boheme (La) - Teatro La Fenice
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22 no, Alfredo Catalani (A sera). I tempi di Storiella d’amore sono lontani: il maestrino lucchese è ormai entrato nella prestigiosa scuderia di Giulio Ricordi, ed ha da poco consegnato all’editore la partitura di Edgar. Il testo di Sole e amore è anonimo (forse di pugno dello stesso compositore): Il sole allegramente batte ai tuoi vetri, amor pian pian batte al tuo cuore e l’uno e l’altro chiama. Il sole dice: «O dormente mostrati che sei bella!» dice l’amor: «Sorella, col tuo primo pensier pensa a chi t’ama!» Al Paganini. G. Puccini. Quella ch’è certa, è l’intenzione di arieggiare la celeberrima Mattinata di Giosuè Carducci, raccolta proprio nel 1887 nelle Rime nuove. Una ‘mattinata’ – chiariva l’edizione annotata del 1910 delle Rime – è un «canto che usavasi per mattutina espressione d’amore e che della poesia popolare serba la forma di rispetto». Ad illuminare la dipendenza di Sole e amore dal modello delle Rime nuove è sufficiente riportare qualche verso dalle tre ottave del componimento popolareggiante di Carducci: 11 Batte a la tua finestra, e dice, il sole: lèvati, bella, ch’è tempo d’amare. […] Batte a la tua finestra, e dice, il vento: […] – Il tempo torna: amiamo, amiamo, amiamo – e il sospir de le tombe rinfiorate – Il tempo passa: amate, amate, amate. – Batte al tuo cor, ch’è un bel giardino in fiore, il mio pensiero, e dice: Si può entrare? […] RICCARDO PECCI Il tema esplorato da entrambi è chiaro: il sole e la primavera 12 come invito pressante ad amare, ad accogliere nel proprio cuore il pensiero dell’amante. E l’Allegretto mosso che Puccini ne cava denuncia fin dall’agogica un approccio all’amore non molto dissimile da quello tentato in Storiella: fluidità, leggerezza, freschezza, nessuna ingombrante retorica melodrammatica. In modo apparentemente singolare, la musica di questo Allegretto mosso finirà per legarsi, nella testa di Puccini, al febbraio nebbioso ed innevato del quadro terzo della 11 GIOSUÈ CARDUCCI, Rime nuove, Bologna, Zanichelli, 1887, XLII, pp. 74-75; ID., Rime nuove, con note di A. Albertazzi e R. Serra, Bologna, Zanichelli, 1910, LII, pp. 145-47. Sole e amore è a sua volta il titolo d’un sonetto carducciano, sempre dalle Rime nuove (IX, p. 18 dell’edizione 1887; XXI, pp. 61-62 dell’edizione 1910). 12 «Io ti meno valletti aprile e maggio», diceva il sole carducciano.
PICCOLE DONNE CRESCONO. NOTE, SOLE E AMORI DAI CANTI DI PUCCINI ALLA BOHÈME Bohème, la Barriera d’Enfer. La pagina del «Paganini» verrà destinata ad una delle ‘rifritture’ più clamorose del lucchese: e nel 1906, dedicando l’autografo di Sole e amore a Francesco Paolo Tosti, Puccini scriverà parole eloquenti («questo germe primo di Bohème»). Anche Catalani, peraltro, in quegli anni aveva riciclato A sera, il suo contributo al periodico genovese: dapprima ripensandolo come Andante mesto per il celebre Quartetto Campanari (Frammento di una suite, 1889), poi come apertura dell’atto terzo della Wally, «dramma lirico in quattro atti» (Milano, Teatro alla Scala, 1892). Eppure proprio questo termine di confronto ci aiuta a misurare tutta l’eccezionalità del caso pucciniano. Lungo questa migrazione in due tappe verso il palcoscenico, infatti, A sera non aveva conosciuto nessuna vera rifunzionalizzazione: la musica di Catalani ‘trasloca’ in blocco, ritoccata solo nella dinamica e nella strumentazione, senza dialogare o interagire con il nuovo contesto. Per converso, il riuso di Sole e amore nella Bohème è tutt’altro che un innesto meccanico: Puccini trasformerà la sua composizione per voce e pianoforte addirittura in un pezzo d’assieme – un quartetto vocale – quello di Mimì, Rodolfo, Marcello e Musetta che porta a conclusione il quadro terzo («Addio dolce svegliare alla mattina»). Nel quadro precedente, il compositore s’era già concesso una prova di virtuosismo ‘culinario’: la stessa musica dell’ammaliante Tempo di valzer lento di Musetta («Quando men vo soletta per la via»), che evolveva in un memorabile pezzo concertato, era alla base anche di un Piccolo valzer pianistico (SC 66), pubblicato su «Armi e arte» nel settembre 1894. Libretto alla mano, l’intuizione di Puccini sulla collocazione di Sole e amore alla fine del quadro terzo della Bohème non sembra poi così peregrina. Nei primi versi di Mimì e Rodolfo si può leggere un’allusione – condita con una punta d’innocua ironia – al rispetto carducciano: il risveglio ricordato come momento di «rabbuffi», sospetti e gelosie, subito però placati da baci, sorrisi e carezze d’amore, come vuole lo stereotipo della ‘mattinata’. Ma soprattutto, c’è poi un riferimento obliquo al tema del ‘sole/amore che batte insistentemente alla finestra in primavera’: i due amanti decidono di rinviare l’addio «alla stagion fiorita» proprio perché «soli l’inverno è cosa da morire», mentre «al primo fiorire di primavera / ci è compagno il sole». Già, confortati dalla presenza assidua del sole/amore, «niuno è solo l’aprile». A far da contraltare farsesco a questo quadretto sentimentale, com’è noto, ad un certo punto esplode la schermaglia di Marcello e Musetta, annunciata da un «fracasso» di stoviglie in frantumi («Che facevi, che dicevi»). Ma come si ‘ricucina’ una paginetta per voce sola e tastiera in un doppio duetto nel quale l’effusione lirica deve combinarsi con gli sviluppi di una lite sempre più concitata? Uno dei possibili modelli formali di Puccini, ci sembra, è l’innovativo pezzo concertato attorno al quale gravitava l’atto terzo di Manon Lescaut: indubbiamente una delle esecuzioni/reinvenzioni più personali di questa antica convenzione melodrammatica. Qui Puccini era riuscito ad eludere brillantemente il modello idealtipico del ‘concerta- 23
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PICCOLE DONNE CRESCONO. NOTE, SOLE E AMORI DAI CANTI DI PUCCINI ALLA BOHÈME<br />
Bohème, la Barriera d’Enfer. <strong>La</strong> pagina del «Paganini» verrà destinata ad una delle ‘rifritture’<br />
più clamorose del lucchese: e nel 1906, dedicando l’autografo di Sole e amore<br />
a Francesco Paolo Tosti, Puccini scriverà parole eloquenti («questo germe primo di Bohème»).<br />
Anche Catalani, peraltro, in quegli anni aveva riciclato A sera, il suo contributo al<br />
periodico genovese: dapprima ripensandolo come Andante mesto per il celebre Quartetto<br />
Campanari (Frammento di una suite, 1889), poi come apertura dell’atto terzo della<br />
Wally, «dramma lirico in quattro atti» (Milano, <strong>Teatro</strong> alla Scala, 1892). Eppure<br />
proprio questo termine di confronto ci aiuta a misurare tutta l’eccezionalità del caso<br />
pucciniano. Lungo questa migrazione in due tappe verso il palcoscenico, infatti, A sera<br />
non aveva conosciuto nessuna vera rifunzionalizzazione: la musica di Catalani ‘trasloca’<br />
in blocco, ritoccata solo nella dinamica e nella strumentazione, senza dialogare<br />
o interagire con il nuovo contesto.<br />
Per converso, il riuso di Sole e amore nella Bohème è tutt’altro che un innesto meccanico:<br />
Puccini trasformerà la sua composizione per voce e pianoforte addirittura in<br />
un pezzo d’assieme – un quartetto vocale – quello di Mimì, Rodolfo, Marcello e Musetta<br />
che porta a conclusione il quadro terzo («Addio dolce svegliare alla mattina»).<br />
Nel quadro precedente, il compositore s’era già concesso una prova di virtuosismo<br />
‘culinario’: la stessa musica dell’ammaliante Tempo di valzer lento di Musetta<br />
(«Quando men vo soletta per la via»), che evolveva in un memorabile pezzo concertato,<br />
era alla base anche di un Piccolo valzer pianistico (SC 66), pubblicato su «Armi<br />
e arte» nel settembre 1894.<br />
Libretto alla mano, l’intuizione di Puccini sulla collocazione di Sole e amore alla fine<br />
del quadro terzo della Bohème non sembra poi così peregrina. Nei primi versi di Mimì<br />
e Rodolfo si può leggere un’allusione – condita con una punta d’innocua ironia – al<br />
rispetto carducciano: il risveglio ricordato come momento di «rabbuffi», sospetti e gelosie,<br />
subito però placati da baci, sorrisi e carezze d’amore, come vuole lo stereotipo<br />
della ‘mattinata’. Ma soprattutto, c’è poi un riferimento obliquo al tema del ‘sole/amore<br />
che batte insistentemente alla finestra in primavera’: i due amanti decidono di rinviare<br />
l’addio «alla stagion fiorita» proprio perché «soli l’inverno è cosa da morire»,<br />
mentre «al primo fiorire di primavera / ci è compagno il sole». Già, confortati dalla presenza<br />
assidua del sole/amore, «niuno è solo l’aprile».<br />
A far da contraltare farsesco a questo quadretto sentimentale, com’è noto, ad un certo<br />
punto esplode la schermaglia di Marcello e Musetta, annunciata da un «fracasso» di<br />
stoviglie in frantumi («Che facevi, che dicevi»).<br />
Ma come si ‘ricucina’ una paginetta per voce sola e tastiera in un doppio duetto<br />
nel quale l’effusione lirica deve combinarsi con gli sviluppi di una lite sempre più concitata?<br />
Uno dei possibili modelli formali di Puccini, ci sembra, è l’innovativo pezzo concertato<br />
attorno al quale gravitava l’atto terzo di Manon Lescaut: indubbiamente una delle<br />
esecuzioni/reinvenzioni più personali di questa antica convenzione melodrammatica.<br />
Qui Puccini era riuscito ad eludere brillantemente il modello idealtipico del ‘concerta-<br />
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