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Leggi l'estratto - Arcipelago Adriatico

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PERCORSI LETTERARI - PAGINE SCELTE<br />

Fulvio Molinari<br />

GREGORIO<br />

(Da “La Cagnassa e altre storie istriane di mare”)<br />

Quando sbarcò la prima volta nel porticciolo Gregorio non si chiamava così. Era un cane piccolo,<br />

senza nome, che rabbrividiva sotto il pelo corto sulla tolda del “Santa Maria”: dall’altipiano la bora<br />

veniva giù a “sufiazi”, a raffiche violente, frustando le barche, le banchine, il mare livido e grigio.<br />

I due chioggiotti rimasero tre giorni sotto coperta, a bestemmiare durante le lunghe partite a carte, a<br />

scaldare vino zuccherato e a friggere pesce senza mai aprire i boccaporti, per tener dentro, con il<br />

fumo, tutto il caldo possibile. Si facevano vedere poco anche quando il tempo era buono: andavano<br />

a far acqua alla sorgente, ripassavano le reti sul molo, imboccavano il sentiero per il paese solo per<br />

rifornirsi di pane e vino. Con gli altri pescatori scambiavano poche parole. Non erano ben visti: si<br />

diceva che cavassero le nasse altrui altrui, vuotandole delle prede: che levassero le reti degli altri<br />

pescatori, togliendone i pesci più grossi per ributtarle, ammucchiate in mare; che rubassero, sui<br />

moli, tutto quello che non aveva radici. Li chiamavano “ciosoti senza dio”, anche se nessuno li<br />

aveva mai visti fare quanto i sospetti attribuivano loro.<br />

Al porticciolo venivano ai primi di dicembre, quando sogliole e passere si facevano sotto riva sulla<br />

sabbia. Conoscevano bene le rotte delle migrazioni dei pesci che in quella stagione lasciano i<br />

fondali più alti per cercare acque meno gelide; uscivano in mare anche quando c’era buriana e gli<br />

altri mantenevano le barche agli ormeggi. Rientravano, quasi tutti i giorni, con la coperta piena di<br />

casse ricolme di pesci, grigi e gelati: in quei giorni alle passere non era necessario mescolare<br />

ghiaccio tritato. Se ne andavano prima di Natale, senza salutare nessuno, muovendosi adagio in<br />

coperta, grossi e un po’ goffi per via dei maglioni e della cerata.<br />

Il quarto giorno la bora calò quasi di colpo e dal boccaporto di prua uscì il cane. L’animale saltò<br />

sulla banchina e si mise a correre un po’ di traverso, inciampando, a tratti, sulle reti e i grossi<br />

sugheri.<br />

Uno dei ciosoti andò al capanno di Gregorio e disse: “Il cane ha fame”. Gregorio tirò fuori da una<br />

vecchia madia una scatola di carne, la vuotò sul pavimento aggiungendovi alcuni pezzi di pane e vi<br />

versò dell’acqua calda: il cane mangiò tutto senza mai alzare la testa, tenendo rigida ed alta la coda.<br />

“Noi andiamo”, disse il ciosoto, ed era la prima volta che annunciava una partenza.<br />

Gregorio lo guardò: aveva occhi verdi di mare, la pelle bruciata dal freddo, le grandi mani tagliate<br />

dalle reti.<br />

Il cane lo seguì fino alla barca, ma non volle salire a bordo. Rimase per un momento immobile sul<br />

molo, le zampe gelate in una pozza d’acqua. Poi si voltò di scatto e corse, a tratti saltando, verso gli<br />

alberi e i cespugli che, a nord, difendevano il porticciolo dalla tramontana.<br />

I due del “Santa Maria” non lo aspettarono. Scaldarono il diesel e sciolsero gli ormeggi.<br />

Il cane uscì dai cespugli quando il rombo del motore fu lontano. Tornò al capanno di Gregorio e<br />

cominciò a grattare la porta, emettendo gemiti e guaiti.<br />

Nessuno sapeva quanti anni avesse Gregorio. In paese si diceva che era arrivato dalla Dalmazia,<br />

subito dopo la prima guerra, con una passera lussignana dalle vele gialle e sporche. Era vecchio già<br />

allora, ma alto e dritto, le spalle rotonde e le mani dure da marinaio. Si era fermato al porticciolo<br />

perché il posto gli piaceva, così solitario sul mare, con fondali pescosi a poche miglia. Non c’era<br />

strada tra il paese e il porto: un sentiero saliva ripido tra pini e acacie, con più di duecento scalini<br />

scavati nella roccia, fino alla strada nuova, che tagliava il costone dell’altipiano. L’abitato era<br />

ancora più su, sulla cima della collina. Era stato costruito lassù per via delle incursioni dei pirati; i<br />

pescatori si sentivano al sicuro nelle grandi case di pietra, unite dal lato del mare, con finestre<br />

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PERCORSI LETTERARI - PAGINE SCELTE<br />

piccole e alte come quelle di una fortezza. Le porte si aprivano tutte sul cortile interno lastricato di<br />

pietra, con un solo grande ingresso, un tempo difeso da un’inferriata rossa di ruggine.<br />

Tra il paese e il mare i pescatori, poco a poco, avevano liberato dai sassi ogni tratto di terra meno<br />

ripido, ammucchiando le pietre in lunghi muriccioli, a segnare le proprietà. Nei lati sottovento le<br />

viti erano cresciute a stento, mettendo radici eterne. Sui pastini in cui il sole si fermava più a lungo<br />

erano venuti su fichi e olivi; sopra la battigia i pini tormentati dalla bora si protendevano sull’acqua.<br />

Gregorio aveva abitato a lungo in barca prima di occupare il capanno di barba Jurissevich, diventato<br />

troppo vecchio per scendere al porto la mattina all’alba e tornare al paese nel sole del primo<br />

pomeriggio, con sulla schiena le cassette del pesce. Barba Jurissevich aveva seguito la trafila di tutti<br />

i pescatori che rinunciavano a lavorare prima nei giorni di maltempo, poi quando faceva troppo<br />

freddo, poi perché il sole scottava troppo, e poi tutte le volte che li coglieva un malanno, o<br />

avvertivano i postumi di una prolungata sbornia, a fine novembre, quando la luna giusta suggeriva<br />

di travasare il vino, bianco e profumato, nelle fiasche, con una vena, in fondo, di terra sassosa e di<br />

salsedine.<br />

Per il capanno Gregorio aveva continuato a mandare per anni a barba Jurissevich i pesci più belli<br />

che trovava nelle reti, ed anche quando la siora Rosa era rimasta sola, perché il marito aveva deciso<br />

di andare a distendere per sempre le vecchie ossa nel campo di San Martino, le faceva avere le<br />

primizie di stagione: granchi, astici, lucide orate e calamari rosati. La barca di barba Jurissevich era<br />

stata tirata in secco sullo squero, e un anno dopo l’altro era finita sui sassi della spiaggia, a marcire<br />

sotto l’acqua e il sole, accanto ai vecchi guzzi che un tempo si usavano per le tonnare, con i<br />

bompressi solidamente legati allo scafo, dai quali gli uomini arpionavano i grandi pesci.<br />

Con gli altri pescatori Gregorio parlava poco, e mai di sé. Passata la curiosità dei primi tempo pochi<br />

badavano a lui; scendendo dal paese lo vedevano sulla banchina, o in barca, come se facesse parte<br />

del luogo, come i massi che difendevano la diga, le bitte di ormeggio, i sassi della spiaggia.<br />

Eppure la curiosità scoppiava, irrefrenabile, ogni tanto, per una fase, un accenno, una parola dietro<br />

la quale i pescatori credevano di poter intravedere una storia, o un’esperienza. Gregorio sapeva<br />

ritessere le reti disegnando, con il filo, rombi sempre uguali; cuciva le vele con rinforzi nei punti<br />

giusti; sapeva calare con perizia reti, nasse e parangai, conosceva la stagione di ogni pesce, e aveva<br />

individuato da solo, in poco tempo, i fondali più ricchi. Una volta aveva sbrogliato in poche ore un<br />

inghippo all’armo di una maona, e a tutti era apparso chiaro che quell’uomo doveva aver navigato a<br />

lungo, forse come comandante, o almeno come nostromo, sui trabaccoli che battevano le isole,<br />

portando carichi di pregio, ma anche sabbia e pietrame.<br />

Da quando tenne con sé il cane Gregorio comunicò con gli altri ancor meno. Scendendo dal paese i<br />

pescatori portavano alla bestiola ogni tanto un osso pieno di polpa, pane vecchio, qualcuno un<br />

avanzo di minestra. Non sapevano come chiamarlo, e finì che diedero al cane lo stesso nome del<br />

padrone: Gregorio.<br />

Nessuno sapeva di che razza fosse: era diventato, in pochi mesi, grande quasi come un lupo, di cui<br />

ricordava il muso lungo e sottile; aveva zampe grandi e forti, rotonde le spalle, le orecchie cadenti<br />

dei bracchi e il pelo corto, tra il marrone e il grigio, con un grande macchia scura che gli circondava<br />

l’occhio sinistro. Non abbaiava quasi mai, né scodinzolava. Stava sempre accanto a Gregorio, il<br />

padrone, che gli parlava a voce bassa, e sembrava che i due si intendessero sempre alla perfezione.<br />

Gregorio e Gregorio stavano assieme nel capanno e in barca, assieme lavoravano. Quando la rete<br />

era troppo pesante, il padrone faceva tenere al cane, con la bocca, alcune maglie, in modo da poter<br />

ricuperare il resto facendo forza con ambo le mani, il cane aiutava, con lo stesso sistema, anche a<br />

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PERCORSI LETTERARI - PAGINE SCELTE<br />

liberare i pesci dalla rete, e bloccava con le zampe sulla coperta le prede troppo vive che, saltando,<br />

minacciavano di tornare in acqua, ma mai si avvicinava agli scorfani, o ai pesci ragno, perché il<br />

padrone gli aveva insegnato a temere i loro spini velenosi dietro le branchie e sul dorso.<br />

Un po’ alla volta il cane smise di mangiare quello che i pescatori gli portavano dal paese. Gregorio<br />

gli insegnò a nutrirsi di pesce, crudo o fritto nella padella fumosa, o arrosto sulle braci del focolare<br />

dietro il capanno.<br />

Un giorno di febbraio scese al porticciolo il figlio di Toni Marussi. Era un ragazzo sottile e un po’<br />

curvo, dagli occhi infossati. Tutti i giorni prendeva la corriere per Trieste; suo padre aveva voluto<br />

che studiasse, per non intirizzirsi di freddo sulla barca “o spaccarsi la schiena e le braccia a forza di<br />

zappare più sassi che terra”.<br />

Rimase tutto il giorno nel sole pallido sul molo dove Gregorio ripassava le reti per granchi, con il<br />

cane che gli teneva il muso sulla coscia sinistra, a scaldarsi.<br />

“Che cosa fate – chiese – quando il tempo è brutto, e quaggiù non viene nessuno per giorni e<br />

giorni?”<br />

“Ascoltiamo il vento” disse Gregorio.<br />

“E non avete voglia di salire al paese, parlare con la gente?”<br />

“Ascoltiamo il mare!”, rispose Gregorio, accarezzando il cane sulla testa. “Il mare non è fatto solo<br />

di onde, di colori. È pieno di vita”.<br />

Il vecchio si alzò e andò a prendere un sasso sul bagnasciuga. Lo sbatté con forza su un masso e la<br />

pietra si spaccò: Gregorio fece vedere al ragazzo come ogni scoglio del fondo è vivo, “non il sasso,<br />

ma il suo interno, perché basta che non sia duro come il calcàre o il porfido, che gli animali si<br />

scavano i loro rifugi; i granchi minuscoli, le chiocciole, i paguri, i vermi, le stelle marine, che sono<br />

le bestie più feroci, capaci di uccidere un pesce o un crostaceo, e perfino i mitili e i tartufi”.<br />

“Se stai in barca, la notte, e tendi l’orecchio su un fondale di sasso – disse ancora Gregorio –<br />

sentirai uno sfregolìo continuo; sono gli animali del fondo, quelli che stanno nei sassi, che vivono,<br />

si muovono, cacciano e muoiono. E se impari a riconoscere ogni rumore, ogni vibrazione, allora sei<br />

capace di ascoltare il mare, avendo da imparare ogni giorno, ogni stagione, qualcosa di nuovo, che<br />

prima ti era sfuggito, o non avevi capito”.<br />

Il ragazzo guardò Gregorio dritto negli occhi e vide che erano chiari e lucidi nella sua faccia di<br />

vecchio.<br />

L’uomo si alzò e lo prese per mano, incamminandosi verso la fine della diga esterna, dove il fanale<br />

arrugginito segnava l’ingresso del porto.<br />

“Guarda il mare” disse. “Non è solo acqua mossa dal vento e dalla correnti. È da lì che viene la<br />

vita”.<br />

Poi Gregorio disse a Gregorio: “Vai a pescare”.<br />

Il cane scese sulla scogliera, sotto il fanale, entrò in acqua e si nascose tra due sassi, rimanendo<br />

immobile. Sopra il vecchio e il ragazzo lo osservarono in silenzio. Quando passò un branco di cefali<br />

il cane immerse il museo nell’acqua, senza far rumore. Si spinse sulle gambe posteriori e sparì verso<br />

il fondale.<br />

Tornò a galla quasi subito: tra i denti teneva, delicatamente, un cefalo lucente.<br />

“Quando non ci sarò più” disse il vecchio “questo cane non avrà bisogno di nessuno. Ha il mare, lo<br />

stesso mare che ho sempre avuto io. Qualcuno lo lascerà entrare nel suo capanno, se fuori l’inverno<br />

sarà troppo freddo. Avrà l’acqua che sgorga dalla sorgente sopra il porticciolo, tra le acacie. Avrà<br />

ogni cosa.”<br />

A marzo, come accade talvolta su quella costa, il tempo incattivì all’improvviso, dopo una<br />

settimana di sole che a tutti era sembrata un presagio di primavera. Nuvole nere, a strati, scorrevano<br />

alte da scirocco; sotto, la bora rendeva livido il mare. Gli spruzzi delle ondate gelavano sui sassi. Si<br />

coprì di ghiaccio ogni cosa: i capanni, gli alberi, la banchina. Gregorio rimase con il cane per giorni<br />

nel capanno, accendendo rami secchi e tavole in una nicchia sotto il muro.<br />

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PERCORSI LETTERARI - PAGINE SCELTE<br />

Quando calò il vento il vecchio aprì la porta: un refolo spinse dentro l’uscio una manciata di foglie<br />

gelate. Il cane corse fuori, scivolò sul ghiaccio e cadde in mare. Gregorio si tuffò a sua volta, e si<br />

scottò le mani sulla scaletta di ferro, per risalire sul molo. Portò l’animale nel capanno e lo strofinò<br />

con una coperta: poi pensò ad asciugare le sue lunghe ossa.<br />

Il cane ansimò per due giorni nel caldo del capanno, il pelo lucido, emettendo, ogni tanto un guaito.<br />

Gregorio gli stava steso accanto, notte e giorno. Andò anche al paese, e si fece dare una pentola di<br />

brodo da scaldare, ma il cane non lo toccò. Smise di respirare il terzo giorno, la testa appoggiata<br />

sulle ginocchia di Gregorio.<br />

Allora il vecchio aprì la porta del capanno: era tornato il sole, faceva quasi caldo.<br />

Lavorò quasi tutto il giorno, aiutandosi con un argano per togliere una grande lastra di pietra, in<br />

cima al molo, proprio sotto il faro. Chiuse il cane in una cassa di legno, ricavata dai contenitori per<br />

il pesce, e lo seppellì sotto la grande pietra. Impiegò tutto il giorno seguente per incidere sul sasso,<br />

con uno scalpello, il nome: Gregorio.<br />

Toni Marussi scese al porticciolo due giorni dopo, a controllare i danni della mareggiata. Vide la<br />

pietra in cima al molo leggermente più alta delle altre, e non vide il vecchio né il cane. Lesse la<br />

scritta e si mise a chiamare verso il mare: “Gregorio”.<br />

Nessuno rispose.<br />

Da “La cagnassa e altre storie istriane di mare” (Edizioni “Italo Svevo”, Trieste, 1981)<br />

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