19.06.2013 Views

L'immagine negata: per una tipologia “sentimentale” dello sguardo

L'immagine negata: per una tipologia “sentimentale” dello sguardo

L'immagine negata: per una tipologia “sentimentale” dello sguardo

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

TOMMASO POMILIO<br />

L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong><br />

<strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Fin dalla germinale ripresa foscoliana, lo italico sternismo di qualità sentimental<br />

si presenta come modalità dell’enunciazione, più che come ripresa e<br />

ridistribuzione di motivi. Esercizio di un dire in cui lo <strong>sguardo</strong> letterario viene<br />

esercitato, dal di dentro, soprattutto su quel proprio, quell’interno che è il frame<br />

da cui proliferano le figure (non pensare attraverso il racconto, ma – ricordava<br />

Mazzacurati – «pensare il racconto») 1 ; modalità metadiscorsiva e autodecostruita,<br />

che potrà diffondersi da noi solo potenziato di queste foscoliane energiche<br />

linfe — in <strong>una</strong> presa, insomma, di soggettivazione, ben <strong>per</strong>vicace rispetto all’insidiosa,<br />

fallace-insinuante leggerezza enunciativa del mo<strong>dello</strong>. Eppure, nel<br />

Foscolo, la funzione-Sterne s’incrocia consapevolmente e cortocircuita con altri<br />

trans-storici modelli del grande umorismo europeo espansivo e digressivo: volta<br />

<strong>per</strong> volta comico-espressionisti, o classicisti, o manieristi. In <strong>una</strong> nota del capitolo<br />

XXXII del Viaggio Sentimentale, Didimo affermerà che Yorick, oltre alla<br />

1 G. MAZZACURATI, Il fantasma di Yorick, postfazione a L. STERNE, Un viaggio sentimentale, a<br />

cura e trad. di G.M., Napoli, Cronopio, 1991 tomo secondo, pp.153-191. Quanto all’influenza<br />

<strong>dello</strong> Sterne sulla nostra letteratura, oltre al pionieristico studio di G. RABIZZANI, Sterne in Italia.<br />

Riflessi nostrani dell’umorismo sentimentale, Roma, Formiggini, 1920, andranno citati almeno R.<br />

MORABITO, Antiromanzi dell’Ottocento, Roma, Bulzoni, 1977; L. FELICI, Sterne in Italia, prefazione<br />

a L. STERNE, La vita e le opinioni di Tristram Shandy gentiluomo, Milano, Garzanti, 1983, traduzione<br />

di Antonio Meo, pp. XIX-LIV; e G. MAZZACURATI et al., Effetto Sterne. La narrazione<br />

umoristica in Italia da Foscolo a Piran<strong>dello</strong>, Pisa, Nistri-Lischi, 1990 (in particolare, <strong>per</strong> quel che<br />

riguarda il presente studio, L. TOSCHI, Foscolo e altri “Sentimental Travellers” di primo<br />

Ottocento, pp. 90-120). E inoltre, C. BERTONI, Un caso di sternismo: le «Avventure e osservazioni»<br />

di Filippo Pananti, in «Filologia & Critica», a. XXII, fascicolo II, settembre-dicembre 1997.<br />

Sull’influsso <strong>dello</strong> Sterne sul Manzoni, cfr. E. RAIMONDI, La dissimulazione romanzesca, Bologna,<br />

Il Mulino, 1990; e S.S. NIGRO, La tabaccheria di Don Lisander. Saggio sui «Promessi Sposi»,<br />

Torino, Einaudi, 1996.<br />

237


Tommaso Pomilio<br />

Bibbia, aveva meditato e imitato il Pantagruelismo, Shakespeare, Don Chisciotte<br />

e Montaigne (<strong>per</strong> non dire del Parini, variamante omaggiato, in primo luogo<br />

nella Notizia); 2 fino al sottile-vertiginoso, compassatissimo humour filologico<br />

anti-pedantesco del commento (La Chioma di Berenice, 1803 — e l’antipedantismo<br />

alcoolico, quasi, degli Atti dell’Accademia de’ Pitagorici, del 1810), in favore<br />

di <strong>una</strong> scrittura (come verrà detto nel Commiato della Chioma) scissa e come<br />

sospesa fra il vero e lo scherzo, fra il dire e il non dire. 3 Ancora in <strong>una</strong> lettera alla<br />

Teotochi Albrizzi, Foscolo si dilunga sulle sue «ridicole bizzarrie» da sfaccendato,<br />

e del suo ridere «come ridevano Rabelais, Sterne e Cervantes»; eppure, convinto<br />

di non avere «<strong>una</strong> scintilla del loro amabile Genio», afferma: «non aspiro<br />

alla loro palma, nè presumo di far ridere il pubblico alle spalle della stoltezza e<br />

della vanità: rido da me solo, e quando considero le fantasie meschine che ho<br />

scritto, le lacero, e rido di me». 4 È così che fin da questo punto si dichiara quella<br />

matrice d’umorismo solipsistico e splenetico che dovrà condurre fino a quel<br />

medesimo Dossi, che, feroce detrattore della versione didimea, pure nelle note<br />

azzurre dovrà insistere su tasti neanche tanto sorprendentemente consimili. 5<br />

Eppure nel sistema foscoliano tutto ruota attorno a un (impossibile) centro<br />

che è più specificamente sterniano. Quell’anti-realismo i<strong>per</strong>-realista del linguaggio<br />

di cui parlava Mazzacurati, che il Foscolo aveva potuto teorizzare a partire<br />

dalle medesime considerazioni sul tradurre (di matrice lockiana, ci ricorda<br />

Varese) contenute nel saggio Sulla traduzione dell’Odissea. 6 Con l’evocazione<br />

2 C. VARESE, in Foscolo: Sternismo, tempo e <strong>per</strong>sona, Ravenna, Longo, 1982, p. 39, parla<br />

di «conflato pariniano con lo Sterne, di <strong>una</strong> vicinanza di Yorick e dell’abate Parini», a proposito<br />

nell’epigrafe pariniana apposta alla traduzione didimea.<br />

3 «E se tu avessi preso <strong>per</strong> giusta moneta tutto quello che ho scritto, tu hai fatto male:<br />

rare cose qui ho detto davvero, molte da scherzo, e parecchie né da vero né da SCHERZO,<br />

LE QUALI POTEANO ESSERE DETTE E NON DETTE. Or che hai gli occhiali, a te lascio<br />

il discernere». In U. FOSCOLO Scritti letterari e politici dal 1796 al 1808, E.N.VI, ed. crit. a<br />

cura di G. Gambarin, Firenze, Le Monnier, 1972.<br />

4 Lettera 1102 del 14 maggio 1811, in U. FOSCOLO, Epistolario, vol. III, E.N..XVI, a cura<br />

di P. Carli, Firenze, Le Monnier, 1953, p. 515.<br />

5 Nella Vita di Alberto Pisani vi è <strong>una</strong> clamorosa ripresa sterniana, ma non del Journey,<br />

piuttosto del Tristram ; e un contestuale rovesciamento dell’Ortis, nella messa in scena di un<br />

amour fou cerebrale, stereotipo, i<strong>per</strong>letterario, e sucidale <strong>per</strong> assurdo: mentre, nella 2311<br />

delle Note azzurre (a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1964, p. 156), la traduzione didìmea<br />

viene definita “pessima” – ribattendo in questo al giudizio foscoliano sulla trad. del Fresnais<br />

come “laida” (in Epistolario, vol.II, lettera n. 361, E.N. XV, a cura di P. Carli, Firenze, Le<br />

Monnier, 1952, p. 107). Sulla scia del Foscolo, un uso sincretico di Sterne (coniugato con<br />

Cervantes, Montaigne, o altri “irregolari”), era ormai praticato naturalmente: nel «Corriere<br />

delle Dame» del 16 settembre 1820 (a proposito di: Cambiamenti di umore), alla stessa stregua<br />

sono trattati “gli arguti motti di Yorick e le facezie di Don Chisciotte”.<br />

6 Per cui «ogni parola, oltre il suo significato primitivo e principale, ha in ogni lingua<br />

molte minime idee accessorie e concomitanti, che danno sempre più movimento e tinte al<br />

238


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

insomma di un principio del conflato («de’ significati minimi ed accessori provenuti<br />

dal tempo»), 7 col quale ci troviamo dritti nel territorio del metadiscorso<br />

introiettato; e divagante, astratto, benché la presa foscoliana tenda a disciplinarlo<br />

entro i limiti di <strong>una</strong> soggettività più dichiarata: fino a quell’ineffabile punto di<br />

un pensarsi come racconto («Chiamami romanzo», dice Foscolo ancora alla<br />

Teotochi Albrizzi) non alieno da <strong>una</strong> bizzarra funzionalità autopromozionale,<br />

quasi pubblicitaria, intollerabile <strong>per</strong> lo sterniano Gadda. 8 Nel vitalismo fictional<br />

del Foscolo, che già nell’ultimo Ortis (e già a contatto con lo Sterne dell’episodio<br />

di Maria de Moulins) parla di sé «in cambio di parlare di Lauretta», può<br />

riattualizzarsi quella «riconversione soggettiva della struttura romanzesca» su<br />

cui si fonda l’antiromanzo sterniano: 9 <strong>per</strong> cui l’autore certo è il romanzo, ma<br />

anche, il romanzo diviene soggetto. Ma lo farà a costo di <strong>una</strong> sterzata egocentrica,<br />

che devia la stessa deviante sospensione del mo<strong>dello</strong>, su territori decisamente<br />

più proprii. La lezione insomma, che è del Foscolo, pienamente égotiste già<br />

qualche decennio avanti dell’avvento stendhaliano, sarà quella, certo, di <strong>una</strong><br />

(auto)teatralizzazione di un sé colto nell’atto di un vivere come scrivere, e di<br />

rappresentare (il sé, la sua scrittura) in un protagonismo rescisso. Il che ci getta<br />

in quel territorio ove il frame <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> mette in o<strong>per</strong>a la <strong>per</strong>sona: es<strong>per</strong>ienza<br />

che lo sterniano Diderot del Neveu, o il teorico del Paradoxe de l’acteur,<br />

aveva condotto alla sua coerenza più esemplare e deviata.<br />

Ciò tramite cui può radicarsi ed esprimersi un narrare di matrice sentimental,<br />

è qualcosa come <strong>una</strong> proliferazione di puncta devianti, di ictus i<strong>per</strong>semantizzati<br />

nel predominio dell’insignificante, del non-funzionale: la semantizzazione soggettiva<br />

dell’insignificante, del digressivo. Rispetto al mo<strong>dello</strong>, l’egotismo foscoliano<br />

(fino alle Lettere scritte dall’Inghilterra) punterà ad giro di vite entro la<br />

significato primitivo». In Lezioni, articoli di critica e di polemica (1809-1811), ed. crit. a cura<br />

di E. Santini, Firenze, Le Monnier, 1933, p. 206.<br />

7 Nella prima delle Lezioni su la letteratura e la lingua, dedicata a De’ principi della letteratura,<br />

ibid., p. 66.<br />

8 La lettera ad Antonietta Fagnani Arese n. 160, è in Epistolario, vol. I (1801-1803),<br />

E.N.XIV, a cura di P. Carli, seconda edizione, Firenze, Le Monnier, 1970, p. 225 («Chiamami<br />

romanzo, ed hai forse ragione; ma non lo sono <strong>per</strong> elezione... io devo alla natura questa<br />

ardente immaginazione e questo cuore» ecc.) L’impagabile, paradossale scritto antifoscoliano<br />

di C. E. GADDA, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del<br />

Foscolo, è in Saggi giornali favole e altri scritti, a cura di D. Isella et al., Milano, Garzanti,<br />

1992.<br />

9 Cfr. P. FASANO, Stratigrafie foscoliane, Roma, Bulzoni, 1974, p. 101: se «l’autore è il<br />

romanzo», il viaggio è il romanzo, e il «romanzo [è] inteso come itinerario dei sentimenti».<br />

Fasano parla infatti del «modulo narrativo modernissimo» acquisito da Foscolo sull’esempio<br />

di Sterne, all’altezza dell’episodio di Lauretta, «che trasferisce l’avventura nella dimensione<br />

soggettiva del narratore» (ibid., p. 95).<br />

239


Tommaso Pomilio<br />

materia vitale, esistenziale, insieme fictional e biografica, semmai di alfieriana<br />

origine: «Chiamami romanzo», proprio. 10 Per deviare verso la fuga, che è nomadica<br />

erranza (biografica e testuale) e insieme sprigionamento di identità (anche<br />

pseudonimiche), in anticipo anche qui rispetto a Stendhal; 11 o alla contraffazione,<br />

all’«impostura» di pseudo-citazioni sterniane. 12<br />

Così, se Foscolo-Ortis, nella edizione zurighese del 1817, invertirà la qualità<br />

da Didimo già attribuita allo Sterne (che «volle insegnarci a conoscere gli altri<br />

in noi stessi»), 13 riversandola (capovolta) sul sé delle Lettere ma fuori epistolario,<br />

in <strong>una</strong> testimonianza riportata nelle pagine di Lorenzo Alderani A chi legge:<br />

«io non ho mai potuto conoscere me medesimo negli altri mortali; <strong>per</strong>ò non<br />

credo che gli altri possano mai conoscere sè medesimi in me», 14 in un processo<br />

testimoniato anche nella apposta Notizia bibliografica, 15 ciò sarà <strong>per</strong> nuovamente<br />

aprire sulla prospettiva d’<strong>una</strong> soggettività solitaria ed egotista, dominata da<br />

un eroico senso di smacco e insufficienza.<br />

Quella del rovesciamento d’altro canto sembra retorica-cardine in questa<br />

zona foscoliana, e seminalmente nel Sesto tomo dell’io: 16 nel presupposto che<br />

«un pensiero [...] rovescia tutte le riflessioni precedenti, le quali si potrebbe far<br />

a meno di leggere». Ora, l’addio al «beato paese» (<strong>per</strong> la via dell’Appennino,<br />

salutando i colli di Bologna, con il cavallo e il cane) s’interrompe subito, <strong>per</strong><br />

dar luogo alla rottura egotista più esemplare, nella definizione del sé come strumento,<br />

o forse, come partitura: «Conviene <strong>per</strong> altro ch’io mi faccia conoscere a<br />

tutti quelli che non mi conoscono. Io dunque sono uno strumento fatto <strong>per</strong> ogni<br />

10 Cfr. E. SANGUINETI Presentazione alle Lettere scritte dall’Inghilterra, Milano, Mursia,<br />

1978, p. 6: «a noi è mancato uno Stendhal [...] E se abbiamo avuto Foscolo, ci è mancata la<br />

capacità di leggerlo come un nostro Stendhal. [Le lettere scritte dall’Inghilterra] <strong>per</strong> questo<br />

Foscolo egotista, e nipotino confesso di Montaigne, <strong>per</strong> soprammercato, rimangono il documento<br />

più convincente e complesso...[...] Questo è un Foscolo che ha attraversato l’<strong>una</strong> e l’altra<br />

delle sue maschere fondamentali, e che, in sostanza, <strong>per</strong> la prima volta, tenta in pubblico<br />

l’o<strong>per</strong>azione che si trova rispecchiata in tanti fogli del suo mirabile epistolario: giocare sopra<br />

le ‘lettere d’uomo ad uomo’, a viso sco<strong>per</strong>to, senza mediazioni.»<br />

11 Cfr. J. STAROBINSKI, Stendhal pseudonimo, in L’occhio vivente, Torino, Einaudi, 1975,<br />

pp. 128-145 (trad. it. G. Guglielmi).<br />

12 Cfr. C. VARESE, op. cit., p. 20 sgg.<br />

13 U. FOSCOLO, Didimo Chierico a’ lettori salute, in Prose varie d’arte, E.N. V, ed. crit. a<br />

cura di M. Fubini, Firenze, Le Monnier, 1951, p. 39 sgg.<br />

14 U. FOSCOLO, Ultime lettere di Jacopo Ortis, E.N.vol.IV, ed. crit. a cura di G. Gambarin,<br />

Firenze, Le Monnier, 1955, p. 379.<br />

15 Ivi, p. 484: quello di Jacopo viene definito «stile d’uomo che scrive a sé unicamente e<br />

<strong>per</strong> sé; che non pensa a chi leggerà»; e che, ancora (p. 520), «lascia i lettori a sé soli». Ma<br />

nella Chioma di Berenice Foscolo aveva riservato la definizione di o makaríthß tanto a<br />

Sterne quanto a Jacopo (cfr. in Scritti letterari e politici, cit., p. 402 e p. 445).<br />

16 In U. FOSCOLO, Prose varie d’arte, cit. Le citazioni si riferiscono alle pp. 11-12.<br />

240


tuono, e appunto appunto <strong>per</strong> modulare le transazioni». Consumata, questa, nel<br />

vacillamento su di <strong>una</strong> instabilità cronica, <strong>per</strong>ennemente deviante: decentrante<br />

sì ma <strong>per</strong> nuovamente centrarsi su <strong>una</strong> soggettività mutata, minore. È lì che,<br />

consumata <strong>una</strong> digressione tutta sterniana sul suo cavallo, gareggiante di trotto<br />

con la cavalleria degli Ussari che trotta verso la Toscana, va a definirsi quella<br />

topica dell’immagine, che resterà d’ora in poi determinante:<br />

Io precedeva la cavalleria arieggiando il valore di Rinaldo, non parlando più ai colli di<br />

Bologna, i quali ad onta de’ miei saluti patetici non m’avrebbero mai dato risposta... così<br />

almeno credo.<br />

Ecco: fin da questo, seminale punto nell’es<strong>per</strong>ienza del guardare derivata<br />

dallo Sterne (porre vedute, guardare lo <strong>sguardo</strong>), il paesaggio è quello che non<br />

risponde: il registro dell’egotismo sentimental segna <strong>una</strong> frattura dalla fusionalità<br />

con l’elemento naturale — (fusionalità d’altronde che Sterne medesimo<br />

denunciava già erosa dallo splenetico Smollett-Smelfungus, di ritorno appunto<br />

dall’Italia...). Se questo accade, se il paesaggio resta lì sfocato e anche inassoggettabile<br />

a veduta, è a vantaggio di quella soggettivazione critica-incrinata, <strong>per</strong><br />

cui l’elemento naturale, grammatizzato nell’io-romanzo, finisce <strong>per</strong> riassorbirsi<br />

nell’indecidibile, nel provvisorio: «così almeno credo».<br />

Sarà infine (rileva Sanguineti) nelle Lettere scritte dall’Inghilterra che<br />

Foscolo, dopo avere attraversato «l’<strong>una</strong> e l’altra delle sue maschere fondamentali»,<br />

potrà finalmente divenire <strong>per</strong>sonaggio: ossia «occultarsi dietro la maschera<br />

indecifrabile del proprio volto, calarsi nel proprio genere vero, di sempre,<br />

recitando dinanzi ad un singolo destinatario, in un teatro privato, ma a<strong>per</strong>to a<br />

uno spettatore d’eccezione, a un lettore testimoniale, comparsa muta e ineludibile».<br />

17 È qui che lo <strong>sguardo</strong> di matrice sterniana, si rivela nella sua duplice<br />

natura, interno-esterna, autoriflessiva-attoriale, di chi guardi il sé-testo (romanzo)<br />

ma di sé ponendosi fuori, pure nell’esercizio decentrato di uno <strong>sguardo</strong> che<br />

attraverso i suoi oggetti guarda, dunque, lo stesso suo guardare.<br />

§<br />

Perché, in ogni modo narrativo di ascendenza sterniana e quindi foscoliana,<br />

ad un programmatica sottrazione di <strong>sguardo</strong> corrisponde <strong>una</strong> altrettanto programmatica<br />

tematizzazione <strong>dello</strong> stesso (e basterà, in questa sede, appena ricordare<br />

le variazioni sull’occhio come cannone, sugli occhi della signora Wadman,<br />

nel cap. XXV del Libro Ottavo del Tristram). Avanti, cioè, che la visione del<br />

17 E. SANGUINETI, op. cit., p. 7.<br />

L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

241


Tommaso Pomilio<br />

mondo naturale si sfaldasse (de-oggettivasse) <strong>per</strong> riaggregarsi rapinosa in qualità<br />

di piena fusionale epifania, 18 altri epifanici ectoplasmi si sono materializzati<br />

tutti dal lato della <strong>per</strong>cezione delle microsignificanti tracce (di sensazioni, di<br />

«sentimenti»): e nel seno <strong>dello</strong> sprigionarsi di <strong>una</strong> petite musique di piccole epifanie<br />

sentimental, vivono o<strong>per</strong>ando qualcosa come <strong>una</strong> passiva resistenza. Qui<br />

insomma, nello <strong>sguardo</strong> della sterniana resistente matrice, il pointilisme microepifanico,<br />

minimale del procedimento sentimental, parassita qualsiasi <strong>per</strong>cezione<br />

dell’esterno (ogni sua manifestazione), proponendosi invece come non-visione,<br />

visione <strong>negata</strong>, introspezione entro le pieghe di psicologie la cui natura sia<br />

essa stessa problematica: simulazione. Riduzione a quel minuscolo punto in cui<br />

la materia biologica si rappresenta nel suo teatro minimo di maschere animate,<br />

tali da protestare, nello sciamare dei loro atti mancati, <strong>una</strong> qualche forma di<br />

identità.<br />

In un’era, insomma, dominata dall’intersecarsi di visione e tecnologia, in cui<br />

le macchine ottiche e quelle illusionistiche invadono ogni spazio pubblico del<br />

loro spettacolo, in un’era in cui <strong>una</strong> tecnologia della visione si radica nella sfera<br />

soggettiva, fino ai grandi teatri magnetici mesmerici <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> e del subconscio,<br />

la prospettiva sterniana presenta, di sbieco, l’io nelle sue su<strong>per</strong>fici, ostentatamente<br />

deprivato di sfondo e insieme di profondo, ma ben saldo alla manifestazione<br />

verticale dei suoi atti mancati, errori, distorsioni ottiche, erranze. Una<br />

scrittura tutta atti mancati, che rimanda continuamente al suo livello inconscio<br />

più taciuto e im<strong>per</strong>cettibile: <strong>per</strong> manifestarsi decenni più tardi nel freudiano,<br />

sterniano impiegato Schmitz.<br />

Una definizione come questa, dal Foscolo in avanti marcherà tanto più<br />

profondamente quanto più subliminalmente l’archivio della narrativa italiana, e<br />

specialmente quella linea (quasi invisibile da noi) che si esprime nella pubblicistica<br />

di varietà. Si veda ad esempio (ed è esempio già relativamente tardo, a<br />

testimonianza della resistenza e della canonizzazione di quel grande precedente),<br />

il Viaggio dove piace a me di Emmanuele Rocco (pubblicato sul settimanale<br />

napoletano «Il Dagherrotipo» a partire dall’11 giugno 1845), dalle marche sterniane<br />

ben piantate nel testo, fino dalla definizione di qualcosa come <strong>una</strong> controtemporalità<br />

(e della corrispondenza di tempo della lettura e di tempo dell’azione).<br />

19 Qui (nel cap. I, Preparativi e partenza), se rimangono intatti tutti i presup-<br />

18 Cfr. qui il bel contributo shelleyano di L. CRISAFULLI-JONES, pp. 181-191.<br />

19 Si veda il cap. II (19 giugno 1845), intitolato significativamente Il contrattempo e un<br />

sogno (dove significativo non solo il riferimento ad <strong>una</strong> contro-temporalità, ma anche l’oscillazione<br />

fra determinato e indeterminato...): «Ma quando dunque comincia questo tuo maledetto<br />

viaggio? / Se vi è alcuno così indiscreto che osi farmi tal domanda dopo le proteste che<br />

ho fatto, sappia che essendomi io dovuto seccate ben ben nell’attendere un’ora e mezzo, ho<br />

stimato giustissimo compenso di seccare voi <strong>per</strong> altrettanto tempo». Sulla stessa testata<br />

242


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

posti del paradigma sentimental-egotista, in o<strong>per</strong>a nel foscoliano parlare (didimeo<br />

e biografico), pure il modo delle «ridicole bizzarrie», la predominanza dell’arbitrio,<br />

viene accentuata fino ad esas<strong>per</strong>are e forzare quel patto di complicità<br />

e collaborazione stabilito col lettore (che nel Tristram si esprimeva attraverso un<br />

abbassamento della posizione dell’autore su quella di un suo <strong>per</strong>sonaggio), che<br />

è timbro dell’enunciato sterniano: 20<br />

Io scrivo dunque, vel dico spiattellatamente, <strong>per</strong> non esser letto, a marcio dispetto di chi<br />

mi vorrà leggere. Ed il titolo che sta in capo a questi capitoli sconnessi e slegati vi sia <strong>una</strong><br />

pruova del conto che fo di voi: <strong>per</strong>occhè un altro scrittore <strong>per</strong> aggradirvi si sarebbe proposto<br />

di descrivere un viaggio dove a voi piace; io invece vo’ fare un viaggio dove piace a me,<br />

andando a salti, a balzi, a scavezzacollo, a rischio di rom<strong>per</strong>mi la nuca del capo senza voler<br />

che alcuno abbia compassione di me, fermandomi e correndo a mio piacimento, inforcando<br />

un lento asinello o prendendo un posto nei carri della più rapida strada ferrata; passando a<br />

nuoto il mare o varcandolo col più veloce battello a vapore.<br />

Mentre, ancora a Napoli, sull’«Omnibus» (25 maggio 1839), certe fulminanti<br />

Memorie del conte Rostoptchine, scritte in dieci minuti, e tutte capitoletti di<br />

due righe, presentano (pure nel segno della «penna di Voltaire») l’immagine di<br />

un corpo come <strong>una</strong> biblioteca («Il mio corpo è diventato <strong>una</strong> biblioteca disordinata,<br />

di cui io tengo la chiave») riproponendo quel paradigma dell’io come<br />

entità libresca, alla radice dell’humour egotista foscoliano.<br />

Ma, andando a ritroso, è appena a ridosso della versione didimea che troviamo<br />

traduzioni e riduzioni del Tristram ad esempio sul «Corriere delle Dame»<br />

del (30 marzo 1816) o sull’ «Almanacco delle Dame» <strong>dello</strong> stesso anno con <strong>una</strong><br />

postilla di un traduttore il quale entra in campo, dialogando quasi con la sua<br />

stessa traduzione: meta-sterneggiando, insomma, a propria volta. Sorprendente<br />

è invero, anche al rilievo più su<strong>per</strong>ficiale, la resistenza dell’anti-canone sterniano<br />

(anche se spesso malinteso, degradato) sulle riviste ottocentesche, specie<br />

quelle di varietà, fin dalla prima parte del secolo. 21 Assistiamo in esse al con-<br />

seguirà, scritto da un anonimo redattore a partire del 17 agosto <strong>dello</strong> stesso anno, un Viaggio<br />

dove piace a tutti.<br />

20 In «L’Omnibus» del 9 novembre 1833, V.T-Li (Torelli), La casserola. Nella villeggiatura<br />

a Portici: «Voglio dire qualche altra cosa di Portici, ma senz’ordine, senza regola, e<br />

qualche volta senza farmi capire. Se io vi scrivessi che qui, in mezzo a queste amenissime<br />

colline, tra soavissime ville innestate a città, e a fronte dell’arciprete dei monti, il VESUVIO,<br />

<strong>per</strong> compagnie, pranzi, uscite, guerra eterna con la quiete, la digestione soffre e soffre molto,<br />

voi non mi credereste» ecc.<br />

21 Un «pensiero di Sterne» aveva fatto la sua comparsa sul medesimo «Corriere delle<br />

Dame» nel 1813 (20 novembre), significativamente incentrandosi sul tema della visione,<br />

quella esterna e quella interna: «La moltitudine legge cogli occhi, e ascolta cogli occhi: pochi<br />

son quelli che scorrano un libro, o lo ascoltino leggere con l’anima. L’intuizione e la sensibilità<br />

sono i soli organi della virtù e del genio».<br />

243


Tommaso Pomilio<br />

densarsi di <strong>una</strong> sorta di sternismo naturale, di umorismo inclusivo e naturalmente<br />

digressivo, <strong>per</strong> via dell’affastellamento di aneddotica, bizzarrie, moda, invenzioni,<br />

cronache teatrali, «scherzi», recensioni alle o<strong>per</strong>ine più bizzarre (quasi<br />

pre-oulipo) del tipo di Le livre de singularité di G.B. Philomneste, o frammenti<br />

narrativi propriamente detti, spesso espressamente umoristici, o lacrimevoli<br />

nella infinita riproposta di episodi di belle figliole andate fuori di senno tipo<br />

Maria de Moulins (a partire dalla Lauretta ortisiana): o appunto, delle qualità di<br />

viaggio le più improbabili ed astruse (lo abbiamo visto). Il tutto, secondo il principio<br />

più elementare <strong>per</strong> cui un giornale di mode ha <strong>per</strong> «scopo non tanto il vero<br />

bello, quanto il nuovo, e <strong>per</strong> conseguenza qualche volta anche lo strano» e dunque<br />

qualcosa detto divertibilità («Corriere delle Dame», 2 settembre 1820); fino<br />

a promuovere (ibid. 20 marzo 1819) spiriti bizzarri che si dichiarano fervidissimi<br />

partigiani del molto reverendo Lorenzo Stern e con argomenti stringenti<br />

anziché no, contro ogni sistematicità di poetiche precostituite o di pratiche classificatorie<br />

dell’arte e in favore della più onnivora voracità dell’artista, protestano<br />

di non essere né romantici né classicisti fino a «internare la mente quasi in<br />

un labirinto metafisico»; <strong>per</strong> arrivare a disquisizioni intorno all’intitolazione<br />

(ibid. 22 settembre 1821), o addirittura a «osservazioni inedite di Didimo<br />

Chierico» su Sensibilità, osservazioni stranamente tremebonde e commosse, che<br />

assai più che le lacrime sono lì ad eccitare il riso (ibid. 13 marzo 1819). O ancora<br />

in chiave antiromantica e anticlassica, esilaranti ghiottonerie come <strong>una</strong><br />

Lettera romantica freschissima (ibid. 21 marzo 1818), in cui con rabelaisiana<br />

verve elencatoria si passano in rassegna le merci di «<strong>una</strong> bellissima bottega di<br />

Bovîs romantico», ossia: «salami rancidi, pignatte di terra, cacio guasto, orinali,<br />

amido, pesciolini carpionati, pipe, baccalà fritto, chiodi, anguilla marinata,<br />

maccheroni, aghi da cucire, stringhe, bin<strong>dello</strong>, cipria, anteca, esca, pietre focaie<br />

e zolfanelli, ec.».<br />

Ma basterebbe altrimenti scorrere i titoli degli almanacchi, che spesso e<br />

volentieri dichiarano capriole e bizzarrissime inversioni. «Senza nome e cognome»,<br />

«I gamberi crudi e cotti». Oppure, «Il mondo a rovescio. Almanacco profetico,<br />

comico, satirico, burlesco», dedicato (citiamo da quello del 1850) «Al<br />

lettore scortese», agli «apatici del bizzarro», in cui cataloghi di bizzarrie e<br />

inversioni accampano didascalismi curiosi — con un indice che annovera cose<br />

come L’uomo che piange quando deve ridere, e ride lorché dovrebbe piangere,<br />

o Un giovane che porta abiti d’estate nell’inverno, e veste panni d’inverno nell’estate,<br />

oppure Gli attori in platea e gli uditori sul palco. E soprattutto vedasi<br />

(benché irre<strong>per</strong>ibile) «Il Gambero», descritto nel «Crepuscolo» del 15 dicembre<br />

1850 come «il più ameno, il più strambo, il più malizioso, il più vispo degli<br />

almanacchi pubblicati in quest’anno, un vero emporio di spirito», ricco di addirittura<br />

di <strong>una</strong> Autobiografia d’un imbecille. Così «Il Crepuscolo»:<br />

Immaginiamoci poi un libro che <strong>per</strong> rispondere alla natura del titolo mette la conclusione al<br />

posto della prefazione, incomincia con la fine del principio, o col principio della fine, invoca<br />

244


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

l’imbecillità come ispirazione delle sue pagine, si annunzia compilato da <strong>una</strong> società d’imbecilli,<br />

e con questa maschera così spiritosa e leggiadra si <strong>per</strong>mette le più care goffaggini del mondo.<br />

Tutto un milieu fiabesco di sternismo popolare, ormai penetrato naturalmente<br />

nell’editoria umoristica delle riviste di varietà e degli almanacchi: e <strong>per</strong> restare<br />

a Milano, dal «Corriere delle Dame» fino alla pubblicistica importante del<br />

«Pungolo» e de «L’Uomo di Pietra» dei secondi anni ‘50 (e poi, dall’Unità in<br />

avanti), laboratori formidabili il cui impulso <strong>per</strong> la formazione della generazione<br />

scapigliata è ancora tutto da indagare.<br />

È singolare quanto la prospettiva sternista si leghi, nelle medesime riviste, ad<br />

un interesse <strong>per</strong> la tecnologia ottica, della visione. Così ad esempio il Diorama<br />

parigino potrà essere descritto, con tutta particolare dovizia di particolari tecnici,<br />

come illusionistico «contrasto di luce e di tenebre»: ove l’illusione viene<br />

favorita anche «dalla distanza che vi separa dalla tela», e la estrema sensibilità<br />

dell’insieme a cogliere i differenti gradi di luminosità, diminuiti o aumentati ad<br />

arte in certe «magiche transizioni»; 22 e «La combinazione [...] della luce trasparente<br />

ed opaca, aggiunta alla facoltà di poterne variare a volontà l’effetto coi<br />

differenti gradi di lume e di ombra, rende il Diorama la più <strong>per</strong>fetta scenica rappresentazione<br />

della natura».<br />

Assimilata ormai (a tre anni di distanza dalla sua prima edizione) la lezione<br />

didimea del Journey, un aforisma di «bizzarra» specie (contro la medicina),<br />

pubblicato nell’impagabile «Corriere delle Dame» (6 dicembre 1817) col titolo<br />

quanto mai sentimental di Mio primo pensiero di questa mattina, si svilup<strong>per</strong>à<br />

intorno al tema della luce: «Dopo che Iddio, appena ebbe creato il cielo e la<br />

terra, disse fiat lux, la luce fu creata: dunque chi non converrà che la luce, corpo<br />

fluido sottilissimo, entra come principio costitutivo di tutti i corpi?». Il tema<br />

22 «Il peculiare e quasi magico effetto del Diorama sorge in massima parte dell’artifizio<br />

o<strong>per</strong>ato nel mostrare il quadro al di là d’<strong>una</strong> grande a<strong>per</strong>tura, ovvero proscenio; a tal distanza<br />

che la luce il <strong>per</strong>cuota ad un angolo determinato, venendo attraverso d’un vetro dalla soffitta<br />

senza che lo spettatore possa avvedersene. Essendo <strong>per</strong> tal modo concertata la luce solamente<br />

sul quadro, ne cresce materialmente l’effetto <strong>per</strong> trovarsi lo spettatore in <strong>una</strong> oscurità comparativa,<br />

non ricevendo altra luce se non quella che vien riflessa dalla su<strong>per</strong>ficie illuminata del<br />

quadro [...] <strong>per</strong>modoché quasi prodigiosamente <strong>per</strong> evidenza può rappresentarsi il passaggio<br />

insensibile dell’alba (sic!)al giorno, da questo al sol splendente, indi alla luce nebbiosa, poi al<br />

crepuscolo, e <strong>per</strong> ultimo alle tenebre; le quali variazioni danno al Diorama un carattere di<br />

natura, e di verità, al quale ogni altro genere di dipintura indarno aggiungere potrebbe [...]<br />

Queste magiche transizioni relative alla luce ed agli effetti atmosferici si eseguono <strong>per</strong> mezzo<br />

di <strong>una</strong> su<strong>per</strong>posizione, o sottrazione di veli spiegati e di vetri chiusi o a<strong>per</strong>ti che sono nella<br />

parte su<strong>per</strong>iore della soffitta che dà passaggio alla luce». In «Poliorama pittoresco», 1° semestre<br />

1838, n. 32. Una suggestiva e ricca ricognizione delle macchine (pre-cinematografiche)<br />

della visione e delle teorie di mondi da esse suscitate, è quella di G. P. BRUNETTA, Il viaggio<br />

dell’icononauta, Venezia, Marsilio, 1997.<br />

245


Tommaso Pomilio<br />

della luce s’interseca, indistricabile e stravagante, con la straniata ottica umoristica.<br />

Angelo Brofferio, in «Il Messaggiere Torinese» del 3 aprile 1841, il pezzo<br />

sul Lotto in favore del ricovero di mendicità, col dialogo fulminante fra un lampada<br />

di latta e uno spegnitoio («Io che sfavillo, io che diffondo la luce, non<br />

debbo vedermi ai piedi uno spegnitoio, un amico delle tenebre?»). Soprattutto,<br />

Luigi Ciampolini nel suo Viaggio di tre giorni (1832), 23 nel definire l’insufficienza<br />

e discontinuità della scrittura umoristica, la quale può illuminare solo<br />

parzialmente l’oggetto, parla di <strong>una</strong> corrispondenza della sua qualità di scrittura<br />

con le tracce fosforiche: «ma la mia penna non ispande torrenti di luce... ella<br />

segna soltanto alcune traccie fosforiche, le quali appena segnate dileguansi». In<br />

<strong>una</strong> concezione opposta e più pietosa del viaggiare sentimental (côté Maria de<br />

Moulins), con <strong>una</strong> scrittura densa di shandean dash, emozionale e «serpentina»<br />

nella quale Didimo è in visita ai Sepolcri, Isabella Rossi Gabardi Brocchi («fiorentina»)<br />

si dilunga su un viaggio al Cimitero di Bologna. 24 Qui, nel «laberinto<br />

d’interminabili portici, di sale, di camere tute occupate da tombe e da lapidi», la<br />

luce trionfa e dà nuova vita alla morte, in <strong>una</strong> girandola di effetti: è «l’effetto<br />

della luce che in larghi spiazzi, o in lucide strisce, piove i suoi atomi sopra le<br />

statue, e quasi vive e muoventisi le rende secondo che essa varia di loco e cangia<br />

le ombre»; e ancora intrichi di raggi vedremo in o<strong>per</strong>a nel Viaggio sentimentale<br />

nel camposanto colerico di Napoli di Lorenzo Borsini, di cui ci occu<strong>per</strong>emo<br />

in seguito. Mentre «L’Indicatore Livornese» del 23 novembre 1829 proponeva,<br />

fra i Pensieri di Giovanni Paul, quello che presenta <strong>una</strong> metafisica (metatestuale,<br />

anche) della luce: «Iddio è luce che non veduta rende ogni cosa visibile<br />

e si nasconde sotto tutti i colori; — l’occhio ne riceve il raggio, — l’anima il<br />

colore». Tutto, insomma, in un processo che ulteriormente scompone l’ottica<br />

newtoniana, e la sua a<strong>per</strong>tura verso <strong>una</strong> nozione prismatica e irradiante di realismo.<br />

25 Ed è soprattutto, dicevo, la macchina ottica a catalizzare questo illusionismo<br />

moltiplicante della luce, che disegna dall’interno le visioni (abbandonandole,<br />

quasi, alla loro natura fantasmatica).<br />

Nelle Notti romane (1844) di Cesare Malpica grafomane napoletano, —<br />

trans-storico pastiche e parecchio kitsch in cui si succedono visioni dall’antica<br />

23 L. CIAMPOLINI, Viaggio di tre giorni, a cura di L. Toschi, Napoli, Guida, 1983.<br />

24 Con l’intento «non [di] inorridire, né [di] obliare, ma [di] commuovere e ricordare».<br />

In «L’Eridano» del 1842 (pp. 155-160). Allo <strong>sguardo</strong> degli scrittori odeporici femminili (sentimental)<br />

è soprattutto riservata, a quanto pare, questa versione melanconica o addirittura luttuosa<br />

del viaggiare, o del visitare almeno; e cfr. anche Il Cicerone malinconico di L.P. (pseudonimo<br />

di certa famosa educatrice), stampato in Milano nel 1850. Un interessante racconto di<br />

Isabella Rossi Gabardi [Brocchi] è Storia d’<strong>una</strong> donna, nella strenna «Non ti scordar di me»,<br />

del 1846.<br />

25 Cfr. E. RAIMONDI, Verso il realismo, in Il romanzo senza idillio. Saggio sui «Promessi<br />

Sposi», Torino, Einaudi, 1974, pp. 3-56.<br />

246


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Roma, antiquario capriccio irto dei più grevi fantasmi di romani antichi quasi un<br />

plagio nanerottolo da Alessandro Verri, 26 — troviamo (nell’ambito di un lungo e<br />

articolato «Prologo») l’ennesima cronaca di un viaggio in diligenza (da Napoli a<br />

Roma) insieme al solito gruppo sentimental-bizzarro.<br />

È tema d’altronde, questo della società della diligenza, già sentito dalla pubblicistica<br />

dell’epoca già come stereotipo ormai quasi improponibile, «trito e<br />

ritrito in cento romanzi». 27 Ora <strong>per</strong>ò, in queste pagine di Malpica, lo stereotipo<br />

di cui sarebbe necessario tacere, evolve a <strong>una</strong> funzione inaspettata. Siamo nella<br />

sezione del «Prologo» intitolata La lanterna magica: ci troviamo nei pressi di<br />

Gaeta: mentre tutti dormono, l’autore, naturalmente, innaturalmente, veglia:<br />

26 C. MALPICA, Le notti romane al Foro al Colosseo al Palazzo de’ Cesari e alle<br />

Catacombe, Napoli, Andrea Festa, 1844. Cfr. p. VIII: «Ma sotto di questa Roma», che è<br />

«invisibile» e «si celò nella notte de’ secoli», «v’ha un’altra Roma, più vasta, più classica, più<br />

maravigliosa, tutta santa, tutta sublime — scendete sotterra e la troverete. / Roma monumentale<br />

a fronte di questa duplice Roma quasi sparisce; la sorpresa che ti desta cede il luogo ad<br />

altri affetti — ora terribili ed ora patetici, ora di sdegno ed or di pietà». In un successivo Venti<br />

giorni in Roma, Napoli 1843, che comincia con il cap. Un articolo senza titolo, [e ancora preludio<br />

della diligenza; esteriorità di tali preludi], assistiamo alla sospensione astorica del baedeker<br />

«infiammato» (che svuota il mo<strong>dello</strong> sterniano di tutta la sua carica veramente conoscitiva):<br />

«in un libro d’impressioni — ossia in un libro che deve contener ritratti e non ragionamenti,<br />

immagini e non dissertazioni — che dev’esser l’o<strong>per</strong>a della fantasia infiammata e del<br />

cuore commosso, e non della fredda ragione» (pp. 7-8). Di Cesare Malpica vanno ricordati<br />

<strong>per</strong>ò alcuni più vivaci interventi sentimental (<strong>per</strong> quanto, d’un sentimental un po’ annacquato)<br />

sulle riviste napoletane dell’epoca; ad es. il Viaggio sentimentale al Vomero, in «Poliorama<br />

pittoresco» n.50 (1° sem.1837), nella cui irrequietudine sintattica s’installa un pittoresco<br />

autoriflessivo e imbarazzante («Oh! Quanto è cara la tarantella napolitana ballata sul Vomero<br />

nell’ora che il sole s’appressa verso il tramonto, al cospetto di coloro che son usi a plaudire a’<br />

portenti della massima scena»... oppure: «Ma non era la gioia severa e compassata de’ popoli<br />

settentrionali [...] — era il tripudio dell’immaginoso abitante del mezzogiorno d’Italia, era il<br />

piacere clamoroso espansivo sincero, eran volti capricciosi originali, fisonomie a<strong>per</strong>te eloquentissime».<br />

27 E ben lo testimonia tre anni prima dalle colonne de «Il Dagherotipo» (1° luglio 1841),<br />

rivista torinese, un racconto di tale Arm. Benvenuti (Il mio ultimo amore. Rimembranze d’un<br />

sessagenario): «Peccato che la partenza della diligenza sia un tema trito e ritrito in cento<br />

romanzi, che altrimenti ve ne farei <strong>una</strong> piccante analisi, vi dipingerei la confusione, la presa<br />

dei facchini, gli urli e le bestemmie dei postiglioni»: e il narratore decide di tacere anche delle<br />

storie strane di <strong>per</strong>sonaggi come cantanti sfiorite o mercanti di formaggi con le conseguenti<br />

avventure olfattive («quel misto indescrivibile di odori [...] che si univano, si confondevano,<br />

si amalgamavano nel modo più disaggradevole che si possa immaginare»), malgrado quella<br />

«nube fantastica» che (sollevata solo materialmente dalle zampe dei cavalli) avvolge la diligenza<br />

quasi in un’aura mitica e pesa di racconto». E ancora: «gli addio dei parenti, le raccomandazioni,<br />

le promesse di cui i due terzi non sì tosto fatte sono dimenticate, e poi le occhiate<br />

curiose che si lanciano i viaggiatori a vicenda <strong>per</strong> squadrarsi e conoscersi, poi l’egoismo<br />

con cui cercano di adagiarsi anche a scapito dei vicini».<br />

247


Tommaso Pomilio<br />

La mia mente galoppa [...] e — non curante della notte getta un mar di luce su colli e pianure,<br />

a dritta, e a manca — evoca dal mar de’ secoli, nomi e fatti, monumenti e città, uomini<br />

e cose, e me le addita a seconda che avanziamo, quelli scritti a caratteri di fuoco, queste come<br />

in pieno giorno. I vetri della carrozza son <strong>per</strong> me quelli d’<strong>una</strong> camera ottica [...] Abbasso i<br />

cristalli, e le visioni spariscono. 28<br />

La odeporica diligenza, sterniana e non, si è qui trasformata in lanterna<br />

magica, camera ottica: in cui a garantire la visione, anzi «le visioni», è solo il<br />

filtro deformante di «cristalli».<br />

§<br />

Ora, queste istanze fra l’ottico e l’umoristico il gruppo del «Conciliatore»<br />

sviluppò seminalmente, con consapevolezza più piena. In un’attitudine al pastiche<br />

che si spinge «sino a convertire in oggetto di dialogo», avverte il Raimondi,<br />

«gli stessi artifici compositivi del suo discorso», con <strong>una</strong> retorica che non certo<br />

casualmente, nella sua tensione allo «straniamento critico», giunge al paratesto.<br />

29 Traendo insomma, tutte queste istanze ottico-metadiscorsive, dalla nebulosa<br />

del provvisorio, dell’eventuale, del disorganico, in cui si presentavano nella<br />

pubblicistica dell’epoca. Così, è a partire da quel caso tanto decisivo, ed esemplare<br />

del Foscolo-romanzo indissolubile dal Foscolo-maschera (mashere) e dal<br />

Foscolo-biografia, che la sindrome égotiste viene assorbita nel mo<strong>dello</strong> sterniano.<br />

Nelle Avventure letterarie di un giorno (1816) di Pietro Borsieri, lo snodarsi<br />

del discorso odeporico/eterogeneo di marca sterniana entra a contatto con <strong>una</strong><br />

(meta)riflessione a tutto campo circa il genere romanzo e sull’attuabilità di esso<br />

nella tradizione letteraria italiana. 30 L’egotismo entra qui in gioco subito, fin dal<br />

primo capitolo, Io.<br />

È dunque primamente da sa<strong>per</strong>si che l’indole mia nativa si compone di un fondo di vanità<br />

da fare spavento, se la vanità potesse atterrire; ma che <strong>per</strong> <strong>una</strong> strana mescolanza degli elementi<br />

del mio essere, sono ad un tempo tanto ingenuo da far credere a molti ch’io pecchi<br />

d’innocenza. 31<br />

28 C. MALPICA, op. cit., pp. XXII-XXV.<br />

29 Cfr. E. RAIMONDI, La radice quadrata del romanzo, in Il romanzo senza idillio, cit., le<br />

pp. 141-144.<br />

30 U. MARIA OLIVIERI, P. Borsieri e il romanzo d’area lombarda nella prima metà<br />

dell’Ottocento, in Effetto Sterne, cit., pp. 121-143.<br />

31 P. BORSIERI, Avventure letterarie di un giorno e altri scritti editi e inediti, a cura di G.<br />

Alessandrini, prefazione di C. Muscetta, Roma, Ed. dell’Ateneo, 1967, p. 15.<br />

248


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Il massimo grado di astrazione e decantazione del sé, nelle trame di un narrare<br />

auto-decostruito può insomma coincidere con <strong>una</strong> messa in scena della<br />

(propria) vanità, subito inserita, questa, nel circuito di <strong>una</strong> finzione che pure<br />

coincide con l’innocenza... Dove sarà da notare l’ossimoricità plurima, arabescante<br />

dell’assunto conclusivo (fra l’ingenuità del simulare e il peccato d’innocenza...).<br />

Lo <strong>sguardo</strong> egotista a determinante sterniana, nella decisiva mediazione del<br />

Foscolo, si definirà sempre di più nella sua linea <strong>dello</strong> strabico guardare, onniinclusivo<br />

e lucido innaturalmente; taglio doppio di <strong>una</strong> autoreferenzialità che<br />

punta alla scissione e moltiplicazione del sé, e di <strong>una</strong> costante critica dell’esistente<br />

<strong>per</strong> forza di uno stile/<strong>sguardo</strong> aggirante e involuto. Il guardare strabico,<br />

che si devia e si nega nell’atto di definire il suo bersaglio insieme esterno e<br />

interno, eludendo la catena della referenzialità, possiede insomma la più devastante<br />

carica di metadiscorso. Perché, se lo <strong>sguardo</strong> è — lo vedremo — negato,<br />

ottuso, sensibile esclusivamente ad <strong>una</strong> (orlandiana) riemersione dell’inerte<br />

(dove l’inerte è di <strong>per</strong> sé risolto, ostentato, propugnato, senza giacere come<br />

sintomo puro), esso è <strong>sguardo</strong> (altrove) introverso, <strong>per</strong> cui lettori e narratari<br />

del libro coincidono. Così, in un Annunzo (sic!) tipografico ancora dal<br />

«Corriere delle dame» (14 marzo 1818) del Viaggio e maravigliose avventure<br />

d’un Veneziano ch’esce la prima volta dalle lagune e si reca a Padova ed a<br />

Milano, di F.*** o C***i autore dell’Antipoligrafo (ossia Francesco<br />

Contarini), s’insiste appunto su questa sovrapposizione dei due ruoli:<br />

«Venezia, Padova e Milano, ed i loro abitanti, saranno ad un tempo i lettori ed<br />

il soggetto del libro». Anche <strong>per</strong> il tramite di circuiti più esili, come questi, il<br />

guardare si ripiega sul suo guardare, definisce un guardare del guardare... È<br />

<strong>per</strong>ciò che un (anti)mo<strong>dello</strong> del genere viene saturato da serie considerevoli di<br />

mises en abîme, immagini topiche ricorrenti <strong>per</strong>lopiù in figura di strumenti<br />

ottici o di macchine della visione.<br />

Nel «Conciliatore» n. 22 del 15 novembre 1818, c’imbattiamo in un anonimo<br />

osservatore dei costumi della città di Olinam. Questo esotizzante, elementare<br />

anagramma, un po’ Lettres <strong>per</strong>sanes, sarà al centro ancora di vari pezzi, fra<br />

cui un promettentissimo progetto annunciato (sul n.32) e non realizzato de «Le<br />

memorie della mia sedia ai giardini pubblici di Olinam»; qui, il cronista della<br />

morale cittadina si dilunga sulla «moda» degli occhiali, in tale Problema sugli<br />

occhiali:<br />

È del resto <strong>una</strong> quistione un po’ più involuta se col maggior uso di questi vetri legati in oro,<br />

in argento o in tartaruga, sia pure cresciuto il numero dei grandi e de’ piccoli Dottori. Pare anzi<br />

che gli occhi dell’intelletto soggiacciano anch’essi più che mai ai comuni difetti di quelli del<br />

corpo. Vi sono de’ presbiti mentali che veggono l’im<strong>per</strong>cettibile loro merito le mille miglia lontano;<br />

e vi sono dei miopi che tenendosi sempre discosto il merito altrui non arrivano mai a<br />

vederlo <strong>per</strong> quanto sia grande. L’osservazione non è mia, ma di un filosofo amico mio, celebre<br />

<strong>per</strong> la sua sincerità, e sinceramente detestato nella gran città di OLINAM. Ho calcolato, dic’egli<br />

249


Tommaso Pomilio<br />

in un libretto d’OTTICA MORALE intitolato a certi suoi critici, che se i progressi della presunzione,<br />

sorella germana dell’ignoranza, continueranno, come pare, felicemente, moltissimi di<br />

questi presbiti e di questi miopi <strong>per</strong>deranno affatto ogni lume tra pochi anni. Allora chi avrà la<br />

disgrazia di tenersi in fronte due occhi ben grandi e ben veggenti si raccomandi al cielo ed alle<br />

sue gambe, e lasci il posto a que’ pochi fort<strong>una</strong>ti che saranno passabilmente guerci nella terra<br />

degli orbi.<br />

Ancora, insomma, un arabesco, ancora a sfondo ‘politico’, questo degli<br />

«occhi ben grandi e ben veggenti» da sentire come autentica «disgrazia». Da<br />

notare in questo fondamento di ottica «dell’intelletto» ovvero di «ottica morale»<br />

(in cui «morale» è <strong>per</strong>ò negarsi <strong>sguardo</strong>...), i rovesciamenti continui, quasi<br />

foscoliani, che sono tipici della scrittura umoristica del «Conciliatore»: fino a<br />

quella struttura <strong>per</strong>fettamente ambivalente, mai pacificata, del Battistino<br />

Barometro (dai modi <strong>per</strong>altro più voltairiani che sterniani).<br />

Quello degli occhiali, a partire dalla diffusione della sua topica letteraria da<br />

Hoffmann, è del resto riferimento assai ricorrente nella pubblicistica della prima<br />

metà del secolo, incrociandosi spesso con echi tardo barocchi. 32 Si veda ad<br />

esempio la brillante Storia degli occhiali di Angelo Brofferio (in «Il Dagherotipo»<br />

dell’11 giugno 1840), o la bizzarra descrizione de L’Occhialajo e della sua<br />

bottega di cristalli (firmata Domenico Bisazza, e pubblicata sulla rivista napoletana<br />

«La formica» il 10 dicembre 1844), ricche di singolari analogie con descrizioni<br />

più topiche, e umoristiche di norma (varietà bizzarro-elencatorio), di botteghe<br />

dell’antiquario (di cui <strong>una</strong> parecchio interessante, Il Ricoglitore d’anticaglie,<br />

nell’«Indicatore livornese» di Bini e di Guerrazzi, 23 novembre 1829).<br />

E un’evoluzione dell’immagine dell’arabesco è la figura del geroglifico, che<br />

campioniamo dall’area «Conciliatore», da Ludovico di Breme: in <strong>una</strong> inarcatura<br />

diacronica (<strong>per</strong> quanto, di marca oppositiva) che da qui ci trasporta fino al Dossi<br />

(dove il grafema verrà propugnato in sede di poetica). Nello scritto Intorno all’in-<br />

32 Nel Programma di <strong>una</strong> solenne mascherata che dovrà comparire in questa città scritto<br />

pel servizio del gravante lettore da A.B.C.D.E.F. ec. Dottore di tutti i sette dritti, dottor fisicodiuretico-mimico,<br />

professore delle più diffamate università, socio delle più ventilate accademie<br />

della parte interna dell’Africa, decorato delle più insigni insegne asinesche del regno di<br />

Candahar, Istoriografo delle Potenze dell’Archipaskak-Lober, Bibliotecario della<br />

Confederazione dei Seik, direttore del museo di anguille vive, e minerali morti del Maudey<br />

de Shuppahs, ec. ec. ec. — Sine die et consule (ma mi pare di doverlo far risalire agli anni<br />

‘30-’40), diviso in 3 parti: Nozioni preliminari, Nozioni centrali e Nozioni deretane (ricco di<br />

spunti come questo: «Art.I Origine delle maschere Se questo articolo è troppo lungo, cerco<br />

<strong>per</strong>dono agl’impazienti lettori, <strong>per</strong>ché questo articolo è la base del triangolo, che è l’o<strong>per</strong>a,<br />

<strong>per</strong>ché tutti i miei argomenti hanno tre lati, e tre angoli»), troviamo, oltre a inni carnascialeschi,<br />

un Madrigale (neo-barocco) di questo tenore: «Amor tenea gli occhiali / Non so se<br />

verdi, o azzurri, o biondi, o neri. / E negli orecchi dell’amata Clori / Pose le penne delle candide<br />

ali. / Allor trecento amori / Chi colle scarpe, e chi cogli stivali / Soavi ameni e dolci usciron<br />

fuori / Dal bel labbro di Clori, e oh maraviglia! / La figlia madre fu, la madre figlia».<br />

250


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

giustizia di alcuni giudizi letterari italiani, 33 di Breme stigmatizza infatti quei processi<br />

<strong>per</strong> «geroglifiche intarsiature di parole», <strong>per</strong> cui «la favella materiale serve [...]<br />

d’invariabile misura ai concetti»: quei geroglifici che divengono «or laccio, or aculeo,<br />

ed ora pastoia delle idee». Qui, di Breme è in cerca invece di quell’«idioma universalissimo»,<br />

che nel «geroglifico» Dossi, al capo opposto della parabola romantica,<br />

sarà decaduto definitivamente a vantaggio dell’idioletto e della comunicazione<br />

singola col lettore (che <strong>per</strong>ò, magari, assente). Ora, <strong>per</strong>ò, nel Romitorio di Sant’Ida,<br />

questo «geroglifico» verrà dichiarato la marca predominante della propria favella:<br />

Ella chiedeva colori, vita e verità, ed io le offeriva arabeschi, inezie solenni e idee puntellate;<br />

ella avrebbe voluto che le mie parole fluissero come le sue lagrime, ed invece camminavano<br />

sui trampoli, e parevano un qualche volgarizzamento inedito dal greco (p. 102)<br />

In <strong>una</strong> prospettiva che già stranamente risuona note azzurre, tutte segnate<br />

(queste ultime) dallo scacco rispetto alla (presunta) pienezza «olimpica» dei<br />

padri lombardi, ‘uccisi’ (Manzoni) o acriticamente idolatrati (Rovani). 34<br />

La parola è insomma filtro, finzione, teatro. O ancora, secondo un’immagine<br />

che risulterà di particolare pregnanza <strong>per</strong> i testi di linea sentimental: specchio<br />

che non riflette, ma moltiplica. Nel «portafoglio grande di marocchino» inviato<br />

in dono da un tale detto «Il Singolare» alla redazione (Borsieri, Il regalo, nel<br />

«Conciliatore» n. 32, del 20 dicembre 18), vi è fra le altre cose<br />

uno specchietto che rende gli oggetti con istraordinaria naturalezza. Sotto lo specchio leggesi<br />

quest’iscrizione: Il Conciliatore serbi inviolato il voto solenne di far conoscere i caratteri<br />

delle cose con quella stessa veracità colla quale questo specchio gli presenta ora il suo volto.<br />

Nella natura mediatica, di transfert, che è quella <strong>dello</strong> specchio, avvolta nelle<br />

spire della bizzarria stessa dell’assunto, dal microbazaar racchiuso nel portafoglio,<br />

vive il paradosso della «istraordinaria naturalezza» del riflesso. La «naturalezza»<br />

con cui far conoscere i «caratteri delle cose», non può dunque più essere<br />

quella naturalistica, non la cosa stessa direttamente osservata, ma invece,<br />

quella indiretta e deviata, di uno specchio, <strong>per</strong> fedele che esso sia (in Malpica,<br />

lo abbiamo visto, i «cristalli» della diligenza...). Così il paradigma dell’immagine<br />

riflessa, nell’800 romantico e fantastique, non comporterà in definitiva se<br />

non <strong>una</strong> <strong>per</strong>dita di identità: e l’immissione anzi in un circuito maniacale della<br />

scissione e della menzogna. Della fuga, da sé o dalla istituzione che si contesta<br />

e che implica cecità e deviazione.<br />

33 In Discussioni e polemiche sul romanticismo (1816-1826), a cura di E. Bellorini, Bari,<br />

Laterza, 1943, vol.I, p. 29.<br />

34 Per i temi del di Breme qui toccati, cfr. U.M. OLIVIERI, op. cit., pp. 129-135.<br />

251


Tommaso Pomilio<br />

§<br />

Le riviste di varietà fin dagli anni del «Conciliatore» appaiono fitte in verità<br />

di rubriche dai nomi come «Camera ottica», «Cosmorama», o «Specula», o<br />

«Telescopio»; e, spesso, s’intitolano appunto a questi meravigliosi strumenti. La<br />

visione come macchina stravagante, deviante medium, amplificazione e moltiplicazione<br />

strumentale del dato, il «pittoresco» come teatro ingegnoso dove<br />

simulare <strong>una</strong> serialità trasportabile di paesaggi, la specularità distorta o abnorme,<br />

comunque ingannevole manipolatoria dei marchingegni del meraviglioso, è<br />

l’ossessione che si riflette nello stesso palinsesto mobile di questa forma-rivista.<br />

Sono dunque diorami — cosmorami panorami georami camere ottiche poliorami<br />

neorami — od altri diafanorami; 35 ai «viaggi da camera», quelle varietà di<br />

diorama, che riportano De Maistre — il suo sternismo introflesso, claustrofobico<br />

— dentro la stessa macchina della visione e della simulazione; ai telescopi e<br />

cannocchiali di qualsiasi genere, ai dagherrotipi (più avanti, dai tardi anni ‘30) o<br />

addirittura breyerrotipi (macchine <strong>per</strong> copiare i disegni), a certo Microscopio<br />

solare acromatico ingigantente gli insetti, proposto da tale signor Casseri in<br />

Torino; 36 ad altre macchine le più incredibili e bizzarre, come tali Polimorfoscopj,<br />

fogli su cui sono dipinte acconciature: «nel luogo dove dovrebbe essere<br />

il viso, e che è lasciato vuoto, si adatta uno specchietto, così ogni bella, o anche<br />

non bella, può vedere qual pettinatura, o quale acconciatura meglio si confa alla<br />

sua fisonomia». 37 Dovunque, l’ossessione insomma dovunque di <strong>una</strong> specularità<br />

distorta o abnorme, come nelle topiche macchine come quelle di Archimede,<br />

soggette a <strong>una</strong> continua evocazione. 38 Ma è appena <strong>una</strong> anno prima del citato<br />

pezzo stravagante di Borsieri sul «Conciliatore», che appare ancora nel<br />

«Corriere delle dame» (17 maggio 1817) <strong>una</strong> fantastica rassegna di tale<br />

Gabinetto di cose rare in Costantinopoli: quasi <strong>una</strong> «lanterna magica» questa<br />

mostra dove si susseguono le più incredibili rarità, da un «raggio di sole gelato»,<br />

a «ratti» che sono insieme grossi topi e mitici rapimenti, all’occhio di<br />

Polifemo, alla «vera pietra del fulmine», a «un satellite di Marte non conosciuto<br />

dagli astronomi», a <strong>una</strong> «mummia viva», a «sette monadi di Leibnizio, ben<br />

chiuse in sette ampolle», a «<strong>una</strong> Mandragora che predica l’avvenire e dà sei<br />

numeri del lotto ad ogni estrazione, e tutti buoni», ecc. ecc. Ma soprattutto,<br />

35 Di «diafanorami» (quali «vedute della Svizzera illuminate a trasparente, e disposte a<br />

panorama») si parla nel «Corriere delle Dame» del 23/9/20.<br />

36 Ne parla Angelo Brofferio in «Il Messaggiere Torinese» del 31 luglio 1841.<br />

37 In «Corriere delle Dame», 16 dicembre 1820.<br />

38 Rubrichiamo soltanto, a mo’ di esempio, dal «Cosmorama pittorico. Molto <strong>per</strong> poco»<br />

n. 18, del 1835, o dal «Poliorama pittoresco» n. 15, secondo semestre 1836, articoli concernenti<br />

Lo specchio d’Archimede.<br />

252


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

specchi, che invariabilmente mutano, distorcono, rifunzionalizzano la visione,<br />

oppure oggetti in cui lo <strong>sguardo</strong> lui stesso sembra cristallizzarsi: dalla «cataratta<br />

d’un’occhio (sic!) di balena», allo «specchio ustorio di Archimede» naturalmente,<br />

fino allo «specchio metallico fatto dal celebre Atlante» che il proprietario<br />

«tiene co<strong>per</strong>to con un velo densissimo», in cui chiunque guardi «qualora non sia<br />

un uomo probo, vede la sua effigie col naso nero e quel che più importa, resta<br />

col naso nero <strong>per</strong> tutta la sua vita»: hoffmannismo precoce e vieppiù comicizzato,<br />

che prelude, nello strabismo bizzarro d’<strong>una</strong> ottica morale che ha <strong>per</strong>so le sue<br />

coordinate, a esiti come quel Dorian Gray wildiano, il risultato più conseguente<br />

di <strong>una</strong> tematizzazione come questa <strong>dello</strong> specchio o del rispecchiamento e raddoppiante<br />

e fallace, più intimamente «vero», che attraverserà appunto l’intero<br />

genere fantastique. Insomma, nella marca della visione specchiata e, proprio<br />

<strong>per</strong>ché specchiata, deviata e demolteplice, si attua quella deviazione in <strong>una</strong><br />

metafisica bizzarra, che è la grande linea su cui si porrà il Dossi del progetto del<br />

Libro delle bizzarrie, ma anche, seminalmente, il Leopardi «esemplare» e bizzarro<br />

del concettualismo «o<strong>per</strong>ettistico» e zibaldonesco.Così troviamo nel<br />

«Poliorama pittoresco» del 1836 (n.15, 2° semestre) un réportage di tale<br />

Eugenio Cerillo sul «monumento» inventato dal signor Delanglard: il Georama<br />

esistente a Parigi, ossia il globo in miniatura, sorta di géode ante-litteram in cui<br />

il globo terrestre rappresentato «nella sua intiera su<strong>per</strong>ficie» è visibile solo dall’interno<br />

della macchina, in <strong>una</strong> inversione che ne riproduce profondità e rilievi<br />

non in <strong>una</strong> convessità, ma invece in <strong>una</strong> concavità. All’interno di esso lo spettatore<br />

può entrare <strong>per</strong> via d’<strong>una</strong> a<strong>per</strong>tura praticata dal fondo dell’antartico, ed elevarsi<br />

«al livello di tutt’i paralleli», attraverso «due scale a spira concentriche»;<br />

mentre il «polo artico» è ugualmente «a<strong>per</strong>to» al fine di «produrre il necessario<br />

gioco di luce consistente in ispecchi e cristalli svariatamente congegnati» in<br />

grado di provocare <strong>una</strong> <strong>per</strong>cezione ottico-coloristica delle differenti parti del<br />

globo. L’artifizio della macchina al fine di <strong>una</strong> impressione «realistica» giunge<br />

all’affermazione della necessità di stabilire la contro-verità di <strong>una</strong> prospettiva<br />

invertita e distorta: il georama sarebbe sì «la contro-verità di un globo ordinario,<br />

dacché la su<strong>per</strong>ficie convessa della terra vi è rappresentata in <strong>una</strong> concavità»,<br />

ma solo <strong>per</strong>ché il fine è quello «mettere sotto gli occhi» <strong>dello</strong> spettatore «<strong>una</strong><br />

carta generale e senza interruzione quasi fossero i paesi in rilievo». Ma infine,<br />

«non è [...] su de’ globi», convessi appunto, «che si rappresenta la concavità de’<br />

cieli, e che si studia l’astronomia?».<br />

Così ancora, nell’«Omnibus» (13 luglio 1838) troviamo un articolo tradotto<br />

dal Mémorial Enciclopédique sulle Sfere <strong>per</strong> insegnare la geografia, ove viene<br />

notato come «i geografi <strong>per</strong> rappresentare la su<strong>per</strong>ficie curva di <strong>una</strong> porzione<br />

del globo sono obbligati spezialmente verso i bordi di alterare sensibilmente i<br />

rapporti di grandezza e di situazione delle parti fra di loro»: rimarcando dunque<br />

la necessità di esercitare distorsione, di forzare insomma la «rappresentazione»,<br />

ma questo, in funzione di maggiore «realismo».<br />

253


Tommaso Pomilio<br />

O ancora — in <strong>una</strong> prospettiva inversa ma convergente, rispetto a questa<br />

richiesta di reale da <strong>per</strong>seguire attraverso strumenti distorcenti deformanti specchianti<br />

devianti — sarà possibile rinvenire la «lanterna magica» d’<strong>una</strong> fantasmagoria<br />

di «morti che passeggiano, vivi che sembrano morti, e diavoli che <strong>per</strong><br />

fuggire lasciano dietro la coda»: questa lanterna, in un pezzo del 1842 firmato<br />

da Angelo Brofferio, 39 diverrà così il luogo dell’amplificazione di <strong>una</strong> realtà<br />

immediata eppure deforme e carnevalesca.<br />

Il motivo della visione straordinariamente naturale e pure mediata ingigantita<br />

allucinogena riflessa, ricorre in quella che forse è la ripresa sterniana più<br />

intrigante e estrema, lungo il solco che da Foscolo dovrà condurre agli scapigliati<br />

o ai pre-scapigliati alla Rajberti. Ci riferiamo a Luigi Ciampolini, autore<br />

nel 1832 di quel sorprendente (e i<strong>per</strong>-sterniano) Viaggio di tre giorni, dove gli<br />

«occhj acuti» di un narrare capriccioso quanto mai, s’inoltrano, citando (nuovamente)<br />

il Parini, fra ogni sorta di bizzarria, in un volo di micro-geni racchiusi in<br />

boccetta che si liberano e planano tra le sparse schegge di specchio.... 40 È qui il<br />

motivo dell’acutezza di uno <strong>sguardo</strong> paradossale, antirealistico, in grado di<br />

guardare nella matrice inattesa delle cose: e spingersi, in <strong>una</strong> incredibile trasvolata<br />

degna d’<strong>una</strong> <strong>per</strong>fetta sindrome Münchausen (siamo — vedremo — nei locali<br />

del manicomio di Aversa), fino al Tenerife e di lì allo Spitzberg, ridotto a un<br />

«pungiglione» appunto acutissimo: quell’arcipelago Spitzbergen nel mar<br />

Glaciale Artico, citato già (sulla scorta di Buffon) dal Pindemonte umorista di<br />

Abaritte, come la comune terra di origine dell’uomo. Il tema <strong>dello</strong> specchio<br />

spezzato, demoltiplicante <strong>una</strong> visione sempre più irricomponibile, <strong>per</strong>vade il<br />

viaggio ciampoliniano, in un labirinto di figure di rovesciamento e interruzione.<br />

Così, in un capitolo intitolato: (Parentesi), apprendiamo <strong>dello</strong> specchio «rotto in<br />

mille pezzi» della toilette d’<strong>una</strong> ignota Ortensia, introdotta casualmente da un<br />

altrettanto ignoto conversatore. 41<br />

E proprio nel testo di Ciampolini incontriamo il più clamoroso, e più ambizioso,<br />

geroglifico ottico fra tanto squadernarsi di macchine meravigliose, quelle<br />

reali o quelle «morali» del «Conciliatore». Si tratta del progetto di un<br />

«Panoptico», consegnato al narratore del Viaggio da uno scienziato folle, in<br />

quell’ospedale di Aversa già meta di escursioni a vario grado sentimental. 42 È<br />

uno strumento, questo, che «supplisce [...] a tutti gli altri istrumenti che in più e<br />

39 Grande Accademia di Lanterna Magica ne «Il Messaggiere Torinese» del 12 febbraio<br />

1842.<br />

40 L. CIAMPOLINI, op. cit., p. 87.<br />

41 Ivi, cap. XXXVIII, p. 101.<br />

42 Cfr. ad es. «Corriere delle Dame», 11 marzo 1815, Ospedale de’ Pazzi d’Aversa.<br />

Lettera prima di un Viaggiatore: con l’immancabile presenza di <strong>una</strong> Belinda, ulteriore Maria<br />

di Moulins.<br />

254


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

diversi modi ajutano la virtù visiva» 43 — svolgendo funzioni sia di microscopio<br />

che di telescopio; impiegato come microscopio, sugli oggetti trasparenti come<br />

sugli opachi, «un grano di sottilissima arena potrà comparire all’occhio non<br />

minore degl’Himmalaya [...] ed il pungiglione di un insetto presso che im<strong>per</strong>cettibile<br />

si presenterà rilevato quanto il Pico di Tenerife o di Spitzberg». Come<br />

telescopio invece, esso «ravvicinerà prodigiosamente» corpi remoti come il<br />

«disco l<strong>una</strong>re», visibile nei suoi particolari: così che «fissando l’attenzione in<br />

porti e città di quel globo, potremo tosto giudicare se siano piazze regolari o<br />

irregolari, accessibili o inaccessibili». In questo ravvicinamento e ingigantimento<br />

vige insomma un grado ulteriore di distorsione: la visione accentratasi su<br />

a polarità quali regolare/irregolare, accessibile/inaccessibile, c’introduce nel<br />

dominio ancora d’<strong>una</strong> ottica morale benché capovolta (poliziesca) rispetto ai<br />

presupposti del «Conciliatore»: il Panoptico potrà infatti penetrare la su<strong>per</strong>ficie<br />

dei mari, e addirittura le mura cittadine e domestiche, «in guisa da esattamente<br />

contare, esaminare, descrivere, giudicare di tutti i moti, gesti, contorsioni, attitudini<br />

degl’individui che si credono al co<strong>per</strong>to di ogni esplorazione nelle proprie<br />

case»; 44 oppure, aiuterà ad osservare un oggetto indirettamente: strabico <strong>sguardo</strong><br />

che consente di non «fissare in faccia» la <strong>per</strong>sona che si guarda. Mentre l’osservazione<br />

ravvicinatissiama dal corpo umano potrà far «comporre [...] sistemi più<br />

certi di Anatomia, Fisiologia, e quindi di Etica, Metafisica ec.».<br />

Non solo dunque il Panoptico («canocchiale acromicrotelodiplodiforocaloidroisomatico»)<br />

approfondirebbe la portata della visione fino all’intelligenza<br />

dell’«organizzamento del corpo umano» (dal tessuto cellulare ai minimi vasi),<br />

presentando all’occhio «i corpi viventi, come se fossero diafani o cristallizzati»<br />

quasi le sculture di circuiti sanguigni del Principe di Sansevero; soprattutto,<br />

esso consentirebbe <strong>una</strong> moltiplicazione <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> e del suo oggetto<br />

(«duplicare, triplicare, quadruplicare e <strong>per</strong>fino centuplicare gli oggetti verso i<br />

quali è diretto»): e dunque la rappresentabilità di oggetti «totalmente alterati e<br />

diversi da quello che sono in realtà». La teoria (critica, traduzione, commento)<br />

si sovrappone infine ad un ‘originale’ inesistente o scomparso: e sono le «dotte<br />

investigazioni, speculazioni, ed ingegnose ipotesi degli Orientalisti, Occidentalisti,<br />

Odeporici, Antiquarj, Traduttori, Commentatori, Critici, e Giornalisti<br />

di tutti i colori ec. ec. ec.», dove significativo il riferirsi alla dimensione<br />

odeporica quale il campo di <strong>una</strong> visione alterata. È <strong>per</strong> questo che il<br />

Panopti-co potrà infine rivelarsi simile a un «Caliscopio», qualcosa che fa<br />

43 L. CIAMPOLINI, op. cit., p. 55.<br />

44 A un anno dalla pubblicazione del Viaggio di tre giorni, nella rubrica «La Specula<br />

dell’Omnibus» («L’Omnibus», 9 novembre 1833) troviamo <strong>una</strong> Terza Osservazione, di non<br />

casuale (crediamo) sapore ciampoliniano, su di un cannocchiale in grado di osservare le<br />

scene di interni.<br />

255


Tommaso Pomilio<br />

«apparire bello all’occhio quello che in sé non è tale, e bellissime le cose brutte<br />

e deformi»; o<strong>per</strong>ando, così, un capovolgimento proprio più dei meccanismi del<br />

comico (carnevalesco, mediterraneo, pulcinellesco) che delle strategie atrabiliari<br />

<strong>dello</strong> humour.<br />

Perché anche nel procedere all’ingrandimento del dettaglio più incredibile e<br />

assurdo, lo <strong>sguardo</strong>, nella sua microscopia, è sempre lì a negare, cancellare,<br />

sovrapporsi all’oggetto. Semmai, decostruendolo, <strong>per</strong> moltiplicarne le risonanze.<br />

45<br />

In Una <strong>per</strong>egrinazione <strong>per</strong> Milano (Dal giornale di un <strong>per</strong>digiorno) del 10<br />

aprile 1841 («Corriere delle Dame») ove il sincretismo umoristico-sterniano<br />

(già costellato, nella formulazione foscoliana, dei Cervantes Parini Rabelais<br />

Montaigne...) si arricchisce della ulteriore marca Ejchendorff, l’elogio (di prammatica,<br />

dunque) dell’ozio come principio metodologico di un «<strong>per</strong>egrinare», 46<br />

dà luogo alla veduta della città in trasformazione. Questa veduta è, <strong>per</strong>ò, ostacolata:<br />

<strong>per</strong>ché «i monumenti di cui si ciarla nei crocchi, e di cui s’intrattengono i<br />

giornali <strong>per</strong> divertire i loro associati, sono invisibili, e non è nemmen certo che<br />

esistano», e la «strada ferrata» stessa con cui raggiungere Venezia (luogo <strong>per</strong><br />

antonomasia della veduta), «è ancora un embrione di pensiero»: e le altre vie<br />

ferrate sono «indisposte». La veduta insomma si nega, le vie stesse attraverso<br />

cui accedervi sono ostruite, non resta che un <strong>per</strong>egrinare cittadino frustrato dall’interminabilità<br />

del mutamento urbanistico, e addirittura dalla sua invisibilità.<br />

Ma è la topica del «genere» (che pure è genere, benché anti-genere, questo<br />

odeporico di linea sentimental) a introiettare la negazione della veduta (che mai<br />

<strong>per</strong>ò implica cecità): nel Pellico del Breve soggiorno in Milano di Battistino<br />

Barometro (che venne pubblicato nei numeri 100 e 105 del «Conciliatore», 15<br />

agosto e 2 settembre 1819), l’allontanamento da Tramezzo dopo il tragicomico<br />

abbandono dell’amata, si sviluppa tutto sulla linea di un tacere:<br />

Tacerò mille altre interessantissime chiacchiere, come sarebbe la descrizione d’un viaggio<br />

dal lago di Como a Milano, e dirò laconicamente ch’io mi trovai in questa città straniera al<br />

tramontar del giorno 22 dicembre 1818.<br />

45 La topica sentimental registra d’altra parte <strong>una</strong> assenza che è germinale (benché forzata)<br />

della parte del Journey dedicata a quell’Italia, luogo elettivo del pittoresco; tutto quello<br />

che nel testo sterniano ci resta dell’Italia, è allora quel famoso episodio milanese «inventato<br />

di sana pianta» della Marchesina F*** (cap. XXXV) basato, pare, su un pettegolezzo di<br />

Alessandro Verri.<br />

46 «Quand’uno non sa che fare della propria vita, la miglior cosa che gli rimanga <strong>per</strong><br />

ingannare il tempo è quella di camminare su e giù <strong>per</strong> le contrade, col cigarro in bocca e colle<br />

mani nelle tasche del paletot»<br />

256


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Così Carlo Varese (già autore della Fidanzata ligure), nel suo Gerolimi ossia<br />

il nano di <strong>una</strong> principessa (pubblicato in Mortara nel 1829), nel quadro di <strong>una</strong><br />

corrispondenza epistolare, fa di tutto <strong>per</strong> sottrarsi al pittoresco e al suo obbligo<br />

descrittivo: «l’aver io mentovato essere mio pensiero visitare il Lago di Como<br />

fu <strong>per</strong> me un dar nella rete colla spensieratezza d’un fringuello» (p. 68); quindi,<br />

parlando di Como, dichiarerà di «non riclamare [...] il privilegio di tutti i viaggiatori<br />

<strong>per</strong> descrivervi l’Eden della Lombardia», <strong>per</strong>ché: «troverete descritte in<br />

Paolo Giovio, in Amoretti, in Bertolotti, in Boldoni, ed in venti altri se vorrete<br />

leggerle, tutte le storiche particolarità, tutte le romantiche bellezze di questo<br />

paese» (pp. 70-71). Né il viaggiatore «stordito» sulle «fiorite rive del Lario, la<br />

imponente cascata di Nesso, le rovine del Castello di Perlasca, le bellezze dell’incantevole<br />

Pliniana, e cento altre frascherie di simile tenore» dovrà soffermarsi,<br />

«non più che se scrivesse dai deserti della Siberia»: e neppure i cibi («le<br />

saporite trote, o gli argentei agoni delizia dei lecconi Lombardi, ed anche dei<br />

più sobrii viaggiatori oltremontani») egli loderà, <strong>per</strong>ché «non li crede abbastanza<br />

importanti <strong>per</strong> farne soggetto di lunga descrizione». A questo restringimento,<br />

fino all’erasione, del descrivibile, corrisponde <strong>una</strong> riflessione sulla natura intrinsecamente<br />

visiva del testo; così, nella prefazione, l’Autore dichiara la microscopia<br />

del suo <strong>sguardo</strong>:<br />

Il mio Nano è nel fondo <strong>una</strong> goccia d’acqua impregnata di molecole saponacee. Ho tentato<br />

di gonfiarlo <strong>per</strong>chè riverberasse <strong>per</strong> un momento i sette colori del prisma: ma so che<br />

quand’anche io avessi ben riescito, la sua esistenza tiene ad un soffio, e che tutt’al più può<br />

pretendere ad interessare un qualche sfaccendato ragazzo. 47<br />

Ma ricorderemo ancora, sulla linea di quest’ottica negativa (ora magnetica),<br />

un gustosissimo aneddoto di Giovanni Rajberti, che tratta del fallimento di un<br />

Es<strong>per</strong>imento di magnetismo animale tentato nientepocodimeno che dal grande<br />

Honoré de Balzac, in Milano, «nell’estate del trent’otto», e nientepocodimeno<br />

che su di un nano, troppo ignorante <strong>per</strong> soggiacere a qualsiasi mesmerismo. Lo<br />

<strong>sguardo</strong> potentemente onnicomprensivo dell’autore della Comédie humaine ora<br />

faceva occhiacci e modacci da spiritato: disegnava, trinciava gesti colle mani: sudava e trafelava<br />

<strong>per</strong> l’intenzione dell’anima e del corpo in quel lavoro [...] stava là fisso, tutto pendente in<br />

47 Ignazio Cantù, in un saggio sulla «Rivista Europea» dedicato a Varese, coglierà appunto<br />

la natura microscopica, ingigantente, di un procedimento come questo ottico-sterniano:<br />

parlando del testo come di <strong>una</strong> «goccia d’acqua, veduta col microscopio», nel contesto stravagante<br />

di quello che egli definisce azione ritardata: «Se noi vogliamo sa<strong>per</strong>e la storia di<br />

Gerolimi bisogna che attendiamo fino alla pagina 231, e <strong>per</strong> conoscere chi fosse Emilia, bisogna<br />

che aspettiamo fino alla pagina 263, che è quanto dire a tre quarti del romanzo». In<br />

«Rivista Europea», n.11 del 1838, p. 444.<br />

257


Tommaso Pomilio<br />

avanti, e tremava e ansava <strong>per</strong> lo sforzo della volontà e dei moti tendenti ad o<strong>per</strong>are l’incantesimo,<br />

e tutto ciò senza sortire alcun effetto sul minuscolo accattone, al massimo facendolo<br />

addormentare «<strong>per</strong> essere così agiatamente seduto e senza pensieri». 48 In<br />

<strong>una</strong> valorizzazione dell’ignoranza non certo casuale <strong>per</strong> lo sternismo del<br />

Rajberti, che le intitolerà il suo Viaggio parigino (Viaggio di un ignorante).<br />

Sguardo negato è infine quello che nell’es<strong>per</strong>ienza poesca (tempestivamente)<br />

della folla il soggetto urbano (non) riceve dai passeggiatori; così nelle pagine<br />

curiose e divaganti del «Corriere delle Dame» (25 aprile 1841) in un pezzo firmato<br />

P. (Piazza?), a proposito di industriosi Passeggiatori, «tutte le <strong>per</strong>sone <strong>per</strong> le quali<br />

voi non contate un ette sopra la terra, che seguono la loro strada senza pensare che<br />

cotesta strada è pure la vostra, che vanno difilato al lor fine senza vedervi, e il cui<br />

destino par quello di fermarvi, d’import<strong>una</strong>rvi, di cacciarsi fra le vostre gambe».<br />

Ma arriviamo, nello stesso «Corriere delle Dame», al caso forse più spettacolare<br />

riguardo a questa <strong>tipologia</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> che ricopre — o della veduta<br />

<strong>negata</strong>. Su «Una pagina del libretto dell’Esposizione» (è l’esposizione di Belle<br />

Arti in Brera), reinventata da un anonimo ‘cronista’ in <strong>una</strong> bizzarra anteprima<br />

(20 aprile 1840), 49 vengono passati in scientifica, compassata rassegna o<strong>per</strong>e<br />

come: «Gran quadro rappresentante il naufragio d’un bastimento. L’autore ha<br />

scelto il momento più felice, quello in cui il mare im<strong>per</strong>versando, copre co’ suoi<br />

flutti il naviglio. Perfino il cielo è tutto co<strong>per</strong>to dalle onde. Non si può guardare<br />

questo quadro senza sentirsi un brivido <strong>per</strong> l’ossa»; un «Gran quadro che serve<br />

di contrapposto anzi di compimento al precedente. Esso presenta un cielo tutto<br />

azzurro, senza nubi, senza uccelli e senza palloni aerostatici. Il pensiero spazia<br />

all’infinito <strong>per</strong> entro a quella tela». O: «Una veduta generale d’un frammento di<br />

finestra»; o ancora, soprattutto, un «Quadro rappresentante un daguerrotipo contenente<br />

alcune vedute di Milano, pubblicate <strong>per</strong> cura di Artaria e Comp.<br />

L’artista <strong>per</strong> non abbarbagliare gli spettatori coll’azione del sole che si riflette<br />

nella camera oscura, si diè cura di coprirlo con un velo». Visioni rico<strong>per</strong>te,<br />

panorami dell’azzurro svuotante del cielo, frammenti (di finestra...) elevati a<br />

«veduta generale», vedute cittadine in dagherrotipo, riprodotte su <strong>una</strong> tela, ma<br />

quindi rico<strong>per</strong>te con un velo <strong>per</strong> evitare che lo «spettatore» del quadro venga<br />

abbagliato dal sole che altrimenti ne uscirebbe, invadendo lo spazio del pubblico...<br />

O ancora, l’attenzione all’accessorio, che si ingigantisce fino quasi a rovesciare<br />

l’immagine: «Un quadro istorico di quindici piedi quadrati rappresentante<br />

48 In «Il Messaggiere Torinese» del 27 marzo 1841.<br />

49 Ma trattasi con ogni probabilità di Carlo Tenca, collaboratore della testata a partire dal<br />

numero del 10 aprile di quello stesso 1840, che lì di seguito firmerà le cronache dell’Esposizione<br />

dei nn. 10, 15, 20, 25 e 30 maggio.<br />

258


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

quattro pareti grigie, alcuni piuoli, tre catene e <strong>una</strong> lanterna cieca, indi come<br />

accessorio, Ugolino co’ suoi figli caduti <strong>per</strong> la fame», oppure: «Il ritratto d’un<br />

cagnolino inglese a macchie bianche e nere, e in guisa d’accessorio la figura<br />

d’<strong>una</strong> dama seduta sopra un gran seggiolone di velluto». L’amplificazione, e<br />

moltiplicazione, dell’immagine, <strong>per</strong> cui «Un albero solo, il quale secondo il<br />

bisogno potrebbe esser pigliato anche <strong>per</strong> <strong>una</strong> foresta»; fino a che un particolare<br />

luministico, un lampo, ‘accende’ <strong>una</strong> catena quasi cinetica di accadimenti, <strong>per</strong><br />

arrivare addirittura al romanzone storico: «Un lampo stupendamente eseguito.<br />

Chi si fa a osservare con attenzione questa tela verrà scoprendo mano mano<br />

alcune case che crollano, molte <strong>per</strong>sone che fuggono, altre che muojono <strong>per</strong> via,<br />

e cento altre cose più o meno necessarie a compimento del quadro. Esso avrà<br />

<strong>per</strong> titolo: L’ultimo giorno di Pompei»; o all’esercizio assurdo, quasi psicotico,<br />

del dettaglio i<strong>per</strong>-reale: «Un quadro d’<strong>una</strong> bellezza e d’<strong>una</strong> grandezza maravigliosa,<br />

contenente <strong>una</strong> formica, o<strong>per</strong>a microscopica di un giovine pittore pieno<br />

di s<strong>per</strong>anze e di pazienza, il quale ha consumato nove anni di vita in questo<br />

straordinario lavoro. Le cognizioni naturali ed anatomiche sono spinte al massimo<br />

grado nella rappresentazione di quell’insetto». Tutta <strong>una</strong> estetica surrealista<br />

ante-litteram (pre-magrittiana e pre-duchampiana insieme) sortisce insomma da<br />

queste <strong>per</strong>formances visive <strong>dello</strong> humour sterniano e sincretista, sortite dalla<br />

scatola ottica dell’immaginario nelle sue inversioni e rovesciamenti. Dove la<br />

messa a fuoco del particolare (accessorio o non funzionale) vira — portando<br />

alle conseguenze estreme la prospettiva di ottica morale del «Conciliatore» —<br />

su un’amplificazione nell’abnorme e nel grottesco.<br />

Non è difficile, infatti, in questo torno di secolo, imbattersi in riflessioni<br />

sulla natura deformante e crudele imposta da questo eccesso di visione.<br />

Nell’«Omnibus», il 27 luglio 1839, in <strong>una</strong> rubrica di «Bizzarrie», troviamo un<br />

articolo Contra i cannocchiali. O le <strong>per</strong>dute illusioni, firmata B. Bermani,<br />

ambientato in luoghi di <strong>per</strong>formance sociale come la sala da ballo e il teatro, in<br />

cui <strong>una</strong> sorta di <strong>per</strong>dita d’aura è causata dall’ingrandibilità tecnica <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong>,<br />

dalla visione ravvicinante del piccolo binocolo, che restringe il libero arbitrio<br />

dell’immaginazione e «come <strong>una</strong> specie di lambicco» trasforma la visione<br />

in realtà, 50 <strong>per</strong> concludere che, «Ah! è crudele il cannocchiale! egli si getta sul<br />

50 «Ora nella sala da ballo la bellezza posta al contatto di tutti gli sguardi è analizzata e<br />

ridotta a classi, la lorgnette <strong>per</strong>seguita tutte le im<strong>per</strong>fezioni ne’ loro nascondigli e nel teatro,<br />

<strong>per</strong>sino nel teatro che ci presenta le amabili figlie d’Eva come lontane apparizioni, che non ci<br />

<strong>per</strong>mette di scorgere che i contorni d’<strong>una</strong> figura di donna, lasciando che l’immaginazione li<br />

riempia a spese del suo libero arbitrio. Nel teatro, in quest’ultimo asilo dell’illusione contemporanea,<br />

i vostri occhi s’incontrano in un gigantesco binocolo, in un cannocchiale sfacciato<br />

che vuol dirvi la verità a tutti i costi [...] Il cannocchiale prende il posto sul vostro naso, e<br />

come <strong>una</strong> specie di lambicco, fa passare quella visione attraverso i suoi vetri, e la visione<br />

diventa realtà.»<br />

259


Tommaso Pomilio<br />

palco scenico, egli prende i velluti e ne svela lo sdrucito, i veli della vergine e<br />

ne mette a nudo le macchie, l’armatura del cavaliere e ne scopre il cartone, il<br />

padiglione turco e ne numera i buchi, la spiaggia fiorita, le vaste pianure, e le<br />

converte in meschini strati di grossolani colori!». Il binocolo disaura e svela «la<br />

biacca, l’azzurro, il belletto [...] la smania d’oro e di celebrità» così come il<br />

«laido sorriso». E ancora, pochi anni più tardi in <strong>una</strong> ulteriore rubrica di<br />

«Bizzarrie» (stavolta del «Figaro») troveremo <strong>una</strong> riflessione sul potere demistificante<br />

de L’occhialetto, che svela le finzioni (nel luogo elettivo della finzione,<br />

il teatro), e tradisce l’illusione. 51<br />

Si tratta, ancora, di quel motivo già barocco (e quindi rococò, pariniano) dell’amplificazione<br />

del particolare microscopico-insignificante, che si fa spettacolo<br />

e grottesco, che troviamo variamente riattualizzato nella <strong>tipologia</strong> (diciamo)<br />

popolar-sternista delle riviste di varietà; vedasi ad esempio la rassegna di<br />

Bagatelle difficili («Corriere delle Dame», 4 febbraio 1815) dall’antico scultore<br />

Callicrate in grado di scolpire versi di Omero «sopra un grano di miglio», via<br />

via fino all’orefice di «Mulins» (spia onomastica sternianamente sicura nel<br />

rimando alla mitica Maria) «il quale avea legata <strong>una</strong> pulce viva ad <strong>una</strong> catena<br />

d’oro di cinquanta anelli, che non arrivavano a pesar tre grani»... o l’Accademia<br />

necrologica. In obitu della mosca. Orazione funebre («Il Telescopio», 30 gennaio<br />

1838), topos allo stesso grado sterniano e secentista (dove ancora determinante<br />

un motivo di visione attiva, in questa mosca: «Approfittando di tua petulante<br />

natura, ficcavi il naso ove non era ad altri <strong>per</strong>messo»)... o ancora <strong>una</strong><br />

Filosofia sur un grano di tabacco firmata da un M.G., Mariano Gallegra («Il<br />

Telescopio», 20 giugno 1837), 52 in cui questo «grano» avvolto in un foglio di<br />

giornale (l’avverso «Omnibus»), esibisce — fra nasi, mosconi, prese di tabacco,<br />

51 «Figaro. Giornale di Letteratura, Belle Arti, Critica, Varietà e Teatri», sabato, 29 luglio<br />

1843, p. 239-240: «Ma l’amico mio ganimede non trova egli tutto così bello. Il suo occhialetto<br />

gli avvicina ad <strong>una</strong> ad <strong>una</strong> quelle parti di <strong>una</strong> mostra voluttuosa, ove la decenza lasciò<br />

qualche cosa alla seduzione: ed ahimè! quella magica lente gli appalca dove le rose levantine<br />

in cambio delle nostrali, dove il minerale alabastro in vece dell’animale, dove le chiome portate<br />

dal sen della madre sostituite dalle ricche improvvisate da quel bravo parrucchiere, dove<br />

il frutto di tutto lo studio del valente dentista, dove le arti della dotta e segreta sarta... Oh! il<br />

mal mezzo di quell’occhialetto! Quegli addobbi, quelle decorazioni erano consultati allo<br />

speccio <strong>per</strong> la illusione della vista naturale... fu dunque tradimento».<br />

52 Quello della presa di tabacco è un vero e proprio topos nella pubblicistica ottocentesca,<br />

fino alla scapigliata. Vedasi solo, all’inizio della nostra parabola, «Il Corriere delle Dame» 19<br />

marzo 1814: SCHERZO All’amico C. <strong>per</strong> nuovo dono di tabacco («Raccontarti <strong>una</strong> disgrazia<br />

/ Deggio, un caso inopinato. / Mano ladra mi ha la scatola, / Di nascosto saccheggiato»); sulla<br />

tabacchiera, la Favola in versi La scatola d’oro e il tabacco, 7 gennaio 1815. O più avanti,<br />

sulla medesima testata (10 dicembre 1841), il pezzo di A. Piazza: Chi annasa tabacco e non<br />

ha scatola (sugli scrocconi di tabacco).<br />

260


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

e ricicli di carta stampata ad usi imprevisti e strani... 53 — le più chiare marche<br />

sterniane, deviate appena su <strong>una</strong> satira più diretta. Più obliquo invece, nell’osservazione<br />

del Microscopio solare acromatico del signor Casseri, è Angelo<br />

Brofferio («Messaggiere Torinese» 31 luglio 1837), dove ancora gli insetti più<br />

minuscoli («le pulci, le cimici, i pidocchi ed altri eroi della stessa specie»)<br />

sarebbero ingigantiti di circa «dieci milioni di volte» rispetto alla loro reale<br />

dimensione: così che nel pidocchio «voi vedete un gigante, e questo gigante lo<br />

vedete dibattersi, agitarsi, provocare il cielo coi pugni come un Titano», e lo<br />

scarafaggio vi appare come «un animale vestito d’oro e di porpora», la cui ala<br />

«farebbe invidia al diaspro del pavone». Eppure «ciò che più colpisce di maraviglia»,<br />

è <strong>una</strong> goccia d’acqua e addirittura <strong>una</strong> briciola di formaggio, fino a evocare<br />

nell’autore in vena di neo-barocca erudizione «i famosi versi della sepolta<br />

Formaggeide». 54<br />

Deformazione grottesca (tramite uno strumento ottico stavolta non funzionale,<br />

cieco, puro orpello) è in o<strong>per</strong>a in un bizzarrissimo Necrologio («Il Telescopio»,<br />

20 maggio 1837), da Ferdinando Rocco dedicato a <strong>una</strong> tale menagrama di<br />

nome Costanza, fatale (pre-tarchettianamente...) <strong>per</strong> i suoi amanti misteriosamente<br />

numerosi, e da da un «poeta» amata nonostante attributi non invitanti del<br />

tutto (sdentata e «zopparella» nonché — come si rivela solo alla fine — guercia;<br />

che si dichiara venticinquenne avendo quarant’anni suonati). In questo piccolo<br />

pezzo sterniano anziché no, chiave necro-umoristica da tardo barocco napoletano,<br />

il poeta, infuriato <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>per</strong>dita al gioco del lotto attribuita all’occhio<br />

secco di lei, la abbandona con versi come «Ah infedel troppo ho già rosico; / Io<br />

non voglio morir tisico», provocando la di lei repentina e misteriosa morte.<br />

Quindi, pentito, imprime un bacio sul viso della morta, che ha un occhio ancora<br />

a<strong>per</strong>to: ma soltanto adesso scoprirà la sua natura di cristallo...<br />

Ancora nella <strong>tipologia</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> negato, a ridosso della chiusura del<br />

«Conciliatore» («Corriere delle Dame», 15 settembre 1821), troviamo, fra certi<br />

Progetti assurdi: «Chi legge i buoni scrittori unicamente <strong>per</strong> ripescarvi dei modi,<br />

sia costretto a portar sempre gli occhiali, tuttoché abbia buonissima vista, ed a<br />

53 TRISTRAM SHANDY, IV, 26; Viaggio sentimentale, XIII, n. 3. Ma C. Varese (op. cit.,<br />

p. 26) nota come nel Ragguaglio d’un’ad<strong>una</strong>nza dell’Accademia de’ Pitagorici ricordo sterniano<br />

sia anche «l’uso umoristico della Gazzetta che, come nei sermoni di Yorick, viene ado<strong>per</strong>ata<br />

agli usi della vita quotidiana, o <strong>per</strong> ravvolgere il manico di <strong>una</strong> caffettiera, o <strong>per</strong> accendere<br />

le lanterne degli accademici che andavano a casa».<br />

54 «In <strong>una</strong> goccia d’acqua, in un atomo di polvere di formaggio della grossezza della<br />

testa di <strong>una</strong> spilla, voi vedete migliaia e migliaia e migliaia di orridi serpenti e di mostruosi<br />

animali da due, da quattro, da sei, da otto gambe, capaci di mettere spavento al cavallo<br />

Trojano. E questi rettili e questi quadrupedi voi li vedete con <strong>una</strong> rapidità quasi incredibile<br />

nascere e morire, accoppiarsi e spegnersi, assalirsi e divorarsi».<br />

261


Tommaso Pomilio<br />

leggere sempre tenendo il libro a rovescio»; e ancora, in un cortocircuito fra<br />

macchina ottica e traduzione: «chi traduce libri di materie a lui ignote sia obbligato<br />

a scrivere la sua traduzione in <strong>una</strong> camera oscura».<br />

Dalle stesse colonne, vent’anni più tardi (5 settembre 1841), cristalli di lorgnette<br />

verranno evocati in un’anamorfica visione del Carnevale della terra, che<br />

«si ritira, non si sa dove», trascinata dalla vertigine delle stranezze umane, 55<br />

mentre appunto «il paese ricade sopra di sé, come i cristalli d’<strong>una</strong> lorgnette che<br />

si chiude, le soffitte discendono a primo piano e il pian terreno giace sepolto a<br />

dieci metri sotto il livello delle cantine». Una visione ugualmente cosmogonica e<br />

«cosmicomica» — la cui matrice parrebbe più il Leopardi o<strong>per</strong>ettista, — <strong>per</strong> <strong>una</strong><br />

<strong>tipologia</strong> collaterale <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> oscurato, la vedevamo in o<strong>per</strong>a in <strong>una</strong> bizzarria<br />

antecedente di un anno (25 giugno 1840), dalle stesse colonne e forse dalla<br />

stessa mano (un T. probabilmente Carlo Tenca, collaboratore del giornale giusto<br />

da quell’anno), che se la prende con un certo generalismo penetrato con l’idea di<br />

progresso, o del luogo comune della Notte dei tempi a cui tutto dovrebbe farsi<br />

risalire, «fatto singolare e meraviglioso che in <strong>una</strong> età tutta luce e splendore esista,<br />

anzi abbia avuto origine, la notte dei tempi» (se «i nostri avi di buona memoria,<br />

non avevano mai spinto lo <strong>sguardo</strong> in queste tenebre visibili dell’umana<br />

ragione»). Con l’incombere del Progresso il Tempo è divenuto «abisso impenetrabile,<br />

immenso come il vuoto, oscuro come il nulla», che «inghiotte ogni cosa e<br />

non restituisce mai»: eppure, «lo spirito umano non trattiensi sulla via del progresso;<br />

tra breve avverrà che la notte dei tempi tutto abbracci, ed essa pure si<br />

<strong>per</strong>da nella notte dei tempi: allora il tempo non sarà che <strong>una</strong> notte senza sera e<br />

senza aurora, e il mondo toccherà l’apogeo della luce».<br />

§<br />

Contigua a questa retorica <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> negato, ma di più chiaro stampo<br />

illuminista, è la <strong>tipologia</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong> spostato, deviato, «candido» o «esotico»,<br />

sviluppata in area «Conciliatore» diciamo fra il Pellico nei panni di<br />

Battistino Barometro e il Confalonieri in quelli di un abitante della l<strong>una</strong>. Ma è la<br />

<strong>tipologia</strong> pure espressa, in <strong>una</strong> chiave decisamente più positiva e nuova, dal<br />

Borsieri delle Avventure letterarie di un giorno, che riflette sulla possibilità di<br />

conoscere l’Italia solo attraverso uno <strong>sguardo</strong> alieno e intenso, in grado di attraversare<br />

con occhi nuovi <strong>una</strong> terra così appesantita e consunta dal suo stesso<br />

55 «D’altra parte la terra, senz’essere <strong>per</strong> nulla provocata, approfitta dell’ora in cui gli<br />

uomini, seduti a tavolino, giuocano a tarocco, discutendo gravemente della strada ferrata, e<br />

d’un tratto si ritira, non si sa dove. I fondamenti si squagliano, le case barcollano, la città<br />

trema, e la terra, che trova la cosa singolare, si ritira più in là».<br />

262


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

mito: «anche dopo lette le nostre storie bisogna leggere Corinna <strong>per</strong> imparare a<br />

conoscere l’Italia». 56<br />

È questa dunque l’ottica morale, che risiede in uno <strong>sguardo</strong> che è deviato<br />

ma, <strong>per</strong> questo, tanto più a fuoco. La deviazione <strong>per</strong>lopiù equivale a un dislocamento<br />

su focalizzazioni esterne, estranee, rispetto a quel centro diegetico e ironico<br />

dove il soggetto dell’enunciazione romantica o<strong>per</strong>ava, anche autoriflessivamente,<br />

visione. Molto viva infatti la <strong>per</strong>sistenza, in area «Conciliatore», del<br />

mo<strong>dello</strong> conte philosophique, che s’incrocia con tracce di humour sterniano<br />

mediate da Didimo (esplicitamente in Borsieri), mentre il geroglifico dell’arabesco<br />

può emergere — lo abbiamo visto nel Romitorio del di Breme — dall’idillico-lacrimevole<br />

in qualità di colpa, o di scacco. Questo modo narrativo, ove la<br />

svagata sinuosità <strong>dello</strong> Sterne sarà rilanciata dallo sternismo del più «politico»<br />

Heine (ma questi sincretismi sono autorizzati dallo stesso Foscolo-Didimo, evocante<br />

come abbiamo visto <strong>una</strong> genealogia <strong>dello</strong> humour digressivo-irregolare<br />

che parte addirittura da Montaigne...), <strong>per</strong>sisterà nella pubblicistica risorgimentale<br />

fino al Nievo umorista e pre-scapigliato dei pezzi stravaganti e <strong>per</strong>lopiù<br />

pseudonimi in rivista, soprattutto Il Barone di Nicastro (nei quali decisivo<br />

appunto l’elemento heiniano). 57 Né sarà priva di suggestioni barocche o rococò,<br />

quale un certo gusto dell’immagine allegorica, o addirittura della prosopopea,<br />

ad esempio nel Borsieri del già citato Il regalo («Il Conciliatore» n. 32), in cui<br />

sono presentati, come in uno spettacolo ulteriore di lanterna magica, «otto o<br />

nove disegni allegorici, che chiameremmo volentieri Caricature»: quello<br />

soprattutto, in cui in un intreccio di castelli, torrioni, bandiere con su scritto<br />

«PATRIA, PERFETTIBILITA’, INCIVILIMENTO», ciasc<strong>una</strong> delle quali «confidata<br />

ad <strong>una</strong> statua colossale di bronzo, quella di Dante all’est, di Petrarca al<br />

sud, di Shakespear al nord, e dell’Ariosto all’ovest», e ai piedi del monte un<br />

esercito di pigmei nella palude, dèi che sono «simulacri di cartone», si raffigura<br />

«IL ROMANTICISMO ASSEDIATO DAI CLASSICISTI».<br />

Nella Relazione d’un viaggio di Luigi Pecchio (firmatosi come «Cristoforo<br />

Colombo II» sul «Conciliatore» n. 12 dell’11 ottobre 1818), è in o<strong>per</strong>a quella<br />

forma di rovesciamento del mo<strong>dello</strong> Lettres Persanes, in <strong>una</strong> critica del Grand<br />

Tour dove l’esotico luogo del viaggio è ancora Olinam, Milano, città abitata da<br />

esseri «simili ai gufi, [che] odiano la luce»; 58 così ancora, nel Viaggio d’un abi-<br />

56 P. BORSIERI, op. cit., p. 88.<br />

57 Cfr., <strong>per</strong> la ricezione di Heine in Italia, il classico studio di C. BONARDI, Enrico Heine<br />

nella letteratura italiana avanti la «rivelazione» di T. Massarani, Livorno, Giusti, 1907.<br />

58 «Giungo da <strong>una</strong> regione, distante otto leghe da <strong>una</strong> delle più popolose città dell’Asia.<br />

[...] Questi paesi sono continuamente visitati da <strong>per</strong>sone istruite, da filosofi ec., senza che<br />

un’ombra di buon senso ne derivi agl’indigeni. Questi, simili ai gufi, odiano la luce <strong>per</strong> essi<br />

insopportabile; si lagnano della loro schiavitù e minacciano quelli che minacciano di dar loro<br />

libertà [...] V’ha <strong>per</strong>ò un antidoto. Quelle <strong>per</strong>sone che desiderassero di respirare l’aria sana di<br />

263


Tommaso Pomilio<br />

tante della l<strong>una</strong> sul globo terrestre di Federico Confalonieri (il cap. I sul<br />

«Conciliatore» n. 27, del 3 dicembre 1818), l’extraterrestre Fric-frac si ritrova<br />

solo in <strong>una</strong> «città subl<strong>una</strong>re» («ignaro degli usi, e senza amici <strong>per</strong> farseli») sul<br />

corso di porta Palmira, a mangiare «datteri ed albicocche esposte in vendita»,<br />

senza sa<strong>per</strong>e di dover pagare.<br />

Più articolato, Borsieri, nel n. 36 di 3 gennaio 1819, propone (con lo pseudomino<br />

di «Perez Gil») <strong>una</strong> parabola al limite — <strong>per</strong> dirla con Muñiz-Muñiz —<br />

dell’ «immagine riflessa»: 59 nella prima delle Lettere di un Giovane Spagnuolo<br />

intorno ad un suo viaggio <strong>per</strong> Salamanca ed agli studj di quella università, la<br />

polemica anticlassicista antipedantesca si diparte da <strong>una</strong> esplicita ripresa di<br />

modi sterniani, nel topos duplice del viaggio in calesse e di <strong>una</strong> metariflessione<br />

sulla temporalità nella sua relazione con le miserie della condizione umana; <strong>per</strong>ché<br />

la «lentezza» di un calesse trainato dalle mule può essere qualcosa di<br />

«molto filosofico. In quattordici ore del primo giorno di viaggio il bravo<br />

Calessero mi ha fatto fare niente meno che quattro leghe; ed io ho avuto tutto<br />

l’agio di comporre a memoria un mezzo volume di considerazioni sulla brevità<br />

della vita, e sul buon uso del tempo». La galleria del pedantesco dei «Professori<br />

dell’Università» di questa atopica, distopica Salamanca milanese è polverosa,<br />

quasi mostruosa: dal «signor D. Rogero de Rada, professore di metafisica» che<br />

sconsiglia la lettura di francesi e inglesi, analitici e pestilenziali, se la prende<br />

con la gioventù che «non vuol più cedere all’autorità e dimanda il <strong>per</strong>ché d’ogni<br />

cosa» e la invita piuttosto a lasciar <strong>per</strong>dere «i particolari» <strong>per</strong> dedicarsi alla<br />

«meditazione negli universali»; all’ «abate D. Alonzo d’Olivares professore di<br />

letteratura e di storia», che dimostra «tale amore fraterno» <strong>per</strong> le accademie<br />

d’Italia, da «fondare qui in Salamanca <strong>una</strong> colonia di pastori Arcadi», e aborrendo<br />

ogni cosa viva, «cita sempre e non ragiona mai»: al punto che (precisa<br />

nella lettera successiva) «<strong>per</strong> divenire un bravo allievo [...] dovrei disimparare<br />

quel pochissimo che io so, ed imparare tutto ciò che non importa di sa<strong>per</strong>e». 60<br />

que’ paesi, e non curandosi di conoscere i veri costumi degli abitanti, si contentassero delle<br />

sole su<strong>per</strong>ficiali apparenze, non hanno che a formare <strong>una</strong> carovana di <strong>per</strong>sone amabili e gentili,<br />

munirsi di <strong>una</strong> borsa piena d’oro, di dotti cuochi, di carrorre, cavalli da sella, ec. ec. Sono<br />

certo che queste <strong>per</strong>sone troveranno forse gli abitanti diversi assai da quel che li ho dipinti, e<br />

ch’essi partiranno di lì, contenti della loro compiacenza e mansuetudine. Sappiano <strong>per</strong> altro<br />

che di tale compiacenza e mansuetudine dovranno render grazia alle loro borse ed ai loro<br />

cuochi.»<br />

59 Cfr. il suo contributo in questo libro, dove la direzione del riflesso era <strong>per</strong>ò inversa<br />

(dalla Spagna all’Italia) rispetto a questa arabescante (dall’Italia all’Italia, con la Spagna<br />

come metafora).<br />

60 Nella lettera II, nel n.37 del 7 gennaio 1819: «Addio a quella metafisica che vuole<br />

oscurare anziché rinvenire l’essenza delle cose; addio a quella giurisprudenza che non ha<br />

principj; addio a quella letteratura che pare <strong>una</strong> giurisprudenza ancor essa, tanto è piena di<br />

264


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Fino a L’arte di far libri coi libri di Luigi Pecchio (n. 18, 1° novembre<br />

1818), dove la retorica della deviazione si applica sulla sfera odeporica in un<br />

modo assai particolare: se molti sono i «modi di viaggiare», il narrante ci comunica<br />

che ormai da un mese «viaggia a piccoli passi con <strong>una</strong> scala in mano», su è<br />

giù <strong>per</strong> gli scaffali della biblioteca ambrosiana, <strong>per</strong> scrivere libri senza rischio:<br />

Il segreto consiste nel comporre libri con libri. Voi non avete nulla a temere da questo<br />

mestiere. Voi non siete responsabili di nulla. Gli altri parlano <strong>per</strong> voi; voi non avete che a<br />

cucire insieme le loro idee come fanno i garzoni de’ sarti coi pezzi di panno già tagliati. [...]<br />

Lanciate il vostro libro nel mondo e tenetevi costantemente nascosto nella mia biblioteca.<br />

Del suo Battistino Barometro, pubblicato (si è detto) sul «Conciliatore» e poi<br />

lasciato incompiuto, Pellico scriveva, in <strong>una</strong> lettera al fratello Luigi del 28 febbraio<br />

1818 e cioè antecedente più di un anno la pubblicazione in rivista: «È il<br />

racconto delle cose osservate in Milano nel breve soggiorno che ivi fece nell’anno<br />

scorso un Provinciale, venuto nella Capitale <strong>per</strong> istabilirvisi, ma indotto a<br />

ritornare nel suo paese dalla incompatibilità de’ suoi costumi semplici con quelli<br />

artifiziati d’<strong>una</strong> gran città» 61 . La scelta è anche qui, dunque, di uno <strong>sguardo</strong> strabico<br />

sulla città «propria», in cui lo straniamento non si deve al dislocamento<br />

esotico-onomastico di «Olinam», bensì dalla prospettiva idillica-antiidillica di<br />

Tramezzo. Il villaggio sul lago di Como è la «patria» in cui il padre di<br />

Battistino, rientrato da Philadelphia dopo avervi accumulato <strong>una</strong> discreta fort<strong>una</strong><br />

con un’attività commerciale, e ormai cibato di «molteplicità d’idee», non<br />

trova cosa «da scellerato» il confessare di annojarsi, né più appagarsi «di chiacchiere<br />

casalinghe e di cortigianerie di villaggio». 62 E da cui decide di partire con<br />

tutta la famiglia, trasferendosi, appunto, a Milano.<br />

leggi, di consuetudini e di autorità. [...] Per divenire un bravo allievo di questi Professori<br />

[dell’Università di Salamanca], dovrei disimparare quel pochissimo che io so, ed imparare<br />

tutto ciò che non importa di sa<strong>per</strong>e, dovrei adottare le loro anticaglie, e vestirmi ancor io la<br />

toga e il berretto del pedante». La critica della petulanza è al centro anche della divagazione<br />

Del criterio ne’ discorsi di Berchet («Il Conciliatore» n. 4, del 13 settembre 1818), conversazione<br />

(di specie semiseria) con un «Mylord P...», dove un vago, esteriore sternismo è funzionale<br />

ad <strong>una</strong> garbata critica di costume rivolta contro le ambizioni intellettuali, petulanti e strafalcionesche<br />

anziché no («a very nonsensical petulancy»), prive di «criterio», che ravvisa nel<br />

bel sesso milanese (e incidentalmente del bon ton, «spirito universale» e uniformante, di<br />

quelle parigine): «Le combinazioni intellettuali dell’<strong>una</strong> non sono mai quelle dell’altra; e la<br />

espressione di tali combinazioni non ha mai <strong>per</strong> norma un tipo universale. In ogni palchetto<br />

del teatro trovi modificazioni diverse d’idee, e con esse un frasario particolare»: benché<br />

distinta dal conformismo parigino del bon ton, la moltiplicazione (sterniana e bachtiniana) di<br />

punti di vista e prospettive non sprigiona alc<strong>una</strong> energia positiva, è solo ridicola petulancy.<br />

61 Cfr. l’ed. a cura di M. Ricciardi, Napoli, Guida, 1983.<br />

62 «Colpa di lei [la patria] se il galantuomo non vi trova quella moltiplicità d’idee e quella<br />

piacevolezza di costumi che gli han reso care altre contrade. L’avermi imprestato il primo<br />

265


Tommaso Pomilio<br />

Luigia, l’amata tramezzina di Battistino, ha <strong>per</strong> suo conto i segni addirittura<br />

d’<strong>una</strong> certa (ambivalente, anche positiva) «idiozia»: 63 di fronte alla reazione<br />

molto «romanzesca» di lei alla notizia della partenza <strong>per</strong> Milano, che (dopo<br />

avergli rinfacciato di avere «il più abietto dei cuori, <strong>per</strong>ché «riempito di boria»<br />

dalla ricchezza paterna), dirà: «Ma la povera Luigia sarà vendicata: [...] io non<br />

potrò più essere tua; mi possederà un odioso marito — ovvero la tomba!» — di<br />

fronte a <strong>una</strong> reazione come questa, Battistino non potrà che manifestare la sua<br />

inadeguatezza al «romanzesco», che lo <strong>sguardo</strong> umoristico ha già, preventivamente<br />

(come sarà <strong>per</strong> il Dossi della Vita), decostruito:<br />

Che cosa avrebbe fatto un uomo bene educato, cioè che avesse letto romanzi? Non v’era<br />

un momento da esitare. Precipitarsi ai piedi di Luigia, a costo d’esser bastonato dal dottore<br />

Abbondio [= padre di lei], piangere, dimandar <strong>per</strong>dono e giurare <strong>per</strong> tutti i santi di volerla<br />

sposare, non fra dieci anni, ma anche sul momento, a dispetto di tutti i padri e di tutte le<br />

madri del genere umano.[...] Me infelice! io non aveva letto romanzi! — Restai muto, balordo,<br />

tremante, senza minacciare di ammazzarmi... e nondimeno desiderando in silenzio di<br />

morire.<br />

A Milano, al termine dell’incontro con due banchieri rapaci e sull’orlo del<br />

fallimento, l’idillio lacustre e amoroso ritorna, nel ricordo del primo incontro<br />

con Luigia, in <strong>una</strong> dialettica sottile in cui i due termini, antiidillio e ritorno all’idillio,<br />

si compenetrano in formazioni di compromesso sentimental anziché no, 64<br />

il protagonista sentirà il gelo ferale degli sfarzosi interni cittadini («Il salone di<br />

casa Ottoni era dunque principesco — ma freddo come <strong>una</strong> ghiacciaja.<br />

filo d’aria quando son venuto al mondo, è stato certamente un gran benefizio che m’hanno<br />

conceduto queste valli, giacché se fossi rimasto soffocato allora, non avrei oggi la soddisfazione<br />

di possedere <strong>una</strong> moglie, un figlio, e due milioni di lire italiane; ma eccetto l’aria <strong>per</strong><br />

respirare, che altro m’ebbi io da questa Tramezzina? [...] Questa mancanza di mezzi <strong>per</strong> soddisfare<br />

ai bisogni ed all’ambizione fa che escono dalle nostre valli tante teste sublimi, mentre<br />

le imbecilli vi rimangono; e il numero delle ultime essendo ragguardevole, imprimono esse<br />

all’intera società il loro spirito d’ineleganza, d’insipido cicaleccio, e di pusillanime rispetto<br />

alle false opinioni eredate».<br />

63 A lei dedicherà «varj madrigali e canzoni in cui sempre Titiro sospirava <strong>per</strong> Amarilli»,<br />

suscitando reazioni <strong>per</strong>plesse anziché no: «Ella mi ringraziava dei versi, ma mi pregava di<br />

tradurli in prosa e non si vergognava di dirmi che la traduzione le toccava il cuore più del<br />

testo». Da notare l’ambiguità, irrisolta, doppiamente critica, di <strong>una</strong> formulazione come questa,<br />

fra devalorizzazione di un classicismo necrotico e di maniera, e falsa comicizzazione<br />

della parola «semplice» dell’amata di paese.<br />

64 «Oh riva Trammezzina! paese d’amore, paese d’incancellabili rimembranze, culla d’un<br />

ingegno creato d’elementi terrestri, ma d’animo su<strong>per</strong>iore all’umano! Benedetti i passi che<br />

calcano le tue arene e i tuoi fiori! Benedetti i cuori che vi palpitano di reciproco<br />

affetto!...Benedetti i figlj i di cui padri non hanno portato dall’America due milioni di lire italiane».<br />

266


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Splendeva e nulla affatto riscaldava un solo camino»), dove anche la conversazione<br />

langue. E se che Battistino chiede «a un forestiero» il <strong>per</strong>ché di tale<br />

«generale ritenutezza», così diversa dalla cordialità tramezzina, tutta « risate<br />

sonore», gli viene risposto che il motivo è la mancanza di <strong>una</strong> «sufficiente<br />

uniformità d’opinioni» e dunque il «timore di dir cosa che venga male interpretata»:<br />

destino <strong>per</strong> cui è preferibile «fare la figura dell’imbecille, anziché aprire<br />

schiettamente l’animo» proprio.<br />

Questa dialettica non conduce <strong>per</strong>ò, come nel Pecchio dell’Arte di far libri<br />

coi libri, alla ritrazione nel guscio di un canone bibliotecario, quanto al ritorno<br />

ad un idillio che <strong>per</strong>ò (e fin dall’inizio) è impossibile: «Non val la pena (pensai<br />

io) di fabbricare <strong>una</strong> città così grande <strong>per</strong> vivervi più insocievolmente che nelle<br />

nostre piccole borgate».<br />

Eppure, altrove, fra gli scritti del gruppo del «Conciliatore», il registro sentimental<br />

vira su di un’altra estetica pure settecentesca e anglosassone, quella preromantica<br />

(dallo Shaftesbury o dal Burke) del Sublime (di cui tracce erano<br />

riscontrabili — oltre ovviamente che nell’Ortis — già nello sternismo del Sesto<br />

tomo dell’io) 65 C’eravamo già imbattuti nel di Breme del Romitorio; ora, nel n.<br />

51 del 25 febbraio 1819, troviamo (firmati X.Y.), <strong>una</strong> Lettera di un viaggiatore<br />

scritta dal Sempione ad un suo amico milanese, dove alla determinante sterniana<br />

si sovrappone un gusto dell’orrido che ormai è claustrofobico, sublime conflittualmente<br />

se addizionato di «noja insoffribile», o di quel medesimo senso di<br />

vuoto e di angoscia, e di soffocamento anche, che investe Corinne affacciata sul<br />

Vulcano. È dunque — in analogia con le anti-idilliche divagazioni del padre di<br />

Battistino — solo «un funesto accidente» quello che condanna («e chi sa fin<br />

quando») il narrante odeporico che viaggia in compagnia d’un inglese, a<br />

«starsene in quest’orrido sito [...] chiuso ermeticamente fra queste altissime<br />

rupi, ove parmi che mi debba mancare il respiro».<br />

§<br />

Perché infine, la claustrofobia è la dominante vera dell’umorismo, fra sterniano<br />

e voltairiano, in o<strong>per</strong>a nel «Conciliatore». Così l’opzione così peculiarmente<br />

sentimental e dimostrativa (philosophe), con tutta la sua deviante e<br />

inclassificabile retorica anticlimax (seminalmente, è l’episodio del cavallo nel<br />

65 U. FOSCOLO, Sesto tomo dell’io, cit., p. 24: «Mi son trovato rinchiuso fra due montagne<br />

nere aride, circondate in tutta la loro altezza da orribili precipizi, e da abissi profondi. Presso<br />

le loro vette le nuvole erravano lentamente fra alberi funebri: due stavano sospese sui loro<br />

sterili rami. / O conquistatori, qui qui contemplate lo spettacolo dei stermini di cui affliggete<br />

la terra».<br />

267


Tommaso Pomilio<br />

Sesto tomo dell’io), appare l’argine contro qualsiasi invadenza di un «sentimentalismo»<br />

di maniera e senza filtri, e finisce <strong>per</strong> riattualizzarsi nella prospettiva<br />

schlegeliana dell’ironia, dell’arabesco. Più avanti, il sentimental peninsulare<br />

rischia spesso di essere insidiato invece dal più stereotipo dei sentimentalismi,<br />

attestandosi a tratti ai limiti del baedeker. Il grafomane napoletano Cesare<br />

Malpica resta il campione di questo sentimental rientrato; ma basterebbe aprire<br />

qualsiasi annata di rivista letteraria o di varietà di quei decenni, <strong>per</strong> imbattersi in<br />

qualc<strong>una</strong> delle innumerevoli imitazioni — così in bilico sul mélo — dell’episodio<br />

di Maria de Moulins, assurto (a partire dalla Lauretta dell’Ortis) ad autentico<br />

topos elegiaco di pietà. Così, l’immagine oggettiva, descrittiva, seppure<br />

ancora risultante da <strong>una</strong> sfiducia nella rappresentabilità «oggettiva» <strong>dello</strong> spazio<br />

(secondo quella dialettica di antirealismo e i<strong>per</strong>realismo, messa in luce da<br />

Mazzacurati), che emerge in questo neo-convenzionalismo pseudo-sterniano, è<br />

<strong>per</strong>lopiù oleografica, immobile. Destino, questo, che è in parte è <strong>una</strong> deriva<br />

<strong>dello</strong> stesso sternismo di partenza: se il romanzo (ricordava, in questa sede,<br />

Marina Beer, sulla scorta del Moretti dell’Atlante del romanzo europeo) 66 rende<br />

<strong>per</strong>cepibile lo spazio come nazione — il genere odeporico a determinante sterniana<br />

decompone invece lo spazio, lo demoltiplica in un prisma di microspazi,<br />

rendendolo infine — ecco — irrappresentabile in quanto unità.<br />

Oppure, (ri)struttura lo spazio, inventando uno spazio tutto nuovo, che è<br />

quello suo. Tanto che a un voracissimo «Pesce-cane» cinese, che ingoia intere<br />

flotte alla volta, è possibile attribuire («Corriere delle Dame», 15 giugno 1818)<br />

la virtù addirittura di plasmare il paesaggio (della «China»), mangiandoselo:<br />

con un gusto della panzana i<strong>per</strong>bolica e pure — al suo folle modo — moraleggiante,<br />

che fa molto sindrome Münchausen 67 (mentre, altrove, potrà essere<br />

tematizzato certo esotismo di popoli mangiatori di terra). 68<br />

66 Cfr. qui p. 68.<br />

67 «Ho veduto le vostre carte geografiche e mi sono scompisciato dalle risa nel vedere i<br />

solennissimi granchj de’ vostri geografi più insigni [...] Vedete qui le coste orientali e meridionali<br />

del nostro grande im<strong>per</strong>o? Vedete questi ottantamila golfi i quali mancano quasi che<br />

tutti sulle vostre carte migliori? Vedete questi dodicimila archipelaghi d’isole grandi e piccole,<br />

di banchi di sabbia, di scogli?... I vostri naturalisti, i vostri compositori di sistemi direbbero<br />

che sono effetti del mare che ha corrose le coste... Poveretti! che vengano alla China ed<br />

impareranno a conoscere la vera causa che ha prodotto le isole, i banchi di sabbia, gli scogli, i<br />

seni, i golfi. Tutto o<strong>per</strong>a del Pesce-cane, mio signore: o<strong>per</strong>a del Pesce-cane sono i golfi ed i<br />

seni, chè, quand’egli ha fame, vi addenta <strong>una</strong> cinquantina di leghe di coste e se le ingoja;<br />

o<strong>per</strong>a del Pesce-cane gli arcipelaghi, che nascono dov’egli scarica il suo ventre, o rigetta il<br />

sovrappiù che gli riesce difficile da digerire; o<strong>per</strong>a del Pesce-cane i banchi di sabbia e gli scogli,<br />

giacchè egli patisce assai di calcoli al fegato».<br />

68 Cfr. Il mondo geofago, di R. LIBERATORE, in «Poliorama pittoresco» n. 50, 1° semestre<br />

1837: «Non è qui parola di tante donne incinte, di tante <strong>per</strong>sone afflitte da quella morbosa<br />

affezione chiamata pica, ossia appetito disordinato, che divorano, anche ne’ nostri paesi, cal-<br />

268


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

Due o tre lustri più avanti, nel pieno della Restaurazione, il mo<strong>dello</strong> sterniano,<br />

già nei numeri del «Conciliatore» convertito in senso claustrofobico, dovrà<br />

restringersi a spazi sempre più chiusi e ciechi (ciò anche con l’imporsi del contro-mo<strong>dello</strong><br />

del Voyage autour de ma chambre del De Maistre), sottratti a ogni<br />

veduta nel rovello autoriflessivo dell’intérieur egotista e doloroso. Non solo<br />

quindi il decorativo e demaistriano Luigi Bassi in Viaggio nelle mie tasche, ma<br />

soprattutto (con ampia e politica valenza) il Carlo Bini (già traduttore del<br />

Tristram) del Manoscritto di un prigioniero (1833), in cui la noia carceraria si<br />

trasforma in «asma dell’anima» che «<strong>per</strong>verte l’occhio», gli nega la <strong>per</strong>cezione<br />

dei colori, confinandolo nell’enumerazione claustrofobica di travicelli e mattoni<br />

della cella. Tutto, mentre il pittoresco più immobile e metastorico (l’immagine<br />

di un Sud da Grand Tour) prende a svuotarsi, a sottrarre la sua veduta se non<br />

nelle più insopportabili (e affatto innaturali) cartoline alla Malpica. Nel Viaggio<br />

di Ciampolini, forse la ripresa sterniana più radicale (e letterale, ed esponenziale<br />

se possibile) di quei decenni, il viaggio a Napoli di un narrante digressivo, diretto<br />

verso qualcosa che non dovrà trovare, si articola su <strong>una</strong> negazione sistematica<br />

dell’immagine, o sulla sua amplificazione ottica e impossibile (il Panoptico in<br />

cui ci siamo imbattuti in precedenza). Salvo qualcosa come <strong>una</strong> stinta gouache<br />

vesuviana, il paesaggio deve restringersi non più che al punto di un «giardino<br />

mobile», giusto sul punto di essere sbaraccato. Così Ciampolini sottoporrà a<br />

decostruente critica (cap. XXXVI), in un surrogato folle di Grand Tour, il chiuso-libresco<br />

dell’Album. Mentre l’immagine stessa di Napoli la metropoli meridionale<br />

ottocentesca, verrà ridotta (ed eletto) a palcoscenico — o al chiuso del<br />

Teatro d’un teatro all’a<strong>per</strong>to, del vivente (il molo ad esempio del cap. XXVI, in<br />

cui un circolo quasi «magico» si addensa attorno al cantastorie).<br />

La rappresentabilità del Sud, codificata nella teorie di tavole dei viaggiatori<br />

specie stranieri dei decenni dalla metà Settecento fino allora, entra in crisi;<br />

extravagantemente leggibile in questa chiave un caso come quello di un tale<br />

Giambattista Brocchi (manoscritto nella Biblioteca Com<strong>una</strong>le di Bassano del<br />

Grappa: Giornale di viaggio mineralogico <strong>per</strong> vari paesi d’Italia. Anni 1811,<br />

1812), cittadino del Lombardo-Veneto in viaggio nel Regno di Napoli, in cui il<br />

viaggio settecentesco di istruzione (la scuola odeporica del Grand Tour) si converte<br />

nel più asettico viaggio di inchiesta scientifica, dove il paesaggio umano<br />

definitivamente scompare, in favore di quello mineralogico. Oppure, l’evoluzione<br />

della staticità «astorica» <strong>dello</strong> stereotipo meridionale nell’estetica del sisma,<br />

del disastro —, quella coltivata, fuor di lymerick (oppure dentro, più intrinsecamente,<br />

il suo filastroccare crudo), da Edward Lear illustratore.<br />

cinaccio, cenere, carboni spenti, ec.: né di que’ litofagi o mangiatori di ciottoli, che danno<br />

spettacolo di sé ingoiandone i dieci e i dodici, di circa due pollici di lunghezza, che fanno<br />

sentire poi dentro il ventricolo [...] Trascorriamo le varie regioni del globo, e non sarà difficile<br />

incontrare uomini e popoli veramente geofagi».<br />

269


Tommaso Pomilio<br />

Eppure, alla prova del Vulcano (dell’eccesso di «reale» che pullula dal Sud e<br />

dalla sua metropoli), il sentimental evolve <strong>per</strong>lopiù nell’autoriflessività di un<br />

pittoresco-bizzarro deprivato della sua retorica (retorica del pittoresco); specie a<br />

ridosso della pubblicazione del Viaggio ciampoliniano, e appunto nella sua area<br />

geografica di <strong>per</strong>tinenza (Napoli), saranno tutt’altro che estranei questi capricci<br />

dell’«anarchia diegetica deliberata» (tratto sterniano eminente, notava Giancarlo<br />

Mazzacurati), che vi assurgono allo statuto di semi-casuali exempla... È un <strong>per</strong>corso<br />

che è possibile seguire, appunto, nella tastiera divagante-umoristica mossa<br />

nelle rubriche napoletane di varietà.<br />

Nell’«Omnibus», ad esempio. Dove, accanto a riflessioni sulla rappresentabilità<br />

<strong>dello</strong> spazio, sulla natura della visione (come quella incontrata delle Sfere<br />

<strong>per</strong> insegnare la geografia), c’imbattiamo (ad esempio, il 15 dicembre 1838) in<br />

frammenti dalla assoluta follia tassonomica, come <strong>una</strong> Statistica della città di<br />

Napoli in questi giorni annoverante amabili assurdità pittoresche, del tipo «villani<br />

in confidenza», o «pecorelli colpevoli», o «facce toste o pigne mollesi». 69<br />

Schegge dove la <strong>per</strong>cezione del pittoresco è esplosa in pezzi mai più unificabili<br />

in veduta.<br />

O nel «Sibilo», anche. Dove Emmanuele Rocco (12 aprile 1838) scrive di<br />

Un nuovo orologio: l’«orologio a cantilene» (che funziona «colle grida de’ venditori»).<br />

O nel «Telescopio» del 30 giugno 1836, dove Ferdinando Rocco scrive<br />

di Un viaggio pedestre a Santa Lucia, che si sdipana sulla via d’<strong>una</strong> costante<br />

negazione: l’io-passante, provvisto solo di <strong>una</strong> moneta da «due grana», e che<br />

protesta — in nota — che è da poco che «ha appreso a leggere», si nega ognuno<br />

degl’innumerevoli piaceri che gli si offrono nella promenade (musica del<br />

Bellini, cocchi, frutti di mare, brodo di polpo), con i pretesti umoristici più varii:<br />

e così, ma al momento di dare un bacio alla bella venditrice, <strong>una</strong> monetina gli<br />

69 «Entrata di villani con scarpe 6.800 / Villane vestite 4.500 / Villani in confidenza 3.420<br />

/ Villane promesse spose 1.140 / Presciutti secchi 8.150 / Caciocavalli di vacca 5.600 / Pecore<br />

2.700 / Servi carichi 1.100 / Servi spogliati 2.000 / Biglietti di visita 88.000 / Becchi 99.300 /<br />

Caponi che beccano i pecorelli 70.500 / Pecorelli innocenti 100 / Pecorelli colpevoli 1.000 /<br />

Stoccate a vuoto 20.000 / Stoccate colpite 1 / Capitoni vivi 100.000 / Capitoni morti 10.000 /<br />

Facce toste o pigne mollesi 200.000». Si tratta di un «genere» umoristico, questo delle assurde<br />

statistiche, non infrequente nella pubblicistica di varietà: già nel 1816 (16 novembre) avevamo<br />

incontrato sulle colonne del «Corriere delle dame» (lo stesso anno in cui erano comparsi<br />

saggi di traduzione dal Tristram), troviamo <strong>una</strong> Specifica de’ matrimonj in Londra (appunto...),<br />

attribuita a un «Osservatore in Londra» il quale la avrebbe pubblicata nel 1809, che<br />

suona in questo modo: «Mogli scappate 1132 / Mariti fuggiti 2348 / Conjugati legalmente<br />

divorziati 4175 / Conjugati viventi in a<strong>per</strong>ta guerra 17345 / Conjugati viventi in segreto combattimento<br />

13279 / Conjugati vicendevolmente indifferenti 55240 / Conjugati considerati<br />

felici 3175 / Conjugati relativamente felici 127 / Conjugati veramente felici 13». —<br />

«L’Omnibus» attesta a vari gradi <strong>una</strong> deriva sterniana di carattere semi-tassonomico, come il<br />

catalogo di Figure umilianti proposto il 9 giugno 1838 da Vincenzo Torelli.<br />

270


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

cade <strong>per</strong> terra, e lui deve chinarsi <strong>per</strong> raccattarla. La dinamica comica del disturbo,<br />

dell’interruzione (freudianamente, dell’atto mancato), regna incontrastata,<br />

fino a che lo squattrinato-sentimental passeggiatore non compra un sigarro<br />

(topos sterniano quanto mai quello del tabacco), e lo fuma: «Quest’aura leggiera<br />

che lieve lieve vola sulle onde mi dice che il tempo fugge [...] Ma è finito il<br />

sigarro: è tempo d’altre considerazioni. Io non ne posso comprar altro!!!!!»:<br />

fino ad assimilare l’ «amico pigmeo, bersagliere gustoso, fedele mozzone che<br />

stringo amichevolmente fra’ denti» ad uno «scoglio» che si offre nella «tempesta»<br />

della vita, a un «conforto»: e di lì alla sua «adorata Mariannina», in questo<br />

modo equiparata al sigaro e allo scoglio («Voglio andare a passeggiare sotto le<br />

sue finestre»). In o<strong>per</strong>a, in questo macchiettismo negato dell’uno e l’altro dei<br />

due Rocco, ad esempio, o nella produzione giovanile del futuro deputato<br />

Ferdinando Petruccelli, un <strong>per</strong>iodare nervoso e veloce tutto-dashes, che surroga<br />

l’immagine dentro la (scomposta-plurima) sintassi, al di là <strong>dello</strong> stesso ardire<br />

sterniano di Didimo traduttore. Ne «L’Omnibus» del 23 febbraio 1839 troviamo<br />

così <strong>una</strong> novella folk di Ferdinando Petruccelli (qui Petrucelli), Racconti fantastici<br />

di mia nonna: L’apparizione, caratterizzata da <strong>una</strong> certa esas<strong>per</strong>azione<br />

discorsiva, da <strong>una</strong> «trattinatura» labirintica, dal contrappunto filastroccante di<br />

proverbi inseriti senza soluzione di continuità (in corsivo) nel discorso, fino a<br />

renderlo curiosissimo, neo-barocco prosimetro, dove la cadenza popolare segna<br />

un’intersezione fra antropologia, umorismo, e grottesco. 70 Il medesimo grafomane<br />

Malpica, già citato come colui che invece indulge sulla ripresa più convenzionale<br />

ed esteriore, con pedanteria da baedeker emozionale, di un pittoresco<br />

autoriflessivo nella specie di un viaggio domestico 71 nel territorio di Napoli<br />

capitale (o al massimo in gita fino a Roma), presenta <strong>per</strong>ò anch’egli specie in<br />

certi pezzi dei tardi anni ‘30 (specie sul «Lucifero»), punte di un estro metanarrativo<br />

talora sorprendente. 72<br />

70 Discorso non dissimile <strong>per</strong> la scena romana de La befana. Frammenti di un viaggio (in<br />

«L’Omnibus pittoresco» del 27 settembre 1838), in cui il registro folklorico si approfondisce<br />

nella visione dell’Urbe come sepolcro.<br />

71 Tale è il titolo di un pezzo di Gabriele de Stefano pubblicato su «Il topo letterato» del 31<br />

marzo 1834, che si propone di seguire il consiglio di Melchiorre Gioia di «<strong>per</strong>correre consideratamente<br />

il proprio paese <strong>per</strong> conoscerne bene addentro tutto quello che vi si offre di notevole».<br />

72 Ad esempio, nel (meta)racconto Una donna, un ballo, e <strong>una</strong> moda (in «Il Lucifero» del<br />

27 febbraio 1839), dove, col presupposto che «Di ciò che narrerò, del modo con cui sarà narrato,<br />

io solamente rispondo», sviluppa la narrazione in tre punti, Io detto (in cui si definisce<br />

— tramite un dialogo con un alterego parimenti narrante detto «genio che presiedi a’ racconti»<br />

— il soggetto della narrazione, dal nome al carattere: «E come chiameremo colei che<br />

dev’essere la protagonista della scena? — Chiamala Lisa: dopo quello di Bice è il più bel<br />

nome che possa fregiare <strong>una</strong> Vergine Italiana — Ben dici... dunque scrivi» ecc.), Ora dipingo<br />

(si tratta della scena, di gusto rococò e pariniano, della pettinatura [in treccia] e vestizione<br />

271


Tommaso Pomilio<br />

O infine, le tem<strong>per</strong>atamente bizzarre cronache di Lorenzo Borsini, toscano a<br />

Napoli al pari di Ciampolini, e a Napoli collaboratore di riviste varie, come ad<br />

esempio «Il Sibilo». In Un pranzo a Posillipo (4 aprile 1838), nello scrivere ai<br />

«compilatori» della rivista, che gli hanno chiesto un pezzo, lo scrittore afferma<br />

che, «non volendo mandarvi scontenti, vi dirò quello che ho disegnato di fare»:<br />

non la descrizione del pranzo, ma quella di «tre litografie... anzi ho sbagliato<br />

[...] di tre incisioni», immagini allusive e criptate, micro-allegorie di aspetti<br />

della vita cittadina: «Io poi se credete farò qualche illustrazione su questi rametti»<br />

(ossia, le lastre piccole di rame), «affinché la parola supplisca, dove il disegno<br />

vien meno».<br />

Ed è il Viaggio sentimentale nel camposanto colerico di Napoli 73 (stampato<br />

nel 1837) il lavoro che rappresenta la natura più curiosamente sentimental di<br />

Borsini, in <strong>una</strong> linea (non lontana dal Petruccelli di quegli anni, e dall’Imbriani<br />

dei decenni dell’Unità) umoristico-folklorica. Il tutto, <strong>per</strong>ò, nell’elusione della<br />

tentazione localistica e «pittoresca», come dichiarato nella Ragione del libro e<br />

della ristampa (prefazione alla seconda edizione del 1842 in Malta): «cercando<br />

d’evitar ne’ miei quadri certe tinte locali che <strong>per</strong>dono il loro effetto alla distanza<br />

di poche miglia, disegnai passioni generali che poco variano <strong>per</strong> il variar di luoghi<br />

e di tempi». A contatto con realtà e teatralità meridionale metropolitana, e<br />

pure nella resistenza alla tinta locale, si sviluppa nel libro di Borsini <strong>una</strong> vena<br />

fra il secentesco (linea barocco-luttuoso, tutta napoletana) e l’orrorico-romantico<br />

(o pre-) spruzzato di humour noir (Cazotte non è passato lontano da lì), che<br />

fa evolvere il «genere» dal sentimental a quello che, con felice espressione,<br />

Luca Toschi ha definito il Gothic Journey. In <strong>una</strong> prospettiva insieme «locale» e<br />

universalizzante, in <strong>una</strong> chiave drammatica e accesa. Così il medesimo tema alimentare-conviviale<br />

(che, ancora, è barocco), <strong>per</strong>meante, lo abbiamo visto,<br />

diverse delle pagine d’occasione del Borsini, viene risolto in un figurativismo<br />

tutto rembrandtiani bagliori fra le tombe, nell’infuriare del colera e l’ombra di<br />

un beccamorto mefistofelico di nome Franceschello: secondo un pittoricismo<br />

sepolcrale, alterato e alcoolico, che sembra prefigurare il Faldella della splendi-<br />

della protagonista), Ora medito, e narro (la meditazione è sulle feste da ballo come «campo<br />

di battaglia» di piedi e affetti, l’azione narrativa è ridotta al minimo, tutta condensata alla<br />

fine, nello svenimento di Lisa); più Un dialoghetto finale (col «Genio»).<br />

73 Questo tema fu particolarmente praticato nella cultura odeporica del tempo. Cfr. F.<br />

PETRUCCELLI Il camposanto de’ colerici (frammento di un sovvenir), in «L’omnibus pittoresco»<br />

dell’11 ottobre 1838, con registro più horror-pietoso, ma con la proliferazione, <strong>per</strong> la sua<br />

scrittura consueta, di spezzature e dashes... e poco più in là, M. DAL FABRO, Una gita notturna<br />

al camposanto di Napoli (tratta dal «Salvator Rosa»), conventional-sublime da «Il Figaro»<br />

del 19 aprile 1843 (in <strong>una</strong> irripetuta rubrica detta «Melanconie»). C. BERTONI, op. cit., p. 353,<br />

nota come «nel Viaggio di Borsini la divagazione non segua il principio sterniano, ma piuttosto<br />

quello ariostesso dell’entrelacement».<br />

272


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

da, unica Serenata ai morti. 74 La «tinta locale» ritorna, cioè, in chiave gothic,<br />

non pittoresca, con tutta <strong>una</strong> galleria di tipi e la rappresentazione magari «universale»<br />

d’un inferno plebeo e napoletano, fra usurai, jettatori, miserabili, il tipico<br />

gioco del lotto, e poi, la vedova Certaldese nell’ombra immane del<br />

Boccaccio. Il matto, immancabile nel topos odeporico-sentimental, viene sottratto<br />

all’aura idillica o alla protezione manicomiale (<strong>per</strong> quanto Aversa non sia<br />

troppo distante da lì), e gettato davanti alla «moltitudine» animale che guarda e<br />

ride, in un nuovo teatro pulcinellesco, o, ecco, in <strong>una</strong> allegorica veduta — emersa<br />

con «un raggio di l<strong>una</strong>» da un’ «isola di teste» dalle fisionomie «caratteristiche»<br />

e grottesche, — un «quadro che simboleggiasse la pazzia». 75 È sotto un<br />

raggio discontinuo che l’immagine, in questa dominante di folk nero-gotico, si<br />

mostra e poi scompare, 76 come nella anti-sentimentale veduta del camposanto notturno,<br />

in cui il paradigma sterniano vira più decisamente sul sublime-orrido del<br />

74 «La sera seguente in quel luogo a breve distanza dal terreno si confondevano <strong>per</strong> aria i<br />

profumi della cucina ed i miasmi della tomba. Una luce rossastra che partiva da un’arsa botte<br />

di catrame dava in viso a due de’ quattro commensali che accerchiavano un enorme bacino<br />

che fumava come un Vesuvio. — L’avresti detto un gruppo del Fiammingo. L’impazienza e la<br />

fame si pingevano a vicenda in quelle grottesche fisonomie. Guardavano di quando a quando<br />

il posto vuoto che avrebbe dovuto a quell’ora avere un occupante. Poi rotto il freno alla<br />

pazienza e stanchi del soverchio aspettare incominciarono fra loro un dialogo vivo ed animato<br />

come la fame che aveano in corpo».<br />

75 «Un raggio di l<strong>una</strong> che fendea <strong>per</strong> mezzo quell’isola di teste rischiarava in passando i<br />

tratti caratteristici d’alcune fisonomie, ma ness<strong>una</strong> causa conoscendo che tanto solleticasse<br />

loro i nervi fino a dare in iscrosci di risa, io non sapeva in che mondo mi fossi né che pensare<br />

di tanta gente che pareva star colà situata <strong>per</strong> formare in massa un quadro che simboleggiasse<br />

la pazzia. [...] Mentre cercavamo d’uscir da quella folla che ci rendeva affannosa il respiro, io<br />

non levava gli occhi da quel balcone su cui tenea fisso lo <strong>sguardo</strong> la moltitudine; ed in quel<br />

che mi voltai addietro <strong>per</strong> vedere quanto ci fossimo allontanati dalla carrozza, partì da cento<br />

bocche un urlo di gioia seguito da un riso smodato, che quasi <strong>per</strong> virtù magnetica parea titillasse<br />

le fibre e facesse ridere pur noi, non ostante che di tanta allegrezza ness<strong>una</strong> causa ragionevole<br />

avessimo pur anco ravvisata».<br />

76 «Una figura era comparsa al balcone — si era forse fermata a contemplare la moltitudine<br />

raggruppata intorno a sé [...] e si era quindi bruscamente allontanata; e questo semplice<br />

mostrarsi e scomparire avea promosso un grido universale di gioia, che, come suono di tamburo<br />

a un dato segno era tantosto cessato <strong>per</strong> dar luogo ad atti di scontentezza, come farebbe<br />

<strong>una</strong> platea mal soddisfatta; <strong>per</strong>ché tratto tratto si sentiva ripetere: questa sera non è di buona<br />

gara come le altre sere». Di Isabella Rossi «fiorentina», registriamo <strong>una</strong> deriva Maria de<br />

Moulins declinata al maschile, che come oggetto non <strong>una</strong> pazza ma un muto. Si tratta di un<br />

racconto apparso in «Il Messaggiere Torinese» del 5 giugno 1841, Il Muto (siamo <strong>per</strong>ò qui,<br />

con la «fiorentina» Rossi Gabardi, in San Giovanni Valdarno), tutto fondato sulla mimica del<br />

disgraziato: «Si muovea brusco, rapido, incessante, con <strong>una</strong> disarmonia che non disgustava,<br />

ma sorprendeva. [...] Un suono gutturale, inarticolato esce dalle sue fauci — un avvicendamento<br />

di mimici atteggiamenti dipinge il suo pensiero»: dove il serpentino <strong>per</strong>iodare sterniano,<br />

irto di dashes, è altresì ripreso in <strong>una</strong> chiave più drammatizzata ed enfatica, irta pure di<br />

273


Tommaso Pomilio<br />

Gothic Journey; 77 e ancora, raggi e scoppiettanti luminismi di catastrofi in vedute di<br />

massa che sembrano calcate su gouaches eruttive del Vulcano: nell’essenza ctonia di<br />

un Sud ricondotto alla sua più cupa, infera, universalizzante «tinta» e nondimeno<br />

«locale». 78<br />

E così, prima che, nella ripresa negli anni ‘50, lo <strong>sguardo</strong> sterniano assumesse<br />

nuova forza e impatto anche visivo, con la vertigine dei paradossi, l’umorismo<br />

al vetriolo, e l’impaginazione rutilante di riviste bizzarrissime e engagés<br />

come «Il Pungolo» o «L’Uomo di Pietra» — i fecondissimi laboratori pre-scapigliati<br />

dei Cletto Arrighi, dei Leone Fortis (e annoveranti collaboratori come<br />

Ippolito Nievo...), dove l’attualità sociale e culturale più rovente si trasfigura in<br />

«follia», 79 o con quelle produttive ignoranze (1857) di un Rajberti che inoltreranno<br />

la frammentarietà della veduta nella prospettiva di un panorama ancora<br />

esclamativi, più «sentimentale» che sentimental: «Oh quanta commovente e sublime poesia<br />

trovai in questo semplice racconto!». [... la Rossi, mammina, crocerossina, si dà da fare <strong>per</strong><br />

«scuoterlo dal suo letargo intellettuale»] «Io ho data a questo povero muto la chiave dell’enimma<br />

— ei l’ha compreso. — Egli avea veduta la vita come l’immagine dell’onda — fugace,<br />

indistinta, informe, sproporzionata — gli ho presentato ora invece uno specchio terso ed<br />

unito, ed ei vi ha vedute forme <strong>per</strong>fette e compiute». Eppure, anche qui il colpo di coda sterniano,<br />

che non attenuano le conseguenti [riflessioni] sulla meschinità del volgo: «Mentre<br />

facevo tali riflessioni, il Muto, dietro mia inchiesta, piegavasi timidamente a contraffarmi in<br />

alcuno di que’ modi drammatici, e la plebe che stavali intorno rideva, come se vedesse giocolare<br />

<strong>una</strong> scimmia».<br />

77 «E <strong>per</strong> ultimo un padiglione di stelle in campo azzurro con in mezzo <strong>una</strong> l<strong>una</strong> colma,<br />

splendente, non di luce patetica quale <strong>per</strong> avventura la vorrebbero i sentimentali, ma bella sì<br />

che avresti detto crescer di vita quanto più crescevano i cadaveri su cui versava gli ultimi<br />

raggi di luce».<br />

78 «Chi avesse osservato Napoli da un’altura, avrebbe tuttora veduto partire da diversi<br />

punti della città lunghissimi raggi di luce che stringendosi a guisa d’imbuto andavano a terminare<br />

in un solo centro verso la Madonna del Pianto, poiché durava ancora la trista processione<br />

delle casse illuminate, ed il cimitero seguiva a popolarsi di nuovi cadaveri» (pp. 100-<br />

101) 79 «Follia» è anche pseudonimo, infatti, di uno dei collaboratori del «Pungolo». Nelle<br />

riviste citate si giunge a visualizzare la stessa ridefinizione <strong>dello</strong> spazio urbano in atto nella<br />

Milano dell’epoca; nel «Pungolo» del 14 marzo 1857, fra i paradossali Progetti edilizj (p. 24<br />

sgg.), condotti nel segno del «Distruggere è edificare», ve n’è uno di Innalzamento del<br />

Duomo a duecentocinquanta metri dal livello dei panattoni del Biffi, di tal Ing. Archi-<br />

Penzolo, prefigurante il Dossi dei Mattoidi (ma anche, il Tarchetti della contemplazione del<br />

co<strong>per</strong>to sventrato dei Figini, in Paolina): «PROPONGO / I°. d’innalzare il Duomo mediante<br />

carrucole e sartiame da bastimento all’altezza di 250 metri dal livello del più alto panattone<br />

esposto sul banco dell’Offelleria Biffi. / II°. di tenerlo sospeso a quell’altezza <strong>per</strong> 175 giorni,<br />

14 ore, 27 minuti e 15 secondi, tempo necessario a fabbricarvi disotto, mediante terra importata,<br />

un colle, terrapieno, altura, o piedestallo, possibilmente triangolare, la cui base andrebbe<br />

dorata a fuoco e cesellata da es<strong>per</strong>to bulino. / III°. di assicurare il Duomo sulla sua nuova<br />

base mediante chiodi lunghi 453 braccia, e del diamtero di tre metri circa, che si dovrebbero<br />

274


L’immagine <strong>negata</strong>: <strong>per</strong> <strong>una</strong> <strong>tipologia</strong> <strong>“sentimentale”</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong><br />

da camera ottica (in un sincretismo Manzoni-Sterne, e Hoffmann magari) e<br />

nella telescopia d’uno spettacolo totale, 80 prima che nel crogiolo metropolitano<br />

milanese si pongano, insomma, le condizioni <strong>per</strong> cui le tracce sparse (e già, in<br />

gran parte, manierate o svuotate o dis<strong>per</strong>se) di sterniano <strong>sguardo</strong> si convoglino<br />

su quella prospettiva nuova e consapevolmente europea che sarà la Scapigliatura,<br />

— prima che questo accada, questa <strong>tipologia</strong> <strong>dello</strong> <strong>sguardo</strong>, a contatto con<br />

un Sud mai riducibile realmente al suo topos, evolve verso la magia inquietante<br />

di <strong>una</strong> lanterna esplosiva di raggi e lampi e vampe cupe e vortici e inferi bagliori.<br />

E il Sud, luogo dell’inclassificabile, dell’«anarchia diegetica deliberata», esso<br />

medesimo pensiero-racconto, contamina lo stesso sternismo della sua immagine<br />

e del suo mito rapinoso e, appunto, «colerico», infestante.<br />

naturalmente fabbricare a bella posta». E tutto <strong>per</strong>ché il Duomo «non ha mai avuto <strong>una</strong> certa<br />

libertà di movimento. È là, istecchito, affannato fra <strong>una</strong> cerchia di case, casette, casupole, e<br />

deve starsene tutto rannicchiato e rattratto <strong>per</strong>ché, se stira un braccio, lo infila nelle vetrine<br />

del Biffi, se allunga <strong>una</strong> gamba roverscia [sic!] le pendules e le bijouteries dell’Emporion».<br />

80 G. RAJBERTI, Viaggio di un ignorante, a cura di E. Ghidetti, Napoli, Guida, 1985, p. 78<br />

sgg.: «Il mio sistema filosofico nel viaggiare è piuttosto sintetico che analitico: e cerco assai<br />

più le sensazioni complessive che i dettagli. Perciò a Napoli, a Genova, a Lione, a Roma, ec. fu<br />

sempre mia cura di salire sulle eminenze (non sui Cardinali, vedete) <strong>per</strong> godere i più bei panorama.<br />

[...] Per quelle contrade o piazze lontane che trovansi in direzione dek raggio visivo si<br />

scorgono moversi lentamente piccolissime cose: sono uomini e donne che sembrano formiche».<br />

275

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!