COMMENTARIO MUSICALE DELL'ORFEO di Denis Morrier

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19.06.2013 Views

12 divino, terrestre e infernale. Le stanze della Musica sono esemplari del trattamento che Monteverdi impone alla monodia accompagnata per tutta la lunghezza della partitura. Il compositore ha dato prova di una minuzia straordinaria nella notazione del ritmo della declamazione e nella notazione del basso, creando del resto fra quelle due parti dei veri conflitti con eminenti virtù espressive. La struttura della quartina è meravigliosamente sottolineata: i versi sono delimitati da delle pause, e una cesura separa i primi due versi dai secondi due: la prima metà della strofa afferma il polo del Re, e la seconda va a visitare due altri gradi, do e la.

In ciascuna delle strofe, il basso del primo verso è strettamente identico. Al contrario, i tre versi successivi presentano un ritmo del basso ogni volta rinnovato, e qualche trasformazione melodica che creano violenti figuralismi. Così, per figurare le «gelate menti», Monteverdi elude il la atteso a profitto di un do diesis inatteso, suscitando una viva dissonanza con il si del canto, mantenuto recto tono come se fosse estraneo e indipendente dal movimento del basso. Infine, la scrittura della parte vocale è di una ricchezza sbalorditiva: su questi poli del basso approssimativamente identici da una strofa all’altra, le formule melodiche del canto sono sempre arricchite. La prima strofa offre il «canto semplice», di cui tutte le note si trovano in consonanza col basso (ottave/quinte/terze). Successivamente, i poli modali sui quali si fissano le corde della declamazione, le ornamentazioni, e le consonanze col basso sono sistematicamente cambiate. Ci si accorge chiaramente dell’identica costruzione di queste strofe, ma l’impressione di varietà domina l’orecchio. È ancora una magistrale dimostrazione del «potere di organizzazione e di adattamento» di Monteverdi. Infine, si riscontrano frequenti sfalsamenti del ritmo fra il basso e il canto, come se Monteverdi notasse nei fatti il rubato, le fluttuazioni ritmiche alla quali si dedicano naturalmente i cantanti nella loro interpretazione. Si constata che il compositore intende imporre all’interprete tutti i termini dell’esecuzione, e gli lascia poca libertà per l’ornamentazione (che non è possibile prendere qui in considerazione che alle sole cadenze conclusive). Questo atteggiamento, manifesto in tutte le sue opere, è chiaramente espresso nel testo liminare del Combattimento di Tancredi e Clorinda (VIII° Libro dei Madrigali, Venezia, 1638): «La voce del recitante dovrà essere chiara, ferma. La sua dizione, perfetta, in modo che le parole si distacchino dall’orchestra e così siano meglio sentite nel recitativo. In nessun momento il recitante dovrà permettersi degli ornamenti, né gorgheggi, né trilli, salvo che all’inizio della stanza che comincia con «Notte». Il resto deve essere eseguito in conformità con la passione contenuta nelle parole.» L’ultima strofa è l’oggetto di numerose sorprese destinate a sollevare l’attenzione dell’ascoltatore. Un silenzio viene a interrompere il discorso dopo «né s’oda», formando un figuralismo convincente per illustrare l’idea che alcun rumore della natura non deve perturbare la narrazione della Favola. 13

In ciascuna delle strofe, il basso del primo verso è strettamente identico. Al contrario,<br />

i tre versi successivi presentano un ritmo del basso ogni volta rinnovato, e qualche trasformazione<br />

melo<strong>di</strong>ca che creano violenti figuralismi. Così, per figurare le «gelate menti»,<br />

Montever<strong>di</strong> elude il la atteso a profitto <strong>di</strong> un do <strong>di</strong>esis inatteso, suscitando una viva <strong>di</strong>ssonanza<br />

con il si del canto, mantenuto recto tono come se fosse estraneo e in<strong>di</strong>pendente dal<br />

movimento del basso.<br />

Infine, la scrittura della parte vocale è <strong>di</strong> una ricchezza sbalor<strong>di</strong>tiva: su questi poli del<br />

basso approssimativamente identici da una strofa all’altra, le formule melo<strong>di</strong>che del canto<br />

sono sempre arricchite. La prima strofa offre il «canto semplice», <strong>di</strong> cui tutte le note si<br />

trovano in consonanza col basso (ottave/quinte/terze). Successivamente, i poli modali sui<br />

quali si fissano le corde della declamazione, le ornamentazioni, e le consonanze col basso<br />

sono sistematicamente cambiate. Ci si accorge chiaramente dell’identica costruzione <strong>di</strong><br />

queste strofe, ma l’impressione <strong>di</strong> varietà domina l’orecchio. È ancora una magistrale<br />

<strong>di</strong>mostrazione del «potere <strong>di</strong> organizzazione e <strong>di</strong> adattamento» <strong>di</strong> Montever<strong>di</strong>. Infine, si<br />

riscontrano frequenti sfalsamenti del ritmo fra il basso e il canto, come se Montever<strong>di</strong><br />

notasse nei fatti il rubato, le fluttuazioni ritmiche alla quali si de<strong>di</strong>cano naturalmente i<br />

cantanti nella loro interpretazione.<br />

Si constata che il compositore intende imporre all’interprete tutti i termini dell’esecuzione,<br />

e gli lascia poca libertà per l’ornamentazione (che non è possibile prendere qui<br />

in considerazione che alle sole cadenze conclusive). Questo atteggiamento, manifesto in<br />

tutte le sue opere, è chiaramente espresso nel testo liminare del Combattimento <strong>di</strong> Tancre<strong>di</strong><br />

e Clorinda (VIII° Libro dei Madrigali, Venezia, 1638): «La voce del recitante dovrà<br />

essere chiara, ferma. La sua <strong>di</strong>zione, perfetta, in modo che le parole si <strong>di</strong>stacchino dall’orchestra<br />

e così siano meglio sentite nel recitativo. In nessun momento il recitante dovrà<br />

permettersi degli ornamenti, né gorgheggi, né trilli, salvo che all’inizio della stanza che<br />

comincia con «Notte». Il resto deve essere eseguito in conformità con la passione contenuta<br />

nelle parole.»<br />

L’ultima strofa è l’oggetto <strong>di</strong> numerose sorprese destinate a sollevare l’attenzione<br />

dell’ascoltatore. Un silenzio viene a interrompere il <strong>di</strong>scorso dopo «né s’oda», formando<br />

un figuralismo convincente per illustrare l’idea che alcun rumore della natura non deve<br />

perturbare la narrazione della Favola.<br />

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