Sistema arabo-iskamico e diritti umani 1. Lo scenario internazionale ...

Sistema arabo-iskamico e diritti umani 1. Lo scenario internazionale ... Sistema arabo-iskamico e diritti umani 1. Lo scenario internazionale ...

estig.ipbeja.pt
from estig.ipbeja.pt More from this publisher
18.06.2013 Views

SISTEMA ARABO-ISLAMICO E DIRITTI UMANI 1. Lo scenario internazionale dei diritti umani «Con le genti della scrittura comportatevi nei modo seguente: intavolate con esse un dialo- go in maniera di simpatica amicizia ... ed esprimetevi così: “Crediamo a ciò che è stato rivelato a noi, crediamo a ciò che è stato rivelato a voi. I1 nostro Dio e il vostro Dio è uno solo: a lui noi siamo muslimuna (sot- tomessi)”». Corano, XXIX: 46‘ La storia dei diritti umani si intreccia con quella dello sviluppo delle istituzioni democratiche al punto tale che il concetto di demo- crazia diventa - almeno nell’ottica dei Paesi occidentali - predomi- nante per qualsiasi aspetto del trattamento dei diritti dell’uomo. Non solo ne incorpora la teoria e i valori ma ne garantisce la pratica. Nella cultura e nel linguaggio dell’occidente i due termini - democrazia e diritti umani - diventano sinonimi, mentre nel campo delle relazioni internazionali il primo diventa il principale parametro con il quale misurare le performance degli “altri” Stati nella sfera dei diritti umani. Tuttavia sembra - proprio perché questi principi sono a tal punto interiorizzati nella memoria storica dell’uomo occidentale - che «è persino difficile ricordare che il processo di creazione dei diritti umani è stato lungo, contorto, sofferto e contestatoP2. Solo negli anni recenti il diritto internazionale è riuscito ad affer- mare in modo esplicito il legame tra democrazia e diritti umani dopo un lento percorso che parte dalla Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, per approdare alla risoluzione 57/99 della Commissione Onu sui diritti umani. Per la I Il Corano, traduzione e commento di E Peirone, Milano 1979, p. 559. ’ L. Citarella, Il lungo percorso dei diritti umani e della democrazia nel Mediterra- neo, in I diritti dell‘Uomo. Cronache e battaglie, 1999, n. 2, p. 8. . = * Sistema arabo-iskamico e diritti umani 417 prima volta qui viene solennemente annunciato il diritto alla democra- zia aprendo con esso la strada alla quarta generazione dei diritti uma- nij. I diritti umani sono in evoluzione continua. Nuovi diritti si aggiun- gono a quelli di più antica origine grazie al contributo di orientamenti e valori provenienti peraltro da ordinamenti e sistemi politico-giuridici diversi da quelli occidentali, consacrando in tal modo l’unica possibi- lità di una dimensione universale dei diritti dell’uomo. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 ha ispi- rato un numero considerevole di successive dichiarazioni, atti e con- venzioni, ed è appena il caso di ricordare che furono necessari ven- totto anni, nel sistema delle Nazioni Unite, per trasferire dal piano preminentemente morale i principi contenuti nella Dichiarazione al piano del diritto attraverso i due Patti del 1966, quello sui diritti civili e politici (i diritti della prima generazione) e quello sui diritti econo- mici e sociali (i diritti della seconda generazione). L‘aver mantenuto distinti - con una codificazione in due testi separati - diritti umani a vocazione universale riflette il contesto in- ternazionale dei blocchi contrapposti in cui tali strumenti nascono: da un lato l’occidente con la difesa delle libertà politiche e civili, dall’al- tro i Paesi comunisti con la rivendicazione della giustizia sociale ed economica. Tale approccio influenzerà non poco le dinamiche successive del- l’evoluzione dei diritti umani creando una condizione di rivalità tra diritti quasi che fosse possibile immaginare un rapporto gerarchico tra sfere diverse della dignità dell’uomo. Nelle relazioni internazionali, dominate dalla logica della guerra fredda, il prevalere dell’una o del- l’altra sfera sembra equivalere alla vittoria di una o l’altra visione del mondo. È in tali dinamiche che s’inseriscono i nuovi diritti, quelli della terza generazione, di cui sono portatori i Paesi del Terzo Mondo, che concorrono al dibattito sul tema rivendicando il diritto allo sviluppo. Bisognerà aspettare la Conferenza di Vienna del 1993, nello sce- nario mondiale completamente modificato del post- 1989 perché le tesi della prevalenza di alcuni diritti sugli altri vengano ricomposte nel riconoscimento unanime che tutti i diritti umani sono uguali, indivi- sibili e interdipendenti. Mentre negli ultimi anni la comunità interna- zionale, alla prova della guerra nei Balcani, costruisce sul diritto di ingerenza umanitaria una nuova quanto controversa prassi di relazioni tra Stati. ’ Sull’argomento cfr. L. Citarella, Il lungo percorso, cit., p. 9.

SISTEMA ARABO-ISLAMICO E DIRITTI UMANI<br />

<strong>1.</strong> <strong>Lo</strong> <strong>scenario</strong> <strong>internazionale</strong> dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

«Con le genti della scrittura comportatevi nei<br />

modo seguente: intavolate con esse un dialo-<br />

go in maniera di simpatica amicizia ... ed<br />

esprimetevi così: “Crediamo a ciò che è stato<br />

rivelato a noi, crediamo a ciò che è stato<br />

rivelato a voi. I1 nostro Dio e il vostro Dio<br />

è uno solo: a lui noi siamo muslimuna (sot-<br />

tomessi)”».<br />

Corano, XXIX: 46‘<br />

La storia dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si intreccia con quella dello sviluppo<br />

delle istituzioni democratiche al punto tale che il concetto di demo-<br />

crazia diventa - almeno nell’ottica dei Paesi occidentali - predomi-<br />

nante per qualsiasi aspetto del trattamento dei <strong>diritti</strong> dell’uomo. Non<br />

solo ne incorpora la teoria e i valori ma ne garantisce la pratica. Nella<br />

cultura e nel linguaggio dell’occidente i due termini - democrazia e<br />

<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> - diventano sinonimi, mentre nel campo delle relazioni<br />

internazionali il primo diventa il principale parametro con il quale<br />

misurare le performance degli “altri” Stati nella sfera dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

Tuttavia sembra - proprio perché questi principi sono a tal punto<br />

interiorizzati nella memoria storica dell’uomo occidentale - che «è<br />

persino difficile ricordare che il processo di creazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

è stato lungo, contorto, sofferto e contestatoP2.<br />

Solo negli anni recenti il diritto <strong>internazionale</strong> è riuscito ad affer-<br />

mare in modo esplicito il legame tra democrazia e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> dopo<br />

un lento percorso che parte dalla Dichiarazione universale sui <strong>diritti</strong><br />

dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, per approdare alla<br />

risoluzione 57/99 della Commissione Onu sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Per la<br />

I Il Corano, traduzione e commento di E Peirone, Milano 1979, p. 559.<br />

’ L. Citarella, Il lungo percorso dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e della democrazia nel Mediterra-<br />

neo, in I <strong>diritti</strong> dell‘Uomo. Cronache e battaglie, 1999, n. 2, p. 8.<br />

.<br />

= *<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-<strong>iskamico</strong> e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 417<br />

prima volta qui viene solennemente annunciato il diritto alla democra-<br />

zia aprendo con esso la strada alla quarta generazione dei <strong>diritti</strong> uma-<br />

nij.<br />

I <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sono in evoluzione continua. Nuovi <strong>diritti</strong> si aggiun-<br />

gono a quelli di più antica origine grazie al contributo di orientamenti<br />

e valori provenienti peraltro da ordinamenti e sistemi politico-giuridici<br />

diversi da quelli occidentali, consacrando in tal modo l’unica possibi-<br />

lità di una dimensione universale dei <strong>diritti</strong> dell’uomo.<br />

La Dichiarazione universale dei <strong>diritti</strong> dell’uomo del 1948 ha ispi-<br />

rato un numero considerevole di successive dichiarazioni, atti e con-<br />

venzioni, ed è appena il caso di ricordare che furono necessari ven-<br />

totto anni, nel sistema delle Nazioni Unite, per trasferire dal piano<br />

preminentemente morale i principi contenuti nella Dichiarazione al<br />

piano del diritto attraverso i due Patti del 1966, quello sui <strong>diritti</strong> civili<br />

e politici (i <strong>diritti</strong> della prima generazione) e quello sui <strong>diritti</strong> econo-<br />

mici e sociali (i <strong>diritti</strong> della seconda generazione).<br />

L‘aver mantenuto distinti - con una codificazione in due testi<br />

separati - <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> a vocazione universale riflette il contesto in-<br />

ternazionale dei blocchi contrapposti in cui tali strumenti nascono: da<br />

un lato l’occidente con la difesa delle libertà politiche e civili, dall’al-<br />

tro i Paesi comunisti con la rivendicazione della giustizia sociale ed<br />

economica.<br />

Tale approccio influenzerà non poco le dinamiche successive del-<br />

l’evoluzione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> creando una condizione di rivalità tra<br />

<strong>diritti</strong> quasi che fosse possibile immaginare un rapporto gerarchico tra<br />

sfere diverse della dignità dell’uomo. Nelle relazioni internazionali,<br />

dominate dalla logica della guerra fredda, il prevalere dell’una o del-<br />

l’altra sfera sembra equivalere alla vittoria di una o l’altra visione del<br />

mondo.<br />

È in tali dinamiche che s’inseriscono i nuovi <strong>diritti</strong>, quelli della<br />

terza generazione, di cui sono portatori i Paesi del Terzo Mondo, che<br />

concorrono al dibattito sul tema rivendicando il diritto allo sviluppo.<br />

Bisognerà aspettare la Conferenza di Vienna del 1993, nello sce-<br />

nario mondiale completamente modificato del post- 1989 perché le tesi<br />

della prevalenza di alcuni <strong>diritti</strong> sugli altri vengano ricomposte nel<br />

riconoscimento unanime che tutti i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sono uguali, indivi-<br />

sibili e interdipendenti. Mentre negli ultimi anni la comunità interna-<br />

zionale, alla prova della guerra nei Balcani, costruisce sul diritto di<br />

ingerenza <strong>umani</strong>taria una nuova quanto controversa prassi di relazioni<br />

tra Stati.<br />

’ Sull’argomento cfr. L. Citarella, Il lungo percorso, cit., p. 9.


418 Silvana Barbirotti<br />

È chiara dunque la complessità dei temi che abbraccia il diritto dei<br />

<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, nel quale confluiscono approcci giuridici e visioni culturali<br />

diverse. <strong>Lo</strong> stesso concetto di democrazia d’altronde non ha<br />

raggiunto mai un’accezione univoca, come dimostra la risoluzione<br />

57/99 della Commissione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Essa racchiude lo sforzo<br />

della comunità <strong>internazionale</strong> di fornirne una definizione che accolga<br />

il consenso unanime dei suoi membri quando afferma che «la democrazia<br />

è basata sulla volontà liberamente espressa dai popoli di determinare<br />

il loro sistema politico, economico, sociale e culturale e la loro<br />

piena partecipazione in tutti gli aspetti della loro vita>>4 riconoscendo<br />

al contempo che nel mondo esiste una vasta gamma, di diversa natura,<br />

di democrazie.<br />

I1 dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> consegna al nuovo millennio il difficile<br />

compito di ripensare e ricercare un linguaggio veramente universale<br />

attraverso il quale le diverse civiltà possano conoscersi e riconoscersi,<br />

scegliendo la via del confronto e della tolleranza che il XX secolo non<br />

ha saputo costruire.<br />

I1 Mediterraneo, crocevia di civiltà, culla delle tre grandi religioni<br />

monoteistiche, può rappresentare il laboratorio geopolitico per la sperimentazione<br />

e la verifica di questo linguaggio comune, privilegiando<br />

lo sforzo di comprensione delle ragioni dell’altro, laddove l’altro, nello<br />

<strong>scenario</strong> dell’antico mare, è storicamente stato ed è 1’Islam.<br />

2. L‘ideale unitario della comunità islamica<br />

Il rapporto tra Islam e Occidente è ancora, nell’immaginario col-<br />

lettivo dei popoli dell’una e dell’altra sponda del Mediterraneo, intriso<br />

di rivalità e contrapposizioni. Gli aspetti religiosi e le ragioni della<br />

geopolitica e della geoeconomia si sono sovrapposti nel corso dei<br />

secoli e hanno definito il quadro delle relazioni reciproche intersecan-<br />

dole, soprattutto negli ultimi decenni, con tentativi di dialogo nume-<br />

rosi quanto incompleti 5 .<br />

-I Risoluzione 57/99 della Commissione per i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle Nazioni Unite. I1<br />

testo, insieme agli altri documenti della Commissione, è pubblicato sul sito Internet<br />

dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> (United Nations High<br />

Commissioner for Human Rights, Unhchr): www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf.<br />

i Negli anni ’70 l’Europa, alla ricerca di un suo ruolo nello scacchiere internazio-<br />

nale, si presenta ai suoi dirimpettai mediterranei nelle vesti di interlocutore con cui<br />

discutere gli interessi comuni che insistono nella medesima area di appartenenza. Inizia<br />

così il dialogo euro-<strong>arabo</strong> che tuttavia non va mai al di là delle buone intenzioni di<br />

cooperazione proclamate nei vertici. Parallelamente le relazioni mediterranee si svilup-<br />

-.<br />

t’<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

419<br />

È necessario in primo luogo individuare i principali ostacoli alla<br />

comprensione della realtà islamica: il primo ostacolo è di natura sto-<br />

rica e geografica insieme. Si tratta dell’impossibilità di conoscere 1’1-<br />

slam abbracciando lo spazio che esso percorre dall’Atlantico alla Cina<br />

nel corso di quattordici secoli. In quest’ottica, ci si riferirà essenzial-<br />

mente alla dimensione araba dell’Islam6, che è quella dove la civiltà<br />

musulmana nasce e inizia la sua espansione, quella dove le antiche<br />

rivalità si intrecciano con la drammatica attualità della questione me-<br />

diorientale, quella che insiste maggiormente nella dimensione medi-<br />

terranea, conferendo a quest’area tutta la sua valenza strategica. Infi-<br />

ne, è quella dove il dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> ha il suo epicentro più<br />

rilevante.<br />

Un altro limite è di natura epistemologica: è possibile analizzare<br />

1’Islam per mezzo di categorie concettuali europee?<br />

Quest’ultimo punto ci conduce ad un altro ostacolo più difficile da<br />

sormontare: cosa è I’Islam, o meglio “quale” Islam conoscere e awi-<br />

cinare?<br />

pano privilegiando il modello degli accordi bi-laterali tra Comunità europea e singoli<br />

Paesi terzi, basati soprattutto sugli aspetti economico-finanziari in cui gli interessi<br />

europei sembrano essere prevalenti rispetto agli obiettivi di un reale dialogo. Gli anni<br />

’90 registrano un notevole cambiamento. Con la Conferenza di Barcellona del 1995 un<br />

modello di partenariato fra Unione europea e i Paesi della riva Sud del Mediterraneo<br />

tende a modificare i tradizionali rapporti di cooperazione finanziaria e commerciale. I1<br />

dialogo intermediterraneo si dota di strumenti giuridici e finanziari concreti, come il<br />

programma Meda (Mediterranean Action) e si pone obiettivi ambiziosi: raggiungimen-<br />

to della democrazia, sviluppo economico sostenibile, dialogo culturale, inserendo a<br />

pieno titolo il tema della promozione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nei capitoli dei vertici. Sull’ar-<br />

gomento cfr., tra l’altro, M. Alessi, Diritti <strong>umani</strong> e democratizzazione nelllarea mediter-<br />

ranea, in I <strong>diritti</strong> dell‘Uomo, cit., p. 5-7. L‘agenda del partenariato tuttavia stenta a<br />

consolidarsi, e continua a soffrire della fragilità della politica estera europea quanto<br />

della persistente instabilità dello <strong>scenario</strong> <strong>arabo</strong> che dilaga dal Medio Oriente all’Al-<br />

geria.<br />

‘ È appena il caso di sottolineare la confusione ingenerata tra le definizioni di<br />

Paesi arabi arabizzati e islamici e/o islamizzati. L‘Iran, ad esempio, è uno dei più<br />

importanti Paesi islamici, ma non <strong>arabo</strong>. La conquista araba parte nel VI1 secolo<br />

dell’era cristiana dalle città di Mecca e Medina, attualmente appartenenti all’Arabia<br />

Saudita, e la sua prima direttrice di espansione è verso il Nord Africa, conquistando<br />

progressivamente Siria, Libano, Iraq, Palestina, Egitto, fino al Marocco, Paesi arabiz-<br />

zati. La direttrice orientale che raggiunge l’Oceano Indiano e l’Estremo Oriente con-<br />

durrà all’islamizzazione di gran parte delle popolazioni (oggi il Paese con la più grande<br />

maggioranza islamica è l’Indonesia). Peraltro, anche la definizione di mondo <strong>arabo</strong> non<br />

è oggettiva: «I confini di questo mondo non coincidono esattamente con quelli di un<br />

popolo, di una nazione, di una razza, o di una religione». Solo in parte esistono fattori<br />

oggettivi, come la lingua. Cfr. P.G. Donini, I Paesi Arabi, Roma 1983, p. 15. Mentre la<br />

definizione di Paese islamico resta controversa: è islamico il Paese che ha la popola-<br />

zione o la maggioranza della popolazione di fede islamica? O il Paese che adotta un<br />

sistema di governo retto dalla Legge islamica?


42 O Silvana Barbirotti<br />

Questi quesiti, che un considerevole numero di studiosi lascia<br />

aperti, devono rendere consapevoli delle insidie che si nascondono<br />

nei tentativi di interpretazione di un termine carico di significati, va-<br />

lori, interpretazioni che gli stessi musulmani non sembrano poter con-<br />

trollare a pieno, schierati su posizioni a volte contrastanti, ma che,<br />

proprio per questo, dimostrano l’ampiezza del dibattito che 1’Islam<br />

è ancora capace di generare.<br />

Volendoci soffermare soltanto sull’Islam dell’attualità - così come<br />

noi lo percepiamo - esso è contemporaneamente un regime: da quello<br />

“tradizionalista” dell’Arabia Saudita a quello “rivoluzionario” dell’Iran<br />

Khomeinista; è la fede delle folle nelle Moschee, è rivolta “anti-siste-<br />

ma” dei movimenti politici che l’occidente chiama integralismo isla-<br />

mico, peraltro non univoco né come pensiero né come comportamen-<br />

ti. È 1’Islam delle Dichiarazioni universali islamiche dei <strong>diritti</strong><br />

del17uomo, è quello dei gruppi e associazioni che nascono e si svilup-<br />

pano nelle società civili per la difesa dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> universalmente<br />

riconosciuti, è quello della tradizione moderata e tollerante che ha<br />

sempre vissuto nel mondo islamico.<br />

L‘Islam è dunque una pluralità di Islam. E la molteplicità dei<br />

significati possibili è una premessa indispensabile per comprendere<br />

tale realtà, e in definitiva, per dialogare con essa.<br />

Si può affermare che l’originalità propria dell’Islam consiste nel-<br />

l’essere contemporaneamente uno (almeno dal punto di vista teologi-<br />

co) e molteplice sotto il profilo storico, geografico, politico, istituzio-<br />

nale.<br />

La dialettica tra unitarietà e molteplicità dell’Islam accompagna<br />

tutta la sua storia fin dalle origini, e resta un elemento importantissimo<br />

per comprendere le dinamiche attuali delle società musulmane.<br />

Entrare nello specifico del dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nell’Islam<br />

presuppone l’awicinamento della fraseologia e di alcuni concetti-chia-<br />

ve che 1’Islam adopera. L‘operazione d’ingresso nel linguaggio cultu-<br />

rale dell’Islam è dunque ardua quanto necessaria.<br />

I1 primo concetto da affrontare è quello della Unità. Esso ispira<br />

l’ideologia e i comportamenti islamici in tutti gli aspetti dell’esistenza.<br />

L‘Unità enfatizzata del Libro Sacro dell’Islam - il Corano - diventa nel<br />

mondo <strong>arabo</strong>-islamico un ideale irrinunciabile. La missione del Pro-<br />

feta Maometto, in rottura con le concezioni politeistiche della regione<br />

araba nell’epoca pre-islamica, si concretizza nella proclamazione del<br />

monoteismo, che costituisce forse l’unico vero “dogma” per il musul-<br />

mano. L‘unicità di Dio diventa per 1’Islam l’affermazione della unicità<br />

della realtà e conduce ad una concezione del mondo che unisce la<br />

dimensione religiosa e la dimensione sociale e politica, rappresentata<br />

.<br />

-. .<br />

t“<br />

<strong>Sistema</strong> araho-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 42 1<br />

quest’ultima dalla Comunità musulmana (la Ummu zslumiyya). La Um-<br />

ma islamica, consacrata dal Libro («Ecco: voi siete invero la miglior<br />

comunità (umma) nata al mondo», Corano, 111: 110) rafforza la ten-<br />

sione verso l’unità. Attaccamento all’Unità di Dio diventerà attacca-<br />

mento alla Umma, comunità civile e religiosa allo stesso tempo, al<br />

punto che l’escatologia religiosa dell’Islam non sarà mai scissa dal<br />

momento politico. Cetica islamica non sarà solo quella di salvezza<br />

eterna dell’anima, ma quella di contribuire a realizzare in questo mon-<br />

do, nella Storia, la civitas Dei, lo “Stato” ideale proposto dall’Islam,<br />

secondo la gerarchia din (religione) - dunya (mondo) - duwla (Stato)’.<br />

I1 profondo legame fra sfera spirituale e materiale costituisce, dal<br />

punto di vista dell’occidente, il principale capo d’accusa rivolto ai<br />

Paesi islamici in generale. Diventa facile per noi immaginare che il<br />

non aver saputo operare la scissione fra sfera spirituale e temporale,<br />

fra Religione e Stato, costituisce il peccato originale dell’Islam e il<br />

principale ostacolo alla modernizzazione delle loro società.<br />

La separazione fra Stato e Chiesa in Occidente ha reso possibile il<br />

recupero del ruolo sociale della religione e la diffusione di valori etici<br />

laici, ritenuti quasi sempre patrimonio delle grandi conquiste dell’uo-<br />

mo moderno.<br />

La modernità delle società occidentali è - secondo la nostra visione -<br />

riconducibile al processo di secolarizzazione delle istituzioni, rese oggi<br />

capaci di offrire ai propri cittadini ordinamenti giuridici e modelli di<br />

convivenza sociale basati sui principi democratici di tolleranza e non<br />

discriminazione, sul riconoscimento e la tutela dei <strong>diritti</strong> civili, politici<br />

e religiosi. La produzione di norme giuridiche non più ispirata al<br />

diritto divino è di conseguenza ritenuta la base per l’edificazione di<br />

istituzioni moderne e democratiche.<br />

L‘incapacità dell’Islam di superare il legame tra fede e diritto,<br />

politica e religione, sarebbe dunque il vincolo maggiore - secondo<br />

tale approccio - alla modernizzazione di questi Paesi: l’arretratezza<br />

sociale ed economica in cui versa la maggior parte di essi e la condi-<br />

zione dei <strong>diritti</strong> e delle libertà fondamentali non ne sono che la prova.<br />

Tuttavia, le categorie di una simile valutazione dell’Islam rimango-<br />

no all’interno della visione occidentale della realtà che si vuol esami-<br />

nare. Mentre 1’Islam opera su registri diversi tutti autenticamente isla-<br />

Sulla gerarchia din-dunya-dawla cfr. B. Etienne, L‘ltlamismo vadicale, Milano<br />

1988. In particolare, p. 13 e pp. 159 ss. In ogni cultura il linguaggio struttura il<br />

pensiero: din, religione/dunya, mondo, il cui rapporto influenza grandemente lo svi-<br />

luppo della cultura islamica, sono termini che provengono dalla stessa radice lingui-<br />

stica. «La nozione di Stato, tradotta oggi dal termine duwlu, deriva da un significato<br />

originario che corrisponde piuttosto a dinastia che a un’idea rigorosa di Stato»: p. 9<strong>1.</strong>


422 Silvana Barbirotti<br />

mici, la difficoltà maggiore per l’osservatore occidentale deriva dal<br />

fatto che egli non possiede tutti i codici per interpretare l’uso contem-<br />

poraneo di questi molteplici registri che gli islamici continuano a fare’.<br />

La civiltà musulmana possiede un vocabolario politico e giuridico<br />

ricco di articolazioni e sfumature ed è oggi più che mai alla ricerca di<br />

una sua via sul percorso dello sviluppo politico, economico e sociale<br />

che sia in grado di superare le contraddizioni stridenti tra tradizione e<br />

modernità.<br />

Appare subito chiaro che il legame tra religione e politica è, dal<br />

punto di vista islamico, indissolubile, visto che 1’Islam è contempora-<br />

neamente una religione, un modello di ordinamento giuridico, un<br />

disegno politico, una proposta di società civile. I principi dell’Islam<br />

reggono la vita del musulmano nella sua interezza. La separazione fra<br />

la sfera temporale e quella religiosa - almeno sul piano ideale - sem-<br />

plicemente non esiste, perché il messaggio del Profeta, improntato al<br />

concetto fondamentale della Unità, si irradia su tutti i piani del vivere<br />

dell’uomo: sul piano religioso un unico Dio, Allah; sul piano sociale e<br />

politico una unica realtà, la Umma, la comunità islamica indivisibile;<br />

sul piano giuridico una unica Legge, quella ispirata dal Corano, la<br />

Sbari‘a.<br />

Esiste nella religione islamica un progetto politico disegnato dalla<br />

Legge Divina che, proprio per questo, non si limita a regolamentare i<br />

comportamenti religiosi del musulmano, ma mira a fornirgli le norme<br />

per guidarlo nei suoi rapporti sociali e i principi etici cui ispirare la sua<br />

condotta pubblica’. I1 comportamento più sacrilego per il musulmano<br />

è la rottura del principio unitario: punizioni eterne per chi difende il<br />

politeismo contro la shabada, la professione di fede che afferma che<br />

«non c’è Dio all’infuori di Dio», Allah, l’Unico, il Solo; sanzioni gravi<br />

per chi provoca rotture nella Umma islamiyya, nella quale l’individuo<br />

è chiamato a realizzare il progetto politico propagato dall’Islam im-<br />

prontato ai principi inviolabili di equità, solidarietà e giustizia.<br />

In particolare sull’argomento cfr. B. Etienne, L‘islumisrno, cit., p. 16.<br />

’ L‘Islam riserva in realtà poca importanza agli aspetti di culto, che riguardano il<br />

foro interno della coscienza del credente e il suo rapporto con Dio, e molta più<br />

rilevanza invece alle questioni del vivere sociale. La percezione dello Stato islamico<br />

come Stato teocratico generalmente diffusa in Occidente, si scontra con una religione<br />

che, come sostiene B.M. Scarcia, Il Mondo dell‘lslam, Roma 1988, p. 39, è - parados-<br />

salmente - laica, per lo scarso peso attribuito dai precetti coranici alle questioni di<br />

credo, ridotte all’essenziale, e l’importanza che invece assume la legge come sistema di<br />

regolamentazione della vita civile. Questo «apparente paradosso si awicina alla realtà<br />

islamica molto più che il parlare di teocrazia».<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-ìslamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

L‘ideale unitario assume così un’importanza irriducibile nella vi-<br />

sione politica che 1’Islam possiede, pur se nella realtà oggi esso non<br />

rappresenta che un’aspirazione non realizzata e, forse, non realizzabi-<br />

le.<br />

3. La sfida della modernizzazione: dallo Stato nazionale ai <strong>diritti</strong> del-<br />

I‘uomo<br />

Dunque, nessuna via d’uscita per un progresso del mondo <strong>arabo</strong>-<br />

islamico verso un’accezione più “moderna” delle istituzioni e della<br />

società?<br />

I1 tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si iscrive nel più ampio dibattito sulla<br />

modernizzazione che, iniziato tra Islam e Occidente dalla metà del<br />

XIX secolo, è tuttora in corso riattualizzandone i termini.<br />

Non è un caso che le maggiori questioni aperte riguardo al tratta-<br />

mento dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> negli Stati <strong>arabo</strong>-islamici attingano agli stessi<br />

temi dialettici del confronto sulla modernizzazione, a dimostrazione<br />

del fatto che le società della regione araba non hanno affatto risolto i<br />

propri conflitti.<br />

In sintesi. si può affermare che la problematica del dibattito sulla<br />

I *<br />

modernizzazione ha posto l’accento su due aspetti centrali:<br />

i. l’assetto politico istituzionale da dare ai territori appartenenti<br />

all’ex Impero islamico o - come dicono i musulmani - alla Casa<br />

dell’Islam, la dar al Islarn;<br />

2. il ruolo della shari’a, legge islamica, nei nuovi ordinamenti politico-giuridici.<br />

I fermenti europei del XIX secolo influenzano largamente le élite<br />

arabe che saranno le protagoniste quasi ovunque del processo di state<br />

buildzng. I movimenti riformisti discutono sulla necessità di rinnovare<br />

l’Islam, e attratti dalla forza ideologica che risiede nei concetti di<br />

sovranità nazionale, indipendenza, svilyppo economico, accedono a<br />

formulazioni politiche di tipo nuovo. E in particolare negli anni tra<br />

le due guerre mondiali che si producono i maggiori cambiamenti nella<br />

regione araba.<br />

I1 crollo dell’Impero ottomano, con la successiva abolizione del<br />

Califfato del 1924”, l’ingresso nella dur al Islam delle potenze europee,<br />

‘O L‘abolizione del Califfato, proclamata da Kemal Ataturk nel 1924, rappresenta<br />

la rottura traumatica del principio coranico della Unità. Sebbene ridotto ormai a<br />

simbolo dell’unità islamica, l’istituto califfale aveva tenuto insieme l’Impero islamico<br />

che - dopo aver toccato il suo apogeo tra il IX e il X secolo dell’era cristiana - inizia la<br />

423


424 Silvana Barbirotti<br />

che rappresentano nella memoria islamica la casa della guerra (la dar al<br />

harb), e l’assetto territoriale che esse ridisegnano, produce uno shock<br />

tanto maggiore nella coscienza araba quanto più lo sfruttamento co-<br />

loniale si accompagna alla presa di coscienza che la rottura dell’unità<br />

islamica si è ormai consumata.<br />

La Umma è percorsa da profonde divisioni e assoggettata alle<br />

potenze coloniali e l’unità è nella realtà politica ormai spezzata. Essa<br />

resta tuttavia, nel mondo <strong>arabo</strong>-islamico, un ideale da raggiungere. Le<br />

correnti di pensiero si dividono sulle soluzioni da proporre, e quando<br />

si tratterà di affrontare la lotta anticoloniale, tutte richiamano in causa<br />

1’Islam e i suoi principi. Sul piano politico, i modelli proposti dal<br />

nazionalismo, panarabismo, panislamismo si diramano in più versioni.<br />

Ora si modella l’immagine della Nazione Araba secondo il disegno di<br />

unitarietà politica di tutto il mondo <strong>arabo</strong>, come primo passo verso<br />

l’unità islamica; ora se ne accettano le varianti scolpite attraverso le<br />

Grandi Nazioni e le fusioni tra più Stati; ora ci si riferisce alla dimen-<br />

sione territoriale più ristretta di Stato-nazione sui presupposti - che<br />

risulteranno vincenti - della piena sovranità e indipendenza, magari<br />

facendo rivivere l’unità sotto il profilo della solidarietà di fede, di<br />

lingua, di cultura.<br />

Per liquidare l’esperienza coloniale gli arabi hanno bisogno di<br />

recuperare la propria identità collettiva. Per farlo essi non possono<br />

che attingere, esaltandolo, al patrimonio culturale dell’Islam, interio-<br />

rizzato nei secoli a tal punto che anche i nazionalisti arabi cristiani<br />

enfatizzano i valori della civiltà islamica’ I.<br />

Sul piano dottrinale l’accento viene posto sulla necessità di riformare<br />

1’Islam. Quanto alle modalità e alle condizioni per awiare questa<br />

riforma, le posizioni sono diverse: le correnti più conservatrici indivi-<br />

sua decadenza, consumando nella frammentazione politica la compattezza della dar al<br />

Islam.<br />

” È quanto fa notare, ad esempio, M. Rodinson, Gli arabi. Storia, caratteri, ideo-<br />

logia, propettzvc, Firenze 1780, p. 113: «L‘Islam è concepito molto meno come rive-<br />

lazione divina ... e assai più come valore nazionale <strong>arabo</strong>. Gli stessi arabi cristiani lo<br />

riconoscono come tale ed esaltano il ruolo di Maometto unificatore degli arabi». Un<br />

classico del pensiero <strong>arabo</strong>-islamico è invece: A. Rechid, lslam et Droit des Gens, in<br />

Recneil des Cours Academic de Droit internatzonal, L‘Aja 1937, p. 396. L‘A. mette<br />

l’accento sui precetti coranici che affidano alla Umma il compito di realizzare la<br />

solidarietà di fede e l’Unità dei credenti, ed esprime in sintesi la ricerca fatta attraverso<br />

I’Islam dell’identità collettiva dei popoli: «Le Koran proclame que la religion de Dieu<br />

est 1’Islam ... qu’elle est une ... que le croyants sont tous frères ... la fraternité religeuse se<br />

tient au-dessus de tout sentiment de nationalité, de particularisme ... Les précepts<br />

koraniques ont opéré une fusion complète des races et des peuples ... au point d’avoir<br />

réalisé ... ce que 1’Europe ne réussira pas à réaliser: la disparition des frontières mora-<br />

les».<br />

c<br />

Si.itrrna <strong>arabo</strong>-islamico E <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

duano la soluzione del problema nell’applicazione letterale della sha-<br />

ri’a ritenendo che la causa della lunga decadenza della civiltà islamica<br />

sia dovuta all’allontanamento dai precetti coranici e alle trasformazioni<br />

dell’Islam originale avvenute nel corso dei secoli ad opera, in partico-<br />

lare, dei regnanti ottomani, corruttori della vera fede e della sua<br />

espressione politica, il buon governo della Umma. I modernisti si<br />

muovono anch’essi in polemica con le degenerazioni dell’Islam e in-<br />

tendono liberarlo dalle contaminazioni proponendo un rinnovamento<br />

del pensiero giuridico il cui grado varia a seconda del valore e della<br />

legittimità conferiti alle fonti del diritto islamico’*.<br />

Alcuni elementi comuni sembrano percorrere tutte le versioni ri-<br />

formiste, conservatrici o moderniste che siano. Anzitutto esse si muo-<br />

vono tutte d’interno dell’Islam. Gli osservatori che accedono ad una<br />

visione più laica della realtà restano, laddove esistono, marginali. In<br />

secondo luogo il pensiero islamico, pur nelle sue articolazioni, corre<br />

tra due massimi confini, la cui oscillazione è variabile: da un lato la<br />

polemica con la civiltà cristiano-occidentale, che giunge fino al rifiuto<br />

dell’occidente, dall’altro l’idealizzazione dell’epoca aurea dell’Islam,<br />

quella del Regno del Profeta Muhammad e dei primi quattro Califfi<br />

rashidun, i ben guidati, che giunge a volte ad una visione apologetica<br />

del passato spesso considerata la misura dell’incapacità dell’Islam di<br />

procedere sulla via della modernità.<br />

Dopo un lavorio intellettuale e storico durato un secolo, i Paesi<br />

islamici a decolonizzazione avvenuta scelgono come opzione politica e<br />

istituzionale per il loro nuovo assetto, quella degli Stati-Nazione d’i-<br />

spirazione occidentale. I1 trionfo del principio di sovranità nazionale<br />

segna il tramonto definitivo dell’ideale unitario. L‘epoca contempora-<br />

nea apre peraltro la drammatica fase di grandi divisioni tra gli Stati<br />

<strong>arabo</strong>-islamici. Negli anni della guerra fredda le relazioni inter-arabe<br />

sono segnate da rivalità politiche che riproducono nel teatro <strong>arabo</strong> le<br />

contrapposizioni del mondo bipolare, appena stemperate dai tentativi<br />

di non allineamento che si susseguono dal Maghrib al Mashriq. Dagli<br />

anni ’80 agli anni ’90 due guerre, quella Iran-Iraq e quella del Kuwait,<br />

si consumano nella dar al Islam, spezzando nei fatti i principi di fra-<br />

’* Le fonti del diritto islamico sono il Corano, la Sunmh (tradizione che raccoglie<br />

l’insieme del contegno del Profeta o hadzt: detti e fatti del Profeta), l’igrnà (consensusì e<br />

il Fzqh, che nel suo significato più tecnico viene considerata la scienza del diritto<br />

religioso o anche la giurisprudenza. Ma nel senso più completo è «l’estrarre dalle radici<br />

e dalle fonti le norme relative alla qualificazione sciaraitica delle azioni»: E Castro, Il<br />

Diritto Musulnaano, in Digesto, Torino 1770, p. 17. 11 dibattito sulla modernizzazione<br />

pone, riguardo ai temi della shari‘a, termini più o meno simili a quelli attualmente<br />

adoperati nel campo dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> che si analizzeranno in seguito.<br />

425


426<br />

Silvana Barbirotti<br />

tellanza e solidarietà araba ai quali continuano ad appellarsi in tutti i<br />

loro discorsi, vertici intergovernativi, dichiarazioni e atti internaziona-<br />

li, i governanti di questi Paesi.<br />

Dal crollo dell’Impero ottomano a quello dell’Impero sovietico<br />

scorre tutto il XX secolo. I “nuovi” Stati islamici sorti dallo smembra-<br />

mento dell’unione Sovietica, proprio come i Paesi-fratelli usciti dal-<br />

l’esperienza coloniale, raggiungono l’indipendenza accettando anche<br />

essi la dimensione statuale dei confini e il modello di organizzazione<br />

delle relazioni internazionali di tipo moderno. Nello stesso tempo<br />

1’Islam mantiene uniti in un legame irriducibile la Religione e la Legge<br />

quanto accorati appelli all’Unità della Umma islumiyya, consumando<br />

dall’ Afghanistan all’Algeria la lotta per il potere interno in sanguinose<br />

guerre civili. Quello che maggiormente urta la sensibilità occidentale è<br />

che generalmente non sono i processi democratici dell’alternanza a<br />

determinare gli equilibri politici ma la dose più o meno rincarata di<br />

richiamo all’lslam, e l’uso talvolta violento che di esso viene fatto.<br />

Cosa ancora si cela dietro questa grande contraddizione dei Paesi<br />

islamici stretti tra aspirazioni ideali e necessità della realtà, che oggi<br />

più che mai sono di sviluppo economico, emancipazione della società<br />

civile, rispetto dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>?<br />

È ormai chiaro agli arabi quanto a noi osservatori occidentali che<br />

la criticità maggiore è ancora rappresentata dall’opzione dello Stato<br />

nazionale come modello di organizzazione politica e istituzionale. Tale<br />

criticità incorpora tutte le altre, in przmis il rapporto con la religione e<br />

la dimensione che la Legge Divina deve avere nello Stato moderno.<br />

<strong>Lo</strong> Stato-Nazione resta una scelta obbligata per gli arabi come per<br />

gli altri popoli islamici, un prodotto allogeno costruito in Occidente,<br />

peraltro attraverso un processo lento e conflittuale durato secoli. Pa-<br />

radossalmente, mentre dall’altra sponda del Mediterraneo la dimen-<br />

sione sovrannazionale tende a modificare in maniera sostanziale gli<br />

assetti istituzionali degli Stati europei, lo Stato nazionale sembra essere<br />

per i Paesi <strong>arabo</strong>-islamici ancora la «sola forma autorizzata di società<br />

alla fine del XX secolo», quasi sempre percepito come un «dono<br />

awelenato del colonialismo»13. Nella dinamica tra i principi ispiratori<br />

che nutrono i processi di organizzazione politico-istituzionale e I’edi-<br />

ficazione delle strutture che a tale organizzazione sono preposte, nel<br />

mondo islamico permane un profondo gup. La sovranità nazionale<br />

resta un concetto estraneo all’universo mentale e culturale dell’Islam,<br />

che ha concepito la politica semplicemente come l’assetto organizza-<br />

tivo da dare alla Ummu per il raggiungimento dei suoi scopi mondani<br />

li B. Etienne, L‘lslamismo, cit., p. 77.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islalilzico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

(edificazione della società ideale dell’Islam) e ultramondani (la salvez-<br />

za) insieme. La tensione unitaria se rappresenta solo un’aspirazione<br />

ideale, ebbene è un’aspirazione che non cessa di produrre i suoi miti e<br />

simboli. Tanto più forti quanto più irrealizzati.<br />

La Ummu, mai rinnegata, viene convertita in «mythe active et en<br />

project politique». Ad essa si sovrappone, come forma moderna del-<br />

l’identità collettiva, la struttura statale, che raffigura la «sede expres-<br />

sion concevable dans le systéme internationale dell’epoque>>’4,<br />

Nello Stato nazionale si concentrano così tutte le speranze di ri-<br />

scatto politico, di modernizzazione, di sviluppo economico, di difesa<br />

dell’indipendenza troppo spesso conquistata a fatica. I1 mito unitario<br />

resta sullo sfondo rievocato ogni qualvolta si rende necessario mobi-<br />

litare le masse arabe o se bisogna placarle quando esse rischiano di<br />

compromettere la stabilità dei governi, o ancora come invettiva rivolta<br />

all’occidente, amico-nemico dei nuovi Stati.<br />

Tra la fine del XX secolo e l’inizio del nuovo millennio, lo Stato<br />

nazionale dimostra drammaticamente di aver fallito su tutti i fronti: la<br />

modernizzazione - avviata su un sistema economico pre-industriale -<br />

ha scardinato sistemi di vita tradizionali alterando gli equilibri e le<br />

strutture sociali senza produrne di nuovi; l’indipendenza politica trop-<br />

po spesso si chiude in un nazionalismo esacerbato che accentua le<br />

rivalità tra Paesi fratelli, e cede il passo alla dipendenza economica<br />

dal Nord del mondoI5. Tutte le questioni restano aperte: lo sviluppo<br />

economico, la democrazia, la questione palestinese, causa araba per<br />

eccellenza e fronte dove più che mai la solidarietà islamica resta scon-<br />

fitta e chiama in causa, assieme a quelle dell’Occidente, le responsa-<br />

bilità dei governi arabi.<br />

In questo <strong>scenario</strong> s’inserisce il dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, ultima<br />

frontiera del diritto <strong>internazionale</strong> e, per i Paesi arabi, ultima sfida<br />

della modernizzazione. Esso pone in termini cruciali la questione della<br />

legittimità dello Stato, riproponendo in chiave più attuale che mai il<br />

tema di quale Islam recuperare per una soluzione non allogena dei<br />

problemi della dar al Islum.<br />

J.R.<br />

Henry, Lts mythes unitazres a I‘epreuue des intéres nationaux. La Crise dtr<br />

mythe d I‘Unitè Arabe, AAN, 1985, n. XXIV, p. 2<strong>1.</strong><br />

I Paesi del Golfo, isola felice di benessere, sono l’eccezione che conferma la<br />

regola: i capitali arabi fluiscono in percentuali massicce in Occidente, assoggettando i<br />

piani di sviluppo all’andamento del mercato globale, il sistema produttivo delle eco-<br />

nomie petrolifere cresce sulla base di tecnologie importate dall’Occidente da cui il<br />

sistema resta dipendente, e senza alcuna strategia di crescita endogena. Cfr., ad esem-<br />

pio, R. Candelai, IL Golfo tra arabismo e petrolio, in Aflari Esteri, 199<strong>1.</strong><br />

427


428 Silvana Barbirotti Sistemu <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 429<br />

I1 mondo <strong>arabo</strong>-islamico appare oggi carico di frustrazioni e di<br />

lacerazioni che inducono le società islamiche ad accentuare i propri<br />

valori simbolici, al punto che tutti si riappropriano dell’Islam. In effetti<br />

ciò awiene proprio perché la fonte del potere politico risiede<br />

nella Religione del Profeta e nel suo Libro. L‘Islam diventa legittimazione<br />

del potere quanto contro il potere costituito. Nessun regime,<br />

tanto più se privo di altre fonti di legittimità democratica, come awiene<br />

un po’ ovunque nel mondo <strong>arabo</strong>-islamico, può rinunciare a trovare<br />

nell’Islam le fondamenta del proprio governo. Per i gruppi politici<br />

di opposizione, moderati o radicali che siano, 1’Islam diventa la<br />

piattaforma più o meno definita e accentuata dei loro programmi di<br />

azioye.<br />

E molto probabile che il fenomeno del “Risveglio Islamico”, più<br />

che un’espressione di fanatismo religioso sia un nuovo «sussulto anticoloniale»<br />

che, dopo la crisi della modernizzazione, 16.<br />

Queste dinamiche, trasposte nell’ambito dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si traducono<br />

in un articolato quanto vasto <strong>scenario</strong> di posizioni ideologiche e<br />

di azioni concrete.<br />

Oggi esistono in quasi tutti i Paesi arabi organizzazioni non governative<br />

e istituzioni che intendono sostenere i <strong>diritti</strong> civili e politici<br />

nei propri ambienti nazionali. Spesso simili organizzazioni agiscono in<br />

contrapposizione ai regimi, e intendono tutelare le libertà individuali<br />

dalle violazioni che i propri governi compiono”. Numerosi i documenti<br />

e le carte adottate, che alcune volte si spingono molto avanti nella<br />

rivendicazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> dichiarando che la sola fonte per il<br />

rispetto dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è il diritto <strong>internazionale</strong> con gli strumenti<br />

giuridici messi in atto dalle Nazioni Unite, come awiene nel caso della<br />

Dichiarazione di Casablanca del 1999 dell’Arab Human Rights Movement.<br />

Ciò, associato alla richiesta di una riforma nelle legislazioni dei<br />

Paesi arabi, è il chiaro segno del desiderio di liberare i propri ordinamenti<br />

dal predominio del diritto islamico e di ampliare, in senso uni-<br />

‘‘ B.M. Scarcia, Il mondo, cit., p. 140.<br />

li Tra i documenti non governativi sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> uno dei più famosi è quello<br />

prodotto dal Consiglio Islamico d’Europa (<strong>Lo</strong>ndra 1981), noto come Dichiarazione<br />

universale dei <strong>diritti</strong> dell’uomo in Islam (Dudui). Esso esprime a tratti una posizione<br />

contestataria riguardo al trattamento dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> di cui sono responsabili gli Stati<br />

islamici, e sembra voler ricordare a questi ultimi quali siano i <strong>diritti</strong> dei musulmani che<br />

nessun governo può violare. Nella sua essenza tuttavia il testo si inscrive, secondo gran<br />

parte degli osservatori, nella linea dell’Islam conservatore. Per un’analisi più appro-<br />

fondita del documento cfr. M. Borrmans, Convergenze e Divergenze tra la Dichiarazione<br />

universale dei <strong>diritti</strong> dell‘uomo del i948 e le recenti dichiarazioni dei <strong>diritti</strong> dell‘uomo<br />

nell’lslam, in questa Rivista, 1999, p. 44-59.<br />

_..<br />

versale, la sfera dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>I8. Tali movimenti restano però vinco-<br />

lati dagli scarsi spazi politici consentiti dai governi arabi, i quali dal<br />

canto loro, non restano inattivi. Numerosi governi hanno infatti isti-<br />

tuito ministeri per i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, come ad esempio in Algeria, prima<br />

della guerra civile, e in Marocco, dove oltre alle strutture governative<br />

ogni partito politico ha attivato gruppi o leghe sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, i quali<br />

richiamano più o meno apertamente i principi islamici. Resta da veri-<br />

ficare se tale approccio esprima il desiderio di apertura alla codifica-<br />

zione <strong>internazionale</strong> sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> o piuttosto quello di tenerne<br />

sotto controllo i processi evolutivi.<br />

La tematica dei <strong>diritti</strong> dell’uomo è di grande attualità nel mondo<br />

<strong>arabo</strong>, e solo in parte essa definisce una dimensione islamico-occiden-<br />

tale del dibattito che si svolge nell’ambito delle relazioni internazio-<br />

nali. Per il resto, la discussione è tutta interna all’lslam stesso, e si<br />

articola in una molteplicità di posizioni talvolta anche in aspra con-<br />

trapposizione. Volendo considerare soltanto gli aspetti più rilevanti, il<br />

punto di partenza è la dimensione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> secondo 1’Islam e<br />

la sua Legge, la shari’a, mentre l’evoluzione degli ordinamenti giuridici<br />

nazionali, e la recente tendenza delle organizzazioni internazionali<br />

<strong>arabo</strong>-islamiche alla codificazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, sono - come si<br />

vedrà - interessanti elementi di verifica dell’attitudine degli Stati ara-<br />

bo-islamici riguardo al tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

4. La dimensione islamicu dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>: la shari’a tra diritto divino,<br />

jurist law e legge degli Stati<br />

L‘idea di una definizione in ambito islamico dei <strong>diritti</strong> dell’uomo<br />

pone un primo fondamentale problema: si tratta ancora una volta di<br />

termini coniati in Occidente. Nella visione teologica islamica, molto<br />

più vicina di quanto si pensi alla tradizione ebraica“, esistono i Diritti<br />

Cfr. Tbe Casahlanca Declaration of the Arah Iltiman Rights Mouement, Casa-<br />

blanca, 23/25 aprile 1999, dove si legge che nel campo dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> «The only<br />

source of reference ... is international human rights law and the United Nations instru-<br />

ments and declarations. The conference also emphatised the universality of human<br />

rights”. Sempre nello stesso testo si legge più avanti che il movimento intende lottare<br />

“to reform the legislations of Arab countries expecially those contravene the freedom<br />

of opinion, expression, ... information, ... the rights of assembly and peaceful associa-<br />

tion .:. including unarmed political islamic groupsn. La Carta è disponibile sul sito<br />

Internet www.arabicnezus.com.<br />

Come osserva S.A. Aldeeb Abu Sahlieh, I <strong>diritti</strong> dell’uomo e la .fida dell’lslam.<br />

Diagnosi e rimedi, in questa Rivista, 1999, p. 109, quando afferma che, per il forte<br />

legame stabilito dalle sacre scritture ebraiche e islamiche con i rispettivi sistemi giuri-


43 O Silvana Barbirotti <strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 43 1<br />

di Dio (huquq Allah) a cui spetta la piena sovranità (hakimiyya) e alla<br />

quale corrispondono per l’uomo precisi doveri.<br />

Di conseguenza, gli Stati non sarebbero in teoria legittimati a<br />

nessun tipo di codificazione che non rispetti la Legge Divina. Essa<br />

produce una sua interpretazione delle dinamiche sociali, che nella<br />

teoria politica dell’Islam sono state improntate ad alcune distinzioni<br />

di base: la fondamentale, forse l’unica, è quella fra musulmani e non<br />

musulmani. La sola discriminazione accettata - almeno in via di prin-<br />

cipio - nell’Islam, resta fra dar al Islam e dar al harb. L‘Islam non ha<br />

avuto cognizione delle discriminazioni razziali, né ha mai amato le<br />

categorie etniche che hanno devastato l’Europa. Non a caso il mito<br />

dell’Andalusia araba (VIII-XII secolo) ancora riecheggia nella descri-<br />

zione degli apologeti della civiltà islamica che esaltano la secolare<br />

convivenza tra ebrei, musulmani e cristiani come il modello islamico<br />

di tolleranza razziale e religiosa. Se la conflittualità con l’occidente<br />

cristiano ha una storia antica, l’antisemitismo <strong>arabo</strong> appartiene alla<br />

storia recente ed ha da fare i conti con i <strong>diritti</strong> dello Stato d’Israele<br />

più che con 1’Islam che afferma che le Genti del Libro (cristiani ed<br />

ebrei) sono tutti figli di Abramo.<br />

Tuttavia, la circostanza che il vero titolare dei <strong>diritti</strong> sia Allah e lui<br />

solo non ha significato nella teologia islamica l’annullamento delle<br />

libertà dell’uomo, e la sua piena dignità resta garantita dal Corano<br />

non meno di quanto facciano gli altri testi sacri. Sul piano del diritto<br />

pubblico, i <strong>diritti</strong> di Dio comportano doveri dei governati e dei go-<br />

vernanti. Ciò consacra, nella visione islamica dei <strong>diritti</strong> dell’uomo, un<br />

diritto che l’occidente non ha mai istituzionalizzato, quello di sower-<br />

tire l’ordine costituito quando il potere non è esercitato in conformità<br />

alla Legge”.<br />

dici, «è sbagliato ... parlare di una cultura ebraica-cristiana: è opportuno piuttosto<br />

parlare di cultura ebraica-musulmana».<br />

2 I) Il Corano proclama che l’obbedienza è dovuta, secondo la seguente gerarchia,<br />

ad Allah, alla Legge proclamata dal Profeta e all’autorità: «O voi ... che credete! AI Dio<br />

obbedite e al suo rasul (profeta) e a chi tra voi detiene il potere», Corano, IV: 59, trad.<br />

di E Peirone, cit., p. 163. I1 diritto di resistenza risiede inoltre nel principio coranico<br />

della hisba (il diritto-dovere di cui è titolare singolarmente ogni individuo della Umma<br />

di ordinare il bene e impedire il male, Corano, 111: 110 e XXII: 41) al quale fanno<br />

ricorso i gruppi islamici radicali nel proclamare il loro appello alla lotta contro i<br />

governanti islamici “corrotti”. Questo è il primo vero significato del jihd (guerra<br />

santa), ossia, secondo un hadit del Profeta, il dovere di proclamare la verità e di lottare<br />

contro l’oppressione e l’ingiustizia. Impegno rivolto per prima cosa contro i regimi<br />

stessi dei Paesi islamici. Cfr. su questo tema L. Pruvost, Declaration Universelle des<br />

droits de I‘homme dans I‘Islam et la Charte internationale de droits de I‘homme, in<br />

Islamochristiana, Roma 1983, p. 155 e H. Mustafa, L‘lslam politico in Egitto: il richiamo<br />

alla shari’a dei movimenti islamici radicali, in Dossier Mondo Islamico. Dibattito sull‘ap-<br />

I1 problema resta quello della fonte di legittimazione dei <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong>, riproponendo l’antico dibattito, per dirla in termini occiden-<br />

tali, fra giusnaturalisti e positivisti sull’origine delle leggi. Nella conce-<br />

zione islamica la Legge ha origine divina, è stata rivelata in via defini-<br />

tiva al Profeta, ponendo su Muhammad il sigillo dei profeti e con<br />

questo rendendo la Sua Legge eterna e immutabile.<br />

Tornando all’attualità, si comprende meglio come qualsiasi produ-<br />

zione giuridica che voglia avere la consacrazione della legittimità agli<br />

occhi dei musulmani debba richiamarsi alla Legge Divina. Ed è così<br />

che essa si impone nei principi costituzionali a cui ispirare le proprie<br />

istituzioni, quanto negli atti internazionali delle organizzazioni <strong>arabo</strong>-<br />

islamiche, e - come si vedrà - nelle Dichiarazioni sui <strong>diritti</strong> dell’uomo<br />

che esse hanno prodotto, nelle quali la fonte del diritto resta - in modo<br />

esplicito o implicito - principalmente la Legge Divina, la Shari’a.<br />

Qui, ancora una volta, si pone il problema: quale Legge Divina?<br />

Da un punto di vista prettamente musulmano, non si potrebbe<br />

parlare di diritto nel senso che noi occidentali diamo al termine, per-<br />

ché esso è parte di un unico sistema di regole religiose ed etiche. La<br />

shari’a, che nel senso etimologico più esteso significa la via indicata da<br />

Dio, considera solo capitoli differenti, ma non situati su piani diffe-<br />

renti


43 2 Silvana Barbirotti <strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 433<br />

del sistema unico. I1 principio dell’evoluzione giuridica è d’altronde<br />

uno dei cardini della teoria del diritto islamico che considera l’igtihad<br />

(sforzo interpretativo), assieme all’igmà (consenso) le basi su cui edi-<br />

ficare le nuove regole giuridiche per consentire il continuo adattamen-<br />

to del diritto ai cambiamenti sociali. Non è casuale che tutta la scuola<br />

di pensiero favorevole ad una piena evoluzione del diritto islamico per<br />

accedere ad una concezione più ampia dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, rivolga un<br />

appello alla riapertura della porta dell‘igtihad, chiusa nel X secolo della<br />

nostra era dai giuristi islamici per il timore che i testi sacri fossero<br />

sottoposti ad ogni genere d’interpretazione e contaminazione e, dietro<br />

questo, di veder minata l’autorità degli ulema. L‘importanza di questo<br />

tema è tale che l’intero dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> diventa inevitabil-<br />

mente anche il dibattito sul ruolo della shari’a.<br />

Attualmente i termini sono, in sintesi, i seguenti: la shari’a, com-<br />

plesso di norme islamiche basate sulle fonti coraniche e le successive<br />

produzioni giuridiche elaborate dai dotti musulmani a cui ancora<br />

oggi è riservato il diritto di interpretazione dei testi, costituiscono<br />

le fonti del diritto inviolabile e immutabile. Di conseguenza qualsiasi<br />

codificazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> deve essere fatta in conformità alla<br />

shari’a peraltro già sufficiente a garantire la tutela delle libertà fon-<br />

damentali. Questa la posizione più intransigente difesa da numerosi<br />

commentatori ed attualmente espressa dai regimi politici più conser-<br />

vatori, rappresentati, nel mondo <strong>arabo</strong>, dai Paesi del Golfo. Per i<br />

moderati, i cosiddetti «esponenti dell’Islam liberale», quando si parla<br />

di legge sacra e inviolabile, si tratta di tenere ben distinte le fonti<br />

principali - essenzialmente il Corano e la Sunnah - e la giurispru-<br />

denza &h). La confusione tra questi due elementi genera le più<br />

grandi strumentalizzazioni a tutto danno dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. La critica<br />

è rivolta soprattutto ai governi più conservatori e ai dotti islamici che<br />

forniscono una chiave di lettura delle fonti sacre molto spesso non in<br />

linea con lo spirito coranico. Le violazioni dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> awen-<br />

gono dunque prima ancora che sotto il profilo del diritto internazio-<br />

nale, riguardo alla Legge islamica che i conservatori dicono di difen-<br />

dere.<br />

In breve, gli islamisti moderati «non disconoscono l’autorità del<br />

testo rivelato, ma liberano il testo rivelato all’autorità dei religiosi»22.<br />

Sostenendo che il diritto islamico prodotto nel corso dei secoli non è<br />

affatto di origine divina, i più modernisti si spingono ancora oltre,<br />

fino a considerare la possibilità di rinnovare la shari’a partendo dallo<br />

stesso Corano. Facendo ricorso all’igtihad, alcuni autorevoli studiosi<br />

” S.A. Aldeeb Sahlieh, I <strong>diritti</strong> dell‘uomo e la sfida dell‘lslam, cit., p. 124.<br />

islamici2’ propongono una lettura finalista del Libro attraverso la<br />

quale è possibile distinguere nello stesso Corano quanto Dio ha rive-<br />

lato per il governo della società all’epoca della nascita e della prima<br />

espansione dell’Islam (in particolare le sure del periodo medinese), e<br />

quanto invece rappresenti lo Spirito della legge, volto a stabilire prin-<br />

cipi etici e valori immutabili (soprattutto le sure meccane), e nel quale<br />

esiste tutta la carica interiore per organizzare la società moderna e per<br />

scorgere le fonti giuridiche dei <strong>diritti</strong> dell’uomo universalmente rico-<br />

nosciuti.<br />

L’esempio classico è quello dell’istituto della schiavitù. Anche se<br />

inesistente nella prassi, si tratta di un istituto tuttora formalmente<br />

valido per la shari’a, nonostante anche i più conservatori sono disposti<br />

ad ammettere che, stabilendo una serie di norme per il trattamento<br />

umano degli schiavi, il Corano intendeva giungere ad abolire la schia-<br />

vitù. Ciò esprime in modo chiaro l’attitudine degli Stati <strong>arabo</strong>-islamici<br />

contemporanei a non intaccare la shari’a in virtù della sua sacralità e<br />

inviolabilità, limitandosi a non applicarne alcuni istituti, modificando<br />

tuttavia il sistema giuridico attraverso la produzione di norme positive.<br />

In breve si tratta, secondo questa corrente di pensiero, di contestua-<br />

lizzare le disposizioni coraniche e procedere coraggiosamente ad una<br />

riforma della shari’a.<br />

Le concezioni laiche presenti nei movimenti modernisti, sebbene<br />

marginali, contribuiscono ad ampliare il dibattito mirando a sganciare<br />

completamente il ruolo dello Stato dall’invadenza del diritto islamico e<br />

ad emancipare le società civili proclamandone i <strong>diritti</strong> fondamentali<br />

sulla scia delle conquiste moderne e democratiche. «Lungi dall’oppor-<br />

si all’Islam, i sostenitori del punto di vista laico non fanno altro che<br />

sottolineare il fatto che fondare i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> sul testo sacro apre il<br />

varco ad ogni sorta di esegesi contraddittoria, con il risultato finale di<br />

perdere questi <strong>diritti</strong>»24.<br />

<strong>Lo</strong> <strong>scenario</strong> dell’Islam contemporaneo si arricchisce infine del<br />

contributo della corrente del radicalismo islamico. Sebbene talvolta<br />

associati all’islamismo tradizionale e conservatore per il richiamo per-<br />

sistente alla shari’a, lungi dal rappresentare un unico movimento, i<br />

gruppi islamici si collocano nel dibattito in una dimensione propria<br />

I principali autori di questa corrente sono M.Talbi, M.M. Tiihi, A.An Na’im.<br />

Una sintesi del pensiero riformatore di questi autori è pubblicata in A. Pacini (a cura<br />

di), Dossier Mondo Islamico, L‘lslam e il dibattito sui <strong>diritti</strong> dell‘llomo, Torino 1998. In<br />

particolare cfr. l’articolo di A.A. An Na’im, Il conflitto fra la shari’a e i moderni <strong>diritti</strong><br />

dell‘uomo: proposta per una riforma dell‘lslam, p. 103- 120.<br />

’‘ E Zakariya, Filosofia dei <strong>diritti</strong> dell‘uomo e mondo musulmano, in A. Pacini (a<br />

cura di), OP. cit., p. 160.


434 Silvana Barbirotti<br />

dagli accenti variabili. Come posizione dottrinale comune assumono la<br />

richiesta del ripristino totale della shari’a, quale sintomo e segno della<br />

islamicitù degli ordinamenti giuridici. I1 diritto islamico è stato l’unico<br />

sistema che ha retto le società islamiche fino a quando non vi è pene-<br />

trato il diritto positivo delle potenze occidentali che ha profondamente<br />

trasformato gli ordinamenti giuridici e l’organizzazione politica. In<br />

quest’ottica il ritorno alla shari’a, che per una buona parte degli os-<br />

servatori del fenomeno del risveglio islamico assume un significato di<br />

acritico ritorno al passato, per i gruppi islamici diventa proposta rivo-<br />

luzionaria di cambiamento, laddove il vero cambiamento coincide con<br />

il recupero dell’Islam delle L‘intera discussione sui <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong> è così filtrata alla luce della rigorosa garanzia che qualsiasi<br />

codificazione dei <strong>diritti</strong> debba essere sottoposta al vaglio della compa-<br />

tibilità con il diritto islamico e non certo con il diritto <strong>internazionale</strong>.<br />

Questo punto di vista apre aspetti controversi, come si vedrà,<br />

influenzando i processi sia interni agli ordinamenti giuridici sia esterni,<br />

sul piano delle organizzazioni <strong>arabo</strong>-islamiche costringendo gli Stati<br />

arabi ad oscillare tra impulsi riformatori e pressioni di ri-tradiziona-<br />

lizzazione del diritto.<br />

In sintesi, appare chiaro che accogliere pienamente la dottrina sui<br />

<strong>diritti</strong> dell’uomo ha per gli arabi implicazioni dirette sul piano degli<br />

ordinamenti giuridici e pone la questione della riforma della shari’a.<br />

Coloro che si ostinano a sostenere che l’intero complesso sciaraitico è<br />

intoccabile si trovano opposti a quanti, mantenendo distinte le fonti<br />

sacre della Legge dall’evoluzione del sistema giuridico, intendono di-<br />

mostrare che la riforma è possibile, oltre che legittima. Tuttavia, pur<br />

nell’ipotesi di un accordo sul riformismo, il vero problema che si pone<br />

è il seguente: chi è legittimato a proclamare e implementare la riforma,<br />

o in altre parole, a riaprire le porte dell’igtihad? L‘originalità del diritto<br />

islamico, come sostiene uno dei suoi più eminenti studiosi, Joseph<br />

Schacht, consiste nell’essere uno dei casi estremi di jurists law, ossia<br />

un diritto creato e sviluppato da specialisti privati del diritto. La cir-<br />

costanza che nell’Islam non esista una gerarchia ecclesiastica, e il<br />

carattere sacro della legge, hanno fatto sì che non lo Stato, ma la<br />

scienza giuridica dei dottori della legge ha giocato il ruolo del legisla-<br />

tore. Solo nell’epoca più recente gli ordinamenti statali si sovrappon-<br />

gono agli ulema nell’esercizio di questo potere, restringendo o meno il<br />

2i<br />

Cfr. H. AI Nayfar, La Shari’a e la legge umana: ripresa tradizionale o rinnovamento<br />

della vita islamica?, in Dossier Mondo Islamico. Dibattito sull‘applicazione della<br />

shari’a, cit., p. 71-75.<br />

n<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islumico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

raggio d’azione della shari’a, e scrivendo un capitolo ancora non chiu-<br />

so nella storia millenaria del diritto islamico26.<br />

5. L‘apertura <strong>internazionale</strong> del sistema islamico<br />

Sul piano delle relazioni internazionali esterne al sistema islamico,<br />

la discussione verte essenzialmente sulla richiesta da parte dell’occidente<br />

di adeguare le legislazioni interne dei Paesi <strong>arabo</strong>-islamici agli<br />

standard internazionali del trattamento dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. La prima<br />

questione controversa riguarda la resistenza da parte degli Stati <strong>arabo</strong>-islamici<br />

verso gli impegni della Dichiarazione universale del 1948 e<br />

dei successivi strumenti giuridici prodotti nell’ambito delle Nazioni<br />

Unite per la tutela dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

I termini del dibattito non si allontanano dai temi classici della<br />

polemica verso l’Occidente. Per alcuni, la Dichiarazione del 1948 ha la<br />

pretesa di universalità ma fu il prodotto di un’elaborazione intellettuale<br />

e politica di un numero ridotto di Stati. Essa fu inoltre il frutto di un<br />

compromesso fra Stati capitalisti e Stati comunisti ed espressione della<br />

loro egemonia culturale, che per quanto ispirata a principi diversi, non<br />

si allontana da una visione materialistica dell’esistenza. E significativa a<br />

tal riguardo la posizione espressa dall’Arabia Saudita nel Memorundum<br />

del 1970, nel quale, in risposta alla richiesta ufficiale dell’Onu<br />

riguardante la situazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nel Regno Saudita, vengono<br />

spiegate le motivazioni del rifiuto alla sottoscrizione della Dichiarazione<br />

del 1948 e dei Patti del 1966. I1 testo del Memorandum ribadisce<br />

che il rifiuto saudita non esprime indifferenza agli obiettivi di salvaguardia<br />

della dignità dell’uomo delle carte internazionali quanto piuttosto<br />


43 6 Silvana Barbirotti 437<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-i.slamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

dei documenti internazionali sono - secondo i sauditi - in contrasto<br />

con la shari’a e per questo inaccettabili.<br />

Questi principi sarebbero garantiti ampiamente dal diritto islamico<br />

applicato nei propri ordinamenti, come si sforzano di dimostrare i<br />

sauditi attraverso l’analisi dello stato dei <strong>diritti</strong> dell’uomo nel Regno,<br />

accompagnata dalle citazioni coraniche dalle quali vengono tratte le<br />

principali garanzie per la tutela della dignità e libertà umana. Più che i<br />

versetti del Corano sono le argomentazioni saudite a restare insoddi-<br />

sfacenti, sia sul piano teorico quando affrontano, tentando di giustifi-<br />

carli, i temi delle riserve avanzate da Riyad (libertà di coscienza, <strong>diritti</strong><br />

della donna, e libertà sindacali), sia sul piano pratico limitandosi a<br />

ribadire che 1’Islam ha «una concezione diversa dei mezzi con cui<br />

assicurare il rispetto della dignità umanan2’. Essi affermano in tal<br />

modo uno dei principi che diventeranno centrali nel dibattito con<br />

l’occidente, ossia quello del diritto alla specificità culturale come<br />

difesa della propria identità islamica, in opposizione al principio di<br />

universalità dei <strong>diritti</strong> invocato dalle organizzazioni internazionali. An-<br />

che se il tema della specificità culturale diventa un modo per sottacere<br />

le violazioni delle principali libertà civili che ancora avvengono in<br />

numerosi Paesi islamici, il Memorandum apre tuttavia la strada ad<br />

una serie di riflessioni che si svolgeranno negli anni successivi nelle<br />

quali si registrano significativi progressi29.<br />

Differente è la posizione di numerosi altri osservatori che intendo-<br />

no invece dimostrare la perfetta compatibilità, o complementarità, tra<br />

le Dichiarazioni universali delle Nazioni Unite e la visione islamica dei<br />

<strong>diritti</strong> dell’uomo. L‘accento è posto, in misura maggiore o minore, su<br />

alcuni punti essenziali. In primo luogo il discorso viene affrontato in<br />

termini di teoria del diritto. I1 punto iniziale da considerare è la per-<br />

fetta simmetria tra cultura islamica e quella occidentale nella conce-<br />

zione della dignità umana come il pilastro e la fonte di tutti gli altri<br />

<strong>diritti</strong> fondamentali universali. Se la Dichiarazione universale del 1948<br />

del 1948), la libertà di associazione per difendere i <strong>diritti</strong> del lavoratore (art. 8 del Patto<br />

<strong>internazionale</strong> sui <strong>diritti</strong> economici, sociali e culturali del 1966). Viene infine precisato<br />

che la contestazione saudita verso le carte internazionali «concerne alcuni aspetti<br />

pratici e non i principi fondamentali relativi alla dignità, alla libertà e alla coesistenza<br />

pacifica e armoniosa tra gli uomini>>.<br />

” Memorandum, cit., p. 34.<br />

”’ Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 si susseguono una serie di incontri internazionali<br />

tra giuristi europei e giuristi dei Paesi <strong>arabo</strong>-islamici. In particolare a Riyad nel 1972;<br />

nel Kuwait nel 1980, dove si comincia a sviluppare un’aperta critica sulla prassi vigente<br />

nei Paesi islamici riguardo al trattamento dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Sul tema cfr. Islarnochri-<br />

stiana, cit.<br />

pone la salvaguardia della dignità dell’uomo in apertura del proprio<br />

testo (art. i), e per gli Stati liberali occidentali è il primo obbligo<br />

costituzionale da far rispettare, il Corano proclama la dignità ineren-<br />

te alla persona umana, e perciò essa rappresenta un diritto inaliena-<br />

bile. I sostenitori dell’apertura del sistema islamico all’universalità dei<br />

<strong>diritti</strong> desumono da due versetti del Libro Sacro, in particolare, l’in-<br />

violabilità e l’universalità di tale principio: «E Noi già molto onoram-<br />

mo i figli d’Adamo» (Corano XVII: 70). Ancor più significativo il<br />

richiamo del Corano alla pari dignità degli esseri <strong>umani</strong>, insegnando<br />

loro che i migliori possono distinguersi (i più nobili tra di voi) solo per<br />

maggiore religiosità: «O uomini, in verità Noi v’abbiam creato da un<br />

maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli vari e tribù a<br />

che vi conosceste a vicenda, ma il più nobile fra di voi e colui che più<br />

teme Iddio» (Corano XLIX: 13).<br />

Altro punto cardine da ribadire per sostenere la compatibilità fra<br />

sistema islamico e sistema <strong>internazionale</strong> dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, è il richia-<br />

mo al principio di libertà. Contrariamente a molti luoghi comuni,<br />

1’Islam è una religione di libertà e per ciò stesso ha posto in essere<br />

con il suo messaggio i pilastri fondamentali delle garanzie dei <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong>. L‘adesione all’Islam, viene spesso ribadito, è accettazione libera<br />

della fede, secondo il principio coranico che «non vi è costrizione nella<br />

religione»’”. Tutta l’etica islamica - come ci fa notare Hussein Mehr-<br />

pour31 - è invero improntata al rapporto tra il concetto di libertà<br />

dell’uomo e il principio di responsabilità. In Occidente il termine<br />

Islam viene quasi sempre tradotto come «sottomissione a Dio» che<br />

serve a ribadire l’ineluttabilità dell’atteggiamento di fatalistica rasse-<br />

’” Corano 11, 256. Questo versetto del Libro viene richiamato da tutti gli autori e<br />

costituisce un pilastro fondamentale della dottrina islamica sulla libertà religiosa. C’è<br />

invero chi nota a tal proposito che «I1 Corano si offre a interpretazioni contraddittorie<br />

... favorendo sia la tesi del libero arbitrio ... sia quella della predestinazione assoluta ...<br />

fra le quali l’ortodossia compierà l’opera di mediazione, giungendo ad una formula<br />

moderata». Ma va detto che d’intera questione ... non ha connessione con ... l’immagine<br />

consueta che si fa del fatalismo islamico in Occidente»: A.M. Di Nola, Llslam, Roma<br />

1989, p. 151-152.<br />

’I H. Merphour, Individua1 freedoms and its limitr in the islamic systenz of government,<br />

in The lranian Journal of international affairs, 1998, n. 3, p. 328: «Man is<br />

inherently born free ... he is blessed with the freedom of choose between good and<br />

bad; though he is constantly called on (this choose) ... and is responsable for distancing<br />

himself from evil». L‘autore, iraniano, rappresenta una voce originale della corrente<br />

conservatrice. Sebbene difende il punto di vista islamico sul tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, non<br />

manca di sottolineare alcuni punti di divergenza fra la visione islamica e quella dei<br />

consesso <strong>internazionale</strong>. Divergenze che - sostiene Merphour - devono condurre i<br />

musulmani a una riflessione adeguata che indirizzi gli ordinamenti islamici a una<br />

maggior apertura riguardo ad alcuni aspetti critici delle libertà fondamentali.


43 8 Silvana Barbirotti <strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

43 9<br />

gnazione del fedele musulmano, tralasciando però un aspetto fonda-<br />

mentale del termine, che è piuttosto traducibile come sottomissione<br />

volontaria a Dio. L‘elemento di volontarietà aggiunge un significato di<br />

enorme portata, in quanto la volontà implica, nella filosofia islamica,<br />

un ricorso continuo alla ragione per scegliere responsabilmente com-<br />

portamenti virtuosi sia nella condotta pubblica che privata. I1 ricono-<br />

scimento della razionalità umana ha un forte significato per 1’Islam ed<br />

ha avuto considerevoli implicazioni nella dottrina giuridica. Esso co-<br />

stituisce il fondamento teorico del ragionamento giuridico, l’igtihad,<br />

che ha prodotto l’evoluzione del diritto islamico3*.<br />

Anche nel confronto fra il diritto <strong>internazionale</strong> e quello islamico è<br />

l’uso costante della ragione che consentirà di verificarne la compati-<br />

bilità, o al contrario la contrapposizione. Questo è il punto di partenza<br />

ad esempio dell’ex primo ministro del Sudan, al Sadiq al Mahdij3, per<br />

affrontare, in uno studio del 1986, una tesi emblematica dell’Islam<br />

favorevole all’apertura verso i codici internazionali. Tra la concezione<br />

islamica dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> e quella della Dichiarazione universale del<br />

1948 le contrapposizioni sarebbero solo apparenti perché, attraverso<br />

un ragionamento adeguato, è possibile svelare che le “autentiche”<br />

concezioni islamiche difendono le libertà fondamentali universali. Le<br />

presunte contraddizioni tra il diritto islamico e le Carte internazionali<br />

sono sostenute dagli apologeti dei regimi dispotici che governano<br />

molti Paesi islamici per sottrarsi agli obblighi internazionali nella tu-<br />

tela dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Se l’identità e la specificità culturale vanno<br />

riconosciuti come principi della più recente generazione dei <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong>, essi troppo spesso vengono invocati proprio da tali regimi<br />

32 Contrariamente a quanto si possa pensare riguardo ad un sistema giuridico che<br />

nasce da un credo religioso, la dottrina e la giurisprudenza islamica sono improntate ad<br />

un forte razionalismo. Anche la teoria politica islamica è influenzata da questa visione<br />

razionalistica, come ci fa notare R. AI Sayyid, Il pensiero musulmano contemporaneo e i<br />

<strong>diritti</strong> dell‘uomo, in Dossier Mondo Islamico. L‘lslam e il dibattito sui <strong>diritti</strong> dell‘Uomo,<br />

cit., p. 143-144. L‘A. affronta uno dei temi più contrastati dell’ideologia islamica, quello<br />

della Khilafa, o luogotenenza di Dio sulla terra affidata all’uomo per il governo della<br />

società. La Khilafa (concetto sul quale si sviluppa la teoria del potere politico che ha<br />

diviso fin dai primi secoli i musulmani, e prodotto la prima frattura della dar al Islam<br />

tra sciiti e sunniti) è in effetti l’esercizio del potere secondo gli attributi «di intelligenza<br />

e libertà ... impresa possibile soltanto a coloro che sono perciò in grado di assumersi la<br />

responsabilità delle loro azioni». Di conseguenza «lo scopo delle leggi divine non è<br />

quello di costringere gli esseri <strong>umani</strong> a credere, perché ciò implicherebbe l’assenza di<br />

responsabilità. I1 loro fine + invece di esortare l’uomo libero e razionale a riconoscere<br />

(...I la necessità della creazione ... (e la) responsabilità dell’uomo verso Colui che lo ha<br />

creato».<br />

Cfr. AI Sadiq Ai Madhi, Paper to seminar on Islamic perspectives on the Universa1<br />

Declaration of Human Rights, 1986.<br />

perché ciò che li preoccupa non è affatto la difesa dell’Islam, ma<br />

piuttosto il fatto che scorgono nelle dichiarazioni internazionali un’ul-<br />

teriore minaccia al loro sistema di governo privo di legittimità demo-<br />

cratica. Alla comunità <strong>internazionale</strong> invece AI Mahdi si rivolge recla-<br />

mando il diritto di una propria via alla democrazia. I1 ruolo della<br />

comunità <strong>internazionale</strong> e il dialogo con le altre religioni sono per l’ex<br />

premier sudanese determinanti per avviare questo processo. E respon-<br />

sabilità delle organizzazioni internazionali riformare gli strumenti giu-<br />

ridici messi in campo per la tutela dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> alla luce dei valori<br />

spirituali che si vanno affermando nell’attuale contesto mondiale, ed è<br />

compito di tutte le religioni contribuire ad ampliare anziché restringe-<br />

re l’orizzonte dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> universali.<br />

6. I <strong>diritti</strong> dell‘uomo negli ordinamenti giuridici nazionali <strong>arabo</strong>-islamici<br />

La maggior parte delle costituzioni dei Paesi arabi afferma che<br />

1’Islam è la religione di Stato o che il diritto islamico è una fonte<br />

principale del diritto. Malgrado ciò il diritto islamico copre solo il<br />

diritto di famiglia e le regole successorie, e, in taluni Paesi, il diritto<br />

penale. Per il resto gli ordinamenti giuridici nazionali sono attualmen-<br />

te disciplinati da norme prevalentemente importate dall’occidente a<br />

cominciare dalle stesse costituzioni’4. In effetti, la materia costituzio-<br />

nale è rimasta sempre fuori dal sistema islamico di produzione delle<br />

norme (ilfiqh) visto che la scienza giuridica musulmana ha tradizio-<br />

nalmente considerato il diritto pubblico un sistema di norme prodotte<br />

dall’autorità - non dotata, almeno per 1’Islam sunnita, di un potere<br />

normativo in senso proprio - come semplici regole amministrative per<br />

la gestione della Umma, il cui limite invalicabile è posto dalle norme<br />

~ciaraitiche~~.<br />

Con il raggiungimento dell’indipendenza - per la gran parte dei Paesi arabi<br />

awenuta dopo la Seconda guerra mondiale - gli ordinamenti dei nuovi Stati si dotano<br />

di proprie carte costituzionali, formalmente derivate da modelli occidentali ma che<br />

sono caratterizzate dalla «finalità generale di modernizzazione che tendenzialmente ...<br />

privilegiano forme di concentrazione di potere ... (e hanno) connotazione essenzialmente.<br />

.. non democratica»: G. De Vergottini, Diritto Costituzionale Comparato, Padova<br />

1987, p. 681 -682. E sintomatico delle più recenti tendenze all’islamizzazione degli<br />

ordinamenti l’emendamento apportato alla Costituzione egiziana nel 1980 che dietro<br />

la spinta dei movimenti islamici modifica l’art. 2. Nella precedente versione esso<br />

recitava che la «shari’a costituisce una fonte del diritto» con la nuova disposizione<br />

viene sancito che la shari’a costituisce «la fonte del diritto».<br />

35<br />

Cfr. E Castro, Diritto Musulmano, cit., p. 18. L‘eminente studioso del diritto<br />

islamico sottolinea inoltre che dalla divergenza tra le norme inserite nel corpus jurii


440 Silvana Barbirotti<br />

È comprensibile dunque che la verifica della compatibilità con le<br />

norme giuridiche della comunità <strong>internazionale</strong> in materia di <strong>diritti</strong><br />

dell’uomo avvenga per gli studiosi islamici ponendo a confronto gli<br />

articoli della Dichiarazione Onu del 1948, principale fonte giuridica<br />

del diritto <strong>internazionale</strong> dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, e i precetti coranici, anziché<br />

quelli degli ordinamenti statali.<br />

Ad una possibile convergenza si frappongono alcuni ostacoli, qual-<br />

cuno ampiamente superabile, altri che aprono più questioni di quante<br />

ne risolvano. Le principali criticità riguardano: le relazioni internazio-<br />

nali, alcuni <strong>diritti</strong> civili e politici, in particolare le discriminazioni nei<br />

confronti della donna e delle minoranze religiose, il diritto penale<br />

islamico.<br />

Nel campo delle relazioni internazionali, esistono più di cento<br />

versi del Corano che richiamano alla pace e alle relazioni amichevoli<br />

tra i musulmani e gli altri popoli. Per i sostenitori dell’apertura del<br />

sistema islamico al diritto <strong>internazionale</strong>, è chiaro l’intento di superare,<br />

col richiamo al Corano, la preoccupazione occidentale riguardo all’im-<br />

magine aggressiva e violenta col quale spesso un “certo Islam” ci<br />

appare. La guerra - essi sottolineano - ampiamente trattata nel Cora-<br />

no, non è mai guerra di aggressione, ma di difesa36. D’altra parte<br />

nell’attuale contesto <strong>internazionale</strong> disegnato dal villaggio globale, la<br />

linea di separazione del mondo tra dar al Islam e dar al harb appare in<br />

una configurazione completamente diversa, e torna utile ricordare agli<br />

stessi musulmani i principi di tolleranza e coesistenza pacifica sanciti<br />

dal Libro Sacro.<br />

Riguardo alle discriminazioni nei confronti delle donne, coloro che<br />

sostengono l’apertura dell’Islam ai <strong>diritti</strong> fondamentali internazional-<br />

sciaraitico e quelle di natura costituzionale «è sorta una dialettica tra la shart’a e<br />

l’autorità politica che costituisce il motivo dominante della storia giuridica dell’Islam».<br />

Essa influenza grandemente la dottrina della legittimità politica anche nell’Islam con-<br />

temporaneo.<br />

’(’ Numerosi i passi del Corano citati dagli autori in proposito, ritenendo quasi<br />

sempre fondamentale la già citata sura XLIX: 13: «O uomini, in verità Noi v’abbiam<br />

creato da un maschio e da una femmina e abbiamo fatto di voi popoli vari e tribù a che<br />

vi conosceste a vicenda, ma il più nobile tra di voi è colui che più teme Iddio». Quanto<br />

alla guerra di difesa, vengono prese in considerazione le sure IX: 36 e LX: 8. Que-<br />

st’ultima così recita: «Iddio non vi impedisce ... di essere giusti con coloro che non vi<br />

hanno combattuto a causa della religione, e non vi hanno forzato ad abbandonar le<br />

vostre case. I1 Dio ama coloro che si comportano equamente». A questi versi fanno da<br />

contraltare quelli della sura TI, w.190-195, che incitano al combattimento, senza smen-<br />

tire peraltro le nozioni generali di equità e di legittima difesa del diritto di guerra<br />

islamico: «combattete contro chi vi combatte, ma non eccedete, perché Dio non vuol<br />

bene a quelli che esagerano (11: 190) ...q ualora poi desistano, sappiate che il Dio è colui<br />

che perdona, è il Dio di Misericordia» (11: 192): Il Covano, cit., p. 715, 775 e 105.<br />

..<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

44 1<br />

mente riconosciuti rilevano che, all’epoca della rivelazione, il Corano<br />

conferì alla donna <strong>diritti</strong> patrimoniali, capacità giuridica e libertà inconcepibili<br />

nel sistema sociale <strong>arabo</strong> pre-islamico, e pur se accordò alla<br />

donna <strong>diritti</strong> ineguali rispetto a quelli dell’uomo, «il Corano introduce<br />

la donna nel campo della legalità». Per la prima volta un testo sacro si<br />

rivolge ai suoi fedeli richiamando sistematicamente i due sessi: «al<br />

mu’minun wa-l mu’minatn e per questa via «il Corano ha accordato<br />

alle donne il diritto alla vita, ma anche all’eternità~~’, mentre, nella<br />

stessa epoca, i dottori della fede cristiana discutevano per sapere se<br />

la donna avesse un’anima’‘. Nella prassi giuridica il mondo <strong>arabo</strong>-islamico<br />

appare estremamente variegato: mentre i <strong>diritti</strong> politici sono ampiamente<br />

riconosciuti alle donne negli attuali ordinamenti dei Paesi<br />

<strong>arabo</strong>-islamici, riguardo al diritto di famiglia, alcuni manifestano una<br />

chiara volontà di avviare riforme legislative che garantiscano maggiori<br />

<strong>diritti</strong> alla donna (ad esempio, Marocco e Tunisia). Altri oscillano fra<br />

un approccio più conservatore ma con qualche tendenza ad una graduale<br />

seppur lenta apertura alla parità dei <strong>diritti</strong> (come nel Kuwait), e<br />

un approccio riformistico più favorevole alle donne, a volte contrastato<br />

dalle rigidità degli estremisti islamici (è il caso dell’Egitto o dell’Algeria).<br />

Il trattamento delle minoranze religiose pone il problema del riconoscimento<br />

dei pieni <strong>diritti</strong> civili e politici ai non musulmani. Le<br />

opinioni si dividono tra quanti liquidano la questione ritenendo che lo<br />

statuto personale previsto dal diritto islamico per tutelare i non mu-<br />

’’ E. Atallah Soula, 1 divitti della donna in E4nZriu c la vcligione, in questa Rivisia,<br />

1999, p. 62.<br />

PiU deboli appaiono tuttavia le argomentazioni teoriche di quanti intendono<br />

difendere, ancora oggi, la sostenibilità di alcune disposizioni di legge nei confronti<br />

della donna in materia di diritto di famiglia e di <strong>diritti</strong> civili. Nell’Islam il matrimonio è<br />

un contratto civile e non un sacramento, e se ciò spiega una concezione laica del diritto<br />

di famiglia, ammettendovi il divorzio, non spiega alcune delle più forti discriininazioni<br />

nei confronti della donna: i. l’uomo è titolare esclusivo del diritto di concludere il<br />

matrimonio, anche se la natura di contratto conscnte al diritto islamico di prevedere<br />

nelle clausole un accordo secondo il quale entrambi i coniugi possono chiedere il<br />

divorzio; 2. in materia successoria la donna ha diritto alla meti dell’eredità spettante<br />

all’uomo; 3. la non reciprocità del diritto per un uomo musulman» di contrarre ma-<br />

trimonio con una donna non inusulmana, giustificata col fatto che l’uomo nel diritto di<br />

famiglia islamico è il capofarniglia sul quale ricadono le maggiori responsabilità eco-<br />

nomiche e riguardo all’educazione dei figli; 4. nel diritto processuale penale la testi-<br />

monianza della donna vale la metà di quella dell’uomo. Quanto alla poligamia, nessun<br />

precetto coranico vieta alle legislazioni attuali di riformare il diritto di famiglia per<br />

abolirne l’istituzione. Cfr. Al Sadiq AI Mahdi, Papev to Scrninuv on lslanzic Pevspectiue.!,<br />

cit., p. 8. Se nella prassi essa è sempre più limitata, sul piano formale, tra i Paesi arabi,<br />

solo la Tunisia ha vietato espressamente la poligamia.


442 Silvana Barbirotti<br />

sulmani (dhimmi, i protetti) offrirebbe ampie garanzie per le libertà<br />

delle minoranze, e quanti sottolineano che lo status giuridico del dhimmi,<br />

se è ancora in grado di riconoscere la libertà di culto ai non<br />

musulmani", non conferisce nell'epoca attuale la piena cittadinanza<br />

alle minoranze religiose. Nei singoli contesti nazionali le legislazioni<br />

vanno evolvendosi e la nozione di dhimmi sta scomparendo, ma in<br />

linea di principio non è ancora ammessa una condizione paritaria tra<br />

cittadini musulmani e quelli di altre religioni. Sul piano dei <strong>diritti</strong> civili<br />

esiste ancora il divieto per il non musulmano di contrarre matrimonio<br />

con una donna di religione islamica; sul piano dei <strong>diritti</strong> politici sono<br />

ancora riconosciuti limiti all'accesso a determinate cariche pubbliche<br />

per i non musulmani'".<br />

Le questioni suscitate dal diritto penale sembrano restare il principale<br />

cruccio degli islamici quanto alla possibilità di dimostrare una<br />

compatibilità con gli standurd internazionali della tutela dei <strong>diritti</strong><br />

fondamentali. Due sono gli aspetti principali da prendere in considerazione:<br />

da un lato la natura stessa delle sanzioni penali; dall'altro il<br />

possibile utilizzo in forma repressiva delle norme che pone seri problemi<br />

al godimento delle libertà fondamentali.<br />

I temi più scottanti riguardano le punizioni corporali (hudud) previste<br />

dal diritto islamico per i reati di adulterio, falsa accusa di adulterio,<br />

furto e rapina, e il reato di apo~tasia~'. È evidente il contrasto fra le<br />

punizioni corporali e i principi basilari posti a tutela della dignità<br />

umana, e diventa difficile argomentare che il diritto islamico non<br />

'li Le libertà di culto sono seriamente limitate in Arabia Saudita dietro il pretesto<br />

che nel suo territorio sono presenti i luoghi santi dell'Islam e che per questo motivo gli<br />

altri gruppi religiosi possono arrecare pregiudizio alle libertà islamiche.<br />

Cfr. M. Charfi, Islam et Droits de l'homme, in Islamochristiana, cit., p. 22-23.<br />

L'A. fa notare che la prassi di molti Paesi ha largamente trasformato i rapporti giuridici<br />

fra musulmani e non musulmani: in Tunisia gli ebrei sono regolarmente al parlamento e<br />

presenti anche nel governo; in Algeria è stata bloccata l'adozione del Codice sullo<br />

statuto personale anche se i conservatori hanno a loro volta boicottato l'adozione di<br />

un codice moderno; in Egitto il cristiano copto Buthros Buthros Ghali è stato Primo<br />

Ministro.<br />

" In verità tra i giuristi musulmani non vi è un preciso accordo neanche su questo<br />

punto. Alcuni includono ad esempio negli hudud anche il reato di consumo di bevande<br />

alcoliche che non è desumibile dalle fonti principali del Corano e della Sunnah, ma che<br />

è stato introdotto dal Califfo Abu Bakr. Sull'argomento cfr. M. Said Ashmawy, Rzjlessione<br />

giuridica sul problema della codifcazione della shari'a, in Dossier Mondo lslamico.<br />

Dibattito sull'applicazione della shari'a, cit., p. 80 ss. I1 giurista egiziano tiene inoltre a<br />

precisare che, quanto alla legge del taglione da cui provengono gli hudud, «il Corano<br />

non la menziona che in caso di omicidio (C. 11: 178)~ e che, «quanto al taglione per<br />

colpi e ferite, non lo menziona che in un versetto che allude alla (preesistente) legge<br />

giudaica, e non in quanto regola che debba applicarsi ai musulmani», p. 82.<br />

h<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e ditiritti <strong>umani</strong><br />

contrasti con l'art. 5 della Dichiarazione universale del 1948 che stabi-<br />

lisce che . Nelle tesi a sostegno della<br />

legittimità degli hudud l'enfasi viene posta sia sulla teoria giuridica che<br />

sugli aspetti pratici degli attuali ordinamenti. Sotto il profilo teorico<br />

bisogna ammettere che l'accertamento delle prove previsto dal Corano<br />

per alcuni reati come quello di adulterio è così capillare da rendere<br />

improbabile la sanzione stessa (la lapidazione). <strong>Lo</strong> stesso può dirsi per i<br />

reati di furto e rapina, in quanto i testi sacri prevedono con una certa<br />

chiarezza che le sanzioni sono applicabili in casi ristretti, nei quali - in<br />

particolare - non ci sia situazione di necessità. In breve l'applicazione<br />

della norma richiede uno Stato sociale dove i bisogni materiali siano<br />

stati eliminati. Ciò serve a chiarire che la severità delle pene previste per<br />

questi reati può essere spiegata all'interno del contesto storico - quello<br />

della penisola arabica dell'epoca del Profeta - in cui furono promulga-<br />

te. Contesto caratterizzato da uno stato di necessità che rendeva precari<br />

i <strong>diritti</strong> di proprietà e violenti gli scontri tribali. L'intento del Legisla-<br />

tore era quello di regolamentare, attraverso norme giuridiche ben pre-<br />

cise, i rapporti sociali, sottraendoli alle dinamiche della giustizia privata<br />

a cui erano affidati. Ma proprio questa contestualizzazione rende più<br />

acuta l'insostenibilità attuale degli hudud per simili reati dietro la giu-<br />

stificazione, avanzata ad esempio dai sauditi, che le sanzioni coraniche<br />

mantengono un effetto deterrente contro la criminalità, e che si tratta<br />

di legislazione d'eccezione che difficilmente viene applicata. La prassi<br />

degli Stati dimostra, è vero, che quasi ovunque le sanzioni corporali<br />

vanno scomparendo, anche se non mancano preoccupanti inversioni<br />

di tendenza, come nel caso del Sudan dalla metà degli anni '80. In<br />

definitiva, fino a quando le pene corporali non verranno formalmente<br />

respinte negli ordinamenti giuridici, ci sarà sempre la possibilità anche<br />

solo teorica di applicarle, e la prassi degli Stati sarà costretta ad inse-<br />

guire le oscillazioni che si verificano nei delicati rapporti tra le forze<br />

politiche in campo. È sintomatico che l'Egitto stia resistendo ad un<br />

progetto di codice penale redatto da insigni giuristi dell'Azhar teso a<br />

ripristinare le pene coraniche nel Paese, mentre un po' ovunque cre-<br />

sce la domanda da parte di molti gruppi islamici di applicazione delle<br />

sanzioni corporali, scorgendo nella presenza degli hudud nei propri<br />

ordinamenti una precisa garanzia dell'islamicità delle leggi".<br />

42<br />

I1 progetto di codice penale è pubblicato in Dossirr mondo irlamico. Dibattito<br />

sull'applicazione della shari'a, cit., p. 29-37. Nello stesso testo, sulla recente tendenza<br />

all'inserimento delle pene coraniche negli ordinamenti, Cfr. H. AI Naifar, La Sharz'a e<br />

la legge umana: ripresa tradizionale o rinnovamento della vita islamica?, cit., p. 71-75.<br />

443


444 Silvana Barbirotti<br />

I1 reato di apostasia apre uno spettro ampio di considerazioni in<br />

quanto la sua previsione finisce per insidiare alcuni dei <strong>diritti</strong> fonda-<br />

mentali dell’uomo moderno sanciti dall’art. 18 della Dichiarazione<br />

universale del 1948: la libertà di coscienza, di pensiero, di espressione.<br />

Va detto che il Corano non ha mai previsto I’apostasia come reato<br />

punibile dall’autorità politica. La fedeltà all’Islam attiene alla libertà di<br />

coscienza, ed è un fatto di cui si è responsabili nel giudizio finale di<br />

Allah, non in quello degli uomini. La responsabilità penale è stata<br />

desunta da due hadit del Profeta la cui autenticità resta dubbia. Per<br />

di più il Corano, come si impegnano a dimostrare gli interlocutori<br />

islamici, sostiene le principali libertà in numerose sure, e affida al<br />

Profeta il compito di trasmettere il messaggio divino, non di imporre<br />

la fede. Oltre al già citato principio che non vi è costrizione nella<br />

religione (sura 11: 256), la libertà di coscienza viene riaffermata nella<br />

sura della caverna (XVIII: 29): «Dal Signore soltanto proviene la<br />

verità. Creda chi vuole, allora, e chi non VUOI resti incredulo». Mentre<br />

nella sura XXXIX: 4 1 si ribadisce: «Su te abbiam fatto scendere per gli<br />

uomini la scrittura con la verità. Chi si lascerà guidare lo farà per il suo<br />

bene, chi vorrà perdersi, lo farà a suo danno. Ma tu non sei il loro<br />

custode». Quanto alla libertà di pensiero e di espressione, il Corano<br />

esorta gli uomini alla discussione guidata dalla ragione: nella stessa<br />

sura (v. 8) viene affermato che «Coloro che ascoltano la Parola e poi<br />

seguono quanto di meglio essa contiene, questi sono quelli che Allah<br />

ha guidato e sono gli uomini della ragione»4’.<br />

Questo robusto corpo di precetti coranici avrebbe potuto con-<br />

sentire sufficientemente di individuare una base comune fra i prin-<br />

cipi islamici e quelli della comunità <strong>internazionale</strong> per la salvaguardia<br />

delle libertà dell’uomo. Non sfugge tuttavia che la pena di morte per<br />

apostasia rappresenta un reale pericolo per la libertà dei cittadini, e<br />

43 Oltre alla traduzione italiana del Corano di E Peirone, si fa riferimento, per le<br />

sure citate, alla versione inglese di alcuni brani del Corano riportati in due lavori di H.<br />

Merphour, Olam on freedoom of thought and speech, in The lranian lourna1 of lnternational<br />

Affairs, 1998-99, p. 325-337 e Individua1 freedoms and its limits in the lslarnic<br />

system of government, cit., attraverso i quali è possibile seguire una completa analisi<br />

delle disposizioni coraniche che sanciscono i principi delle libertà di coscienza, pensiero<br />

ed espressione. Altri versetti di grande importanza su questi temi sono, per<br />

Merphour, quelli della sura Yunus (X: 99 e X: 108). Quanto al versetto 8, sura XXXIX<br />

tradotta sopra in italiano, la versione inglese riportata dall’autore in islam on freedom of<br />

thought and speech, p. 333, è la seguente: «Those who listen to the word, then follow<br />

the best of it; those are they whom Allah has guided, and those are the men of<br />

understanding». E possibile consultare le sure del Corano, in versione italiana e inglese<br />

sul sito Internet: www.sufi.it.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 445<br />

pone l’insidia di un uso politico delle disposizioni di legge4“. La<br />

storia recente e passata è ricca di sentenze per reati di apostasia<br />

eseguite contro oppositori di regime, leader e ideologi non allineati<br />

con “1’Islam ufficiale”. I giuristi islamici si difendono sostenendo che<br />

in tutto il mondo gli ordinamenti, per salvaguardare la convivenza<br />

sociale, pongono dei limiti sanzionatori alle libertà dei propri cittadini<br />

sulla base dei valori che intendono perseguire. La Dichiarazione<br />

universale del 1948, così come le costituzioni liberali, prevedono<br />

«limiti stabiliti dalla legge» al godimento delle libertà. Sennonché<br />

la vera questione non è la legittimità di sanzioni a salvaguardia<br />

dell’ordine pubblico o quant’altro possa minacciare il vivere sociale,<br />

né tanto meno la previsione della pena di morte (peraltro prevista<br />

espressamente soltanto nei codici penali della Mauritania, Yemen e<br />

S~dan)~~ visto che la “Patria della Democrazia”, gli Stati Uniti, ancora<br />

la ritiene legittima. La vera questione riguarda il fatto che è<br />

possibile porre tali limiti al godimento delle libertà sulla base dell’interesse<br />

generale. Recuperando il principio islamico della maslaha<br />

(interesse comune) in cui risiedeva la garanzia del buon governo dei<br />

primi quattro califfi illuminati (rashidun), sono in realtà i dottori<br />

della legge - e i governi che ne sostengono la validità - che si<br />

arrogano il diritto di interpretare cosa sia l’interesse generale spesso<br />

senza alcuna garanzia processuale e di imparzialità dei giudici.<br />

44 Tra gli eventi più recenti, oltre al caso Rushdie, ove fu emessa in Iran sentenza<br />

fatua) di morte per il reato di apostasia nei confronti dell’autore dei Versetti satanici,<br />

in Sudan il i8 gennaio 1985 è stata eseguita la condanna a morte per impiccagione di<br />

Mahmud Muhammad Tiha, ideologo riformista che si opponeva all’applicazione della<br />

shari’a e ne proponeva una riforma in senso innovativo. Sul caso Rushdie c’è chi<br />

sostiene che il testo dello scrittore indiano offendeva pubblicamente la morale islamica,<br />

e che in tal caso il reato può accostarsi a quello di vilipendio della religione previsto in<br />

Occidente. Sull’argomento Cfr. S.A. Aldeeb Sahlieh, Dialogur conflictuel sur les droits<br />

de l’homme cntre Occident et lslam, in lslamochristiana, 1991, n. 17, p. 63. Resta il fatto<br />

che la sentenza fu emessa «in absentia, senza imputazione né processo». Sotto il profilo<br />

procedurale la condanna solleva obiezioni anche dal punto di vista della shari’a dato<br />

che Rushdie non era soggetto alla giurisdizione iraniana ... (né) aveva avuto la possibilità<br />

di difendersin come fa notare, A.A. An Na’im, Il conflitto tra la shari’a P i moderni<br />

<strong>diritti</strong> dell’uomo, in Dossier Mondo Islamico. L‘lslam c il dibattito sui <strong>diritti</strong> deLl’Uomo,<br />

cit., p. 109-1 10.<br />

45<br />

Sintomatico tuttavia delle attuali tendenze alla re-islamizzazione del diritto, è un<br />

recente progetto di legge discusso alla Lega Araba tendente a unificare i codici penali<br />

di tutti i Paesi arabi, che introduce la pena di morte per il reato di apostasia. Laddove<br />

non prevista la pena capitale, I’apostasia è un reato che «implica conseguenze gravissime<br />

per l’apostata: viene separato dal coniuge, privato dei figli, resta aperta la sua<br />

successione, perde il lavoro...», in breve è la morte civile dell’imputato. Cfr. S.A.<br />

Aldeeb Sahlieh, I <strong>diritti</strong> dell’uomo e la sfida dell‘lslam, cit., p. 115.


446 Silvana Barbirotti<br />

In sintesi, si può affermare che per alcuni degli aspetti controversi<br />

che ancora ostacolano una piena garanzia dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> il rapporto<br />

tra la prassi dei singoli Paesi e la teoria giuridica islamica appare<br />

difficile. A volte la prima si spinge più avanti rispetto alla shari’a che<br />

pone limiti al riconoscimento formale dei pieni <strong>diritti</strong>. Altre volte è<br />

vero il contrario, in quanto è la pratica degli Stati più che i principi<br />

islamici a condizionare l’evoluzione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. È questo un<br />

elemento molto importante per valutare le reali dinamiche sul piano<br />

sociale e giuridico dell’«Islam vivant, 1’Islam de la réalité, non de<br />

cliché~>~‘.<br />

Bisogna insistere sul fatto che, quando si parla di sistema islamico<br />

delle leggi, si fa riferimento ad un quadro normativo estremamente<br />

complesso, quello della shari’a, che non ha mai avuto una codificazio-<br />

ne e che si presta alle più ampie interpretazioni e manipolazioni.<br />

La criticità maggiore resta paradossalmente proprio all’interno<br />

della dar al lslam, e sono le popolazioni islamiche le prime a non<br />

godere della piena garanzia delle libertà fondamentali.<br />

I1 caso del reato di apostasia dimostra che l’impedimento ad una<br />

interpretazione evolutiva dei principi coranici è posto dalla dottrina<br />

ufficiale dell’Islam malcelando le ragioni politiche che possono na-<br />

scondersi dietro al principio della maslaha. L‘Europa conosce bene<br />

quali effetti devastanti possono nascondersi dietro al concetto di inte-<br />

resse generale. Se contornato dalle dovute garanzie dello Stato di<br />

diritto, tale concetto può rappresentare per gli ordinamenti giuridici<br />

<strong>arabo</strong>-islamici un impulso ad un’accezione in senso più democratico<br />

dei <strong>diritti</strong> dell’uomo, riaprendo con questo la questione della via isla-<br />

mica alla democrazia.<br />

7. Le carte <strong>arabo</strong>-islamiche sui <strong>diritti</strong> dell‘uomo<br />

La produzione di atti internazionali sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è un fatto<br />

recente in ambito <strong>arabo</strong>-islamico, e rappresenta l’attuale risposta al<br />

dibattito sul fronte del diritto delle organizzazioni internazionali del-<br />

l’area.<br />

Negli anni ’90 i Paesi <strong>arabo</strong>-islamici, a distanza di pochi anni,<br />

adottano infatti due documenti internazionali riguardanti i <strong>diritti</strong> del-<br />

l’uomo: la Dichiarazione dei <strong>diritti</strong> dell’uomo nell’Islam (Ddui) pro-<br />

clamata al Cairo nel 1990 dall’organizzazione per la Conferenza Isla-<br />

4u M. Charfi, lslam et Droits de I‘homme, cit., p. 23.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 447<br />

mica (Oci); e la Carta Araba dei <strong>diritti</strong> dell’uomo (Cadu) adottata dalla<br />

Lega degli Stati Arabi nel 1994.<br />

Una prima distinzione dunque è posta dalle stesse definizioni dei<br />

documenti. I1 primo definisce l’ambito islamico dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, l’al-<br />

tro quello <strong>arabo</strong>, riproponendo così nei titoli delle Carte le differenti<br />

sfumature dell’identità di quest’area. La circostanza poi che tutti i<br />

Paesi membri della Lega Araba siano anche membri della più vasta<br />

organizzazione islamica porta inevitabilmente a chiedersi quali motivi<br />

spingono i Paesi in questione a sottoscrivere due Carte diverse. <strong>Lo</strong><br />

<strong>scenario</strong> <strong>internazionale</strong> è ovviamente decisivo per entrambi.<br />

L‘idea di trasporre in documenti internazionali i principi islamici -<br />

e arabi - in materia di <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nasce da molteplici esigenze.<br />

L‘azione delle organizzazioni non governative mondiali insieme alla<br />

diffusione nel mondo <strong>arabo</strong> di leghe e organizzazioni pubbliche o<br />

private per la tutela dei <strong>diritti</strong> dell’uomo che denunciano le più gravi<br />

violazioni delle libertà fondamentali” e rendono più intollerabile agli<br />

occhi dell’opinione pubblica mondiale lo stato dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>; la<br />

crescita di una domanda di democratizzazione da parte della società<br />

civile così come il ruolo dei gruppi di opposizione e movimenti isla-<br />

mici nei confronti dell’autoritarismo dei regimi; la situazione dei rifu-<br />

giati e degli immigrati; le pressioni della comunità <strong>internazionale</strong> per-<br />

ché i governi rispettino gli impegni presi nei patti internazionali<br />

invadendo - con la richiesta di accettare le procedure di controllo -<br />

la sfera della sovranità nazionale. Questo lo <strong>scenario</strong> di massima con il<br />

quale i Paesi <strong>arabo</strong>-islamici sono chiamati a confrontarsi. A ciò si<br />

aggiunge un’interessante evoluzione dell’ambiente <strong>internazionale</strong>.<br />

Con la fine della guerra fredda cessa infatti la prassi di concedere aiuti<br />

finanziari ai Paesi del Terzo Mondo sulla base delle alleanze politiche<br />

est/ovest, e si assiste a un rimescolamento degli interessi. In tale con-<br />

testo si fa spazio un approccio nuovo alla cooperazione <strong>internazionale</strong><br />

che tende a legare gli aiuti e i finanziamenti delle organizzazioni agli<br />

standard minimi del rispetto dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>“.<br />

7.1 La Dichiarazione dell‘oci sui <strong>diritti</strong> dell‘uomo nell‘lslam<br />

Al Cairo il 5 agosto 1990 i Ministri degli Esteri dell’Oci riuniti<br />

nella loro XIX Conferenza approvano la Dichiarazione del Cairo sui<br />

li Cfr. The status ofbuman rights in the arab world in 1338, pubblicato dalla Ong<br />

Arab Organzzation for Human Rights, I1 Cairo 1999.<br />

48 Cfr. A. Biad, Les Droits de I‘homme: un nouvrl enjeu pur le rnonde arabe, in<br />

Mediterranean journal of human rights, 1997. E inoltre quanto sta facendo l’Unione<br />

europea, ad esempio, nei Balcani, e nell’ambito del Meda, con i Paesi arabi.


44 8 Silvana Barbirotti <strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 449<br />

<strong>diritti</strong> dell’Uomo nell’Islam, concludendo un lavoro durato un decenni~‘~.<br />

I1 testo originale, noto come la Carta di Ta’if, fu discusso per la<br />

prima volta nel vertice islamico di Ta’if del 198<strong>1.</strong> Annunciato nei<br />

precedenti colloqui del Kuwait fra giuristi arabi ed europei, tale vertice<br />

avrebbe dovuto essere consacrato al tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nell’Islam,<br />

ma, come spesso accade nei summit delle organizzazioni <strong>arabo</strong>islamiche,<br />

sono le priorità e le emergenze politiche del momento a<br />

monopolizzare l’attenzione. Gran parte del dibattito fu incentrato<br />

sulla questione palestinese e sul problema di Gerusalemme nonché<br />

sulla guerra tra Iran e Iraq dimostrando, una volta di più, il circolo<br />

vizioso che esiste tra l’instabilità politica dello <strong>scenario</strong> <strong>arabo</strong>-islamico<br />

e un reale progresso del dibattito sulla democratizzazione per una<br />

miglior tutela dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

La Carta di Ta’if riesce comunque a definire il progetto dell’Oci di<br />

proseguire verso una Dichiarazione, anche se nel documento si registra<br />

un passo indietro rispetto alle conclusioni dei colloqui del Kuwait<br />

che avevano espresso toni critici riguardo allo stato dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

nei Paesi <strong>arabo</strong>-islamici. In Kuwait ci si era spinti a condannare l’uso<br />

della pena capitale per crimini politici, e per questa via a denunciare<br />

gli abusi di potere perpetrati ai danni dei cittadini da alcuni Stati che si<br />

pongono pertanto fuori dalla legalità (islamica). La Carta di Ta’if si<br />

mantiene all’interno di principi generali della linea più conservatrice<br />

dell’Islam confermando il ruolo egemone all’interno dell’Oci degli<br />

Stati del Golfo tra cui spicca l’iirabia Saudita.<br />

Dopo un ulteriore rimaneggiamento al vertice di Teheran del 1989,<br />

si approda finalmente al testo finale del Cairo, che presenta un preambolo<br />

«più tradizionalista di quanto lo era nei primi progetti e per<br />

questo ha una impostazione prettamente confessionalistica»50.<br />

I1 testo si compone, oltre che del breve preambolo, di venticinque<br />

articoli che nel complesso ripropongono, attraverso la lettura islamica<br />

dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, i principali punti controversi del dibattito con 1’Occidente.<br />

Sembra comunque che sia tenuto in conto il testo della Di-<br />

49<br />

L‘Oci è stata istituita nel 1969 e raggruppa attualmente cinquantasei Stati. La<br />

Carta di Jedda, istituiva dell’Organizzazione, riafferma nel preambolo, assieme ai valori<br />

costitutivi islamici, «l’impegno nei confronti della Carta Onu e dei <strong>diritti</strong> fondamentali<br />

dell’Uomo» (dalla Carta della Conferenza Islamica, testo inglese riprodotto a cura del<br />

Segretariato Generale, Jedda). Una sorta di compromesso poiché il richiamo è fatto ai<br />

valori fondamentali dei <strong>diritti</strong> dell’uomo senza riferimento esplicito alla Dichiarazione<br />

universale del 1948.<br />

50 M. Borrmans, Convergenze e divergenze, cit. Dello stesso autore, sulla codificazione<br />

<strong>arabo</strong>-islamica sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, cfr. I <strong>diritti</strong> dell‘uomo e la loro tutela nell‘lslam e<br />

in Europa, in corso di pubblicazione negli atti dei Congresso «Europa e Islam», Roma,<br />

6-8 maggio 2000.<br />

.a<br />

chiarazione universale del 1948 quanto dei successivi Patti del 1966 sia<br />

nella formulazione degli articoli, sia nel tentativo di un rispetto almeno<br />

dal punto di vista formale dei suoi principali contenuti, con l’aggiunta<br />

di alcuni <strong>diritti</strong> “islamici”. Nel testo non si fa esplicito riferimento al<br />

Corano o aila Sunnah ma spesso se ne ripropongono alcune espres-<br />

sioni. Nel preambolo l’enfasi è posta sulla «funzione civilizzatrice della<br />

Umma ... la comunità migliore che Dio abbia mai I1 suo<br />

ruolo nella società attuale è quello di «offrire una soluzione per i<br />

problemi cronici che affliggono questa civiltà materialista», espressio-<br />

ne, questa, di cui non è abbastanza chiaro il nesso con il problema dei<br />

<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> quanto piuttosto il desiderio di collocare la comunità<br />

islamica al centro delle relazioni mondiali, offrendole un ruolo per il<br />

progresso dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> ed evitando i pericoli di una sua margina-<br />

lizzazione insistendo troppo sulla specificità culturale della Umma.<br />

Viene ribadita infatti la certezza che «i <strong>diritti</strong> fondamentali e le libertà<br />

universali facciano parte della religione islamica e che nessuno abbia il<br />

diritto di ostacolarli ... di violarli o ignorarli» e che «ogni attacco ad<br />

essi ... sia vietato dalla religione». Riprendendo l’espressione del Pro-<br />

feta nel suo discorso d’addio secondo cui «nessuno è superiore a un<br />

altro se non per la devozione e le buone opere», l’art. 1 sancisce il<br />

principio di uguaglianza di tutti gli uomini. Sulla scia della Dichiara-<br />

zione universale del 1948, lo stesso articolo sancisce il principio di non<br />

discriminazione per motivi di «razza, colore, lingua, sesso, religione,<br />

appartenenza politica, condizione sociale», senza derogare al concetto<br />

islamico di responsabilità dell’uomo nei confronti del nesso <strong>diritti</strong> di<br />

Dio-doveri dell’uomo laddove si afferma che gli uomini sono uguali<br />

«nell’adempimento dei doveri e delle responsabilità». Più difficile<br />

conciliare tali principi dell’art. 1 con quanto è poi affermato nei suc-<br />

cessivi articoli. Per esempio, all’art. 5 si afferma il diritto a contrarre<br />

matrimonio «senza nessuna restrizione basata sulla razza, il colore, o la<br />

nazionalità», omettendo significativamente di citare la religione, o an-<br />

cora quando si afferma all’art. 10 che c1’Islam è la religione naturale<br />

dell’uomo». I1 principio di non discriminazione è ripreso successiva-<br />

mente negli artt. 19 e 20 che si occupano della giustizia, nel ricono-<br />

scimento del diritto per tutti a un processo equo. Negli stessi articoli è<br />

possibile riscontrare la controversa questione degli hudud, quando si<br />

afferma che «non si dà nessun crimine e nessuna pena, se non con-<br />

’‘ Dichiarazione del Cairo dei <strong>diritti</strong> dell‘uomo nell‘lslam. I1 testo della dichiara-<br />

zione è pubblicato, nella versione italiana, in Dossier Mondo Islamico. L‘lslam e il<br />

dibattito sui <strong>diritti</strong> dell‘llomo, cit., p. 221-228. A tale versione ci si riferirà anche per<br />

le successive citazioni degli articoli del documento.


45 O Silvana Barbirotti<br />

formemente alle norme della Legge Islamica (shari’a)», mantenendosi<br />

nella stessa genericità della Carta di Ta’if e ben lontani dalle racco-<br />

mandazioni dei colloqui del Kuwait che avevano affrontato il proble-<br />

ma del diritto penale islamico. In modo esplicito si afferma invece il<br />

divieto assoluto di «sottoporre un individuo a torture, fisiche e morali,<br />

o ad altri trattamenti umilianti, brutali o contrari alla dignità umana»<br />

(art. 201, consacrando, con questa disposizione la conformità all’art. 5<br />

della Dichiarazione Onu del 1948. Quanto alle libertà classiche viene<br />

proclamato il diritto alla libertà di pensiero e di espressione precisan-<br />

do tuttavia che l’esercizio di tali <strong>diritti</strong> deve awenire «in modo non<br />

contrario ai principi della Legge Islamica (shari’a)» (art. 22), o nel caso<br />

dei <strong>diritti</strong> politici, che il diritto di ricoprire cariche pubbliche debba<br />

awenire «conformemente alle disposizioni della Legge islamica (&a-<br />

ri’a)» (art. 23). Significativa è poi l’omissione - rispetto alle Dichiara-<br />

zioni universali Onu - delle libertà sindacali quando si parla dei <strong>diritti</strong><br />

dei lavoratori, limitandosi a stabilire che in caso di conflitto sociale,<br />

53 sia approdata al Cairo senza<br />

grandi variazioni - se non con involuzioni - rispetto alla Carta di Ta’if<br />

e in assenza di un’istituzionalizzazione dei <strong>diritti</strong> attesta la riluttanza<br />

tipica degli Stati arabi e islamici a transitare dalle dichiarazioni di<br />

principio alla codificazione giuridicamente vincolante delle norme,<br />

anche quando si tratta di norme tratte dalla Legge Divina.<br />

In effetti, la dichiarazione avrebbe dovuto essere promulgata in<br />

maniera ufficiale al successivo vertice Oci di Dakar del dicembre 199<strong>1.</strong><br />

Ma non fu così: nel frattempo il fronte islamico si era spaccato sulla<br />

guerra del Kuwait dello stesso anno, e la dichiarazione venne presentata<br />

alla Conferenza mondiale di Vienna del 1993 come il documento<br />

sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> che raccoglie il consenso di tutti gli Stati islamici.<br />

Nel suo insieme, la principale novità della Dichiarazione Oci è<br />

probabilmente la Dichiarazione stessa: la codificazione dei <strong>diritti</strong> dell’uomo<br />

rappresenta già una significativa innovazione nell’universo cul-<br />

j2 Dossier Mondo lslamico. L‘lslam e il dibattito sui <strong>diritti</strong> dell‘Uomo, cit., p. 14.<br />

j’ Cfr. M. Borrmans, I <strong>diritti</strong> dell‘uomo e la loro tutela nell‘lslam e in Europa, cit.


452 Silvana Barbirotti<br />

turale e religioso dell’Islam che fonda il suo primato sui «<strong>diritti</strong> di<br />

Dio».<br />

7.2 La Carta Araba dei <strong>diritti</strong> dell‘ziomo<br />

La Carta Araba, come è definito il documento, è stata adottata dal<br />

Consiglio della Lega Araba il 15 settembre 1994. Anche in questo caso<br />

siamo di fronte al frutto di un precedente lavoro che ha origine negli<br />

anni ’70. La Commissione permanente per i <strong>diritti</strong> dell’uomo, istituita<br />

nel 1968 dalla Lega, aveva l’incarico di presentare un progetto di testo<br />

sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Per anni tuttavia la Commissione si era interessata<br />

esclusivamente della violazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nei territori occupati<br />

dallo Stato d’Israele, dimostrando che la questione palestinese ha<br />

sempre offerto un buon pretesto per dirottare l’attenzione delle opi-<br />

nioni pubbliche arabe sui difficili rapporti con Israele e sottacere le<br />

responsabilità dei governi arabi sul mancato progresso della democra-<br />

zia. La Commissione si limitava a coordinare l’azione delle commis-<br />

sioni nazionali che sorgevano su suo invito nei singoli Stati, e che<br />

manifestavano dal canto loro poco entusiasmo a discutere di <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong> in campo <strong>arabo</strong>. La Dichiarazione islamica del 1990 offre cer-<br />

tamente l’impulso a risolvere le questioni che quest’ultima lascia aper-<br />

te, in particolare il fatto che il riconoscimento dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> awie-<br />

ne, nel documento Oci, nel quadro della shari’a, scontentando gli Stati<br />

progressisti e moderati del mondo <strong>arabo</strong> che sottoscrivono il testo<br />

della Conferenza Islamica con una certa reticenza. I1 fervente attivismo<br />

dei movimenti islamici - che a partire dagli anni ’80 costruiscono<br />

istituzioni parallele allo Stato fornendo luoghi di aggregazione e servizi<br />

sociali che agiscono direttamente nel campo dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> - e la<br />

Conferenza di Vienna del 1993 - che riporta in primo piano l’attualità<br />

e i problemi delle dichiarazioni universali - sono fattori che spingono<br />

la Lega a considerare maturi i tempi per presentare un quadro “<strong>arabo</strong>”<br />

dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> reagendo al contesto prettamente islamico in cui il<br />

dibattito sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> si era svolto fino ad allora.<br />

È così che il richiamo esplicito all’Islam figura soltanto nel pream-<br />

bolo con qualche sfumatura degna di rilievo e non è più ripreso nei 43<br />

articoli che compongono il testo. 11 preambolo, infatti, afferma la<br />

volontà dei governi arabi di «attuare i principi eterni di fratellanza e<br />

uguaglianza tra gli esseri <strong>umani</strong>, stabiliti dalla shari’a islamica e dalle<br />

altre religioni celesti»54. Quest’affermazione, accompagnata dalla pro-<br />

’‘ Preambolo della Carta Araba sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, versione italiana riprodotta in<br />

Dossiev Mondo Islamiro. L‘lslam e il dibattito sui divitti dell‘Uomo, cit., p. 229-236. A<br />

_.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

clamazione della «fede della Nazione Araba nella dignità dell’Uomo<br />

sin da quando Dio l’ha onorata facendo del mondo <strong>arabo</strong> la culla delle<br />

religioni» esprime che la dimensione araba rifiuta le discriminazioni di<br />

credo, almeno quelle fra la Gente del Libro (le altre religioni celesti).<br />

Questa espressione è l’unica che conferisce una dimensione religiosa al<br />

testo, che per il resto si muove sulla linea esplicitamente laica propria<br />

del nazionalismo <strong>arabo</strong> che ha ispirato la Lega fin dalle sue originij5. Il<br />

preambolo si conclude con il pieno riconoscimento del diritto inter-<br />

nazionale


454 Silvana Barbirotti<br />

La struttura del testo e le formulazioni delle disposizioni sembrano<br />

dimostrare che il documento è ispirato principalmente al Patto sui<br />

<strong>diritti</strong> civili e politici pur con qualche differenza sostanziale.<br />

Ciò che caratterizza realmente sia la struttura che lo spirito della<br />

normativa nel suo complesso è definito dal primo capitolo, composto<br />

da un solo articolo che sancisce che «tutti i popoli hanno diritto<br />

all’autodeterminazione ... (e) spetta a loro decidere liberamente il si-<br />

stema della propria identità politica e perseguire liberamente il pro-<br />

prio sviluppo economico e socio-culturale», riproponendo con que-<br />

st’ultima disposizione, il diritto storicamente rivendicato dai Paesi in<br />

via di sviluppo di scegliere la propria via alla democrazia. È pur vero<br />

che i Patti del 1966 affermano gli stessi principi, ma la collocazione<br />

dell’articolo all’apertura dell’intera dichiarazione definisce con chia-<br />

rezza le priorità gerarchiche della visione araba dei <strong>diritti</strong>, posizionan-<br />

do al primo posto i <strong>diritti</strong> dei popoli”. Ciò, associato al richiamo<br />

annunciato nel preambolo al medesimo principio di autodetermina-<br />

zione e alle affermazioni dei successivi comma dello stesso art. 1 di<br />

esplicita condanna del «razzismo, sionismo, occupazione e controllo<br />

straniero», conferisce una centralità fortissima ai temi classici del na-<br />

zionalismo <strong>arabo</strong>. Si può affermare che l’intera produzione giuridica<br />

della Lega Araba fin dalla sua carta istituiva non si allontana mai da<br />

questo filone. Nata per difendere gli Stati arabi sorti dopo la Seconda<br />

guerra mondiale e per sostenere il processo di decolonizzazione, la<br />

Lega Araba ripropone con una costanza impressionante, a distanza di<br />

mezzo secolo, i medesimi concetti: l’indipendenza e la sovranità na-<br />

zionale, la lotta al colonialismo e al sionismo.<br />

Quanto alla sfera dei <strong>diritti</strong> civili e politici, la Carta Araba, nello<br />

sforzo di presentarsi come un documento <strong>internazionale</strong> non confes-<br />

sionale, riesce a risolvere molti degli aspetti critici sollevati dalla di-<br />

mensione islamica sulla congruità con il diritto <strong>internazionale</strong> classico.<br />

Anzitutto l’identità araba su cui si fonda il testo consente di supe-<br />

rare la tradizionale dicotomia giuridica fra musulmani e non musul-<br />

mani. L‘uomo dei <strong>diritti</strong> della Carta Araba è <strong>arabo</strong>, e i <strong>diritti</strong> delle<br />

minoranze religiose, etniche, linguistiche vengono sanciti in modo<br />

chiaro in due articoli (27 e 37). Significativa inoltre è la previsione<br />

esplicita dei <strong>diritti</strong> di associazione e sindacali, dimostrando che nel<br />

contesto <strong>arabo</strong> la percezione progressista ha avuto la meglio su quella<br />

conservatrice di stampo saudita.<br />

’’ Cfr. P. Ungari - M. Modica, Per una convergenza mediterranea sui <strong>diritti</strong> del-<br />

I‘uomo, vol. 1, Roma 1997.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e divitti <strong>umani</strong><br />

In materia di giustizia (artt. 8-16) la Carta Araba segue, almeno<br />

formalmente, le disposizioni del Patto sui <strong>diritti</strong> civili e politici. Sem-<br />

bra che essa affronti con maggior determinatezza il difficile tema<br />

aperto dal diritto penale islamico. Nel sancire, ad esempio, all’art.<br />

11 che la pena di morte per.reati politici «non è ammessa in nessun<br />

caso», la Carta Araba potrebbe candidarsi a porre un limite più netto<br />

alla controversa questione riguardante il reato di apostasia. I1 rifiuto di<br />

qualsiasi forma di tortura, trattamento degradante e inumano, che già<br />

la Carta Oci proclamava, è ribadito con vigore nel documento <strong>arabo</strong><br />

(art. ij), lasciando tuttavia aperto il problema della conflittualità tra<br />

tali norme e quelle previste dal codice penale islamico, per i Paesi che<br />

ancora lo adottano. I1 documento della Lega afferma, in conformità<br />

con i documenti internazionali, il diritto ad un processo equo, il di-<br />

vieto di reiterazione del giudizio per lo stesso reato, il diritto d’asilo<br />

politico, considerando significativamente (art. 4) che tali <strong>diritti</strong> non<br />

possono essere sottoposti a deroghe di legge.<br />

Tuttavia, le garanzie reali per esercitare questi <strong>diritti</strong> restano deboli<br />

in assenza di una chiara definizione delle condizioni necessarie quali il<br />

diritto alla difesa, o le procedure istruttorie, e si scontrano con la<br />

prassi giuridica degli Stati arabi le cui frequenti svolte autoritarie<br />

rischiano di ridimensionare l’efficacia sostanziale di queste norme.<br />

Nell’ambito dei <strong>diritti</strong> individuali, i più controversi restano quelli<br />

della donna. Formalmente riconosciuti nell’art. 2, sembrano eccessi-<br />

vamente astratti quando si parla in maniera più specifica della famiglia.<br />

L‘art. 38 recita che «la famiglia è l’unità fondamentale della società ....<br />

<strong>Lo</strong> Stato garantisce alla famiglia, alla maternità all’infanzia e alla vec-<br />

chiaia una tutela privilegiata e una protezione particolare». Certo non<br />

sfugge la differenza con i corrispettivi articoli della Carta Oci che,<br />

ricavandolo dal Corano, esplicitamente riconoscono al padre il ruolo<br />

preminente nella famiglia. La Carta Araba invece significativamente<br />

tace su questo aspetto ma lascia nell’ambiguità di disposizioni piutto-<br />

sto generiche il problema dei <strong>diritti</strong> della donna.<br />

La portata della garanzia dei <strong>diritti</strong> va infine confrontata con le<br />

clausole di deroga che generalmente i testi legislativi prevedono. Nel<br />

caso della Carta Araba, si può affermare che esistono al contempo<br />

delle condizioni estensive e restrittive di tali garanzie. Le condizioni<br />

estensive si pongono rispetto alla concezione giuridica tradizionale<br />

islamica: alcune sottili quanto importanti differenze linguistiche ope-<br />

rate dal legislatore, consentono al documento della Lega Araba di<br />

resistere ai limiti sciaraitici posti dalla dichiarazione Oci alla tutela<br />

dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. Se infatti il termine legge è sempre tradotto nel testo<br />

islamico come shari’a - affidando dunque al diritto islamico il ruolo di<br />

455


456 Silvana Barbirotti<br />

definire i confini dell’esercizio dei <strong>diritti</strong> - nel testo <strong>arabo</strong> compare il<br />

termine ginin, la legge positiva degli uomini, ampliando in tal modo la<br />

sfera dei riconoscimenti giuridici degli individui e dei gruppi sociali,<br />

anche se bisognerebbe rifarsi al testo originale <strong>arabo</strong> per la verifica<br />

delle possibili innovazioni in tal senso poste dal documento della<br />

Lega5’.<br />

Al contrario, il rischio di un’accezione restrittiva dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

si profila con l’art. 4 della Carta. Si tratta del diritto di ingerenza<br />

previsto anche dal Patto sui <strong>diritti</strong> civili e politici delle Nazioni Unite<br />

che autorizza l’intervento dello Stato per le sole situazioni d’urgenza.<br />

Nel testo <strong>arabo</strong> si registra però un ampliamento considerevole, dal<br />

momento che i firmatari del documento <strong>arabo</strong> si riservano il potere<br />

di «prendere quei prowedimenti che li esonereranno dai loro impegni<br />

derivanti dalla presente Carta» nei casi di «emergenza generale che<br />

minacci la vita della nazione» e «per la protezione della sicurezza e<br />

dell’economia nazionale».<br />

Queste disposizioni rischiano di neutralizzare gran parte dei co-<br />

raggiosi passi avanti compiuti dalla Carta Araba rispetto alla dichiara-<br />

zione Oci, e sembra chiaro che anche i sacrosanti <strong>diritti</strong> dei popoli<br />

diventano, in quest’ottica, sempre più <strong>diritti</strong> degli ordinamenti statali.<br />

I1 potere di ingerenza transita facilmente, con questa norma, dalle<br />

situazioni d’eccezione, previste regolarmente da tutti gli ordinamenti<br />

per motivi di sicurezza, a condizioni molto più generali, ed è consen-<br />

tito allo Stato di utilizzare persino l’economia nazionale per interrom-<br />

pere le garanzie di tutela dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

L‘enfasi posta sui <strong>diritti</strong> collettivi genera alcune ambiguità di fondo<br />

con il pericolo di compromettere la validità dell’intero documento.<br />

Forti dubbi nascono riguardo alla singolare situazione creata dalle<br />

disposizioni di un testo nato per sancire i <strong>diritti</strong> dell’uomo e che si<br />

trova poi a presidiare i <strong>diritti</strong> dello Stato.<br />

Quanto al valore giuridico del documento <strong>arabo</strong>, esso ha rispetto<br />

alla Carta Oci dei sicuri punti di vantaggio: anzitutto l’art. 40 istituisce<br />

il Comitato di esperti sui <strong>diritti</strong> dell’uomo incaricato di vigilare sul<br />

rispetto della Carta, senza tuttavia declinare dettagliatamente le fun-<br />

zioni di tale organismo, che sembra doversi limitare a raccogliere i<br />

report dai singoli Stati della Lega (art. 41).<br />

3 9<br />

Cfr. M. Borrmans, Convergenze e divrrgrtzze, cit., p. 52. E significativo, come<br />

rileva lo stesso autore in seguito (p. 551, che a proposito delle libertà religiose, di<br />

pensiero e di opinione l’art. 27, nel riconoscere tali <strong>diritti</strong>, dichiara che «non possono<br />

essere poste restrizioni ... se non per legge», utilizzando il termine qinzin.<br />

I<br />

‘.<br />

<strong>Sistema</strong> avabo-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

A differenza della Carta Oci infine, il testo <strong>arabo</strong> prevede espres-<br />

samente, negli ultimi due articoli, gli strumenti di ratifica, ancora in<br />

attesa di essere adottati dagli Stati firmatari che pur hanno votato<br />

d’unanimità la Carta, con il risultato di fare del testo <strong>arabo</strong> sui <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong> una sorta di act manqué””.<br />

In conclusione, la Carta Araba è più avanti rispetto alla dichiara-<br />

zione Oci, e nel suo insieme la lettura del documento sembra creare<br />

più ostacoli al confronto con la prassi di alcuni Stati arabi che con il<br />

diritto <strong>internazionale</strong>.<br />

Entrambe le Carte infine, frutto di un compromesso fra Stati pro-<br />

gressisti e moderati e Stati conservatori, incorporano il problema della<br />

rilevanza giuridica della proclamazione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in ambito<br />

<strong>arabo</strong>-islamico.<br />

La riluttanza degli Stati <strong>arabo</strong>-islamici a rendere giuridicamente<br />

vincolanti gli atti internazionali da loro stessi messi in campo è ormai<br />

divenuta una performance classica delle due organizzazioni internazio-<br />

nali considerate, l’Oci e la Lega Araba. È probabile che per il docu-<br />

mento Oci la dimensione meramente declaratoria dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

islamici rappresenti una soluzione pragmatica che consente di non<br />

legare ai vincoli sciaraitici la prassi giuridica che in molti Stati è più<br />

avanzata. Ma nel caso della Carta Araba, sembra più facile immaginare<br />

che la sua entrata in vigore sia condizionata dalla persistente difficoltà<br />

dei Paesi membri a cedere a qualsiasi forma di sovrannazionalità poi-<br />

ché ciò esporrebbe a rischi troppo grandi lo Stato nazionale. D’altra<br />

parte il documento della Lega dimostra senza equivoci il dilemma dei<br />

Paesi arabi, spinti a proclamare in modo prioritario i <strong>diritti</strong> dello Stato<br />

per salvaguardare - con l’istituzionalizzazione di questi <strong>diritti</strong> - la<br />

propria legittimità che sul piano nazionale resta fragile.<br />

Gli Stati arabi confermano con il testo sui <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> la tradi-<br />

zionale tendenza a ribadire il diritto alla propria singola esistenza più<br />

che a rafforzare i meccanismi di cooperazione regionale che, nel caso<br />

specifico dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, avrebbero potuto fornire un impulso alla<br />

evoluzione giuridica delle libertà fondamentali. Probabilmente è an-<br />

cora vero che nel mondo <strong>arabo</strong> risulta difficile superare una primaria<br />

mécessité de biologie politique. (...) Avant de coexister et de coopérer,<br />

il faut exister»“’.<br />

Ad ogni modo i due documenti assumono inevitabilmente una<br />

forte rilevanza nel contesto attuale in cui «<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>» sembra<br />

‘I’ A. Mahiou, La Charte arabe drs drott, de l’hoinme, cit., p. 320.<br />

”‘ B. Bouthros Ghali, La Ltgue des Etat, Arahes, ADI, 1972, p. 75 76<br />

457


45 8 Silvana Barbirotti<br />

essere la nuova parola d’ordine nel vocabolario della comunità inter-<br />

nazionale.<br />

La scelta di codificare i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> in apposite carte rappresenta<br />

un fatto nuovo nel sistema <strong>arabo</strong>-islamico, e consente agli Stati di<br />

esprimere la propria identità collettiva e la percezione delle proprie<br />

priorità, senza rinunciare a confrontarsi con il diritto <strong>internazionale</strong>.<br />

Vale la pena di ricordare che l’Unione europea, il cui processo d’inte-<br />

grazione dura da cinquant’anni, è giunta solo nel 2000 a proclamare<br />

solennemente nel Vertice di Nizza la Carta europea dei <strong>diritti</strong> fonda-<br />

mentali”. Tutto ciò spinge a sua volta la comunità mondiale ad inter-<br />

rogarsi, senza respingerla, su una diversa visione etica delle libertà<br />

fondamentali che riguarda, nei suoi molteplici volti, oltre un miliardo<br />

di persone, e soprattutto sulla diversità e gravità dei problemi di que-<br />

sto mondo.<br />

8. Diritti <strong>umani</strong>, nuovo ordine mondiale e sicurezza nello <strong>scenario</strong> me-<br />

diterraneo<br />

Negli anni recenti, dietro la spinta delle grandi trasformazioni<br />

nello <strong>scenario</strong> mondiale alla ricerca del “nuovo ordine”, il confronto<br />

sul tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> non può essere fatto nei termini di scontro<br />

tra le civiltà che la storia delle relazioni fra Islam e Occidente hanno<br />

spesso posto, ma nel contesto delle sfide politiche e socio-economiche<br />

contemporanee.<br />

Probabilmente qualche segnale è già in atto: le Nazioni Unite<br />

hanno deciso di aprire il nuovo millennio proclamando il 2001 anno<br />

del dialogo tra le civiltà basato sul rispetto dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> la cui<br />

evoluzione è possibile se l’era della globalizzazione non si limiterà<br />

ad avvicinare economie e mercati, ma anche le diverse culture del<br />

mondo. La circostanza che sia stata l’iniziativa del Presidente di turno<br />

dell’Oci, il Premier iraniano Khatemi, a far muovere i passi per la<br />

proclamazione del 2001 anno delle Nazioni Unite per il dialogo tra<br />

le civiltà, appare come un chiaro segnale di apertura dei Paesi islami-<br />

ci”. La prospettiva di un dialogo che non sia confinato alla mera<br />

62<br />

La tutela dei <strong>diritti</strong> fondamentali trova, nel processo di evoluzione istituzionale<br />

comunitaria, che dal mercato comune giunge all’unione europea attraverso Maastricht<br />

e Amsterdam, una consacrazione più ampia nella Carta di Nizza, anche se in via<br />

sostanziale i meccanismi e gli strumenti di tutela restano gli stessi di quelli già garantiti<br />

dalla Convenzione del 1950.<br />

‘’ Cfr., nella sezione documenti, la Risoluzione dell’ilssemblea generale Onu del 4<br />

novembre 1998, sito www.un.org. Questo articolo è stato redatto antecedentemente<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

459<br />

dimensione declaratoria implica per la comunità <strong>internazionale</strong> l’as-<br />

sunzione di forti responsabilità per la ridefinizione di comportamenti e<br />

attitudini nel campo delle relazioni mondiali.<br />

In questo quadro, il crocevia mediterraneo torna ad essere un<br />

riferimento primario, polo nevralgico di equilibri da ridefinire, nel<br />

quale può giocare un suo ruolo l’asse europeo.<br />

L‘Europa pensava di doversi confrontare con “1’Islam dentro casa”<br />

esclusivamente attraverso il fenomeno dei flussi migratori che portano<br />

nella terra del benessere le schiere della povertà. Invece scopre trau-<br />

maticamente, con la guerra di Bosnia del 1993-96, di avere nel cuore<br />

dei suoi confini dei musulmani europei. La circostanza che essi siano<br />

poi tra le vittime di gravi violazioni dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> costringe l’opi-<br />

nione pubblica occidentale a ripensare i propri schemi mentali riguar-<br />

do ai musulmani.<br />

Le crisi regionali del dopo-guerra fredda forniscono l’occasione di<br />

confrontarci in modo nuovo con la legalità <strong>internazionale</strong>. I1 diritto<br />

<strong>umani</strong>tario diventa un ambito attraverso cui poter tutelare con l’inter-<br />

vento militare l’ordine mondiale nel cui quadro non è ancora chiaro se<br />

coincida con gli interessi della pace o con quelli dell’occidente.<br />

Tuttavia, il nuovo corso non può prescindere da un allargamento<br />

della dimensione del diritto <strong>umani</strong>tario spostando il piano delle azioni<br />

della comunità <strong>internazionale</strong> dall’ingerenza alla cooperazione. E in<br />

questo campo che il ruolo europeo potrebbe essere più incisivo. Il<br />

peso economico di cui gode l’Unione europea è una carta che potreb-<br />

be essere giocata per promuovere la stabilità e la democrazia nel<br />

Mediterraneo, ponendo la promozione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> non come<br />

un pre-requisito imposto per accedere ai finanziamenti di Bruxelles,<br />

ma piuttosto come un risultato da raggiungere insieme ai partner del-<br />

l’altra sponda del mare nostrum. I programmi di cooperazione euro-<br />

mediterranea messi in campo dai quindici troppo spesso segnano il<br />

all’attentato terroristico negli USA dell’i I settembre 200<strong>1.</strong> Data considerata già uno<br />

spartiacque per gli assetti mondiali del XXI secolo, Tuttavia riteniamo che la prospet-<br />

tiva del dialogo non sia affatto smentita dai recenti tragici eventi, ma al contrario si<br />

rafforzi la necessità di legare il problema della sicurezza e della pace mondiale ai temi<br />

del dialogo tra Islam e Occidente e ai problemi della legalità <strong>internazionale</strong> accennati<br />

in questo capitolo. La dimensione militare e di difesa da sola non è sufficiente a fornire<br />

risposte adeguate per la sicurezza. Occorre una più attenta analisi dei fenomeni sociali<br />

suscettibili di produrre “nuove” minacce per il sistema <strong>internazionale</strong>. I nuovi scenari<br />

possibili proiettano nel secolo appena apertosi l’ombra di una nuova polarizzazione la<br />

cui geopolitica è molto più complessa dello schema Est/Ovest della guerra fredda, e<br />

che probabilmente solo una reale apertura tra i diversi sistemi potrà contrastare. Per<br />

ragioni di spazio si dedicherà un approfondimento a questi temi in un numero suc-<br />

cessivo della Rivista.


460 Silvana Barbirotti<br />

passo, non certo per l’assenza di prospettive finanziarie, ma a causa<br />

della debole visione strategica dell’Europa, incapace di una politica<br />

estera e di sicurezza all’altezza delle sue ambizioni economiche. Dai<br />

Balcani al Medio Oriente lo <strong>scenario</strong> mediterraneo degli ultimi dieci<br />

anni insegna che, nonostante gli sforzi compiuti dall’unione europea<br />

per definirsi come soggetto politico, è la leadership americana - con<br />

l’ambizione a rappresentare gli interessi della comunità <strong>internazionale</strong><br />

nella sua globalità - a governare le crisi regionali che maggiormente<br />

toccano gli interessi europei, riempendo quel vuoto politico che si è<br />

aperto una volta saltati gli equilibri bipolari. La dimensione militare<br />

della sicurezza e della pace è ancora prevalente nella dottrina del<br />

nuovo ordine mondiale sponsorizzata dagli americani. La cooperazio-<br />

ne ed il dialogo restano confinati in un ruolo troppo marginale nel<br />

necessario lavoro da intraprendere per una definizione (più) universa-<br />

le dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> che possa inaugurare il progetto, spesso auspicato<br />

dai documenti internazionali, di «un’era di pace e di stabilità nel<br />

mondo».<br />

La posizione geo-politica europea e il suo spessore economico<br />

possono essere spesi nel Mediterraneo per la ricerca di un accordo<br />

comune se non si vuol rischiare che il diritto <strong>internazionale</strong> sia perce-<br />

pito, una volta di più, come il nuovo strumento di dominio dell’occi-<br />

dente.<br />

È chiaro che il tema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> pone ancora per il sistema<br />

<strong>arabo</strong>-islamico un confronto con l’occidente. In questo confronto gli<br />

arabi non vogliono trovarsi nuovamente «in una situazione simile a<br />

quella in cui il concetto di modernità fu identificato con secolarizza-<br />

zione e occidentalizzazione, suscitando così una reazione difensiva di<br />

risentimento, la cui conseguenza è stata una polarizzazione distruttiva<br />

fra la chiusura culturale e il ritorno a un modello<br />

Dagli anni ’80 agli anni ’90 la gestione a guida americana del nuovo<br />

ordine mondiale rischia, nello <strong>scenario</strong> mediterraneo, di far lievitare la<br />

diffidenza araba verso l’occidente. Molte delle ferite del mondo <strong>arabo</strong><br />

chiamano in causa le responsabilità della comunità <strong>internazionale</strong>. È<br />

appena il caso di ricordare che le sanzioni economiche all’Iraq non<br />

hanno impedito a Saddam Hussein di celebrare, il 16 gennaio 2001, il<br />

decimo anniversario della guerra del Golfo, mentre la mortalità infan-<br />

tile nello stesso decennio è raddoppiata a causa di quelle stesse san-<br />

zioni. La questione curda sembra rappresentare un caso di rimozione<br />

collettiva che solo eclatanti episodi riescono a riportare sulla scena<br />

“-I W. Sayf, Diritti dell’uomo e ritorno alle origini dell‘lslam, in Dossier Mondo<br />

Islamico. L‘Islam e il dibattito sui <strong>diritti</strong> dell‘Uomo, cit., p. 70.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

mondiale, come il caso Ochalan o le inquietanti immagini dei profughi<br />

che a ondate raggiungono le nostre coste, ricordandoci che la dignità<br />

umana è per interi popoli ancora una conquista.<br />

<strong>Lo</strong> <strong>scenario</strong> <strong>arabo</strong> resta dominato tuttavia dalla questione palesti-<br />

nese, che pone in termini drammatici le ambiguità del diritto interna-<br />

zionale.<br />

L‘attuale crisi nei territori occupati della Palestina ha un peso<br />

inquietante tanto sul diritto degli israeliani a vivere in pace e sicurezza<br />

quanto sui <strong>diritti</strong> e le libertà fondamentali dei palestinesi, le cui vio-<br />

lazioni raggiungono oggi livelli ancora maggiori rispetto all’epoca del-<br />

l’amministrazione israeliana dei Territori. Qualsiasi discussione sui<br />

<strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> presenta, nell’area mediorientale, un legame irriducibile<br />

con il recente processo di pace e con l’occu,pazione israeliana in se<br />

stessa, che dura ormai da quasi quarant’anni. E possibile sostenere che<br />

l’attuale impasse del processo di pace israelo-palestinese e la ripresa<br />

della seconda intifada siano dovute esclusivamente, come gran parte<br />

della stampa <strong>internazionale</strong> continua a ripetere, all’ostinazione della<br />

leadership palestinese a rifiutare le generose “concessioni” israeliane<br />

fatte a Camp David nel luglio 2000? Spesso si dimentica che con la<br />

firma degli accordi di Oslo del 1993 i palestinesi, assumendo forse per<br />

la prima volta un approccio pragmatico al conflitto, accettano le “con-<br />

cessioni” israeliane così gravate da condizioni e restrizioni da far ri-<br />

sultare archiviate le risoluzioni Onu n. 242 e n. 338 che prevedevano la<br />

restituzione dei territori occupati da Israele nella guerra del 1967 in<br />

cambio della pace. Ad Oslo, in definitiva, non si è in presenza di un<br />

accordo di diritto <strong>internazionale</strong>, ma davanti al risultato di un nego-<br />

ziato segreto tra uno Stato sovrano, Israele, e un “non-Stato”, definito<br />

entità palestinese, nuovo concetto inventato dalla comunità interna-<br />

zionale per tentare soluzioni in situazioni senza sbocchi immediati, in<br />

Palestina come in Bosnia”.<br />

La realtà sul territorio è molto diversa dalle semplificazioni dei<br />

media. Gli israeliani, limitando fortemente la libertà di movimento<br />

dei palestinesi, conservano il controllo di tutti gli aspetti della vita<br />

palestinese, dagli accessi ai territori definiti autonomi, alle risorse idri-<br />

che, che rappresentano una delle questioni maggiormente controverse<br />

per lo sviluppo economico palestinese, totalmente dipendente dalle<br />

1>5<br />

I1 termine «entità» inventato per la Palestina sarà infatti utilizzato due anni<br />

dopo negli Accordi di Dayton del 1995 sulla Bosnia, per risolvere l’ingarbugliata<br />

situazione dei confini del nuovo Stato bosniaco sorto sulle ceneri della ex Yugoslavia,<br />

e disegnare il suo assetto politico-territoriale, composto, appunto, da due entità, la<br />

Bosnia Herzegovina (BiH) e Repubblica Serba di Bosnia (RSì. Cfr. W. Plaff, La pace<br />

amara, in Internazzonule, 24 novembre 1995, n. 106.<br />

461


4 62 Silvana Barbirotti 4 63<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-i.rlamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

politiche israeliane. La dottrina della sicurezza israeliana ha dominato<br />

l’intero processo negoziale awiato coraggiosamente a Oslo nel 1993.<br />

Non è un mistero che Israele si sia riservato, nell’intero processo<br />

negoziale, il diritto esclusivo di decidere entità e modalità del ritiro<br />

dell’esercito dai Territori chiedendo in cambio all’Autorità Palestinese<br />

di assumersi la responsabilità di garantire la pace. Le aspettative palestinesi<br />

di veder realizzato il proprio diritto all’autodeterminazione<br />

restano profondamente deluse dall’attuale quadro che ha 66, dalle quali i palestinesi possono<br />

uscire solo con permessi rilasciati da Israele, mentre sono state costruite<br />

reti stradali ad uso esclusivo dei cittadini israeliani, che collegano<br />

gli insediamenti dei coloni nei Territori con lo Stato ebraico. I1<br />

risultato, a distanza di oltre sette anni dagli accordi di Oslo, è di aver<br />

consegnato oggi l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) al proprio<br />

popolo fortemente indebolita e sotto la minaccia del fondamentalismo<br />

islamico di Hamas, a stento controllata dalla polizia palestinese i cui<br />

poteri sono stati definiti nell’ambito dei negoziati (quindi non senza il<br />

consenso della parte israeliana) e che, fatto ancor più grave, per reprimere<br />

la violenza, partecipa alle violazioni dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> a danno<br />

dei suoi stessi connazionali.<br />

I1 fallimento del secondo vertice di Camp David dimostra forse le<br />

rigidità della dirigenza palestinese, che sembra scegliere il momento<br />

giusto per commettere i suoi errori fatidici. Probabilmente è anche<br />

vero che la sponsorship americana e il governo israeliano di Barak,<br />

entrambi sotto le pressioni delle scadenze elettorali, avevano fretta<br />

di presentare alle opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi una soluzione<br />

finale del processo di pace.<br />

Dal punto di vista palestinese le frustrazioni e le sconfitte accumulate<br />

in mezzo secolo di conflitto sono tali che essi non credono<br />

affatto al ripristino della legalità <strong>internazionale</strong> attraverso la firma di<br />

un nuovo accordo”. A Camp David non è stata presentata alcuna<br />

hh E.W. Said, La guerra delle mappe, in Internazionale, 26 gennaio 200, n. 379.<br />

” I1 processo negoziale iniziato nel 1993 avrebbe dovuto condurre alla conclusio-<br />

ne di un accordo permanente sullo status dei territori nell’arco di cinque anni a partire<br />

dai primi ritiri della Israeli Defence Force (Idf) da Gaza e Gerico awenuti nei tempi<br />

stabiliti dagli accordi di Oslo i (sei mesi a partire dalla storica firma di Rabin e Arafat<br />

della Dichiarazione dei Principi, awenuta alla Casa Bianca il i3 settembre 1993). La<br />

scadenza del 4 maggio 1999 è stata rinviata prima al 13 maggip 2000 e poi al 13<br />

settembre 2000, senza che siano stati raggiunti i risultati sperati. E in questo contesto<br />

che va inquadrata la minaccia a sorpresa di Arafat di proclamare unilateralmente<br />

l’indipendenza dello Stato Palestinese proprio per quella data (il 13 settembre 2000).<br />

Durante questo periodo israeliani e palestinesi firmano un numero considerevole di<br />

accordi e documenti. Nell’accordo interinale del 1995 noto come Oslo 2 il quadro<br />

..<br />

chiara prospettiva ai palestinesi di un’entità statale in grado di soprav-<br />

vivere, offrendo all’Anp uno Stato costituito da enclaues prive di col-<br />

legamento tra loro e presentato all’opinione pubblica mondiale come<br />

la restituzione del 95 % dei territori. In realtà pochi hanno sottolineato<br />

che si tratta, nell’ipotesi migliore, del 95% di una quota minima (pari<br />

al 22%) dei territori occupati da Israele nel 1967. I1 resto sarà oggetto<br />

di discussione solo in un futuro che oggi appare assai remoto. In<br />

cambio è stato chiesto ad Arafat di accantonare la questione dei rifu-<br />

giati, e riconoscere che tutto questo rappresentasse la fine del conflit-<br />

to. Si sostiene che il processo negoziale israelo-palestinese sia naufra-<br />

gato sui due scogli della divisione di Gerusalemme e del diritto al<br />

rimpatrio dei rifugiati. Questioni difficili, che potrebbero essere af-<br />

frontate se l’intero processo di pace fosse riuscito nel suo scopo di<br />

costruire la fiducia reciproca fra i due popoli. In realtà, come la stessa<br />

stampa israeliana talvolta riconosce, la recente rivolta nei Territori non<br />

sarebbe comprensibile senza considerare l’arco dei sette anni iniziati<br />

ad Oslo che ha modificato ben poco delle condizioni di vita dei pale-<br />

stinesi, tragicamente degradate peraltro proprio a causa dello scoppio<br />

dell’ultima crisi nell’autunno del 2000“. Le conseguenze economiche<br />

dell’attuale chiusura dei Territori sono disastrose: secondo la Banca<br />

Mondiale, l’economia palestinese ha una perdita di cinque milioni di<br />

delineato per Gaza e Gerico (Oslo i) si sarebbe dovuto estendere all’intera Cisgiorda-<br />

nia. Anche in questo caso l’Autorità Palestinese dimostra di accettare la difficile prio-<br />

rità di Israele di decidere da solo - per motivi di sicurezza - la quantità dei territori da<br />

cedere, sottraendo quindi al processo negoziale l’importjmte questione dell’assetto<br />

definitivo dei confini dei due Stati sulla terra contesa. E forse il Memorandum di<br />

Wye River del 1998 a segnare il crollo della fiducia palestinese nei confronti della<br />

sua stessa 1euder.ship: gli impegni israeliani sui tre ridispiegamenti della Idf previsti a<br />

Wye River restano ancora oggi in gran parte inattuati, mentre all’Anp si chiede insi-<br />

stentemente di intervenire sugli aspetti della sicurezza, con il risultato di impegnare le<br />

forze dell’ordine palestinesi in numerose azioni di repressione, inclusi arresti dei so-<br />

spettati di terrorismo, Fatti questi che, in assenza di precise garanzie sul futuro del-<br />

l’Entità Palestinese, alieneranno buona parte della fiducia dell’opinione pubblica pale-<br />

stinese sul processo di pace. Cfr. C. Micelli, Il processo di pace irraelo-palestinese dal<br />

1993 al 1996, in La Comunità <strong>internazionale</strong>, 2000, p. 63-8<strong>1.</strong><br />

‘’ È U. Avnery, dell’associazione israeliana Gush Shalom, a sottolineare questi fatti<br />

nel suo articolo Peace did not fai1 del i0 febbraio 2001, pubblicato sul sito Internet<br />

www.ariga.com, realizzato da R. Rosenberg, e che contiene un’ampia sezione sulla pace<br />

in Medio Oriente. Nella stampa israeliana c’è chi evidenzia quanto l’attuale crisi di<br />

fiducia palestinese sia legata all’andamento del processo di pace degli ultimi sette anni,<br />

Cfr., ad esempio, D. Rubinstein, The Palestinian see un Israel not ready for peace, in<br />

Ha’aretz, 20 dicembre 2000. La condizione dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> nei territori, infine, è<br />

ampiamente documentata dai rapporti dell’Alto Commissario per i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> delle<br />

Nazioni Unite, pubblicati periodicamente sul sito: www.unhchr.ch/huridocdu. In parti-<br />

colare, cfr. il rapporto del 29 novembre 2000, E/CN.4/2001/114, redatto dopo la visita<br />

nei territori dell’Alto Commissario, Mrs. Robinsons.


464 Silvana Barbirotti <strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> 4 65<br />

dollari al giorno a causa della chiusura, e solo a Gaza il 40% delle<br />

famiglie vive al di sotto della soglia di povertà.<br />

L‘esplosione della seconda intzfada azzera oggi le speranze di pace<br />

nella Terra promessa. Per gli israeliani, dopo la parentesi di relativa<br />

tranquillità frutto del processo negoziale, si rinnova l’ossessione del<br />

terrorismo <strong>arabo</strong> e la sfiducia nella partnership palestinese, accusata di<br />

aver deliberatamente scatenato la nuova ondata di violenza per guada-<br />

gnare i favori dell’opinione pubblica mondiale. Per i palestinesi è in<br />

discussione l’intero processo di pace, la cui credibilità diminuisce in<br />

modo proporzionale alla crescita degli insediamenti ebraici nei terri-<br />

tori destinati ai palestinesi: dal 1993 la popolazione dei coloni israe-<br />

liani è aumentata del 50%, nonostante le promesse di congelamento di<br />

nuove costruzioni. I rifugiati palestinesi invece - dei quali una buona<br />

parte continua a vivere nei ventisette campi profughi all’interno degli<br />

stessi territori occupati - si vedono negato il diritto, giuridicamente<br />

sancito, di far ritorno ai luoghi di origine.<br />

Pochi si soffermano sul fatto che agli occhi degli arabi appare<br />

incomprensibile che i <strong>diritti</strong> di quasi quattro milioni di rifugiati pale-<br />

stinesi restino congelati dal 1948, mentre la Nato si mobilita per pre-<br />

sidiare i territori dell’ex Jugoslavia e riportare i profughi vittime della<br />

pulizia etnica nelle proprie case di origine.<br />

In questo <strong>scenario</strong> gli arabi non dimenticano che, mentre per la<br />

comunità <strong>internazionale</strong> il 1948 è l’anno della Dichiarazione universa-<br />

le dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, per loro rappresenta l’inizio del conflitto con<br />

Israele e della diaspora palestinese. Come ancora lo definiscono, quel-<br />

lo è «l’anno della catastrofe» (al nakba) che privò il popolo palestinese<br />

dei <strong>diritti</strong> fondamentali che la Carta solennemente proclamava.<br />

Questo punto di vista dovrà essere preso in seria considerazione<br />

perché la comunità <strong>internazionale</strong> possa lavorare in modo credibile<br />

per il progresso dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. In caso contrario i <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

manterranno nel mondo <strong>arabo</strong> un andamento oscillante dagli esiti<br />

incerti. Gli atti dei governi arabi e dei loro vertici internazionali con-<br />

tinueranno ad essere inflazionati dai richiami ai <strong>diritti</strong> dei palestinesi<br />

che, come avviene per gli appelli all’unità islamica, troppo spesso<br />

diventano una cartina di tornasole per evitare il confronto con le<br />

numerose questioni sul terreno, e con il pericolo che la retorica araba<br />

abbia buon gioco sulle responsabilità dei governi per il mancato pro-<br />

gresso della democrazia.<br />

9. La sfidu dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>: libertà dall‘lslam o libertà nell‘lslum?<br />

Tornando al dibattito sull’Islam, la domanda che si pone oggi alle<br />

società <strong>arabo</strong>-islamiche è questa: accogliere pienamente la dottrina dei<br />

i<br />

l<br />

<strong>diritti</strong> dell’uomo, implica o non ripensare l’Islam? I1 mondo <strong>arabo</strong><br />

islamico dimostra in pratica di funzionare come un sistema aperto,<br />

più di quanto non proclami in via di principio”‘. Le trasformazioni<br />

avvenute hanno prodotto più traumi che un vero rinnovamento, ma la<br />

modernità è stata accolta, e in un mondo che lascia alle spalle la<br />

geopolitica delle contrapposizioni tra Est e Ovest, il sistema <strong>arabo</strong>-<br />

islamico rappresenta un polo tra il Nord e il Sud, una cerniera tra<br />

sviluppo e miseria, che può unire o dividere il mondo.<br />

La questione che si pone invece all’occidente è quella di conside-<br />

rare in termini diversi la sfida della democratizzazione di questi Paesi.<br />

Essi registrano sicuramente un deficit democratico, e nel difficile<br />

percorso verso la democrazia quanto è da attribuire all’Islam nella sua<br />

complessità e quanto non appartiene alle variabili socio-economiche e<br />

politiche del fragile <strong>scenario</strong> <strong>arabo</strong>?<br />

L‘idea che nel pensiero islamico risiederebbe una naturale avver-<br />

sione ai principi democratici è ancora molto diffusa in Occidente, il<br />

quale considera la propria organizzazione di Stato di diritto il modello<br />

ideale da perseguire. L‘Islam è considerato, a causa della sua etica<br />

unitaria, espressione di un totalitarismo antidemocratico nel quale<br />

qualsiasi tentativo per cambiare le strutture della società diviene intol-<br />

lerabile perché minaccia alle fondamenta l’ordine divino che è unità, e<br />

diviene disordine Cfitna). L‘Islam totale, come a volte viene definito, ha<br />

prodotto una concezione del rapporto individuo-società profonda-<br />

mente diversa da quella occidentale che si esprime in una differente<br />

configurazione dei rapporti giuridici tra Stato e cittadino. Per I’Occi-<br />

dente l’uomo delle dichiarazioni universali è principalmente individuo,<br />

per I’Islam egli resta parte imprescindibile della Umma e responsabile<br />

della sua realizzazione. Non a caso mentre nella sfera dell’individuo si<br />

verificano contrasti più stridenti riguardo ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, la civiltà<br />

islamica non ha avuto grandi difficoltà nel riconoscere i <strong>diritti</strong> collet-<br />

tivi, legata come è ai valori di equità e solidarietà. Anzi. Non va di-<br />

menticato il contributo della cultura giuridica islamica all’elaborazione<br />

e codificazione dei <strong>diritti</strong> universali della seconda e terza generazione.<br />

Cfr. M. Borrmans, Catholiques et musulmans: deux approches de la modernité, in<br />

Islamochristiana, Roma 1998, p. 69. In effetti - sottolinea l’A. - 1’Islam manifesta oggi<br />

un duplice atteggiamento che distingue un piano ideale e uno reale. Di fronte alle sfide<br />

contemporanee e in particolare alla domanda: «L‘Islarn peut-il s’harmoniser avec la<br />

modernité, la laicité, la democratie ..., il repond par un non et par un oui tout a la fois».<br />

La risposta è negativa «en forme dogmatique et idéaliste», è invece positiva se si guarda<br />

all’Islam «en forme historique et réaliste». Si tratta dunque di ridurre «la distance entre<br />

le non et le oui et de trouver une juste misure entre islamiser la modernité e moderniser<br />

I’Islamn?


466 Silvana Barbirotti<br />

Secondo i principi islamici, l’interesse collettivo ha il primato sull’individuo,<br />

e si è visto quanto sia facile strumentalizzare simili concetti.<br />

È dunque vero che l’uomo totale dell’Islam ?’’. Giudizio estremo, questo,<br />

che seduce perciò quanti nel mondo islamico intendono riaffermare la<br />

propria identità attraverso il rifiuto dell’occidente, in particolare le<br />

correnti più estremiste dell’islamismo radicale.<br />

Probabilmente nella molteplicità che lo caratterizza, 1’Islam più<br />

che totale è globale e, combattuto tra i suoi miti unitari e la realtà<br />

contemporanea, presenta più che la sua interezza la sua dialetticità, e<br />

con essa deve fare i conti per rispondere all’esigenza di un “ordine<br />

islamico” e far fronte al disordine dei suoi attuali squilibri.<br />

Nella memoria storica del musulmano contemporaneo, il massimo<br />

disordine generato nell’epoca moderna dalla scissione della Umma<br />

e la creazione dei confini nazionali chiama in causa le responsabilità<br />

dell’occidente. Questo aspetto è stato a tal punto enfatizzato<br />

da far passare in seconda linea una riflessione che gli arabi e gli<br />

occidentali dovrebbero maggiormente approfondire, i primi per trovare<br />

una soluzione moderna ai propri problemi, i secondi per comprendere<br />

la necessità di una prospettiva islamica al linguaggio dei <strong>diritti</strong><br />

<strong>umani</strong>.<br />

In realtà, le fratture del mondo <strong>arabo</strong>-islamico iniziano molto prima<br />

dell’era coloniale. È vero che esse sono state assorbite all’interno di<br />

un immaginario collettivo che ha prodotto simboli e significati in<br />

grado di mantenere in vita quell’ideale unitario che sul piano istituzionale<br />

e politico era poco più che formale. Altrettanto vero è che fu<br />

quello che molti definiscono il traumatisme colonial, miscela di reale e<br />

immaginario, a produrre gli effetti nefasti sulle divisioni tra gli arabi,<br />

che però già esistevano.<br />

Bisognerebbe maggiormente riflettere sul fatto che quando il Profeta<br />

ha ordinato ai suoi fedeli di allontanarsi da tutto ciò che rischia di<br />

dividerli, solo in parte ha creato con questo le premesse per una<br />

visione del mondo che ha contrapposto musulmani e non musulmani,<br />

dar al Islam-dar al harb. In effetti, quest’ordine si è trasformato in un<br />

approccio alla composizione dei conflitti sociali interni alla dar al<br />

Islam sulla base del rifiuto del settarismo. I1 paradosso è che 1’Islam<br />

è stato, di fatto, molto più tollerante riguardo alle altre religioni che<br />

verso se stesso. Qualunque elemento di rottura può essere percepito<br />

come contrario al dogma unitario, ed è per questo che il mondo<br />

islamico ha temuto - e represso - più i conflitti settari interni alla casa<br />

‘I1 B. Etienne, L%lamrsfno, cit., p. 15.<br />

<strong>Sistema</strong> <strong>arabo</strong>-islamico e <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong><br />

dell’Islam che i rapporti con le minoranze non mu~ulmane~’. Fino a<br />

quando questo tipo di dinamiche sociali si è svolto nell’ambito dell’autoritarismo<br />

dell’epoca pre-moderna, può aver avuto una sua certa<br />

legittimità. Più o meno soffocate o riorganizzate nella logica coloniale,<br />

riesplodono nell’epoca attuale e sono gestite da un potere autoritario<br />

secondo la stessa logica di repressione dei conflitti che in gran è parte<br />

priva di qualsiasi consacrazione legittima, I governanti arabi invocano<br />

1’Islam che hanno tradito per tradire la domanda di democratizzazione<br />

islamica, o come vorranno definirla i musulmani, che proviene sempre<br />

più dalle società civili.<br />

11 problema reale è comprendere quanto il vero confine sia tra<br />

musulmani e non musulmani riguardo ai <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>, e quanto esso<br />

non passi piuttosto fra regimi oppressivi, e le dite politiche che li<br />

sostengono da un lato e la popolazione dall’altro.<br />

Insistere sul registro dell’intolleranza religiosa di matrice antioccidentale,<br />

rischia di offuscare il molteplice senso di marcia dei movimenti<br />

islamici contemporanei e di distorcere una verità più complessa<br />

ai danni degli stessi <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>.<br />

L‘Islam rivoluzionario è «ritradizionalizzazione per eccesso di mode~nità>>~~.<br />

Esso intende recuperare in modo totale l’identità islamica<br />

attraverso un progetto d’islamizzazione delle società di fronte alle<br />

questioni socio-economiche lasciate aperte dalla modernizzazione.<br />

Le rivendicazioni dei gruppi islamici assumono una dimensione<br />

politica rivoluzionaria che preoccupa l’occidente quanto i regimi<br />

autoritari del mondo <strong>arabo</strong>. In realtà la domanda di Islam di cui si<br />

colorano simili rivendicazioni esprime il forte bisogno di partecipazione<br />

politica. Il risvolto paradossale è che tali richieste sono soffocate<br />

dall’autoritarismo politico dei regimi quanto dall’attitudine occidentale<br />

a considerare la realtà del risveglio islamico come un fenomeno<br />

violento e antidemocratico tout court, e a schierarsi dalla parte dei<br />

governi arabi come se fossero i difensori della democrazia. Sostenendo<br />

che il vero progetto politico dei gruppi islamici sia quello della hzjack<br />

demo~racy’~, ossia di conquistare il potere attraverso elezioni demo-<br />

’‘ Cfr. R. Caspar, Les declarations islamiques des droits de l’homme, in lslamochri-<br />

stiana, 1983, cit., p. 70: l’A. osserva che I’Islam è stato molto più tollerante a riguardo<br />

delle altre religioni, per il fatto che esse non minacciano gli equilibri interni alla società<br />

islamica in ragione di un credo diverso, al quale 1’Islam oppone la forza della propria<br />

fede. E piuttosto vero che la società islamica diviene eintolérante à I’égard d’idées qui ...<br />

peuvent devenir destructrices pour l’entière strutture sociale. C’est là l’origine ... de<br />

tant conflicts sectaires a l’intérieur de 1’Iclam meme».<br />

Cfr. B. Etienne, L‘lslamismo, cit., p. 54.<br />

‘i Cfr. sull’argomento J.L. Esposito, Islam and Civil Society in the Mtddle East, in<br />

Tbe Iranzan ]oz~rnnI ofInternationa1 Affaairs, 1998, p. 212-235. L‘A. analizza gli eventi<br />

467


468 Silvana Barbirotti<br />

cratiche per poi dirottarlo verso forme di governo dittatoriali e teo-<br />

cratiche, i regimi arabi ottengono l’appoggio dell’occidente, che, die-<br />

tro la minaccia di un’altra Teheran, cede in alcune importanti occa-<br />

sioni, come nel caso dell’Algeria, a comportamenti terribilmente<br />

ambigui’“. Così il trend attuale della prassi delle relazioni tra Occiden-<br />

te e Islam nel campo dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong> è che, mentre la comunità<br />

<strong>internazionale</strong> continua a esercitare pressioni verso il mondo <strong>arabo</strong><br />

affinché applichi nei propri ordinamenti giuridici gli strumenti del<br />

diritto <strong>internazionale</strong>, gli Stati applicano giri di vite sempre più stretti<br />

attorno alle loro opposizioni, ostacolando la crescita di quella società<br />

civile che costituisce l’elemento essenziale per lo sviluppo della demo-<br />

crazia e di cui i movimenti islamici sono in molti Paesi arabi parte<br />

attiva, nonostante i governi arabi - e i loro sostenitori occidentali - si<br />

sforzino di dimostrare il contrario. Tutto ciò alimenta invece le cor-<br />

renti estremiste, che oppongono violenza alla violenza dei regimi e<br />

riservano all’Occidente tutta la loro ostilità, che è l’arma dei più de-<br />

boli, di quanti vedono emarginati i propri <strong>diritti</strong> nell’epoca della lega-<br />

lità <strong>internazionale</strong>, di quanti di fronte all’alternativa posta dal mondo<br />

contemporaneo tra “modernizzare 1’Islam” o “islamizzare la moderni-<br />

tà”, scelgono, senza dubbio, quest’ultima a costo di esasperarne i<br />

contenuti e chiuderli nella rigidità, spesso dimenticando che fu pro-<br />

prio il Corano a esaltare il ruolo degli uomini della Umma come gli<br />

uomini della ragione.<br />

Silvana Barbirotti<br />

politici degli ultimi anni nel inondo islamico mediterraneo, dall’Algeria alla Turchia, e<br />

il ruolo svolto all’interno delle società da molti gruppi islamici. Essi sono, in molti<br />

Paesi, protagonisti attivi ed espressione della società civile di cui intendono promuo-<br />

vere il cambiamento. Hanno sviluppato istituzioni e organizzazioni che riflettono il<br />

grado di partecipazione sociale e il desiderio di inserirsi nel processo politico dei propri<br />

Paesi in modo democratico. Non adeguatamente sostenuti questi gruppi sociali, si<br />

rischia di alimentare le correnti più estremiste che intravedono nell’Islam violento<br />

l’ultima chance di rinnovamento delle proprie società. L‘A. invita a guardare con<br />

attenzione le dinamiche politiche che influenzano il problema dei <strong>diritti</strong> <strong>umani</strong>. In<br />

realtà - egli sottolinea - ciò che sta accadendo nel mondo <strong>arabo</strong> non è la lotta dell’I-<br />

slam rivoluzionario contro l’ordine e la democrazia, ma la contrapposizione fra due<br />

fondamentalismi, quello islamico e quello secolare e autoritario degli Stati.<br />

’‘ È emblematico il caso dell’Algeria. L‘attuale guerra civile ha origine agli inizi<br />

degli anni ’90, quando il governo annullava i risultati elettorali delle prime elezioni<br />

politiche multipartitiche che si svolgevano nel Paese dalla data della sua indipendenza<br />

(19621, e che con grande probabilità al ballottaggio sarebbero state vinte dal Fis<br />

(Fronte islamico della salvezza). L‘intero Occidente oscilla tra un imbarazzante silenzio<br />

e l’approvazione del colpo di mano del governo militare algerino, che nel frattempo<br />

aveva deciso lo scioglimento del Fis.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!