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fare e che ero in grado di fare in quel momento. La professoressa
di francese si è avvicinata a me ed ha cominciato ad aiutarmi. Non
capivo perché aiutava me e non gli altri. Dopo ho scoperto che
una vicina di casa, anche lei professoressa in quella scuola media,
l’aveva avvisata del forte shock della sera precedente.
Ricordo che dopo ogni lite la colpa veniva sempre data a noi fi -
gli. Una volta mio papà ha gettato la minestra o brodo bollente
addosso a mia mamma, ustionandole il busto. Lei, insieme a mia
nonna, mi hanno detto che era stata colpa mia e che dovevo fare
attenzione. Non ricordo la causa, forse non era colpa mia. Ho sempre
cercato di non dare grossi problemi, di andare bene a scuola,
di andare a messa, fare la brava ragazza: forse convinta che mio
papà non avrebbe picchiato più la mamma.
Nell’agosto prima della terza superiore mio nonno paterno è morto
e mio papà mi ha chiesto di restare nel suo luogo natio -in meridione-
con mia nonna paterna. Io naturalmente ho accettato a patto
che lui non picchiasse più la mamma. Si è arrabbiato tantissimo.
Sono rimasta: sei mesi da incubo. Scuola nuova, compagni nuovi.
Una casa di campagna dove non c’era neppure una lavatrice.
Dovevo lavare tutti i panni all’aperto, al freddo; cucinare, pulire;
la sera, in cucina, stanca cercavo di studiare e vedevo tanti topi
che entravano. Erano topi non grandi, quelli di campagna: non
avevo paura. Soffrivo tanto la solitudine. Come avevano potuto
abbandonarmi laggiù. Forse non mi amavano. A gennaio ho chiesto
di tornare: mio padre se l’è presa tantissimo: mi sentivo così in
colpa...ma stavo male: dal nervoso avevo raggiunto i 70/74 chili.
Sono tornata al peso normale in poche settimane dal mio rientro.
Intanto maturava in me l’idea di diventare suora o missionaria.
Non sapevo. Stavo entrando in un ordine di suore a Novara insieme
ad una ragazza conosciuta durante degli esercizi spirituali. Mi
sono tirata indietro all’ultimo minuto. Lei è invece entrata. Aveva
solo 16 anni. Ho perso tutti i contatti perché mia mamma per paura
che entrassi in clausura strappava tutte le lettere che le suore
mi spedivano. Io, non vedendo alcuna risposta alle mie lettere, ho
smesso di scrivere e mi sono allontanata. L’idea della missionaria,
tuttavia, è sempre rimasta negli anni successivi. Intanto continuavo
a frequentare la scuola superiore, facevo “volontariato” in vari
campi e commettevo tanti altri errori di cui non ho voglia di parlare
o per lo meno di scrivere. Quando è arrivato l’uomo che divenne
mio marito penso che l’entusiasmo di andare via di casa e di avere
una vita diversa mi hanno fatto confondere cosa signifi ca amare
una persona. D’altronde nessuno me l’ha insegnato, se non il Van-
32 Scuola di Formazione in Psicoterapia Cognitiva - Vol. 2 Anno 2005