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LA BOHÈME DI RODOLFO<br />
I tavoli del Caffè Momus (<strong>La</strong> bohème, quadro secondo). Foto di scena posata dell’allestimento all’Opéra-Comique<br />
del 1898; regia di Albert Carré.<br />
archi. «Una donna!» [6-4”]: Pavarotti attacca trepidante, e nel prosieguo esprime, con<br />
mezze voci e pianissimi affascinanti, una varietà di atteggiamenti concentrata in pochi<br />
minuti, passando dalla sorpresa alla preoccupazione – «Che viso da malata!» [1’04”]<br />
è l’ennesima frase breve, ma d’importanza capitale, che il tenore valorizza enfatizzando<br />
appena un poco l’acciaccatura, pennellata per mettere in rilievo la condizione di Mimì<br />
–, all’ammirazione («Che bella bambina» [7-30”]), fino alla falsa indifferenza quando<br />
lei riaccende il lume e fa per congedarsi.<br />
Le mani si cercano al buio, e Rodolfo afferra quella di Mimì. Inizia la scena di seduzione.<br />
Il poeta<br />
«Che gelida manina» [8] è un brano da sempre prediletto dai tenori, per ragioni che<br />
vanno ricercate nel particolare carattere che ha assunto nel tempo: quello di prototipo<br />
dell’aria sentimentale, recepita come l’aria d’amore per antonomasia da ogni tipo di<br />
pubblico. Questa universalità le deriva dalla sua apparente semplicità: il tono in cui Rodolfo<br />
si rivolge a Mimì è discorsivo, e in questo tessuto s’innestano estesi frammenti lirici,<br />
basati sull’uso di semplici metafore del parlare quotidiano, accessibili a tutti.<br />
Il rango vocale più adatto a interpretare questo brano è quello del tenore lirico, registro<br />
che sta a metà fra il tenore di grazia e quello drammatico, carattere riportato da<br />
Puccini al massimo splendore proprio grazie a Rodolfo, mentre sui palcoscenici dei tea-<br />
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