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<strong>INOISNDH~T</strong>


M. CORSI SCIALLANO - B. Liou, Les épcwes de Tar<br />

raconaise ti chargement d’amphores Dressei 2-4,<br />

«Archaeonautica », 5, Paris, CNRS (pp. 178, il.<br />

nel testo), 1985.<br />

Il quinto numero di « Archaeonautica », la colle<br />

zione francese edita dal Centre National de la Re<br />

cherche Scientifique, dove vengono pubblicati i risul<br />

tati delle ricerche di archeologia subacquea, è dedi<br />

cato interamente ai relitti di navi cariche di anfore<br />

Dressel 2-4 provenienti dalla Spagna Tarraconese -<br />

Dodici di questi relitti sono stati ritrovati lungo le<br />

due rotte che dalla Spagna portavano a Roma, quella<br />

di cabotaggio che seguiva le coste della Gallia (Pia<br />

nier 1 e Petit-Conglouè appena fuori dalla rada di<br />

Marsiglia, Grand-Rouveau prima di Tolone, Les Four<br />

migues nei pressi della penisola di Giens, Drammont<br />

B e Chretienne H tra Frejus e Cannes), della Liguria<br />

(Diano Marina presso Imperia) e della Toscana, e<br />

quella più diretta ma anche più pericolosa attraverso<br />

le bocche di Bonifacio (Cavallo 1, Sud Lavezzi 3,<br />

Perduto 1, Est Perduto); è testimoniata inoltre, dal<br />

relitto di Ile-Rousse, anche una probabile « rotta mi<br />

sta », che da Genova portava alla Corsica e di qui<br />

alle coste toscane. Di due relitti invece, sul litorale<br />

spagnolo (Barà) e presso l’isola di Minorca (Cala Vel<br />

lana) non è possibile stabilire se appartengano a navi<br />

dirette verso l’Italia o verso l’Africa.<br />

Al catalogo sono premesse una breve sintesi dei<br />

molti studi riguardanti le anfore Dressel 2-4, il con<br />

tenitore vinario che, per la produzione italica, sosti<br />

tuisce, a partire dai decenni centrali del I sec. a.C.,<br />

le Dressel i e che viene quasi contemporaneamente<br />

imitato per lo smercio della produzione provinciale<br />

di Spagna e Gallia, e una chiara esposizione dei cri<br />

teri, basati su differenze di argilla e di forma, che<br />

permettono di distinguere, all’interno della classe più<br />

generale, le anfore provenienti dalla Tarraconese.<br />

A ciascun relitto (l’ordine seguito è quello topo<br />

grafico, con inizio dai più vicini al punto di partenza<br />

della rotta Spagna-Roma) è dedicata una esauriente<br />

illustrazione secondo uno schema costante, che mi<br />

sembra opportuno riassumere, perché rende estrema<br />

mente agevole la lettura e facilita i confronti, di mo<br />

do che alcune conclusioni divengono quasi immedia<br />

te e il capitolo finale non fa che sintetizzarle. I punti<br />

sui quali gli AA. si fermano (ovviamente quando le<br />

condizioni del ritrovamento lo permettono) sono i<br />

seguenti: 1) Notizie sulla scoperta e sul recupero.<br />

2) Descrizione, dove sia stato fatto uno scavo rego<br />

lare, della disposizione del carico e rilievo in pianta<br />

del giacimento. 3) Esame delle anfore Dressel 2-4,<br />

con puntuali riferimenti al tipo di argilla, alla forma,<br />

alle dimensioni. 4) Elenco dei bolli presenti e con<br />

fronto con altri noti. 5) Esame degli altri contenitori<br />

(anfore di tipo diverso e dolia) trasportati assieme<br />

alle Dressel 2-4. 6) Descrizione di eventuali reperti<br />

facenti parte del carico o della struttura della nave.<br />

7) Proposta di datazione del relitto. 8) Bibliografia.<br />

Il tutto è accompagnato da tabelle riassuntive che<br />

riportano per ciascuna anfora il luogo di conservazio<br />

ne, le misure (diametro massimo, peso, capacità) e<br />

il bollo e corredato da fotografie e disegni. Molto<br />

utili poi si rivelano le carte delle zone di ritrovamen<br />

to, perché permettono anche a chi non è un esperto<br />

conoscitore delle coste francesi cli individuare con<br />

precisione le località e di collegarle con la presenza<br />

di altri relitti o di scali portuali antichi.<br />

Dei quattordici relitti, alcuni sono stati trovati<br />

quasi completi e meritano quindi un’analisi più ap<br />

profondita: sono quelli del Petit-Congoué (p. 26 ss.)<br />

carico oltre che di anfore (Dressel 2-4 e galliche) di<br />

grandi dolia, di Grand-Rouveau (p. 44 ss.), che ha<br />

dato anche manufatti in piombo (un grande vaso e<br />

parte del recipiente collettore delle acque di sentina),<br />

di Chrétienne FI (p. 78 ss.) con numerosissime an<br />

fore Dressel 2-4 (circa 300, non tutte recuperate), di<br />

cui molte con bollo, con anfore diverse e vari fram<br />

menti di ceramica e soprattutto di oggetti in metal<br />

lo (armi, arnesi e attrezzature della nave), di Diano<br />

Marina (p. 95 ss.) e di Ile-Rousse (p. 108 ss.), pure<br />

carichi anche di dolia.<br />

Un piccolo problema cui gli autori accennano (p.<br />

59) è quello della funzione che potevano avere nella<br />

nave i vasi di piombo ritrovati a Grand-Rouveau e<br />

a Diano Marina (due altri sono testimoniati nei re<br />

litti di Drammont D, cfr. Cabier d’archéoiogie sub<br />

aquatique, IV, 1975, p. 12 e di La Garoupe, cfr.<br />

Cabiers d’archéologie subaquatique, I, 1972, p. 33):<br />

per essi, escluso un uso come recipiente da fuoco o<br />

da liquidi, erano state proposte altre possibilità, in<br />

connessione con i sistemi di scolo delle acque o più<br />

semplicisticamente come scorta di piombo da usare<br />

in caso di necessità (cfr. D. GANDOLEI, in Navigia


86 RECENSIONI R4A lo<br />

fundo emergunt. Trentatre anni di ricerche e attività<br />

in Italia e all’estero del Centro sperimentale di ar<br />

cheologia sottomarina. Mostra di archeologia sottomarina<br />

in Liguria, Genova 1983, pp. 117-118). Mi<br />

pare, a questo proposito, che si possa ricordare quan<br />

to dice Vitruvio (X, 9, 5-7; cfr. J. ROUGÉ, Recherches<br />

sur l’organisation dii commerce maritime en Me’diter<br />

ranée sous l’empire romain, Paris 1960, p. 83), il quale<br />

parlando dei sistemi di misurazione delle distanze<br />

(e quindi della velocità, importante per stabilire la<br />

rotta) descrive per le navi un complesso strumento<br />

a elica, simile a quello usato con lo stesso scopo nei<br />

veicoli terrestri, che, con una serie di trasmissioni,<br />

portava un sasso a cadere in un vaso metallico ogni<br />

miglio, in modo di dare un’indicazione quantitativa<br />

(e acustica) delle miglia percorse. Tenuto conto della<br />

sempre maggior precisione delle indagini subacquee,<br />

penso varrebbe la pena di analizzare dal punto di vi<br />

sta tecnico la lunga descrizione di Vitruvio, per ve<br />

dere se alcuni manufatti presenti in diversi relitti,<br />

non potrebbero trovare in essa una loro giustifica<br />

zione.<br />

A parte questo problema marginale, riflessioni di<br />

ben maggior rilievo vengono stimolate dall’esame dei<br />

quattordici relitti e sono riprese nel capitolo finale<br />

(p. 159 ss.). L’analisi dei bolli (per lo più riferibili<br />

agli operai che fabbricavano i contenitori), portano<br />

ad attribuire le anfore cariche su otto navi a già note<br />

officine della Tarraconese; è possibile poi ricavare,<br />

sulla base dei pur scarsi dati ricavabili dagli altri re<br />

perti rinvenuti, una cronologia assoluta dei relitti,<br />

che vanno collocati tra il 15 e il 50 d.C., mentre al<br />

l’interno si articola una cronologia relativa, cui sem<br />

bra corrispondere un mutamento nella forma delle<br />

anfore, dal tipo più basso e panciuto al tipo più alto<br />

e snello. Ma le osservazioni più interessanti riguar<br />

certo i tre relitti più recenti, quelli di Diano Marina,<br />

IIe-Rousse e Petit-Conglouè, che costituiscono un<br />

gruppo a parte a causa della presenza assieme alle<br />

anfore di grandi dolia. Questi enormi contenitori, la<br />

cui capacità superava i 2000 litri, di modo che cia<br />

scuno era equivalente a circa cento anfore, a causa<br />

del loro peso dovevano avere una sistemazione fissa<br />

nella stiva della nave e il loro contenuto (vino, in<br />

quanto essi presentano una rivestimento di pece al<br />

l’interno) doveva venire travasato (per mezzo di un si<br />

fone?) una volta che la nave era giunta a destina<br />

zione. Poiché sono noti altre tre relitti, a Ladispoli<br />

poco a nord di Roma, a Grand-Ribaud D e La Ga<br />

roupe sulle coste francesi, in cui la presenza di dolia<br />

si accompagna ad anfore Dressel 2-4 di provenienza<br />

campana, si ha la testimonianza ormai abbastanza<br />

consistente, di una sorta di « rivoluzione,> nel siste<br />

ma dei trasporti marittimi, con il passaggio da navi<br />

cariche di anfore a veri e propri « battelli cisterna ».<br />

I dolia di cinque di queste navi hanno bolli ricondu<br />

cibili ad un’unica famiglia, quella dei Pirani, che gli<br />

AA. riconoscono come originaria della zona di Mmturno:<br />

essi propongono pertanto l’esistenza di una<br />

grossa impresa commerciale, i cui esordi si sarebbero<br />

avuti agli inizi del I sec. d.C. con l’esportazione dei<br />

vini del sud dell’Italia verso la Spagna e che si sa<br />

rebbe in seguito sviluppata anche lungo la direttrice<br />

contraria, con l’importazione a Roma dei vini meno<br />

pregiati della Tarraconese e della Gallia. Mi pare a<br />

questo proposito opportuno aggiungere che la stessa<br />

area vinicola di Minturno era stata, verso la metà del<br />

I sec. a.C., al centro delle imprese commerciali dei<br />

Corneli Lentuli (in particolare forse del console La<br />

cuus Corneluus Lentuhus Cnr), testimoniate tra l’al<br />

tro dai relitti, carichi di anfore Dressel 1, di 5. Se<br />

vera e Dramont D (cfr. P.A. GIANFROTTA, in BJA,<br />

Suppl. IV, 1982, p. 17 ss): è una continuità — o<br />

una ripresa — che merita certo un approfondimento.<br />

Dalla presenza dei dolia nuovi spunti possono ve<br />

nire anche al dibattuto problema della apparente<br />

scomparsa dai mercati delle anfore Dressel 2-4 alla<br />

fine del I sec. d.C.: i più capienti dolia potrebbero<br />

essersi infatti sostituiti progressivamente alle anfore,<br />

almeno per i trasporti marittimi, mentre il loro con<br />

tenuto potrebbe aver trovato smercio nei più piccoli<br />

contenitori locali: ipotesi questa che aspetta una ve<br />

rifica dal ritrovamento di navi affondate in un perio<br />

do successivo e cariche di tali dolia (e giustamente<br />

gli AA. avvertono la maggior difficoltà di individuare<br />

relitti di tale genere).<br />

In conclusione il volume testimonia l’alto livello<br />

raggiunto in Francia dalle ricerche di archeologia sub<br />

acquea (che hanno lì ormai una lunga tradizione) e<br />

dagli studi ad esse connessi, confermando come da<br />

una pubblicazione attenta ed esauriente dei molti ri<br />

trovamenti lungo le coste del Mediterraneo occiden<br />

tale possa acquistare sempre maggior luce il quadro<br />

delle direttrici commerciali e dei rapporti tra produ<br />

zione italica e produzione provinciale in particolare<br />

dal I sec. a.C. al Il d.C.<br />

STEFANIA PESAvENTO MATTIOLI<br />

Istituto di Archeologia<br />

Università degli Studi - Padova


1986] RECENSIONI 87<br />

P. P. Bo~a - R. O. RUBINSTEIN, Renaissance Artists<br />

and Antique Scuipture. A Handbook o/ Sources,<br />

Harvey Mifier Publishers-Oxford University Press,<br />

London 1986.<br />

È finalmente uscito questo straordinario e tanto<br />

atteso volume che viene a coronare una ricerca con<br />

dotta con impegno ed entusiasmo da più di una<br />

decina cli anni. Linizio della collaborazione tra le<br />

due Autrici, Prof. Phy]lis Pray Bober e Dott. Ruth<br />

Olitsky Rubinstein, risale infatti al 1973, e dalle loro<br />

fatiche unite ha preso forma questo « Handbook »,<br />

come da loro stesse, con un termine a dire il vero<br />

troppo limitativo, viene definito nel sottotitolo il<br />

volume, che si presenta invece come opera dai confini<br />

ben più ampi di un semplice « manuale di fonti<br />

Alle spalle dell’idea maturata in quegli anni sta un<br />

appassionato lavoro di indagine sulle sculture antiche<br />

note agli artisti rinascimentali, avviato dalla Bober<br />

fin dal 1947. Queste ricerche della Bober, alla quale<br />

si afliancarono via via molti studiosi, tra i quali dal<br />

1957 Ruth Rubinstein, diedero vita a quella ammirabile<br />

e insostituibile raccolta iconografica, nota ormai<br />

a tutti come il «Census », vanto e fiore all’occhiello<br />

del Warburg Institute dell’Università di Londra.<br />

Lo studio delle fonti antiche nell’arte e nella cul<br />

tura rinascimentale, ripreso alla fine dello scorso se<br />

colo proprio da Aby Warburg e portato poi avanti<br />

principalmente da Saxi, Gombrich e Panofsky, ha<br />

largamente contribuito a diffondere l’interesse per le<br />

ricerche in questo campo, andate moltiplicandosi pro<br />

prio in questi ultimi anni. Lo strumento indispen<br />

sabile in ogni indagine resta comunque sempre il<br />

« Census » per la sua incredibile ricchezza di mate<br />

riale tuttora in via di accrescimento, per il rigore<br />

esemplare della sua sistemazione e catalogazione, che<br />

oltre a tutto rende estremamente agevole il consul<br />

tarlo.<br />

In effetti questo volume rappresenta una selezio<br />

ne, forse la più accattivante e spettacolare, della<br />

grande massa di notizie e di dati che il « Census » può<br />

elargire, e a maggior ragione va un plauso alle Autrici<br />

che hanno saputo « imbrigliare » in « sole » cinque<br />

cento pagine o poco più una materia vastissima, a<br />

costo di sacrificare materiale prezioso che spero però<br />

possa presto dat vita ad un secondo volume.<br />

Le Autrici, nella prefazione, annunciano i limiti<br />

da loro stesse imposti all’opera: quelli cronologici, che<br />

non vanno, tranne casi indispensabili, oltre il sacco di<br />

Roma; quelli tipologici, per cui il materiale antico<br />

presentato riguarda solo, anche qui con qualche rara<br />

eccezione, statue, rilievi e alcuni monumenti archi<br />

tettonici come archi e colonne istoriate, tutti ovvia<br />

mente già noti nel Rinascimento; e infine quelli tema-<br />

tici, per cui le schede del Catalogo sono suddivise in<br />

due grandi capitoli, il primo sulle «Divinità e sui<br />

miti greci e romani », il secondo sulla « Roma trium<br />

phans » e la sua storia.<br />

La organizzazione dell’intero volume, la parte più<br />

cospicua del quale è formata appunto dalle schede e<br />

dal repertorio illustrativo, rispecchia quella del « Cen<br />

sus », e perciò assai curata è la possibifità di una<br />

sua facile e immediata consultazione, resa ancora più<br />

agile dagli indici, dalle appendici e dai frequenti e<br />

puntuali riferimenti evidenziati nel testo in « neretto<br />

L’importante e indispensabile introduzione all’ope<br />

ra si deve a Phyllis Pray Bober: in poche, ma dense<br />

pagine viene riassunta al lettore la ricca problematica<br />

dell’apprezzamento e dell’influenza dell’antico sugli<br />

artisti del Rinascimento, iniziando dall’emblematico<br />

aneddoto riportato dal Vasari sull’entusiasmo prova<br />

to da Donatello alla vista di un sarcofago antico.<br />

L’eredità del mondo classico, come giustamente av<br />

verte la Bober, venne in vario modo sentita e filtrata<br />

dalla sensibilità creativa di ciascun artista o come mo<br />

dello da seguire pedissequamente o come suggestione<br />

da elaborare, condizionata comunque non già solo<br />

dalle opere d’arte antica allora note, la maggioranza<br />

delle quali era formata da sculture di età ellenistica<br />

o ancora più frequentemente da loro copie romane,<br />

ma anche dal gusto contemporaneo che faceva prefe<br />

rire, per istintiva affinità, di volta in volta opere<br />

neoattiche ad opere delle fasi veristiche- o di quelle<br />

«barocche » dell’Ellenismo.<br />

Se Roma e Firenze risentirono molto anche del<br />

l’eco di un proprio passato, romano o etrusco, che<br />

andava rimaterializzandosi attraverso le opere antiche<br />

tornate alla luce e le loro nuove interpretazioni, di<br />

verso fu il discorso per il Veneto. In effetti al Veneto<br />

e alla particolare espressione che la tradizione antica<br />

sviluppò in questa regione, n~n viene dedicato, per<br />

evidenti ragioni di spazio, che qualche breve cenno.<br />

Oltre che una derivazione dalle varie componenti<br />

dell’arte bizantina (pag. 33), credo si possa dire<br />

che Venezia fu per molti versi la diretta erede del<br />

mondo greco, attraverso non solo i tanti disegni,<br />

anche quelli oggi perduti, che Ciriaco d’Ancona lasciò<br />

nel Veneto e quelli di Jacopo Bellini e di tanti artisti<br />

e viaggiatori veneziani che furono in Grecia, nelle<br />

isole del Mediterraneo Orientale e in Asia Minore,<br />

ma soprattutto attraverso la enorme quantità di<br />

sculture e rilievi che passarono per Venezia e si di<br />

spersero poi per tutta Europa. Ricordiamo qui solo<br />

tra i tanti esempi la stele funeraria attica della fine<br />

del V secolo a.C. passata nel ‘700 nella collezione<br />

Nani, ma incisa nel ‘500 da Battista Franco (C. BLU<br />

MEL, Katalog der griechischen Skulpturen des V und<br />

IV Jahr. vC., Berlin 1928, K25, pp. 27-28), e l’Oran


88 RECENSIONI [RdA 10<br />

te di Berlino che già all’epoca fece grande scalpore<br />

tra artisti e letterati per la perfezione delle sue forme<br />

(L. FRANZONI, Per una storia del collezionismo. Vero<br />

na: la Galleria Bevilacqua, Milano 1970, pp. 111-123).<br />

Esemplari per chiarezza e completezza di dati<br />

sono le schede del Catalogo che prevedono per cia<br />

scun soggetto una breve introduzione storica sul<br />

mito relativo e la sua fortuna nel mondo greco e<br />

romano, e per ciascuna scultura antica, la sua data<br />

zione o quella generalmente più seguita, la colloca<br />

zione attuale, la descrizione con gli eventuali restauri<br />

subiti nel corso dei secoli, le vicende dalle prime<br />

notizie certe che la riguardano ai passaggi da una<br />

collezione all’altra, la lista delle riproduzioni e inter<br />

pretazioni di artisti del ‘400 e del ‘500 in disegni,<br />

incisioni o sculture e infine la bibliografia essenziale.<br />

A ciascuna scheda corrisponde, con la stessa nume<br />

razione, la illustrazione del pezzo antico, al quale si<br />

affiancano spesso alcune riproduzioni di disegni o<br />

pitture rinascimentali poco note se non addirittura<br />

inedite, formando così un eccezionale repertorio ico<br />

nografico, oltre a tutto estremamente ben riuscito<br />

anche sul piano tecnico per chiarezza delle fotografie<br />

ed eleganza di impaginazione.<br />

Le due appendici, che insieme all’ampia e ricca bi<br />

bliografia e all’indice generale chiudono il volume<br />

(così come in apertura si trovano l’indice, la lista<br />

delle illustrazioni, la prefazione e le abbreviazioni)<br />

ne costituiscono parte integrante, dando la prima<br />

preziose notizie sui singoli artisti e soprattutto sui<br />

quaderni di disegni che tanta parte ebbero nella dif<br />

fusione delle immagini di sculture antiche ritrovate<br />

in quell’epoca, e elencando la seconda le principali<br />

collezioni di antichità della Roma del tempo (con<br />

qualche rara eccezione per collezioni non romane,<br />

quali la Medici e la Gonzaga) e offrendo di esse<br />

notizie e bibliografia a°ggiornate.<br />

Il volume si presenta con una ottima veste tipo<br />

grafica sia nel formato, maneggevole nonostante la<br />

mole!, sia nella scelta della carta patinata e dei ca<br />

ratteri nitidi. La sovracoperta reca l’immagine em<br />

blematica del famoso cortile Della Valle, mentre<br />

l’antiporta riproduce l’« Arco di Portogallo » del Do<br />

sio, introducendo subito il lettore in una atmosfera<br />

suggestiva. E, « last but not least », il prezzo con<br />

tenuto per un volume dall’apparato illustrativo così<br />

ricco.<br />

Mi si permetterà infine di fare alcune annotazioni<br />

in margine al Catalogo e mi si perdoneranno i fre<br />

quenti riferimenti al mondo artistico e culturale ve<br />

neto, sempre per altro in relazione alle sculture anti<br />

che citate dallo « Handbook ».<br />

L’Afrodite di Doidalsas del British Museum, di<br />

cui alla scheda 18, si ritrova anche in un poco noto<br />

disegno conservato alle Gallerie dell’Accademia &<br />

Venezia e attribuito con qualche perplessità al Giam<br />

pietrino (L. COGLIATI ARANO, Disegni di Leonardo<br />

e della sua cerchia alle Gallerie dell’Accademia, Cata<br />

logo della Mostra (Venezia 1980), Milano 1980, pp.<br />

10 e 100-101): potrebbe essere una ulteriore con<br />

ferma della presenza della scultura antica nella col<br />

lezione di Isabella Gonzaga, oltre che della sua for<br />

tuna presso Leonardo e la sua cerchia.<br />

Molto acuta l’osservazione a proposito del torso<br />

del Marsia appeso (scheda 32) come modello per<br />

Crocifissi: in effetti un Crocifisso di Michelozzo<br />

sembra ispirarsi, nel sofferto stiramento dei muscoli<br />

addominali dalla partizione di evidente derivazione<br />

classica per il netto disegno della linea alba e del<br />

l’arcata epigastrica, ad uno dei Marsia già noti nel<br />

‘400 (si veda: AA.VV., Donatello e i Suoi. Scultura<br />

J~orentina del primo Rinascimento. Catalogo della<br />

Mostra (Firenze 1986), Milano 1986, pp. 186-187,<br />

n. 65).<br />

Ad Andrea Solario è attribuito un disegno di<br />

Venezia, anch’esso poco noto, di un putto dormiente<br />

che riproduce, con estrema fedeltà nella delicatezza<br />

dei particolari, l’erote marmoreo degli Uffizi (scheda<br />

51): forse tale disegno di cerchia leonardesca po<br />

trebbe gettare nuova luce sulle vicende non ancora<br />

del tutto chiarite della scultura stessa (C0GLIA’n ARA<br />

NO, Op. cii., pp. 110-111).<br />

Per restare ancora nel tema degli « Amoretti », è<br />

da segnalare un recente esemplare studio di Luigi<br />

Beschi sui famosi rilievi con i putti recanti attributi<br />

di divinità (schede 52 A-B). L’Autore, dopo aver<br />

esaminato le numerose repliche esistenti e alcune<br />

ancora inedite loro derivazioni rinascimentali, avanza<br />

la convincente quanto suggestiva ipotesi che alcuni<br />

dei rilievi facessero parte di un ciclo unitario originale<br />

inserito con funzione decorativa in un complesso ar<br />

chitettonico eretto in Roma intorno alla metà del<br />

I secolo d.C., archetipo delle repliche di Ravenna,<br />

appartenenti a loro volta a due serie distinte (L.<br />

BEScHI, I rilievi ravennati dei « Troni », in « Felix<br />

Ravenna ,>, CXXVII-CXXX, 1982-85, pp. 37-80).<br />

Una ennesima quanto sorprendente interpretazione<br />

della figura del Laocoonte (scheda 122) si trova nel<br />

Castelvecchio di Trento, eseguita da Marcello Fogo<br />

lino per incarico del Principe Vescovo Bernardo di<br />

Cles, umanista tra i più interessanti del suo tempo.<br />

Il personaggio, che a mio parere inequivocabilmente<br />

riproduce l’atteggiamento del Laocoonte nelle gambe<br />

divaricate con forza e nella posizione delle braccia,<br />

se non ovviamente nella testa, è Carlo Magno, la cui<br />

imponente figura incombe affrescata a grande al<br />

tezza sulla parete di un cortile interno, con lo scettro<br />

brandito nella destra a difesa dell’Impero, così come


1986 1 RECENSIONI 89<br />

Laocoonte, secondo il Cavalcanti e altri letterati del<br />

tempo, impugnava una spada a difesa di Troia. In<br />

realtà anche i due guerrieri ai piedi dell’Imperatore<br />

ricordano nel. gesto delle braccia le figure dei figli<br />

del sacerdote troiano (basti confrontare il soldato di<br />

spalle con la veduta di schiena del figlio maggiore);<br />

lo stesso effetto di « gruppo » sembrerebbe inoltre<br />

accentuato dal Fogolino attraverso il gioco marcato<br />

dei vessilli che creano un legame evidente tra le tre<br />

figure. Omaggio all’Impero Ashurgico e insieme con<br />

cessione a un tema a quel tempo assai fortunato anche<br />

nel Veneto, in perfetta coerenza con la politica e<br />

la formazione artistico-culturale del Cles, che splendida<br />

mente si esprimono negli affreschi da lui voluti nel<br />

Magno Palazzo e che costituiscono uno dei cicli<br />

pittorici più affascinanti anche per la unitarietà della<br />

loro ispirazione (E. CHINI, Aspetti dell’attività di Mar<br />

cello Fogolino ~ Trento, in Bernardo Cles e l’arte del<br />

Rinascimento nel Trentino. Catalogo della Mostra<br />

(Trento 1985-86), Milano 1985, pp. 117-119, figg.<br />

90-91).<br />

Alcune notizie marginali si potrebbero infine ag<br />

giungere alla scheda 159 sulla colonna Traiana, ma<br />

sarebbe troppo facile gioco perchè proprio la vastità<br />

del tema e la grande quantità di materiale rendono<br />

ancora più ammirevole il non facile compito di rias<br />

sumere il problema in breve spazio. Ricordo solo<br />

l’importanza di copie a rilievo di determinati partico<br />

lari del fregio eseguite in marmo da scultori rinasci<br />

mentali, che confermano la diffusione di disegni o<br />

calchi parziali anche fuori di Roma (si veda il fram<br />

mento Mantova Benavides tratto da un particolare<br />

della lastra LX: A. MANTOVA BENAVIDES, Inventano<br />

delle antichità di Casa Mantova Benavides. 1695, a<br />

cura di I. Favaretto, in «Boll. Museo Civico di<br />

Padova », LXI, 1972 (ma 1978), pp. 91-92, n. 91 e<br />

nota).<br />

Molte annotazioni, molte idee ancora potrebbero<br />

scaturire dalla stimolante lettura di questo volume;<br />

suggerimenti, confronti, relazioni tra collezionisti e<br />

repliche moderne di sculture antiche: segno dell’im<br />

portanza fondamentale dell’opera che si pone ormai<br />

come indispensabile strumento di lavoro per chi con<br />

duce ricerche in questo campo ed esempio di come il ri<br />

gore scientifico e la serietà di indagine possano espri<br />

mersi con tanta chiarezza ed estrema precisione.<br />

È dunque da auspicare che. tale lavoro continui, non<br />

solo da parte delle Autrici, ma anche di chi, pungolato<br />

da questo lavoro così meritevole, voglia estendere le<br />

ricerche al di fuori dei limiti « canonici » di Roma<br />

e di Firenze dirigendole anche altrove, là dove, e<br />

ancora una volta ricordo il fecondo terreno non già<br />

solo del Veneto, ma di tutta l’Italia Settentrionale,<br />

l’Umanesimo e l’eredità del mondo classico hanno<br />

ugualmente fatto sentire la loro influenza, forse con<br />

forza diversa, ma con risultati certo di non minore<br />

interesse.<br />

IRENE FAVARETTO<br />

Istituto di Archeologia<br />

Università degli Studi - Padova

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