TURANDOT TURANDOT - Il giornale dei Grandi Eventi
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L’Intervista<br />
Parla il Direttore Alain Lombard<br />
A Pag 2<br />
La Storia dell’Opera<br />
La Turandot nata in<br />
un ristorante<br />
A Pag 6<br />
I finali postumi<br />
Da Franco Alfano<br />
a Luciano Berio<br />
A Pag 8 –9 e 10<br />
Gastronomia e Musica<br />
<strong>Il</strong> baccalà di Adami ed<br />
I fagioli di Puccini<br />
A pag. 14 e 15<br />
Anno XI - Numero 22 - 28 aprile 2005<br />
<strong>TURANDOT</strong><br />
di Giacomo Puccini
2 Turandot <strong>Il</strong><br />
Parla il direttore d’orchestra Alain Lombard<br />
Una Turandot con il secondo<br />
finale di Alfano,<br />
ma senza i tagli tradizionali.<br />
Al solo nome della<br />
Turandot di<br />
Giacomo Puccini,<br />
la mente del maestro Alain<br />
Lombard, sul podio del<br />
Teatro dell’Opera per<br />
questa edizione, corre<br />
subito al passato: «E’ un’opera<br />
verso la quale ho sempre<br />
un grande affetto. L’ho<br />
diretta moltissime volte ed ho<br />
anche realizzato una incisione<br />
con Montserrat<br />
Caballe, Mirella Freni e Josè<br />
Carreras, che ha riscosso un<br />
grandissimo successo, che ha<br />
guadagnato moltissimi<br />
premi».<br />
«Turandot è un’opera molto,<br />
molto difficile. Si deve avere<br />
una orchestra grande e solida.<br />
Tante volte ho lavorato su<br />
questo pezzo e sempre ho pensato<br />
a ciò che Puccini diceva.<br />
Voleva fare un’opera importantissima,<br />
che rimanesse un<br />
capolavoro assoluto. Ma la<br />
cosa che mi stupisce è che essa<br />
arriva dopo il Trittico (1918),<br />
che a mio avviso è di per se un<br />
capolavoro assoluto. Puccini<br />
aveva già toccato il tema dell’orientalismo,<br />
tanto in voga<br />
all’epoca, con Madama<br />
Butterfly nel 1904 e quello<br />
d’ambientazione americana<br />
con La fanciulla del West<br />
(1910), ma egli voleva<br />
ritornare su ambientazioni<br />
“esotiche”».<br />
«E’ un’opera difficile da<br />
eseguire per l’orchestra – continua<br />
il Maestro Lombard -<br />
perché è una partitura<br />
estremamente raffinata, con<br />
strumenti esotici, dal gong in<br />
poi. Come al solito Puccini ha<br />
realizzato una partitura molto<br />
precisa, con tutto appuntato,<br />
dai tempi ad alcune note<br />
esplicative. Come musica, in<br />
alcuni punti – come con le tre<br />
maschere di Ping, Pong e Pang<br />
- è vicinissima a Gianni<br />
Schicchi».<br />
Al Teatro dell’Opera di<br />
Roma Tutandot fu rappresentata<br />
per la prima volta il<br />
29 aprile 1926, appena quattro<br />
giorni dopo la prima<br />
rappresentazione assoluta<br />
del Teatro alla Scala del 25<br />
aprile, con un cast formato<br />
da Bianca Scacciati, Rosina<br />
Torri e Francesco Merli,<br />
diretti dal maestro Edoardo<br />
Vitale.<br />
Questa volta, al momento<br />
di mettere in scena<br />
all’Opera di Roma l’allestimento<br />
del Teatro Carlo<br />
Felice di Genova con la<br />
regia di Giuliano Montaldo<br />
– allestimento che ha<br />
affrontato anche la famosa<br />
trasferta cinese per essere<br />
rappresentato ai piedi della<br />
Città Proibita - si è discusso<br />
su quale finale adottare.<br />
«Con il direttore artistico,<br />
Maestro Trombetta, abbiamo a<br />
lungo pensato se proporre<br />
l’opera con il primo od il secondo<br />
finale di Alfano», dice il<br />
direttore. «Poi siamo<br />
arrivati alla decisione di<br />
optare per la seconda versione,<br />
quella più snella. La<br />
prima sarebbe stata troppo<br />
lunga e meno bella. Io quella<br />
versione non l’ho mai<br />
eseguita, ma all’Opera di<br />
Roma non avrebbe funzionato.<br />
Questa seconda<br />
versione, invece, la presentiamo<br />
in versione integrale,<br />
senza alcun taglio, come ad<br />
esempio quello tradizionale<br />
delle maschere all’inizio del<br />
secondo atto».<br />
D. – A proposito di finali,<br />
cosa ne pensa di quello di<br />
Luciano Berio?<br />
«<strong>Il</strong> finale di Berio lo conosco<br />
bene, l’ho studiato perché ad<br />
un certo punto ho pensato di<br />
cimentarmici. E’ magnificamente<br />
fatto, ma è molto differente<br />
dal lavoro e dallo stile di<br />
Puccini. Con questa regia,<br />
molto classica, non sarebbe<br />
andato bene».<br />
Andrea Marini<br />
~ ~ La Locandina ~ ~<br />
Teatro Costanzi, 28 aprile – 11 maggio 2005<br />
<strong>TURANDOT</strong><br />
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri<br />
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni<br />
Musica di Giacomo Puccini<br />
EDITORE: CASA RICORDI - MILANO<br />
Maestro concertatore e Direttore Alain Lombard<br />
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA<br />
Allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova<br />
Maestro del coro Andrea Giorgi<br />
Regia Giuliano Montaldo<br />
Ripresa da Marco Gandini<br />
Scene Luciano Ricceri<br />
Costumi Elisabetta Montaldo Bocciardo<br />
Movimenti coreografici Hal Yamanouchi<br />
Disegno luci Bruno Monopoli<br />
Personaggi / Interpreti<br />
Turandot (S) Giovanna Casolla / Lucia Mazzaria (29/4; 7, 11/5)<br />
Calaf (T) Giuseppe Giacomini / Piero Giuliacci (29/4), 6/5 /<br />
Renzo Zulian (8, 11/5)<br />
Liù (S) Anna Laura Longo / Katia Pellegrino (29/4; 7, 8, 10/5)<br />
Timur (B) Michail Ryssov / Alfredo Zanazzo (29/4; 7, 8, 10/5)<br />
Ping (Bar) Damiano Salerno / Armando Ariostini (29/4; 7, 11/5)<br />
Pong (T) Mario Bolognesi / Cesare Ruta (29/4)<br />
Pang (T) Aldo Orsolini<br />
Altoum (T) Fernando Cor<strong>dei</strong>ro Opa /<br />
Aldo Bottion (6, 7, 8, 10, 11/5)<br />
Mandarino (Bar) Roberto Nencini / Stefano Meo (29/4; 6, 8, 11/5)<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
I prossimi appuntamenti<br />
della Stagione 2005<br />
17 - 25 giugno 2005 THAÏS di Jules Massenet<br />
Direttore: Pascal Rophè<br />
Amarilli Nizza, MarcoVinco, Claudio Di Segni<br />
Regia: Alberto Fassini<br />
ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA<br />
Stagione estiva alle Terme di Caracalla<br />
(Due opere ed un balletto)<br />
5 - 6 luglio ROMEO E GIULIETTA<br />
balletto su musica di Sergej Prokof’ev<br />
Coreografia: Jean-Cristophe Maillot<br />
Interpretato dalla Compagnia Les Ballet de Monte-Carlo<br />
Dal 9 luglio MADAMA BUTTERFLY<br />
di Giacomo Puccini<br />
Direttore: Donato Renzetti<br />
Dal 26 luglio AIDA<br />
di Giuseppe Verdi<br />
Direttore: Placido Domingo<br />
Dal 10 agosto IL LAGO DEI CIGNI<br />
balletto su musica di Pêter Ciaikovskij<br />
Coreografia: Galina Samosova<br />
ORCHESTRA E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA<br />
22 – 29 settembre LE NOZZE DI FIGARO<br />
di Wolfgang Amadeus Mozart<br />
Direttore: Gianluigi Gelmetti<br />
Anna Rita Taliento,<br />
Laura Cherici, Marco Vinco, Laura Polverelli<br />
Regia e Scene: Quirino Conti<br />
NUOVO ALLESTIMENTO<br />
18 – 25 ottobre DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno)<br />
di Richard Wagner<br />
Direttore: Will Humburg<br />
Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmunt Welker,<br />
Katia Litting, Hanna Schwarz, Eva Matos<br />
Regia, Scene e Costumi: Pier’ Alli<br />
ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA<br />
In lingua originale con sovratitoli<br />
23 Novembre – 1 Dicembre LA SONNAMBULA<br />
di Vincenzo Bellini<br />
Direttore: Bruno Campanella<br />
Stefania Bonfadelli, Nina Makarina Dimitri Korchak,<br />
Enzo Capuano<br />
Regia: Pier Francesco Maestrini<br />
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Direttore responsabile<br />
Andrea Marini<br />
Direzione Redazione ed Amministrazione<br />
Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma<br />
e-mail: info@<strong>giornale</strong>grandieventi.com<br />
Editore A. M.<br />
Stampa<br />
Tipografica Renzo Palozzi<br />
Via Vecchia di Grottaferrata, 4<br />
00047 Marino (Roma)<br />
Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995<br />
© Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore<br />
Le fotografie sono realizzate<br />
in digitale con fotocamera Kodak DC290
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Trama<br />
ATTO PRIMO<br />
Davanti alle mura e al palazzo imperiale di Pechino – Al tramonto, un Mandarino<br />
annuncia alla folla che il Principe di Persia, non avendo sciolto i tre enigmi proposti<br />
dalla bella principessa Turandot a tutti i principi che aspirano alla sua mano,<br />
sarà decapitato pubblicamente dal boia al sorgere della luna. La folla, eccitata, travolge<br />
un vecchio e la giovane Liù che per lui invoca subito soccorso. Un giovane<br />
accorre e riconosce nell’anziano il proprio padre Timur, Re tartaro spodestato. I<br />
due si abbracciano, ma il giovane Calaf lo prega di non pronunciare il suo nome,<br />
poiché ha paura <strong>dei</strong> regnanti cinesi, usurpatori del regno del padre. La schiava Liù<br />
è molto devota a Timur ed alla famiglia, in quanto un giorno Calaf nella reggia le<br />
sorrise. Intanto il boia Pu-Ti-Pao, affilando la lama, si prepara all’esecuzione del<br />
Principe di Persia. Ai primi chiarori lunari, su note lugubri, giunge il corteo che<br />
accompagna la vittima al supplizio. La folla, prima eccitata, si commuove per questo<br />
giovane ed invoca la grazia per il condannato.<br />
Nella pallida luce si presenta, glaciale, la principessa Turandot che impone di fare<br />
silenzio e con un gesto imperioso ordina al boia di giustiziare il Principe.<br />
Calaf è impressionato dalla magica bellezza della Principessa e decide di tentare<br />
la prova <strong>dei</strong> tre enigmi. Timur e Liù cercano di trattenerlo, ma lui si lancia<br />
verso il grande gong. Tre bizzarre figure lo fermano: si tratta <strong>dei</strong> ministri<br />
del Regno, Ping, Pong e Pang, i quali provano a dissuadere Calaf, descrivendo<br />
il rischio dell’impresa. Anche Timur, invocando la pietà filiale e la giovane<br />
Liù, disperata ed in lacrime per il proprio amore segreto, tentano di far ragionare<br />
Calaf, il quale, ormai in preda ad una sorta di delirio, percuote per tre<br />
volte il gong, invocando ogni volta Turandot, al cui nome Liù, Timur ed i tre<br />
ministri rispondono con «la morte!».<br />
ATTO SECONDO<br />
In un padiglione - E’ notte. Ping, Pong e Pang, chiusi nella loro tenda ripassano<br />
il protocollo nuziale e quello funebre per essere pronti ad ogni evenienza.<br />
Si lamentano che, come Ministri, devono accompagnare all’esecuzione troppe<br />
sfortunate vittime. Preferirebbero vivere tranquilli in campagna. Ma quando<br />
il sole sorge, si avviano ad assistere all’ ulteriore supplizio.<br />
<strong>Il</strong> piazzale della reggia con una grande scala dove è posto il trono imperiale - Tutto<br />
è pronto per il rito degli enigmi. L’imperatore Altoum invita il Principe<br />
ignoto a rinunciare, ma Calaf rifiuta tre volte.<br />
<strong>Il</strong> Mandarino (sulla stessa musica dissonante del primo atto, n.d.r.) bandisce la<br />
prova, mentre appare Turandot. La Principessa avanza guardando negli<br />
occhi il nuovo pretendente e spiega le ragioni del suo comportamento:<br />
molti anni prima il suo Regno fu invaso dai tartari ed una sua antenata<br />
cadde preda di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot ha giurato<br />
che mai si lascerà possedere da un uomo. La Principessa invita Calaf<br />
a rinunciare alla prova, ma egli non vuole desistere. <strong>Il</strong> primo enigma viene<br />
proposto e Calaf lo risolve senza tentennamenti: la speranza! Turandot<br />
scende la scala e si avvicina a lui per il secondo enigma. Calaf pensa a<br />
lungo, ma poi risponde: il sangue!<br />
La folla, sperando nel successo, esulta, ma Turandot la obbliga al silenzio<br />
e, minacciosa, presenta il terzo enigma.<br />
Calaf, sembra voler rinunciare, provocando lo scherno della Principessa, ma<br />
Turandot<br />
Turandot Venerdì 29 aprile, ore 20.30<br />
L’azione si svolge a Pekino (così è riportato nel libretto originale, n.d.r.), al<br />
tempo delle favole<br />
Sabato 30 aprile, ore 18.00<br />
Venerdì 6 maggio, ore 20.30<br />
Sabato 7 maggio, ore 18.00<br />
“La risoluzione degli enigmi” in un figurino di Liebig<br />
Le Repliche<br />
3<br />
Domenica 8 maggio, ore 17.00<br />
Martedì 10 maggio, ore 20.30<br />
Mercoledì 11 maggio, ore 20.30<br />
“La morte di Liù” in un figurino di Liebig<br />
finalmente intuisce la risposta e dice felice: Turandot! Conquistando la vittoria.<br />
Turandot, ormai vinta ma non doma, si getta ai piedi del padre e lo supplica<br />
di non consegnarla allo straniero, ma per l’Imperatore la parola data<br />
è sacra. Turandot inveisce contro il Principe, dicendogli che così egli conquista<br />
una donna riluttante e piena d’odio.<br />
Calaf spiega che cerca una donna che lo ami e quindi la libera dall’impegno,<br />
proponendole a sua volta una nuova sfida: lui è pronto a morire se<br />
lei riuscirà prima dell’alba ad indovinare il suo nome. <strong>Il</strong> nuovo patto è<br />
accettato, mentre risuona solenne l’inno imperiale.<br />
ATTO TERZO<br />
Nel giardino della reggia - E’ una notte gravida di attesa ed in lontananza gli<br />
araldi portano in giro l’ordine della Principessa: Questa notte nessun<br />
dorma in Pechino! <strong>Il</strong> nome del principe ignoto deve essere scoperto. Calaf<br />
è sveglio e pregusta il vittorioso bacio a Turandot, immaginandola liberata<br />
dal gelo dell’odio.<br />
Giungono i Ministri che, per paura delle ire di Turandot, offrono a Calaf<br />
donne bellissime, ricchezze e gloria in cambio del suo nome, ricevendone<br />
però un secco rifiuto.<br />
Intanto Timur e Liù, insanguinati e logori, vengono trascinati davanti ai<br />
tre Ministri: sono sospettati di conoscere il nome del principe, visto che<br />
sono stati notati parlare con lui.<br />
Giunge Turandot. Liù, per cercare di salvare Timur, dice che solo lei conosce<br />
il nome dello straniero, ma non lo rivelerà. Iniziano le torture, ma Liù<br />
resiste e continua a tacere. Turandot è incredula: cosa dà tanto coraggio e<br />
forza alla giovane schiava? Liù le risponde che è semplicemente l’amore.<br />
Turandot resta turbata, ma poi ordina ai Ministri di carpire il segreto ad<br />
ogni costo.<br />
Liù, conscia di non poter resistere, strappa il pugnale ad uno <strong>dei</strong> torturatori<br />
e si uccide, cadendo ai piedi dell’amato Calaf. Con Timur e Calaf che<br />
compiangono Liù morta, si avvia il mesto corteo funebre.<br />
(Fin qui l’opera che Puccini riuscì a portare a termine prima della morte, avvenuta<br />
a Bruxelles il 29 novembre 1924)<br />
———————————-<br />
(Finale realizzato da Franco Alfano, sugli appunti pucciniani)<br />
Uscita la folla, Turandot e Calaf rimangono soli. Calaf, con l’impeto della<br />
passione, bacia la principessa. Questa dapprima lo respinge, ma poi gli<br />
confessa il “brivido fatale” e l’odio da cui fu colta la prima volta che lo<br />
vide ed anche di essere orami travolta dalla passione. Ma, orgogliosa, lo<br />
supplica di non umiliarla e di andarsene senza svelare il proprio nome.<br />
L’ignoto principe le dice, però, di essere Calaf, figlio del re Timur.<br />
Davanti al Palazzo Imperiale - E’ giorno. Tutti i dignitari ed una gran folla sono<br />
davanti al trono dell’Imperatore. Squillano le trombe per annunciare l’arrivo<br />
di Turandot, che annuncia di conoscere il nome dello straniero: il suo nome è<br />
Amore! e, tra le grida di festa <strong>dei</strong> presenti, si abbandona nelle braccia di Calaf.
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Giuseppe Giacobini, Piero Giuliacci e Renzo Zulian<br />
L’impavido Principe Calaf<br />
<strong>Il</strong> ruolo del principe Calaf è interpretato dal tenore Giuseppe<br />
Giacomini. Diplomato con il massimo <strong>dei</strong> voti all'Istituto Musicale<br />
Pollini di Padova, ha iniziato la sua esperienza artistica vincendo i<br />
concorsi internazionali di Adria, di Vercelli, della<br />
Scala di Milano e del S. Carlo di Napoli. Ha<br />
debuttato nel 1967 con Madama Butterfly e da<br />
allora ha cantato nei maggiori teatri d'opera dal<br />
Covent Garden di Londra al Metropolitan di<br />
New York, dalla Deutsche Oper di Berlino al<br />
Colon di Buenos Aires. L'artista vanta prestigiose<br />
registrazioni discografiche tra cui l'integrale<br />
di Cavalleria Rusticana realizzata nel 1990 per la<br />
Philips, in concomitanza con il Centenario della<br />
prima rappresentazione al Costanzi di Roma<br />
Giuseppe Giacomini<br />
(17 maggio 1890).<br />
Piero Giuliacci (29/4) ha compiuto gli studi di canto sotto la guida di<br />
Maria Negrelli. Vincitore assoluto del Puccini Foundation Competition<br />
di New York nel 1996, da allora è stato invitato a cantare nei principali<br />
teatri internazionali. Ha cantato Aida in Europa e nel Sud America, è<br />
stato in tournée con l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino in Sud<br />
Africa e a Lisbona. All'Arena di Verona ha cantato ne <strong>Il</strong> Trovatore di<br />
Zeffirelli, nell' Aida e in Turandot.<br />
Tra gli impegni futuri un Ballo in maschera, Adriana Lecouvreur e <strong>Il</strong><br />
Trovatore a Tel Aviv.<br />
Renzo Zulian (30/4; 6, 8, 11/5), veneziano di nascita, ha debuttato nel<br />
1992 al teatro dell'Opera di Timisoara (Romania) come Pinkerton nella<br />
Butterfly.<br />
A Salisburgo (Teatro Festival Hall) ha interpreato Rigoletto, e sempre<br />
con quest'opera ha compiuto una tournèe in Inghilterra (Teatri di<br />
Canterbury, Buxton, Oxford), in Germania (Teatri di Berlino,<br />
Mannheim) a Luzern, Strasbourg...<br />
Recentemente ha cantato Traviata in Giappone, Conchita di Zandonai al<br />
Festival di Wexford (Irlanda), Manrico nel Trovatore al Teatro Regio di<br />
Parma, Teatro Comunale di Modena e Reggio Emilia, Calaf nella<br />
Turandot a Mannheil in Germania.<br />
Turandot<br />
Katia Pellegrino e Anna Laura Longo<br />
Liù schiava siucida per amore<br />
Anna Laura Longo, nata a Milano, si è diplomata in pianoforte e tecnica<br />
vocale, perfezionandosi con Rodolfo Celletti. Nel 1996 ha vinto il concorso<br />
internazionale di Roma, e l'anno dopo si è esibita in Otello<br />
(Desdemona) al teatro Pergolesi di Iesi, a Mantova e al Cairo. Nel 1998 ha debuttato<br />
nelle Nozze di Figaro al Teatro dell'Opera di Roma, dove torna poco dopo per il<br />
Barbiere di Siviglia. Dal 2000 collabora anche con il Teatro Verdi di Trieste dove è<br />
stata Susanna nelle Nozze di Figaro, Dalinda in Ginevra di Scozia, e Rosina nel Barbiere<br />
di Siviglia di Paisiello. Al Festival di Torre del Lago è stata Mimì nella Bohème e Liù<br />
in Turandot.<br />
Al Teatro San Carlo è stata Euridice nell' Orfeo di Gluck.<br />
Tra gli impegni futuri da segnalare Le Nozze di Figaro in settembre al Teatro<br />
dell’Opera di Roma MacBeth al Teatro Comunale di Bologna. Don Giovanni (Donna<br />
Anna) al Bellini di Catania e Un segreto d'importanza di Rendine al Teatro<br />
Comunale di Bologna ed al Teatro dell’Opera di Roma.<br />
Katia Pellegrino (29/4; 7, 8, 10/5) è nata a Lecce ed ha studiato violino e canto<br />
presso il Conservatorio "B. Marcello"di Venezia. Nel 1991 ha frequentato<br />
5<br />
Giovanna Casella e Lucia Mazzaria<br />
La principessa del ghiaccio<br />
<strong>Il</strong> ruolo della gelida principessa cinese è affidato al soprano<br />
Giovanna Casolla. Diplomatasi in canto e pianoforte al<br />
Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha proseguito<br />
gli studi musicali con Michele Lauro e Walter Ferrari. L’esordio<br />
teatrale è avvenuto con La campana sommersa di Respighi al<br />
Teatro Verdi di Trieste a cui è seguito <strong>Il</strong> Castello del Principe<br />
Barbablù di Bartòk al<br />
Regio di Torino. Nel 1982<br />
il suo ingresso alla Scala<br />
con il pucciniano Tabarro<br />
sotto la direzione di<br />
Gavazzeni che l’ha poi<br />
diretta anche nella Fedora<br />
di Giordano sempre nel<br />
teatro scaligero.<br />
Successivamente al<br />
Metropolitan di New York<br />
ha cantato il Don Carlo di<br />
Verdi e la Tosca di Puccini,<br />
quest’ultima con la direzione<br />
di Placido Domingo.<br />
E’ regolarmente ospite <strong>dei</strong><br />
principali teatri e festival<br />
del mondo. Ricordiamo la<br />
sua ultima presenza, nel<br />
Giovanna Casella<br />
2004, al teatro dell'Opera<br />
di Roma come interprete di<br />
Santuzza in Cavalleria Rusticana.<br />
Ad alternarsi con la Casolla sarà il soprano Lucia Mazzaria<br />
(29/4; 7, 11/5). Nata a Gorizia e, terminati gli studi di canto, si<br />
è aggiudicata un primo premio al Concorso Puccini di Lucca<br />
ed il secondo al Concorso Internazionale di Rio de Janeiro. Ha<br />
debuttato nel 1987 al Teatro La Fenice di Venezia e da allora si<br />
è esibita in teatri italiani e stranieri: dal Covent Garden di<br />
Londra, al Metropolitan di New York, ma anche in Norvegia e<br />
Giappone. A Roma ha cantato nel Macbeth di Verdi alle Terme<br />
di Caracalla. I suoi ultimi debutti la vedono nei ruoli di Abigail<br />
nel Nabucco a Fermo e Atene, nonché Turandot a Lisbona e<br />
Catania. Fra i suoi impegni futuri due nuovi attesissimi debutti<br />
in Gioconda di Ponchielli e in Ernani di Verdi.<br />
l'"Accademia lirica mantovana" con corsi<br />
tenuti da Katia Ricciarelli e, nel 1997 ha<br />
debuttato in "La Bohème" presso il Teatro<br />
Marrucino di Chieti. Nell'ottobre 1998 ha<br />
debuttato come protagonista in "La<br />
Traviata" a Salerno, Como e Freiburg.<br />
Nell'ottobre 1999 ha poi cantato "Bohème"<br />
ad Adria, Lonigo, Legnago e Padova ed ha<br />
Anna laura Longo<br />
quindi debuttato a Bologna in "Petite Messe<br />
Solemnelle" di Rossini. Ha cantato "Norma" a Cremona, Como, Brescia, Pavia e<br />
Piacenza, "<strong>Il</strong> Trovatore" all'Opera di Roma, a Busseto, Sofia e Lisbona, "Luisa Miller"<br />
nel Circuito Lirico Lombardo, "La forza del Destino" a Lima, "Otello" e "Eugenio<br />
Onieghin" a Sassari, "<strong>Il</strong> Trovatore" al San Carlo di Napoli e a Sassari. E' stata diretta,<br />
tra gli altri, da Fabio Biondi, Paolo Carignani, Riccardo Chailly, Rafaeò Fruebeck de<br />
Burgos, Daniele Gatti. Tra i suoi prossimi impegni "I Lombardi alla Prima Crociata"<br />
a Firenze.<br />
Pagina a cura di Andrea Cionci
6 Turandot <strong>Il</strong><br />
La composizione della Turandot, ultima opera di<br />
Puccini, si svolse tra il 1920 e il 1924, in quegli<br />
ultimi quattro anni di vita del Compositore tristemente<br />
segnati dalla malattia che lo condurrà alla<br />
morte. Dopo il successo del Trittico nel gennaio 1919<br />
al Costanzi di Roma, Puccini si pose nuovamente<br />
con l’aiuto del fedele amico Giuseppe Adami alla ricerca<br />
di un soggetto per un’opera. Determinante per la<br />
nascita della Turandot fu però l’incontro con il giornalista<br />
Renato Simoni nell’autunno del 1919 a Torre del<br />
Lago, residenza amatissima dal Maestro, dove si dedicava<br />
alla sua grande passione, la caccia. Simoni, commediografo<br />
e critico drammatico sensibilissimo e raffinato,<br />
sembrò a Puccini il più adatto da affiancare ad<br />
Adami. L’intesa tra i due librettisti fu subito cordiale e<br />
produttiva: la prima proposta fu un testo tratto dalla<br />
riduzione teatrale dell’Oliver Twist di Dickens. L’opera,<br />
il cui titolo avrebbe dovuto essere Fanny, non piacque<br />
però a Puccini: l’ambientazione nello squallido clima<br />
<strong>dei</strong> sobborghi londinesi avrebbe potuto offrire solamente<br />
tematiche e situazioni già ampiamente utilizzate dal<br />
compositore, che invece aveva l’intenzione di “tentare<br />
vie non battute”.<br />
Nata in un ristorante milanese<br />
I biografi raccontano che la nascita della Turandot –<br />
soggetto così “regale” - avvenne, invece, in circostanza<br />
meno “nobile”: a tavola! Nel febbraio del 1920<br />
Puccini e Simoni erano in un ristorante milanese, per<br />
ingannare il tempo in attesa che il Maestro prendesse<br />
un treno per Roma. Simoni disse: «E Gozzi? … se<br />
ripensassimo a Gozzi?… una fiaba che fosse magari la<br />
sintesi di altre fiabe più tipiche?… Non so… qualche cosa<br />
di fantastico e di remoto, interpretato con sentimento di<br />
umanità e presentato con colori moderni?». Puccini fece<br />
il nome di Turandot e Simoni mandò immediatamente<br />
a prendere il volume nella sua biblioteca, in modo<br />
che Puccini potesse portarlo con se in treno. La<br />
Turandot di Carlo Gozzi, rappresentata per la prima<br />
volta a Venezia nel 1761 al teatro di San Samuele con<br />
la compagnia di Antonio Sacchi, affascinò subito il<br />
compositore per il carattere orientaleggiante che<br />
avrebbe potuto aprire più ampi e sfaccettati orizzonti.<br />
Puccini iniziò immediatamente a documentarsi,<br />
leggendo la versione in italiano del poeta Andrea<br />
Maffei - noto come librettista di Verdi - basata sulla traduzione<br />
in tedesco di Schiller. Puccini visionò anche<br />
riproduzioni sceniche e figurini di Max Reinhardt, il<br />
quale poco prima aveva curato la messa in scena della<br />
fiaba in Germania. Sull’argomento Puccini scrisse con entusiasmo<br />
a Simoni: «…in Reinhardt, Turandot era una donnina<br />
piccola piccola; attorniata da uomini di donnina viperina e con un<br />
cuore strano di isterica. Insomma io ritengo che Turandot sia il<br />
pezzo di teatro più normale e umano di tutte le altre produzioni di<br />
Gozzi. In fine: una Turandot attraverso il cervello moderno, il tuo,<br />
d’Adami e il mio».<br />
Difficoltà dietro l’angolo<br />
L’entusiasmo però era destinato ad essere frenato<br />
dall’effettiva difficoltà di ridurre la fiaba.<br />
L’epistolario pucciniano è il testimone delle difficoltà<br />
incontrate durante i quattro anni dedicati alla<br />
Principessa cinese. Puccini fu a lungo indeciso se<br />
costruire l’opera in uno, due o tre atti. La versione<br />
che né risultò fu quella in tre atti, ma il musicista<br />
sembrò più volte propendere per l’atto unico. Inoltre<br />
occorreva « lasciare un po’ da parte Gozzi e lavorare di<br />
logica e fantasia». <strong>Il</strong> primo rimaneggiamento operato<br />
in quest’ottica dai librettisti, fu la trasformazione<br />
delle quattro maschere della commedia italiana presenti<br />
nella fiaba - Tartaglia, Pantalone Truffaldino e<br />
Brighella - nei tre ministri cinesi Ping, Pang e Pong.<br />
L’altro cambiamento fondamentale fu l’introduzione<br />
della figura di Liù, non presente nella favola di<br />
Gozzi, con la funzione di umanizzare attraverso il<br />
suo sacrificio la figura della Principessa.<br />
Nella primavera del 1920 Puccini manifestava il suo<br />
sconforto ad Adami: «metto le mani al piano e mi si<br />
sporcano di polvere! La scrivania mia è una marea di lettere,<br />
non c’è traccia di musica. La musica? Cosa inutile. Non<br />
avendo il libretto come faccio con la musica? Ho quel gran<br />
difetto di scriverla solamente quando i miei carnefici burattini<br />
si muovono sulla scena…». Nel Natale dello stesso<br />
anno i librettisti sottoposero il primo atto a Puccini,<br />
ma l’iniziale giudizio fu negativo. Dopo alcune modifiche,<br />
in cui si diminuirono molte cineserie, Puccini lo<br />
approvò ed iniziò a strumentarlo. Nel 1921, a distanza<br />
di un anno, il primo atto fu completato. Ben più<br />
faticosi, invece, furono gli altri due atti per i quali il<br />
Maestro fu spesso sul punto di abbandonare la composizione.<br />
L’11 dicembre 1922 amaramente scriveva<br />
ad Adami: «di Turandot niente di buono. Comincio a<br />
impensierirmi della mia pigrizia! Che io sia saturo di Cina<br />
per aver fatto il primo e quasi il 2° atto? <strong>Il</strong> fatto sta che non<br />
riesco ad attecchire niente di buono. Sono anche vecchio!<br />
Questo è sicuro…. A Milano deciderò qualcosa. Forse<br />
restituisco i soldi a Ricordi e mi liberi».<br />
I primi mesi del 1923 furono ancora molto difficili,<br />
ma in primavera il compositore, rinfrancato nello spirito<br />
e con nuovo entusiasmo, si dedicò a strutturare e<br />
musicare il secondo atto. Nel gennaio 1924 Puccini<br />
annunciò ad Adami l’inizio dell’orchestrazione del<br />
terzo atto. In aprile finalmente la composizione della<br />
Turandot era a buon punto ed il compositore né diede<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Storia dell’opera<br />
In un ristorante milanese la nascita di Turandot<br />
ancora notizia ad Adami: «Penso ora per ora, minuto<br />
per minuto a Turandot e tutta la mia musica scritta fino ad<br />
ora mi pare una burletta e non mi piace più».<br />
Triste presagio<br />
L’autunno di quello stesso anno - 1924 - fu caratterizzato<br />
dall’incontro a Salsomaggiore e dalla riappacificazione<br />
con Arturo Toscanini, dopo lo screzio sorto a<br />
causa di una incomprensione, quando in aprile il<br />
direttore diede l’ordine di non ammetterlo alla prova<br />
generale della prima esecuzione postuma del Nerone<br />
di Boito al Teatro Alla Scala. Pochi giorni dopo i due<br />
si incontrano a Milano e Puccini fece ascoltare all’amico<br />
ritrovato il terzo atto di Turandot, fino al punto<br />
in cui Liù sacrifica la propria vita. Ad esecuzione terminata<br />
Puccini disse a Toscanini la frase che egli<br />
avrebbe dovuto pronunziare davanti al pubblico se<br />
lui fosse stato nell’impossibilità di concludere l’opera:<br />
«E qui, signori, il maestro è morto». Presagio sinistro.<br />
<strong>Il</strong> male alla gola, manifestatosi già da parecchi<br />
mesi, iniziò ad aumentare ed in ottobre Puccini si era<br />
recato a Firenze per essere visitato. La diagnosi atroce<br />
fu cancro alla gola. Come ultimo tentativo fu consigliata<br />
una cura presso una clinica specializzata in<br />
Belgio e Puccini si recò a Bruxelles per essere ricoverato.<br />
La sera del 28 novembre sopraggiunse una crisi<br />
cardiaca. Puccini lottò per la vita l’intera notte e il mattino<br />
successivo. <strong>Il</strong> 29 novembre 1924 verso mezzogiorno<br />
il cuore del maestro cessò di battere. Turandot, come il<br />
suo stesso creatore aveva funestamente previsto, era<br />
rimasta incompleta.<br />
Un finale postumo<br />
Gli editori di casa Ricordi, Clausetti e Valcarenghi,<br />
decisero allora di farla terminare dal musicista<br />
Franco Alfano. Questi pensò di utilizzare le trentasei<br />
pagine di abbozzi lasciati dal Maestro per il duetto e,<br />
nelle parti in cui gli schizzi non erano di aiuto, i temi<br />
precedentemente usati dal compositore all’interno<br />
dell’opera. <strong>Il</strong> lavoro, così completato, era pronto per<br />
andare in scena. Alla vigilia la recita rischiò, però, di<br />
essere annullata per un increscioso incidente diplomatico.<br />
Mussolini, in quei giorni a Milano, fu invitato<br />
alla “prima” dalla direzione della Scala. <strong>Il</strong> Duce<br />
impose come condizione che durante la serata fosse<br />
eseguito l’inno fascista in suo onore, dal momento<br />
che Toscanini nel 1923 si era rifiutato di eseguirlo<br />
davanti ad un gruppo di Camicie Nere. Ancora una<br />
volta Toscanini si oppose ed il Duce non prese parte<br />
alla “prima”.<br />
<strong>Il</strong> 25 aprile del 1926, dinanzi al commosso pubblico<br />
della Scala, la Turandot andò in scena. <strong>Il</strong> cast composto<br />
da Rosa Raisa nel ruolo di Turandot, Maria<br />
Bamboli in quello di Liù e Miguel Fleta in quello di<br />
Calaf, utilizzo le scene di Galileo Chini. Dopo la<br />
morte di Liù, Toscanini – come è noto - seguì la<br />
volontà di Puccini: interrompendo la musica e voltandosi<br />
verso il pubblico, con voce velata, disse:<br />
«Qui finisce l’opera, perché a questo punto il maestro è<br />
morto. La morte in questo caso è stata più forte dell’arte».<br />
e poi: “viva Puccini!”. Subito scrosciarono gli<br />
applausi, mentre il sipario calava. Dalla sera successiva<br />
le recite proseguirono con il finale realizzato da<br />
Alfano.<br />
C.C.
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
la perdita del caro<br />
Giacomo, che amai con<br />
“Piango<br />
affetto di fratello, con<br />
ammirazione di discepolo.<br />
Accolgano il conforto del rimpianto<br />
universale per l’uomo dalla sua<br />
opera fatto immortale”. Così il 29<br />
novembre 1924 da Vienna, dove<br />
si trovava per una serie di concerti,<br />
Mascagni scriveva ad<br />
Elvira Puccini. Poche ore prima<br />
a Bruxelles l’amico Giacomo si<br />
era spento, distrutto dal tumore<br />
alla gola.<br />
La morte del grande collega e<br />
amico con il quale aveva in gioventù<br />
condiviso sogni e sofferenze,<br />
scosse profondamente il<br />
compositore livornese, il quale<br />
nelle lettere di quel periodo si<br />
espresse con forti accenti polemici.<br />
Vale la pena leggere ad esempio<br />
quella inviata il 4 dicembre alla<br />
figlia Emy: «…non so dirti quale<br />
colpo sia stato per me l’annunzio<br />
improvviso della morte di Puccini.<br />
Avevo notizie abbastanza buone:<br />
ero tranquillo il giorno; prima<br />
avevo avuto tali notizie favorevoli,<br />
che con vera commozione avevo<br />
telegrafato all’Ambasciatore<br />
d’Italia a Bruxelles pregandolo di<br />
portare all’amico carissimo il mio<br />
saluto ed augurio. E invece..... E<br />
quale morte terribile, povero<br />
Giacomo! Io sono ancora molto<br />
impressionato e non riesco a rimettermi.<br />
Non posso crederci ancora. E<br />
sono anche molto addolorato ed<br />
avvilito che quei bottegaî <strong>dei</strong><br />
Milanesi hanno già iniziato una<br />
speculazione su Puccini. Mentre la<br />
famiglia voleva che la salma andasse<br />
a Lucca, i bravi (?) milanesi<br />
l’hanno voluta a Milano.... e<br />
Toscanini ha messo a disposizione<br />
la tomba della propria famiglia....<br />
Sono cose che fanno male.... Ed<br />
intanto si sta già preparando la<br />
speculazione sull’opera postuma.<br />
Prima con Boito, ora con<br />
Puccini!... Ho avuto molto dispiacere<br />
nell’apprendere, da un telegramma<br />
dell’Avv. Belli, che lo stesso<br />
Belli, unitamente a Gasco,<br />
abbiano affacciato l’idea di far terminare<br />
a me la Turandot. Meno<br />
Turandot<br />
Le invettive del Maestro sulle speculazioni milanesi<br />
E Mascagni disse:<br />
«Lasciate Turandot com’è!»<br />
<strong>Il</strong> 22 dicembre 1858, nelle<br />
prime ore della notte,<br />
Giacomo Puccini nasceva a<br />
Lucca, nella casa di corte<br />
S.Lorenzo, a Lucca. Fu battezzato<br />
il giorno successivo, al<br />
fonte battesimale <strong>dei</strong> SS.<br />
Giovanni e Reparata, con i<br />
nomi di Giacomo Antonio<br />
Domenico Michele Secondo<br />
Maria. Era infatti l’ultimo<br />
musicista di una singolare<br />
dinastia che in un arco temporale<br />
di un secolo e mezzo aveva<br />
dominato la vita musicale lucchese.Al<br />
momento della sua<br />
nascita abitavano la casa i genitori,<br />
Michele e Albina Magi, la<br />
nonna Angela Cerù, le sorelle<br />
Otilia, Tomaide (la terza nata,<br />
Temi, era vissuta meno di un<br />
anno), Maria Nitteti e Iginia, e<br />
una serva. Un anno dopo<br />
nascerà l’altra sorella Ramelde,<br />
sarà assunta un’altra serva, e<br />
più avanti nasceranno ancora<br />
Macrina e infine, dopo la morte<br />
del padre, Domenico Michele<br />
(Lucca, 1864 - Rio de Janeiro,<br />
1891) anch’egli musicista.<br />
Giacomo, rimasto presto orfano<br />
di padre, visse in questa<br />
casa gli anni dell’infanzia e<br />
della prima giovinezza, prima<br />
del trasferimento a Milano per<br />
proseguire gli studi. Restò sempre<br />
legato ai ricordi che lo legavano<br />
alla sua casa natale e si<br />
adoperò, quando le condizioni<br />
economiche glielo consentirono,<br />
affinché rimanesse di proprietà<br />
della famiglia.<br />
La famiglia Puccini, che nella<br />
prima metà del XVIII secolo si<br />
era stabilita a Lucca in un’abitazione<br />
posta in via Pozzotorelli,<br />
l’odierna via Vittorio Veneto, si<br />
era trasferita in corte S. Lorenzo<br />
intorno al 1815, poco dopo la<br />
morte improvvisa e prematura<br />
di Domenico, nonno di<br />
Giacomo e pregevole operista.<br />
Aveva voluto così la giovane<br />
vedova, Angela Cerù, per riavvicinarsi<br />
alla sua famiglia d’origine,<br />
che abitava nello stesso<br />
stabile. La famiglia Cerù - in<br />
particolare Nicolao, cugino del<br />
male che, in una intervista che ebbi<br />
qui col corrispondente della<br />
“Tribuna”, espressi già il mio pensiero<br />
in proposito. Peccato che la<br />
“Tribuna” non l’abbia riportato<br />
esattamente, ma in ogni modo si<br />
capisce che io ho detto che l’opera<br />
deve essere eseguita così come si<br />
trova, anche se incompiuta: non si<br />
deve ripetere lo sconcio commesso<br />
col Nerone (l’opera che Boito<br />
lasciò incompiuta e che fu portata<br />
a termine da Tommasini e<br />
Smareglia sotto la supervisione<br />
di Toscanini, n.d.r.), tanto più<br />
che, per Puccini, sarebbe ancora<br />
una profanazione, perché Puccini è<br />
stato un vero e grandissimo musicista<br />
e non uno stitico che aspettava<br />
sempre l’aiuto e l’elemosina di<br />
qualcuno, e che in vita non la<br />
trovò.... e l’ha trovata dopo<br />
morto....».<br />
La morte di Liù è<br />
già un finale<br />
Mascagni, dunque, riteneva che<br />
Turandot dovesse rimanere<br />
come l’aveva lasciata Puccini.<br />
Una scelta dettata in lui dal<br />
padre Michele - svolgerà un<br />
ruolo importante nella formazione<br />
di Giacomo.<br />
L’appartamento, piuttosto<br />
grande ma appena sufficiente<br />
per una famiglia numerosa<br />
come quella di Giacomo (in cui<br />
tutti, almeno il padre e i figli,<br />
facevano musica) aveva, come<br />
oggi, due ingressi sul medesimo<br />
pianerottolo, come testimonia<br />
una lettera del 1817 di<br />
Antonio, bisnonno di Giacomo.<br />
Oggi museo<br />
Oggi la casa natale di Giacomo<br />
Puccini custodisce oggetti a lui<br />
appartenuti: mobili di famiglia,<br />
un cappotto, preziose<br />
onorificenze che testimoniano<br />
gli straordinari successi ottenuti<br />
dal compositore in tutto il<br />
mondo. Sono anche esposti:<br />
autografi di importanti composizioni<br />
giovanili, la Messa a<br />
4 voci (1880) e il Capriccio sinfonico<br />
(1883), una ricca collezione<br />
di lettere scritte e ricevute<br />
dal compositore tra il 1889 e il<br />
Puccini e Mascagni ai funerali di Ruggero Leoncavallo<br />
rispetto nei confronti dell’amico,<br />
ma suggerita anche da considerazioni<br />
di tipo drammaturgico:<br />
la morte di Liù è già di per<br />
sé un “finale”, lascia la storia fra<br />
Calaf e Turandot sospesa, ma<br />
chiude coerentemente l’opera.<br />
Ma a proposito di Mascagni,<br />
può essere interessante riportare<br />
ancora la seguente lettera<br />
inviata il 22 dicembre alla figlia:<br />
«…io sono veramente sorpreso di<br />
tutta la speculazione che in Italia si<br />
fa sopra la sventura: la morte di<br />
Puccini ha svegliato nuove cupidigie<br />
e nuovissime ambizioni: la città<br />
di Milano vuole avere il monopolio<br />
delle salme degli uomini illustri.<br />
Hai letto il discorso del Sindaco<br />
Mangiagalli sul feretro di<br />
Puccini?... Non si può andare più<br />
in là in materia di speculazione e di<br />
réclame: ha detto che Verdi morì e<br />
1915 (destinatari e mittenti: la<br />
moglie Elvira, il figlio Antonio,<br />
Giulio Ricordi), e una serie di<br />
emozionanti testimonianze<br />
degli ultimi momenti di vita<br />
del compositore, che - a causa<br />
dell’operazione subita per l’asportazione<br />
del tumore alla<br />
gola - comunicava solo tramite<br />
brevi messaggi scritti. L’ultima<br />
opera, Turandot - la cui composizione<br />
fu interrotta appunto<br />
dalla morte dell’autore a<br />
Bruxelles, il 29 novembre 1924<br />
- è evocata dalla presenza del<br />
pianoforte Steinway su cui l’opera<br />
fu composta, nella villa di<br />
Viareggio (una fotografia<br />
ritrae Puccini proprio davanti<br />
a questo strumento, con il<br />
figlio Antonio), e dallo splendido<br />
costume di scena per il II<br />
atto, donato alla Fondazione<br />
Puccini dalla celebre cantante<br />
Maria Jeritza, a ricordo del<br />
primo allestimento dell’opera<br />
al Metropolitan Opera House<br />
di New York, nel 1926. <strong>Il</strong> costume<br />
realizza il disegno studiato<br />
7<br />
fu sepolto in Milano; e, dopo Verdi,<br />
Boito morì e fu sepolto in Milano;<br />
ed oggi, per quanto Puccini sia<br />
morto all’estero, Milano ha la gloria<br />
di avere la sua salma.... Alla<br />
larga di questi necrofori jettatori!<br />
Mi aspettavo che continuasse, con<br />
l’augurio (?) di avere in Milano<br />
tutti i morti illustri, anche se la<br />
loro morte avviene lontana dalla.....<br />
necropoli lombarda..... Da Roma, il<br />
Marchese Monaldi mi perseguita<br />
con lettere e telegrammi per avere<br />
da me una prefazione al libro che<br />
egli scrisse sopra Puccini, e del<br />
quale sta preparando la seconda<br />
edizione, in occasione della morte<br />
del Maestro. Insomma, si specula<br />
in modo indegno; e non si capisce<br />
che io non intendo di prestarmi a<br />
questo basso giuoco. E non rispondo<br />
neppure: sono nauseato! [...]».<br />
Roberto Iovino<br />
Nella casa natale di Puccini a Lucca<br />
Tra i cimeli, il pianoforte su cui fu composta Turandot<br />
da Brunelleschi per la prima<br />
assoluta, poi sostituito da<br />
quello di Caramba.<br />
Si possono infine ammirare<br />
alcuni bei quadri, come i pregevoli<br />
ritratti di Giacomo<br />
Puccini senior e di sua moglie<br />
Angela Piccinini, eseguiti da<br />
un importante pittore lucchese,<br />
Giovanni Domenico<br />
Lombardi detto “L’omino”, in<br />
occasione delle loro nozze;<br />
come il ritratto di Antonio<br />
Puccini, probabilmente una<br />
copia d’epoca dell’originale<br />
custodito presso il Civico<br />
Museo Bibliografico Musicale<br />
di Bologna; od anche lo<br />
Stemma della famiglia, che il<br />
compositore non era disposto<br />
a lasciare in casa di altri parenti.<br />
E’ esposto, infine, lo stupendo<br />
ritratto di Giacomo Puccini,<br />
opera di Leonetto Cappiello,<br />
con dedica “A Giacomo Puccini<br />
con grande ammirazione e vera<br />
amicizia” e data “Paris, 11 gennaio<br />
1899”.<br />
Mi. Mar.
8 Turandot <strong>Il</strong><br />
La sera del 25 aprile<br />
1926 va in<br />
scena al Teatro<br />
alla Scala di Milano la<br />
prima rappresentazione<br />
assoluta di Turandot<br />
di Giacomo Puccini.<br />
Appena conclusa la<br />
scena dello straziante<br />
corteo funebre per Liù,<br />
la musica si interrompe<br />
e Arturo Toscanini, dal<br />
podio, con una voce<br />
resa incerta dall’emozione,<br />
si rivolge al pubblico<br />
trepidante:<br />
«Qui finisce l’opera, perché<br />
a questo punto il maestro è<br />
morto. La morte in questo<br />
caso è stata più forte dell’arte».<br />
Dopo qualche istante di<br />
stupore, gli spettatori<br />
prorompono in fragorosi<br />
applausi, gridando<br />
«Viva Puccini!».<br />
Toscanini aveva deciso<br />
per la “prima”- come<br />
volontà espressagli da<br />
Puccini - di onorare in<br />
questo modo la memoria<br />
del compositore, terminando<br />
l’esecuzione<br />
nel punto esatto in cui<br />
la mano del “Lucchese”<br />
si era fermata. (<strong>Il</strong> compositore<br />
era morto in<br />
seguito a complicazioni<br />
post-operatorie nel<br />
1924 a Bruxelles, dove<br />
si era recato per curare<br />
un cancro all’esofago).<br />
Peraltro, lo stesso<br />
Toscanini era stato,<br />
insieme ai parenti del<br />
musicista e alla Casa<br />
Ricordi, fra coloro che<br />
avevano fortemente<br />
voluto che Turandot<br />
venisse completata da<br />
un altro compositore.<br />
Infatti, sebbene nella<br />
musica strumentale un<br />
lavoro incompiuto<br />
possa esercitare un<br />
indiscutibile fascino e<br />
mantenere comunque<br />
inalterato il suo impatto<br />
comunicativo, nel<br />
teatro musicale, soprattutto<br />
a partire da quello<br />
tardo ottocentesco, una<br />
grave mutilazione<br />
come la mancanza del<br />
finale poteva mettere in<br />
seria discussione la<br />
fruibilità di un’intera<br />
opera.<br />
Lasciare in sospeso il<br />
corso dell’azione di<br />
Turandot, avrebbe,<br />
però, fatto traballare le<br />
colonne portanti dell’intera<br />
struttura musicale<br />
e drammatica dell’opera.<br />
I primi compositori che<br />
vennero contattati furono<br />
Riccardo Zandonai e<br />
Pietro Mascagni, i quali<br />
però declinarono l’offerta.<br />
La scelta cadde su<br />
Alfano<br />
Fu invece il compositore<br />
napoletano Franco<br />
Alfano, allora cinquantenne,<br />
che, seppure<br />
dopo molte perplessità,<br />
accettò il gravoso compito,<br />
che pure gli<br />
avrebbe dato quella<br />
duratura fama che le<br />
sue altre opere, come<br />
Resurrezione (1904) o La<br />
leggenda di Sakuntala<br />
(1921), non sarebbero<br />
riuscite a procurargli.<br />
Compositore di rilievo,<br />
artista esuberante ed<br />
entusiasta, Alfano si era<br />
formato sulle orme di<br />
Puccini, del quale era<br />
anche divenuto amico<br />
personale. Era anch’egli<br />
un compositore legato<br />
alla Casa Ricordi e si<br />
era affermato con<br />
discreto successo qualche<br />
anno prima con l’opera<br />
La Leggenda di<br />
Sakuntala, anch’essa di<br />
ambientazione orientale,<br />
che tuttavia il pubblico<br />
stava già dimenti-<br />
cando. I committenti<br />
del lavoro pensarono<br />
che l’indiana Sakuntala<br />
sarebbe potuta efficacemente<br />
diventare sorella<br />
della cinese Turandot.<br />
Puccini aveva portato<br />
con sé, nella clinica di<br />
Bruxelles dove si doveva<br />
operare, 36 fogli<br />
pentagrammati contenenti<br />
gli appunti per il<br />
finale di Turandot, a cui<br />
contava di lavorare<br />
durante la convalescenza.<br />
Quando Alfano li<br />
prese in esame, si trovò<br />
di fronte un materiale<br />
confuso, pieno di cancellature,<br />
tagli e sommarie,<br />
quasi incomprensibili,<br />
annotazioni<br />
come «qui trovare la<br />
melodia tipica vaga<br />
insolita» oppure «Poi<br />
Tristano…».<br />
Quest’ultima frase è<br />
stata variamente interpretata:<br />
secondo Mosco<br />
Carner, grande biografo<br />
di Puccini, egli avrebbe<br />
voluto inserire in quel<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Le due versioni del finale postumo dell’opera<br />
L’ingrato compito di Franco Alfano:<br />
Giacomo Puccini nel 1924<br />
Franco Alfano<br />
Figurino prima di Turandot<br />
punto un intermezzo<br />
orchestrale, che avrebbe<br />
rievocato la magica<br />
atmosfera dell’opera<br />
wagneriana nel momento<br />
del bacio di Calaf.<br />
Secondo Teodoro Celli,<br />
invece, il compositore<br />
avrebbe voluto ritornare<br />
al tema inserito nel concertato<br />
finale del primo<br />
atto, che sembra già ispirato<br />
al tema del mare nel<br />
Tristano.<br />
Delle 375 battute scritte<br />
da Alfano, appena 97<br />
sono quelle originali di<br />
Puccini, desunte dalla<br />
sua bozza, e precisamente:<br />
l’inizio del<br />
duetto Principessa di<br />
gelo fino all’aria Del<br />
primo pianto, di cui il<br />
materiale tematico era<br />
solo accennato. Gli<br />
stessi cenni sommari<br />
riguardavano il tema<br />
degli ottoni che introducono<br />
il secondo quadro<br />
e la ripresa del tema<br />
del Nessun dorma nel<br />
coro finale.
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
finire Turandot<br />
Le due versioni<br />
<strong>Il</strong> lavoro di Alfano fu<br />
completato e consegnato<br />
nel gennaio 1926 e<br />
Ricordi ne stampò uno<br />
spartito per canto e pianoforte.<br />
Questa edizione<br />
rappresenta una<br />
vera rarità, di cui esistono<br />
solo 12 copie in<br />
tutto il mondo. Infatti<br />
venne ben presto ritirata<br />
dal mercato:<br />
Toscanini la rifiutò con<br />
la motivazione che in<br />
essa vi fosse «troppo<br />
Alfano e poco Puccini».<br />
Le discussioni e i malumori<br />
non mancarono,<br />
ma alla fine la volontà<br />
dello scorbutico ed<br />
inflessibile direttore<br />
d’orchestra prevalse e<br />
107 battute di Alfano<br />
vennero tagliate impietosamente,<br />
conducendo<br />
alla stesura di una<br />
seconda versione della<br />
partitura.<br />
Le parti tagliate non<br />
erano state scritte a<br />
caso da Alfano ed erano<br />
funzionali a rendere<br />
La prima edizione di Turandot<br />
con gradualità e penetranza<br />
psicologica il<br />
progressivo mutamento<br />
interiore di Turandot,<br />
come per i fondamentali<br />
momenti successivi al<br />
bacio di Calaf o alla<br />
rivelazione del nome<br />
del principe. Toscanini,<br />
tuttavia, da grande<br />
conoscitore della<br />
vocalità, era anche<br />
consapevole che l’impegno<br />
richiesto ai cantanti<br />
nell’esecuzione<br />
della prima versione<br />
sarebbe stato eccessivo.<br />
Fu questa, probabilmente,<br />
la motivazione<br />
della sua impuntatura.<br />
La prima versione di<br />
Alfano fu riesumata<br />
solo nel 1982, in forma<br />
d’oratorio, alla<br />
Barbican Hall di<br />
Londra, dopo il ritrovamento<br />
della partitura<br />
negli archivi Ricordi<br />
e da allora è stata<br />
ripresa in diverse<br />
occasioni, l’ultima<br />
delle quali al Teatro<br />
Turandot<br />
Bozzetto del secondo atto per la prima rappresentazione di Turandot<br />
del Giglio di Lucca,<br />
nel 2003.<br />
Alfano ebbe la sfortuna<br />
di nascere in un<br />
momento di crisi del<br />
melodramma, dove,<br />
per giunta, giganteggiava<br />
la figura di<br />
Puccini. <strong>Il</strong> suo caratte-<br />
Ci ha provato subito dopo la<br />
morte di Puccini, Franco Alfano,<br />
ci ha provato recentemente<br />
Luciano Berio. Ma nell’opera degli enigmi,<br />
l’enigma centrale, quello dell’epilogo<br />
a lieto fine con la gelida Turandot<br />
che si scioglie per Calaf, rimane a tutt’oggi<br />
irrisolto.<br />
<strong>Il</strong> trionfo dell’amore, il mutamento della<br />
principessa di ghiaccio, per quanto lo si<br />
rallenti (e Berio ha inserito un breve<br />
interludio strumentale, quasi a voler<br />
concedere qualche minuto in più alla<br />
donna per la metamorfosi) rimane<br />
improvviso e inaspettato.<br />
Certo, la trasformazione repentina di<br />
Turandot era già in Gozzi, ma lì l’atmosfera<br />
fiabesca la giustificava.<br />
In Puccini la dimensione favolistica è<br />
appena evocata da Ping,Pong e Pang;<br />
nel resto si è in un dramma alquanto<br />
forte e vibrante che sfocia in commedia<br />
a lieto fine con qualche difficoltà.<br />
E così, dopo l’interruzione di Toscanini<br />
all’esecuzione dell’opera alla “prima<br />
assoluta” del 1926 al momento della<br />
morte di Liù dove l’aveva lasciata<br />
Puccini (così diversa dalla gozziana<br />
Adelma), dopo il finale (anzi il doppio<br />
finale: quello tagliato e quello intero) di<br />
Alfano, dopo l’ultima fatica di Berio, si<br />
potrebbe suggerire un ulteriore finale a<br />
re sanguigno e indipendente<br />
non gli consentiva<br />
di inseguire i<br />
gusti del pubblico ed<br />
egli cercò pertanto di<br />
imporre una sua idea<br />
di teatro musicale.<br />
Morì quasi dimenticato<br />
dalla critica, ricor-<br />
9<br />
dato solo per il suo<br />
lavoro di completamento<br />
di Turandot,<br />
che, pur essendo stato<br />
compiuto con scrupolo<br />
e sensibilità, venne<br />
bistrattato da direttori<br />
d’orchestra e critici<br />
musicali.<br />
Andrea Cionci<br />
Proposta per un finale<br />
Uccidete Calaf!<br />
sorpresa: la morte di Calaf.<br />
Calaf, in effetti, merita di morire. Egli,<br />
infatti, è - si badi bene - molto più crudele<br />
di Turandot. La Principessa fa<br />
decapitare i suoi spasimanti, ma non li<br />
conosce neppure. Ella mantiene un<br />
atteggiamento distaccato, li invita<br />
anche a desistere prima di leggere i fatidici<br />
tre enigmi. Se poi, volontariamente<br />
ed incoscientemente, quelli si lanciano<br />
nel “quiz”, la responsabilità è anche e<br />
soprattutto loro.<br />
Calaf, invece, getta allo sbaraglio il<br />
povero padre e la deliziosa Liù per un<br />
semplice capriccio. Guarda Liù che si<br />
suicida per salvarlo e non muove un<br />
dito. Manda in giro il padre cieco per il<br />
mondo senza alcuna pietà. Di quale<br />
umanità, dunque, è capace?<br />
Dalla morte di Calaf, Turandot avrebbe<br />
tutto da guadagnare. Manterrebbe la<br />
propria coerenza, dimostrando fino in<br />
fondo la propria crudeltà, giocando uno<br />
splendido tranello al suo spasimante e<br />
battendolo dopo averlo blandito e<br />
sedotto. Una gran donna.<br />
«O Padre Augusto… ora conosco il<br />
nome dello straniero.<br />
<strong>Il</strong> suo nome… è Calaf!»<br />
Uccidete Calaf. Avanti un altro!<br />
Roberto Iovino
10 Turandot <strong>Il</strong><br />
Alcuni anni orsono<br />
Casa Ricordi<br />
incaricò il compositore<br />
Luciano Berio,<br />
scomparso a Roma il 27<br />
maggio 2003, di mettere<br />
mano agli appunti<br />
lasciati da Puccini al<br />
momento della morte<br />
avvenuta a Bruxelles il<br />
29 novembre 1924, e di<br />
rifare un finale per la<br />
Turandot più ragionato<br />
di quello steso all’epoca<br />
da Franco Alfano. La<br />
“prima” mondiale della<br />
rinnovata Turandot è<br />
andata in scena all’opera<br />
di Los Angeles il 25<br />
maggio 2002, seguita da<br />
quella europea allo Het<br />
Muziektheater di<br />
Amsterdam (1° giugno<br />
2002), e dalle recite al<br />
Festival di Salisburgo (7<br />
agosto 2002). L’intero<br />
atto terzo, col nuovo<br />
finale, era tuttavia già<br />
stato eseguito in forma<br />
di concerto al Festival<br />
delle Canarie il 24 gennaio<br />
2002<br />
Pubblichiamo un’intervista<br />
rilasciata da<br />
Luciano Berio a Sandro<br />
Cappelletto pubblicata<br />
sul quotidiano “La<br />
Stampa” il 12 Gennaio<br />
2002 in cui il Maestro<br />
spiega le motivazioni<br />
e le finalità del suo<br />
lavoro.<br />
D. - Com’è nato questo<br />
progetto?<br />
Da parecchie parti, da<br />
parecchi anni, mi chiedevano<br />
di farlo. Finora mi<br />
ero sempre sganciato da<br />
questa possibilità, però poi,<br />
approfondendo il lavoro<br />
sugli schizzi, mi sono convinto.<br />
Ho sempre amato<br />
Turandot, la conosco<br />
benissimo, il primo atto è<br />
davvero mirabile, e poi alle<br />
Canarie c’è questo bellissimo<br />
festival di orchestre<br />
internazionali, che amo<br />
molto.<br />
D. - Come ha orientato<br />
il Suo lavoro?<br />
Turandot è un’opera speciale<br />
nel panorama pucciniano.<br />
Credo che non l’abbia<br />
finita non perché è<br />
morto, ma perché è stato<br />
tradito da un libretto<br />
intrattabile: questo racconto<br />
orientale che finisce<br />
con l’happy end è di una<br />
volgarità indicibile, era<br />
con questo che Puccini<br />
aveva problemi, non con<br />
altro, lo si vede dagli schizzi<br />
che ha lasciato, materiale<br />
estremamente interessante<br />
da cui si capisce che<br />
stava avviandosi su vie<br />
musicalmente nuove. Ho<br />
ripensato il finale in modo<br />
totale, non più un happy<br />
en, ma una conclusione<br />
più sospesa e reticente,<br />
come si addice ad una<br />
visione orientale delle cose,<br />
meno deterministica,<br />
meno ovvia.<br />
D. - Dunque è intervenuto<br />
anche sul libretto.<br />
Ho semplificato, sottratto,<br />
eliminato le cose più volgari,<br />
sempre in rapporto al<br />
progetto musicale concepito<br />
esaminando gli schizzi,<br />
che mettono in luce le questioni<br />
musicali che preoccupavano<br />
Puccini in<br />
Turandot. Puccini è stato<br />
un musicista italiano di<br />
cultura europea, viaggiava,<br />
ascoltava tutto, andava<br />
spesso a Bayreuth, aveva<br />
conosciuto Schönberg che<br />
nutriva per lui un’enorme<br />
ammirazione. Gli sviluppi<br />
armonici additati in<br />
Turandot sono in un certo<br />
senso nuovi, solo<br />
Stravinskij nella Sagra<br />
della primavera dieci anni<br />
prima aveva fatto qualcosa<br />
del genere, con il tessuto<br />
armonico concepito non<br />
solo come sviluppo di funzioni,<br />
che è la cosa normale,<br />
ma anche come produzione<br />
di accordi-oggetto, di<br />
entità armoniche isolabili -<br />
ad esempio accordi politonali<br />
- che hanno significato<br />
di per sé. Ma ci sono<br />
tantissime cose, ad esempio<br />
un ripensamento di<br />
Wagner (in questi schizzi<br />
e altro materiale pucciniano<br />
relativo a Turandot troviamo<br />
notazioni come «e<br />
poi Tristano» e «San Graal<br />
chinese»), come nei cromatismi<br />
sotto «Tu che di gel<br />
sei cinta».<br />
D. - Ha enfatizzato questi<br />
aspetti?<br />
Diciamo che ho solo spinto<br />
le cose più in là, evidenziato<br />
un tessuto nascosto, ad<br />
esempio, negli schizzi pucciniani,<br />
un ambiente di “la<br />
minore” che mi suggerisce<br />
l’«accordo del Tristano»,<br />
oppure le prime quattro<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Intervista a Luciano Berio, autore dell’ultimo finale<br />
Ancora un altro finale per Turandot<br />
battute dell’opera con le<br />
terze e quarte aumentate,<br />
che mi portano a<br />
segnalare una presenza<br />
virtuale in questa partitura<br />
della Settima di<br />
Mahler, <strong>dei</strong> Gurrelieder<br />
di Schönberg. Diciamo<br />
che questo materiale<br />
l’ho commentato, non<br />
l’ho mai lasciato solo,<br />
c’è da parte mia un elemento<br />
non di disturbo,<br />
ma di esemplificazione,<br />
di commento appunto.<br />
D. - Riassumendo,<br />
un Puccini che guarda<br />
avanti ma è<br />
impossibilitato a<br />
procedere dalle forzature<br />
della materiatrattata?<br />
Sì, mi interessava tirar<br />
fuori, mettere in evidenza,<br />
non in maniera<br />
plateale e ovvia, quello<br />
che questa partitura<br />
contiene e le difficoltà che<br />
l’autore ha incontrato.<br />
Certo Puccini era un compositore<br />
di successo e questo<br />
ha determinato la sua<br />
opera, dietro di lui c’era la<br />
paurosa macchina finanziaria<br />
di Casa Ricordi:<br />
doveva avere successo e<br />
l’ha avuto, del resto questa<br />
è la vicenda di tutti gli<br />
operisti italiani, con l’eccezione<br />
parziale di Verdi, che<br />
si muoveva su un’altra<br />
dimensione, etica se<br />
vogliamo: il successo era<br />
una condizione “sine qua<br />
non”, che determinava l’opera,<br />
imponeva delle strategie.<br />
Ma Turandot pose<br />
<strong>dei</strong> problemi, a Puccini: la<br />
concezione del racconto,<br />
della favola, la traiettoria<br />
narrativa, non era così<br />
semplice come nelle altre<br />
opere, doveva andarci<br />
piano.<br />
D. - Come reagirà il<br />
pubblico?<br />
Ah, non so. A me il successo<br />
non interessa!<br />
Sandro Cappelletto
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
La prima della<br />
Turandot pucciniana<br />
risale al 25 aprile<br />
1926. Siamo a Milano, al<br />
Teatro alla Scala, l’autore è<br />
morto da quasi due anni<br />
senza riuscire a terminare<br />
l’opera; altri porteranno a<br />
compimento la sua ultima<br />
fatica. Ma come è arrivata<br />
in Europa la storia della<br />
gelida principessa di Cina<br />
che ha affascinato Puccini?<br />
I suoi natali sul continente<br />
risalgono al veneziano<br />
Carlo Gozzi (1720-1806).<br />
Figlio di un’aristocratica<br />
famiglia in gravi difficoltà<br />
economiche fu il fondatore,<br />
insieme con il fratello<br />
Gasparo, di una delle istituzioni<br />
più conservatrici<br />
del Settecento italiano:<br />
l’Accademia <strong>dei</strong> Granelleschi<br />
di Venezia. Le sue posizioni<br />
conservatrici lo videro<br />
contrapporsi al pensiero<br />
illuminista e alle scelte<br />
artistiche <strong>dei</strong> contemporanei<br />
Goldoni e Chiari, innovatori<br />
importanti della<br />
Commedia dell’Arte e<br />
spesso portatori sulla<br />
scena anche di argomenti<br />
realistici d’ambientazione<br />
popolare e borghese.<br />
Nel 1762 Gozzi scrisse la<br />
favola teatrale di Turandot<br />
traendone l’argomento fiabesco<br />
dal ciclo persiano<br />
delle Mille e una notte e più<br />
precisamente da La storia<br />
del principe Calaf e della<br />
principessa di Cina. In questa<br />
prima trasposizione<br />
occidentale, coerentemente<br />
all’epoca storica in cui<br />
essa è prodotta, troviamo<br />
accanto ai personaggi<br />
principali anche la presenza<br />
delle più importanti<br />
maschere italiane:<br />
Tartaglia, Pantalone e<br />
Truffaldino. <strong>Il</strong> lavoro gozziano<br />
è un continuo alternarsi<br />
di passione e gioco<br />
sospesi fra realtà e irrealtà,<br />
atmosfera quotidiana e<br />
fantasia esotica.<br />
Probabilmente le maschere<br />
avevano il compito di creare<br />
un legame tra il pubblico<br />
veneziano e l’Oriente<br />
fittizio rappresentato sulla<br />
scena.<br />
Saranno proprio quelle<br />
atmosfere esotiche, evocatrici<br />
di mondi lontani, ad<br />
affascinare Puccini.<br />
Nel passaggio dalla favola<br />
all’opera il compositore fu<br />
però chiamato a risolvere<br />
più di un problema. Ad<br />
esempio, la presenza delle<br />
Turandot<br />
maschere, nel momento<br />
storico in cui compone<br />
Puccini, ha perso la sua<br />
valenza. Vanno quindi trasformate<br />
nel contrario di<br />
ciò che rappresentavano<br />
per Gozzi: non un ponte<br />
tra Occidente e Oriente ma<br />
un elemento propriamente<br />
cinese. Nascono così i tre<br />
dignitari di corte, dal<br />
nome un po’ faceto Ping,<br />
Pong, Pang, modellati sul<br />
genere <strong>dei</strong> fools shakesperiani,<br />
che assolvono alla<br />
funzione di commento ironico<br />
e disincantato, a volte<br />
cinico, della realtà che li<br />
circonda.<br />
Inoltre perché l’intera<br />
struttura reggesse, Puccini<br />
fu costretto a concentrarsi<br />
sulle linee essenziali della<br />
vicenda e a trascurare gli<br />
intrecci secondari della<br />
fiaba. La crudeltà di<br />
Turandot dovette quindi<br />
essere spiegata e riequilibrata.<br />
Fu necessario trasformare<br />
la Principessa da<br />
esecutrice tragica di un<br />
destino di vendetta, (quello<br />
che si rifà alla violenza<br />
subita dalla sua antenata<br />
Lo-u-ling), in un personaggio<br />
capace di esprimere un<br />
sentimento psicologicamente<br />
più sfaccettato,<br />
come quello della<br />
paura del maschio<br />
dominatore. Turandot<br />
non è infatti la vittima<br />
di un trauma<br />
ancestrale, da lei<br />
usato come pretesto,<br />
bensì una donna che<br />
vuole fare di se stessa<br />
un monumento di<br />
virtù. Fuggire l’uomo<br />
vuol dire conservare<br />
la purezza. Ignorare<br />
il sesso, la cui conoscenza<br />
porta alla perdita<br />
dell’innocenza, è<br />
certamente un metodo<br />
tra i più efficaci<br />
per evitare il confronto<br />
con l’umanità<br />
maschile. In virtù di<br />
una simile necessità<br />
Puccini e i suoi libret-<br />
tisti introdussero il personaggio<br />
della sciava Liù che<br />
funziona da elemento<br />
patetico e permette, con il<br />
suo suicidio d’amore, lo<br />
“sgelamento” di Turandot.<br />
La soluzione degli enigmi<br />
da parte di Calaf e la morte<br />
della schiava fanno così<br />
convergere l’apparato simbolico<br />
della vicenda verso<br />
l’inevitabile discesa dell’algida<br />
principessa al<br />
livello degli uomini e<br />
verso il consueto lieto fine,<br />
11<br />
Le origini dell’opera<br />
Turandot, dalla favola di Gozzi<br />
all’opera di Puccini<br />
Figurino di Umberto Brenellechi per la prima rappresentazione di Turandot<br />
Carlo Gozzi<br />
per quanto amaro, delle<br />
favole. L’umanizzazione di<br />
Turandot è compiuta.<br />
E’ pur vero che Puccini<br />
morì subito dopo aver<br />
scritto il suicidio di Liù e<br />
che il trionfante finale con<br />
la principessa innamorata<br />
è opera di Alfano. In sordina<br />
possiamo legittimamente<br />
domandarci se il<br />
Maestro, avendone avuta<br />
la possibilità, avrebbe scelto<br />
lo stesso epilogo.<br />
Maria Elena Latini<br />
Le Opere di Giacomo Puccini<br />
e le loro prime esecuzioni<br />
Le Villi (31.5.1884 Teatro dal Verme, Milano)<br />
Le Villi [rev] (26.12.1884 Teatro Regio, Torino)<br />
Edgar (21.4.1889 Teatro alla Scala, Milano)<br />
Edgar [rev] (28.2.1892 Teatro Communale, Ferrara)<br />
Manon Lescaut (1.2.1893 Teatro Regio, Torino)<br />
La bohème (1.2.1896 Teatro Regio, Torino)<br />
Tosca (14.1.1900 Teatro Costanzi, Roma)<br />
Madama Butterfly (17.2.1904 Teatro alla Scala, Milano)<br />
Madama Butterfly [rev] (28.5.1904 Teatro Grande, Brescia)<br />
Edgar [rev 2] (8.7.1905 Teatro Colón, Buenos Aires)<br />
Madama Butterfly [rev 2] (10.7.1905 Covent Garden,<br />
Londra)<br />
Madama Butterfly [rev 3] (28.12.1905 Opéra Comique,<br />
Parigi)<br />
La fanciulla del West (10.12.1910 Metropolitan Opera,<br />
New York)<br />
La rondine (27.3.1917 Opéra, Monte Carlo)<br />
<strong>Il</strong> trittico: (<strong>Il</strong> tabarro - Suor Angelica - Gianni Schicchi)<br />
(14.12.1918 Metropolitan Opera, New York)<br />
Turandot (25.4.1926 Teatro alla Scala, Milano)
12 Turandot <strong>Il</strong><br />
Franco Alfano visse in un momento storico<br />
dominato dalla confusione - si pensi ai due<br />
conflitti mondiali - che non lasciò molto<br />
spazio alle sue aspirazioni di operista, ostacolate<br />
dalla difficoltà di trovare libretti corposi, con<br />
intrecci affascinanti e coinvolgenti.<br />
<strong>Il</strong> compositore nasce a Napoli l’ 8 Marzo 1875.<br />
Studia al Conservatorio S. Pietro a Maiella e si perfeziona<br />
poi in composizione a Lipsia. Nel 1896,<br />
alla ricerca di un ambiente culturalmente più stimolante,<br />
si trasferisce a Berlino dove la vita musicale<br />
si nutre di interessanti scoperte stilistiche.<br />
Nel 1899 è a Parigi per mettere in scena due balletti<br />
presso le «Folies Bergères» e dove comincia a<br />
scrivere l’opera Resurrezione, portata poi a termine<br />
tra Mosca e Napoli.<br />
Gli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900, dopo la morte di<br />
Wagner nel 1883, musicalmente erano stati<br />
espressione di un forte scossone stilistico di cui<br />
Alfano è testimone. Egli, insieme con la sua generazione,<br />
sentì la necessità di un rinnovamento nel<br />
campo del teatro lirico ormai da tempo sclerotizzato,<br />
nonché l’esigenza di spaziare anche nel<br />
mondo della musica sinfonico-strumentale.<br />
Resurrezione, il suo più valido successo, è un lavoro<br />
che rivela una grande vena teatrale oltre ad<br />
una naturale forza di linguaggio, entrambe preferite<br />
all’uso di melodie facilmente memorizzabili.<br />
Le pagine della sua musica risultano quindi<br />
molto dense sinfonicamente e spesso di difficile<br />
comprensione. <strong>Il</strong> principe Zilah, sua seconda<br />
opera, è un esempio di tale difficoltà d’ascolto. Si<br />
tratta di un lavoro interessante dal punto di vista<br />
musicale, affiancato però da un libretto mediocre.<br />
Nonostante gli insuccessi, Alfano continuò a<br />
lavorare freneticamente fra le due guerre.<br />
Ragguardevole la sua produzione di musica da<br />
camera: sonate per violino e per violoncello e il<br />
Quartetto n° 2, ricco di contenuti poetici e di<br />
sonorità dolci e mediterranee.<br />
La sua opera maggiore è La Leggenda di Sakùntala,<br />
di cui scrive personalmente il libretto, in prosa e<br />
non in versi, tratta dal dramma di Kalidasa:<br />
Abhijnanasakuntala risalente al 400 a.C. circa. .<br />
L’azione, ambientata nell’India primordiale.<br />
Testo e musica sono nell’opera fortemente compenetrati<br />
e l’orchestrazione raggiunge uno sfarzo<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Franco Alfano, autore del finale postumo<br />
Storia di un compositore minore<br />
Tradizionalista e antilluminista in filosofia ed in<br />
politica, purista e classicista in estetica, questa la<br />
sintesi del carattere aristocratico e conservatore,<br />
a tratti sprezzante, di Carlo Gozzi.<br />
Amante del fantastico, nelle<br />
sue Fiabe scritte tra il 1761 e<br />
il 1765, Gozzi risuscita nelle<br />
sue opere teatrali le maschere<br />
della commedia dell’arte,<br />
trasportandole nell’atmosfera<br />
<strong>dei</strong> racconti per bambini.<br />
Vissuto a Venezia tra il 1720<br />
e il 1806, proveniva da una<br />
nobile famiglia decaduta e<br />
per tutta la vita dovette<br />
combattere con le difficoltà<br />
economiche. Nonostante<br />
l’intensa e produttiva attività<br />
di letterato, Gozzi si rifiutò<br />
sempre di trarne guadagno<br />
per una sorta di orgoglio<br />
aristocratico.<br />
Nel 1747 fondò con il fratello Gasparo<br />
l’Accademia <strong>dei</strong> Granelleschi, tra le istituzioni letterarie<br />
più conservatrici della sua epoca. Fu<br />
aspro critico di Goldoni, al quale rimproverava<br />
un difetto profondo di sensibilità morale: conte-<br />
Franco Alfano<br />
Carlo Gozzi, autore della fiaba Turandot<br />
stava nelle opere del suo avversario “virtù e<br />
vizi mal collocati, sovente il vizio trionfatore”,<br />
la mancanza di idealità poetica e l’insufficiente<br />
disciplina stilistica. Considerava<br />
Goldoni come “uno<br />
scrittore, levatolo dal<br />
dialetto veneto del<br />
volgo, nel quale era dottissimo,<br />
da porre nel<br />
catalogo <strong>dei</strong> più goffi,<br />
bassi e scorretti scrittori<br />
del nostro idioma”.<br />
La vena poetica che<br />
anima le Fiabe, rievoca<br />
nostalgicamente un<br />
mondo rarefatto di semplice<br />
grazia e gentilezza,<br />
infantile e popolare, cui<br />
l’occhio di Gozzi si<br />
rivolgeva con sguardo<br />
benevolo e ironico e con<br />
il senso di rimpianto<br />
tipico del “laudator temporis acti”.<br />
Questi sentimenti resero l’opera di Gozzi particolarmente<br />
gradita all’Europa dell’età romantica e<br />
le Fiabe incontrarono l’apprezzamento di Goethe,<br />
Schiller, Schlegel e Madame de Staël, fino a<br />
lussureggiante. La prima rappresentazione è al<br />
Teatro Comunale di Bologna, il 10 dicembre del<br />
1921, ma la partitura originale andò distrutta<br />
durante la seconda Guerra mondiale. Sarà Alfano<br />
stesso a strumentarla nuovamente, sulla base<br />
della riduzione per canto e pianoforte, riproponendola<br />
nel 1952 al Teatro dell’Opera di Roma.<br />
Intraprende anche la carriera di insegnante:<br />
docente di composizione e direttore del<br />
Conservatorio di Bologna tra il 1916 e il 1923,<br />
diventerà poi direttore del Liceo Musicale di<br />
Torino, carica che manterrà fino al 1939.<br />
Tra le tappe più importanti della sua vita c’è,<br />
paradossalmente, proprio l’incontro con un grande<br />
libretto di cui è chiamato a musicare il finale.<br />
Nel 1925 infatti, su richiesta di Toscanini, la famiglia<br />
Puccini e l’editore Ricordi lo invitano a terminare<br />
la Turandot, capolavoro incompiuto di<br />
Puccini, morto l’anno precedente. Si tratta di un<br />
lavoro delicato: musicologi e musicisti hanno gli<br />
occhi puntati sul risultato.<br />
A questa parentesi seguono, tra il 1940 e il 1942,<br />
la Sovrintendenza al Teatro Massimo di Palermo<br />
e la cattedra di Studi per il teatro lirico al<br />
Conservatorio di Roma. Ultimo incarico della<br />
carriera didattica è la direzione del Liceo<br />
Musicale di Pesaro dal 1947 al 1950.<br />
<strong>Il</strong> suo ultimo lavoro è il Cyrano de Bergerac del<br />
1936. Critica e pubblico ne apprezzano la ritrovata<br />
sobrietà dell’orchestra.<br />
Franco Alfano muore a San Remo, quasi dimenticato,<br />
il 27 Ottobre 1957.<br />
Ma. E. La.<br />
Un aristocratico sedotto dal fiabesco<br />
Wagner e ai De Goncourt. In Italia, tuttavia, il suo<br />
successo fu immediato quanto effimero.<br />
Tardiva, seppur fortunata, fu la ripresa di alcune<br />
delle sue Fiabe più riuscite da parte del teatro<br />
musicale: pensiamo a L’amore delle tre melarance,<br />
rielaborata da Mejerchol’d per l’omonima opera<br />
di Profi’ev nel 1921, Turandot, ripresa da Busoni<br />
(1917) e Puccini (1926) .<br />
Le ambientazioni magiche ed esotiche popolate<br />
di maghi e principesse offrivano, comprensibilmente,<br />
uno spazio ricco di possibilità per il melodramma.<br />
E’ pur vero che gli argomenti fiabeschi<br />
delle opere di Gozzi, tratti dalle Mille e una notte e<br />
dal Pentamerone del Basile, si appesantiscono a<br />
volte di ragioni satiriche e di spunti polemici, che<br />
fanno decadere sovente la fiaba dal poetico<br />
mondo irreale e fantastico in un pedantesco<br />
allegorismo.<br />
Un cospicuo gruppo di carte in gran parte inedite,<br />
appartenenti a Gasparo e Carlo Gozzi,<br />
individuato di recente da Fabio Soldini, noto<br />
studioso gozziano, è stato acquistato di recente<br />
dalla Biblioteca Nazionale Marciana di<br />
Venezia. <strong>Il</strong> materiale è in corso di riordino ed<br />
inventario e sarà quindi disponibile per la consultazione<br />
solo tra alcuni mesi.<br />
A. C.
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Turandot<br />
Giuseppe Adami Renato Simoni<br />
Commediografo, librettista, sceneggiatore, critico teatrale e regista<br />
cinematografico, Giuseppe Adami è nato a Verona il 4 febbraio 1878.<br />
Fin da giovanissimo si dedica al giornalismo, collaborando con il<br />
quotidiano veronese L’Arena e, dal 1913 come critico musicale a La Sera di<br />
Milano, città nella quale si è in quegli anni trasferito.<br />
Scrive circa una quarantina di commedie comico-sentimentali, delle quali<br />
alcune in dialetto veneto: I fioi de Goldoni (1905), El paese de l’amor (1907) con<br />
Arnaldo Fraccaroli, Bezzi e basi (1915) in veneziano, mentre in italiano La<br />
sorella lontana (1909), La capanna e il tuo cuore (1913), Pierrot innamorato (1914),<br />
Capelli bianchi (1915), quest’ultima<br />
forse la migliore delle sue commedie.<br />
I suoi lavori sono quasi tutti ben<br />
accolti dal pubblico per l’ottimismo<br />
borghese che le anima. Le<br />
commedie sono, infatti, di un<br />
tenue sentimentalismo, graziose e<br />
piacevoli per compostezza di<br />
espressioni e vaghezza colorita di<br />
stile. Di esse, in buona parte recitate<br />
da Dina Galli, particolare fortuna<br />
ebbero Felicita Colombo (1935)<br />
da cui fu tratto anche un film nel<br />
1937 e Nonna Felicita (1936) in cui è<br />
rappresentata la conquista della<br />
buona società milanese da parte di<br />
una Madame Sans-Gêne meneghina,<br />
l’arricchita salumaia Felicita.<br />
Giuseppe Adami, Giacomo Puccini e Renato Simoni<br />
Giuseppe Adami ha scritto anche<br />
diversi libretti per opere, <strong>dei</strong> quali i più conosciuti sono La via della finestra<br />
(1919) per Riccardo Zandonai e quelli per Giacomo Puccini: La rondine<br />
(1917), <strong>Il</strong> tabarro (1918), Suor Angelica ed, in collaborazione con Renato<br />
Simoni, Turandot (1926).<br />
Stretto amico di Puccini, cura nel 1928 il primo epistolario pucciniano e scrive<br />
due biografie del musicista, delle quali la maggiore è <strong>Il</strong> romanzo della vita<br />
di Giacomo Puccini (1932). E’ anche autore di soggetti cinematografici e di<br />
un’azione coreografica Vecchia Milano per la musica di Franco Vittadini<br />
(1928).<br />
Muore a Milano il 12 ottobre 1946.<br />
A. C.<br />
Renato Simoni<br />
I librettisti<br />
13<br />
Giornalista, critico teatrale, commediografo, regista di teatro e cinema,<br />
Renato Simoni finito il liceo, rimasto orfano di padre, deve lavorare<br />
anche per provvedere alla famiglia e comincia così quella che sarà la<br />
sua brillante carriera di giornalista.<br />
Nato il 5 settembre 1875 a Verona, entra nel 1894 nel <strong>giornale</strong> veronese L’Adige<br />
dove assume anche l’incarico di cronista teatrale. Cinque anni dopo diventa critico<br />
drammatico e letterario del quotidiano L’Arena e collabora a periodici umoristici<br />
firmandosi con lo pseudonimo di “Turno”.<br />
Nel 1899 si trasferisce a Milano come critico drammatico del Tempo, testata<br />
che lascerà nel 1903 per passare al<br />
Corriere della Sera dove inizialmente<br />
si mette in luce con una serie di<br />
brillanti corrispondenze<br />
dall’Oriente, articoli vari ed elzeviri<br />
di terza pagina, finché nel<br />
1914 sostituisce Giovanni Pozza<br />
nell’incarico di critico drammatico<br />
che eserciterà con equilibrio e sottigliezza<br />
di gusto, fino alla morte.<br />
Simoni tiene, inoltre, la rubrica di<br />
fondo dell’<strong>Il</strong>lustrazione italiana e la<br />
direzione della Lettura, ed è collaboratore<br />
dell’umoristico Guerin<br />
Meschino, della Domenica del Corriere<br />
e del Corriere <strong>dei</strong> piccoli.<br />
Durante la prima guerra mondiale<br />
organizza al fronte il “Teatro del solda-<br />
to”(1917) e fonda e dirige La Tradotta,<br />
<strong>giornale</strong> di trincea della terza armata.<br />
Notevoli i suoi scritti come critico su Shakespeare, sulla commedia italiana del<br />
Cinquecento, sulla commedia dell’Arte, sul prediletto Goldoni e certi suoi<br />
ritratti di commediografi, di attori, di critici come Gli assenti (1920), Ritratti<br />
(1923), Teatro di ieri (1938) e Uomini e cose di ieri (1952).<br />
Tra il 1902 e il 1910 scrive per la scena quattro commedie in dialetto veneto che<br />
vengono tutte interpretate dal sensibilissimo Ferruccio Benini: La vedova (1902),<br />
Carlo Gozzi (1903) , Tramonto (1906) e Congedo (1910).<br />
La sua prima commedia fu La vedova che riscosse discreto successo, come<br />
Congedo. Successo che invece non ottennero i lavori Carlo Gozzi e Tramonto,<br />
mentre con indifferenza fu accolta il Matrimonio di Casanova (1910), la commedia<br />
scritta da Simoni in collaborazione con Ugo Ojetti. Opere per lo più originali,<br />
intimiste, ricche di psicologia, talora anticipatrici di una drammaturgia<br />
moderna. Del 1908 è la rivista Turlupineide, una piccante satira di personaggi<br />
della vita politica e letteraria, prima del genere in Italia e subito imitatissima.<br />
Dalle commedie ai libretti<br />
Nel 1910 scrive il libretto per l’operetta La secchia rapita, prima esperienza in<br />
campo librettistico proseguita poi con collaborazioni più impegnative. E’<br />
anche regista di memorabili spettacoli goldoniani e di classici come<br />
Shakespeare, Pirandello, Tasso, nonché autore di vari libretti d’opera:<br />
Madame Sans-Gêne (1915) per Umberto Giordano, Turandot (1926) realizzato<br />
in collaborazione con Giuseppe Adami per Giacomo Puccini e il Dibuck per<br />
Lodovico Rocca.<br />
La sua pungente visione critica appare nelle recensioni del Corriere della Sera,<br />
raccolte postume in 5 volumi sotto il titolo di Trent’anni di cronaca drammatica<br />
1911-52 (1951-60), nelle Cronache della ribalta (1927) e nei commenti del<br />
giorno Le fantasie del nobiluomo Vidal (1953).<br />
Nel 1939 è nominato accademico d’Italia e nel 1951 presidente del Circolo<br />
della Stampa di Milano.<br />
Lascia al museo della Scala la sua cospicua raccolta teatrale composta da<br />
40.000 volumi, collezioni di riviste, costumi, maschere, manifesti e altri<br />
oggetti di interesse teatrale.<br />
Muore a Milano il 5 luglio 1952 e nello stesso anno è commemorato al<br />
Festival di Venezia con La vedova.<br />
Alice Calabresi
14 Turandot <strong>Il</strong><br />
Giuseppe Adami,<br />
veronese di<br />
nascita (4 febbraio<br />
1878), ma milanese<br />
di adozione, è noto<br />
per aver legato il suo<br />
nome a quello di grandi<br />
compositori, tra i<br />
quali Giacomo Puccini<br />
per il quale oltre ad<br />
altri lavori (La<br />
Rondine, <strong>Il</strong> Tabarro),<br />
con Renato Simoni<br />
adattò il testo di una<br />
fiaba di Carlo Gozzi<br />
come libretto della<br />
Turandot, messa in<br />
scena la prima volta<br />
alla Scala di Milano il<br />
25 aprile del 1926.<br />
Molto apprezzato dalla<br />
borghesia meneghina,<br />
sulla quale scriveva<br />
brillanti commedie,<br />
recitate in gran parte<br />
dall’attrice più famosa<br />
in quei tempi: Dina<br />
Galli, inizia la sua produzione<br />
drammatica<br />
nel 1910. Critico musicale<br />
e teatrale per il<br />
quotidiano veronese<br />
“L’Arena”, sceneggiatore<br />
cinematografico e<br />
commediografo, il<br />
mondano, ma anche<br />
schivo, Adami è autore<br />
di una ricetta gastronomica<br />
realizzata per<br />
l’Istituto Editoriale<br />
Italiano nel 1932, pubblicata<br />
in un delizioso<br />
volumetto dal titolo La<br />
Tavola della Celebrità.<br />
Tra i “celebri” partecipanti<br />
c’è anche Sibilla<br />
Aleramo, Filippo<br />
Tommaso Martinetti,<br />
fondatore del movimento<br />
futurista,<br />
Riccardo Bacchelli e<br />
altri famosissimi personaggi<br />
del mondo letterario,<br />
teatrale, artistico<br />
e giornalistico dell’epoca.<br />
Nel testo, il librettista si<br />
cimenta con il “Baccalà<br />
alla Goldoniana”. Un<br />
“piatto” non certo facile<br />
per i nostri tempi<br />
frettolosi, ma per un<br />
buon “gusto” letterario<br />
e per quel positivo<br />
desiderio “mondano”<br />
di riscoprire i sapori<br />
“antichi”, merita di<br />
essere presentato.<br />
Adami scrive testualmente:<br />
«Come è da tempo<br />
stabilito che per fare la<br />
lepre in salmì occorre<br />
prima di ogni altra cosa la<br />
lepre, resta assodato che<br />
per raggiungere la perfezione<br />
nel piatto che ora<br />
prepareremo, è necessario<br />
procurarsi il miglior baccalà,<br />
da non confondersi,<br />
Dio ci scampi e liberi, col<br />
comunissimo merluzzo.<br />
Consiglio senz’altro di<br />
rivolgervi a qualche<br />
amico del Veneto perché, o<br />
da Verona o da Padova, da<br />
Vicenza o da Venezia vi<br />
spedisca questa materia<br />
prima che già all’epoca<br />
della Repubblica si importava<br />
dai mari del nord per<br />
la delizia <strong>dei</strong> Dogi, delle<br />
Dogaresse e del popolo.<br />
Bisogna subito confessare<br />
che il primo gesto per la<br />
preparazione del baccalà<br />
alla goldoniana, è un<br />
gesto brutale e violento: il<br />
baccalà va battuto. Molto<br />
battuto. Senza remissione.<br />
Senza Scrupoli. Senza<br />
pietà. Ma compiuta questa<br />
prima operazione,<br />
quasi a sanare i lividi<br />
delle percosse, si depone<br />
in un placido bagno d’acqua<br />
fresca e là si abbandona<br />
per otto o dieci ore. E’<br />
con quella stessa acqua<br />
che, successivamente, si<br />
mette sul fuoco. Ma appena<br />
levato il bollore, lo si<br />
toglie, e si incomincia la<br />
delicata operazione della<br />
ripulitura. Bisogna assolutamente<br />
che non rimanga<br />
la più piccola lisca. I<br />
bei pezzi morbidi e bianchi<br />
che se ne traggono,<br />
più o meno interi o sbriciolati,<br />
si infarinano e si<br />
mettono quindi nel sof-<br />
fritto che avrete<br />
preparato in apposita<br />
casseruola. In<br />
questo soffritto -<br />
ricordatelo - consiste<br />
gran parte della<br />
riuscita del piatto.<br />
E mettetevi bene in<br />
testa questa massima<br />
fondamentale: il<br />
baccalà va molto<br />
condito. Perciò, per<br />
un chilo di materia<br />
prima, occorre non<br />
meno di un etto di<br />
burro e altrettanto<br />
di olio finissimo.<br />
Un po’ di cipolla<br />
profumerà inizialmente<br />
l’atmosfera.<br />
Ma il vero, il sano,<br />
l’irresistibile profumo<br />
si sprigionerà<br />
più tardi, indimenticabile.<br />
Procediamo nella<br />
preparazione.<br />
Rimestando, dunque,<br />
il baccalà nel<br />
soffritto, vi si<br />
aggiunge un po’ di<br />
quell’acqua nella<br />
quale ha levato il<br />
bollore, e si chiude<br />
ermeticamente la<br />
Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Consigli gastronomici del librettista Giuseppe Adami<br />
Una ricetta d’autore: <strong>Il</strong> Baccalà alla goldoniana<br />
Giuseppe Adami<br />
casseruola.<br />
Fate bollire il più lento<br />
possibile, per quattro ore.<br />
<strong>Il</strong> segreto è questo: bollitura<br />
lunga e sommessa. A<br />
metà bollitura aggiungerete<br />
cinque o sei acciughe,<br />
prezzemolo finemente<br />
trattato, un po’ di pepe.<br />
Richiudete la casseruola.<br />
Di tanto in tanto, sorvegliate,<br />
rimestate, sbriciolate<br />
i pezzi più grossi, in<br />
modo che la bagna riesca<br />
nello stesso tempo morbida<br />
e densa, e baccalà ed<br />
intingolo fraternizzino<br />
pienamente.<br />
All’ultima mezz’ora di bollitura,<br />
preparate la polenta.<br />
Non dimenticatevi, a cottura<br />
compiuta, di lasciar<br />
riposare senza fuoco il baccalà<br />
nel tegame, per una<br />
decina di minuti. Quel<br />
riposo darà la fusione classica<br />
all’intingolo.<br />
Sedete a tavola. Servite.<br />
Polenta e baccalà vi<br />
riconciliano con la crisi<br />
del Teatro italiano».<br />
A cura di<br />
Michela Marini
<strong>Il</strong> Giornale <strong>dei</strong> <strong>Grandi</strong> <strong>Eventi</strong><br />
Alla fine dell’ottobre<br />
1880, Puccini<br />
lasciò la sua casa<br />
toscana per andare a studiare<br />
al Conservatorio di<br />
Milano. Sostenne l’esame<br />
e scrisse alla madre:<br />
«Cara mamma per ora non<br />
ho ancora saputo niente<br />
della mia ammissione al<br />
Conservatorio, perché sabato<br />
si aduna il Consiglio per<br />
deliberare circa gli esaminati<br />
e vedere quali possono<br />
ammettere; i posti sono<br />
molto pochi. Io ho buone<br />
speranze avendo riportato<br />
più punti. Dica al mio caro<br />
maestro Angeloni che l’esame<br />
fu una sciocchezza, perché<br />
mi fecero accompagnare<br />
un basso scritto di una riga,<br />
senza numeri è facilissimo,<br />
e poi mi fecero svolgere una<br />
melodia in re maggiore, che<br />
mi riuscì felicemente. Basta,<br />
è andata anche troppo bene!<br />
...Vado spesso dal Catalani<br />
che è gentilissimo...La sera<br />
quando ho palanche vado al<br />
caffè, ma passano moltissime<br />
sere che non ci vado perché<br />
un ponce [sic] costa 40<br />
centesimi. Però vado a letto<br />
presto, mi stufo a girare su e<br />
giù per la galleria. Ho una<br />
cameretta bellina, tutta<br />
ripulita con un bel banco di<br />
noce a lustro che è una<br />
magnificenza. Insomma ci<br />
sto volentieri. La fame non<br />
la pato. Mangio maletto, ma<br />
mi riempio di minestroni<br />
brodo lungo e...seguitate!<br />
La pancia è soddisfatta....».<br />
In una successiva lettera<br />
ancora alla madre, il giovane<br />
artista raccontava la<br />
sua giornata: «Ieri ho<br />
avuto la seconda lezione di<br />
Bazzini e va benissimo...Mi<br />
sono fatto un orario così<br />
disposto. La mattina mi alzo<br />
alle otto e mezza, quando ci<br />
ho lezione, vado. In caso<br />
diverso studio un po’ di pianoforte...Seguito:<br />
alle dieci e<br />
1/2 faccio colazione, poi<br />
esco. All’una vado a casa e<br />
studio per Bazzini un paio<br />
d’ore; poi dalle tre alle cinque<br />
via daccapo col pianoforte,<br />
un po’ di lettura di<br />
musica classica...Alle cin-<br />
que vado al pasto frugale<br />
(ma molto di quel frugale!) e<br />
mangio minestrone alla<br />
milanese, che per dire la<br />
verità è assai buono. Ne<br />
mangio tre scodelle, poi<br />
qualche altro empiastro; un<br />
pezzetto di cacio coi bei e un<br />
mezzo litro di vino. Dopo<br />
accendo un sigaro e me ne<br />
vado in Galleria a fare una<br />
passeggiata in su e in giù,<br />
secondo il solito. Sto lì fino<br />
alle nove e torno a casa spiedato<br />
morto. Arrivato a casa<br />
faccio un po’ di contrappunto,<br />
non suono perché la<br />
notte non si può suonare.<br />
Dopo infilo il letto e leggo<br />
sette o otto pagine di un<br />
romanzo. Ecco la mia<br />
vita!...».<br />
La vita di Puccini studente<br />
assomiglia a quella di<br />
tanti suoi colleghi, dalla<br />
provincia arrivati nella<br />
grande città, armati solo<br />
del talento e della determinazione.<br />
In tasca pochi<br />
soldi. Stomaco costantemente<br />
vuoto, o quasi.<br />
Sembra di rivivere nella<br />
realtà le storie di Rodolfo,<br />
Marcello, Schaunard e<br />
Colline i quattro sfortunati<br />
artisti di Bohème.<br />
Casa e scuola, combattuti<br />
fra una realtà certamente<br />
difficile e il sogno di una<br />
carriera ancora tutta da<br />
conquistare e da vivere.<br />
Puccini, come Mascagni,<br />
come Leoncavallo si<br />
accontentava, limitava i<br />
bisogni a quelli strettamente<br />
necessari. Quando<br />
era tentato dai ricordi<br />
Turandot<br />
Nei primi, goliardici, anni di studi del compositore lucchese<br />
Fagioli e minestrone per Puccini<br />
Albina Magi Puccini , madre di Giacomo<br />
della cucina lucchese, si<br />
rivolgeva alla madre:<br />
«Avrei bisogno di una cosa,<br />
ma ho paura a dirgliela, perché<br />
capisco anch’io Lei non<br />
può spendere. Mi stia a sentire,<br />
è roba da poco. Siccome<br />
ho una gran voglia di fagioli<br />
(anzi un giorno me<br />
li fecero, ma non li<br />
potei mangiare a<br />
cagione dell’olio che<br />
qui è di sezamo di<br />
lino!) dunque dicevo...avrei<br />
bisogno di<br />
un po’ d’olio, ma di<br />
quello nuovo. La pregherei<br />
di mandarmene<br />
un popoino....».<br />
A Milano si era creata<br />
una «colonia»<br />
toscana. Artisti<br />
buontemponi dalla<br />
battuta facile e dal<br />
sorriso sempre pronto.<br />
Luogo di riunione,<br />
l’Excelsior, una modesta<br />
trattoria toscana: «Da<br />
Puccini a Mascagni fino ai<br />
più ignoti maestri paesani<br />
sparsi oggi giorno per<br />
l’Italia e all’estero...o<br />
quali maestri di cappella<br />
in qualche ignoto<br />
villaggio, tutti i giovanotti<br />
etruschi che studiavano<br />
al<br />
Conservatorio non<br />
mancavano mai. Vi<br />
faceva signorilmente<br />
qualche rara apparizione<br />
in cerca di un<br />
amico o di un concittadino,<br />
oppure una<br />
pietanza casalinga,<br />
Alfredo Catalani, sem-<br />
pre pallido, elegante,<br />
modesto e melanconico,<br />
sobrio di parole e di gesto,<br />
freddo, ma garbato e signorile...<br />
Quando c’era bisogno di<br />
una voce schietta, di un<br />
vocabolo nuovo, di una frasettina<br />
viva che non facesse<br />
una grinza, si andava<br />
all’Excelsior dove il puzzo<br />
di cucina, quello che la<br />
buona anima di Raffaellino<br />
Fornaciari, già insegnante<br />
d’italiano al Liceo Lucca,<br />
sua città nativa, avrebbe<br />
chiamato leppo, tappava il<br />
naso. Tutti mangiavano e<br />
bevevano e nessuno, Dio ci<br />
liberi, si dava il pensiero di<br />
pagare....A nessuno saltava<br />
mai in mente di tirar fuori<br />
un centesimo; e Gigi, il<br />
padrone, onorato da tanta<br />
fiducia dimostrava la sua<br />
gratitudine in due maniere:<br />
segnava a libro e teneva a<br />
mente. Quando per caso<br />
capitava qualche novizio il<br />
quale per ignoranza o per<br />
inavvertenza pagava subito,<br />
la “Laringe Etrusca” - il<br />
bollettino manoscritto <strong>dei</strong><br />
clienti dell’Excelsior - usciva<br />
fuori il giorno dopo con<br />
queste poche ma significanti<br />
righe della cronaca artistica<br />
teatrale: “Ieri all’Excelsior è<br />
avvenuto un putiferio. Una<br />
persona forse affatto ignara<br />
degli usi e <strong>dei</strong> costumi di<br />
quel ritrovo, dopo aver mangiato<br />
una bistecca alla fiorentina,<br />
ha osato imprudentemente<br />
di volerla pagare.<br />
Questo incidente spiacevole,<br />
senza precedenti, per buona<br />
fortuna non ha avuto luttuose<br />
conseguenze”».<br />
Giacomo Puccini ai tempi del soggiorno milanese<br />
Le difficoltà per Puccini<br />
si protrassero per diversi<br />
anni. Ancora il 30 aprile<br />
1890 scriveva al fratello:<br />
«...Qui c’è un gran fermento<br />
per il primo maggio. Tutti<br />
gli operai fanno sciopero.<br />
Io... vado in campagna.<br />
Stanotte ho lavorato fino<br />
alle tre e dopo ho cenato con<br />
un mazzo di cipolle..». Poi,<br />
finalmente, nel 1893,<br />
Manon Lescaut diede<br />
notorietà, fama e benessere<br />
al Lucchese che potè<br />
rientrare da vincitore<br />
15<br />
nelle sue terre dove praticò<br />
tutta la vita, ogni volta<br />
che la musica glielo consentiva,<br />
la caccia e la<br />
pesca.<br />
<strong>Il</strong> tono nelle sue lettere<br />
cambia. Si legga la<br />
seguente indirizzata da<br />
Torre del Lago al librettista<br />
Luigi <strong>Il</strong>lica, il 4 agosto<br />
appunto del 1893:<br />
«...Pomè mi ha scritto che<br />
tu forse verrai a Lucca. In<br />
casa mia, qui, esistono letti<br />
soffici, polli, oche, anitre,<br />
agnelli, pulci, tavoli, sedie,<br />
fucili, quadri, statue, scarpe,<br />
velocipedi, cembali, macchine<br />
da cucire, orologi, una<br />
pianta di Parigi, olio buono,<br />
pesci, vino di tre qualità<br />
(acqua non se ne beve), sigari,<br />
amache, moglie, figli,<br />
cani, gatti, rhum, caffè,<br />
minestre di varie forme, una<br />
scatola di sardine andate a<br />
male, pesche, fichi, due<br />
latrine, un eucaliptus,<br />
pozzo in casa, una scopa,<br />
tutto a vostra disposizione<br />
(eccetto la moglie)...».<br />
In quegli anni si fecero<br />
stretti i rapporti fra<br />
Puccini, <strong>Il</strong>lica, Giacosa<br />
(suoi collaboratori per<br />
Bohème, Madama Butterfly<br />
e Tosca) e naturalmente<br />
Giulio Ricordi, il suo<br />
grande editore.<br />
Proprio a Ricordi nell’ottobre<br />
1895, Puccini inviò<br />
una certa quantità di<br />
fagioli con la ricetta per<br />
cucinarli: «Carissimo sig.<br />
Giulio, riceverà un poco di<br />
fagiuoli... sono di quelli<br />
straordinari e si cuociono<br />
così: si mettono al fuoco in<br />
acqua fredda (l’acqua deve<br />
essere una dose giusta, nè<br />
troppa nè poca) devono bollire<br />
due ore a fuoco lento e<br />
quando sono cotti non deve<br />
restarci che 3 o 4 cucchiai di<br />
brodo. Ergo, attenzione alla<br />
dose dell’acqua.<br />
N.B. Quando si mettono al<br />
fuoco bisogna aggiungere 4 o 5<br />
foglie di salvia, 2 o 3 teste d’aglio<br />
intere, sale e pepe e quando<br />
sono (i fagiuoli) a mezza<br />
cottura metterci un poco d’olio<br />
a bollire insieme...».<br />
Ro. Io.