COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier
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quadro: siamo nei «campi <strong>di</strong> Tracia», dove si sono svolti i primi due atti.<br />
Orfeo è solo. Il suo canto è definitivamente rivestito dei colori del duolo, che sono<br />
anche i colori della religione: «Duoi organi <strong>di</strong> legno & duoi Chitarroni concertono questo<br />
Canto, sonando l’uno nell’angolo sinistro de la Scena, l’altro nel destro.» Questa <strong>di</strong>dascalia<br />
evoca un ine<strong>di</strong>to effetto <strong>di</strong> spazializzazione. Il monologo d’Orfeo non è propriamente un<br />
soliloquio: un echo gli risponde, ciò che ha reso necessario la <strong>di</strong>visione del continuo in due<br />
gruppi, uno per Orfeo e l’altro per l’echo.<br />
Questo echo non è la Ninfa eponima. Non è più nemmeno la voce soffocata della Messaggera,<br />
che aveva annunziato la sua intenzione, nell’atto II°, <strong>di</strong> seguire l’esempio della sfortunata<br />
Echo per finire i suoi giorni in una grotta. È un secondo tenore, il doppio invisibile<br />
<strong>di</strong> Orfeo. Il Poeta lo presenta in termini ambigui. Questa «Cortese Eco amorosa» che «consolar<br />
mi vuoi ne’ dolor miei» forse è una furtiva evocazione mascolina che Striggio voleva<br />
originariamente opporre alle donne trace la cui furia si scatenerà alla fine dell’atto.<br />
L’artificio letterario e musicale dell’Eco è ricorrente nel teatro lirico e nella musica<br />
barocca nascente. Montever<strong>di</strong> la usa i <strong>di</strong>verse occasioni, anche nel repertorio religioso:<br />
«Au<strong>di</strong> cœlum» del Vespro della Beata Vergine del 1610, «Jubilet tota civitas» de la Selva<br />
morale del 1640. Ciò denota il gusto pronunciato <strong>di</strong> questa epoca per i giochi retorici:<br />
l’Eco sottolinea certe parole ripetendole, oppure fa apparire un secondo senso deformandole.<br />
Rivela anche un gusto pronunciato dei musicisti per la spazializzazione.<br />
L’Eco non interviene che a tre riprese. Il suo canto si estingue a poco a poco: all’inizio<br />
ripete due parole («Ahi pianto»), poi una sola parola («Basti») e alla fine solo una parte <strong>di</strong><br />
una parola: <strong>di</strong> «guai» non resta che il suono «ahi» come un ultimo sospiro.<br />
Il tema dello sguardo ritorna in maniera ossessiva. Striggio rinnova qui con le metafore<br />
convenzionali dei poeti madrigalisti del Rinascimento (Giambattista Guarini e i suoi Occhi<br />
del pianto mio in particolare): gli occhi d’Orfeo che bruciavano <strong>di</strong> ardore agli Inferi, ora<br />
sono solo «per lacrimar fatte due fonti». Il librettista fa appello all’immagine del gigante<br />
Argos che aveva una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> occhi <strong>di</strong>stribuiti su tutto il corpo: queste migliaia <strong>di</strong><br />
«sorgenti» <strong>di</strong>ventano un «mar <strong>di</strong> pianto».<br />
Il canto <strong>di</strong> Orfeo mostra uno stile rappresentativo completamente spoglio e molto efficace:<br />
il canto non presenta alcun ornamento e si concentra sull’espressione della parole.<br />
la declamazione è sottolineata da un abbondanza <strong>di</strong> figuralismi. Quasi tutti quelli che<br />
si sono incontrati nel corso della Favola sono qui riuniti, formando un vero catalogo <strong>di</strong><br />
figure retoriche musicali: silenzi affannati-suspiratio («Piangendo e sospirando»), improvvisi<br />
salti <strong>di</strong> intervallo-saltus <strong>di</strong>urusculus («al mio languire»), <strong>di</strong>ssonanze-heterolepsis («ahi<br />
doglia, ahi pianto»), cromatismi <strong>di</strong>scendenti-catabasis («Ed io con voi lacrimerò»).