<br />

piramidi vegetali. La mezzanotte stava per giungere, la porta per aprirsi, il prodigio per realizzarsi!<br />

Ad un comando dato, il fuoco fu attizzato.<br />

Cuccioli di luce iniziarono a giocare, a corteggiare i sarmenti, intrufolandosi negli spiragli,<br />

assorbendo ossigeno, ampliando i propri toraci calorosi e, all‟improvviso, una fiammata raggiunse<br />

la vetta del falò e ricadde, gialla, rossa, blu, avvolgendo la catasta.<br />

I convenuti all‟incontro si misero a danzare. Il prodigio andava chiamato. “Se <strong>non</strong> chiami la fortuna,<br />

se ne va da un‟altra parte!”. Ed allora, un intenso richiamo mentale, ciascuno il suo, per vedere se<br />

l‟amore valicava le tenebre, purificandosi nel fuoco, e riusciva a farsi percepire nel mondo<br />

misterioso dei defunti.<br />

I falò bruciarono rapidamente, grazie anche ad un leggero vento che s‟era alzato verso la<br />

mezzanotte. “Sono le anime dei morti che vengono a trovarci, <strong>non</strong> abbiate paura…”, mormorava,<br />

con rispetto, una <strong>non</strong>na, e i nipoti si raggruppavano gli uni vicini agli altri attorno alla ampia gonna<br />

della donna.<br />

Il fuoco si ridimensionò e, alla fine, rimasero mucchi di brace ardente. La gente si accucciò a<br />

cerchio, in attesa.<br />

Fu, forse, nel gesto di sedersi sul prato che Antonio scorse una figura indistinta, quasi avvolta da<br />

nebbia, o forse dal fumo residuo dei falò che si stavano smorzando, avvicinarsi al gruppo. Era tutto<br />

vestito di nero e sul capo portava un cappellaccio a tese larghe, come quello dei moschettieri. Si<br />

riparava dall‟umidità notturna con un mantello, simile ai neri che i nostri vecchi portavano, prima<br />

che anche qui venisse di moda il cappotto. Con un gesto della mano chiese il permesso di<br />

accostarsi e si sedette. Passato un attimo di comprensibile stupore fu Carlina a porre la domanda:<br />

“Voi chi siete? Da dove venite? Non vi abbiamo mai visto da queste parti…”. L‟uomo si tolse il<br />

cappello, fece un cenno con la testa, dai capelli grigi, lunghi , e poi rispose: “Mi chiamano Capitan<br />

Nuvola e tanto tempo fa ho abitato anch‟io in queste valli. Ora sto di là, ma sempre al vostro<br />

fianco. Quando sarà giunta la vostra ora ci ritroveremo assieme, ma quel tempo è ancora lontano.<br />

Dovete ancora crescere i piccinini…”.<br />

I presenti rimasero attoniti. La voce dello sconosciuto era rauca, con un fischio ricorrente. Nessuno<br />

di loro si ricordava di averlo mai visto, <strong>non</strong> sugli alpeggi e nemmeno nelle osterie a valle. Aveva<br />

detto che abitava „di là‟ e in quel posto ci stanno soltanto i defunti, pace all‟anima loro! Ma questa<br />

era la notte di S. Giovanni e tutto era possibile, anche che un tale vissuto in valle chissà quanti<br />

secoli prima, almeno a vedere la foggia dei suoi abiti, oltrepassasse la porta per portare ai vivi un<br />

qualche messaggio, oppure, come diceva sempre Pinota a Giovanni piccolo, per scaldarsi al calore<br />

del corpo infantile, che è senza colpa ed ha la forza dell‟amore.<br />

25


“Capitano di cosa, se permettete, e quando? La guerra è finita, viviamo in pace. Non ricordiamo che<br />

ci siano state bande partigiane con a capo un tipo del vostro nome… Non prendeteci in giro, noi<br />

siamo gente semplice…”.<br />

L‟interpellato scrollò la testa. Sempre così succedeva ad ogni notte di S. Giovanni! Trovava<br />

incredulità. Eppure lui era lì, in forma magari incorporea, forse sì forse no, con la sua voce,<br />

arrochita dall‟umidità della terra, con la sua faccia dal caratteristico pizzo peloso, il barbet.<br />

Rispose, con cortesia. Ai suoi tempi si era molto cerimoniosi e la buona creanza la si ricordava<br />

anche dopo secoli, anche nelle traversìe più dure.<br />

“Sono stato capitano di perseguitati. Uomini, donne e bambini, che dovettero fuggire dalle loro<br />

case, sistematicamente distrutte, su per le valli alte, come camosci, senza ripari, senza cibo… Si<br />

attendeva la neve per avere un po‟ di quiete. Allora nessuno più si azzardava a salire la montagna. Il<br />

freddo e la fame falciavano le vite, dei più piccoli e dei più vecchi. Ma si r<strong>esiste</strong>va e là dove <strong>non</strong> si<br />

cedeva alla prepotenza, al razzismo, di pelle o di religione, al sadismo dei potenti, c‟era sempre un<br />

Capitan Nuvola, imprendibile come il nome, pronto a sciogliersi in pioggia ma a rigenerarsi,<br />

portando, attraverso il cielo, notizie di speranze. E il cielo volle che riuscissi a vedere la fine della<br />

persecuzione, il ritorno alle case distrutte, la ricostruzione, i lavori, le mandrie ai pascoli, e le mie<br />

orecchie furono nuovamente allietate dalle canzoni, che parlavano d‟amore, di corteggiamenti, di<br />

figli a venire. Poi toccò la mia ora. Ma <strong>non</strong> cercate il cippo. Non lo troverete. Le Nuvole <strong>non</strong> hanno<br />

tombe. E, <strong>non</strong> ve lo auguro, se verrà il tempo malvagio in cui i deboli e i sorridenti dovranno<br />

nuovamente fuggire, valicare i colli, approdare in terre sconosciute, allora risentirete parlare di<br />

Capitan Nuvola. Forse sarà sangue del vostro sangue, forse…”.<br />

Tacque. Ed anche gli altri rimasero pensierosi.<br />

Vuoi vedere che il prodigio di S. Giovanni s‟era realizzato!<br />

Dalla Terra della Morte era giunto, a gioire di vita, un amico ritenuto perduto. Gli fu offerto del<br />

vino caldo. Strinse la ciotola tra le mani e lentamente versò il contenuto sulle braci, che<br />

sfrigolarono. I morti <strong>non</strong> possono bere, ma il vapore del vino è loro gradito.<br />

Si alzò, si avvolse nel suo tabarro, si calcò in testa il cappello. Salutò con un inchino, lanciò un<br />

bacio ai bambini. La notte pareva più nera, attorno a lui.<br />

Si volse e, con passo pesante, da montanaro, si allontanò. La sua sagoma si assottigliava sempre<br />

più. Diventava aria, erbe, pini. Ritornava, il Capitano, ad essere Nuvola. E così sia.<br />

3<br />

Verso la fine d‟agosto, a ridosso de Lu Chanto Viol, l‟estate, torrida, convogliava famiglie a<br />

Sampeyre. Non tutte percorrevano i sentieri alpini, preferendo il passeggio attraverso la piazza, ma<br />

tutte amavano la temperatura, più mite che in città, e l‟aria pulita.<br />

Alla sera del sabato sarebbero apparsi altri individui, spuntati da <strong>non</strong> si sa dove, a prendere possesso<br />

del buio e della <strong>musica</strong> che di lì a poco avrebbe fatto danzare anche le panche in pietra. Facevano<br />

parte di strane e misteriose Confraternite, come quella dei Camminanti, composta da poeti,<br />

musicisti, innamorati.<br />

Già al mattino una voce preoccupata girava nei bar, tra un pastis e l‟altro. Barba Tonio era<br />

scomparso. Il giorno prima lo si era visto, un po‟ bevuto, salire verso la montagna. Da allora <strong>non</strong> era<br />

più tornato. Qualcuno pensava si fosse addormentato in un prato, complice il vino ed il caldo;<br />

qualcun altro temeva avesse avuto un malore, perché ricordava che Barba Tonio conosceva bene i<br />

sentieri e <strong>non</strong> si sarebbe perso di certo… “Le notti in montagna <strong>non</strong> appartengono agli umani”, si<br />

diceva, e chi vuole intendere, intenda!<br />

Gruppi di giovani partirono alla ricerca. Prima di allarmare il Soccorso Alpino era meglio<br />

verificare. Se fosse disceso all‟insaputa di tutti ed ora russasse tranquillamente a casa sua? No, a<br />

casa sua <strong>non</strong> c‟era. Solo il gatto, sul tavolo, stava rosicchiando il resto d‟un formaggio puzzolente.<br />

L‟ultimo che lo aveva visto era stato il proprietario dell‟Edelweis. Barba Tonio s‟era fatto<br />

26


confezionare un panino imbottito, aveva bevuto un caffè forte. Il suo alito sapeva di bisboccia, ma<br />

nessuno se ne preoccupava più di tanto. Quell‟uomo avrebbe sotterrato tutti, tanto era forte, ed il<br />

vino gli era amico.<br />

Fu così che le ricerche s‟interruppero.<br />

Sampeyre era colma di gente venuta da fuori. Non era il caso di allarmarla. Il giorno dopo,<br />

domenica, ci sarebbe stato Lu Chanto Viol , e già si attendevano <strong>musica</strong>nti provenienti dal<br />

Delfinato, più tutti gli abituali delle valli e dintorni. La notizia della scomparsa misteriosa d‟una<br />

persona avrebbe turbato l‟atmosfera, che era gioiosa e briosa, come sempre.<br />

Venne la sera del sabato. La piazza si riempì, accanto al palco sistemato per i musicisti ospiti. Nei<br />

bar stazionavano combriccole allegre che celebravano i rituali giri di pastis. Poi, un ritmo birichino,<br />

la curento delle valli occitane, incominciò a serpeggiare nell‟aria ed i piedi, incontrollabili, si<br />

misero a battere il tempo e le coppie si formarono e fu tutto un darsi e lasciarsi, un volteggiare e un<br />

saltare, quasi un gioco di orsacchiotti. I vecchi amici si ritrovarono, nuove relazioni si crearono, in<br />

quella notte votata alla gioia, sotto le stelle della val Varaita.<br />

Le ultime note si allacciarono stanche fin quasi all‟alba. Di lì a poche ore sarebbero partiti, verso<br />

Becetto, per i sentieri nei boschi, tutti coloro che, tra <strong>musica</strong> e vino, avrebbero dato vita a Lu<br />

Chanto Viol.<br />

Becetto, piccola frazione di Sampeyre, ospitò, come sempre, <strong>musica</strong>nti e ballerini, sognatori e<br />

curiosi. Verso mezzogiorno <strong>non</strong> c‟era più un angolo del paese che <strong>non</strong> fosse occupato da qualche<br />

trio di organetto, violino e ghironda, intento a far danzare coppie, quadriglie e cerchi di giovani ed<br />

anziani, esperti e goffi.<br />

Di lì a poco tutto si sarebbe calmato, ci sarebbe stato un rallentamento generale per il pranzo sui<br />

prati, a base di polenta, salsiccia , formaggio e vino rosso.<br />

Nessuno si ricordava più di Barba Tonio. Ma, al pomeriggio, quando, accanto al lavatoio, si riunì la<br />

cricca antica ed iniziò a folleggiare in <strong>musica</strong>, allora lo si vide, sorridente, gli occhi luminosi ed i<br />

pomelli rossi. Pareva ringiovanito. Non più le guance grigie, i capelli incollati al cranio e quell‟aria<br />

di dire “Perché mai dovrei interessarmi al mondo!”. Se Barba Tonio era tornato, allora si poteva di<br />

nuovo ridere, bere e ballare. La montagna <strong>non</strong> aveva tradito.<br />

Rimaneva, però, quel lasso di tempo durante il quale Tonio era scomparso. Nessuno era in grado di<br />

fornire una risposta. Ma questa, o prima o poi, il Barba avrebbe dovuto darla, altrimenti che amico<br />

era! E se si venivano a sapere i fatti prima, era meglio.<br />

Un gruppetto di persone sedeva in cerchio sulle pendici del prato, poco distante dalle centinaia di<br />

grilli umani che, con il passare delle ore, si eccitavano sempre più. Al centro stava Barba Tonio e<br />

raccontava. Gli altri ascoltavano, a volte scuotendo la testa, a volte sorridendo, come si fa con i<br />

bambini quando la contano grossa.<br />

“Vi ringrazio per la premura di ieri, ma voi sapete che ce ne vuole prima che qualcuno o qualcosa<br />

riesca a sbattermi a terra, quando si tratta di montagna… Eppoi questa la conosco bene; è stata, ed<br />

è, la mia amica, da una vita! Non sono caduto, <strong>non</strong> mi sono addormentato ubriaco perso… Ho fatto<br />

semplicemente un incontro straordinario, che <strong>non</strong> credevo possibile, che attendevo da sempre…”.<br />

La curiosità era palpabile come nebbia densa.<br />

“Dovete sapere che avevo deciso di andare a cercar funghi. Lo so che <strong>non</strong> è la stagione, ma <strong>non</strong><br />

avevo altro da fare, i turisti mi annoiavano e faceva troppo caldo per i miei gusti. Sono partito,<br />

dunque. Pensavo di tornare nel pomeriggio, l‟avevo detto al bar, ma qualcosa è successo e così ho<br />

passato la notte lassù…”.<br />

Nessuno sollecitava Barba Tonio. Le pause, le ripetizioni, facevano parte del suo modo di narrare.<br />

Si stava bene, seduti sull‟erba, leggermente euforici. Il mondo si concentrava lì, nel suo nocciolo.<br />

Altrove c‟era la morte quotidiana, l‟abitudine, la ripetizione.<br />

“Mentre mi riposavo, all‟ombra di un castagno, vidi avvicinarsi un tipo, piccolo di statura, barba<br />

bianca, capelli svolazzanti, abiti color ruggine. Non pensai a nulla di particolare. Per i sentieri passa<br />

gente di tutte le qualità. Ma quest‟individuo si fermò. Si sedette accanto a me, all‟ombra del<br />

castagno, e mi offrì da bere dell‟acquavite. Non disse una parola, ma quando si tratta di bere <strong>non</strong> c‟è<br />

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isogno di parlare. Tutt‟al più, a buon rendere! Lo guardai da vicino. Pareva vecchissimo, ma il<br />

corpo era snello. Gli occhi, poi, brillanti, esprimevano una grande serenità mista ad ironia. Non so<br />

spiegarmi bene: era come se stesse prendendomi simpaticamente in giro. Non sono permaloso ma,<br />

pur rispettando la differenza d‟età, ed io <strong>non</strong> sono più un ragazzino!, se voleva botte le avrebbe<br />

avute… Per questo gli chiesi cosa volesse da me e perché mai fosse capitato in quel posto e in<br />

quell‟ora.”<br />

Gli sguardi dei presenti erano concentrati sulle mani di Barba Tonio, che le muoveva, quasi a<br />

modellare la figura dell‟apparizione. Tutti si attendevano che la storia continuasse…<br />

“Mi rispose, con una voce lenta e melodiosa che <strong>non</strong> ho mai sentito in giro, e mi raccontò che, in<br />

realtà, era venuto a prendermi. A lui e ai suoi amici <strong>non</strong> piaceva la vita che stavo conducendo, tra<br />

solitudine e vino cattivo. Disse che, anche se <strong>non</strong> me n‟ero accorto, la malinconia stava<br />

afferrandomi l‟anima e la stanchezza mi avrebbe fatto cadere da una roccia. Ma <strong>non</strong> era ancora il<br />

momento di lasciare questo mondo, mi disse, e per questo lui era qui, sotto il castagno. Avremmo<br />

atteso la notte ed allora avrei potuto incontrare simpatia e solidarietà, ma prima bisognava spurgarsi,<br />

come fanno le lumache. Ci alzammo e mi accompagnò ad una sorgente dalla quale sgorgava acqua<br />

gelida. Mi lavai intensamente ed ogni volta che l‟acqua passava sul mio volto mi pareva di<br />

diventare più leggero. Non m‟importava più dell‟età, dei fallimenti nella mia vita, del fatto che <strong>non</strong><br />

avevo famiglia, di quel che la gente avrebbe potuto pensare.”<br />

Qualcuno accennò alla fontana dell‟eterna giovinezza affrescata nel castello di La Manta, qualcuno<br />

storse il naso…<br />

“Venne la notte e ci trovammo in una radura, <strong>non</strong> molto lontano da Becetto, a quel che ho potuto<br />

capire questa mattina scendendo giù. Da vari angoli sbucavano strani individui, con abiti dai colori<br />

vivaci. Quando si avvicinavano al mio compagno lo salutavano con rispetto. Non capivo perché.<br />

Poi uno degli ultimi arrivati, un tipetto con il violino, lo chiamò Capitan Nuvola. Che fosse il<br />

famoso folletto di cui si andava favoleggiando in valle quando si raccontavano storie per far<br />

dormire i bambini? Capitan Nuvola chiese silenzio e, ottenutolo, mi presentò. Tutti avevano l‟aria<br />

lieta. Ognuno di loro, a turno, mi si avvicinò e mi toccò. Ad ogni incontro della mano con il mio<br />

corpo guadagnavo in fiducia. Quegli strani individui facevano regali, a me, l‟ubriacone del paese, il<br />

buono a nulla in attesa di morire! Poi Capitan Nuvola parlò, ma senza pronunciare parole. Tutti, io<br />

compreso, capivamo il suo pensiero e sapevamo d‟essere a casa, amati, protetti, sul sentiero giusto.<br />

Ci furono danze fin quasi al mattino e, verso l‟alba, ad uno ad uno si ritirarono nel bosco, quegli<br />

amici sconosciuti e senza nome! L‟erba pigiata rialzò il capo. Ancora si trattenne Capitan Nuvola.<br />

Bevemmo un ultimo sorso di acquavite, ci abbracciammo e, sempre senza alcun suono, il Capitano<br />

dei folletti mi chiese di raccontare questa storia, di dire che la vita <strong>non</strong> finisce, che è ovunque, anche<br />

là dove <strong>non</strong> si vede, che è bene amare i propri luoghi, e quelli degli altri, perché sono casa, futuro,<br />

cielo. Mi disse di andare lieto, di salutare i <strong>musica</strong>nti di Becetto, il pittore di Boves, lo scrittore di<br />

poesie. Poi volse il dorso e mi sembrava che quella figura fosse antica, che l‟avessi già incontrata<br />

quando ero bambino, sugli alpeggi, o quando andavo a cogliere i mirtilli; mi pareva di casa, di<br />

quella casa che <strong>non</strong> avevo mai avuto, di quella famiglia che, ora lo sapevo, era il mondo, siete<br />

voi…”.<br />

Marco fu il primo a scuotersi. Afferrò nell‟aria il ritmo d‟una curento, prese per le mani una<br />

fanciulla, e si lasciò trasportare. Pareva la diaspora dei soffioni. Volteggiava, sorrideva, saltava. Ed<br />

il mondo, di certo, era nuovamente pacificato.<br />

4<br />

La Provenza è terra nata dalla mente di un pittore!<br />

Forse qualche fata vi alloggiò, in preda al mal d‟amore. Forse Oberone vi calò dal nord, incantato<br />

dai racconti che nelle notti stellate facevano i viaggiatori.<br />

28


Quando soffia il Mistral e tutto si confonde, tra i colori della lavanda e del rosmarino amori e<br />

gemiti, folletti e disperati creano composizioni arcane. Van Gogh vi abitò e dipinse girasoli<br />

ossessivi, tristi autoritratti, campi di corvi in volo e cieli portatori di sventure. Si racconta che a<br />

Saint Rémy amasse passeggiare tra i pini, accanto a vecchie cave romane, assorbendo luce, sole,<br />

stridìo di cicale. Il Pan del meriggio che induce all‟autodistruzione si era addolcito, aveva assunto i<br />

contorni delle pietre rosse lungo il Rodano.<br />

La gente di queste terre ama la danza, il chiacchiericcio sotto le pergole, osservando i giocatori di<br />

bocce, il „vino delle sabbie‟ che reca con sé una lieta sonnolenza e aiuta a perdonare i torti.<br />

A nord i resti del grande zoccolo alpino continentale, a sud l‟azzurro del Mediterraneo. Dalla<br />

Provenza passano strade per grandi viaggi e l‟amore vi fu cantato per molto tempo prima che la<br />

violenza del potere sradicasse nel sangue la civiltà dei trovatori.<br />

La storia si svolse vicino ad Arles, e precisamente nella località che ha per nome Les Baux de<br />

Provence. Si tratta di un agglomerato di enormi massi erratici che formano una sorta di roccaforte<br />

naturale nel cuore della piana, con le Alpilles ad est per ricordare che ogni pietra discende dalle<br />

montagne e della loro natura è testimone. Sui Baux fu costruita, nei tempi dei tempi, quando la<br />

ghironda accompagnava storie sentimentali, una fortificazione. Di là si dominava, con lo sguardo,<br />

un ampio territorio azzurro e viola. D‟estate i Baux sono assaliti, ora, <strong>non</strong> più dai Saraceni ma da<br />

terribili turisti in brache corte, con le gambe bruciate dal sole e le ascelle che puzzano di deodoranti.<br />

Poi viene l‟autunno e con esso la calma e le memorie ed i fantasmi ed il vino pomeridiano ed il<br />

gioco delle bocce in attesa che il Mistral chiuda tutti in casa e narri, soffiando, quel che ha assorbito<br />

sul territorio.<br />

La voce girava da tempo, ma pareva fola di vecchiette, fantasia nata all‟imbrunire. Si diceva che<br />

nelle notti di luna piena, quando potevi scorgere le lepri correre sui prati, appariva, tra i ruderi del<br />

castelletto dei Baux , una figura nera, netta nel chiarore lunare, che pareva invitare la gente a<br />

raggiungerla. Molti dichiaravano che probabilmente si trattava dell‟ombra di qualche castellano,<br />

incapace di dormire nel sonno della Morte; altri ridacchiavano affermando trattarsi d‟una roccia che<br />

la Luna ingigantiva e la credulità della gente trasformava. In ogni caso <strong>non</strong> dava fastidio a nessuno<br />

e i Provenzali <strong>non</strong> sono persone litigiose.<br />

La questione intrigava i ricercatori di folclore. La Provenza era stata la patria dei Catari, della lingua<br />

d‟Oc, dei Liocorni e delle Castellane. Il vento del nord, brutale e senza scrupoli, era calato su questi<br />

ricami del tempo, li aveva stracciati, bruciati i castelli, cancellate le tradizioni, ma, sostenevano gli<br />

ermetici esploratori di cose antiche, qualcosa rimane sempre, anche dopo un incendio, e sono<br />

sufficienti la pioggia e la pazienza perché l‟orfano seme riprenda a vivere.<br />

Tutto sarebbe rimasto nel limbo del „si dice‟ se in quella zona <strong>non</strong> avessero abitato due fidanzati.<br />

Lei, Cécile, intraprendente e innamorata, lui, Mathieu, assennato e innamorato. Un giorno o l‟altro<br />

si sarebbero sposati ma ancora mancavano i denari per la casa e ,a meno di trovare un tesoro nella<br />

pentola in fondo all‟arcobaleno, la faccenda <strong>non</strong> era di facile risoluzione. I due trascorrevano le<br />

serate a congetturare, a far progetti, sotto le stelle, guardando lontano, verso i Baux.<br />

Nati in un secolo di concretismo duro, si sentivano orfani. Mancava loro un padre di fantasia, una<br />

madre di cantilene. Troppo presto li avevano gettati tra le braccia del produrre e consumare per<br />

poter produrre. Erano come rinsecchiti, all‟esterno. Per loro il Mistral soffiava in continuazione e la<br />

pelle, veicolo di comunicazione, chiudeva i suoi pori, diveniva spessa, insensibile. Sotto, però,<br />

scorreva ancora una voglia ballerina, un bisogno di racconti, di poesie tenere e malinconiche,<br />

specialmente alla loro età, irripetibile, irrecuperabile: l‟età dell‟amore.<br />

Senza nemmeno consultarsi, una sera, dopo cena, si incontrarono sulla strada che portava<br />

all‟interno, verso i sassi deformi nella luce della luna. Avevano scorto, di lontano, la figura nota ed<br />

uno strano richiamo li attirava verso i Baux. Si presero per mano, sorrisero, un poco sconcertati,<br />

senza sapere che cosa avrebbero trovato, una volta giunti a destinazione. Bisognava camminare per<br />

un‟ora. Sarebbe stato meglio andarvi in bicicletta! Zaffate di lavanda colpivano piacevolmente le<br />

loro narici e nel cielo scorgevano, rapide, scorrere le stelle cadenti. A San Lorenzo anche gli astri<br />

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vengono incontro agli innamorati perché per ogni stella che stria il cielo si può esprimere un<br />

desiderio e ben possiamo immaginare quali fossero quelli di Mathieu e Cécile!<br />

Giunti a ridosso del complesso di rocce, individuarono un passaggio. Portava alle rovine della<br />

vecchia costruzione. In alto l‟insieme si appiattiva, diveniva un grande balcone sulla pianura.<br />

Gli innamorati vi giunsero trepidanti. Subito, abbacinati dalla luna, <strong>non</strong> scorsero nulla ma, abituati<br />

gli occhi allo strano chiarore, s‟accorsero dell‟individuo che ristava di schiena. Era alto, ben<br />

dimensionato, vestito in nero. Forse fecero rotolare qualche ciottolo, forse il loro respiro li tradì.<br />

L‟uomo si volse, li guardò quasi senza vederli, come fossero trasparenti, e sorrise. “Benvenuti”,<br />

disse, in un provenzale antico, cantilenante e morbido.<br />

I giovani meccanicamente risposero e negli occhi dell‟uomo la luna fece brillare scintille.<br />

“Venite accanto a me senza timore, poiché il vostro tempo è giunto. Maturo è il momento delle<br />

decisioni e delle separazioni. La mia, da questo mondo che <strong>non</strong> m‟appartiene, che venera la bomba<br />

ed il profitto; la vostra, dai nuclei che vi crebbero ma che ora rischiano di soffocarvi”.<br />

La notte sapeva di lavanda e le parole dell‟uomo parevano rimodellare le rocce in un balletto<br />

perenne.<br />

Come fosse una cosa del tutto normale, catturati dalla benevolenza dell‟ospite nero, Mathieu e<br />

Cécile si sedettero accanto a colui che pareva averli convocati. Lentamente il volto si mostrava ai<br />

loro occhi.<br />

Magro, con occhi grandi e zigomi alti, quasi un ritratto di Durer, rischiarato, però, da un sorriso<br />

radioso. E la voce, che pareva un canto.<br />

“Non vi stupite per questo incontro. Legami nascosti alla vista collegano anime sparse in disegni<br />

misteriosi. Voi fate parte d‟una costellazione che mi coinvolge. Vengo da storie lontane. Quasi<br />

fiabe ai giorni odierni, con castelli e dame e trovatori. Vengo da una civiltà che del cantar d‟amore<br />

fece la sua insegna. Onore era la dolcezza del poetare, onore la gentilezza dei rapporti, onore la<br />

pacifica convivenza. Bernard di Ventadour mi fu maestro. Ricordo la strofa d‟una sua canzone:<br />

“Ailas! tant cujava saber / d’amor, et tant petit en sai! / Quar eu d’amar no’m puesc tener / celieys<br />

don ja pro <strong>non</strong> aurai.” Dolce lingua d‟oc, schiacciata dagli eserciti del nord. Vi traduco i versi nel<br />

parlare odierno: “Ah! tanto io credevo di saper / d’amore, e tanto poco ne so! / Poiché <strong>non</strong> riesco a<br />

fare a meno / d’amare colei di cui nulla mai avrò.” Fui eletto, per diletto, capo di una allegra<br />

confraternita di poeti nomadi, senza denari, senza casa. Esuli ovunque e ovunque in patria. Fino a<br />

che l‟inverno degli armati francesi <strong>non</strong> ridusse la Provenza in cimitero. Mi fu dato per nome<br />

Capitan Nuvola. Ne fui onorato ed alle nuvole celesti fedele rimasi fino alla morte ed oltre. Per<br />

questo sono qua, come pioggia che cade, come lacrima di cielo di fronte a un amore che <strong>non</strong> s‟alza,<br />

che caracolla basso come foglia in autunno.”<br />

I due giovani lo stavano ad ascoltare come, di solito, fanno i bambini con il <strong>non</strong>no, di fronte al<br />

fuoco. Comprendevano che l‟individuo interpretava i loro più profondi sentimenti. Si sentivano<br />

trasparenti di fronte allo strano Capitan Nuvola. Ma <strong>non</strong> c‟era timore. Lentamente si percepivano in<br />

altra epoca, in altra foggia. Lui, spasimante lontano dall‟amata, troppo amata, ahimé!, lei, immersa<br />

in una realtà carica di segni, di messaggi, avulsa dalla grettezza. Bernard cantava anche per loro,<br />

anzi, in quella notte di luna piena, solo per loro intonava i suoi versi. Capitan Nuvola <strong>non</strong> avrebbe<br />

potuto convivere con le furie speculative dei costruttori di ville, con le smargiassate dei giovani in<br />

automobili super-veloci. Forse, forse, se avesse avuto la forza di portarli con sé, <strong>non</strong> avrebbero<br />

avuto dubbi. Il loro tempo aveva il profumo amaro del rosmarino, ma scorreva troppo in fretta e<br />

senza costrutto.<br />

L‟uomo in nero parve leggere le loro emozioni ed i loro pensieri.<br />

“Per la forza dell‟amore, a cui ho dedicato la vita, per la forza della lievità che il mio nome<br />

annuncia, ho il potere di trascorrere nelle epoche più diverse e di portare con me adepti nuovi,<br />

scintille incandescenti di giovane speranza. Non vi vedo felici, <strong>non</strong> scorgo per voi strade liete. Tu,<br />

Mathieu, potresti fare l‟impiegato di banca, guadagnare bene, comprare una casa con giardino ed<br />

invecchiare contando soldi d‟altri, a volte sporchi di sangue e sofferenza. Tu, Cécile, finiresti con il<br />

fare la professoressa di letteratura e storia in qualche scuola piena di allievi svogliati e indifferenti, a<br />

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accontar loro storie d‟un tempo lontano, quando il rispetto per la donna poteva indurre alla castità.<br />

Vi trovereste alla sera, stanchi, svuotati, delusi. Brutto orizzonte, il vostro! Ascoltate il mio<br />

proposito. Tra poco scomparirò dalla vista dei vostri compaesani. I Baux torneranno ad essere<br />

deserti e daranno ragione agli scettici che parlano d‟uno scherzo della Luna. Vorreste venire con<br />

me?”.<br />

La richiesta colse di sorpresa, ma <strong>non</strong> più di tanto, i due innamorati. In fondo, che ci stavano a fare<br />

nella loro realtà! Sarebbero soltanto invecchiati male, dandosi reciprocamente la colpa delle<br />

rispettive delusioni. Si poteva accettare l‟invito, basta che la dipartita <strong>non</strong> fosse dolorosa.<br />

“No, miei cari, <strong>non</strong> sarà doloroso il viaggio. Ogni vita vale, se ha senso, in qualsiasi momento si<br />

esprima. Vi farò rifluire in una mia canzone e di là nel mondo che mi appartiene. Diverrete, prima,<br />

due uccelli vagabondi che si sono trovati e poi scivolerete nella tessitura del tempo.”<br />

Mathieu e Cécile si guardarono negli occhi, si strinsero le mani e trassero un sospiro. Capitan<br />

Nuvola assentì col capo. Lentamente i corpi assunsero un color latteo ed i contorni sfumarono, si<br />

confusero con il chiarore della Luna che rideva sui ruderi del castello dei Baux. Poi, dolcemente,<br />

ascesero verso il cielo, dove nuvole <strong>non</strong> c‟erano. Ci fu un momento, però, in cui il volto lunare fu<br />

offuscato da un passaggio. “Strano”, borbottarono in basso i paesani. Durò poco. La faccia rotonda<br />

del satellite riapparve in tutta la sua ilarità.<br />

Questa è la storia. Ma in paese i due innamorati <strong>non</strong> furono più visti. Furono fatte ricerche discrete,<br />

perché erano maggiorenni e potevano fare quello che volevano, ma senza risultato. Qualcuno<br />

raccontò di averli visti, una sera, avviarsi verso la campagna. Alcuni malignarono che <strong>non</strong> ne<br />

potevano più delle rispettive famiglie ed avevano fatto una fuga d‟amore. Magari abitavano ad<br />

Avig<strong>non</strong>e o a Marsiglia, vai a sapere! Città grandi, difficile trovarli. Con il tempo <strong>non</strong> si pensò più<br />

ai due, fino a che un vecchietto, arrivato da fuori, iniziò a raccontare una strana storia, all‟osteria, di<br />

un Capitan Nuvola che reclutava amanti. Assicurava, il vecchietto, di sapere per certo che Mathieu<br />

e Cécile stavano bene, dove stavano, e gli anziani scuotevano la testa. L‟amore, ah l‟amore…<br />

5<br />

Un coro d‟oro e di rame, un bizantino amplesso avvolgeva il solitario camminatore, nei boschi ai<br />

piedi dei Tre Denti, in Cantalupa.<br />

Tcik tcik facevano le foglie secche staccandosi dai rami ed urtando il terreno già coperto da uno<br />

strato arancione sul quale apparivano, a volte, ricci verdastri di castagne, fragili funghetti senza<br />

nome.<br />

Ad ogni sospiro della terra una foglia si lasciava andare, svolazzando per poco tempo, immemore di<br />

sé, senza alcuna volontà che <strong>non</strong> fosse quella della sua piccola morte, del programma stabilito dalla<br />

grande vita.<br />

“Posto e tempo ideali per incontrare le fate!”, brontolava estasiato il viandante. “Non mi stupirei<br />

d‟inciampare in qualche piccola creatura nascosta fra tutti questi colori d‟autunno, e se fosse così<br />

sarei ben contento!”. Si sentiva come protetto dal silenzio, dalla dolce trasformazione del bosco,<br />

dalla sensazione d‟essere già stato in quel luogo, parte del mondo vegetale, ritornato a casa dopo un<br />

esilio umano. Lo coglieva una piacevole sonnolenza, come se decine di minuscole mani gli<br />

accarezzassero il corpo affaticato da decenni di cammino e voci ondulate gli cantassero “Riposa<br />

alfine che a te siamo vicini, / come un popolo amico di sereni bambini”. Immerso nella morbida<br />

esperienza d‟assenza di gravità, vecchio gnomo in attesa di mutare, <strong>non</strong> s‟accorse della presenza<br />

d‟una persona nuova, sbucata, senza far rumore, da dietro il gomito del sentiero. Era una donna, con<br />

i capelli bianchi raccolti a crocchia, vestita austeramente di nero, un cestello al braccio. Sorrise al<br />

viandante e si fermò a parlare, senza alcuna fretta, senza alcun timore.<br />

Di cosa si chiacchiera ai piedi dei Tre Denti, in autunno, quando ci si incontra in un bosco?<br />

Dell‟estate secca, delle castagne che <strong>non</strong> si vedono, dei funghi che paiono scomparsi. Così l‟uno<br />

all‟altra assentiva, nel dialetto locale che pareva una sciarpa in tempi di malanni. E poi vennero<br />

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acconti più privati, la storia dei due cani, dei gatti svariati, della volpe che s‟ode squittire di notte,<br />

dei cinghiali che devastano gli orti. Una sorta di trama verbale inglobava i due, li situava in uno<br />

sfondo comune, quasi un quadro antico che <strong>non</strong> muta pur nel volgere delle stagioni, che si sgretola,<br />

magari, ma tiene insieme la storia, con la tenacia dei colori, delle forme intraviste.<br />

“Ma voi come vi chiamate e perché abitate sola quassù?”, chiese incuriosito l‟uomo.<br />

“Non sono sola: ho i miei animali. Poi ho figli, grandi, che vivono nella città, ma io <strong>non</strong> mi ci<br />

ritrovo. Lo diceva mio padre che ero una selvatica! Affermava che al chiuso <strong>non</strong> ci r<strong>esiste</strong>vo e che<br />

per questo mi aveva chiamato Nuvola. E‟ un nome femminile, noh?”, rispose la donna.<br />

“Ed anche grazioso, signora, anche se un po‟ strano.”<br />

“Da sempre, nella mia famiglia, qualcuno viene chiamato Nuvola, sia femmina o maschio. La<br />

tradizione risale a molti secoli fa, quando un nostro antenato crebbe alla bottega del Caravaggio…”,<br />

narrò la donna che, nel frattempo, s‟era seduta su un sasso ricoperto di muschio, di quello che va<br />

bene per il Presepe.<br />

A sentire il nome, il viandante ebbe un fremito. Piane di Lombardia gli apparvero per un momento,<br />

commiste a robuste figure avvolte dal buio. Caravaggio era un paese, come Vinci del Leonardo, ma<br />

anche il nome con il quale era passato alla storia della demonìa pittorica un certo Michelangelo,<br />

detto Michele delle Ombre, e <strong>non</strong> a caso! Uomo di furore, di notturne frequentazioni, alchimista dei<br />

colori che usava come scalpello, per far emergere la luce dal buio, per trasformare l‟opaca<br />

negazione in ferina affermazione. Ebbe scuola, come tutti. Ebbe bottega. Possibile, quindi, che un<br />

antenato della signora in nero fosse stato allievo del Michelangelo da Caravaggio. Per guadagnarsi<br />

da vivere, poi, questi giovani volenterosi, appresa l‟arte del colore e del pennello, migrarono per il<br />

mondo a dipingere cappelle, ad affrescare palazzi di signorotti altezzosi, a trascrivere su muri le<br />

paure e le estasi che il secolo d‟oro disseminava senza parsimonia.<br />

Certo. Tutto era possibile.<br />

“Si raccontava, da secoli, credo, come mastro Michele cercasse di scoprire il segreto primo,<br />

l‟essenza dei colori e delle forme. Nella notte si buttava, nel caos che alla fine si estenua e si<br />

annulla, divenendo buio, indistinto, attesa dell‟evento. Forse era un alchimista, forse semplicemente<br />

un balordo, ma, allora, che balordo! Conosceva meglio lui le infinite varietà di luce che nascono dal<br />

buio che tutti gli studiosi con le loro lenti e i loro cannocchiali…! Ai discepoli <strong>non</strong> veniva rivelato<br />

nulla. Ognuno doveva percorrere la propria strada e scoprire quel che gli interessava. La pittura era<br />

un mezzo, una sorta di esame. Quel che conta è sapere, è darsi un nome, per potersi riconoscere<br />

prima e dopo la morte tra le infinite creature che affollano il mondo, o anche semplicemente questo<br />

bosco…”. Così la signora in nero, Nuvola, esponeva la regola della ricerca, quella regola che univa<br />

mastro Michele ad altri pittori, ad altri camminanti sulla Terra. Con semplicità, ma anche con<br />

determinatezza, donna Nuvola svelava la sua araldica, la sua ascendenza sulfurea.<br />

Quali sentieri percorse il lontano antenato, munito di pennelli e memoria, alla ricerca di cibo,<br />

ospitalità e gloria, in compagnìa d‟altri randagi che a lui si affidavano? Quali incontri realizzò, con<br />

quali persone, con quali fantasie, con quali varianti del sogno? Di certo ebbe, a sua volta, discepoli,<br />

altrimenti come si spiegherebbe la leggenda giunta fino ai nostri giorni?<br />

Il viandante meditava sull‟incontro. Un bel giorno, di certo, questo!, una accogliente porta aperta su<br />

atmosfere d‟incanto.<br />

“Ricordo che mio <strong>non</strong>no amava dire che noi siamo d‟una razza schiva, abituata a parlare poco ma a<br />

cercare molto, come fanno i cani da tartufi.<br />

Lo chiamavano Capitano. La gente così si rivolgeva a lui, che <strong>non</strong> aveva fatto nemmeno il militare.<br />

Ed egli spiegava che nei tempi dei tempi qualcuno della famiglia aveva diretto bande di pittori di<br />

cappelle, su per i monti, là dove una volta ci stavano i monaci e i camosci. Quel qualcuno era stato<br />

chiamato dagli altri Capitan Nuvola ed il soprannome era rimasto, trasmesso di padre in figlio. Se il<br />

destino <strong>non</strong> voleva che nascesse un maschio, era la bambina che prendeva il nome di Nuvola e il<br />

Capitano le restava come una specie di cognome, che <strong>non</strong> si perdeva, che copriva quello del marito.<br />

Ora, come vedete, la Nuvola cerca funghi, e <strong>non</strong> ne trova, cerca marroni, e <strong>non</strong> si vedono. Fra poco<br />

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sparirò anch‟io. Si fa buio. I cani e i gatti di casa avranno fame. Porterò quest‟incontro e che la<br />

storia continui…!”.<br />

Per tutta la durata della chiacchierata il viandante <strong>non</strong> aveva aperto bocca. Era rimasto come<br />

invischiato in una trappola temporale, con gli odori che salivano dalle foglie per terra, i rumori<br />

piccoli ed improvvisi che cadevano come gocce di pioggia. La signora salutò con la mano. Si<br />

allontanò. Scomparve dietro il gomito del sentiero. Il viandante rimase solo, sotto i Tre Denti, in<br />

Cantalupa.<br />

… per cui nel sogno dell‟inverno<br />

un albero bisbigliò<br />

temendo di gelare<br />

ed un uccello ramificò al cielo<br />

il suo lamento usuale.<br />

33<br />

Gianni Milano


Legenda:<br />

- NS – Nicolas Stoppa<br />

- MM – Marieve Mèrillou<br />

- MF – Mario Fancello<br />

34<br />

C O L L O Q U I O :<br />

NICOLAS STOPPA<br />

- NS – Sì, allora no, diciamo che innanzitutto io ho solamente la licenza media, italiana. Ho<br />

frequentato poi per ultimo un anno di liceo artistico a Genova. Però il mio percorso<br />

scolastico parte molto semplicemente. La prima elementare, in Spagna, esattamente a<br />

Ventallo, in provincia di Gerona, in Cataluña, vicino alla Francia. Da lì, sempre per<br />

questioni familiari, per lavoro, per separazioni, la seconda elementare la faccio a Bussana<br />

Nuova. Mi ricordo che questo fatto avvenne prpoprio perché mio padre – italiano – (mia<br />

madre spagnola) ci teneva tantissimo che questo suo figlio crescesse con la lingua italiana<br />

forte, quasi quanto lo spagnolo<br />

- MM – [Tuo padre disse a] tua madre: “Ti faccio la casa – erano separati – se tu dai<br />

un‟educazione italiana a mio figlio.<br />

- MF – Tu condividevi questa decisione?<br />

- NS – Sì, anche perché poi <strong>non</strong> è stato così. È successo che, passando in autostrada, mio<br />

padre e mia madre, quando stavano ancora insieme, io avevo forse due tre anni, videro<br />

questo paesino, questo borgo che si chiama Bussana Vecchia, dall‟autostrada; è un borgo<br />

terremotato poi occupato da artisti, un‟esperienza molto particolare, e dunque la seconda<br />

elementare la faccio a Bussana Nuova, che era la scuola più vicina a questo villaggio. La<br />

terza elementare la faccio invece a Bruxelles per questioni di lavoro dei miei genitori, tra<br />

una cosa e l‟altra io finisco a Bruxelles e faccio la terza e la quarta elementare nella Scuola<br />

Europea di Bruxelles, che è la scuola europea centrale; in Europa ci sono varie scuole<br />

europee, a Milano ce n‟è una, a Roma ce n‟è un‟altra, a Parigi ce n‟è un‟altra, però<br />

Bruxelles evidentemente è proprio quella centrale perché ci vanno un po‟ tutti i figli dei


funzionari, dei dipendenti della Comunità Europea. La quinta elementare, dove poi ho fatto<br />

l‟esame, la quinta elementare dove l‟ho fatta? Non mi ricordo molto bene. La quinta<br />

elementare la faccio ... [pausa di riflessione] a Bussana Nuova di nuovo, ritorno indietro<br />

dopo due anni. La prima media la faccio a Bussana Nuova, la seconda media la faccio a<br />

Sanremo, la terza media la faccio ad Arenzano, dopodiché c‟è il tentativo del liceo artistico<br />

che però fallisce in quanto anno di occupazione; per la mia generazione molto famoso<br />

quell‟anno, <strong>non</strong> so che anno era<br />

- MM – [Dice qualcosa].<br />

Marieve Mèrillou e Nicolas Stoppa<br />

- NS – No, no no, no no, era con la Iervolino; fai conto, io ho ventinove anni, a quindici anni,<br />

nel ‟92. Ecco, nel ‟92 c‟è un anno di occupazione; nel giornale, nel Secolo, pubblicano i<br />

record d‟assenze in Italia, ecco io forse ero andato in tutto l‟anno forse quaranta giorni a<br />

scuola dopo un‟esperienza comunque molto bella; appunto questa occupazione dove<br />

veramente abbiamo socializzato, tutti gli studenti, in una maniera – secondo me – molto<br />

interessante. Ecco, questo un po‟ il panorama dei miei trascorsi, dopodiché comunque io<br />

abbandono la scuola ma piano piano mi appassiono comunque al mondo dell‟arte e<br />

soprattutto del cinema e quindi frequento a Barcellona una scuola di cinema. Dopo l‟anno di<br />

occupazione ho quindici anni e quindi età – secondo me – drammatica soprattutto in<br />

Occidente; per un ragazzo occidentale i quindici anni sono un po‟ ..., questa scelta del liceo,<br />

del lavoro, di lasciare gli studi oppure no<br />

- MM – L‟orientamento.<br />

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- NS – l‟orientamento e – dunque – tra una cosa e l‟altra mio padre in quel momento si separa<br />

da questa sua moglie e quindi in un momento un po‟ di confusione generale finisco a<br />

Barcellona, alla scuola italiana di Barcellona, quindi scuola di Barcellona ma italiana, che è<br />

un liceo classico, per tre mesi, quindi fino a Natale dell‟anno seguente ; a gennaio<br />

- MF – Era un‟iscrizione per recuperare l‟anno oppure ...?<br />

- NS – No, iniziavo il primo anno di liceo classico a Barcellona, arrivo a settembre, a<br />

dicembre ci sono le vacanze, ma io a gennaio dopotutto finisco a Bruxelles, perché a<br />

Barcellona <strong>non</strong> andava bene, perché mio padre <strong>non</strong> viveva lì, vivevo a casa di un‟amica di<br />

mia madre, ma questo <strong>non</strong> andava bene, questo ragazzo da solo comunque a quest‟età, che<br />

comunque era un po‟ delicato, tutto quanto, finisco a Bruxelles.<br />

- MF – A Bruxelles perché?<br />

- NS – Perché a Bruxelles ci sono mio padre e suo fratello che hanno sempre una base lì. Io<br />

sono nato a Bruxelles. Dunque finisco di nuovo nella Scuola Europea per due mesi.<br />

- MF – Scuola Europea che però ha un indirizzo?<br />

- NS – La Scuola Europea praticamente comprende dall‟asilo all‟università e c‟è il liceo, la<br />

parte italiana è un ginnasio. Poi ne parleremo della scuola europea, comunque ha un<br />

indirizzo abbastanza universale, quindi <strong>non</strong> è proprio un classico, poi ne parleremo. Ma<br />

ancora <strong>non</strong> contenti, mio padre decide che io devo imparare l‟inglese e mi dice: “Guarda, io<br />

ho un‟amica inglese che ha trovato un college dove tu – secondo me – puoi imparare<br />

l‟inglese”. Quindi io vengo spedito a marzo vicino a Brighton, in un collegio dove si<br />

dormiva dentro, si chiama Ehwards Heat.<br />

- MF – Convitto.<br />

- NS – Convitto. Con giacca e cravatta, completamente un‟educazione inglese, proprio una<br />

scuola inglese, <strong>non</strong> è che era una scuola per stranieri.<br />

- MF – [Gli domando se era consenziente di fronte a tutti quegli spostamenti].<br />

- NS – A me andava proprio benissimo perché evidentemente mi saltavo quella solfa che era<br />

la scuola, perché io era stato impregnato di quel primo mezzo anno vissuto al liceo artistico,<br />

che ero stato molto deluso sinceramente. Perché? Perché era proprio noioso. Mi ricordo<br />

queste lezioni, queste aule fredde, oscene, brutte e praticamente noi facevamo delle linee,<br />

delle linee, costantemente, nei fogli grossissimi facevamo delle linee di ornato, figura. Erano<br />

solo linee, linee, linee, era molto castrante, sapendo che c‟erano cinque anni ... Avendo<br />

questo ricordo di quell‟anno, ho detto “Beh, io comunque qui viaggiando così ...”, mi<br />

divertivo, comunque io ero stato già abituato nella mia educazione a girare così, quindi io mi<br />

trovavo bene in questi cambi, <strong>non</strong>ché è vero che invece in Inghilterra mi ero un po‟<br />

spaventato, cioè in Inghilterra io sono arrivato a marzo in mezzo alla nebbia in un collegio<br />

meraviglioso, un castello, però io <strong>non</strong> parlavo una parola d‟inglese, avevo sedici anni,<br />

quindici anni e mezzo. Arrivo lì e mi ritrovo così che io <strong>non</strong> sapevo manco farmi il nodo alla<br />

cravatta, quindi bisogna imparare tutto quanto. Mi portano nella mia stanza, che era una<br />

stanza con otto persone, e – capisci? – lì bambini che erano abbandonati dalle famiglie, un<br />

po‟ di gente selvaggia che cercava di essere chiusa dentro a questa educazione inglese, dove<br />

fino a tre anni prima c‟erano le pene corporali, insomma si poteva picchiare nei collegi<br />

inglesi, fino all‟Ottantacinque c‟erano queste possibilità. E mi ricordo che vedo veramente<br />

un mondo nuovo, tutta gente pallida, inglesi; però subito ho fatto amicizia, soprattutto<br />

perché c‟era l‟italiano: “Ah, italiano, italiano” e io ho fatto fatica perché io per tre mesi <strong>non</strong><br />

capivo una parola. Meno male che ... Chi c‟è? Due fratelli italiani. Gli unici stranieri in<br />

questa casa casualmente sono italiani. Giovanni e Ottone Paticchio, due fratelli di Trieste,<br />

figli della Trieste bella, della Trieste bene, e loro due persone meravigliose; facciamo<br />

un‟amicizia incredibile. Figùrati, per loro arrivava un altro italiano, quindi per loro era una<br />

carica di energia positiva e per me era una salvezza, no? E infatti stiamo sempre insieme io e<br />

loro, però mi aiutano a capirmi, a capire gli inglesi, a capire dove ero finito. Questa<br />

esperienza finisce dopo un anno, dove io effettivamente imparo l‟inglese, <strong>non</strong> perfettamente<br />

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ma mi difendo bene. Passo poi qualche mese a Londra in casa di amici di famiglia e lì mi<br />

appassiono piano piano al cinema e allora frequento poi a Barcellona, perché lì c‟è mia<br />

madre, perché mia madre è una spagnola e vive in Spagna dopo la tappa mia elementare in<br />

Italia, torno in Spagna e frequento una scuola di cinema per un anno e mezzo, dopodiché<br />

apro un locale, lo rivendo, con i soldi di questa cosa me ne vado a Cuba nella scuola di<br />

cinema di Cuba e mi faccio quattro mesi, corso di sceneggiatura.<br />

- MF – Scusa se ti interrompo. Come scuola ufficiale, dopo le medie, tu hai fatto un anno di<br />

liceo classico, e, se <strong>non</strong> classico, un qualcosa<br />

- NS – Sì, è l‟high school, che sono un po‟ tutte simili, sono scuole superiori a indirizzo. Cioè<br />

sono ben diverse dall‟Italia che sono molto più indirizzate, cioè, sia in Spagna, sia in<br />

Inghilterra, sia alla Scuola Europea è una cosa unica, poi tu scegli, tu dici io voglio fare otto<br />

ore in più di matematica, quindi ci sono dei programmi differenziati.<br />

- MM – In Francia era più valorizzato il ramo letterario e più scelto rispetto a quello<br />

scientifico. Nella mia generazione era il contrario. Alla fine i buoni allievi si trovavano allo<br />

scientifico e quelli meno buoni andavano a Lettere. Dipende da quello che vuole la società.<br />

- NS – Ecco, diciamo che<br />

- MF – Una domanda prima che tu riprenda il discorso. Tu nella fase precedente avevi detto<br />

una frase di questo tipo: A un certo punto mi interesso alla cultura. Chi ha fatto scaturire<br />

quest‟interesse? Automaticamente? L‟istituzione scuola? Un ambiente esterno? Il sentire la<br />

tua natura che si sta sviluppando indipendentemente da quel che ti accade intorno? Non so.<br />

- NS – Allora, io ho avuto un cambio di maturità proprio nella mia personalità. Lì è stato<br />

sicuramente tutto un bagaglio dietro in generale, ma poi è stato proprio mio zio Bruno, che<br />

deluso da me perché<br />

- MF – Questo Bruno sarebbe il fratello [...]?<br />

- NS – Sì, il fratello di mio padre, deluso dal fatto che io avevo abbandonato la scuola vicino a<br />

Barcellona, che durava tre anni e io ho fatto un anno e mezzo, prima di andare a Cuba,<br />

- MF – Comunque era un problema [...]?<br />

- NS – Sì, per la famiglia, insomma questo ragazzo cosa fa? Cosa <strong>non</strong> fa? Non vuole studiare?<br />

Mi regala un libro che è La Leggenda del Santo Bevitore. Lo conosci?<br />

- MF – Ho visto il film.<br />

- NS – È un libricino piccolino ed è il primo libro – forse – che proprio me lo sono gustato; è<br />

un libro semplice, però ho capito; mi sono proprio immerso in questa lettura come forse <strong>non</strong><br />

avevo mai fatto prima. Forse perché me lo aveva regalato mio zio come quasi un‟ultima<br />

chance – è una sfida – perché forse questo libro lo avevano già letto i loro figli a dodici<br />

tredici anni, bambini quindi. Da lì poi è partita una forma di equilibrio, cioè ho capito che la<br />

conoscenza mi avrebbe dato un equilibrio proprio personale, perché se no mi sentivo un po‟<br />

perso, avevo un sacco di input, di informazioni, da tutte le parti, ma mi mancava proprio<br />

quella decisione che <strong>non</strong> avendo avuto nella disciplina di una costante educativa in una<br />

scuola fissa, mi mancava quella chiave. Ecco, questo regalo di mio zio è stato solamente –<br />

diciamo – forse un<br />

- MF – Tu lo avevi percepito come un regalo mirato oppure<br />

- NS – No, mirato, un po‟ mirato. Avevo capito che era importante questooo<br />

- MM – Tra parentesi digli che parla di una persona che attraversa proprio la conoscenza, è<br />

uno che legge molto, quindi mirava alla riuscita sociale <strong>non</strong> in termini materiali ma in<br />

termini di conoscenza perché è una persona molto erudita.<br />

- MF – Ti ho fatto questa domanda perché pensavo, tipo il Bevitore – che beve ovviamente –<br />

però ha la coscienza, ...<br />

- NS – Sì sì sì.<br />

- MM – Sì sì. È quello che volevo dire prima: il contenuto stesso del libro <strong>non</strong> era un caso.<br />

- NS – Esatto. Sì sì, ma infatti avevo un po‟ ... Beh, no, lì – devo dire – forse <strong>non</strong> avevo colto.<br />

Qui, boh, c‟è questo percorso che si può definire caotico. A Cuba: beh lì a Cuba proprio<br />

37


m‟innamoro, è il primo viaggio mio da solo a Cuba per questi mesi. È stata un‟esperienza<br />

incredibile, tanto che ho lasciato la scuola anche lì e me ne sono stato per la strada. Quindi –<br />

ecco – se facciamo<br />

- MF – I finanziamenti <strong>non</strong> mancavano?<br />

- NS – I finanziamenti <strong>non</strong> mancavano perché indipendenti, nel senso che io mi ero costruito<br />

un locale in Spagna – te lo avevo detto – in maniera tale ..., voglio dire: era una cosa che<br />

aveva fatto mio padre, che gli era andata male, c‟erano grossi problemi, io avevo risolto il<br />

problema di mio padre trovando una persona – socia – che metteva dei soldi e io <strong>non</strong><br />

mettevo soldi, però ero socio al cinquanta per cento, però diciamo che il costo era dieci, lui<br />

metteva cinque, io <strong>non</strong> mettevo niente; però ho salvato mio padre da un problema; quindi<br />

me lo sono un po‟ costruito io. Ho lavorato molto bene per tre anni e poi ho ceduto la mia<br />

parte a questo socio che era anche nostro amico. Mi sono finanziato questo viaggio a Cuba,<br />

pochi soldi, comunque mi sono bastati per fare questo viaggio.<br />

- MF – Questi genitori sono stati particolarmente disponibili a darti autonomia, perché ...<br />

- NS – Certo. E beh, quando sono andato a Cuba, io avevo – era il Novantasette – avevo<br />

diciannove anni.<br />

- MM – [...] sia tuo padre che tua madre hanno rispetto per la scuola e nello stesso tempo un<br />

dubbio che è proprio di questa generazione – penso. C‟è il desiderio di sistemare il figlio,<br />

però c‟è una grande diffidenza verso la scuola, quindi <strong>non</strong> l‟hanno vissuta come una<br />

sconfitta. La cosa del collegio in Inghilterra è stata forse una cosa radicale, pensando di<br />

metterlo lì pensavano a quello che rappresentano Oxford e tutte quelle università lì, era<br />

- NS – Certo che parallelamente in Italia – mi ricordo bene – diciamo gli amici italiani che<br />

invece avevano seguito la scuola ..., Nicolas era in quella strada caotica e insicura; d‟altra<br />

parte avevamo tutta una generazione (cioè i ragazzi della mia età che continuavano nel loro<br />

studio) che poi, in un confronto, possedeva una mondologia inferiore; cioè, erano ragazzi<br />

che stavano studiando, stavano finendo appunto forse il liceo classico, scientifico, artistico,<br />

si avviavano verso l‟Università, ma erano tutti ragazzi molto fragili e comunque c‟era già<br />

anche una critica<br />

- MF – Fragili – intendi – nella preparazione<br />

- NS – Nella prepa<br />

- MF – o nelle scelte o nella cultura?<br />

- NS – Ma anche proprio nel ragionamento, nella cultura. Io avevo una cultura – per me è<br />

quella – superiore ai miei coetanei. Perché? Perché io sapevo i problemi della ferrovie, degli<br />

aeroporti, delle città, delle politiche, dell‟economia, della psicologia, delle diverse culture.<br />

Già parlando (grande cosa che mi è servita) ho imparato cinque lingue, io adesso parlo<br />

cinque lingue. Quindi io già percepivo<br />

- MF – Italiano, francese, inglese<br />

- NS – spagnolo e catalano, che è una lingua. Quindi per il cervello è un altro ..., e io già<br />

percepivo, che io sono molto affascinato da questo, di come l‟idioma costituisca la<br />

personalità di una cultura – capisci? Diciamo che poi – a parte questo – c‟era proprio anche<br />

un problema di professione, cioè: c‟era già una crisi in atto dove qui la gente studiava, tutti<br />

studiavano, ma poi qui finivano tutti a casa dei genitori, <strong>non</strong> c‟era lavoro e questi ragazzi<br />

uscivano da casa,<br />

- MM – Soprattutto in Italia.<br />

- NS – soprattutto in Italia, tardi. Quindi, a un certo punto, verso i ventidue ventitré anni, ecco<br />

che io riemergo e cammino a testa alta rispetto forse agli ultimi dieci anni, otto anni, sette<br />

anni, passati invece un po‟ in crisi rispetto, diciamo, all‟establishment ufficiale.<br />

- MF – Ci sono due fili – che poi voglio riprendere – che stai tessendo, però c‟era un discorso<br />

(che forse l‟hai già detto ma io <strong>non</strong> l‟ho memorizzato): te ne vai via dalla scuola di testa tua<br />

o perché i tuoi genitori ti tolgono? Per quali motivi?<br />

- NS – No. Ecco, nella scuola, io, passato l‟anno, mi stufo di lì, soffro di stare lì,<br />

38


- MF – Quindi è stata una decisione tua.<br />

- NS – Mia, e in più, in quel caso lì, questo collegio era anche costoso. Però – voglio dire – io<br />

con i miei genitori ho sempre avuto una relazione perfetta; era la mia decisione che contava<br />

poi, quindi se volevo andare via andavo via, <strong>non</strong> c‟è stata mai un‟imposizione. Ah, aspetta,<br />

aspetta che ci siamo saltati, eh, no,<br />

- MF – Ci sono due fili che<br />

- NS – e no, perché ci siamo saltati – aspetta – che ci siamo saltati i gesuiti eh. Poi, ah sì sì,<br />

scusami, l‟anno in cui vado – a Barcellona – al liceo italiano per i tre mesi, prima d‟andare<br />

in Inghilterra, in Inghilterra io ci arrivo <strong>non</strong> a febbraio marzo, io ci arrivo a maggio, perché<br />

io mi faccio poi gennaio febbraio marzo, in Inghilterra arrivo forse a marzo, io mi faccio<br />

gennaio febbraio – due mesi – cioè io sono lì, nella Scuola Italiana, ma <strong>non</strong> va bene perché<br />

appunto <strong>non</strong> potevo stare in casa di questa persona a dormire perché ero da solo, quindi<br />

vado a finire in un collegio – anche lì convitto – dei gesuiti, ma per errore, proprio per<br />

errore, cioè mio padre e mia madre dicono: “Va beh va beh, facciamo finire quest‟anno. Vai<br />

lì a Barcellona”, mia mamma viveva a Cadaques però, a duecento chilometri, mi fa: “Vai a<br />

questa scuola dove puoi stare dentro”. Io mi iscrivo così e poi, dopo tre giorni, chiamo casa<br />

e dico: “Ma – guarda – che questi qui ...” . Si chiama Sant‟Ignacio de Loyola questa scuola.<br />

Sì, Loyola – belin – è il padre dei gesuiti. Una menata incredibile! Mi ricordo che stavo<br />

leggendo Un uomo della Fallaci, mi ricordo, la storia di questo<br />

- MF – Panagulis<br />

Marieve<br />

39<br />

- NS – Sì. Mi<br />

sequestrano il libro. Di<br />

notte, una volta alla<br />

settimana, alle tre del<br />

mattino ci svegliavano<br />

e dovevamo rifare il<br />

letto e poi rimetterci a<br />

dormire. Insomma una<br />

cosa un po‟ tosta, così.<br />

Ma perché sono finito<br />

lì? Perché a Barcellona<br />

le scuole sono tutte in<br />

catalano, meno delle<br />

scuole proprio molto<br />

molto di questo genere,<br />

che sono anche in<br />

spagnolo. Io il catalano<br />

all‟epoca <strong>non</strong> lo<br />

parlavo. Due mesi.<br />

Ecco, io dico: “Guarda<br />

che qui <strong>non</strong> va bene”,<br />

scatta l‟amica inglese<br />

che dice: “Ma perché<br />

<strong>non</strong> lo mandi ...”, “Ah,<br />

sì, così imparerà<br />

l‟inglese”.<br />

- MF – I due fili: uno<br />

Cuba, ché siamo<br />

rimasti ancora sulla<br />

costa, e l‟altro il libro


egalato che ti ha fatto scattare .... però un libro solo ..., <strong>non</strong> penso ..., hai detto: tutto il<br />

bagaglio,<br />

- NS – Quella è una metafora diciamo.<br />

- MF – Ti ha un po‟ aperto gli orizzonti, ti ha fatto scattare qualche meccanismo, qualcosa.<br />

Ma altre cose che provi? E quando dici mi sono interessato alla cultura che cosa intendi per<br />

cultura? A quell‟epoca.<br />

- NS – Continuo in quella strada. Diventa l‟unica soluzione per sopravvivere, diventa uno<br />

strumento di sopravvivenza. La cultura intesa come apprendimento costante; cioè, ho<br />

bisogno di sapere per difendermi. Sono malato? Bene, ho bisogno di sapere; <strong>non</strong> mi fido<br />

dell‟istituzione solamente. Non è che <strong>non</strong> mi fido, <strong>non</strong> è solo quella voce; ho bisogno di<br />

un‟altra voce. Quindi più so, più leggo più ho elementi che mi daranno la possibilità di<br />

sopravvivere, anche per un equilibrio psicologico.<br />

- MF – Senza guida?<br />

- NS – Io completamente, completamente, nel senso che sono proprio autodidatta per<br />

eccellenza. Da bambino, e tra l‟altro a Bussana Vecchia, io per tre mesi <strong>non</strong> sono manco<br />

andato a scuola alle elementari perché, a un certo punto, a casa mia si tendeva a questa<br />

forma autodidattica,<br />

- MM – e poi tutto il Paese<br />

- NS – tutto il Paese, Bussana Vecchia; così, e niente, cioè si stava insieme a casa e si<br />

studiava lì la situazione – per dirti – cosa che farei io con i miei figli; poi ne parleremo.<br />

Quindi cultura intesa come conoscenza, come strumento portante di un equilibrio<br />

psicologico alla base. Quindi depressioni, tristezze, problemi economici, problemi sociali<br />

eccetera eccetera derivano solo dalla conoscenza e su questo – secondo me – proprio <strong>non</strong> ci<br />

piove. Cosa vuol dire? Che se tu hai un grosso problema, un dramma psicologico, una<br />

depressione, una difficoltà economica, se tu hai gli strumenti, la conoscenza, diventano<br />

persino uno stimolo; se tu <strong>non</strong> hai questa conoscenza diventa un problema che <strong>non</strong> sarà mai<br />

risolto. Io vedo subito, quando vedo questo mondo in questi dieci anni, tutta un sfilza di<br />

persone con grossi problemi psicologici, ché la più grossa malattia è la testa, poi (questo è<br />

solo un piccolo banale esempio) “Qual è l‟ultimo libro? Qual è l‟ultimo museo? Qual è<br />

l‟ultimo viaggio?”. Capisci? Ecco, e lì mi accorgo che appunto queste persone <strong>non</strong> hanno<br />

più letto niente, si sono ..., e quindi c‟è proprio una mancanza del cervello, che secondo me<br />

è un muscolo e ha bisogno di esercitarsi, ma <strong>non</strong> solo leggendo, cioè <strong>non</strong> è importante<br />

solamente quello; poi una volta che è partita la serotonina là puoi anche <strong>non</strong> leggere, puoi<br />

anche solamente guardare il mondo, <strong>non</strong> è questo, ma ogni tanto però devi concludere,<br />

buttare giù, registrare, filmare. Io con il cinema mi sento un documentarista, a me <strong>non</strong> piace<br />

la fiction, io sono un documentarista, quindi io amo documentare perché mi fa bene a me;<br />

cioè io ogni tanto ho bisogno di mettere e concludere tutto un mio percorso che<br />

normalmente dura sei mesi, un anno, un anno e mezzo di lavorazione, di epoche, di stagioni<br />

della mia vita, che poi devo racchiudere in un lavoro mio: può essere un giornalino, un<br />

filmino, una esposizione, una installazione; cioè io devo concludere e così so che questo è<br />

stato fatto e quindi <strong>non</strong> diventa neanche più solo mio e personale. Io sono già a un livello<br />

che mostro le cose agli altri, <strong>non</strong> è solo un discorso mio personale di chiusura, io poi so<br />

anche esporre i miei pensieri. Ecco, casualmente la parola: evidentemente io ho avuto un<br />

problema, io con le parole faccio fatica perché, parlando cinque lingue, <strong>non</strong> ho una<br />

padronanza forte.<br />

- MM – Perché hai avuto un apprendimento caotico.<br />

- NS – Esatto. E quindi, appunto, vedi che l‟arte in questo senso serve, nel senso che io mi<br />

esprimo con la pittura, la scultura, il cinema eccetera eccetera. Quindi bene, so che quelli<br />

sono i miei ...; la mia cultura mi dice: “Bene, con la scrittura <strong>non</strong> potrai mai esprimere<br />

totalmente i tuoi contenuti, i tuoi sentimenti, ma queste altre cose le puoi fare già, questo lo<br />

puoi fare”. Una persona che magari dice “Ma io <strong>non</strong> so scrivere, ma io <strong>non</strong> so fare quello”,<br />

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magari si deprime proprio perché pensa che sia solo lì, invece diciamo che questo punto di<br />

vista, questa testa alta, mi fa scoprire che ce n‟è per tutti, ce n‟è per tutti, tutti sono creativi,<br />

tutti sono grandi persone, grandi persone, grandi persone in questa terra, quindi c‟è poco da<br />

pensare così. Cos‟è che faccio io? Io lotto contro chi sa queste cose e cerca di chiudere,<br />

quindi già questo è l‟ultimo livello, poi ritorniamo da zero sul nostro discorso, poi io<br />

concludo tutto dicendo che io la mia lotta, che è una lotta seria con una grossa disciplina,<br />

politica – anche – , è quella di combattere intanto la gente, le entità, le istituzioni in qualche<br />

caso, le corporazioni, i gruppi che cercano (perché le sanno queste cose, e cavolo se le<br />

sanno!) cercano di bloccare la conoscenza. D‟altra parte cerco di comunicare a queste<br />

persone che c‟è la conoscenza. Okay. Detto questo, bon. Dimmi.<br />

- MF – Ci sono diverse cose. Va beh, lasciamo stare le altre, se no <strong>non</strong> finiamo più.<br />

Sicuramente per riuscire ad esprimersi occorre avere una conoscenza tecnica e tanto più<br />

questa conoscenza tecnica è approfondita tanto meglio ci si esprime, però è anche vero che<br />

[...], quindi mi pare che nell‟ambito della parola tu evidentemente <strong>non</strong> sarai a livello di<br />

perfezione assoluta, però mi pare che tu la sappia usare, almeno dialogando così, piuttosto<br />

che<br />

[Squilla il cellulare di Nicolas e spengo il registratore per ragioni di privacy].<br />

Mi pare che tu la conoscenza tecnica sufficiente per maneggiare le parole ce l‟abbia. Se tu<br />

<strong>non</strong> senti questa strada come tua, no [...], però, voglio dire, <strong>non</strong> mi pare ci debba essere una<br />

preclusione<br />

- NS – Non è una falsa umiltà. Sono proprio cosciente che tecnicamente mi mancano proprio<br />

dei vocaboli, ma sai perché, è una questione di memoria.<br />

- MF – A me piace tantissimo la poesia. Però c‟è anche la poesia sonora, la poesia totale che<br />

Minarelli chiama polipoesia. È proprio il lavorare sul vocabolo, perché il vocabolo <strong>non</strong> sia<br />

solo messaggio verbale, ma diventi sonoro [...]. È un orizzonte totalmente nuovo e molti<br />

hanno cominciato a studiarlo e a lavorarci su. Però mi sembra che ci sia ancora parecchio da<br />

fare<br />

- NS – Certo. Sì sì sì sì.<br />

- MF – Anche nel cinema – voglio dire – c‟è il collegamento<br />

- NS – Esatto, infatti, infatti il bello di tutto questo: che cos‟è una conoscenza completa?<br />

Quella di sapere che ce n‟è sempre e siamo in espansione, cioè la terra è una cellula in<br />

espansione<br />

- MM – [Non riesco a percepire cosa dica].<br />

- NS – Quello è sicuro. Effettivamente – così per dirti – io tendo a eliminare le conoscenze<br />

tecniche anche di studio. Cioè, per esempio, io tanti nomi <strong>non</strong> me li ricordo, ma li ho<br />

percepiti e li ho interiorizzati, mi ricordo, per dirti, <strong>non</strong> è banale perché <strong>non</strong> è banale, però io<br />

in Italia ho due miti per adesso a livello di poesia ...<br />

- MF – totale, polipoesia<br />

- NS – totale. Io amo moltissimo Carmelo Bene e Dario Fo. Un‟altra persona così un po‟<br />

mediatica, parliamo di gente un po‟ mediatica, è Baricco, che con i suoi insegnamenti vari<br />

negli ultimi dieci anni mi ha fatto per esempio scoprire altra voglia di conoscere queste cose.<br />

Un po‟ di referenze, dico Pasolini. Io sono proprio un pasoliniano sfegatato, ma molto<br />

integro, nel senso che capisco anche i limiti di Pasolini, cioè <strong>non</strong> ..., ecco, io sono convinto<br />

che dietro a una persona che poi è riuscita a esprimersi a livello mondiale e quindi è riuscita<br />

a diventare una persona famosa c‟è dietro tutto un popolo che sorregge queste cose. Ecco, io<br />

sto con il popolo, nel senso che di Pasolini e di Dario Fo io ne ho conosciuti, ma <strong>non</strong> lo dico<br />

così, ma io ne ho conosciuti tanti e ne conoscerò tanti; quindi capisci? Sono cosciente e<br />

anche consapevole di questa cosa. Queste sono delle persone che sono ai massimi livelli ma<br />

perché si sono messe anche in certi compromessi <strong>non</strong>ostante tutto. Poi i poeti della vita sono<br />

invece sconosciuti, secondo me, voglio dire<br />

- MF – in tutti i campi<br />

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- NS – in tutti i campi, eh. Detto questo, ritornando un po‟ invece alla mia famiglia, per dirti,<br />

mia madre ultimamente mi ha fatto leggere, io <strong>non</strong> sapevo, parlando delle scuole, mi ha fatto<br />

leggere i libri che leggeva quando io andavo alla scuola elementare, per esempio la storia di<br />

Summer Hill (A.S. Neill); è un pedagogo americano<br />

- MM – inglese<br />

- NS – inglese, favoloso,<br />

- MM – era uno di quelli [...]<br />

- NS – ha fatto un po‟ di scuola in giro per l‟Inghilterra e negli Stati Uniti, dove<br />

- MM – [...] è il bambino che decide se va al corso<br />

- NS – o <strong>non</strong> va o se<br />

- MM – [...] il fratellino ha difficoltà in inglese, <strong>non</strong> riesce ad imparare l‟inglese e ad<br />

interessarsi all‟inglese e poi invece si è fatta un‟amica via Internet e le scrive in inglese e<br />

scrive molto bene. È la metafora<br />

- MF – Sì, quando c‟è l‟interesse<br />

- MM – Sì, io vedo un po‟ Nicolas così.<br />

- NS – Ecco, se approfondiamo un po‟ il tema e andiamo sul concreto, quindi quello è il<br />

panorama attuale: secondo me. Noi siamo un gruppo, poi ti racconterò, abbiamo fatto un po‟<br />

di installazioni, ci siamo conosciuti con Lupi, 1 che <strong>non</strong> appartiene al nostro gruppo di<br />

lavoro, ma sì perché poi c‟è l‟interazione. Parlando dell‟educazione ultimamente, ma<br />

proprio l‟altro giorno, si parlava del diritto all‟ignoranza a questo punto, cioè<br />

- MF – Sì e no. In teoria sì, in pratica no.<br />

- MM – È un paradosso.<br />

- NS – Abbiamo, se <strong>non</strong> sbaglio, adesso in Italia l‟analfabetismo al quattro per cento sei per<br />

cento, cioè bassissimo; l‟Europa è coltissima, in questo senso, rispetto al dopoguerra. È<br />

chiaro che ci voleva questo sistema. Oggi, ma sono proprio convinto, <strong>non</strong> c‟è da fare la<br />

riformina, qui c‟è da riformare tutto se no si annega. E la prova sono proprio quelle, cioè che<br />

questo sud del Mediterraneo è cotto e stracotto. Noi andiamo avanti con dei discorsi che <strong>non</strong><br />

vanno, che <strong>non</strong> funzionano, bisogna proprio cambiare strategia e bisogna proprio andare a<br />

fare altre cose. Che cosa vuol dire? Bisogna intanto – secondo me – studiare (e quella<br />

sarebbe la mia scuola, quella che ho fatto io) fino alla terza media, diciamo fino ai<br />

quattordici anni, anche perché c‟è un problema di lavoro, cioè qui i bambini vanno a scuola<br />

perché i genitori devono produrre, se no...! Voglio dire: cento anni fa il bambino stava a<br />

casa, aveva un altro tipo di cultura. Oggi le società sono così cambiate radicalmente che io<br />

trovo che effettivamente il bambino deve andare lì più per una questione di socialità, perché<br />

se no „sto bambino finisce a lavorare e questo <strong>non</strong> va bene. Io voglio una società in cui <strong>non</strong><br />

si lavori: figurati!<br />

- MM – Il diritto alla pigrizia.<br />

- NS – Il diritto alla pigrizia. Quindi, insomma, va bene così: socializzi, ti fai questa cultura<br />

generale. All‟interno bisogna riformare anche un po‟ i testi, le cose, perché le cose son<br />

cambiate, le geografie son cambiate, le dinamiche son cambiate; vedi: una riforma dei<br />

contenuti comunque un po‟. Ma soprattutto bisogna capire che dalla terza media in poi c‟è<br />

un gap, che <strong>non</strong> si capisce niente. Ancora qui cambiano i nomi delle classi ma <strong>non</strong> cambia<br />

niente, queste sono proprio ipocrisie.<br />

- MF – Tu dici terza media sulla base della tua esperienza, però <strong>non</strong> pensi che magari queste<br />

nuove generazioni (io <strong>non</strong> sto avallando il tuo discorso, sto semplicemente facendo<br />

un‟osservazione) <strong>non</strong> pensi che potrebbero vedere la terza media come già troppo alta?<br />

- NS – No! No! Perché è una questione di età. Non parliamo di media, parliamo di età. Tu dai<br />

sei ai quattro anni sei un bambino, devi stare con i genitori. A sette anni io trovo che sia<br />

giusto che inizino a socializzare e a confrontarsi con la realtà della vita, quindi anche con ...<br />

1 Alessandro Lupi, artista visuale.<br />

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Questo bullismo, queste cose ... Eh – ragazzi – ma il bullismo fa parte della vita, quindi è<br />

bene che ci sia, <strong>non</strong> è che <strong>non</strong> c‟è (oggi lo scopriamo perché abbiamo più informazioni), ci<br />

sarà ma ti confronti; il bambino avrà delle problematiche, si cercherà di risolverle, ci si<br />

confronta; le bambine, il bambino, le prime cose ormonali, va bene che il bambino sia<br />

- MF – [...]<br />

- NS – Quello è solo personale, quello è solo personale, di ogni professore, di ogni docente<br />

che deve essere preparato.<br />

- MF – [Dico che, in caso di bullismo, i professori devono intervenire in maniera indiretta<br />

perché, altrimenti, il ragazzo vittimizzato viene ancor più preso di mira dai compagni].<br />

- NS – Certo, ci sono modi, ma lì, lì, diciamo che c‟è poco da fare, lì sta nella personalità di<br />

ogni docente e soprattutto, chiaramente, ci dovrebbe essere, che è quello a cui volevo<br />

arrivare, una preparazione di grandi docenti che, magari dopo trent‟anni, ... Cos‟è la carriera<br />

di un professore? Dopo trent‟anni un professore che ha tutta questa esperienza potrebbe<br />

arrivare a crearsi diciamo una commissione – una scuola – che insegni ai professori, che c‟è<br />

ma <strong>non</strong> c‟è, nel senso che qui <strong>non</strong> c‟è, ho capito che qui <strong>non</strong> c‟è<br />

- MM – Sta cominciando.<br />

Nicolas<br />

- NS – Sta cominciando ...<br />

- MM – La scuola è lenta.<br />

- NS – La scuola è lenta, comunque, voglio dire, a ritrovarsi ad avere sempre più<br />

consapevolezza delle dinamiche dei ragazzi e ogni volta questa scuola che <strong>non</strong> è<br />

l‟Università o la Magistrale dove studi per diventare maestro o professore, diventa dopo<br />

questa famosa scuola un tirocinio di quattro mesi, di sei mesi, dove ci sono delle persone che<br />

ti danno dei trucchi, cioè – voglio dire – chi meglio di te ... Quanti anni hai insegnato tu<br />

nelle scuole?<br />

- MF – Trenta.<br />

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- NS – Magari <strong>non</strong> sei la persona adatta tu, o forse sì, o forse un altro, chi si sente questa cosa<br />

deve entrare e andare poi a insegnare a insegnare, eccetera eccetera. Abbiamo già parlato di<br />

queste belle cose, ma bisogna farle, c‟è poco da fare, se no siamo al punto di [prima]. Finita<br />

la terza media, ha quattordici quindici anni, oggi ha quindici anni, di nuovo – meno male – il<br />

ragazzo è abbastanza adulto, nel senso che è già<br />

[Si esaurisce il nastro dal lato A e riprendo da B].<br />

- NS – Dunque lasciamo all‟individuo di vivere il suo tempo storico e quindi a quindici anni<br />

lo stato dovrebbe proporre una serie di possibilità lavorative, di esperienze umane e anche<br />

professionali. Non bisogna spaventarsi perché qui in Italia abbiamo avuto questo grande<br />

problema, secondo me, di Berlusconi, che ha – come dire? – tappato la realtà, cioè ha fatto<br />

due problemi in questi ultimi cinque anni in Italia, ma seri, li pagheremo nei prossimi<br />

quindici anni, è come parlare, tra parentesi, del conflitto di interessi, è focalizzato su<br />

Berlusconi, ma l‟Italia, la società, è piena di conflitti di interessi, quindi c‟è poco d<br />

lamentarsi,quindi la scuola deve anche preparare professionalmente, <strong>non</strong> bisogna<br />

spaventarsi, dire no, questi qui vogliono due politiche, ma dell‟educazione normale, di base<br />

per tutti, e l‟altra una preparazione alla produzione, ma ci sta anche l‟educazione alla<br />

produzione: ragazzi <strong>non</strong> è un problema, la vita è fatta di queste cose, quindi bene. Lo Stato,<br />

le commissioni, le strutture propongano una lista enorme di possibilità di esperienze da fare<br />

in tre anni, quindi a quindici anni, quando finisci questa cosa, hai la possibilità di dire “Ma<br />

mio figlio ..., lui ..., questo orientamento ..., ma lui era più orientato verso queste cose”, “Ma<br />

che cosa?” Ma lui voleva fare il pompiere, l‟altro l‟ingegnere. Ma allora hai tre possibilità e<br />

in questi tre anni hai la libertà di andare a fare proprio l‟assistente agratis a un ingegnere, a<br />

un archeologo, a un barista, a qualsiasi cosa; invece chi vuole può anche continuare la sua<br />

teoria, ma quella sua teoria se <strong>non</strong> la fa per due anni, dai quindici ai diciotto anni, quando<br />

inizierà a diciotto anni a fare l‟Università – bene! – dopo quattro anni di Università escono<br />

delle persone meravigliose, preparate e vogliose di quello che vogliono fare, perché se no la<br />

verità è che è una tristezza vedere le Università, i Licei, ..., c‟è proprio un chi se ne frega,<br />

cioè all‟Università un po‟ c‟è qualcheduno come lei [indica Marieve] che, adesso a<br />

trentacinque anni a trentotto anni, si riscrive, allora – cavolo! – lo fanno con una passione<br />

che <strong>non</strong> ti dico.<br />

- MM – [Conosco un po’ meno il sistema scolastico italiano] ma conosco molto bene quello<br />

francese, ed è fatto così, c‟è un orientamento ai quattordici anni, c‟è una serie di tappe così.<br />

Sì, ma <strong>non</strong> funziona. Anche in Francia si lamentano. Quello che è orientato verso il mercato<br />

del lavoro sùbito, le proposte <strong>non</strong> è che siano ..., cioè il maschio finisce col fare il<br />

meccanico e la femmina col fare la segretaria, se vuoi. Cioè <strong>non</strong> è che uno dice fai uno stage<br />

di teatro, fai uno stage di ...<br />

- NS – Ma devi proporli.<br />

- MM – Tu conosci bene anche il sistema. Ripeto, <strong>non</strong> so bene come funzioni in Italia, ma<br />

comunque in Europa stanno cercando di fare<br />

- NS – Ma condivido.<br />

- MM – e quindi lì è, secondo me, un po‟ una <strong>non</strong> conoscenza della cosa, perché allora poi è<br />

gente che è orientata e poi una volta che sei infilato lì <strong>non</strong> ne esci più.<br />

- NS – Se invece fai il liceo scientifico sei sempre lì dentro.<br />

- MM – Abbiamo parlato della scuola. La premessa che faccio prima di tutto è che si chiede<br />

molto alla scuola. Allora, che la scuola <strong>non</strong> rientri in tutto il suo compito, okay; però il<br />

problema (ripeto: ho i miei genitori che sono professori) <strong>non</strong> sono tanto gli allievi o la<br />

scuola (che sono degli individui dentro un sistema che cercano di farlo funzionare), sono i<br />

genitori, è la famiglia che ha completamente delegato l‟educazione alla scuola, e allora lì c‟è<br />

un grosso problema. Chi se la cava nella società? Se la cava chi ha la famiglia dietro che ha<br />

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una cultura, cioè <strong>non</strong> solo i soldi, perché poi aiutano – chiaramente – i soldi, però chi è ...?<br />

Io lo vedo; ho una bambina di undici anni e passo due ore con lei – in media – al giorno per<br />

seguirla e so che, se avrò la costanza di far questo, <strong>non</strong> sarà orientata a quattordici anni a<br />

fare la segretaria, perché aprirò delle porticine. Le maestre, per quanto siano brave o per<br />

quanto siano stronze, <strong>non</strong> possono fare la polizia, l‟assistente sociale, ... Alla fine il docente<br />

è lì per trasmettere un certo tot di conoscenze, poi tutto il resto ..., c‟è il modo di farlo, chi lo<br />

fa meglio ..., però si chiede molto alla scuola. Secondo me il problema è lì. E allora la scuola<br />

diventa, se c‟è una sconfitta individuale, ... Deve essere condivisa la cosa.<br />

- NS – Certo certo. Infatti il problema è allargato a una società in grande decadenza.<br />

- MF – Io direi in trasformazione.<br />

- NS – In trasformazione. Diciamo che c‟è una parte di generazione – come noi – in cui già i<br />

figli dei separati – secondo me – sono avvantaggiati oggi – per esempio – in un certo senso;<br />

<strong>non</strong> sempre, però hanno già una dinamica alternativa, quella di base più quell‟altra. Quindi<br />

si tratta che il cervello umano deve avere la conoscenza; la conoscenza <strong>non</strong> è altro che il<br />

disporre di diverse possibilità e quindi nella famiglia – hai ragione –<br />

- MM – Mi viene in mente una pubblicità che ho visto ieri. Diceva: questa è la libertà, è avere<br />

un‟alternativa. L‟ho guardata perché poi è proprio quello che mi sta succedendo. Io ho avuto<br />

un percorso un po‟ come Nicolas, solo che ero molto studiosa, perché avevo tutta questa<br />

famiglia che insegnava, quindi sono stata molto motivata, cioè si credeva nella scuola, era<br />

molto criticata, però si studiava; e poi a diciotto anni, avevo già una linea molto tracciata<br />

nella mia testa, volevo far lingue eccetera, a diciotto anni sono arrivata all‟Università e lì mi<br />

è venuta una specie di crisi: “Non ne ho voglia, ho voglia di lavorare, di acquisire<br />

indipendenza” e ho cominciato un lavoro di costumi da scenografa, proprio da autodidatta, e<br />

nel giro di tre anni, mentre la gente fa la scuola e paga per imparare a fare scenografia, io<br />

così, per questa flessibilità, perché quello che ci ha dato il nostro percorso è la flessibilità,<br />

quando tu cambi ogni anno scuola, paese, ti adatti, a volte ti va bene a volte no, però hai<br />

questa grande agilità, questa mondologia, o ti adatti alla lingua o all‟ambiente, così. Allora<br />

io in tre anni mi sono fatta una professione senza ... Le lingue mi sono servite perché<br />

trovavo più facilmente lavoro, però il lavoro stesso di scenografo professionista l‟ho<br />

imparato proprio ... e <strong>non</strong> sapevo cucire un bottone, quindi lì, come bambina avevo questo<br />

caos di cambiamenti che mi ha dato una grande forza.<br />

- MF – Vedo che si sta un po‟ imbrogliando – no? – il discorso, nel senso che ci sono tanti fili<br />

che vorrei portare avanti, ma mi sembra difficile perché mi sto perdendo anch‟io, però una<br />

delle cose che mi sembrava, quando dicevi tu, col tuo discorso sono d‟accordo, nel cercare<br />

di mettere più a fuoco le varie problematiche<br />

- MM – sulla scuola<br />

- MF – sulla scuola. Volevo contribuire dal mio punto di vista. Mi sembra che ci siano due<br />

elementi portanti, uno l‟aspetto dell‟autodidatta, nel senso che io devo avere la libertà di<br />

decidere come costruire la mia conoscenza, dall‟altro però anche l‟aspetto (perché ci sono<br />

quelli che <strong>non</strong> vogliono far così, però ci sono anche quelli che sono disorientati e <strong>non</strong> hanno<br />

genitori che possano farsi carico di permettere più esperienze in vari paesi o anche situazioni<br />

- NS – Ma è quello – scusami – però è proprio quello che dicevo, quindi la riforma parla di<br />

questo. Io Stato, istituzione, quello che devo capire è capire i tempi in cui la società vive,<br />

quindi capire che oggi per difendere la mia società, perché qui si parla di patriottismo eh, c‟è<br />

poco da fare, di patriottismo europeo, se vuoi anche della nostra nazionalità italiana; ma<br />

prendiamo la nostra società, io sono un occidentale convinto, cioè io amo la mia società<br />

totale, quindi <strong>non</strong> è che dico “No, io mi voglio difendere – per esempio – da strutture<br />

nordamericane, da strutture cinesi” eccetera eccetera, quindi <strong>non</strong> voglio fare una brutta<br />

figura davanti a un americano e dire “l‟Università americana che bello, guarda come<br />

funziona”, i cinesi “guarda questi qui”. No, io ho una storia e voglio difenderla, quindi la<br />

storia dell‟Europa è quella di adattarsi ai tempi. Oggi l‟Europa lo fa. Vorrei però marcare il<br />

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punto sull‟Italia, siamo in Italia e parliamo dell‟Italia e qui sì che è diverso, cioè l‟Italia<br />

pecca, anche nell‟istruzione, di grande arretratezza, cioè il Nord Europa usa pochi libri, è il<br />

docente che con la sua esperienza va marcando (con tutti i rischi che comporta ma alla fine<br />

funziona di più, è tutto più agile) ...; i ragazzi, fuori dall‟Italia, le Università le finiscono a<br />

ventitré anni ventidue anni, qui anche, qui si è rimessa un po‟ la cosa, bisogna agilizzare un<br />

po‟ le cose per poi invece fare i workshop, i seminari, le esperienze; sono quelle che<br />

contano.<br />

- MM – Li fanno.<br />

- NS – Sì, ma molto meno, ma molto meno, Maria, molto meno, molto meno, nel senso che<br />

qui abbiamo la grande possibilità dell‟italiano e del greco, dello spagnolo, del portoghese,<br />

questi paesi un po‟ più sfortunati, è quest‟Erasmus, che meno male che c‟è, ma io<br />

potenzierei l‟idea dell‟Erasmus, cioè, voglio dire, c‟è l‟Europa Unita? Bene, facciamo allora<br />

questo scambio anche di cultura, io ti sbatto d‟obbligo, <strong>non</strong> che devo vedere se ho la fortuna<br />

che mi accettino questo mio anno di Erasmus, no, deve essere obbligatorio, cioè, tu, dei<br />

cinque anni di liceo, se li facciamo, due anni te li fai fuori dall‟Italia. Come? Troveremo il<br />

sistema, troveremo i soldi per pagarti delle cose, troveremo le strutture per lavorare per<br />

pagarti gli studi che ti fai in una certa maniera o nell‟altra. Insomma, adesso io <strong>non</strong> sto mica<br />

qui a ..., io <strong>non</strong> so, <strong>non</strong> sarei capace a fare una riforma, ma c‟è la politica, ci sono<br />

- MM – Il problema poi alla base è quello dei soldi. La scuola ha sempre questa difficoltà. Ma<br />

io in Francia ho sentito esattamente gli stessi discorsi, poi possiamo vedere nei dettagli<br />

perché sì o no, però è fondamentale che poi il Ministero dell‟Educazione prende molto meno<br />

soldi in proporzione a quello<br />

- NS – e sbagliano, e sbagliano; sbagliano perché proprio sono degli errori banali, nel senso<br />

che come fai tu a tagliare i soldi all‟educazione che poi ti troverai con una società che <strong>non</strong> è<br />

capace a produrre; ma è proprio stupido! Anzi, egoisticamente, finanzio quello, cioè ti<br />

finanzio così tu poi mi ridai indietro, in una visione di Stato, che sia nazionale o europeo è lo<br />

stesso, io ti finanzio, ti presto i soldi magari anche a zero tasso, insomma queste cose che<br />

stanno nascendo, un investimento che ti fai. E invece – purtroppo – abbiamo questo Sud<br />

Europa che, se chiede i finanziamenti, li chiede per la macchinaaa, per certi valori, cioè qui è<br />

un problema già di valori, hai capito? Eh eh, voglio dire di valori, il problema è un po‟<br />

questo. D‟altra parte però cos‟è il bello dell‟Italia? Che se da una parte c‟è questa radicale<br />

sconfitta, d‟altra parte quest‟Italia è divisa veramente in due come il cervello umano, più che<br />

in altre nazioni, e poi dall‟altra parte c‟è invece un popolo che queste cose le capisce, cavolo<br />

se le capisce, solo che è talmente buono che <strong>non</strong> è manco capace a imporsi, perché è una<br />

questione di buonismo secondo me [ridacchia]. Cioè, io vedo anche la parte del discorso,<br />

cioè la politica della sinistra italiana adesso (criticata da tutti, persino dalla sinistra stessa) è<br />

solo un errore di comunicazione, il lavoro procede piano piano, bisogna fare così. Forse<br />

questo Prodi, questa gente così noiosa, il portavoce di Prodi, orrendo fisicamente, che <strong>non</strong> è<br />

così, va bene; se restiamo in questa maniera, faremo capire che c‟è poco da vedere, <strong>non</strong> è<br />

che bisogna essere belli, bisogna saper dire le cose. Questo bisogna che capisca l‟altra parte,<br />

la destra, che si tratta solamente di<br />

- MF – Il discorso si è un po‟ spostato, mi va benissimo. Volevo chiederti questo, che mi<br />

aveva incuriosito. Quando hai detto io imputo a Berlusconi due errori gravi, poi – mi è parso<br />

– <strong>non</strong> hai detto quali. Quali sono?<br />

- NS – No. Ha creato due problematiche questa esperienza italiana di governo di cinque anni.<br />

Si è focalizzato tutto su di lui, quindi è il peggio che poteva succedere, perché, proiettando il<br />

problema su un individuo,<br />

- MF – Lo avevi accennato.<br />

- NS – poi <strong>non</strong> ti guardi allo specchio. Hai capito?<br />

- MF – É troppo personalizzato.<br />

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- NS – É troppo personalizzato. Oggi lo vedo proprio chiaramente. Il conflitto di interessi è un<br />

problema della politica italiana. Ieri vedevo un documentario di Elio Veltri che spiegava che<br />

adesso c‟è tutta una intellighenzia italiana, al di fuori dai partiti, dalla politica, che vuole in<br />

costituzione direttamente il conflitto di interessi, perché se <strong>non</strong> si mette in costituzione<br />

nessun partito si metterà a fare una legge. L‟abbiamo visto. Perché? Perché farebbero una<br />

legge per andare direttamente in galera, metaforicamente, perché tutti quanti hanno un<br />

problema di conflitto di interessi. Quindi il conflitto di interessi diventa una cosa cellulare,<br />

bisogna capire<br />

- MF – come risolvere il problema.<br />

- NS – L‟altro è professionale. La scuola di Berlusconi era delle tre I, inglese, Internet e<br />

industria. Detto da Berlusconi, – belìn! – tutti quanti hanno detto no, “Così <strong>non</strong> va bene”.<br />

Ma <strong>non</strong> è che quello <strong>non</strong> va bene, certo che è bene che si studi l‟inglese, ma anche il cinese,<br />

e va bene anche l‟industria. Se tutto quello che viene da Berlusconi è negativo per partito<br />

preso, abbiamo fatto due errori, ha vinto due volte lui, – capisci? – perché addirittura su certi<br />

temi queste persone ti mettono davanti il piatto. Cosa no? Non vuoi mettere l‟industria?<br />

L‟idea di produzione? Di creare comunque individui che siano capaci poi di vivere nella<br />

società? Ma certo che c‟è bisogno. Facciamolo. Detto da Berlusconi, sicuramente detto e<br />

organizzato da Berlusconi: male tutto quanto, <strong>non</strong> piace a tutta una parte. Però <strong>non</strong> è<br />

neanche quella la cosa, il problema è <strong>non</strong> focalizzare sull‟individuo. Io faccio sempre<br />

l‟esempio: in una famiglia se i genitori si sono separati, io catalogo subito le persone in<br />

questo modo, se tu hai veramente l‟obiettivo di crescere tuo figlio con amore ti comporti in<br />

una maniera e quindi tu <strong>non</strong> creerai problemi a questo bambino dicendo che il padre è uno<br />

stronzo, che la madre è una stronza. Magari hai ragione ma tu devi stare zitto perché il tuo<br />

obiettivo è quello lì, crescere con amore questa persona, pronta con equilibrio e serenità ad<br />

affrontare la vita, ecco. Quindi tu puoi avere mille ragioni, puoi incontrare il genitore che<br />

dice: “Ma no, ma guarda cosa sta facendo, mi sta portando via tutti i soldi” oppure “Non mi<br />

lascia vivere”. Bene: questa cosa sarà vera, ma è un tuo problema, <strong>non</strong> è un problema di<br />

questo bambino; cioè, a questo bambino il problema lo devi portare quando sia più maturo<br />

possibile in maniera tale che questo ragazzo a quell‟età abbia poi un‟idea più personale<br />

dell‟argomento. Se tu, questo bambino, lo cresci da subito con queste problematiche, ...<br />

Questo per dire che il problema è la scuola, <strong>non</strong> è Berlusconi; <strong>non</strong> so come dire. Ecco.<br />

Un‟altra cosa molto bella, mio padre, ecco un altro cambiamento che è stato forte nella mia<br />

vita, mio padre, al diciottesimo compleanno, mi regalò una pergamena fatta da lui facendo<br />

una lista di cosa succede quando una persona nasce, tutti i filtri che ci vengono immersi;<br />

dallo shock fuori dalla pancia (ecco la prima cosa), ai genitori, a come magari ci tiene il<br />

dottore, ai gesti, alle prime grida, insomma a tutto quello che passa dopo, cioè ai genitori,<br />

alla sorella, alla scuola, alle religioni, ai media; arrivano tutti i filtri, ci mettono filtri. Io<br />

penso che la conoscenza – in un certo senso – è levare questi filtri fino ad arrivare a una<br />

purezza, – come dire? – a cui <strong>non</strong> si può arrivare, però credo anche un po‟ a quello: bisogna<br />

levare levare levare fino a che <strong>non</strong> si sta molto bene a fare queste cose che stiamo facendo io<br />

e te, io e lei [Marieve] in questo momento, oppure – in casa – comprare un pianoforte, <strong>non</strong><br />

costa niente, anche a rate te lo compri, invece di comprare il televisore al plasma ti compri<br />

un pianoforte o una bella libreria. Io amo molto quelle famiglie; la mia famiglia ha fatto<br />

così. Si legge in casa, si legge un libro ad alta voce, si discute. Si guarda un film, si spegne il<br />

televisore e si parla del film. Ecco: diventa una società <strong>non</strong> consumista, capitalista, tutto<br />

quello che vuoi ma <strong>non</strong> consumista, cioè nel senso: stiamo a casa, <strong>non</strong> abbiamo bisogno di<br />

andare a mangiare la pizza, perché mangiare la pizza vuol dire evadere dalle problematiche<br />

di casa al novanta per cento. Si sta bene in casa, questo <strong>non</strong> vuol dire comunista, <strong>non</strong> vuol<br />

dire niente, <strong>non</strong> c‟entra il comunismo, <strong>non</strong> c‟entra niente, c‟entra una società che è un po‟ in<br />

equilibrio con se stessa e che ama e che vive con passione. Si dice: “Lo fai con passione il<br />

tuo lavoro?”. Non è il lavoro che devi fare con passione, tu devi vivere la vita con passione e<br />

47


quindi ti ritrovi a vivere. Adesso io faccio ogni giorno il pane – cavolata – ma è un piacere<br />

incredibile, mangiare il pane che io mi faccio è un piacere incredibile insomma. Sapere<br />

aggiustare la macchina da soli: quello ti dà un equilibrio incredibile.<br />

- MM – Saper ritrovare una manualità.<br />

- NS – Sì, parliamo di manualità. Se la scuola è troppo teorica crea degli individui con un po‟<br />

di squilibrio (mi spiace dirlo), cioè deve essere compensata; tutta una strada teorica deve<br />

essere accompagnata da una strada pratica e poi creare delle avanguardie dove però allora ti<br />

prendi i tuoi rischi, nel senso che se tu vai solo di cervello ..., ahimè, occhio – eh – a quello<br />

che ti succede, nel senso: preparati, fatti degli anticorpi in un‟altra maniera, abbi la forza o<br />

l‟economia per farti delle belle vacanze, perché – se no – è difficile; cioè, se vai solo di testa<br />

ti manca qualche cosa.<br />

- MM – Per me è un problema di assimilazione. Si parlava prima di questo rapporto con<br />

l‟apprendimento funzionale. Per me il paradosso oggi ..., perché <strong>non</strong> è che la gente <strong>non</strong><br />

legge o che <strong>non</strong> ha accesso all‟informazione, questo surplus d‟informazione crea una<br />

disinformazione, perché forse è meglio saperne meno ma saperlo bene, e poi – a partire da lì<br />

– c‟è un‟assimilazione veramente, hai digerito veramente quello che ... Io conosco solo la<br />

storia – diciamo – della Francia e da lì posso partire per orientarmi, per capire la storia. Il<br />

problema è che adesso – vedo già – nelle medie imparano un sacco di cose però che a un<br />

bambino di undici anni che gliene frega di certe cose? Cioè, <strong>non</strong> ha la maturità per capirle e<br />

<strong>non</strong> ha neanche senso che lui capisca l‟agricoltura industriale. È chiaro che è tutto<br />

interessante e che <strong>non</strong> c‟è un‟età per imparare certe cose, però è sproporzionato. Quindi<br />

penso che alla fine c‟è una gara ad accumulare; ad assimilare <strong>non</strong> ce la fai perché – alla fine<br />

– <strong>non</strong> hai lo spazio cerebrale, per quanto un bambino possa essere intelligente. Un po‟<br />

quello che succede con mia figlia Juliette, che <strong>non</strong> è un genio ma <strong>non</strong> è neanche scema, è<br />

proprio un‟intelligenza media, però molto stimolata; però poi arriva a scuola che c‟è una tale<br />

richiesta, un tale stress, che il bambino poi [...]. Lei che ha tutte le possibilità, perché ha tutto<br />

un appoggio dietro, ..., figurati il figlio del proletario ...; <strong>non</strong> per fare la superiore, ma perché<br />

ha meno attrezzi di quanto ne avessi io dai miei; figurati! C‟è il disastro, perché vuol dire<br />

che a quindici anni <strong>non</strong> avrà la forza di continuare; <strong>non</strong> che è una sconfitta smettere la<br />

scuola, ma se smetti la scuola ti trovi a lavorare e allora vai a lavorare e a fare la cassiera ai<br />

GS, è quello il problema fondamentale. Tu [si rivolge a Nicolas] hai avuto la fortuna a<br />

quindici anni di poter lavorare così perché era una situazione molto particolare, però chi lo<br />

fa senza avere un‟ascendenza così fa la cassiera, fa il meccanico, che sono anche dei bei<br />

mestieri se li scegli veramente. Io ho fatto la cassiera al Mac Donald, mi sono divertita, ma<br />

perché sapevo che avevo tutto un appoggio di famiglia e di cultura che mi lasciava la scelta,<br />

lo facevo antropologicamente e lo posso fare domani se ho bisogno di farlo, ma so<br />

benissimo che <strong>non</strong> lo farò tutta la vita, quindi <strong>non</strong> mi angoscia e quindi <strong>non</strong> ho un senso di<br />

inferiorità. Sto bene nella vita perché ho questa libertà: ho trentotto anni e ho ripreso i corsi<br />

all‟Università e io mi sento molto forte per questo; <strong>non</strong> so dove vado, forse <strong>non</strong> serve a<br />

niente a livello professionistico, però questo avvicinamento alla conoscenza lo faccio<br />

serenamente, mi passo le notti così e mi appassiona. A diciassette diciotto anni o lo fai<br />

perché devi sfuggire ... Mi ricordo di un‟amica africana che era la migliore della classe<br />

perché se no la sposavano (“Al mio paese si sposano”), stava qua, lavorava. Se no la<br />

motivazione dove la trovi? Non la trovi, e poi la società è senza pietà.<br />

- NS – C‟è un punto da toccare assolutamente. Prima parlavi di troppa informazione che poi<br />

risulta oscurantismo. C‟è da dire che però questo, oggi, proprio nel nostro presente, oggi [si<br />

rivolge verso Marieve con aria interrogativa],<br />

- MM – 25.<br />

- NS – 25 gennaio 2007, viviamo nel pieno presente. Sembra banale, ma lo strumento di<br />

Internet sta scombussolando tutto, tutto. Cosa vuol dire? Che stanno dimostrando che il<br />

vecchio potere informativo, quindi la cultura, si è comportato male e che si sta comportando<br />

48


male. Oggi io guardo un telegiornale di otto canali italiani e poi mi guardo il mio<br />

telegiornale in Internet e mi dico: “Ma questi qui continuano a raccontarmi delle palle”. Da<br />

una parte ho l‟informazione completa con le immagini, con delle informazioni e delle<br />

conoscenze incredibili sul tema e tu invece mi stai professando ancora tutto un sistema di<br />

oscurantismo sulle tematiche, e allora questo io penso: che proprio da qui a dieci anni, in un<br />

crescendo, <strong>non</strong> fra dieci anni, siamo in un‟evoluzione, in una trasformazione, di questa<br />

conoscenza e quindi vuol dire – e beh ragazzi – oggi su Internet scrivi ... Ma tu pensa che<br />

adesso ho bisogno di sapere ..., hai presenti le Lava Lamp? Sai? Queste lampade che si<br />

scaldano e che hanno dentro queste bolle ...<br />

- MF – Sono di anni fa.<br />

Marieve e Nicolas<br />

- NS – Ecco. Ne dobbiamo fare una grande. Ma io, ieri, in un‟ora ho trovato la composizione<br />

chimica, addirittura sulle malattie; vai a trovare, cerchi l‟Università o l‟ospedale che ha<br />

trovato già una soluzione che però il potere <strong>non</strong> te lo dice perché ancora <strong>non</strong> è pronto,<br />

perché dovrebbe andare da lì a là e deve tutto essere assimilato e tutto quanto; così tu vai –<br />

tac – lì e hai l‟informazione e poi vai a prendertela proprio, se hai bisogno; abbiamo<br />

Wikipedia, <strong>non</strong> so se tu lo conosci, ti farò vedere adesso, cioè l‟enciclopedia più grande<br />

della storia umana, dove ogni individuo può modificare l‟elemento<br />

- MM – con delle regole.<br />

- NS – Ma sai qual è la regola? È incredibile. È la regola dell‟umano, cioè, tu dici: “Ma è<br />

pericolosa”. Tu parli di un tema importante, dici: “Ma no, se però tutti possono mettere<br />

[mano], uno dirà che Hitler era buono” e no, ma perché tu in un secondo hai sempre più<br />

tempi. Adesso siamo un miliardo e mezzo di Internet, fra dieci anni saranno tre, che in un<br />

49


secondo – chissà – uno – (perché c‟è sempre uno di là, che è sempre nella stessa pagina) che<br />

legge che Hitler era buono e che dice: “No, Hitler <strong>non</strong> era buono per quello”, e allora arriva<br />

un altro che dice: “Ma io te lo ricambio, no, era buono”, e tu avrai due secondi dopo<br />

qualcuno che ti dice: ..., lì diventa comunicazione bio..., noi vediamo la vita, perché poi il<br />

sistema è questo. Che cos‟è la vita? La terra. Per quanto mi riguarda, ho una visione<br />

scientifica proprio che diventa mistica. Quindi la mistica per me sta nella scienza e <strong>non</strong> nella<br />

religione e né niente. La terra è rotonda, la foto più bella, la conoscenza più bella dell‟uomo,<br />

è stata la foto scattata dal satellite, che finalmente è la foto più allontanata da noi stessi. Ed è<br />

rotonda, talmente rotonda che è una cellula. All‟interno, abbiamo fatto delle analisi, c‟è un<br />

nucleo. Quindi la terra è una cellula di un organismo più grande, di quello che tu vuoi, ma è<br />

una cellula, e, all‟interno, noi<br />

- MM – in un sistema elaborato [...]<br />

- MF – Cellula sì, ma molto metaforicamente, perché la cellula vive, mentre la materia ha<br />

un‟altra forma di vita che <strong>non</strong> possiamo chiamare vita.<br />

- NS – E no, vive. No no, no, la scienza, almeno la nostra visione di scienza, ... Sì che è un<br />

ragionamento umano, ma la terra vive.<br />

- MF – Certo.<br />

- NS – Cioè, la terra vive nel senso che<br />

- MF – nel senso che produce vita.<br />

- NS – Ebbé.<br />

- MF – Però <strong>non</strong> è una cellula il pianeta terra.<br />

- NS – E come no? E che cos‟è?<br />

- MF – È una struttura simile a quella della cellula, ma con leggi differenti, totalmente<br />

differenti da quelle della cellula.<br />

- NS – No, ma no, assolutamente no. È micro e macro. Si continuano a ripetere. Se tu guardi<br />

quello che hai dentro al sangue lo ritrovi; cioè, noi siamo composti, cioè, tutto quello che noi<br />

abbiamo fino a adesso, forse scopriremo sempre più elementi, sono novantatrè elementi,<br />

dallo zinco al ferro all‟ossigeno, sono novantatrè elementi che nella composizione diversa<br />

combinano pietra, combinano solido: il problema è capire ma come mai noi esseri umani<br />

abbiamo questa consapevolezza, questo è l‟unico problema che io <strong>non</strong> voglio neanche<br />

toccare<br />

- MF – È uno dei tanti.<br />

- NS – È uno stimolo, quello è uno stimolo per creare. C‟è l‟ipotesi Gaia, sino all‟Ottantanove<br />

Novanta era un‟ipotesi, oggi è diventata una teoria, è una teoria a tutti gli effetti, che è la<br />

terra come una cellula, e noi quando poi andiamo da qui su un altro pianeta quello che<br />

facciamo semplicemente è quello che fa quando una cellula va a intaccare un‟altra cellula,<br />

cioè quindi il micro e il macro vanno prio a toccarsi, a scontrarsi pesantemente.<br />

- MF – Non sono a conoscenza di queste cose, però, suppongo, dal mio punto di vista, che sia<br />

una teoria.<br />

- NS – È una teoria. Sì, va beh, però noi viviamo solo di teorie. È una teoria che però a volte è<br />

applicata, nel senso che lì si fanno delle analisi con le nostre strumentazioni e con i nostri<br />

termini e quello che sappiamo è che questo legno [probabilmente indica il tavolo situato<br />

dinanzi a noi] è composto di un numero determinato di elementi che nella sua forma<br />

compongono questo tipo di vita così. Siamo un po‟ su quella linea lì, cioè la scienza sta<br />

andando su quel terreno lì. Se vogliamo toccare un altro aspetto della scuola è per esempio<br />

questa ossessione alla religione, di nuovo, ma basta basta basta basta, cioè basta<br />

- MM – Non la chiamerei ossessione; credo una grande ambiguità. Ad Arenzano, dove c‟è il<br />

Bambino di Praga, paese molto bigotto, alla scuola media e alla scuola elementare, siccome<br />

ci sono pochi immigrati, le due uniche bambine che <strong>non</strong> fanno religione sono francesi, la<br />

mia e un‟altra francese, che <strong>non</strong> è un caso. Cosa succede? Che questa ora di religione,<br />

queste ore di scuola, uno può fare da una a tre ore se ho capito; c‟è questa ambiguità.<br />

50


- MF – Per quel che ne so io, hanno un‟ora alla settimana.<br />

- MM – Può andare fino a tre ore, o forse alle elementari; alle elementari sono sicura che è<br />

così, alle medie <strong>non</strong> so. Comunque <strong>non</strong> è obbligatorio: cosa che io trovo molto ambigua. Io<br />

propongo: o si fa un‟ora delle religioni, perché se andiamo a Genova è piena di immigrati<br />

che hanno altre fedi religiose e è assurdo <strong>non</strong> fare una panoramica, e poi <strong>esiste</strong> un‟Italia<br />

laica. Dov‟è? Il problema è che <strong>non</strong> si fa vedere perché si continua comunque a mandare il<br />

bambino a questi corsi di religione che sono molto noiosi perché <strong>non</strong> sono più adatti; una<br />

volta aveva un senso, adesso <strong>non</strong> ha più senso. Io proporrei un‟ora obbligatoria delle<br />

religioni perché è nella storia. Perché mi è successo così: mia figlia è stata iscritta d‟ufficio<br />

al primo anno a religione, e io ho detto “Non le farà mica male, lo fa”. Lei alla fine<br />

dell‟anno mi ha detto, siccome sapeva che <strong>non</strong> era obbligatorio, mi ha detto: “Guarda, io<br />

<strong>non</strong> ci ho voglia di farlo”, perché io penso che lei era un po‟ in contrasto con quello che<br />

viveva a casa, <strong>non</strong> era solo per <strong>non</strong> fare niente, <strong>non</strong> le andava bene. Vado in segreteria e mi<br />

dicono: “No, <strong>non</strong> è possibile perché c‟è un problema di tempi. Doveva farlo a gennaio”,<br />

eravamo a giugno; io parlo con la segretaria che si è proprio opposta, cioè <strong>non</strong> ha fatto<br />

nessuno sforzo. “Ma no, <strong>non</strong> è possibile – le ho detto – signora, va in contraddizione con la<br />

mia educazione, quindi <strong>non</strong> è possibile”; arriva una seconda segretaria che mi dice: “Ma<br />

l‟unico modo che lei ..., cioè lei dovrebbe fare così, dire che vive un‟altra religione”, al che<br />

mi sono arrabbiata. È lì, è proprio lì il problema allora; parliamo del diritto alla pigrizia o<br />

all‟ignoranza, io ho il diritto alla laicità<br />

- NS – che è la forma più alta di misticismo e di spiritualità.<br />

- MM – Sì, poi lì è un questione personale, però il problema è che <strong>non</strong> è riconosciuto il diritto<br />

di <strong>non</strong> avere una fede; cioè, io riconosco la tua fede e tu devi riconoscere che io <strong>non</strong> ho una<br />

fede. Poi il problema si è risolto perché sono riuscita a vedere il Preside che ha capito bene,<br />

che era più dalla mia parte, comunque il suo ruolo era di accettarlo; però il problema è un<br />

po‟ questo.<br />

- MF – Mi pare che il discorso che hai fatto tu adesso sia più di procedura burocratica, perché,<br />

se tu avessi detto – da subito – no, si sarebbe risolto.<br />

- MM – Sì. Lì mi sono trovata di fronte ad una donna che era una bigotta.<br />

- MF – È un discorso individuale.<br />

- MM – Non sto dicendo che hanno rifiutato, perché alla fine si è risolto; però raccontavo<br />

quell‟aneddoto lì per far vedere anche l‟atteggiamento. Io con la mia cultura francese avevo<br />

la forza d‟imporre questo e di andare fino in fondo mentre la maggior parte degli italiani<br />

- NS – magari abbandona e dice: va beh.<br />

- MM – Un altro aneddoto così: mi ricordo, qualche anno fa, quando un padre islamico si è<br />

arrabbiato e ha fatto uno scandalo perché c‟era nella classe il crocifisso. E lì io mi sono<br />

incazzata (io, a casa) perché ho detto: “Lì è un‟occasione mancata per i laici, perché <strong>non</strong> è<br />

un musulmano che deve fare questa cosa, a parte che va ad alimentare il conflitto fra<br />

islamici, cristiani eccetera. Era compito dei laici. Cioè, io, come straniera, <strong>non</strong> vado a ...,<br />

però i laici italiani, che ne conosco un casino, ma <strong>non</strong> fanno niente. Adesso a me <strong>non</strong> è che<br />

mi pone un problema enorme che ci sia il crocifisso perché appunto io ho [... equilibrio(?)]<br />

in casa, però nel sociale <strong>non</strong> deve succedere così, cioè deve essere<br />

- NS – Quindi vuol dire che in queste riforme idealistiche della scuola, oggi come oggi, devi<br />

insegnare televisione, ma <strong>non</strong> un‟ora, come dire: “Facciamo televisione: ne‟ che bello?”, no<br />

no no, televisione, io voglio almeno – <strong>non</strong> so – quattro ore alla settimana di televisione, tre<br />

ore di televisione, di educazione televisiva. Ma mi sembra proprio evidente, lo fanno nei<br />

paesi del Nord. Televisione, religione. Ma <strong>non</strong> vuoi oggi adattarti (<strong>non</strong> oggi, già da cinque<br />

dieci quindici anni) <strong>non</strong> vuoi adattarti e studiare il problema delle religioni e fare veramente<br />

tre quattro ore di religione? Ché dalla religione poi parte tutto un discorso storico. Cioè, i<br />

programmi devono essere più interlacciati per rendere più appassionato un bambino,<br />

secondo me; partire con un interlacciamento costante fra le cose e quindi le ore <strong>non</strong> sono più<br />

51


l‟ora di religione o di geografia, ma ... ; certo religione è perché si focalizza più il tema lì,<br />

ma il programma parte proprio perché studiando – l‟Italia – quel secolo lì, c‟era questo e<br />

questo qua, ma essere un po‟ più sintetici ed invasivi, tra l‟altro, nel collegamento delle<br />

cose. Televisione, la storia delle religioni perché è chiaro che è importante che oggi „sti<br />

bambini, cioè i ragazzi, devono imparare; c‟è una problematica incredibile, ché sembra che<br />

scoppi una guerra – tra un po‟ – tra le popolazioni, una guerra di religione. Lo Stato si vuole<br />

mettere lì e affrontare il problema?<br />

- MM – Lo fanno però. Io ho parlato di Arenzano; abbiamo fatto due anni a Genova in una<br />

scuola<br />

- NS – La Garaventa.<br />

- MM – la Garaventa, che è quella che è. Ha la peggiore reputazione per tanti problemi,<br />

immigrati, invece è una scuola dove – perché proprio era in difficoltà – tutto il corpo<br />

insegnante si difende molto e allora di propria iniziativa fa questa storia delle religioni, <strong>non</strong><br />

segue il programma perché la metà sono o cinesi o dell‟America latina, che sono cristiani,<br />

però ci sono anche tanti musulmani e tanti laici e allora lì i laici trovano anche il loro posto,<br />

il loro spazio, però, quello che dicevo prima, la scuola è un sistema che <strong>non</strong> sarà mai<br />

perfetto perché è come una legge, è sempre una media che si adatta e poi all‟interno di<br />

questa degli individui che ...<br />

- NS – Io ..., nella scuola europea eravamo ..., ma è un caso, sei lì in una città dove erano tante<br />

..., comunque una scuola europea vuol dire ..., io ti dico subito: facevo le lezioni, per<br />

esempio, di geografia e storia in francese, matematica e italiano in italiano, ginnastica in<br />

inglese, piscina avevamo una finlandese, tutto così, fantastico, nell‟ora di ricreazione<br />

c‟erano bambini di dieci paesi all‟epoca, quindici paesi, portoghesi, ... Paolo Catanese, il<br />

mio maestro di terza e quarta elementare: a Bruxelles <strong>non</strong> ci sono libri, fino al liceo <strong>non</strong> c‟è<br />

un libro, sono tutte fotocopie che si fanno, che lui prepara, e sono tutte fotocopie che fai<br />

passandoti, e tutto passa attraverso – un po‟ – il docente. Qui si portano quintali di libri. Non<br />

è per essere costantemente contrari al sistema, ma è che però tutti questi libri ... Sua figlia, la<br />

vedo, si annoia si annoia si annoia, io mi annoiavo, quindi – signori – bisogna [squilla il mio<br />

cellulare e lo spengo].<br />

- MM – Io devo andare ad accompagnare mia figlia a teatro. Fa due ore di teatro, per<br />

chiudere, ed è un piacere per lei.<br />

- NS – Abbiamo – per esempio – a Bussana, abbiamo due persone che sono professori, uno è<br />

professore d‟inglese al liceo scientifico e lei di Educazione Fisica. Sono stati negli anni<br />

caldi, hanno iniziato la loro carriera di maestri, di docenti, a Torino, nella periferia, e lì – mi<br />

dicevano – (e questo è un altro consiglio che do ai professori a prescindere da quello che è) e<br />

lì bisogna anche sapere un po‟ sedurre questi ragazzi, cioè devi trovare la formula. A Torino<br />

questi qui erano tutti un po‟ violenti, ci raccontava Marco 2 , che lui si è imposto, insomma ha<br />

fatto la sua, ha detto o la va o la spacca, cioè si è messo lì, c‟era [...] già grande, adulta,<br />

perché già bocciati e ribocciati, ragazzi di sedici diciassette anni, insomma si è messo lì e ha<br />

detto: “bene, adesso ci mettiamo qui a fare ..., ci picchiamo e poi vediamo la cosa”, bene,<br />

solo questo fatto ha stimolato quella gente a calmarsi, a capire che c‟era una persona<br />

davanti. Capisci? Bisogna un po‟ saper stimolare le persone in una maniera o nell‟altra, c‟è<br />

anche un po‟ un senso proprio di ipocrisia, devi arrivare lì e allora ognuno con il suo<br />

carattere deve sapere che cosa può fare per questi ragazzi, può essere che la dolcezza –<br />

magari – basterebbe, magari sanno che il professore è una persona dolce e gli sta bene così o<br />

piuttosto invece ... Ecco, noi vediamo che Marco insegna al Cassini, Marco è una persona<br />

bellissima incredibile, però ha un aspetto fisico che è al di fuori della norma di un<br />

professore, cioè capelli lunghissimi, ama il popolo indiano americano tantissimo, quindi<br />

sembra un indiano, bene, lui è amato da tutti gli studenti, vanno a casa a trovarlo, ha tre figli<br />

2 Nicolas cita nome e cognome; nella trascrizione preferiamo riportare solo il nome per ovvie ragioni.<br />

52


con tre ex-studentesse, c‟è proprio un amore verso questa persona e la verità è che queste<br />

persone in cinque anni di liceo imparano l’in-gle-se, ma perché c‟è Marco, c‟è poco da fare,<br />

c‟è Marco, capisci? Marco è un‟idea. Quindi anche lì conta tanto l‟individuo, avere la<br />

fortuna, perché la verità sta nella fortuna d‟aver avuto una bella maestra, un bel maestro,<br />

bravi, che hanno amato<br />

- MM – Parlavamo dei genitori in rapporto alla scuola e all‟educazione, anche i docenti dal<br />

Sessantotto ad oggi hanno anche dovuto ..., si è spaccato tutto; poi si è recuperato quello che<br />

ci voleva perché comunque tu che sei docente tu devi far rispettare, solo che <strong>non</strong> è più<br />

rispetto attraverso l‟autoritarismo ma attraverso altre cose. Sicuramente c‟è ancora – vedo in<br />

Italia – c‟è ancora un ritardo a quel livello lì. La scuola <strong>non</strong> è più imputabile solo al sistema<br />

se <strong>non</strong> alle persone<br />

- NS – alla società.<br />

- MM – A Juliette insegnano la <strong>musica</strong>. È una che canta, le piacciono molto i bambini del<br />

resto. L‟altro giorno arriva con il flauto: “Non riesco a suonarlo”. Non riesce a suonare<br />

perché deve guardare il solfeggio<br />

- NS – Ma che cos‟è? È da buttarlo via, il flauto.<br />

- MM – Ma va anche bene, è uno strumento molto ...<br />

- NS – È frustrante; no no no, è frustrante lo strumento.<br />

- MM – Ma lei pensava che era molto difficile; allora la piccola dimostrazione che le ho fatto,<br />

io <strong>non</strong> so leggere una nota ma so cantare, ho un buon orecchio come tanta gente solo a<br />

sentire il pezzo una volta, ho preso il flauto e l‟ho suonato e allora lì ha avuto il déclique,<br />

<strong>non</strong> sono io la maestra, è compito della maestra di farli percepire; poi il solfeggio, <strong>non</strong> è che<br />

sono contro il solfeggio, anzi sono invidiosa di chi ..., un giorno mi metto d‟impegno e<br />

potrei anche impararlo, però tu devi saperlo quel piccolo trucco lì, per un‟ora di <strong>musica</strong> alla<br />

settimana chi se ne frega di avere il solfeggio e di sapere le note, importante è riprodurre un<br />

suono che hai sentito e che hai percepito, <strong>non</strong> è che <strong>non</strong> l‟ha percepito, quindi<br />

- NS – Tra l‟altro fa il lavoro inverso.<br />

- MF – C‟è tua figlia che freme, teme di essere in ritardo.<br />

- NS – Tra l‟altro fa il lavoro inverso, cioè una bambina proprio brava a cantare e a suonare<br />

gli strumenti è castrata da questa qui, capisci? Non è che dici è andata male, no, proprio fa il<br />

lavoro inverso. E no, così <strong>non</strong> va bene.<br />

- MM – Io <strong>non</strong> sono preoccupata perché a casa recupero; però se parliamo degli altri<br />

- NS – Ma gli altri ce la faranno? Ce la farà la vicina di casa che invece <strong>non</strong> ha nessun tipo di<br />

..., eh<br />

- MM – Non per superiorità, perché poi saprà altre cose<br />

- MF – No, è una generalizzazione che stai cercando di trasmettere attraverso un esempio<br />

pratico, ma è un discorso generale.<br />

- MM – La democratizzazione della scuola ha creato dei paradossi e ha creato l‟oscurantismo<br />

di cui parlavamo prima, una saturazione dell‟informazione il cui risultato è una forma di<br />

oscurantismo, come quando si guarda l‟informazione: io so tutto di tutto, ma alla fine <strong>non</strong> so<br />

niente perché <strong>non</strong> ho potuto<br />

- NS – Un altro piccolo esempio, perché ci vuole un po‟ di istinto e <strong>non</strong> solo teoria. Noi<br />

adesso stiamo costruendo un‟installazione – a Milano – gigantesca, che sarà fissa, di un<br />

giardino cosmico. Noi abbiamo fatto il plastico, sappiamo come costruirlo, lo stiamo<br />

facendo. A Milano c‟erano gli ingegneri, ma gli ingegneri queste cose <strong>non</strong> le fanno e ti<br />

dicono: “Ma lei ..., come si fa?”. Allora, per una società, io credo che il dopoguerra italiano<br />

sia stato il più bel periodo in un certo senso perché c‟era della gente che magari <strong>non</strong> aveva<br />

questa laurea in ingegneria ma era un fisico nella testa, conosceva ..., c‟era gente portata a<br />

capire quali sono i pesi, perché tu sai bene che se ..., come io, per esempio ecco una cosa che<br />

so fare e che nella vita abbiamo fatto, è che io so che se schiaccio una tegola in un tetto, un<br />

pezzo di legno, io so se cadrà o <strong>non</strong><br />

53


[Termina a questo punto il nastro del lato B e la prosecuzione del colloquio <strong>non</strong> è stata più<br />

documentata].<br />

Casa sua.<br />

Arenzano, giovedì 25 gennaio 2007.<br />

54


55<br />

PUNTASPILLI<br />

1. Il ricercatore newyorchese Nicholas Negroponte, in un’intervista apparsa sul Decimo<strong>non</strong>o,<br />

effettua parecchie ed interessanti considerazioni; noi ne riportiamo soltanto due:<br />

[...]. I vostri studenti [cioè: gli studenti italiani] <strong>non</strong> hanno una preparazione adeguatamente<br />

scientifica e i loro professori insegnano sempre le stesse cose. Se chiedete a degli studenti<br />

del Mit 1 qual è l‟ultima volta che hanno parlato con il relatore della loro tesi, vi<br />

risponderanno venti minuti fa. [...].<br />

[...].<br />

[...]. Io credo che la povertà si combatta con l‟istruzione, [...].<br />

RENATO TORTAROLO, Negroponte: contro la povertà il mio computer a manovella, in Il Secolo XIX, Genova,<br />

mercoledì 25 gennaio 2006, p. 13<br />

2. A proposito degli striscioni gravemente offensivi esibiti domenica 29 gennaio allo Stadio<br />

Olimpico di Roma, il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo della diocesi genovese,<br />

interviene pubblicamente esprimendo giudizi inequivocabili. Proponiamo ai nostri lettori un<br />

breve passo del suo intervento.<br />

[...]. I giovanissimi, spiegano sociologi e psicologi, si intruppano spesso nel cosiddetto<br />

branco. Cadono i simboli formativi fondamentali, la figura dei genitori, dell‟educatore. Un<br />

mese fa, esperti e studiosi tra cui il rettore della Cattolica, hanno pubblicato un manifesto<br />

intitolato “L’educazione che ci manca”: mancano le figure degli educatori in famiglia, a<br />

scuola, è difficile formarli nelle aggregazioni giovanili. [...].<br />

1 Massachussets Institute of Technology.


MARCELLO ZINOLA, Bertone: calciatori violenti, in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 1 febbraio 2006, p. 2.<br />

3. Non si può sostituire il pesante zainetto con qualcosa di moderno e meno dannoso?<br />

Nuova allarmante notizia sui danni provocati dagli zainetti scolastici. Per i ricercatori<br />

dell‟università della California il peso dello zaino ridurrebbe il flusso di sangue alle spalle.<br />

Non si riesce a eliminare questi nemici della salute?<br />

Risponde Gaspare Barbiellini Amidei, giornalista e scrittore<br />

Se al posto di quel 20 per cento della loro stazza corporea che fra libri e quaderni viene<br />

caricato sulle spalle i ragazzi potessero memorizzare elettronicamente il materiale<br />

indispensabile alla giornata media di studio negli aggeggi telematici che di solito già hanno<br />

in tasca, leggeri e amati, il problema sarebbe risolto. Come? Chiedetelo a loro, massimi<br />

esperti di iPod, palmari, navigatori, cellulari, gameboy e via variando. È questione di<br />

software da far «mangiare» ai gadget informatici, solitamente da svago, che sono il massimo<br />

consumo dell‟adolescente aggiornato. Tutto è possibile e organizzabile, la tecnologia<br />

consente di portarsi appresso a peso zero delle mezze biblioteche. Ci sono gli scanner, ci<br />

sono metodi di scaricamento leciti e <strong>non</strong> complicati. Una classe può stabilire che cosa serve<br />

il giorno dopo e fare anche didattica sulla memorizzazione del materiale, senza danneggiare<br />

case editrici e senza minuta pirateria. Basta chiedere i diritti. Si può programmare un‟agenda<br />

elettronica quotidiana, autorizzata, si possono creare pagine da avere in aula, si possono<br />

prendere appunti senza ingombranti supporti da cartoleria tradizionale. Sembra incredibile<br />

che una scuola moderna, nella quale già dalle prime mosse viene introdotto un<br />

apprendimento minimo di informatica, debba poi piegare, <strong>non</strong> metaforicamente, la schiena a<br />

un arcaico sistema di trasporto di conoscenza da soma.<br />

GASPARE BARBIELLINI AMIDEI, Domande di Oggi. Non si può sostituire il pesante zainetto con qualcosa di<br />

moderno e meno dannoso?, in Oggi, Milano, 29 marzo 2006, n° 13, p. 17.<br />

4. In un articolo, dedicato alla qualità dell’olio d’oliva italiano, alcune persone intervistate<br />

chiamano in causa l’insegnamento scolastico. Ci sembra utile citare questi passi.<br />

Legenda:<br />

- MCR = Maria Cristina Rizzardi, produttrice di vini ed oli pregiati;<br />

- GZ = Gianluigi Zenti, amministratore delegato dell’Accademia Barilla;<br />

- MD = Maurizio Donelli, estensore dell’articolo.<br />

[...].<br />

- MCR – «[...]. Dobbiamo renderci conto che la vita della nostra terra dipende dai<br />

frutti che la terra può offrire. E questo andrebbe insegnato anche nelle scuole».<br />

- GZ – «Nelle scuole? Sì, questa è proprio una bella idea» [...]<br />

- MD – Ma come li ha scelti?<br />

- GZ – «Facendoli assaggiare ai migliori chef di ogni regione», spiega, «anche se è<br />

sempre più difficile trovare competenza in questo campo. Soprattutto tra i ristoratori:<br />

in Italia solo mille su 70 mila garantiscono qualità a tavola. Per questo considero<br />

ottima l‟idea dell‟insegnamento a scuola. Se <strong>non</strong> altro facciamo fare dei master<br />

56


specifici ai ragazzi che si diplomano nelle scuole alberghiere e che spesso escono<br />

dagli istituti avendo imparato poco o niente».<br />

Zenti parla trascinato dalla passione.<br />

- GZ – «In campo gastronomico bisogna frenare l‟impoverimento culturale che<br />

avanza, invece di regredire. Manca la professionalità. All‟estero ci stanno umiliando.<br />

Siamo seduti su una miniera d‟oro e <strong>non</strong> la sfruttiamo».<br />

[...].<br />

MAURIZIO DONELLI, Forza ulivo e forza Italia: che bontà! in Oggi, Milano, 29 marzo 2006, n° 13, pp. 126 –<br />

134.<br />

5. [...].<br />

Io credo che un Paese capace di affrontare le sfide della modernità dovrebbe cercare di<br />

mettere tutti i giovani nelle condizioni di essere competitivi, se ne hanno le capacità, a<br />

Madrid come a Milano, a Rotterdam come a Roma, a Palermo come a Parigi. Questo<br />

significa, alla fine, avere una scuola che premia il merito e prepara alla vita lavorativa<br />

anziché, come avviene oggi, una situazione in cui la Normale di Pisa, la migliore università<br />

italiana, <strong>non</strong> prende in considerazione il voto alla maturità quando valuta le domande di<br />

ammissione. Se la scuola italiana accetta che l‟esame con cui si chiude un ciclo durato<br />

tredici anni <strong>non</strong> vale nulla, allora certifica il suo fallimento.<br />

[...].<br />

LANFRANCO VACCARI, I giovani e il lavoro: <strong>non</strong> ci sono confini (se la scuola funziona), in Il Secolo XIX,<br />

Genova, domenica 23 aprile 2006, p. 47.<br />

6. Cogliamo da un articolo giornalistico una breve battuta di due giovani studenti in visita a<br />

Genova al Matefitness, laboratorio per l’insegnamento del pensiero matematico al grosso<br />

pubblico.<br />

[...].<br />

Patrizia e Franco arrivano da Milano, hanno portato i figli Jacopo, 13 anni, e Martina, 15<br />

anni, a imparare giocando. La mamma è insegnante di matematica, il papà ingegnere. La<br />

diplomatica Martina sostiene che la matematica sia «noiosa», mentre il più diretto Jacopo<br />

dice senza mezzi termini che «fa schifo». Eppure entrambi hanno voti buoni a scuola.<br />

Merito della mamma? «La verità – ammette Patrizia – è che molti insegnanti <strong>non</strong> sanno<br />

appassionare i ragazzi. Di questa manifestazione mi piace l‟aspetto ludico: imparare<br />

divertendosi è più facile». [...].<br />

GILDA FERRARI, Tutti pazzi per la matematica facile, in Il Secolo XIX, Genova, lunedì 24 aprile 2006, p. 9.<br />

7. Giorgio Bertone, nel recensire il libro di Giovanni Bottiroli “Che cos’è la teoria della<br />

letteratura” 2 , fa qualche riferimento alla situazione scolastica.<br />

[...]. Ha ragione Bottiroli. Spesso semplificazioni e forzature, o schemi semplicistici (lo<br />

scema di comunicazione tra mittente e destinatario di Jakobson) ci incantarono e privarono<br />

2 GIORGIO BOTTIROLI, Che cos’è la teoria della letteratura. Fondamenti e problemi, Einaudi.<br />

57


di forza di replica critica, per di più finirono dritti dritti nelle aule universitarie e, quel che è<br />

peggio, nei manuali della scuola media, dove allignano tuttora.<br />

Le conseguenze si fanno sentire: oggi uno studente che si iscrive a Lettere è capace di farti<br />

la distinzione tra narratore intradiegetico (cioè interno al racconto, come Shérazade nelle<br />

“Mille e una notte”) e narratore extradiegetico (cioè esterno al racconto, come Omero che<br />

narra storie in cui lui <strong>non</strong> appare), secondo la complicata e asfissiante dottrina del francese<br />

Genette. Ma <strong>non</strong> sa dirti che cavolo succeda nei “Promessi sposi” e quali siano le idee del<br />

Manzoni su Storia e Provvidenza. La somministrazione scolastica delle teorie della<br />

Letteratura dovrebbe essere collaudata e regolamentata per legge, come le medicine e i<br />

veleni.<br />

[Detto questo, Bertone, fortunatamente, apre subito la porta al dubbio mitigando il suo<br />

aggressivo e tranciante giudizio]. A distanza di tempo [...] si può con calma fare il punto. E<br />

scoprire magari che la sequenza delle teorie della letteratura coincide con la sequenza della<br />

nostra evoluzione culturale generale. Conquiste ed errori compresi nel prezzo. Che il<br />

cervello umano sia il romanzo più avvincente?<br />

GIORGIO BERTONE, Il misterioso fascino della letteratura, in Il Secolo XIX, Genova, domenica 30 aprile 2006,<br />

p. 13.<br />

8. Ad un ventiduenne studente universitario, che si lamenta dello scarso livello d’impegno<br />

posto dai giornalisti nostrani nella difesa della lingua italiana dall’infestante mania di<br />

farcire i periodi con vocaboli inglesi, Lanfranco Vaccari, direttore del Decimo<strong>non</strong>o, dopo<br />

aver rilevato che ogni epoca storica ha la sua lingua dominante, risponde in questo modo:<br />

[...], l‟italiano è oggi minacciato molto più dallo scadimento culturale del Paese che<br />

dall‟inquinamento di un basic english talmente poco basic da produrre, all‟inizio della moda<br />

delle felpe adornate da scritte, inediti ed esilaranti effetti linguistici. La “catastrofe”, per<br />

riprendere l‟espressione da lei [dallo studente universitario] usata, nasce dall‟esangue<br />

capacità d‟espressione delle classi dirigenti, dal diffuso dialetto della politica, dalla miseria<br />

della vulgata giornalistica, dalla straripante grettezza che tracima da una tv ridotta a reality –<br />

e dall‟incapacità della scuola, di qualsiasi livello (addirittura universitario), di fare da argine.<br />

Di fronte a tutto questo i giornali, che pure hanno più di una vaga responsabilità, <strong>non</strong><br />

possono fare moltissimo.<br />

LANFRANCO VACCARI, L’inglese minaccia l’italiano?Il guaio è lo scadimento culturale, in Il Secolo XIX,<br />

Genova, domenica 30 aprile 2006, p. 43.<br />

9. Ultima battuta di un’intervista a Benoit Mandelbrot.<br />

- Legenda: MT = Marta Trucco, giornalista intervistatrice; BM = Benoit Mandelbrot.<br />

[...].<br />

- MT – E se dovesse immaginare in che contesto si svolgerà la vita dei suoi nipotini?<br />

- BM – Evito di pensarci, tanto è inutile. Quando i giovani mi chiedono consigli su cosa<br />

studiare io dico a tutti: scegliete secondo la vostra passione ma poi cercate di apprendere<br />

le cose più difficili, perché le macchine saranno via via sempre più capaci di sostituire il<br />

lavoro dell‟uomo ma <strong>non</strong> la sua capacità di ragionare sui problemi, di intuire, fare<br />

scoperte e trovare soluzioni.<br />

58


MARTA TRUCCO, Mandelbrot: «La Storia è decisa dal Caso ma l’uomo resterà superiore alle macchine», in Il<br />

Secolo XIX, Genova, sabato 20 maggio 2006, p. 17.<br />

10. Così termina un articolo giornalistico dedicato al mercato globale:<br />

[...]. Per inserire l‟Italia nella ricerca e nella globalizzazione sono assolutamente<br />

indispensabili l‟educazione, la formazione, sotto ogni aspetto e a ogni livello. Innanzitutto<br />

l‟educazione sotto il profilo “etico”, che va ben oltre l‟osservanza degli obblighi giuridici,<br />

ma che comunque li comprende: il dovere nello studio, nell‟esercizio dell‟attività lavorativa,<br />

nel comportamento nella vita sociale. Ma questa “educazione” per affermarsi richiede<br />

generazioni e deve superare una vischiosità purtroppo propria di noi italiani (la “furbizia” è<br />

causa di molti mali).<br />

Per una adeguata “formazione”, anche se in parte connessa alla “educazione”, la via è forse<br />

più breve. Molti laureati, rendendosi conto dell‟inadeguatezza della preparazione,<br />

frequentano master, spesso costosi, generalmente poco formativi e che determinano ritardi<br />

nell‟attività produttiva, che mediamente comincia sui 30 anni, età nella quale, negli altri<br />

Paesi, il lavoro produttivo è già iniziato da tempo. Il nostro studente solitamente poco si<br />

occupa di quanto accade nel mondo che dovrà poi affrontare: scarsa è la conoscenza di fatti<br />

politici ed economici (anche di quelli che si apprendono con la lettura dei giornali) per i<br />

quali già si dovrebbe preparare, qualsiasi sia il mestiere prescelto. C‟è da rimanere sbalorditi<br />

a seguire alcune sessioni di esami. Studenti, anche di buon livello, <strong>non</strong> sono informati<br />

sull‟Unione europea!<br />

Fondamentali per lo sviluppo economico nell‟ambito della globalizzazione sono dunque<br />

l‟educazione e la formazione, ma per attuarle occorreranno decenni e, soprattutto, volontà,<br />

anche politica, di promuoverle.<br />

MAURIZIO GUANDALINI – VICTOR UCKMAR, Nel mercato globale prima educare, poi competere, in Il Secolo<br />

XIX, Genova, giovedì 25 maggio 2006, p. 23.<br />

11. L’ESEMPIO DA NON SEGUIRE<br />

E in Egitto ci si ammazza per la paura<br />

Il Cairo. Per sfuggire all‟inferno degli esami di maturità in Egitto, ragazzi terrorizzati<br />

arrivano a tentare il suicidio, con ogni mezzo, compreso il veleno per topi. L‟ospedale del<br />

Cairo di Qasr el Nil ha rivelato di avere accolto negli ultimi giorni 115 giovani aspiranti<br />

suicidi, stressati dagli esami di „sanaweya amma‟. La maturità è l‟incubo di ogni famiglia,<br />

tutti sono mobilitati per passare i test, ogni anno più difficili e complessi per tenere i giovani<br />

fuori dalle università. Un modo un po‟ brutale di applicare un numero chiuso <strong>non</strong> dichiarato.<br />

Ogni anno, un milione di nuovi diplomati esce dai licei per entrare negli atenei, o nella<br />

schiera di disoccupati, se <strong>non</strong> hanno i soldi per pagarsi le università private, una ventina<br />

nella sola Cairo. La gran parte dei ragazzi appartiene a famiglie con mezzi modesti, che <strong>non</strong><br />

possono permettersi di mandare i figli a scuole straniere, per prendersi una maturità più<br />

facile.<br />

E in Egitto ci si ammazza per la paura, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 22 giugno 2006, p. 6.<br />

59


12. Un lettore, nello scrivere al settimanale Gente, domanda «con quale coraggio» Vittorio<br />

Emanuele di Savoia si permetta di mantenere atteggiamenti rivendicativi ed arroganti nei<br />

confronti delle pubbliche istituzioni, senza – cioè – tener conto delle gravi malefatte dei suoi<br />

avi. Nella lettera lo scrivente cita i titoli e gli autori di tre testi da lui letti:<br />

- ANGELO DEL BOCA, Italiani brava gente?<br />

- GIANNI OLIVA, Si ammazza troppo poco.<br />

- ANTONIO CIANO, Le stragi e gli eccidi dei Savoia.<br />

Dalla risposta assai ampia del direttore Pino Aprile traiamo alcuni brevi passi che<br />

riguardano più direttamente i temi che stanno a cuore a Cantarena.<br />

I libri che lei cita, signor Scorzelli, raccontano delle verità che nei libri di storia stentano ad<br />

arrivare. Purtroppo, quel che ha letto è tutto vero, dettaglio più, dettaglio meno. [...].<br />

[...].<br />

[A chiusura del suo intervento il Direttore afferma che gli italiani <strong>non</strong> sono peggiori degli<br />

altri popoli, ma che sembrano meno disposti] a fare i conti con la propria storia; più usi a<br />

dimenticare, sopire, nascondere: ad assolversi senza aver saputo, ragionato, capito.<br />

Caro direttore La posta dei lettori, in Gente, Milano, 28 giugno 2006, n° 26, p. 12.<br />

13. Spigolando qua e là nel terreno di un pezzo giornalistico provvediamo a raccogliere<br />

germogli vari che sottoponiamo alla vostra attenzione.<br />

«Ci sono dei giornalisti che mi chiedono cosa farò da grande. Io mi chiedo come siamo<br />

ridotti in Italia: ho 34 anni e mi dovrebbero chiedere se <strong>non</strong> sono già troppo vecchio per<br />

occuparmi di adolescenti», a Massimo Coppola l‟Italia <strong>non</strong> va giù. Un Paese in mano alla<br />

gerontocrazia: si sono presentati alle elezioni due candidati di settant‟anni e ora abbiamo un<br />

Presidente della Repubblica ultra-ottantenne: «Persona di grande valore, per carità, però nel<br />

resto d‟Europa tira un‟altra aria». E poi: se in Germania e in Francia la generazione del ‟68<br />

si sta comportando coerentemente con quello che professava, trasmettendo i valori di<br />

cambiamento ai più giovani, in Italia <strong>non</strong> è così: «Li caccerei via a roncolate, <strong>non</strong> hanno<br />

nessuna intenzione di andarsene dai posti di potere che occupano». [...].<br />

[...].<br />

Il Coppola pensiero è condiviso da tanti intellettuali della sua generazione, l‟Italia è ferma,<br />

una società immobile, con un determinismo sociale molto forte, gli adolescenti sono a<br />

rischio: «Se <strong>non</strong> è il tuo ambiente a fornirti gli strumenti per emanciparti, <strong>non</strong> ti assiste<br />

nessuno nel tuo cammino verso la consapevolezza. Non certo la scuola». [...].<br />

[...].<br />

L. Gu, Coppola: «In Italia gli anziani <strong>non</strong> mollano il potere», in Il Secolo XIX, Genova, sabato 1 luglio 2006,<br />

p. 12. 3<br />

14. [...].<br />

Il libro scolastico ha caratteristiche particolari, molto differenti da qualsiasi altro libro: da un<br />

punto di vista editoriale, redazionale e grafico. Se proviamo a sfogliare qualche antologia<br />

3 L‟autrice del servizio giornalistico è Laura Guglielmi.<br />

60


per la scuola media inferiore, noteremo alcune stranezze. Dei curatori <strong>non</strong> troveremo alcuna<br />

notizia (età, pubblicazioni, attività del team di chi ha curato la pubblicazione). [...].<br />

La cosa che più colpisce di questi pseudo libri è la capacità mimetica. Sembra che vogliano<br />

dirci: “Scusa se sono un libro”. Quindi si travestono da giornalini, da fumetti, da libri-gioco.<br />

Le pagine traboccano di personaggini (animaletti, bambini) che fanno da conduttori<br />

credendo così di rendere meno ingrata la pratica dello studio: [...].<br />

L‟impressione che si ricava da questi testi conferma l‟idea di scuola come di un luogo in cui<br />

si deve intrattenere il cliente, fornire un servizio da villaggio turistico: <strong>non</strong> stiamo studiando<br />

bambini, è solo un gioco ...<br />

SERENA GIORDANO, Il libro scolastico “mimetizzato”, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 1 luglio 2006, p. 12.<br />

15. Ecco qui due considerazioni d’Oliviero Toscani, apparse entrambe in un resoconto<br />

giornalistico :<br />

La crisi giovanile? «Tutte balle. Ce l‟ho io a 60 anni, la crisi, <strong>non</strong> voi. Siamo noi adulti ad<br />

averla inventata, per tenervi agganciati, dipendenti da noi. Vi facciamo sentire fragili per<br />

proteggervi». Parola di Oliviero Toscani, [...].<br />

[...].<br />

«Non voglio risolvervi i problemi, anzi sono per coltivare il disagio, dovete approfondirlo e<br />

da lì reinventarvi la vostra vita. Smettetela di sentire la nostra <strong>musica</strong>: ho visto troppi<br />

giovani martedì sera a Milano per i Rolling Stone, io da ragazzo mica ascoltavo il charleston<br />

amato dai miei genitori».<br />

[...].<br />

SILVIA NEONATO, Be You, l’arte giovane invade la città, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 15 luglio 2006, p.<br />

31.<br />

16. Lo scenografo Marco Dentici, intervistato da una giornalista del Decimo<strong>non</strong>o, viene, a<br />

nostro avviso, ben simboleggiato da questa sua dichiarazione.<br />

[...]. In Italia si assottigliano le risorse alla cultura e allo spettacolo perché sembrano<br />

superflui, divertimenti <strong>non</strong> importanti. Invece si dovrebbe ormai sapere che sono parte<br />

integrante dello sviluppo di un Paese. Guardi gli americani come proteggono il loro cinema,<br />

l‟egemonia culturale supporta quella economica. [...].<br />

MARICLA TAGLIAFERRI, «Anche la scenografia recita», in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 2 agosto 2006, p.<br />

12.<br />

17. Riportiamo alcune considerazioni di una studentessa sullo stato di profondo malessere<br />

vissuto a scuola.<br />

[...]. L‟assurdo di tutto questo è che la scuola, che dovrebbe aiutare i giovani a crescere, in<br />

realtà crea degli incompresi, degli infelici, emargina quelli “meno corazzati”, schiaccia chi<br />

<strong>non</strong> si adegua a un sistema disumanizzante e poco introspettivo, che tiene conto solo di<br />

numeri e programmi. L‟ultima cosa, <strong>non</strong> meno grave, è che, tranne un insegnante, nessuno si<br />

è chiesto: “Che fine ha fatto quella ragazza timida, che occupava quel banco?”. Ma, tanto, il<br />

problema <strong>non</strong> è il loro. Io sono solo uno dei tanti corpi morti che questa società lascia sul<br />

campo.<br />

Noemi Sodano<br />

61


LE STORIE. VITE STRAORDINARIE DI PERSONE NORMALI. NOEMI SODANO, Sono una adolescente col terrore della<br />

scuola, in Gente, Milano, 3 agosto 2006, n° 31, p. 96.<br />

18. Traiamo un piccolo passo da un articolo del Decimo<strong>non</strong>o in cui “Gennaro Di Benedetto,<br />

sovrintendente del Carlo Felice, racconta aneddoti, gioie e difficoltà del suo lavoro”.<br />

Legenda<br />

– RT – Renato Tortarolo, giornalista intervistatore;<br />

– GDB – Gennaro Di Benedetto.<br />

[...].<br />

- RT – Perché in certi paesi dell‟Estremo Oriente l‟opera è così seguita, mentre da noi è<br />

quasi dimenticata in favore di altre forme <strong>musica</strong>li?<br />

- GDB – Tutto merito della famiglia e delle scuole. se nel sud est asiatico e in Giappone la<br />

passione per la <strong>musica</strong> italiana è così forte, sostanzialmente si deve alla preparazione che<br />

si fa a scuola e nelle famiglie. Nelle mie esperienze in questi paesi sono rimasto<br />

impressionato dal numero di pianoforti che hanno a casa.<br />

- RT – Perché l‟ha impressionata?<br />

- GDB – Perché ci sono milioni di pianoforti nelle case, e milioni di persone che praticano<br />

la <strong>musica</strong> a livello amatoriale, che la suonano e la cantano per sé. Questo fa sì che poi si<br />

sviluppi l‟amore: è quello che succedeva in Italia settanta, ottant‟anni fa. La <strong>musica</strong> si<br />

faceva nelle case, cosa che oggi è molto difficile da trovare.<br />

[...].<br />

RENATO TORTAROLO, «La mia vita dietro le quinte dell’opera tra soprano viziate e ballerini gelosi», in Il<br />

Secolo XIX, Genova, sabato 19 agosto 2006, p. 13.<br />

19. La giornalista Mara Queirolo, nel tratteggiare il percorso artistico del pittore Pietro<br />

Lumachi, riporta un’asserzione dell’intervistato sul tema della preparazione istituzionale.<br />

[...].<br />

Eppure [Pietro Lumachi] <strong>non</strong> ha mai frequentato scuole d‟arte («le trovo riduttive, troppo<br />

inquadramento, troppa omogeneizzazione»), <strong>non</strong> ha avuto maestri, <strong>non</strong> ha mai aperto un<br />

libro sulla tecnica pittorica. [...].<br />

MARA QUEIROLO, Lumachi, il pittore della “Bella di Torriglia”, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 7 settembre<br />

2006, p.27.<br />

20. [...]. «[...]. I cinesi considerano le scuole private britanniche come le migliori al mondo [...]»,<br />

ha affermato un portavoce dell‟Independent School Council.<br />

[...].<br />

[...].«In Cina l‟insegnante ha sempre ragione e le ragazze che vengono qui hanno paura a<br />

fare domande. L‟enfasi con cui le incoraggiamo a partecipare alle discussioni le coglie<br />

spesso di sorpresa», spiega Frances King, la preside.<br />

Alla maggior parte di loro, l‟esperienza apre una vera e propria finestra su un nuovo modo di<br />

imparare e di pensare. «Nelle scuole in Cina ci sono fino a 60 studenti per classe. Non<br />

abbiamo mai l‟opportunità o il tempo di fare domande. La tradizione è: lascia che il<br />

professore insegni. Qui ci incoraggiano a fare domande. Mi piace », ha spiegato Weishi<br />

62


Kong, 18 anni, che all‟Harrogate sta studiando per un diploma in biologia, matematica e<br />

chimica.<br />

GIULIANO GALLETTA, Tra la Cina e Oxford, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 12 settembre 2006, p. 19.<br />

21. Non ha dubbi, James Hillman, il grande psicoanalista americano autore tra l‟altro de “Il<br />

Mito dell‟analisi” e “Il codice dell‟anima”, entrambi pubblicati da Adelphi: «Nel nostro<br />

mondo c‟è una mancanza di immaginazione».[...].<br />

Una mancanza che colpisce soprattutto i giovani americani, sostiene Hillman: «È<br />

l‟educazione, il modo in cui si concepisce l‟istruzione che ha tolto ai giovani ogni possibilità<br />

di sognare, immaginare. Viene insegnato, anche nei più diffusi manuali di psicologia, che<br />

l‟immaginazione <strong>non</strong> è affidabile, ci depista».<br />

[...].<br />

BIA SARASINI, Hillman: anche per fare la guerra c’è bisogno di immaginazione, in Il Secolo XIX, Genova,<br />

giovedì 21 settembre 2006, p. 14.<br />

22. È iniziata così: con la volontà di aiutare i ragazzi che frequentano i Centri di Educazione al<br />

Lavoro del Comune ad acquistare quella sicurezza di sé, quella capacità di esporsi con un<br />

po‟ di spavalderia, nel caso incoccino con il mondo del lavoro. Anche per fare una<br />

telefonata e proporsi per un colloquio. «Stare sulla scena, hanno riflettuto gli educatori, aiuta<br />

questi “cavalli recalcitranti” che a volte sanno solo dire “sì, no, forse” a tirar fuori risorse<br />

inaspettate». Così è nato questo magnifico rapporto con la compagnia teatrale Waltersteiner<br />

che ha coinvolto i ragazzi (molti di loro hanno abbandonato precocemente la scuola, vivono<br />

in famiglia disagi morali e materiali) nella rappresentazione di un canovaccio speciale: un<br />

giudice che accusa un giovane imputato di un delitto. Quel giovane ha ucciso se stesso<br />

disperdendo le sue forze in scelte ed emozioni sbagliate. A morire è il suo tempo, il suo<br />

futuro, la sua identità. Dipendente com‟è da oggetti, consumi, droghe. Facile intuire che quel<br />

ragazzo è tutti loro. Ragazzi che subiscono sempre e in quella occasione si sentono<br />

protagonisti. «Ragazzi che un teatro <strong>non</strong> l‟hanno visto mai, ma le aule di un tribunale sì».<br />

Dice di loro chi li conosce bene.<br />

[...].<br />

DONATA BONOMETTI, Finto processo per fare crescere i ragazzi difficili, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 21<br />

settembre 2006, p.23.<br />

23. CHI BOCCIA LA SCUOLA ITALIANA?<br />

È l‟Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel suo rapporto<br />

sull‟istruzione.<br />

La scuola italiana ha troppi costi e pochi risultati ed è al penultimo posto per numero di<br />

laureati fra i Paesi avanzati.<br />

Risposte lampo, in Oggi, Milano, 4 ottobre 2006, n°40, p.15.<br />

24. In attinenza ad un grave episodio di cronaca inerente alla vita scolastica, Maurizio<br />

Maggiani fa queste considerazioni:<br />

63


[...]. Mi sono fatto l‟idea che una parte significativa delle famiglie, degli insegnanti, dei<br />

dirigenti <strong>non</strong> pretenda una scuola migliore, ma una scuola che gli crei il minor fastidio<br />

possibile. meno impegno e meno tempo. [...]<br />

MAURIZIO MAGGIANI, Ditelo a Maggiani / Il caso del ragazzo maltrattato a scuola / Un’immagine del nostro<br />

degrado, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 18 novembre 2006, p.26.<br />

25. In un articolo giornalistico Riccardo Chailly manifesta pubblicamente questa sua<br />

convinzione:<br />

In fatto di cultura «l‟Italia rischia il terzomondismo» [...].<br />

4 Chailly: «La cultura rischia il Terzo mondo», in Il Secolo XIX, Genova, lunedì 27 novembre 2006, p.8.<br />

26. [Alcuni studenti], dalla quinta elementare alle superiori, hanno risposto a due questionari,<br />

proposti da Il Moltiplicatore, Centro Ricerca e Promozione Interventi per la Prevenzione del<br />

Disagio di Genova, che ha lavorato con l‟obiettivo della “prevenzione della violenza a<br />

scuola e promozione della sicurezza a scuola” insieme all‟assessorato alle Istituzioni<br />

scolastiche di Tursi e all‟Ufficio Scolastico Provinciale, sostenuti anche da fondi regionali.<br />

Si chiama Progettosicurinsieme. Coinvolge oltre 700 studenti,[...].<br />

[...] per loro [per gli studenti] il concetto di ascolto è passivo e sta per “ascoltare la lezione<br />

senza disturbare”. [...].<br />

I due terzi dei docenti dichiara di affrontare i fenomeni di antisocialità in solitudine e con<br />

difficoltà, che gli studenti leggono come tendenza ad ignorare i loro problemi. [...].<br />

5 «Il peggio in aula? Le prese in giro», in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 30 novembre 2006, p. 23.<br />

27. Lo storico David Bidussa, parlando dei politici italiani,a un certo momento osserva:<br />

[...] una classe dirigente <strong>non</strong> si improvvisa. Si connota su competenze tecniche che si<br />

costruiscono solo sulla base di scuole per l‟alta amministrazione che in Italia mancano e con<br />

una visione del futuro che <strong>non</strong> è il risultato di un‟ideologia di partito [...].<br />

[...].<br />

[...]. Il problema del ceto politico di domani resta per chiunque voglia tentare per davvero il<br />

rinnovamento della politica in Italia. [...]<br />

DAVID BIDUSSA, Due destre, due sinistre e niente classe dirigente, in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 6<br />

dicembre 2006, p. 19.<br />

4 Gli articoli, a causa di uno sciopero nazionale dei giornalisti, <strong>non</strong> sono firmati.<br />

5 Gli articoli, a causa di uno sciopero nazionale dei giornalisti, <strong>non</strong> sono firmati.<br />

64


28. [...] a scuola gli ultimi 50 anni di letteratura vengono spesso ignorati, i ragazzi leggono<br />

magari per conto loro Ammaniti o Hosseini ma <strong>non</strong> sempre sanno come collocarli nella<br />

storia della letteratura.<br />

[...].<br />

CLAUDIO PAGLIERI, Novecento. Alla ricerca dei classici, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 9 gennaio 2007, p.<br />

13.<br />

29. [...]. Che i programmi ministeriali puntino sul novecento e il novecentismo è cosa arcinota.<br />

Fu un‟idea luigibelingueriana. Infausta come le altre sue. [...].<br />

[...]. La scuola si salva in quanto si distingue dalla “liquidità” e dalla “debolezza pensierosa”<br />

del postmoderno contemporaneo e in quanto propone autori forti, collaudati, ben<br />

commentati, didatticamente proponibili e sostenibili, condivisi dalla comunità.<br />

GIORGIO BERTONE, La mania del “recentismo” <strong>non</strong> fa bene alla cultura, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 9<br />

gennaio 2007, p. 13.<br />

30. LOS ANGELES. Matematica, scienza e videogiochi? Un professore universitario<br />

statunitense sta sollecitando le scuole a utilizzare i videogame come strumento per preparare<br />

i ragazzi al mondo del lavoro.<br />

Nonostante molti insegnanti siano contrari all‟uso dei videogiochi negli istituti, l‟esercito<br />

americano ne utilizza alcuni per addestrare i soldati; gli adolescenti affetti da tumore usano<br />

dei giochi al computer per combattere la loro malattia virtualmente e psicologicamente; e<br />

alcuni chirurghi giocano ai videogame per avere le mani e i riflessi allenati.<br />

David Williamson Shaffer, un professore di Scienze e psicologia dell‟educazione<br />

dell‟Università di Wisconsin-Madison, sostiene che le scuole dovrebbero servirsi dei<br />

videogiochi per preparare gli studenti al mondo del lavoro che li attende dopo la scuola e<br />

dove è richiesta ogni giorno un‟ottima conoscenza delle ultime tecnologie. [...].<br />

[...].<br />

Secondo Shaffer il sistema di istruzione attuale è stato pensato alla fine dell‟Ottocento per<br />

preparare la gente alla vita nell‟America industriale di allora, e <strong>non</strong> al mondo<br />

tecnologicamente avanzato di oggi ed è ormai troppo datato. Shaffer sostiene che il nuovo<br />

approccio potrebbe aiutare gli Stati Uniti a competere con i paesi in rapida crescita.<br />

Altrimenti, senza una rivoluzione dei metodi dell‟educazione, India e Cina, che sfornano<br />

ingegneri e scienziati a un ritmo più veloce, avranno presto la meglio.<br />

Basta libri, con i videogiochi gli studenti imparano meglio, in Il Secolo XIX, Genova, venerdì 12 gennaio<br />

2007, p.8.<br />

31. Bolzanéto è un quartiere popolare di Genova; Albàro una delle aree cittadine d’estrazione<br />

ricco-borghese. Andrea Sassano è assessore alla scuola.<br />

[...]. Il fenomeno della “dispersione” scolastica registra un picco a Bolzaneto (9,1 per cento)<br />

e il minimo ad Albaro (0,3 per cento).<br />

65


« Le statistiche elaborate dall‟Osservatorio Infanzia e Adolescenza del Comune – dice<br />

Sassano – dimostrano che nel sistema scolastico genovese, esattamente come nel resto<br />

d‟Italia, <strong>esiste</strong> un problema di equità da affrontare con urgenza. L‟obiettivo è quello di dare<br />

a tutte le famiglie, anche a quelle meno abbienti, le stesse opportunità di accesso alla scuola,<br />

alla cultura, alla formazione».<br />

[...].<br />

VINCENZO GALIANO, Quattro studenti su dieci licenziati con “sufficiente”, in Il Secolo XIX, Genova, martedì<br />

23 gennaio 2007, p.25.<br />

32. I critici <strong>non</strong> sanno cosa pensare, ma il pubblico dei ragazzi sì. E i libri di Christopher<br />

Paolini, 23 anni, vanno a ruba. Il primo, Eragon, era lungo 600 pagine (in Italia è uscito il<br />

film); il secondo, Eldest, più di 800; sull‟atteso terzo tomo nessuno azzarda pronostici.<br />

Ormai miliardario, Christopher vive con mamma, papà e sorella in una fattoria del Montana.<br />

Non è mai andato a scuola: i genitori lo hanno istruito in casa.<br />

MONICA CECI, Nati per correre, in Gioia, Milano, 3 febbraio 2007, n° 5, p. 61.<br />

33. [...].<br />

Quando si tratta di formare le menti dei giovani, il curriculum scolastico gioca un ruolo<br />

fondamentale. È uno strumento chiave che i regimi totalitari [...]<br />

ARNON GROISS – NAVID TOOBIAN (traduzione di Giordana Greco), Iran: a scuola si insegna l’odio verso<br />

l’Occidente, in Il Secolo XIX, Genova, martedì 6 febbraio 2007, p.6.<br />

34. [...]. Internet, come primaria agenzia di socializzazione, sembra sempre più sovrapporsi alla<br />

famiglia e alla scuola tanto da richiedere una legislazione internazionale a tutela dei minori.<br />

[...].<br />

Lettere & opinioni. La Rete esalta i bulli a scuola, in Metro, Milano, giovedì 8 febbraio 2007, p. 14.<br />

35. L’articolista del Decimo<strong>non</strong>o, ad un certo punto dell’intervista, domanda al tenore<br />

Salvatore Licitra per quali ragioni i giovani dovrebbero recarsi ad assistere a<br />

rappresentazioni d’opere liriche del passato.<br />

Legenda: SL = Salvatore Licitra; ER = Edwin Rosasco.<br />

[...].<br />

- SL – «Purtroppo cercare di convincerli a 18/20 anni spesso è già tardi, se prima <strong>non</strong><br />

hanno avuto la possibilità di crescere con una cultura <strong>musica</strong>le adeguata, che in Italia<br />

manca, quindi di poter scegliere. Ricordo che, quando andavo alla scuola statale, l‟ora di<br />

<strong>musica</strong> era come un‟ora di ricreazione. È triste, perché nel mondo l‟Italia è ancora il<br />

paese del melodramma. [...]».<br />

- ER – Un problema educativo di ordine più vasto, quindi?<br />

- SL – «I tagli alla cultura ammazzano il futuro. Se si vogliono generazioni future più<br />

comode da manovrare, allora va bene così: ma è la strada sbagliata. Solo se una nazione<br />

investe in cultura e sviluppo può prepararsi un avvenire migliore».<br />

66


W. EDWIN ROSASCO, La sfida del tenore/ Cavalleria e Pagliacci nella stessa serata, in Il Secolo XIX, Genova,<br />

lunedì 19 febbraio 2007, p.8.<br />

36. [...] nelle nostre scuole il 4 per cento dei bambini soffre di dislessia e a loro <strong>non</strong> è data<br />

l‟opportunità per un apprendimento adeguato al loro problema. In Europa, l‟Italia è il<br />

fanalino di coda.<br />

UMBERTO VERONESI, La dislessia? Un problema diffuso, ma trascurato, in Oggi, Milano, 7 marzo 2007, n° 10,<br />

p. 21.<br />

37. La scrittrice Paola Mastracola dichiara ad un giornalista quanto segue:<br />

In un momento di trasformazione della scuola che mi sono accorta che mi stavano rubando il<br />

mio mestiere di insegnante. Mi sono arrabbiata e ho cominciato a scrivere.<br />

***6 , Letteratura italiana e spagnola / un confronto sul filo della memoria, in Il Secolo XIX, Genova, domenica<br />

4 marzo 2007, p. 10.<br />

38. Fedeli allo stile del “mordi e fuggi”, stralciamo una frase di Ermanno Olmi dal testo di<br />

un’intervista:<br />

[...]. A scuola mi annoiavo tantissimo e tutti vi sarete scontrati con l‟arroganza<br />

dell‟Accademia. Vanno dimenticate tutte le pagine cui ci siamo assoggettati senza usare il<br />

pensiero, perché la vera cultura è la libertà di modificarla.<br />

[...]<br />

MARICLA TAGLIAFERRI, Il Cristo di Olmi, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 24 marzo 2007, p. 19.<br />

39. Alla domanda della giornalista circa i rimedi da adottare per combattere il fenomeno del<br />

bullismo a scuola la psicoterapeuta Maria Rita Parsi risponde così:<br />

[...]. [Bisogna] Dare strumenti alla scuola, che deve diventare un centro di cultura<br />

polivalente. [...].<br />

ROSSELLA GALEOTTI, Parsi: «Azioni provocatorie per chiedere autorità», in Il Secolo XIX, Genova, venerdì<br />

30 marzo 2007, p. 8.<br />

40. Nell’ambito del fatto di cronaca relativo al ragazzo torinese di sedici anni suicidatosi<br />

buttandosi giù dal balcone di casa sua, la psicoterapeuta Maria Rita Parsi così si pronuncia<br />

sulle ipotetiche responsabilità della scuola:<br />

6 6 L‟articolo, a causa di uno sciopero nazionale dei giornalisti del Decimo<strong>non</strong>o, <strong>non</strong> è firmato.<br />

67


[...] «La scuola ha la responsabilità di <strong>non</strong> essere quello che dovrebbe essere, e cioè un<br />

centro culturale che assicura agli insegnanti gli strumenti per capire, per aiutare, per fornire<br />

un supporto psicopedagogico agli alunni. È un‟istituzione ferma, immobile, che <strong>non</strong> va<br />

avanti. Che colpa ne hanno i professori?».<br />

[...]<br />

STEFANO NAZZI, Matteo si è ucciso perché si sentiva solo, in Gente, Milano, 19 aprile 2007, n° 16, p. 24.<br />

41. A seguito della morte dello studente di quindici anni subito dopo aver fumato uno spinello<br />

durante l’intervallo scolastico, il Decimo<strong>non</strong>o, in un articolo, raccoglie le dichiarazioni di<br />

varie persone:<br />

[...].<br />

« Il fenomeno della droga a scuola si combatte con una maggiore prevenzione, attraverso<br />

l‟educazione, e <strong>non</strong> solo reprimendo » ha concordato il capo facente funzione della Procura<br />

dei Minori di Milano, Vittorio Pilla. «La scuola – ha affermato – si deve riappropriare<br />

pienamente del suo ruolo formativo».<br />

ANNIBALE CARENZO, I presidi:«Dateci più vigilanza negli istituti, dentro e fuori», in Il Secolo XIX, Genova,<br />

sabato 19 maggio 2007, p. 3.<br />

42. Valutazione dell’Arcivescovo Angelo Bagnasco, estirpata dal contesto di un’intervista.<br />

[...]. Il mondo adulto è sfidato perché il vero problema dei giovani sono proprio gli adulti,<br />

che da troppo tempo <strong>non</strong> riescono a corrispondere alle attese del cuore dei ragazzi.<br />

[...].<br />

DANIELE GRILLO, «Servono valori educativi» Intervista al presidente della Cei Bagnasco: genitori e scuola<br />

devono fornire modelli concreti, in Il Secolo XIX, Genova, lunedì 3 settembre 2007, p. 2.<br />

43. Stessa sorte ora tocca a Oliviero Toscani:<br />

[...]. Il telefono aveva sconvolto la comunicazione umana, e questo del videotelefono è un<br />

grande salto dalla parola verso l‟immagine, che oggi sembra più importante della scrittura.<br />

Eppure a scuola ci insegnano solo a leggere e a scrivere, invece bisognerebbe cominciare a<br />

insegnare anche a fotografare e a decifrare le immagini.<br />

[...].<br />

PAOLO MARTINI, Toscani contro la dittatura della tv, in La Stampa, Torino, martedì 4 settembre 2007, p. 42.<br />

68


44. Traiamo da un articolo giornalistico, intitolato “Globalizzazione culturale / Le lingue<br />

perdute del mondo / Gli studiosi: ogni due settimane si estingue un idioma. E nel 2100<br />

saranno dimezzati”, un fulminante giudizio sulla scuola:<br />

[...]. Lyle Campbell, ordinario di linguistica all‟Università dello Utah, punta anche il dito<br />

contro l‟educazione nelle scuole, colpevoli di «ignorare e condannare a morte le varianti<br />

linguistiche delle piccole comunità».<br />

[...].<br />

ELISA TEJA, Le lingue perdute del mondo, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 20 settembre 2007, p. 8.<br />

69


70<br />

GENOVA<br />

1. Proponiamo un giudizio su Genova espresso da due giovani cittadini (20 e 23 anni) che<br />

hanno viaggiato e dimorato per qualche tempo all’estero.<br />

[...] tornare a Genova è sempre un piacere, perché è bellissima, ma ogni volta ti rendi conto<br />

che le tendenze che animano le grandi città europee qua tardano ad arrivare e faticano ad<br />

imporsi.<br />

EMANUELE ROSSI, Kiss Polly, un angolo di Carnaby street tra stile mod e arte, in Il Secolo XIX, Genova,<br />

mercoledì 8 febbraio 2006, p.31.<br />

2. Il giornalista Luciano Caprile sottopone l’artista Flavio Costantini ad una serie di domande<br />

in occasione degli ottant’anni compiuti dal pittore.<br />

Legenda: LC= Luciano Caprile; FC= Flavio Costantini.<br />

- LC – Che cosa rappresenta per lei 1 la Liguria?<br />

- FC – «Una terra ostile per i primi dieci anni, poi mi sono abituato. Tanto che a Roma, dove<br />

sono nato, <strong>non</strong> tornerei più. È stata di nuovo invasa dai barbari ... Io mi trovo bene tra gli<br />

ulivi di casa mia: ho finito per apprezzare molto il carattere dei liguri».<br />

Lu. Ca., «Continuo a disegnare per sentirmi vivo», in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 21 settembre 2006, p.31.<br />

3. Giudizio espresso da Renzo Piano in un contesto che gli abbiamo sottratto:<br />

1 La domanda è rivolta all’artista Flavio Costantini.


[...]. «Genova ha bisogno di muoversi. Non ci sono più attenuanti, nessuna scusa. O trova<br />

l’energia per liberarsi di alcune costrizioni, o resterà vittima delle propria inerzia. Bisogna<br />

che gli amministratori si decidano». [...].<br />

2 Piano: «Genova bloccata dai privilegi di pochi», in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 30 novembre 2006, p. 13.<br />

4. Giuseppe Morandini, presidente della Piccola Industria di Confindustria, così giudica<br />

Genova in un passaggio di un’intervista:<br />

Per molti versi questa città è la metafora di errori e prospettive. [...].<br />

LUIGI LEONE, Morandini: «Genova rappresenta la metafora di errori e prospettive», in Il Secolo XIX, Genova,<br />

venerdì 30 marzo 2007, p. 15.<br />

5. Il gallerista Giovanni Battista Martini, in un passo tratto da un articolo di Sandro<br />

Ricaldone, così si esprime a proposito del grado di sensibilità della politica locale nei<br />

confronti dell’arte del secolo scorso:<br />

[...].<br />

Non è certamente la prima volta che, in Liguria, l’arte contemporanea ha suscitato dispute<br />

che hanno fatto perdere occasioni storiche, come nel caso della Collezione Della Ragione,<br />

finita a Firenze, o del Museo sperimentale di Eugenio Battisti, ora a Torino. «Certo – riflette<br />

Martini – l’arte del Novecento e di questo primo scorcio del nuovo secolo <strong>non</strong> è<br />

particolarmente favorita neppure a Genova dove ho lavorato per più di trent’anni con<br />

Alberto Ronchetti e continuo ad operare. Mi pare evidente la tendenza consolidata a<br />

privilegiare l’arte antica, <strong>non</strong>ostante l’ottimo lavoro svolto dal Museo di Villa Croce, a<br />

dispetto delle carenze di risorse». [...]<br />

SANDRO RICALDONE, Hofmann, allievo di Klee e Kandinsky, dal fronte russo alla Riviera ligure, in Il Secolo<br />

XIX, Genova, domenica 8 aprile 2007, p. 15.<br />

2 Gli articoli, a causa di uno sciopero nazionale dei giornalisti, <strong>non</strong> sono firmati.<br />

71


72<br />

L’ANELLO MANCANTE<br />

1. Il sacerdote ed uomo di cultura don Antonio Balletto stigmatizza l’ambiente di potere<br />

genovese senza mezzi termini:<br />

«La grande calamità che affligge Genova è il formarsi continuo di caste in grado di<br />

condizionare la politica. Chi amministra la città spesso ne sente il peso e finisce per<br />

sottomettersi. Son caste di ogni sorta, economiche, portuali, bancarie, persino clericali. [...]».<br />

[...].<br />

[...].«C’è una casta generale, che è quella degli amici – tuona – poi ci sono quelle delle<br />

categorie. [...].<br />

[...].<br />

[...]. Ma quelle categorie sono precise: la casta del porto, con le compagnie di navigazione e<br />

il mondo dello shipping che – dunque – vorrebbe piegare la politica alle esigenze del<br />

comparto; la casta economica, dal commercio all’industria, che – quindi – presserebbe gli<br />

amministratori per lasciare in disparte il sociale e occuparsi solo di sviluppo economico. La<br />

casta delle banche [...]. E la casta clericale [...].<br />

[...].<br />

GIOVANNI MARI, «Primarie per abbattere le caste», in Il Secolo XIX, Genova, sabato 16 settembre 2006, p.23.<br />

2. Sottoponiamo alla riflessione dei nostri lettori un’osservazione critica espressa – a caldo –<br />

da Marco Bisagno, presidente dei cantieri T. Mariotti di Genova.<br />

[...]. Ecco, diciamo che a Genova, e io questo l’ho sempre affermato, <strong>non</strong> ci accorgiamo<br />

delle potenzialità che abbiamo. [...].<br />

SAMUELE CAFASSO, Il costruttore// Bisagno gongola//«Siamo i più bravi», in Il Secolo XIX, Genova, venerdì<br />

20 ottobre 2006, p.13.


3. [...]<br />

Sorge il dubbio di una comunità accademica locale che – nella maggioranza dei casi – “vive<br />

sulle nuvole”, intenta agli sterili (quanto gratificanti e lucrosi) giochi baronali attorno a<br />

cattedre e incarichi. Una corporazione arroccata nella difesa dei propri privilegi. Ovviamente<br />

singole eccezioni a parte.<br />

Per quanto riguarda scienza e ricerca, un’ipotesi che merita dettagliate verifiche. Ma che<br />

darebbe ulteriori conferme di una condizione ambientale in cui prevalgono criteri che nulla<br />

hanno a che vedere con il merito. Un establishment presidiatore, oltre che torpido e grigio,<br />

favorirebbe l’emergere di omologhi in ogni ambito e livello. Come induce a pensare la<br />

difficoltà, per <strong>non</strong> dire l’impossibilità, di inserire nel circuito cittadino le intelligenze più<br />

fertili, che pure qui risiedono fisicamente. Parlando delle scienze umane – ambito che<br />

meglio conosco – lo sapevate che Alessandro Cavalli, uno dei nostri maggiori sociologi e<br />

presidente dell’associazione Il Mulino, abita in Via XX Settembre e insegna a Pavia? Che<br />

Sergio Luzzatto, uno dei più brillanti storici italiani e collaboratore del Corriere della Sera,<br />

ha casa in via Zara e cattedra a Torino? Che Mauro Barberis, uno degli ultimi allievi di<br />

Giovanni Tarello e opinionista di questo giornale, risiede dietro Piazza Merani ed è docente<br />

a Trieste? Tutti “stranieri in patria” [...]<br />

PIERFRANCO PELLIZZETTI, Genova, la ricerca e gli “stranieri in patria”, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 19<br />

maggio 2007, p. 23.<br />

4. [...] [La cultura del territorio a Genova] latita. Un po’ perché la vera ideologia locale è la<br />

rendita di posizione, che ha diffuso e incistato nella mentalità collettiva atteggiamenti<br />

passivi, per <strong>non</strong> dire fatalistici [...]<br />

[...].<br />

[...]. Le associazioni di categoria sembra abbiano il solo compito di tenere al guinzaglio i<br />

propri associati, la Camera di Commercio si limita ad apparecchiare il tavolo in cui si<br />

registra il peso statico dei notabili, gli organigrammi pubblici e privati rispondono a<br />

un’unica finalità: controllare.<br />

[...].<br />

[...] sarebbe meglio fare tutti assieme un bell’esame di coscienza. E riappropriarci del nostro<br />

destino.<br />

PIERFRANCO PELLIZZETTI, Genova riprenda in mano il proprio destino, in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì<br />

19 settembre 2007, p. 19.<br />

73


74<br />

VETRINA<br />

1. Alessandro Bergonzoni, in un’intervista, manifesta alcune sue idee, di cui riportiamo, qui<br />

sotto, una minima traccia.<br />

[...]. Ho una personalissima e privatissima idiosincrasia per tutto ciò che è storia e racconto,<br />

il “parlo di voi a voi”. Sento di continuo parlare di libri che tutti dicono “attuali”, in cui “ci<br />

si ritrova” e “ci si riconosce”. La moda più triste di questo momento sono i giallisti, la<br />

letteratura itterica alla ricerca spudorata di storie. Come lettore e spettatore tutto questo mi fa<br />

sentire più vicino Beckett, la potenza dell’altrove.<br />

RAFFAELLA GRASSI, Bergonzoni alla Tosse: «L’assurdo? È l’unica realtà di cui parlare», in Il Secolo XIX,<br />

Genova, mercoledì 11 gennaio 2006, p.27.<br />

2. Rispondendo ad una lettrice, Augusta, che – provocatoriamente – evoca la serietà morale di<br />

Massimo D’Azeglio nell’amministrazione della cosa pubblica ponendola a confronto con le<br />

attuali “costumanze” diffuse nella vita politica, Maurizio Maggiani marchia a fuoco con<br />

concupiscenza la sazia carne di qualche politico dominante. A noi interessa riportare solo<br />

un’istantanea, quella che riesce ad effigiare con perizia lo stato mentale di una nazione.<br />

[...]. Signora Augusta, provi a immaginare cosa avrebbe potuto pensare il Massimo<br />

D’Azeglio dello stipendio del Governatore della Banca d’Italia che, unico caso al mondo, da<br />

nessuno è conosciuto essendo segreto. Noi italiani conosciamo il reddito della Regina<br />

d’Inghilterra, ma <strong>non</strong> quello del governatore della nostra banca nazionale. [...]. E che ne


avrebbe pensato il primo ministro Massimo D’Azeglio del suo successore che ha proclamato<br />

diritto naturale l’evasione fiscale? [...].<br />

MAURIZIO MAGGIANI, L’etica dei condoni e la lezione di D’Azeglio, in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 11<br />

gennaio 2006, p.32.<br />

3. [...].<br />

«In Germania, quando si apre un’inchiesta sui fatti che riguardano personaggi pubblici o<br />

forze dell’ordine, gli indagati vengono sospesi sino a quando <strong>non</strong> viene pronunciata una<br />

sentenza. In Italia i poliziotti imputati di violenze durante il G8 genovese sono stati promossi<br />

e hanno continuato a ricoprire cariche di grande rilievo».<br />

Questo è stato il primo commento di Michael Luetert deputato tedesco del partito Linke che<br />

per due giorni è venuto a Genova ad assistere ai processi del G8. [...].<br />

ELISABETTA VASSALLO, Il caso. La Germania fa studiare il G8 genovese, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 6<br />

aprile 2006, p. 4.<br />

4. Brutalissima incursione dentro un articolo del Decimo<strong>non</strong>o e successiva deportazione di un<br />

brandello dello stesso in questa rubrica:<br />

[...].<br />

Tuttavia, la storia nazionale <strong>non</strong> è solo divisioni, e dunque storia di eroi che si<br />

contrappongono. Talora è anche storia di momenti <strong>non</strong> luminosi. Su quelli si tratta di<br />

riflettere collettivamente, perché quelli valgono come paradigmi della memoria pubblica e<br />

coinvolgono la formazione del carattere nazionale. Non tanto rispetto a ciò che divide, ma<br />

riflettendo su quello che brucia e con cui davvero i conti si fanno solo con molta r<strong>esiste</strong>nza e<br />

ritrosìa è possibile sviluppare un’etica della responsabilità pubblica (dimensione rispetto alla<br />

quale siamo ancora latitanti).<br />

[...].<br />

DAVID BIDUSSA, Lasciamo parlare le ricorrenze cancellate, in Il Secolo XIX, Genova, domenica 7 maggio<br />

2006, p. 15.<br />

5. Estraiamo da un pezzo giornalistico una sua parte per riprodurla qui sotto:<br />

[...]. La ragione per cui i giovani [americani (ndr)] <strong>non</strong> protestano contro qualcosa, a<br />

cominciare dalla guerra in Iraq, è perché in questo Paese [gli U.S.A. (ndr)] <strong>non</strong> <strong>esiste</strong> più una<br />

seria cultura di politica giovanile. Ciò succede perché questa generazione <strong>non</strong> crede nella<br />

possibilità di cambiare o anche solo intaccare lo status quo. Ma i lavori socialmente utili e il<br />

volontariato sono anche oggi molto popolari, a dimostrazione che i giovani in effetti si<br />

preoccupano dei temi sociali.<br />

Tuttavia il passaggio della mia generazione dall’attivismo al volontariato riflette la<br />

mancanza di fiducia nella capacità di contribuire a un importante cambiamento sociale.<br />

Siamo stati impregnati dell’ideologia che <strong>non</strong> esista alternativa all’attuale modello di<br />

neoliberismo e globalizzazione. Quando provavamo a dire che potevamo trasformare i nostri<br />

destini venivamo derisi; quello che è meglio per il mondo degli affari è meglio per il mondo,<br />

ci dicevano, e se <strong>non</strong> siete d’accordo con i dirigenti, peggio per voi: nessuno vi ascolterà.<br />

Tutto quello che potete fare è affrontare questa dura realtà, trovare un buon lavoro e cercare<br />

75


di stare più comodi possibile tra le quattro mura domestiche. In questo Paese l’idealismo è<br />

morto, ucciso dalla dottrina secondo cui “<strong>non</strong> c’è nessuna alternativa”.<br />

[...].<br />

SAM GRAHAM-FELSEN, I contestatori americani? Via col vento, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 1 giugno<br />

2006, p. 22.<br />

6. Da una lettera inviata al Decimo<strong>non</strong>o ricaviamo questa parte:<br />

[...]. La democrazia è solo una delle tante forme di governo che si sono date gli esseri umani<br />

nei millenni. Quando la gente <strong>non</strong> la difenderà più o semplicemente si disinteresserà della<br />

politica, ritorneremo a una delle tante forme di governo che l’umanità ha avuto nel corso<br />

della storia: monarchia, dittatura, il governo del più potente e del più ricco. E queste forme<br />

di governo – dove pochi o uno solo deciderà per tutti – ce la terremo il tempo che sarà<br />

necessario per capire nuovamente cosa significa davvero oppressione. Così impareremo di<br />

nuovo, a prezzo di sacrifici, il significato della libertà e della democrazia, cioè governo<br />

veramente del popolo. Quello che abbiamo perduto in questi anni.<br />

PAOLO FIERRO, Democrazia scontata? Lo capisce chi la perde, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 1 giugno<br />

2006, p.35.<br />

7. [...] e <strong>non</strong> immaginavo proprio che fosse così facile ammazzare un uomo<br />

Pino Levi Cavaglione<br />

ANTONIO GIBELLI, R<strong>esiste</strong>nza, quando la lotta è senza pietà, in Il Secolo XIX, Genova, sabato 16 settembre<br />

2006, p. 14.<br />

8. [...] talvolta il prezzo della democrazia e della trasparenza sta nel lavoro continuo di<br />

pattugliamento dei suoi confini. [...].<br />

MARCO FORMENTO, 2006 / Il grande popolo di internet cambia il mondo, in Il Secolo XIX, Genova, lunedì 18<br />

dicembre 2006, p. 7.<br />

9. Ecco un pensiero di Nadine Gordimer su Internet.<br />

[...] «Un testo che scorre sullo schermo diventa un’immagine, <strong>non</strong> è più letteratura. Non sta<br />

certo lì il futuro della scrittura». [...]<br />

LAURA GUGLIELMI, Gordimer: basta Apartheid, leggete Shakespeare, in Il Secolo XIX, Genova, venerdì 19<br />

gennaio 2007, p. 18.<br />

10. [...]. Io <strong>non</strong> penso che una sede universitaria debba vivere in funzione della città che la<br />

ospita, questo è ruolo di un istituto alberghiero in una città turistica o di una scuola tecnica<br />

in una città di fabbriche metallurgiche; penso che una università debba avere orizzonti senza<br />

limiti municipali e servire alla comunità nazionale e al mondo intero. Ma di certo una<br />

76


Università attiva, che richiami i più promettenti giovani intelletti, e li favorisca, svolge un<br />

ruolo fondamentale nello sviluppo della comunità che la ospita. Si chiama sinergia,<br />

interconnessione, ecc. ecc. [...].<br />

MAURIZIO MAGGIANI, Povera Università, abdica alla ricerca e sforna arredatori , in Il Secolo XIX, Genova,<br />

lunedì 19 febbraio 2007, p. 18.<br />

11. [...] <strong>esiste</strong> un ceto sociale, che per suo privilegio, è considerato irresponsabile delle proprie<br />

azioni, avente diritto alla sua irresponsabilità, avente diritto a spassarsela fuori e contro le<br />

leggi, che regolano tutti gli altri cittadini. [...].<br />

MAURIZIO MAGGIANI, Droga e caso Flachi / l’Italia classista giustifica e perdona il vip che “sniffa”, in Il<br />

Secolo XIX, Genova, venerdì 9 marzo 2007, p. 28.<br />

12. [...] si può riuscire [a riformare il nostro Paese permettendogli di misurarsi con la<br />

globalizzazione] solo se si romperanno i condizionamenti delle corporazioni che hanno<br />

ingessato l’Italia nell’ultimo mezzo secolo. [...].<br />

LANFRANCO VACCARI, Può salvarsi l’Italia? Se farà prevalere l’interesse generale sul consociativismo, in Il<br />

Secolo XIX, Genova, domenica 4 marzo 2007, p.14.<br />

13. [...]. A Birkenau <strong>non</strong> c’era certo la possibilità di leggere o di scrivere. La prima matita l’ho<br />

trovata dopo la mia liberazione in una fattoria abbandonata, insieme a un diario bianco. Fu<br />

un’emozione enorme quando provai e mi resi conto che sapevo ancora scrivere.<br />

[...].<br />

Liana Millu<br />

I protagonisti a Genova, a cura di Maria Novaro e Claudio Bertieri, Genova, De Ferrari, 2007, p. 93.<br />

14. Esternazioni di Richard Gere alla Biennale Cinema di Venezia:<br />

Sono contro ogni forma di vendetta e punizione, concetti che <strong>non</strong> hanno spazio nella mia<br />

mente. Mi interessa di più capire perché “cattivi” come Hitler, Mladic e Karadzic possano<br />

diventare leader, e questo vale anche per il mio Paese, come è possibile che Bush sia stato<br />

eletto due volte? Eppure è successo.<br />

[...].<br />

[...]. C’è un uomo 1 accusato di genocidio che corre libero in un Paese molto piccolo, fa<br />

arrivare suoi articoli ai giornali e <strong>non</strong> <strong>esiste</strong> nessuna reale volontà politica di catturarlo.<br />

RAFFAELLA GRASSI, LA STAR / «Il vero orrore è che il mostro diventi leader», in Il Secolo XIX, Genova<br />

martedì 4 settembre 2007, p. 15.<br />

1 Karadzic [n.d.r.].<br />

77


1. Pensiamo sempre che la realtà in cui viviamo sia definitiva, ma <strong>non</strong> è così.<br />

78<br />

TURLUPINATURE<br />

Doris Lessing<br />

I.M.L., Doris Lessing: la mia Africa <strong>non</strong> c’è più / ora racconto la prossima glaciazione, in Il Secolo XIX,<br />

Genova, martedì 22 agosto 2006, p. 11.<br />

2. Non ho fiducia in nessun partito, in nessuno schieramento perché ritengo che la corruzione<br />

sia insita nel principio stesso del potere: quando hai influenza sugli altri o su qualcosa, scatta<br />

immancabile un meccanismo perverso.<br />

Andrea De Carlo<br />

MARIA LAURA GIOVAGNINI, Devo ringraziare mio padre se oggi sto a galla da solo, in Oggi, Milano, 13<br />

settembre 2006, n° 37, pp. 90-94.<br />

LETTURE IN FILIGRANA<br />

1. Dal resoconto giornalistico sul dibattito (scaturito dall’iniziativa denominata “1 chilo di<br />

cinema”) svoltosi alla biblioteca Berio tra quattro presidi di scuole genovesi attorno alla<br />

figura del professor Keating del film di Peter Weir “L’Attimo Fuggente”colgo con golosità<br />

la seguente frase, di proprietà di uno dei quattro presidi suddetti:<br />

[...]. E poi oggi essere trasgressivi significa sapere bene il greco e il latino. [...].<br />

RAFFAELLA GRASSI, «Pericoloso il prof dell’Attimo fuggente», in Il Secolo XIX, Genova, mercoledì 22<br />

febbraio 2006, p.37.<br />

COLLUSIONI<br />

1. In una recensione al romanzo noir “Le cose che <strong>non</strong> ti ho detto” di Bruno Morchio,<br />

riferendosi al protagonista del libro (l’investigatore Bacci Pagano), l’autrice dell’articolo<br />

espone alcune sue considerazioni:<br />

[Il carattere in grassetto è un nostro imperdonabile arbitrio]<br />

[...] Morchio sembra dirci che la nostra è un’epoca di pensierini, un periodo in cui è difficile<br />

usare il cervello per andare al fondo delle questioni. Comunque bisogna provarci a tutti i<br />

costi. Proprio come fa Bacci, un gran testardo, che <strong>non</strong> si dà mai per vinto, rompe le scatole<br />

a tutti, a volte è anche troppo aggressivo e violento, ma il lettore sente che lo fa per un<br />

profondo amore verso gli altri e il mondo tutto. [...].<br />

LAURA GUGLIELMI, L’intervista / «Bacci Pagano investigatore pensante», in Il Secolo XIX, Genova, giovedì<br />

20 settembre 2007, p. 18.


79<br />

FARFALLE METROPOLITANE<br />

1. Lunedì 27 febbraio 2006, ore 14.08, autobus 47, poche fermate prima di arrivare in piazza<br />

De Ferrari. Due giovani ragazzi (ventenni?), entrambi muniti di borsoni – tenuti in mano –<br />

e di zaini – in spalla – da cui usciva un tubo di plastica usato di solito per proteggere i<br />

disegni, dialogano fra di loro. Riporto un brandello della conversazione.<br />

Legenda : A – Ragazzo dai capelli rossi. B – Ragazzo dai capelli bruni.<br />

A – (Ad alta voce): Andiamo a vedere la mostra dei Romantici e dei Macchiaioli?<br />

B – Cosa?<br />

A – (A bassa voce): Sto scherzando, sto scherzando. (Ad alta voce): La mostra dei<br />

Macchiaioli, andiamo a vederla?<br />

B – (Non risponde).<br />

A – (Ad alta voce): Ci devo andare! Ci devo andare! Ci devo andare!<br />

2. Marina Bondì mi ha inviato, venerdì 31 marzo 2006, il messaggio telefonico qui riportato:<br />

Mario ti scrivo 1 frase che ho letto in 1 palazzo di castelletto<br />

[...]<br />

dimenticate tt ciò che vi hanno insegnato<br />

ricominciate dai vs sogni


3. Fotografia scattata venerdì 14 aprile 2006 in Via delle Fontane.<br />

Aula magna e bevi.<br />

4. Fotografia, scattata venerdì 14 aprile 2006 in Piazza Senàrega, della parete della Loggia di<br />

Banchi.<br />

80<br />

AVESSI ANCH’IO DIRITTO AD<br />

UN EQUILIBRIO MA ENORME<br />

DI QUESTA PACE NON<br />

SO CHE FARNE!


5. Fotografia scattata martedì 18 aprile 2006 ad un cartello affisso nella stanza da bagno del<br />

Bar De Ferrari di Via Petrarca n° 8/r.<br />

“Si prega di tenere la toilette pulita. Gli assorbenti e altre carte, devono essere gettati<br />

nell’apposito contenitore. GRAZIE” [In italiano, spagnolo, inglese, tedesco, francese e ...<br />

genovese].<br />

6. Stando alla mia osservazione casuale delle scritte individuali negli spazi pubblici, mi pare<br />

che una certa “creatività” si sia ormai rifugiata nelle toilette.<br />

Martedì 2 maggio 2006 ,un bar di Via Dante.<br />

81


7. Fine giugno 2006, vico Notari, 7 a Genova. Sul vetro della bacheca, esposta al pubblico<br />

dalla Farmacia Tettoni, è stato raffigurato il “graffito” qui riprodotto.<br />

8. Lunedì 17 luglio 2006, cartello sito nello stanzino dei servizi del bar tra viale Brigata<br />

Bisagno e via di Santa Zita.<br />

82


9. Martedì 25 luglio 2006, ore 16.28, rilevazione fotografica del cartello affisso nello stanzino<br />

dei servizi igienici del Roxy Bar di Via Capitan Romeo 88 ad Arenzano (GE).<br />

10. Sabato 29 luglio 2006, ore 10, via Giulio Zunino 2, Arenzano: sul tetto sventola una<br />

bandiera nera con l’effige del teschio e delle tibie incrociate.<br />

83


Particolare ingrandito della precedente fotografia.<br />

11. Venerdì 25 agosto 2006, fianco, affacciantesi su Via Petrarca, del Palazzo della Regione<br />

(ex sede della Società Italia di Navigazione).<br />

84


12. Mercoledì 30 agosto 2006, in Via Sant’Antonio ad Arenzano, rileggendo questa effimera<br />

scritta muraria, ho deciso di trascriverla:<br />

<strong>“dove</strong> c’è <strong>musica</strong><br />

<strong>non</strong> <strong>esiste</strong> <strong>malvagità”</strong><br />

<strong>Bach</strong><br />

La targa di Via Sant’Antonio Veduta di Via Sant’Antonio<br />

Il graffito in questione.<br />

86


13. Ecco due “farfalle” propostemi dalla “Collezionista d’immagini” Veronica La Padula via<br />

SMS il 9/09/2006 alle ore 11.24.<br />

Se il voto cambiasse qualcosa sarebbe fuorilegge<br />

dux sux<br />

14. Sabato 16 settembre 2006, in Vico Veneroso a Genova, m’imbatto in questa decisa<br />

intimazione:<br />

87


15. Venerdì 6 ottobre 2006, a fianco del civico 1 A di Via del Campo:<br />

A chi ha ancora il coraggio<br />

di sorridere con gli occhi<br />

e con la bocca ...<br />

88


16. Mercoledì 11 ottobre 2006, Via Chiabrera, piedritto sinistro del civico 13:<br />

“L’AMORE È UNA<br />

CONQUISTA<br />

QUOTIDIANA<br />

DELLA<br />

RAGIONE”...<br />

LA RAGIONE è<br />

LO SCARTO<br />

QUOTIDIANO<br />

DeLL’AMORe<br />

89


17. Mercoledì 11 ottobre 2006, porta saracinesca di Via Chiabrera, 63r:<br />

L’EROTICO PIACERE DEL PESSIMISMO COMPENSA<br />

L’ACIDA RITORSIONE DEL MALUMORE<br />

IL MALPENSIERO ESPLICA SE STESSO<br />

IN UN MONDO DI MERDA<br />

90


18. L’ultima arma dei professori: l’ironia.<br />

[...]. Al “Berchet” 1 il corpo docente ha deciso di affrontare il problema 2 in modo inconsueto:<br />

così una prof di filosofia quando interroga ragazze con l’ombelico in vista e ragazzi dal<br />

cavallo bassissimo <strong>non</strong> considera solo le conoscenze sulla lezione del giorno, ma anche la<br />

bellezza delle mutande che spuntano sulla carne nuda degli alunni. Se la mutanda è griffata,<br />

il voto si alza. [...].<br />

3 La prof alza il voto di filosofia se le mutande sono in vista, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 30 novembre<br />

2006, p. 8.<br />

19. Veronica La Padula mi segnala due “farfalle” acchiappate al volo nella galleria del<br />

sottopasso di Sant’Agata. Eccole.<br />

Barcollo ma <strong>non</strong> mollo<br />

Non essere lo specchio di chi ti sta di fronte<br />

20. [...]. L’occidente, a partire dalla rivoluzione industriale, ha privilegiato la cultura materiale.<br />

Una civiltà corrotta e priva di valori, riesce a imporsi al resto del globo con la forza<br />

materiale. Musei presentano come opere d’arte scatole di escrementi umani, sacchi di rifiuti,<br />

orinatoi. Sodomia, pornografia, pedofilia, sono omologate e diffuse, considerate indice di<br />

civiltà, equiparate a diritti individuali. [...].<br />

91<br />

AL GHAZALI GIABIR<br />

E-MAIL<br />

Ditelo a Maggiani. Lettere al Secolo XIX. La decadenza dell’Occidente e la lezione dei classici greci, in Il<br />

Secolo XIX, Genova, martedì 9 gennaio 2007, p. 16.<br />

21. Quando lavorano i professori?<br />

Reduci da 3 settimane di vacanze natalizie, molte scuole sono già impegnate per le settimane<br />

bianche con al seguito gli insegnanti i quali, <strong>non</strong> solo fanno vacanza e percepiscono lo<br />

stipendio, ma vanno a spese della collettività! Ad aprile poi inizieranno le gite all’estero ...<br />

ma i prof quando lavorano? DANI<br />

Lettere & opinioni, in Metro, Milano, martedì 13 febbraio 2007, p. 17.<br />

1 Il liceo Berchet di Milano.<br />

2 Il problema del modo di vestirsi dei giovani studenti.<br />

3 Gli articoli, a causa di uno sciopero nazionale dei giornalisti, <strong>non</strong> sono firmati.


22. Lunedì 12 febbraio 2007. Stazione di Sampierdarena. Pilastro al binario 6. Annotata la<br />

seguente scritta:<br />

23. Genova, lunedì 19 marzo 2007, San Giuseppe, ore 14.40, autobus 47 in partenza dal<br />

capolinea di Largo Merlo: un uomo anziano, rivolgendosi ad un giovane di sua conoscenza,<br />

scodella a ritmo continuo e ad alta voce sentenze contro il governo, contro la sinistra,<br />

contro la destra e contro tutto e tutti. Una signora, anch’essa d’età, <strong>non</strong> potendone più, dice<br />

al marito:<br />

Ma <strong>non</strong> ce n’hanno problemi in casa?<br />

Pensano alla politica!<br />

24. Area Porto Antico, venerdì 6 aprile 2007, ore 14.55: brandello di conversazione tra due<br />

uomini di mezza età:<br />

Quando sei nella merda sei tranquillo, <strong>non</strong> hai più nulla da perdere.<br />

Ho perso i miei figli, mia moglie, la famiglia.<br />

Cosa mi resta?<br />

25. Avvertenza affissa nell’atrio di Palazzo Ducale a Genova<br />

92


Ai fini della tutela<br />

del decoro dell’edificio<br />

si ricorda che è vietato<br />

all’interno del Palazzo<br />

consumare cibi, bevande o simili al di fuori delle aree<br />

commerciali a ciò destinate<br />

lordare o abbandonare cartacce, bottiglie o altro<br />

il volantinaggio o attività similari <strong>non</strong> autorizzate<br />

l’accattonaggio e in genere attività estranee alla fruizione<br />

culturale, turistica e commerciale del Palazzo<br />

sostare sui gradini delle porte di accesso<br />

creare disturbo o intralcio alle attività del Palazzo<br />

I cani possono essere introdotti, limitatamente<br />

al Piano Porticato, solo se tenuti costantemente<br />

al guinzaglio e muniti di museruola.<br />

I trasgressori verranno richiamati dal personale<br />

di sorveglianza (anche con l’ausilio delle Autorità di P.S.)<br />

26. Ecco una lettera apparsa sulle pagine del Decimo<strong>non</strong>o:<br />

Recensendo una mostra di Piero Manzoni, famoso per la sua scatoletta contenente “merda<br />

d’artista”, Germano Celant ha scritto «La tela <strong>non</strong> è più lo strumento sacrificale, di filiazione<br />

pittorica, ma si autofeconda». Parole oscure, per <strong>non</strong> dire prive di senso. Se ne avessi<br />

l’opportunità vorrei chiedere al “maestro” cosa significano. È anche grazie a personaggi di<br />

questo genere che l’arte è più povera. Il fatto che costui e Ida Giannelli della Biennale,<br />

abbiano successo, è sintomo che la società è malata. Ritengo che sia sbagliato sottovalutare<br />

il segnale.<br />

Ludovico Quintavalle Bronzini e-mail<br />

Lettere e rubriche, in Il Secolo XIX, Genova, venerdì 18 maggio 2007, p.26<br />

27. Un’altra lettera:<br />

Il pittore di San Terenzo che usava la popò del figlio<br />

Mi riferisco alla lettera sul Secolo XIX “Merda d’artista il genio fa sempre scandalo” per<br />

informare che la “Merda d’artista” è stata usata nella pittura da Vanni, di San Terenzo.<br />

Durante una calda estate degli anni Sessanta è stata allestita una personale del pittore “bravo<br />

e stravagante” alle Cinque Terre. Durante il vernissage è stato divertentissimo vedere la<br />

gente che, sentendo puzza, si guardava sotto le scarpe e, con aria sospetta, si allontanava dal<br />

93


vicino. Per far terminare questo imbarazzo Vanni ha annunciato che il colore marron scuro<br />

dei suoi quadri era la “merda di suo figlio.<br />

Paolo Ghigliazza e-mail<br />

Ditelo a Maggiani, Lettere al Secolo XIX, in Il Secolo XIX, Genova, giovedì 14 giugno 2007, p.20.<br />

28. Piazza Senàrega. 1 agosto 2007. Sul muro, a destra dell’ingresso alla Borsa Vecchia, una<br />

scritta:<br />

AVESSI ANCH’IO DIRITTO AD<br />

UN EQUILIBRIO MA ENORME<br />

DI QUESTA PACE NON<br />

SO CHE FARNE!<br />

29. Via di San Donato. 13 agosto 2007. Sulla parete del palazzo che fa angolo con Piazza<br />

Ferretto la seguente frase:<br />

TODA ESTRELLA MIRADA<br />

ATRAVEZ DE UNA LAGRIMA<br />

ES UNA CRUZ.<br />

30. Genova. Martedì 28 agosto 2007. Via Montallegro 48 canc. Poliambulatorio. Ore 18.55.<br />

Tre giovani donne (di cui due segretarie amministrative) parlano animatamente tra di loro,<br />

soprattutto di temi relativi al lavoro. A un certo momento una delle tre si allontana:<br />

1. Dove vai?<br />

2. In bagno. Non posso? Sono a scuola?<br />

31. Sabato 8 settembre 2007. Ore 17,42. Vico a destra di San Pancrazio. Sulla parete laterale<br />

della chiesa presenza di motti di varia natura, tra cui il seguente:<br />

94


95<br />

SCHELETRI NELL’ARMADIO<br />

M I C H E L F O U C A U L T<br />

In Sorvegliare e punire ho cercato di far vedere come un certo tipo di potere esercitato sugli<br />

individui tramite l’educazione, la formazione della loro personalità, fosse legata in Occidente alla<br />

nascita <strong>non</strong> solo di una ideologia ma anche di un regime di tipo liberale. In altri sistemi politici e<br />

sociali – la monarchia assoluta, il feudalesimo ecc. – un analogo esercizio del potere sugli individui<br />

<strong>non</strong> sarebbe stato possibile. [...].<br />

DUCCIO TROMBADORI, Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma, 1999, p.116.<br />

[Oggi] Tutti i rapporti [individuali, sociali, politici ecc.] vengono rimessi in questione, e i primi a<br />

effettuare ciò <strong>non</strong> sono evidentemente coloro che dirigono e governano, anche se <strong>non</strong> possono <strong>non</strong><br />

prendere atto delle difficoltà <strong>esiste</strong>nti. Siamo, credo, all’inizio di una grande crisi di rivalutazione<br />

complessiva del problema del «governo». [...].<br />

Op. cit., p. 122.


96<br />

I N D I Z I<br />

pittura e scultura a Genova dal dopoguerra ad oggi<br />

Aggiorniamo l’elenco di opere (dipinti, sculture, ecc.) presenti, dal secondo dopoguerra ad oggi,<br />

nello spazio urbano di Genova.


Nome autori, titolo dell’opera, ubicazione Nr scheda fotografica<br />

KOSTAS GEORGAKIS, 0 piazza Matteotti<br />

.<br />

0<br />

ACCADEMIA LIGUSTICA DI BELLE ARTI, Largo Pertini, 4 50<br />

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<br />

BANCA CARIGE, collezione d’arte contemporanea, Via Cassa di Risparmio, 15 1<br />

BANCA D’ITALIA, Via Dante, 3, (Reggiani F., Il varo, 1982, bronzo – fusione a cera 2<br />

persa; Sirotti Raimondo, vari dipinti astratti esposti al piano ammezzato)<br />

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO, Largo Eros Lanfranco, 2 (2 mosaici: Rambaldi E., 3<br />

Colombo con caravella, Raccolta olive, Vasaio, Natura Morta; Maestro d’Ascia,<br />

Collocamento Marinaio; Brancaccio G., Porto di Genova, Lanterna, Pescatori con<br />

barche). 1<br />

BARBIERI VIALE MICHELANGELO, Parco di Villa Croce 4<br />

BOSCO ALDO, Via San Leonardo, 18<br />

BRANCACCIO G., Porto di Genova, Lanterna, Pescatori con barche, Banca Nazionale<br />

del Lavoro, Largo Eros Lanfranco, 2<br />

5<br />

BUKER ANDRÉ, Parco di Villa Croce 6<br />

CARLO FELICE, Teatro d’Opera, Largo Pertini 2 7<br />

CAVALLINI, La nave umana ..., 1992, via Antonio Cecchi 3 8<br />

CAVALLO ELENA Parco di Villa Gruber 4 9<br />

Cimitero di Staglieno 39<br />

CONTEMORRA, Parco di Villa Croce 10<br />

COSTANTINO (Padre) RUGGERO, Vetrate della chiesa Sacra Famiglia e San Giorgio,<br />

1977, Via dell’Insurrezione 23- 25 aprile 1945<br />

51<br />

DEGLI ABBATI GIGI, Il mare nella storia, ’99-2000, Porto Antico 5 11<br />

FIESCHI GIANNETTO, Santa Caterina che riceve la pace dalla Trinità, Santa Maria di<br />

Castello, Via Santa Maria di Castello<br />

12<br />

FIESCHI GIANNETTO, s.t., 197(?), Istituto Comprensivo San Francesco da Paola, via<br />

Bologna, 86. 6<br />

49<br />

FONDAZIONE KATINCA PRINI, Salita Dinegro 13<br />

GALLERIA D’ARTE MODERNA, Villa Serra, Via Capolungo, 3 14<br />

GAULAM VAL, Mahatma Gandhi, 22 giugno 2006, Porto Antico 15<br />

LICEO SCIENTIFICO CASSINI, Via Galata, 34 34<br />

LUZZATI LELE, Via San Vincenzo 16<br />

LUZZATI LELE, Vetrate della sinagoga, Via Giovanni Bertora, 5 17<br />

LUZZATI LELE, Scenografia scultorea, Porto Antico 18<br />

LUZZATI LELE, “Sovrapporta” del negozio Lisifiori, 1962 (?), Galleria Mazzini, 49 r, 52<br />

KAPOOR ANISH, (proprietà privata), Via XXV aprile, 12 19<br />

MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA, Villa Croce, Via J. Ruffini, 3 20<br />

MUSEO LUZZATI LELE, Porta Siberia 21<br />

NEBIOLO MARIO, Interventi pittorici sul muraglione di Via Dino Col 41<br />

Palazzo d’abitazione, Via Peschiera, 19, (rilievi) 33<br />

PHASE II, 1996, Sottopasso di via Cadorna 22<br />

PIANO RENZO, Bigo, Porto Antico 23<br />

PIANO RENZO, Sfera bioclimatica, Porto Antico 42<br />

1 Cartone Brancaccio. Mosaico. Salviati.<br />

2 Fotografie tratte da The Carlo Felice Opera House, Genova, Sagep, 1994.<br />

3 La presenza di questo monumento c’è stata segnalata da Mauro Ghiglione.<br />

4<br />

Courtesy Ellequadro.<br />

5<br />

ESEGUITO DA<br />

MATTIA VIGO E FIGLI<br />

MOSAICISTI IN GENOVA<br />

6<br />

La presenza di questo dipinto c’è stata segnalata daTeresa Parodi.<br />

97


PIANO RENZO, modulo architettonico, Piazza Corvetto (attualmente rimosso) 24<br />

PICASSO ALESSANDRO, L’albero della vita, 2000, Porto Antico 7 25<br />

PIOMBINO UMBERTO, San Tommaso d’Aquino, Santa Maria di Castello 26<br />

POMODORO ARNALDO, Incontro fra industria e ricerca, 1992, Istituto per le<br />

biotecnologie – I.S.T., Largo R. Benzi<br />

27<br />

POMODORO GIÒ, Sole – agli italiani nel mondo, ’89 – 2001, Stazione Marittima, Ponte<br />

dei Mille 8<br />

28<br />

RAMBALDI E., Colombo con caravella, Raccolta olive, Vasaio, Natura Morta; Maestro<br />

d’Ascia, Collocamento Marinaio, Banca Nazionale del Lavoro, Largo Eros Lanfranco,<br />

2<br />

REGGIANI F., Il leudo, via Carducci (proprietà Banco Di San Giorgio) 29<br />

REGGIANI F., Il varo, * 1982, bronzo – fusione a cera persa, Banca d’Italia, Via Dante, 3 2<br />

REPETTO FRANCO, Monumento a Guido Rossa, Largo XII Ottobre 36<br />

ROSSETTI RICCARDO & STEFANO, Graffito situato all’ingresso della stazione<br />

metropolitana di Principe, 1996<br />

45<br />

ROSSI MARCO, Fabrizio De André, 2001, Piazza del Campo, bassorilievo in ardesia 9 53<br />

SIROTTI RAIMONDO, Sant’Anna e San Gioacchino, SS. Annunziata del Vastato,<br />

Piazza della Nunziata, 4<br />

30<br />

SIROTTI RAIMONDO, * vari dipinti astratti esposti al piano ammezzato della Banca<br />

d’Italia<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

SOMAINI, Mosaici pavimentazione Galleria Mazzini, 2001 10 31<br />

SUSUMU SHINGU, Sculture eoliche al Porto Antico, 1992 32<br />

TAMPIERI, Bassorilievi marmorei, Via di Sottoripa, 1A 46<br />

TERRONE PIERO, Rapallo, 1976 (?), Accademia Ligustica di Belle Arti 50<br />

Bassorilievo, Via XII Ottobre (porticato del civico 12, presso il 186 r) 47<br />

Installazione della Biennale di Venezia – Porto Antico 37<br />

Monumento ai caduti della R<strong>esiste</strong>nza, viale Brigata Bisagno 35<br />

Resti di piccola fontana, Via XII Ottobre 48<br />

Sculture all’Expo – Porto Antico 38<br />

Scultura di Via San Sebastiano 40<br />

Scultura in Via Renata Bianchi, Campi, Cornigliano 43<br />

Scultura situata in piazzale Marassi, antistante lo Stadio di Calcio Luigi Ferraris 44<br />

A questo indirizzo sono state visualizzate le fotografie relative all’elenco:<br />

cantarenaedizioni.wordpress.com<br />

7<br />

PRIMA SCULTURA AD ENERGIA SOLARE FOTOVOLTAICA DEDICATA ALL’UNIONE EUROPEA<br />

8<br />

LA “GRANDI NAVI VELOCI”<br />

E ALDO GRIMALDI<br />

DONANO QUESTA OPERA<br />

DI GIÒ POMODORO<br />

A GENOVA LA “SUPERBA”<br />

ED AL SUO PORTO<br />

LUGLIO 2001<br />

Le fotografie 31 e (31) sono tratte dall’opuscolo “Genoa - A Port on a Human Scale, a cura dell’Autorità portuale di Genova e della Stazioni<br />

Marittime s.p.a.<br />

9<br />

Realizzato a cura della Fondazione Fabrizio De André<br />

10 MOSAICI DONATI DA<br />

CAMERA DI COMMERCIO<br />

FONDAZIONE CARIGE<br />

E CON IL CONTRIBUTO<br />

DI TRAMETAL<br />

98


POMODORO ARNALDO, Incontro fra industria e ricerca, 1992,<br />

Istituto per le biotecnologie – I.S.T., Largo R. Benzi<br />

99


Urlo aAA<br />

l’uno all’altro l’altro all’uno l’una all’altra l’altra all’una<br />

l’una all’altro l’altro all’una l’uno all’altra l’altra all’uno<br />

l’alto all’urna ralala nulla ora<br />

l’urlo all’alto runota lalla ola<br />

all’alt l’urano tarlo onalla ula<br />

l’urna all’alto l’olalla aruna<br />

l’urlon alato rolla tulano ala<br />

l’atro al nulla atarlo onalla ul<br />

l’ala all’urto larano atulolla<br />

l’aorta luna l’oltala l’onaaru<br />

nulla all’atro l’ullo al otran<br />

luna all’artaud<br />

Fenti vers a Bunker Poesia című tömegköltészeti kiállításra készült, amelyet a Velencei Biennale<br />

keretében rendeztek meg az Arsenale épületegyüttesében. A kiállításon több, mint hétszáz költő<br />

munkái szerepeltek, kerítésen, falon, földön, berendezési vagy a véletlen által odarendezett tárgyakon<br />

elhelyezve. A résztvevők között ott voltak Itália vezető költői Eodardo Sanguinetitől Andrea<br />

Zanzottón át Maria Luisa Spazianiig, a Biennalé nyitvatartása alatt hónapokig megtekinthető<br />

kiállításhoz számtalan költői rendezvény kapcsolódott és kapcsolódik.<br />

Az itt látható szimultán költemény első szólama hasonló hangzású olasz szavakat variál lehetséges<br />

jelentéseikben, a másik szólam pedig ugyanazon nyelvi anyag betűiből-hangjaiból képez alá<br />

hangszőnyeget. A mottó a Bunker Poesia tömegköltészeti kiállítás egyik hívó-motívumát – „egyik a<br />

másikhoz”, „egyvalaki másvalakihez” stb. – variálja annak lehetséges viszonylataiban.<br />

(Üvöltés aA-nak<br />

a magas az urnában<br />

a magasban üvöltés<br />

állj-t az uránnak<br />

urna a magasban<br />

üvöltnek szárnyasan<br />

a sötét a semmihez<br />

szárny ütközésben<br />

Hold-aorta<br />

semmit a sötétnek<br />

Hold artaud-nak)

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