boheme (La) - Teatro La Fenice

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19.06.2013 Views

48 MICHELE GIRARDI crina a esprimere il lutto, chiudendo l’opera nel segno della commozione più profonda. A mia volta, non posso finire se non sottoscrivendo una dichiarazione di Rodolfo Celletti che, dopo aver ricordato diversi interpreti del ruolo per questa o quell’altra particolarità, afferma: «Ho udito questo ed altro, ma una cosa mi sentirei di dichiarare, sotto giuramento, anche in tribunale. Non ho mai ascoltato una voce che appartenga a Rodolfo più di quella di Luciano Pavarotti». 12 In scena Spero che il lettore giunto sin qui abbia compreso come questa esegesi della Bohème deliberatamente sbilanciata dalla parte del tenore sia motivata dall’eccellenza della prestazione di Pavarotti, che ho cercato di dimostrare anche se in modo sommario. Se l’incisione sulla quale mi sono intrattenuto raggiunge un livello così alto che assai di rado trova riscontro, è perché intorno al protagonista ruota un cast altrettanto straordinario, perché l’orchestra e il coro suonano e cantano con un’eleganza e una partecipazione infinita al dramma, perché il direttore d’orchestra sa trovare soluzioni nuove e originali, rispetto a una tradizione esecutiva che riesce a rinnovare sin dalle radici. A beneficio di una svolta effettiva del giudizio critico su Puccini, che dopo questo ascolto ha guadagnato nuovi appassionati. Ma non c’è innovazione che tenga, se gli interpreti non sono in grado di portare il loro contributo, e la modernità di questa nuova concezione vive del talento della coppia canora principale, e del perfetto amalgama dell’intero cast. Dopo essermi innamorato della Bohème grazie a questa interpretazione in particolare, ebbi l’occasione di assistere a una recita dell’allestimento classico di Zeffirelli (nato proprio con Karajan nel lontano 1963) alla Scala. Era il 1979, dirigeva Carlos Kleiber, Ileana Cotrubas impersonava Mimì, Rodolfo era Pavarotti, oramai affermatissimo in tutto il mondo e già molto criticato. Uno tra gli appunti riguardava la mole, che secondo molti commentatori lo avrebbe reso poco credibile in scena. Avendo ascoltato la sua voce, e soprattutto dopo averlo sentito muoversi (mi si passi la sinestesia) negli scherzi di gruppo lo immaginavo assai più magro, e ancora adesso lo vedo così. Ma le immagini diffuse allora smentivano le mie convinzioni. Si alzò il sipario, la recita ebbe inizio: sì, notai che non era proprio magrissimo, ma non appena aprì bocca l’effetto fu tale che i miei occhi vedevano ciò che la voce faceva loro vedere. Un ragazzo giovane, alto, agilissimo, grande attore, scanzonato: Rodolfo insomma. 12 CELLETTI, Pavarotti e le opere cit., p. 181.

la bohème Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica Edizione a cura di Michele Girardi, con guida musicale all’opera

48<br />

MICHELE GIRARDI<br />

crina a esprimere il lutto, chiudendo l’opera nel segno della commozione più profonda.<br />

A mia volta, non posso finire se non sottoscrivendo una dichiarazione di Rodolfo Celletti<br />

che, dopo aver ricordato diversi interpreti del ruolo per questa o quell’altra particolarità,<br />

afferma: «Ho udito questo ed altro, ma una cosa mi sentirei di dichiarare, sotto<br />

giuramento, anche in tribunale. Non ho mai ascoltato una voce che appartenga a<br />

Rodolfo più di quella di Luciano Pavarotti». 12<br />

In scena<br />

Spero che il lettore giunto sin qui abbia compreso come questa esegesi della Bohème<br />

deliberatamente sbilanciata dalla parte del tenore sia motivata dall’eccellenza della prestazione<br />

di Pavarotti, che ho cercato di dimostrare anche se in modo sommario. Se l’incisione<br />

sulla quale mi sono intrattenuto raggiunge un livello così alto che assai di rado<br />

trova riscontro, è perché intorno al protagonista ruota un cast altrettanto straordinario,<br />

perché l’orchestra e il coro suonano e cantano con un’eleganza e una partecipazione<br />

infinita al dramma, perché il direttore d’orchestra sa trovare soluzioni nuove e originali,<br />

rispetto a una tradizione esecutiva che riesce a rinnovare sin dalle radici. A<br />

beneficio di una svolta effettiva del giudizio critico su Puccini, che dopo questo ascolto<br />

ha guadagnato nuovi appassionati.<br />

Ma non c’è innovazione che tenga, se gli interpreti non sono in grado di portare il<br />

loro contributo, e la modernità di questa nuova concezione vive del talento della coppia<br />

canora principale, e del perfetto amalgama dell’intero cast. Dopo essermi innamorato<br />

della Bohème grazie a questa interpretazione in particolare, ebbi l’occasione di assistere<br />

a una recita dell’allestimento classico di Zeffirelli (nato proprio con Karajan nel<br />

lontano 1963) alla Scala. Era il 1979, dirigeva Carlos Kleiber, Ileana Cotrubas impersonava<br />

Mimì, Rodolfo era Pavarotti, oramai affermatissimo in tutto il mondo e già<br />

molto criticato. Uno tra gli appunti riguardava la mole, che secondo molti commentatori<br />

lo avrebbe reso poco credibile in scena. Avendo ascoltato la sua voce, e soprattutto<br />

dopo averlo sentito muoversi (mi si passi la sinestesia) negli scherzi di gruppo lo immaginavo<br />

assai più magro, e ancora adesso lo vedo così. Ma le immagini diffuse allora<br />

smentivano le mie convinzioni. Si alzò il sipario, la recita ebbe inizio: sì, notai che non<br />

era proprio magrissimo, ma non appena aprì bocca l’effetto fu tale che i miei occhi vedevano<br />

ciò che la voce faceva loro vedere. Un ragazzo giovane, alto, agilissimo, grande<br />

attore, scanzonato: Rodolfo insomma.<br />

12 CELLETTI, Pavarotti e le opere cit., p. 181.

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