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MICHELE GIRARDI<br />
all’evento drammatico, e incarnano al meglio la natura ibrida del capolavoro di Puccini,<br />
in bilico tra la commedia sentimentale e di carattere e il genere tragico. Rileggendo<br />
i canoni dell’opera nei pentagrammi intonati da Pavarotti si finisce per scoprire non solo<br />
i segreti di un’interpretazione paradigmatica del ruolo, ma anche qualche tratto della<br />
drammaturgia ancora in grado di sorprenderci. E quell’interpretazione nel suo complesso,<br />
oramai storica, resta il miglior stimolo perché nuovi cantanti rinnovino sulle<br />
scene il mito della Bohème.<br />
L’edizione del libretto offre ai lettori il testo della prima rappresentazione assoluta<br />
(virtuosisticamente rispettato anche nella disposizione grafica dei complicati insiemi)<br />
accompagnato dalla guida all’opera, mettendolo a confronto con quello presente in<br />
partitura. Nell’appendice dedicata alle voci noto che «l’interprete di uno dei quattro<br />
ruoli maschili principali dev’essere consapevole che, oltre a rappresentare uno specifico<br />
carattere incarna un tipo ideale ch’è metafora dell’arte e della cultura in alcuni tra i<br />
loro aspetti più significativi: la letteratura, la musica, la pittura e la filosofia. Ma deve<br />
anche sapere, e comunicare al pubblico, che l’azione celebra per metafora l’unione perfetta<br />
fra queste quattro componenti, un’armonia che non verrà mai meno, neppure di<br />
fronte alla miseria e alla catastrofe. <strong>La</strong> cultura rende dignitoso chi la pratica, al di là<br />
delle miserie quotidiane e di chi attenta alla sua stessa sopravvivenza». Fra i tanti temi<br />
che <strong>La</strong> bohème porta alla nostra attenzione, vi è quello capitale del rapporto fra i bisogni<br />
materiali di un individuo e le sue aspirazioni, rappresentato da una miriade di oggetti<br />
d’ogni genere che affollano la partitura, e spesso trovano una specifica connotazione<br />
musicale (come il corno stonato che acquista Schaunard al Quartiere latino, o la<br />
tromba di Parpignol). <strong>La</strong> stessa protagonista traduce in slanci ideali un mondo intessuto<br />
di fiori finti, e trova nella sua cuffietta una sineddoche della sua bellezza bruna. E<br />
fino in punto di morte la frase «Mi piaccion quelle cose che han sì dolce malìa» echeggia<br />
nella soffitta per ricordare che l’ideale della fanciulla non è che l’esito trasfigurato<br />
di un mondo saldamente ancorato alla vita di tutti i giorni.<br />
Su tutti gli oggetti s’impone la zimarra che accompagna il filosofo Colline dal Quartiere<br />
latino fino al momento in cui la porta al Monte di pietà, per ricavare qualche spicciolo<br />
che allevii la fine di Mimì. All’indumento il basso dedica «un’arietta commovente<br />
ed essenziale perché questo oggetto rappresenta musicalmente, nella conclusione<br />
dell’opera, l’emozione e la pietà di tutti i protagonisti. [Esso] non serve solo a riparare<br />
dal freddo il proprietario, sul cui fisico allampanato sembra essersi modellato, ma ad<br />
ospitare nei suoi capaci risvolti i libri che simboleggiano la sua passione per la cultura».<br />
E quanto maggior peso acquista il finale dell’opera grazie a quest’arietta, e alla ripresa<br />
della sua cadenza a suggello della partitura! Non solo il congedo mette sullo stesso<br />
piano la perdita di una persona e di un oggetto amati, riconducendo entrambi alla<br />
vie de bohème, ma ricorda che la cultura è l’unica forma di riscatto per chi viene oppresso<br />
da poteri egoisti, che mandano in miseria e affrettano la fine delle persone più<br />
deboli. Fra i tanti messaggi della Bohème mi pare quello su cui oggi dovremmo costruire<br />
un’etica sociale migliore.<br />
Michele Girardi