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Paura e carne - Sardegna Cultura

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Giorgio Todde<br />

<strong>Paura</strong> e <strong>carne</strong>


Tascabili . Narrativa


II edizione (Il Maestrale/Frassinelli) su licenza Edizioni Frassinelli<br />

© 2005 Edizioni Frassinelli<br />

I edizione (Il Maestrale/Frassinelli)<br />

© 2003 Edizioni Frassinelli<br />

Grafica<br />

Nino Mele<br />

Imago multimedia<br />

Foto<br />

Alessandro Contu<br />

Imago multimedia<br />

Impaginazione<br />

Imago multimedia<br />

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: redazione@edizionimaestrale.com<br />

Internet: www.edizionimaestrale.com<br />

ISBN 88-86109-94-6 Il Maestrale<br />

Giorgio Todde<br />

<strong>Paura</strong> e <strong>carne</strong>


La paura salta fuori dalle pietre - più dura delle pietre<br />

- per l’avvocato Giovanni Làconi. Lui la riconosce e capisce<br />

finalmente come è fatta.<br />

Se lo è sempre chiesto quale sia la forma della paura e<br />

da bambino pensava, ogni giorno, che fosse addormentata<br />

in fondo al golfo, pronta ad avventarsi addosso a lui<br />

in forma di tromba d’aria e acqua. Però la teneva lontana<br />

il coraggio della madre.<br />

Tutta la vita l’ha dedicata a proteggersi dalla paura,<br />

ma di notte, adesso che ha passato i cinquanta, la sua<br />

prudenza si è trasformata in un’insonnia lucida e costante<br />

che gli lascia un’avvisaglia di terrore sino alla<br />

notte successiva quando, senza una parola, beve vino<br />

nero e si istupidisce ancora prima di mangiare.<br />

Questa mattina sente lo spavento nel palmo delle mani<br />

umide. Perciò ha continuato a sfregarsele durante la<br />

messa e anche dopo, sino a quando è arrivato al molo<br />

davanti allo spazio così grande che il suo respiro gli sembra<br />

piccolo piccolo.<br />

5


Ha lasciato il calesse all’ombra, ha preso canna ed esca<br />

e, col suo passo da corridoio, è arrivato sino alla punta.<br />

Capisce come è fatta la paura quando la vede sbucare<br />

dalla casa abbandonata del molo di san Francesco, dove<br />

va a pesca ogni sabato. La vede in faccia e lei lo ammazza<br />

mettendoci il tempo che deve metterci.<br />

Con la lenza lo strozza e gli incide il collo. Lui sta fermo,<br />

la fissa e immagina che si muoia così.<br />

Che dolore in mezzo al petto, che dolore.<br />

Con il terrore sente sottomissione - come chi si rassegna<br />

a una pena giusta - e prova persino un sentimento<br />

di fiducia infantile. Non si porta nemmeno le mani al<br />

collo per difendersi. Reagire continuerebbe il patimento<br />

che gli è toccato.<br />

Quanta luce. Il sole gli brucia gli occhi che spingono<br />

per venire fuori. Vorrebbe vedere ancora per un momento,<br />

ma i momenti sono finiti per Giovanni Làconi.<br />

La paura adesso è dietro, è indecisa e poi allenta la<br />

stretta perché l’avvocato è già fermo anche se gli restano<br />

per un istante pensieri semplici portati dall’ultimo sangue:<br />

la scrivania, la figlia che rimette in ordine fogli, il<br />

boccale del vino a tavola. Anche i pensieri finiscono, ma<br />

lui suda e suda per la fatica di morire.<br />

Fa un respiro vero e si ferma tutto.<br />

La paura non è coraggiosa e si nasconde per un po’<br />

dietro le pietre. Poi compare di nuovo e si avvicina al<br />

6<br />

corpo. Con un mattone tra le mani, prova la traiettoria<br />

e, con tutta la forza che ha, glielo dà sulla fronte, che<br />

sprofonda. Lo guarda un po’ e scappa in mezzo ai sassi.<br />

Il corpo continua a sudare e macchia la camicia bianca.<br />

Il silenzio si fa sostanza e poi il primo moscone sceglie<br />

il collo. Arrivano le mosche che si appoggiano sulla<br />

fronte e sugli occhi. Anche il cesto con l’esca si riempie<br />

di mosche. Dopo un poco il ronzio è forte perché questa<br />

è proprio la festa di uno sciame.<br />

Il mare, visto dal molo lungo, è una striscia luccicante<br />

che evapora e il cielo è così caldo che è diventato bianco.<br />

La paura esce ancora dai sassi, scaccia gli insetti, strappa<br />

una manica della camicia all’avvocato e si mette al<br />

lavoro su un braccio, il destro.<br />

È una città di paurosi.<br />

Non sono capaci di opporsi a nulla. Non c’è una razza<br />

marinara e non c’è una razza di terra. Vorrebbero mangiare<br />

fiori di loto e gamberetti rosa augurandosi che dall’orizzonte<br />

non compaiano mai le vele degli stranieri.<br />

7


1<br />

Tea Làconi ha un corpo che ricorda la carestia e gli zigomi<br />

tesi come tamburelli.<br />

– Signora, vostro marito, l’avvocato Giovanni Làconi,<br />

mancava da stamattina…<br />

Lei si siede. Sta tramontando e le finestre aperte sono<br />

viola, il maggiore Belasco si è preparato le cose da dire<br />

e usa la bella voce bassa: – … la vostra premonizione,<br />

proprio così l’avete chiamata: premonizione… era<br />

esatta. Domenico Zonza, un pescatore del molo, lo ha<br />

trovato poco fa. Condoglianze.<br />

Tea, asciutta anche nel nome, socchiude le persiane<br />

del salotto perché per lei questo tramonto fa scandalo,<br />

il mare rosso, la natura esagerata è tutta uno scandalo.<br />

Belasco notifica il dolore che le sta occupando la testa e<br />

il corpo. Però è solo il dolore della moglie e non è una<br />

passione mortale.<br />

– Scusate, maggiore.<br />

Va in camera, prende uno scialle nero dall’armadio<br />

ma vede il grande letto con le candele sui comodini,<br />

pensa alla propria vita e le viene fuori un singhiozzo<br />

stentato come lei. Poi, col collo piegato su una spalla in<br />

segno di pietà, ritorna nel salotto e si siede.<br />

9


Il maggiore Belasco, in piedi, la guarda, beve la tazzina<br />

di caffè e pensa che questo corpo non può sopportare<br />

tutto quello che dovrebbe riferirle.<br />

– Signora, il mio maresciallo sta comunicando la notizia<br />

a vostra figlia nello studio dell’avvocato, al Bàlice.<br />

Domani sarà un giornata dura. Il procuratore si sta occupando<br />

del caso personalmente. Vostro marito era<br />

stimato nel regio tribunale…<br />

Abbellisce ancora di più la voce.<br />

– … dove molti ricordano le sue parole.<br />

– Anche le parole sono uno scandalo, – bisbiglia Tea.<br />

Il maresciallo Testa aspetta la reazione con un bicchiere<br />

d’acqua in mano, pronto a offrirlo alla clorotica<br />

Giacinta. La guarda: la stessa faccia del padre assassinato.<br />

– Vostro padre…<br />

Lei non ascolta e Testa sta zitto.<br />

Lui tiene un censimento dei morti ammazzati in città<br />

ma non si ricorda di un avvocato assassinato. Qualcuno<br />

era stato una testa calda, qualcuno era un pazzo,<br />

l’avvocato Basilio Penna era un pervertito tanto che l’avevano<br />

minacciato… ma ammazzato… no… no, una<br />

cosa mai vista.<br />

Anche Giacinta, immobile, aspetta qualcosa.<br />

– Cosa aspetta, signorina?<br />

Aspetta gli effetti della notizia, si guarda intorno<br />

10<br />

nella stanza e non sente arrivare niente. Ma come?<br />

L’anno prima era morta una zia e lei aveva sofferto<br />

una rivolta di tutti gli organi. Le avevano dovuto dare<br />

tintura di laudano per tre giorni. E ora nulla, non le<br />

succede nulla.<br />

Si guarda in uno specchio, si tocca le labbra azzurrine<br />

e pensa che non farà mai brodo. Una galletta asciutta,<br />

neanche buona per i marinai che stanno mesi in mare.<br />

D’altronde, i sentimenti da che parte se li tiene, dove li<br />

mette? Questo non è un corpo da sentimenti. Qui ci sono<br />

passate le cavallette.<br />

Eppure in quella faccia i maschi ci vedono qualcosa<br />

di perduto senza rimedio che gli sveglia nostalgie e voglie.<br />

Giacinta cerca ancora qualche cambiamento per il<br />

dolore, si guarda, si riguarda: nulla, non è cambiato<br />

nulla. Allora, per la disperazione, emette un unico singhiozzo<br />

secco.<br />

* * *<br />

Michela Làconi è la mamma novantaduenne dell’avvocato<br />

Giovanni, ammazzato dalla paura al molo di san<br />

Francesco.<br />

Non si è protetto. Non si è protetto e ora lei lo rimprovera<br />

sottovoce.<br />

Da molti mesi non esce dalla sua casa grande della<br />

città alta.<br />

11


La vecchia non vuole aria aperta e non vorrebbe<br />

mangiare.<br />

Per lei alimentarsi è un processo alchemico d’equilibrio<br />

tra l’acqua che beve a gocce come un cardellino e<br />

quella che elimina; e così fa anche col cibo, ogni giorno<br />

lo stesso, nella stessa quantità. In questo modo è certa<br />

di battere - nascosta in casa - l’eternità, senza doversi<br />

umiliare con preghiere che secondo lei nessuno sente.<br />

Senza entrare in cattedrale neppure una volta. Eppure<br />

le forze per fare la salita sino alla chiesa le ha, le ha tutte.<br />

Per il maggiore Belasco ha fatto preparare un caffè in<br />

una tazzina piccola come lei.<br />

– Il mio unico figlio! Chissà quanto avrebbe campato…<br />

Quanta vita gli hanno tolto… Aveva cinquantasei<br />

anni, e diritto ad almeno altri quarantaquattro per arrivare<br />

a cento, come il nonno. E invece è morto giovane<br />

come il padre. La vita non si spreca, tanta fatica per<br />

metterne da parte un pochino e lo hanno ammazzato…<br />

Chissà che paura ha avuto.<br />

* * *<br />

Il maggiore lo sa, lo sanno tutti nel quartiere alto di<br />

Castello, che la signora Michela è una donna che sopra<br />

ogni cosa mette un’idea di economia della vita e del<br />

corpo - un corpo di una quarantina di chili, che riduce<br />

in millesimi le idee, i sentimenti, e, per conseguenza,<br />

anche le cose e i fatti perché pesino meno.<br />

12<br />

Del patrimonio che ha accumulato faceva parte anche<br />

il figlio Giovanni. Aveva faticato per averlo. Si era<br />

perfino dovuta sottomettere - ma come una cassetta di<br />

risparmio - al marito che per questo avvelenamento era<br />

morto sbigottito oltre cinquant’anni prima, subito dopo<br />

che la pancia della moglie, grande quanto una bomboniera,<br />

si era alleggerita del suo piccolo peso, secondo<br />

una propria contabilità naturale delle energie.<br />

Il neonato, rugoso come un guscio di noce, era stato<br />

cresciuto a razioni materne e a sedici anni era alto un<br />

metro e mezzo. Quando si era laureato la lunghezza era<br />

poco di più e la crescita finita.<br />

Ora, tutto pesato e tutto riportato alla memoria, Michela<br />

trova tra le costoline porose un singhiozzo breve<br />

che al maggiore Belasco sembra solo un raschietto in<br />

gola.<br />

Dunque, tre singhiozzi per Giovanni Làconi che nell’aula<br />

della regia udienza entrava già inchinato sino dal<br />

corridoio, con la cartella dei documenti stretta al petto<br />

come un ex voto da consegnare al santo degli avvocati,<br />

camminando come si sfila in una processione.<br />

Ma un assassinato è un assassinato e il maggiore Belasco<br />

il respiro l’aveva trattenuto davanti al morto. Era<br />

quasi scappato.<br />

13


Il luogo del delitto lo chiamano e giurano che è tutto<br />

là! Basterebbe, per chi lo sa fare, sentire l’odore dell’assassino…<br />

riconoscerlo dall’odore. Ma non sono capace.<br />

Mi tocca sudare.<br />

Nessuno ha riferito alle tre donne che all’avvocato<br />

Làconi è stato tagliato il braccio destro e poi buttato<br />

nella barca di Zonza il pescatore che, quando lo ha trovato,<br />

ha sentito un morsico nello stomaco ed è caduto<br />

anche lui, più pallido del braccio, sul fondo della chiglia.<br />

Questo sabato caldo di giugno sta terminando con<br />

un tramonto prepotente. La città di bottegai aspetta il<br />

prodigio del fresco e si prepara a cenare senza limiti per<br />

la pancia perché, tanto, domani si riposa e gonfiarsi lo<br />

stomaco è il piacere di cui ognuno parla nei quartieri alti<br />

di Castello e in quelli bassi. Così nasce la nube di pesce<br />

arrosto che avvolge tutto e sale sino alla rocca ed è<br />

l’odore della città quando manca il vento curativo da<br />

nord.<br />

14<br />

2<br />

– Ancora polvere, Efisio!<br />

– Carmina, questa è marna con molta silice!<br />

Chiude nervoso la scatola di metallo con le polveri<br />

dentro.<br />

Efisio Marini si veste per andare al lavoro notturno.<br />

L’aria è ferma in città. I vapori del caldo stagnano nelle<br />

strade del quartiere della Pola e conservano l’odore<br />

della cena in ogni casa. Da qualche isolato più giù, verso<br />

il porto, arriva la serenata gutturale di un innamorato.<br />

A casa Marini marito e moglie, anche se sono giovani<br />

- il fiore tropicale degli anni - parlano quasi ogni giorno<br />

dell’argomento che addolora Carmina - e un’idea dominante<br />

che distrae ogni energia circonda come un alone<br />

il matrimonio.<br />

– Nelle nostre ossa e nelle rocce di tutti i colli della<br />

città c’è silicio che conserva. E tu la chiami polvere…<br />

– Lo so, Efisio, che le pietre conservano i fos-si-li…<br />

Neppure qualcosa di vivo… Un ritratto tutto grigio.<br />

Basta, basta.<br />

Carmina si volta ed Efisio vede la nuca bruna e alta di<br />

lei. Si indispettisce - un dispetto inguaribile - perché la<br />

15


moglie fa sempre così quando si parla di quest’idea.<br />

Carmina dice basta e si gira da un’altra parte.<br />

Lei gli darà sempre le spalle.<br />

Lui si ricorda quando a diciannove anni la incontrava<br />

di nascosto al tramonto sotto un cappero gigante delle<br />

mura. Tramonti pericolosi.<br />

Poi era partito per Pisa, a studiare. Ce lo aveva mandato<br />

il padre perché diceva che questa città con le paludi<br />

e il mare intorno era una città di naufraghi.<br />

Il ritorno. Il matrimonio e le gravidanze dolorose di<br />

Carmina. La malaria per tutti. Altri tramonti però meno<br />

azzardati, senza imprudenze. Sette anni, sette anni<br />

sono passati e adesso è così: una ripetizione eterna.<br />

Sempre la stessa risposta: – Non sono vivi perché la<br />

roccia non genera, conserva e basta. Io sto solo accorciando<br />

il tempo che ci vuole, lo sai, Carmina.<br />

– Eppoi oggi è sabato. Puoi aspettare lunedì.<br />

Lui sta infilando la giacca: – Aspettare?<br />

Efisio ha ventisei anni, magro, dritto, bruno, un<br />

ciuffo nero davanti agli occhi neri: – Aspettare? È ora.<br />

Devo arrivare al colle di Bonaria. Questa sera lavoro su<br />

una mano. Molto osso e pochi tessuti molli. Non posso<br />

aspettare lunedì. L’ultima volta avevo vinto, così mi<br />

sembrava… Poi, dopo quattro giorni, dal naso del neo-<br />

16<br />

nato che avevo reso quasi di pietra è spuntata la testina<br />

di un verme bianco come la neve. Non può aspettare<br />

lunedì questa mano.<br />

Lei resta voltata, non vuole guardarlo: – Spostati quel<br />

ciuffo ché sembri uno senza un ordine.<br />

– Senza ordine, – ripete lui mentre chiude la porta di<br />

casa e pensa che sta facendo qualcosa di più che chiudere<br />

una porta.<br />

Per strada suda. Incontra poche persone lungo la salita<br />

di san Giacomo che guardano questo giovane con il<br />

vestito bianco e pensano a un’anima del purgatorio.<br />

Nella cittadina molti sanno di Efisio e della sua smania.<br />

Qualcuno dice che è un medico pazzo, qualcuno ride,<br />

ma lui non si preoccupa perché a quei cittadini bottegai<br />

si sente superiore non per la presunzione dei folli,<br />

ma solo perché è certo che la natura l’ha voluto migliore<br />

di chi crede che il mondo sia quello che si vede da<br />

dietro un bancone.<br />

C’è una luna piena che fa battere i polsi.<br />

Carmina controlla che Vìttore e Rosa dormano nella<br />

cameretta. Ascolta.<br />

Che bel respiro domestico hanno i bambini.<br />

Poi va in salotto, aumenta la luce della lampada e<br />

prende dalla credenza un cofanetto con le lettere che<br />

Efisio le spediva da Pisa, dove il padre Girolamo l’aveva<br />

mandato a studiare medicina. Ne apre una. Lo fa<br />

spesso quando s’inquieta con Efisio e sente una gelosia<br />

senza obiettivo, una generica ma penetrante gelosia<br />

17


per tutto quello che le distrae il marito. Efisio fugge. E<br />

allora lei fruga nelle sue lettere.<br />

12 giugno 1857<br />

Adorata Carmina<br />

Sono in battello e raggiungo l’isola del Giglio. Oggi<br />

tutto splende e mi sembra di essere a casa nostra. Anche<br />

il vento sembra lo stesso.<br />

I fossili che trovo qui sono belli come quelli che trovavo<br />

al promontorio dell’angelo e anche qui i silicati vincono<br />

la forza di tutti i sali, tesoro mio.<br />

Il caso preferisce la materia vivente e io patisco a sentirmi<br />

in mano al caso. Alla sua morte l’organismo - foglia,<br />

insetto, cane o uomo - può essere isolato dall’aria e salvato<br />

dalla distruzione purché si faccia il più velocemente<br />

possibile. L’aria è impura e trasporta tutti i mali del mondo.<br />

Ieri al porto osservavo un carico di arselle che i pescatori<br />

vendevano al molo e, come mi succede sempre, l’idea è<br />

arrivata nella testa come un urto doloroso. Ho pensato<br />

che se in un vivente c’è già qualcosa di minerale come il<br />

guscio delle arselle è più facile diventare un fossile e resistere<br />

al tempo. E mi sono detto: noi abbiamo i minerali,<br />

li abbiamo nelle ossa e io ho soprattutto ossa: diventerei<br />

fossile in poco tempo. Se impedisco ai germi di lavorare,<br />

se non do tempo ai vermi, se accelero la trasformazione<br />

in minerale, se vinco il tempo, se, se, se…<br />

18<br />

Da dove è venuta questa idea Carmina non lo sa. E<br />

non capisce cosa vuol dire questo aldilà anticipato al<br />

quale Efisio pensa continuamente. Non è roba da preti,<br />

no, però lui è in cerca, fatica e si sforza di credere.<br />

Qualcosa significa di sicuro il pensiero perpetuo del<br />

marito: comunque lei non vuole essere contaminata.<br />

Fantastica di una malattia che lo faccia soffrire sino<br />

all’amnesia e poi glielo renda docile come lo vorrebbe e<br />

senza idee troppo grandi.<br />

Prende un’altra lettera.<br />

Pisa, 18 aprile 1858<br />

Carmina adorata<br />

Lo so, lo so che tu credi che un’idea troppo forte trasformi<br />

gli uomini in pazzi… però non è così per me. Non c’è<br />

un’idea che mi ha preso abbastanza da dimenticare la<br />

promessa che ti ho fatto all’ombra del cappero quando sono<br />

partito.<br />

Ma il tempo è un acido forte che tu non ti immagini.<br />

Ecco, io voglio che il tempo si spunti un po’ i canini. Non<br />

sono ammattito… ma almeno, quando ci azzanna, che<br />

trovi qualcosa di coriaceo conservato da Efisio.<br />

Tu dici che sarebbe un’opera a metà?<br />

L’altra metà è una metà troppo grande e non ho il coraggio<br />

di parlarne anche se mi passa di continuo per la<br />

mente. Dopo la sospensione della vita, dopo la trasformazione<br />

in pietra, rendere la flessibilità al corpo e poi<br />

19


sentire di nuovo il respiro, il movimento, la voce, la voce…<br />

Siamo giovani…<br />

Questo convincimento ostinato, secondo Carmina,<br />

assomiglia a quello dei matti e si arrabbia.<br />

Dopo tre anni di matrimonio vede che l’idea dominante<br />

di Efisio comanda su tutto. Lei non voleva così.<br />

Sente dolore, si intristisce e tiene lontana quell’idea.<br />

Però non ci riesce.<br />

Lui ha lavorato tutto il giorno nel suo bugigattolo all’istituto<br />

di anatomia e ora, con la luna alta, se n’è andato<br />

al cimitero della Madonna di Bonaria a continuare il<br />

lavoro che considera un artigianato ma spera diventi<br />

arte.<br />

Rosa mugola dal suo lettino e Carmina la sente. Trova<br />

una zanzara gonfia sul collo della bambina; la fa volare<br />

via, le dà la caccia sui muri: la zanzara imperiale si posa<br />

in basso, lei la schiaccia e guarda lo sbaffo rosso sulla<br />

parete.<br />

* * *<br />

– Dottor Marini, ecco la mano della ragazza. Era in<br />

ghiacciaia, – dice sottovoce il necroforo Antioco Ciccotto,<br />

figlio di Piricco, becchino filosofo defunto e sepolto<br />

nello stesso cimitero in una tombina di seconda<br />

classe.<br />

20<br />

– Grazie, Antioco.<br />

Efisio prende il fagotto, svolge la mano, la mette sotto<br />

la lampada della sala mortuaria e scrive:<br />

16 giugno<br />

Mano di ragazza di ventisei anni morta di febbre cerebrale.<br />

Conservata in ghiaccio da dieci ore. Colore: grigio.<br />

Consistenza: come fibrosa. È una mano bella, di una ragazza<br />

che curava la mente e il corpo. Probabilmente suonava<br />

uno strumento. Forse accudiva solo a qualche lavoro<br />

domestico. Una donna intelligente? Non so, comunque<br />

una donna attenta alle cose. Grandi pensieri? Sì, forse,<br />

è una mano importante questa, di un corpo importante<br />

e magari con una testa importante.<br />

Chiude il quaderno. Riempie d’acqua una bacinella<br />

metallica. Ci mette dentro la mano che resta palmo all’insù<br />

e si assicura che stia tutta immersa zavorrandola<br />

con un piombo. Versa e scioglie due polveri diverse.<br />

Poi toglie dalla borsa una pila cilindrica, la collega ai<br />

bordi del recipiente e inizia il bagno elettrico.<br />

– Ora bisogna aspettare, Antioco. La corrente elettrica<br />

dispone lei le sostanze, distribuisce la materia e la<br />

mano cambierà colore. All’inizio cambierà velocemente,<br />

poi con lentezza e poi… e poi… Sono stanco, stanco.<br />

21


Smette di parlare e si accende un sigaretto.<br />

Antioco, quando questa mattina hanno portato la ragazza<br />

in cimitero, l’ha riconosciuta subito. Era Lucia,<br />

l’unica puttana del quartiere del porto, puttana da generazioni<br />

e tutte si chiamavano Lucia, di madre in figlia.<br />

Però non lo ha detto a Efisio Marini. Preferisce<br />

che l’unico pezzo di Lucia destinato alla conservazione<br />

resti anonimo e ammirato perché quella mano, grigia,<br />

gelata, è proprio una mano bella. E pensare che acchiappava<br />

tutte le schifezze dell’andare e venire del<br />

porto.<br />

Efisio accende un altro lume, lo piazza vicino alla bacinella,<br />

si siede coi gomiti sul tavolo e osserva.<br />

Guardare. Ha capito da molto tempo che camminare<br />

guardando allo stesso tempo in cielo e in terra gli dà un<br />

malessere senza soluzione che gli si è diffuso intorno<br />

come un contagio sino a Carmina, anche se lei non voleva.<br />

La mano della ragazza cambia colore e un riflesso di<br />

madreperla scuote Efisio: – Cambia! Cambia! L’acqua<br />

non è più torbida… La <strong>carne</strong> cambia…<br />

22<br />

3<br />

Dall’altra parte del mare crescono papaveri, vicino<br />

al deserto.<br />

La dimenticanza è la medicina che si trova tra i lenitivi<br />

conservati nelle ampolle di vetro riposte in penombra.<br />

Il sole ha ingrassato il petalo rosso sul quale suda<br />

curvo il raccoglitore che mette da parte anche una<br />

porzione per sé contro ogni dolore e ora ha lo sguardo<br />

ebete dell’estatico.<br />

Ha iniziato a raccogliere quando era bambino e oggi<br />

di anni ne ha quasi settanta. Da molto non lascia la<br />

piantagione, l’oasi e la sua acqua nutriente. Riposa<br />

sulla paglia nella capanna ma non dorme mai davvero<br />

e pensa alla moglie, Hana, che vive nell’altra città da<br />

venti e più anni.<br />

Guardava per ore il mare quando andava al tribunale<br />

in città. Gli avevano spiegato che dall’altra parte<br />

c’era una città bianca, alta, assediata da paludi, abitata<br />

da uomini timorosi che evitavano la paura standosene<br />

attaccati alle loro case.<br />

Sua moglie Hana viveva là, ha avuto una figlia, e là<br />

23


arrivavano le sue lettere alle quali nessuno risponde<br />

più da molto tempo.<br />

Guardava, guardava e se ne tornava all’oasi dove si<br />

curava col succo raccolto.<br />

24<br />

4<br />

Il tratto di acciottolato ripido percorso in calesse ha<br />

mezzo disarticolato il piccolo corpo di Michela Làconi.<br />

La nipote Giacinta l’ha aiutata ad arrampicarsi sulla<br />

poltrona dello studio di Efisio.<br />

– Io conoscevo i tuoi nonni, Efisio. Ora lui, che aveva<br />

un anno più di me, ne avrebbe novantatré e lei ottantotto.<br />

Buoni e gentili… ma non si sono conservati.<br />

Nonostante il risparmio la vecchia si dimentica<br />

quello che ha messo da parte in testa per dirlo a Efisio<br />

e allora si massaggia le tempie: – Vedi? Mi devo spremere<br />

proprio qui dove c’è la memoria, le mie ossa ormai<br />

sono di carta e mi massaggio il cervello. Tu sei medico<br />

e lo capisci come funziona un vecchio. Ho preso<br />

sole per venire qua e il sole consuma. Basta guardare<br />

cosa fa alla terra e si capisce cosa fa a un corpicino come<br />

il mio.<br />

Ancora un silenzio e poi acchiappa l’idea: – Io so dei<br />

tuoi studi Efisio, ne parlano tutti… e hai solo ventisei<br />

anni.<br />

– Ne ho quasi ventisette, bisogna essere precisi col<br />

tempo, come voi.<br />

25


Un altro silenzio, il sangue circola in gocce nella testa<br />

di Michela, ma circola: – Mio figlio Giovanni… –<br />

Si volta verso Giacinta: – Tuo padre…<br />

È pallida Giacinta, però da lei non emana quell’idea<br />

di risparmio del corpo. Anzi, lei ha lo sguardo di chi si<br />

consuma sino a scorticarsi.<br />

Efisio si sposta il ciuffo: – Lo so, lo so… niente è peggio<br />

dell’omicidio, niente. Chi uccide è un pazzo che<br />

vuole imitare il Creatore…<br />

– Macché Creatore. Gli hanno staccato un braccio,<br />

rotto la testa… Tu devi rimettere le cose al loro posto e<br />

poi farle durare. Devi farmelo durare mio figlio. Sono<br />

venuta qui di mattina presto per chiedertelo.<br />

Anche se tutto, proprio tutto, in Michela ha raggiunto<br />

il massimo della vicinanza alla terra e nonostante il<br />

metabolismo da salvadanaio, Efisio crede che in questo<br />

corpo ridotto ci sia rimasto qualcosa, magari la memoria,<br />

della forza che aveva a suo tempo spinto al mondo<br />

l’avvocato e l’aveva involto in un’esistenza protetta dalle<br />

fasce prima e poi dal diritto che, però, non lo avevano<br />

riparato abbastanza.<br />

– Il mio unico figlio. Non ne ho avuti altri. Mio marito<br />

è morto poco dopo la nascita di Giovanni. È morto<br />

in un istante, proprio in un soffio… lui mangiava di<br />

continuo.<br />

Efisio la guarda e pensa che le funzioni materne le siano<br />

rimaste, almeno in forma di idea, a differenza di tanti<br />

vecchi - ne conosce molti - che invece vivono esclusi-<br />

26<br />

vamente nel cerchio di pasto e digestione senza che<br />

niente li interessi più. Sì, questa vecchia qualcosa ce<br />

l’ha… ha qualcosa… e le piazza una panchetta sotto i<br />

piedi che battono l’aria.<br />

– Grazie. Hai una bella faccia, Efisio Marini… e sei<br />

magro, bravo! Vedrai quanto durerai. Devi fare bene<br />

anche con mio figlio. Lo voglio intero…<br />

Efisio prende un pugno dei suoi sali e glielo mostra: –<br />

Voi sapete che io non sono ancora riuscito a fermare…<br />

– I vermi. Lo so, si sa tutto in città. Però ci sei vicino e<br />

con mio figlio Giovanni ci riesci di sicuro.<br />

La vecchia si appisola di colpo e muove le manine come<br />

i bambini che sognano.<br />

Resta così qualche minuto e poi un tremore più forte<br />

degli altri - forse le è apparso il figlio - la sveglia, perciò<br />

Efisio continua: – Col tempo se ne va la parte più debole<br />

di noi, donna Michela: l’acqua… Insomma, io tolgo<br />

tutta l’acqua dal corpo, lo rendo coriaceo… ma non lo<br />

faccio abbastanza in fretta… Sto imparando, e allora<br />

sapete cosa succede? Succede che la distruzione è più<br />

veloce dei miei sali…<br />

– Giovanni è conservato da ieri mattina in ghiacciaia…<br />

l’ho visto. Gli devi anche rimettere a posto le<br />

ossa della testa, povera testa… e il braccio…<br />

– Beh, per questo non preoccupatevi. Ve lo restituirò<br />

intatto. Sapete che ha difeso anche babbo? Io ero piccolo,<br />

mi ricordo che si trattava di una questione di granaglie<br />

arrivate dal Lazio e andate a male… Da allora:<br />

27


orzo e grano tunisino, arrivano prima e sono migliori…<br />

Michela ha una scossetta: – Giovanni era debole, con<br />

le braccia di cera, sembrava un martire. Ucciderlo è<br />

stato, è stato…<br />

Efisio si accorge che le manine tremano, che la testa<br />

le oscilla e i piedi battono sulla panchetta e ha un’idea:<br />

riempie un bicchiere d’acqua e ci scioglie dentro due<br />

cucchiaini dei suoi sali. Ha sempre pensato che, dati a<br />

un vivo, sarebbero serviti da tonico: – Bevete, vi farà<br />

subito bene, donna Michela.<br />

Lei lo beve a sorsetti e ne lascia la metà con una smorfietta<br />

rugosa: – Perché tagliargli un braccio e buttarlo<br />

via? Per fare più male a me? Efisio, vorrei sapere se<br />

quando gli hanno tagliato il braccio era ancora vivo…<br />

mi dirai la verità?<br />

– Certo, è facile. Ma per dirlo ho bisogno di vederlo e<br />

di essere nominato vostro medico di fiducia in questa<br />

faccenda.<br />

Michela lo sorprende, smette di oscillare - forse per il<br />

ricostituente che un po’ comincia a solidificarla - e si<br />

strizza ancora le tempie: – L’ho già fatto, sei già il nostro<br />

medico testimone. Il maggiore Belasco, alla regia<br />

udienza, ti spiega tutto lui: ho sistemato le cose come<br />

volevo io.<br />

Efisio l’aiuta a scendere dalla poltrona. La piccola<br />

donna si raddrizza ed esce dalla stanza.<br />

Giacinta è rimasta in silenzio, bianca e sudata, come<br />

se avesse la febbre. Strano, pensa Efisio, quel sudore in<br />

28<br />

una famiglia così secca. La figlia dell’avvocato si inchina<br />

e poi segue la nonna.<br />

Efisio è contento. Per la prima volta qualcuno gli ha<br />

chiesto, credendogli senza condizioni, di allontanare<br />

da un corpo intero vermi e putrefazione. Si sente addosso<br />

una dignità da sacerdote che nessuno gli aveva<br />

riconosciuto sino a ora. Così la sua tendenza a mostrarsi<br />

lo agita e lo emoziona.<br />

Entra nel gabinetto di conservazione.<br />

La mano che ha portato dal cimitero è ancora nel bagno<br />

elettrico. Sono trascorse tutte le ore della notte e<br />

mezza mattinata e la mano è già dura, bianca, con le dita<br />

flesse come sulla tastiera di un pianoforte. Un dito<br />

nerastro, il mignolo, lo preoccupa: da lì potrebbe sbucare<br />

il verme contento del grande pasto. La annusa<br />

però sente solo l’odore salato della sua polvere conservante.<br />

Sul polso pietrificato ha fissato un braccialetto di rame<br />

con sopra inciso: EFISIO MARINI, MUMMIFICATORE IN<br />

CAGLIARI, GIUGNO 1861.<br />

29


5<br />

Matilde Mausèli cammina come se la mela per la più<br />

bella sia stata consegnata a lei pochi minuti prima e, anche<br />

se è una donna raccolta, sembra che tutto le stia al<br />

di sotto. È così da bambina. I capelli e gli occhi color<br />

miele la fanno sentire di un’altra razza venuta da lontano,<br />

da paesi più verdi di questo. Qui si mischia alle<br />

donne olivastre della città, ma resta diversa.<br />

È cugina di Carmina - anche se Carmina con tutto<br />

quel miele non ha mai legato - ed è autorizzata a fermarsi<br />

e parlare con Efisio anche per la strada.<br />

Si incontrano davanti al Gran Caffè mentre lui sale<br />

verso la piazza della regia udienza.<br />

– Sì, Matilde, un tamarindo freddo prima della salita<br />

e un sigaretto.<br />

Si siedono a un tavolino sotto il tendone bianco.<br />

Lei lo ha sempre imbarazzato, non perché è bella ma<br />

perché sembra che riesca a guardare oltre il ciuffo, che<br />

lui allora non scosta dalla fronte finché discorrono.<br />

Però con Matilde riesce a parlare di cose grandi. Parlano<br />

e si ascoltano. Una confidenza che si è lentamente<br />

costituita ma non si è data una forma definitiva. E proprio<br />

questa indeterminatezza che non disegna un con-<br />

31


fine preciso tra i due giovani è divenuta l’unica omissione<br />

coniugale di Efisio, perché prova una colpa lontana<br />

quando le rivolge la parola e aspira il suo odore di<br />

mentuccia che riconosce - non sa perché - come familiare<br />

ma non tranquillante.<br />

A lei la complessione filosofica di Efisio è sempre piaciuta.<br />

Salvatore, il fratello pratico di Efisio, glielo ha<br />

sempre detto che le donne cercano uomini diversi dagli<br />

altri.<br />

– Efisio, so che la famiglia Làconi ti ha nominato medico<br />

di fiducia. Giacinta è mia amica. Me lo ha detto lei.<br />

Ti ha scelto Michela, la vecchia, – Matilde si toglie il<br />

cappello, lo poggia sul tavolo e si controlla con le mani<br />

la crocchia bionda. Poi fissa ansiosa Efisio: – Che cosa è<br />

successo in quella casa? È troppo, è troppo… Violare<br />

un corpo in quel modo. L’ho visto. E da allora non penso<br />

che al nostro corpo, al mio, a come vive, a come sente<br />

il caldo e il freddo, come si muove da un posto all’altro…<br />

– Tace. – Chissà perché te lo dico…<br />

Lui smette di bere il tamarindo e guarda il bicchiere<br />

in trasparenza: – Violare un corpo… hai ragione, Matilde.<br />

È una cosa troppo importante, il corpo.<br />

– È troppo importante per lasciarlo senza combattere.<br />

L’avvocato deve avere ceduto subito…<br />

32<br />

Efisio vede i passanti, abbagliati dal sole, rallentati<br />

dal caldo, ma vivi: – Lasciarlo? Cosa lo lascia, Matilde?<br />

Tu credi che qualcosa abbandoni muscoli, ossa e tutto<br />

il resto? Un’energia che sovraintende a tutto e che,<br />

quando se ne va, ferma ogni cosa? Saranno i pensieri<br />

che ci lasciano, credevo da ragazzo, e pensavo che le<br />

idee non fossero cose… E invece proprio come cose si<br />

depositano e poi si complicano e si ramificano. Però<br />

era roba da ragazzi… Le idee sono un prodotto del corpo,<br />

come il sangue, e finiscono col corpo. Forse anche<br />

le idee hanno una forma, una materia, magari sono come<br />

le forze elettriche, oppure, - e guarda in alto, - come<br />

la luce…<br />

Gli occhi di Matilde prendono un riflesso arancione<br />

sotto la tenda del caffè e lui si accorge che poche cose<br />

riescono a spazzare via l’eternità e a sostituirla col presente,<br />

ma questa ragazza dorata ci riesce: – Sai cosa ho<br />

pensato, Efisio, quando ho visto l’avvocato? Non l’ho<br />

raccontato a nessuno, neppure a Stefano: mi sono disperata,<br />

persa, e mi sono chiesta: tutto qui? Tutta la fatica<br />

che facciamo porta qui, a questo punto? E ho pianto,<br />

ma non per l’avvocato… non dovrei dirlo però pensavo<br />

a me e al mio corpo.<br />

* * *<br />

Efisio svuota il bicchiere. Questi pensieri non li ha<br />

confidati neppure al fidanzato? Cosa vuole dire? Per-<br />

33


ché parla con lui e non con Stefano? Si accende il sigaro<br />

e si immagina una passeggiata con lei al promontorio<br />

dei fossili.<br />

– Sì, una gran cosa il corpo… ma se lo vedessi dopo<br />

appena un giorno al sole e all’aria, la tua domanda sarebbe<br />

ancora più forte, te la faresti tutti i giorni, tutti i<br />

momenti…<br />

Gli occhi arancio di Matilde fanno proprio luce: –<br />

Con Carmina parli di queste cose?<br />

Carminetta, la nuca bella, il passo che segue strade sicure.<br />

– Carmina è una donna intelligente.<br />

Finalmente si sposta il ciuffo e mostra la fronte alla<br />

ragazza, ci veda quello che vuole: – Piuttosto, Matilde,<br />

come va la scuola? L’unica insegnante donna del liceo.<br />

Magari vorresti anche fumare come un uomo? Vuoi sapere<br />

di cosa parliamo io e Carmina? E col tuo Stefano<br />

di cosa parli? E poi, c’è proprio bisogno di parlare con<br />

chi conosciamo così bene?<br />

Matilde si rimette il cappello bianco e si illumina ancora<br />

di più: – È vero, non ci avevo mai riflettuto, si parla<br />

di più con chi non conosciamo bene… è naturale!<br />

Ma ci vuole qualcosa che ci muova e ci spinga…<br />

Poi, in piedi, ripete per sé ma anche perché Efisio la<br />

senta: – Si parla per conoscere chi ci interessa, proprio<br />

così. Poi a casa si sta zitti con chi si conosce già… Stefano<br />

dice che parlo poco.<br />

Efisio vorrebbe stare anche lui sotto quel cappello.<br />

34<br />

Spalanca i due finestroni, il vento caldo entra nella<br />

stanza e la luce illumina il corpo di Giovanni Làconi.<br />

Efisio si sente sulle corde alte, dove tutto diminuisce<br />

o cresce senza controllo.<br />

Si toglie la giacca, poggia le mani sui fianchi per qualche<br />

secondo e poi avverte il maggiore Belasco con l’indice:<br />

– Non è facile! È già iniziato tutto… Non è ben<br />

conservato, serviva più ghiaccio… Maggiore, la vasca<br />

coi sali è pronta. Me ne serve una quantità che non ho<br />

mai sperimentato. Lasciamo aperte le finestre e vedrete<br />

che tra un po’ l’odore riuscirete a non sentirlo. Il cervello<br />

sposta gli odori se vuole, serve solo esercizio. Ma<br />

prima…<br />

Apre una borsa con le sue iniziali dorate.<br />

– … prima una promessa. Devo riattaccare il braccio<br />

all’avvocato. Me l’ha chiesto donna Michela.<br />

Fa passare un filo nero nella cruna di un ago curvo a<br />

semicerchio e prepara i ferri.<br />

Belasco vede la lama nel fondo della borsa, una lancetta<br />

brillante, si alliscia i capelli e la voce questa mattina<br />

è meno bella del solito: – Il giudice Marchi vuole sapere<br />

la causa della morte ma, soprattutto, ricostruire<br />

l’ordine dei fatti. L’ha strangolato prima e amputato<br />

poi? L’ordine, dottor Marini… Quindi, fate le cose come<br />

il dottor Sau, che col lavoro di anni si è conquistato<br />

la stima e…<br />

Efisio ha il ciuffo fermato in fronte dalla brillantina,<br />

ha messo un camice bianco lungo sino ai piedi. Smette<br />

35


di frugare nella borsa, si raddrizza come un bambù, si<br />

avvicina a Belasco, lo fissa con gli occhi di carboncino e<br />

solleva l’indice in alto: – Maggiore, io qui sono, al momento,<br />

l’autorità. Decido io, secondo il mio senso della<br />

pietà e secondo le mie conoscenze, cosa fare e in quale<br />

ordine. Voi ignorate le difficoltà del mio compito… cosa<br />

ne sapete? Sono qui per comprendere e per riacciuffare<br />

l’avvocato che è sprofondato da molte ore nell’eternità.<br />

Ecco, ecco il punto che non deve sfuggirvi: noi<br />

siamo davanti all’eternità e questo corpo bianco e peloso<br />

potrebbe diventare un minerale inalterabile e trattenuto<br />

da questa parte, tra di noi…<br />

Questo indice al cielo ha su Belasco lo stesso effetto<br />

del rosso sui tori, ma Efisio, prima che il maggiore replichi,<br />

ha già iniziato a passare il filo nero che riunisce<br />

braccio e spalla dell’avvocato Làconi con uno zig zag<br />

luttuoso che zittisce il militare.<br />

Quando finisce col braccio, guarda Belasco e poi impugna<br />

la lancetta. Equilibrio, equilibrio serve.<br />

– Ora, maggiore, il torace.<br />

Efisio affonda la lama nella fossetta del giugulo, poi<br />

fa forza, e disegna un taglio grigio sino al pube desolato<br />

dell’avvocato. Con le cesoie divide lo sterno, lo divarica<br />

e veloce - al maggiore sembra un cannibale - estrae il<br />

cuore. Lo lava, lo asciuga e lo appoggia sul piano di<br />

marmo dove lo taglia a fette mantenendole attaccate<br />

l’una all’altra per un lembo: un libro che lui apre e chiude<br />

più di una volta proprio come se ci leggesse dentro.<br />

36<br />

Lo esamina con una lente, lo rimette nella sua cavità<br />

buia che ricuce con velocità operosa.<br />

Poi si affaccia al finestrone della sala di sezione, in silenzio,<br />

e aspira tutta l’aria che può.<br />

Controlla l’orologio: ha impiegato venti minuti per<br />

aprire e chiudere Giovanni.<br />

Accende un sigaretto: – Maggiore, ho finito e ora rimetto<br />

in ordine l’avvocato, come ha chiesto sua madre.<br />

Più veloce del dottor Sau. Mandatemi il necroforo.<br />

Dobbiamo mettere il cadavere a bagno. Io aspetto qui e<br />

respiro, voglio respirare un poco alla finestra.<br />

Belasco è fiacco per quell’odore, quel tagliare, il rumore<br />

di <strong>carne</strong> e ossa, quello scivolio di organi, ed è contento<br />

di uscire dalla sala.<br />

Arriva il necroforo Matteo, un lazzaro contento che è<br />

anche campanaro della cattedrale, e quando vede l’avvocato<br />

rimesso in sesto borbotta: – Qui c’è un imbroglio,<br />

qui c’è un imbroglio.<br />

– Bene, Matteo, dobbiamo mettere Làconi in quella<br />

vasca… tutto qui. E sistemarlo con dei pesi che lo spingano<br />

a fondo. Prima, però, c’è questa fronte sfondata<br />

da rimettere a posto. Era una bella fronte e noi la rifaremo<br />

curva e pensierosa com’era.<br />

Dalla borsa prende un trapano e pratica un foro sulla<br />

tempia, nascosto dai capelli, mentre Matteo, concentrato,<br />

tiene la testa del morto. Poi infila nel foro una leva<br />

di metallo con la quale dall’interno spinge le ossa<br />

deformate, la fronte riprende la sua naturale curvatura<br />

37


e sulla faccia dell’avvocato riappare un’espressione serena<br />

e composta anche se la mandibola aperta ricorda<br />

ancora come la paura lo ha maltrattato.<br />

Allora Efisio passa un punto tra le gengive delle due<br />

arcate dei denti e chiude definitivamente la bocca di<br />

Giovanni Làconi.<br />

– Matteo, deve restare nel bagno elettrico per un<br />

giorno e mezzo. Non c’è nessun imbroglio, non fare<br />

quella faccia… Ma se la putrefazione se lo riprende<br />

chissà quante risate, quanto spirito… È come se li sentissi<br />

i poltroni del mio quartiere, seduti nelle panchine,<br />

conformati alle panchine, ad aspettare che passi il tempo…<br />

Aiuta Matteo e poi torna alla finestra.<br />

Belasco rientra, vede il cadavere grigio nella vasca,<br />

mantenuto sul fondo da alcuni piombi legati alle estremità<br />

e nota che la brillantina che teneva calmo il ciuffo<br />

di Efisio ha ceduto.<br />

– Vede maggiore? Ecco di nuovo l’avvocato Làconi.<br />

Questo è solo artigianato. Ma ora devo parlare con<br />

voi… L’avvocato non è stato ucciso…<br />

Quell’indice, quell’indice, pensa Belasco. – Il giudice<br />

Marchi ci aspetta a palazzo, andiamo.<br />

Il maggiore è già avviato verso la porta, si ferma di<br />

colpo e si volta perché la frase di Efisio gli è arrivata alla<br />

testa: – Come sarebbe, dottor Marini? Non è stato ucciso,<br />

non è stato strangolato?<br />

Efisio si è tolto il camice: – No.<br />

38<br />

Lasciano Matteo a guardia dell’avvocato a bagno e<br />

imbucano l’andito.<br />

– Non è stato ammazzato?<br />

– No.<br />

Questo No, No e basta, è una provocazione, quasi<br />

un’offesa ma Belasco è orgoglioso e non fa più domande.<br />

Efisio ha l’indice agile, pronto per ogni spiegazione.<br />

Matilde è rimasta sola al caffè. Aspetta, riparata dal<br />

cappello, che il gelato la rinfreschi un poco e che Stefano<br />

Mele, il fidanzato, finisca il lavoro nello studio del<br />

notaio Dettori per scendere in calesse al mare.<br />

È proprio così, ha ragione Efisio: che razza di divertimento<br />

è parlare con chi conosci bene? Quel ciuffo, o<br />

glielo taglia o gli regala una forcina con qualcosa di inciso,<br />

scritto tanto piccolo che ci vuole la lente.<br />

Nel frattempo conta quanti la guardano di quelli che<br />

cercano l’ombra sotto la tenda del caffè e si diverte a<br />

farsi un catalogo intimo dei tipi di sguardo. Ma lei non<br />

ha mai capito se i suoi colori, rari in città, siano un’attrazione<br />

per gli uomini oppure una curiosità e basta.<br />

Sospetta che, per natura e desideri, quei maschi restino<br />

destinati alla pelle bruna e al pelo nero delle altre donne.<br />

Però di questo non ha mai parlato a nessuno.<br />

Anche Stefano - Matilde lo ha notato - guarda le altre<br />

ragazze, queste mezze musulmane scure, in un modo<br />

39


che le sembra abbia un unico osceno significato. Perciò<br />

conta gli sguardi degli uomini, li classifica e cerca di<br />

comprenderli.<br />

40<br />

6<br />

Una folla mista popola la piazza della regia udienza.<br />

Nuragici pallidi, con la testa grande, le mani pelose e i<br />

femori corti adatti alle salite a chiocciola della città;<br />

arabi con zigomi e riccioli che vengono dalle coste africane<br />

delle quali hanno una nostalgia di sangue. Appartata,<br />

una razza poco numerosa, chiara e civilizzata, addirittura<br />

bionda anche se bruciacchiata dal caldo meridionale.<br />

Queste tre razze non si mischiano e ogni sera se ne<br />

tornano ai propri quartieri che la legge ha separato con<br />

mura e portali in modo da conservare diverse specie<br />

rionali che danno l’impronta dei propri geni anche agli<br />

abiti, al cibo, alle case e al lavoro.<br />

Efisio viene da lontano. Suo fratello Salvatore - l’anima<br />

a tre dimensioni della famiglia che ha preso il posto<br />

del padre nei commerci del porto - se lo è sempre immaginato<br />

come un discendente di qualche nomade che<br />

studia stelle e pianeti senza curarsi di cibo, dell’acqua e<br />

della terra. Invece Efisio, con la presunzione dei giovani<br />

solitari, terra e cielo vorrebbe unirli, persino qua, davanti<br />

a Belasco e al giudice Marchi della regia udienza.<br />

Nello studio del magistrato di cartapecora c’è una<br />

41


penombra silenziosa, arriva solo un brusio dalla piazza<br />

e le tende bianche si gonfiano ogni tanto.<br />

Il giudice, la faccia tenuta insieme da rughe profonde<br />

come incisioni, usa un grande sopracciglio bianco sollevato<br />

per ammonire chi gli sta davanti.<br />

– Dite, dottor Marini.<br />

Efisio alza l’indice: – Lo spavento, il demonio dello<br />

spavento ha ucciso l’avvocato Làconi e gli ha annerito il<br />

cuore. Il cuore dell’avvocato, giudice Marchi, aveva la<br />

punta nera.<br />

Belasco, che davanti a Marchi sopporta ancora meno<br />

il dito di Efisio, sceglie la voce più scura che ha: – Dottor<br />

Marini, questa è una via di mezzo tra una poesia e<br />

una maledizione biblica… voi siete un medico e la famiglia<br />

Làconi vi ha incaricato di fare il vostro dovere di<br />

sezionatore sul cadavere dell’avvocato, non di parlare<br />

come un indovino. C’è stato un assassinio… un assassinio!<br />

Il maggiore guarda il giudice che beve il caffè e pensa<br />

di essersi espresso come si deve e con la voce appropriata,<br />

bruna e seria.<br />

Alberto Marchi è zitto e ferma i sorsi di caffè sul palato.<br />

Cinquant’anni prima - dodicenne - aveva assistito<br />

all’impiccagione in piazza di Salvatore Cadello e al taglio<br />

della testa tenuta esposta per giorni sul patibolo.<br />

Da allora gli è rimasta addosso la paura, la paura della<br />

forca e della folla, e ha sviluppato un’intelligenza del<br />

non fare, è diventato un argine all’azione, una diga ai<br />

42<br />

fatti che, fosse per lui, non dovrebbero neppure avvenire.<br />

Perciò si tiene sempre all’ombra, al riparo ed è color<br />

pergamena. La faccenda che lo spavento ammazza<br />

lo fa pensare… Ma forse questo Marini è solo troppo<br />

giovane, tutto qui, e lui ha fatto male a mettere cose così<br />

grandi nelle mani di questo ragazzo.<br />

– Spiegatevi, dottore. Cosa significa che il cuore dell’avvocato<br />

aveva la punta nera?<br />

– Significa, eccellenza, che il cuore, forse già ammalato,<br />

si è fermato, o meglio che la sua punta si è fermata,<br />

arrestando anche tutto il resto giacché, come il dottor<br />

Sau insegna, è il cuore che muove tutto.<br />

– Lasci stare il suo collega Sau. Il cuore si è fermato<br />

per lo strangolamento? – chiede Marchi.<br />

– No, si è fermato prima per il terrore di essere ammazzato.<br />

Lo ha fermato la paura.<br />

Il giudice lo fissa e lo fruga con lo sguardo. Non gliela<br />

dà a questo giovane la soddisfazione di una domanda.<br />

Efisio sente forte il piacere che prova l’attore sul palcoscenico,<br />

il musicista con lo strumento, il pittore che<br />

mostra il quadro.<br />

– Quella linea nera del laccio intorno al collo non è la<br />

causa della morte, e neppure la povera testa deformata<br />

da un colpo di mattone. Chi ha stretto il collo dell’avvocato<br />

ha, se si può dire, strangolato un morto, ha sfondato<br />

il cranio a un morto e ha mutilato un morto. E ne<br />

discende che chi ha fatto tutto questo non è l’assassino<br />

di nessuno perché non esiste l’assassino di un morto,<br />

43


anche se un morto non lo si può definire un nessuno.<br />

Comunque si voglia argomentare, magari anche in versi,<br />

maggiore Belasco, il primo e definitivo evento è stato<br />

lo scoppio del cuore. Per questo motivo non è uscito<br />

sangue dal collo nonostante il laccio lo abbia inciso e<br />

per lo stesso motivo non è uscito sangue dalla testa, né<br />

dalla spalla. Non c’era nessuna pozza di sangue intorno<br />

al cadavere, ne sono sicuro! È vero?<br />

– Sì, è vero, – Belasco guarda Marchi. – Non c’era<br />

sangue intorno.<br />

– Il torrente del sangue, espressione poetica che,<br />

però, fulmina il concetto, era già fermo e l’avvocato era<br />

già morto. Si chiama determinismo la ricerca…<br />

Belasco non ce la fa, proprio non ce la fa. Quel giovane<br />

con l’indice universale gli causa come un dolore al<br />

collo che non se ne va se rimane zitto: – Determinismo,<br />

dottor Marini, determinismo? Ma quante parole dobbiamo<br />

ancora sentire? Quante volte devo vedere quel<br />

suo dito presuntuoso? Neppure fosse il dito della creazione!<br />

Abbiamo capito! Lei ha fatto il suo lavoro. La<br />

seconda parte, la mummificazione, dico, non è stata richiesta<br />

dalla legge ma da una madre vecchissima che<br />

vuole il figlio conservato. Tutto qui! E lei, invece, orna,<br />

incornicia, abbellisce tutto quello che dice come se…<br />

Il lato infantile e dispettoso di Efisio è simmetrico a<br />

quello che lo trascina all’esibizione: – Voi vi lamentate<br />

del mio indice? Voi? E cosa si dovrebbe dire del<br />

vostro busto dritto che sembra non abbia cartilagini e<br />

44<br />

ossa come tutti? E della vostra voce che andrebbe bene<br />

per una parata? E cosa devo pensare di chi giudica<br />

fatti che non può comprendere? Non vi siete neppure<br />

chiesto perché intorno al cadavere di Giovanni Làconi<br />

non c’era sangue! No, maggiore, aquila non captat<br />

muscas…<br />

A Belasco si gonfia una vena in fronte: – L’aquila non<br />

cattura mosche? Voi sareste l’aquila e io una mosca petulante?<br />

Questo volete dire?<br />

– Dico che non mi curo di voi, maggiore, ecco cosa<br />

voglio dire. Io, io vi ho fornito in tre quarti d’ora la spiegazione<br />

di fatti che il dottor Sau vi avrebbe fornito in<br />

una settimana, io ho ridato forma umana all’avvocato<br />

Làconi mentre voi l’avreste interrato così com’era, col<br />

braccio staccato e la fronte sfondata. Io lo conserverò<br />

perché una piccolissima parte del mistero…<br />

Marchi è un uomo di intelligenza sostanziale che,<br />

però, scorre lenta e, soprattutto, esce raramente dalle<br />

aule del palazzo della regia udienza. Non guarda neppure<br />

Efisio e Belasco i quali, quando il giudice parla, si<br />

zittiscono.<br />

– Questa faccenda rischia di non chiudersi mai. La famiglia<br />

Làconi, e tutti gli avvocati della città, chiederanno<br />

chi è apparso a Giovanni Làconi sul molo, chi ha fatto<br />

tutto questo… chi, chi chi all’infinito. Resterà nella<br />

memoria, corromperà gli archivi… e il giudice Marchi<br />

se lo ricorderanno perché non ha trovato e quindi non<br />

ha giudicato l’assassino di un uomo già morto.<br />

45


Ora si rivolge a Belasco: – Maggiore, io giudico criminali<br />

quando me li portano davanti. L’indagine è vostro<br />

dovere e l’indagine è azione! Sapete cosa diceva il giudice<br />

Cara? Fai muovere e agita gli uomini, qualcosa<br />

verrà anche da sotto i sassi, e sotto i sassi ci trovi di tutto,<br />

di tutto! Il dottor Marini è giovane, molto giovane,<br />

però ci ha chiarito un punto importante: noi dobbiamo<br />

cercare un assassino che per ammazzare usa la paura!<br />

L’avvocato è stato mutilato, frantumato, ma la vita gli è<br />

stata tolta utilizzando lo spavento come il più fulminante<br />

dei veleni! Quindi per la giustizia questo è un caso<br />

di omicidio: c’è l’ucciso, c’è la volontà di uccidere e<br />

abbiamo scoperto anche lo strumento: la paura. – Poi<br />

guarda Efisio: – Omicidio, è un omicidio.<br />

Efisio sente un formicolio alle mani e alla lingua: – Signor<br />

giudice, il folle agisce e lascia tracce che parlano<br />

per lui! Magari non si è neppure accorto che Giovanni<br />

Làconi era già morto! Riflettete su cosa ha fatto all’avvocato…<br />

sicuramente ogni gesto compiuto su quel<br />

corpo è importante e significa molto per l’alienato omicida<br />

che fornisce simboli, e i simboli sono tracce…<br />

Marchi usa la voce piena come in aula: – Simboli?<br />

Dottor Marini, chi dice che l’assassino è un alienato?<br />

Avete una settimana di tempo per stendere il vostro<br />

verbale, anche se, veloce come dite di essere, vi bastasse<br />

un giorno. Una settimana di riflessione. Se poi trovate<br />

un significato alle cose - badate, alle cose reali -,<br />

ordinate bene tutto e poi esponetemelo. Da qui non<br />

46<br />

deve uscire niente e ogni cosa deve convergere in questa<br />

stanza. E non voglio leggere di simboli, badate…<br />

odio i simboli… i simboli ci confondono. Quanto alla<br />

mummia, dispongo che resti a disposizione della legge.<br />

Ricordatevelo: qua si discute sui fatti e sui crimini.<br />

E poi…<br />

Ora parla tra sé tenendosi la fronte, le grandi sopracciglia<br />

abbassate gli coprono gli occhi: – … e poi gli archivi…<br />

il ricordo del giudice Marchi deve avere una<br />

forma di cui non si possa dubitare, il ricordo della giustizia…<br />

sulla carta ci voglio la verità e alla verità bastano<br />

poche parole… Invece qui grandinano fatti che bisogna<br />

fermare perché complicano la verità.<br />

Efisio e Belasco retrocedono verso la porta che il<br />

maggiore chiude delicatamente come si chiude la camera<br />

dove dorme un malato dal sonno leggero.<br />

* * *<br />

È troppo corta l’ombra della visiera del maresciallo<br />

Testa che è abbacinato dal biancore della casa diroccata<br />

del molo. È troppo grossa la stoffa che i sarti dell’esercito<br />

piemontese hanno scelto per altri climi e il militare<br />

suda e beve continuamente acqua tiepida dalla<br />

borraccia.<br />

– Lino? Un pezzo di lino? – anche Belasco è sudato.<br />

– Sì, maggiore, era agganciato a un chiodo dentro la<br />

casa del molo.<br />

47


– Dai qua.<br />

Un pezzo di lino a rombetti colorati.<br />

Il maggiore Belasco lo piega e lo mette in tasca.<br />

– Bravo, Testa, se vuoi, puoi farti un bagno. Questo,<br />

tu non lo sai, secondo quel dottore tutto ossa e capelli,<br />

potrebbe essere nientemeno che il vestito della paura.<br />

Efisio Marini ha ragione: Belasco non si articola con<br />

facilità e tende a non flettersi. Lo stesso si può dire dei<br />

suoi pensieri che si sviluppano per una via unica e dritta.<br />

Però è efficace, non è vanitoso e bada alle cose, come<br />

vuole il giudice Marchi. E, soffrendo se la linea non<br />

è retta, anche lui si piega, si curva e non si distrae.<br />

Il pezzo di stoffa è una traccia ma la linea che ha trovato<br />

non si sa dove porta.<br />

Testa si è spogliato e nuota felice.<br />

* * *<br />

– No, no, maggiore. Mio padre Giovanni si occupava<br />

solo di cause dalle quali era assente ogni pericolo, anche<br />

il più nascosto. Non si fidava di nessuno… ma non<br />

è servito a nulla. Ho controllato decine di fascicoli, sino<br />

al 1842. Ecco, in quell’anno, ha difeso una donna tunisina<br />

venuta qua in città da Gerba a vendere tessuti, così<br />

c’è scritto negli atti. Era sposata a un contadino delle<br />

sue parti, che non la riconosceva più come moglie, voleva<br />

ripudiarla e reclamava la figlia. Babbo era l’avvocato<br />

della madre tunisina. Il marito si era rivolto a un<br />

48<br />

avvocato di Tunisi, ecco le lettere dei legali… Con gli<br />

anni si sono diradate…<br />

– Perché me ne parlate, signorina Giacinta?<br />

Giacinta sente male alla testa: – Perché è una causa<br />

mai conclusa… Da qui può essere arrivato un pericolo<br />

per babbo; da qui… L’unica causa incompiuta… Lui,<br />

ogni tanto, riprendeva il fascicolo e lo scorreva da capo…<br />

Diventava cupo… Leggete anche voi, si capiscono<br />

molte cose da questi fogli… A me danno dolore. Da<br />

qui giungeva una minaccia: diceva che l’odio tra coniugi<br />

è uno dei più forti.<br />

Belasco non è interessato all’odio fra marito e moglie<br />

e calcola: – Del ’42… vent’anni fa. E perché il tunisino<br />

voleva ripudiare la moglie?<br />

– Ecco il fascicolo… sono centinaia di fogli. Guardate<br />

bene le date, maggiore. L’ha controllato da cima a<br />

fondo il nostro apprendista, l’avvocato Mauro Mamùsa,<br />

un uomo di fiducia, quasi un socio di mio padre.<br />

Adesso è tutto in mano sua nello studio e non dovrei<br />

più chiamarlo apprendista.<br />

– Signorina Giacinta, avete parlato di una figlia.<br />

– È tutto negli atti. Alle udienze presiedeva il giudice<br />

Marchi, quasi un giovane, allora.<br />

Belasco, sempre in piedi, dà un’occhiata alla cartella,<br />

firma la ricevuta, bacia la mano di Giacinta Làconi - così<br />

calda non se l’aspettava - e se ne va.<br />

49


Mauro Mamùsa entra nella stanza, avvicina le tende,<br />

controlla le quattro camere dello studio e la sala d’aspetto:<br />

non c’è nessuno. Giacinta sente un’emozione<br />

nella schiena che si trasforma in vento nella testa, un<br />

vento che la fa sudare e non può farci niente.<br />

Un rantolo e poi la trasformazione. Lui assume la posizione<br />

e anche il colore di un granchio che con le chele<br />

afferra Giacinta. La lascia in piedi, la gira, le spinge in<br />

giù la testa e con un grugnito le solleva la gonna, le sposta<br />

e le strappa i pizzi, e la fa inchinare. Anche lei si trasforma<br />

per il sangue che gira più veloce dappertutto e<br />

le cambia i lineamenti. Ora ha la faccia gonfia, sembra<br />

malata però non è più siccitosa. Lui sbuffa, sbuffa e poi<br />

con un altro grugnito che segna la fine la spinge via,<br />

sgangherata e senza il pudore su una poltrona dove lei,<br />

come se avesse aspirato cloroformio, si addormenta sudata<br />

con le gambe all’aria. Lui, il granchio maschio, si<br />

abbottona e se ne va alla scrivania da dove fissa Giacinta<br />

addormentata.<br />

Nello studio resta un odore selvatico che l’avvocato<br />

Làconi qualche volta aveva sentito senza capire di che<br />

bestia si trattasse.<br />

50<br />

7<br />

Salvatore Marini ha la regolarità rassicurante di un<br />

solido geometrico con una larga base. Ha quattro anni<br />

più di Efisio, ma i due fratelli sono cresciuti in un modo<br />

così divergente che, sino da bambini, erano incuriositi<br />

dalle rispettive differenze - anche fisiche - e ognuno<br />

manifestava interesse e necessità dell’altro. Perciò si<br />

sono costantemente cercati.<br />

Come il padre Girolamo, Salvatore tiene la matita all’orecchio<br />

e veste di nero anche d’estate. Chiuso insieme<br />

al fratello nel magazzino della famiglia al porto, sta<br />

ascoltando Efisio che spettinato, spiegazzato, con gli<br />

occhi arroventati, le braccia al soffitto grida: – Ha funzionato!<br />

Ha funzionato! È iniziato tutto con quella folaga<br />

perfettamente intatta e perfettamente morta che<br />

ho trovato nella torba quasi dieci anni fa! Ti ricordi?<br />

L’avvocato ora è di nuovo in mezzo a noi e sembra uno<br />

di noi, più duro di noi, più resistente di noi. Ha funzionato!<br />

Ha funzionato!<br />

Efisio ha imboccato le rapide e sente la corrente forte.<br />

– Io l’ho preservato per tutto il tempo che dura la pietra!<br />

Devi venire a vederlo! Dove sono ora gli spiritosi<br />

51


di questa città governata dai topi? Dove trovo quelli<br />

che ridono del mummificatore? Gli si bagneranno i<br />

pantaloni per la paura quando vedranno Giovanni Làconi<br />

che li guarderà dalle palpebre socchiuse… Giovanni<br />

che li guarderà standosene dall’altra parte! Andiamo,<br />

Salvatore, voglio che tu lo veda subito e se pure<br />

lui ci vede proverà gratitudine per chi lo ha trasformato<br />

da un pranzo per mosche e vermi bianchi in un uomo<br />

vero anche se di pietra! I denti del tempo si sono spezzati<br />

sul corpo di Giovanni!<br />

Salvatore si sfila la matita dall’orecchio e segue Efisio<br />

che gli cammina davanti a saltelli sino al calesse. Fanno<br />

al trotto tutta la strada, sudano e non parlano. Quando<br />

scendono Salvatore toglie dalla tasca un pettinino e lo<br />

dà al fratello: – Mettiamoci in ordine. Dobbiamo vedere<br />

un morto che, forse, ci vede anche lui.<br />

La stanza è al buio. Efisio apre gli scurini e la luce batte<br />

sul corpo bianco e peloso dell’avvocato che è nudo,<br />

con le mani incrociate sul petto e la testa un po’ ruotata<br />

da un lato.<br />

La luce.<br />

Salvatore, che non ha confidenza con la morte - a casa<br />

Marini nessuno diceva è morto…, si usava è mancato,<br />

non c’è più, ha reso l’anima - ringrazia tutto quel chiarore<br />

che gli sembra il contrario, anche fisico, di quello che<br />

ha davanti. Per lui l’avvocato Làconi è sempre lo stesso<br />

e vorrebbe scappare, riprendere la sua matita e riempire<br />

fogli su fogli di conti sino all’ora di cena.<br />

52<br />

Efisio lo spinge verso la sua opera, gli prende una mano<br />

e gli fa toccare una spalla della statua: – Ora c’è l’ordine<br />

assoluto del minerale che ha sostituito la materia<br />

troppo, troppo imprevedibile di cui siamo fatti! E dentro<br />

di me si è diffusa, è dilagata e mi stordisce una tranquillità<br />

che non ti so neppure esprimere… Non devo<br />

dirtelo, non devo neppure pensarlo… però mi sento<br />

perfetto, Salvatore, invulnerabile. Può succedermi<br />

qualsiasi cosa, sento il mondo che gira, io sono arrivato<br />

all’equilibrio naturale! Non sento più l’eternità, non<br />

sento più il giogo sul collo, non vedo più punizioni e<br />

dolore…<br />

Salvatore guarda l’avvocato, così bianco che gli sembra<br />

morto di pallore, poi si affaccia e respira a lungo.<br />

Respira, si sente il cuore, si sente lo stomaco, tutti i cinque<br />

sensi, ogni parte di sé.<br />

– Efisio, cos’hai fatto?<br />

53


La paura cammina lenta lungo le mura del ghetto.<br />

Guarda il tramonto senza rosso. Una luce che non finisce<br />

più spaventa tutti in città e la gente esce dalle case<br />

per parlare di questo sole che a quest’ora non dovrebbe<br />

esserci e di questa luce che non si consuma.<br />

La paura guarda ogni cosa, soprattutto le facce spaventate<br />

e continua a camminare.<br />

Arriva in via del Sagrato. Le finestre di Tea Làconi<br />

dal lato nord - sulle mura - sono socchiuse e aspettano<br />

un po’ di fresco. Il portone è accostato.<br />

Dà un’occhiata in giro, tutti hanno la testa per aria a<br />

guardare il sole del Nord apparso oggi anche a sud che<br />

vorrà dire qualcosa, ma nessuno capisce.<br />

55


8<br />

La vedono volare lenta dal ballatoio che dà sulle mura.<br />

Con la gonna aperta come un ombrello Tea sbatte<br />

prima su un contrafforte e poi riprende a volare per altri<br />

venti metri sino alla salita di terra battuta attorno alla<br />

fossa di san Genesio.<br />

– È morta al primo colpo! – urla un coretto di bambini<br />

rattoppati che fanno chiasso sotto le mura e, gridando<br />

e saltando per il gioco nuovo, raggiungono Tea Làconi,<br />

sparpagliata, dicono i ragazzini, in mezzo ai cespugli<br />

secchi e all’immondezza che viene gettata dalle<br />

case alte.<br />

Dalla gendarmeria di Castello arrivano quattro fanti<br />

che cacciano via i mocciosi smutandati e trattengono<br />

due testimoni adulti che urlano senza il coraggio di<br />

guardare la morta: – L’abbiamo vista lassù appesa alla<br />

ringhiera, l’abbiamo vista! È rimasta così per un po’…<br />

non ha resistito ed è volata giù… sembrava un ombrello…<br />

meschinetta, magari aveva cambiato idea e non<br />

voleva più buttarsi… È la moglie dell’avvocato Làconi.<br />

Tea è a pancia in terra, con le braccia a croce, le calze<br />

nere da vedova scoperte, il vestito nero strappato; gli<br />

occhi aperti, la testa poggiata su una guancia e la bocca<br />

57


spalancata. Nessuno ha sentito un grido mentre cadeva<br />

e tutti giurano che è venuta giù lentamente.<br />

Saverio, il più giovane dei gendarmi, ha una nausea<br />

forte e pensa al suo paese della pianura: là tutti muoiono<br />

quando è l’ora e senza farsi male, pensa. E pensa anche<br />

che questa donna, che sembra gentile e docile, non<br />

ha sparso neppure una goccia di sangue mentre dentro<br />

è tutta rotta di sicuro. Un volo di cinquanta metri.<br />

– Il medico che guarisce i morti! – grida un ragazzino<br />

fuligginoso.<br />

Efisio Marini sente e non sa se è la solita spiritosaggine<br />

della sua città oppure una forma di rispetto nuova;<br />

comunque non gli importa e si avvicina al cadavere<br />

scompigliato di Tea. Chissà perché gli viene in mente -<br />

forse come antidoto a questo spavento - Matilde col<br />

suo pomo della più bella e la luce che attraversa le falde<br />

del cappello.<br />

È venuto perché Giacinta Làconi glielo ha domandato.<br />

Ha detto che con lui là, vicino alla madre lei sentiva<br />

meno dolore.<br />

Si siede su una pietra, fissa Tea a lungo, si sofferma<br />

sulle mani, poi guarda verso le finestre di casa Làconi e<br />

cerca quella aperta da cui ha preso il volo.<br />

Il sole finalmente è diventato il sole del tramonto e<br />

una lunga nuvola coi margini d’oro è proprio una nuvola<br />

del lutto.<br />

58<br />

9<br />

– Questa non è una storia che mi riguarda! Io con<br />

quell’avvocato color scorreggia, un miserabile che non<br />

prendeva il caffè, il gelato, una ciambella per non pagare<br />

nulla, non c’entro niente… era uno che viveva con la<br />

bilancina e pesava anche i respiri! Maggiore Belasco,<br />

non fatemi domande sull’avvocato Làconi…<br />

Perseo Marciàlis è un uomo grande, vestito di bianco,<br />

i capelli rossi a onde che iniziano dalla fronte bassa.<br />

– Non ho neanche un ricordo buono. Aveva un alito<br />

da moribondo e non accettava mentine! Con quella voce<br />

da agonia…<br />

Marciàlis è un commerciante di ogni cosa che arriva<br />

al porto. Belasco sente per lui molta antipatia perché<br />

passa la mattinata sulle banchine, senza ufficio, senza<br />

calamai, fogli e segretari, a dare forza ai suoi affari e la<br />

sera poltrisce al caffè. Non è controllabile perché il suo<br />

è un lavoro di parole, occhiate e strette di mano: cose<br />

orientali. E a Belasco quello non pare neppure un lavoro.<br />

Sa che frequenta una donna mezzo berbera che, dicono,<br />

lo fa ammattire - nel senso che ha perso la vergogna<br />

per lei - e si sente il rumore dei loro incontri dalla<br />

strada. Ma questa forse è maldicenza.<br />

59


Marciàlis continua allisciandosi piano le onde rosse,<br />

senza schiacciarle: – Invece mi dispiace per la moglie,<br />

una brava donna Tea Làconi. La conoscevo perché<br />

comprava da me. E, visto che me l’avete domandato, la<br />

figlia e la mamma dell’avvocato le conosco e mi sono<br />

fatto le mie idee.<br />

Belasco è in piedi - è sempre in piedi quando è in servizio<br />

- e sta dritto: – Bella casa, signor Marciàlis.<br />

– Controllo il porto anche da qui, maggiore. Avete già<br />

cenato?<br />

– Sì, grazie.<br />

Perseo agita una campanella ed entra una vecchia che<br />

porta un vassoio.<br />

– Brodo di pesce e un bello scorfano bollito. Ce n’è<br />

per due. E vino di Provenza che mi arriva da Nizza, bevetene<br />

un bicchiere, non è il vino forte che si beve da<br />

queste parti, questo non rimbambisce.<br />

– Grazie, mi aspettano. Una domanda, signor Marciàlis,<br />

e poi vado.<br />

Belasco tira fuori dalla tasca il pezzo di lino con i rombetti:<br />

– Cosa sapete dirmi di questa stoffa?<br />

Le onde di Marciàlis si agitano: – È roba che tratto io,<br />

maggiore. Questo volete sapere? A chi ho venduto<br />

questa stoffa? A mezza città l’ho venduta. Questa visita<br />

sta prendendo una piega che non mi piace. Se intendete<br />

interrogarmi chiamatemi e vengo alla regia udienza,<br />

vengo con tutte le stoffe che volete.<br />

Al maggiore non piace il tono del commerciante e in-<br />

60<br />

grossa la voce: – Domani mattina alla regia udienza alle<br />

nove, ecco l’atto di citazione.<br />

Perseo fa un respiro lungo: – Io odiavo l’avvocato Làconi,<br />

potete metterlo per iscritto fino da ora. Quasi<br />

quasi ci riusciva, a rovinarmi… Lui i miei commerci li<br />

chiamava traffici… coi pirati… gli stessi pirati, diceva<br />

lui durante le sue prediche alla regia udienza, che sino a<br />

cinquant’anni fa rapivano gli schiavi nei nostri paesi.<br />

Quella, invece, è gente come me e come lei, maggiore, e<br />

io ci lavoro da trent’anni… Traffici, diceva! E con un<br />

tono da inquisitore dei miei coglioni! E quella strangolacazzi<br />

della figlia che lavorava con lui? Ohi, quella!<br />

Ma sapete cosa vi dico? Donna Michela a novantadue<br />

anni li tiene tutti in pugno perché la testa a quella donna<br />

funziona meglio di una partita doppia: le idee ci entrano<br />

ed escono ben oliate, ricordatevelo.<br />

Belasco è già sulla porta: – Domani mattina alla regia<br />

udienza alle nove. E portate i registri dei vostri traffici,<br />

se ce li avete.<br />

Marciàlis, seduto davanti al brodo di pesce, gli dice: –<br />

Comunque quella stoffa viene da Biserta, ne ho altri<br />

due rotoli in via Barcellona, se non se li sono mangiati i<br />

topi. È roba da tre e un soldo. Che bella serata! Alle nove<br />

sarò alla regia udienza, maggiore.<br />

Belasco se ne va.<br />

Perseo resta a capo chino per un po’ e poi chiama: –<br />

Marcellina, il vino! Non crederà di farmi paura quella<br />

specie di impalato? Se ne stava in piedi a vedere come<br />

61


eagivo al nome della famiglia Làconi! Domani dal giudice<br />

Marchi! E io dovrei avere paura di un vecchio che<br />

si schizza le scarpe quando piscia? Giacinta… è rimasta<br />

viva quella femmina di cenere! E anche donna Michela!<br />

Marcellina è vecchia, piccola e veloce: – Perseo, mangia<br />

la zuppa e non bere a stomaco vuoto.<br />

Ma Perseo ha già bevuto e le onde sulla testa si ingrossano:<br />

– Zitta! Scheggia di cesso. E dammi carta e<br />

penna, domani mattina presto porti una lettera a capitan<br />

Luxòro. La sua nave parte alle dieci.<br />

Marcellina fa quello che le dicono e non borbotta,<br />

non si stanca mai, ripete gli stessi gesti da quando era<br />

una giovane arrivata da un paesino dello stagno intorno<br />

alla città perché la famiglia era stata sterminata dalla<br />

malaria.<br />

Ogni sera, dopo cena, da molto tempo, deve bussare<br />

all’appartamento del piano di sopra con tre colpi.<br />

Allora da lì esce subito Maria He ’Ftha, la figa infernale<br />

- così la chiamano i fannulloni delle panchine - da<br />

dove originano tutti i traffici, gli affari e l’energia di<br />

Perseo Marciàlis.<br />

Maria è nata in città, figlia di una berbera di Gerba, si<br />

diceva. Ha preso dagli arabi la pelle traslucida che assieme<br />

al nero degli occhi ha moltiplicato le forze del<br />

quarantenne Perseo. Quando la berbera era rimasta incinta<br />

il marito non c’era, anzi, in città non c’era mai venuto.<br />

Però questo lo ricordano in pochi.<br />

62<br />

La ragazza entra nella camera. Lui ha acceso tutte le<br />

lampade e la pelle di lei - dicono non conosca rimorso -<br />

produce un raggio che, ogni volta, abbaglia Perseo il<br />

quale ha deciso, per questa luce, di regalare la casa a<br />

Maria perché ci resti chiusa dentro e appaia solo a lui.<br />

Giacinta si ritrova di nuovo sul divano, tutta scucita,<br />

fuori di sesto e inebetita da un sonno violento come i<br />

fatti che l’hanno preceduto. Un sonno breve e tutto un<br />

dolore. Durante le cose lui la schiaccia, lei non respira e<br />

la riduce a una posizione così cruda che dopo sembra<br />

che di Giacinta esista solo quella parte.<br />

Mamùsa aspetta che si risvegli. Seduto alla scrivania<br />

fissa le anche disordinate, aperte ed esposte come se<br />

fossero l’essenza di Giacinta.<br />

– Quanto ho dormito?<br />

– Un pochino. Rimettiti a posto e stai seduta.<br />

– Respiro male.<br />

– Ti passa. Torna tutto a posto in poco tempo.<br />

63


10<br />

Un bel raggio brilla sull’unico capello del cavaliere<br />

Fois Caraffa e insegue il riporto così complesso che ritrovare<br />

l’origine, il vero punto di crescita è impossibile.<br />

Gli impiegati del teatro raccontano che il capello è resistente<br />

al vento, tortuoso come una mulattiera ed eterno<br />

tanto che gli sopravviverà e, dicono, verrà conservato<br />

in una teca dorata nei camerini del teatro come portafortuna<br />

per i cantanti che vanno in scena.<br />

Quanti anelli e catenelle ha addosso il cavaliere.<br />

– Dottor Marini, Tea Làconi è morta come sanno tutti,<br />

come ha scritto la Gazzetta, come può immaginarsi<br />

chiunque: dopo trent’anni di matrimonio non ce l’ha<br />

fatta senza Giovanni…<br />

– Trentatré, cavalier Fois Caraffa, l’età della figlia.<br />

– Dopo trentatré anni di matrimonio le hanno ucciso<br />

il marito e lei ha deciso di seguirlo. La morte del compagno<br />

che per tanto tempo, tutti i giorni, ogni mattina,<br />

ogni pranzo e cena, ogni notte ti ha tenuto compagnia è<br />

come un’amputazione.<br />

– Non parliamo di amputazioni, cavaliere. Povera<br />

Tea, un volo breve… tirata giù dalla terra… la terra ci<br />

attira…<br />

65


Fois Caraffa, che ricorda, a vederlo, primi piatti, vino<br />

e, soprattutto, <strong>carne</strong>, quell’accenno alla terra non lo<br />

ascolta neppure e cambia direzione: – L’avvocato Làconi<br />

faceva la sua donazione al teatro ogni mese di luglio<br />

per la stagione di settembre. L’anno scorso fu lui a<br />

sovvenzionare le serate patriottiche per la presa di Ancona<br />

e per l’annessione di Napoli al regno. Un uomo silenzioso,<br />

grigio, ma solo all’apparenza… non veniva<br />

neppure a portare gli assegni, di ringraziamenti non<br />

voleva sentirne. Mandava un apprendista del suo studio,<br />

un certo avvocato Mamùsa che qui a teatro riconoscono<br />

tutti da lontano.<br />

– Perché?<br />

– Beh, ha qualcosa di selvatico… sapete, viene dalle<br />

barbagie. Comunque l’avvocato aveva già pagato Pietro<br />

Rachel per un’opera nuova. Insomma, era uno su<br />

cui il teatro contava… i denari scarseggiano in questa<br />

città. La stagione passata avevamo promesso venti recite<br />

e ne abbiamo messo su una dozzina… capite? Quest’anno<br />

l’opera nuova è stata un fiasco e gli incassi una<br />

miseria. Vostro padre ne sa qualcosa, lui e gli altri probiviri<br />

della direzione cercano soldi dappertutto ma…<br />

Gli occhi tondi di Fois Caraffa sono lucenti. Anche<br />

lui, pensa Efisio, ha qualcosa di selvatico e se lo immagina<br />

mentre mangia <strong>carne</strong> cruda.<br />

– Cavaliere, come vi ha annunciato mio padre, sono<br />

venuto a farvi una domanda.<br />

Fois Caraffa fa la bocca piccola e si sporge sulla scri-<br />

66<br />

vania facendola scricchiolare: – Dite, dottor Marini.<br />

Vostro padre è legato al teatro e il teatro gli deve molto.<br />

Anche Efisio si sporge in avanti: – Potete pensare che<br />

la cosa non mi riguardi, ma ciò che resta della famiglia<br />

Làconi, ossia Giacinta, mi ha affidato, come sapete, la<br />

conservazione del padre e della madre che riposeranno,<br />

se si può dire così, nella loro cappella ma esenti da<br />

ogni trasformazione.<br />

– Mummificati, lo so, lo so.<br />

Fa caldo, Fois Caraffa si alza, apre la finestra e versa<br />

un’orzata che Efisio rifiuta.<br />

– Cavaliere, conosco esattamente le cifre che l’avvocato<br />

donava al teatro civico. Erano denari importanti e<br />

voi sapete quanto. Ma devo chiedervi: sapevate che<br />

l’avvocato aveva destinato una parte dell’eredità all’amministrazione<br />

del teatro chiedendo in cambio l’uso<br />

di un palco per i discendenti dei Làconi? Il notaio<br />

Dettori ha letto il testamento oggi alle nove.<br />

Fois Caraffa si tiene l’addome con le mani. Troppi<br />

anelli per un maschio.<br />

– Voi mi chiedete se io sapevo del testamento?<br />

– Esatto.<br />

– E lo chiedete al cavalier Fois Caraffa, direttore del<br />

teatro civico? E in che veste lo chiedete?<br />

Efisio agita ossa e ciuffo: – Non occorrono vesti per<br />

domandare. E che veste dovrebbe portare chi vi fa questa<br />

domanda? Avrebbe la veste giusta Giacinta Làconi?<br />

Qualcuno, vestito di qualche veste, questa domanda ve<br />

67


la farà. Non è una domanda che tocca la vostra intimità,<br />

mi pare. Eravate o non eravate a conoscenza dell’eredità<br />

lasciata al teatro?<br />

Il cavaliere ha caldo, finisce l’orzata, si asciuga la<br />

fronte e si toglie la giacca. Però non si siede e si avvia<br />

verso la porta dicendo: – Sapevo che non assomigliate a<br />

vostro padre, dottor Marini, me lo avevano detto. La<br />

misura non si apprende con gli anni: o la si possiede o,<br />

sennò, si finisce sempre per esagerare. A voi la misura<br />

manca, forse perché siete ancora troppo giovane… Ah,<br />

un consiglio: agitate meno il vostro indice, quel dito allontana<br />

la gente, oppure qualcuno anziché allontanarsi<br />

potrebbe restare e farvelo abbassare.<br />

Efisio pensa al babbo Girolamo che dell’opera e del<br />

teatro civico ha fatto il centro della sua vecchiaia e riesce<br />

a trattenersi - di frasi gliene vengono tante da dietro<br />

il ciuffo - si alza ed esce dalla stanza guardando le dieci<br />

dita e i quattro anelli di Fois Caraffa.<br />

– Cavaliere, rifletterò, grazie. Ognuno, però, pensi alle<br />

proprie dita.<br />

In quel momento, il caldo, l’umidità e il sudore vincono<br />

sulla forza del capello di Fois Caraffa che si disfa,<br />

percorre a ritroso tutta la lunga strada e si impenna.<br />

Efisio lascia il teatro dalla porta piccola di piazza<br />

Brondo - dove non arriva mai il sole - e quasi va a sbattere<br />

contro Lia Melis.<br />

68<br />

Piccola e olivastra sotto grandi pennacchi, Lia Melis<br />

è la voce più pagata del teatro, a parte le primedonne<br />

che arrivano dal continente. Conosce Girolamo Marini<br />

e i figli da quando Efisio era un bambino in forma di<br />

folletto, e ha dieci anni più di lui.<br />

– Efisio! Ho saputo! È straordinario! L’ho sempre<br />

detto a tuo padre sin da quando eri piccolo che quello<br />

stecchino tutto ossa aveva testa… e ce l’hai fatta! Ne<br />

parlano tutti! Hai fermato la morte, tu.<br />

I complimenti sinceri sono irresistibili per Efisio che<br />

si sente subito su un podio e poi ancora più in alto. Lui<br />

questa debolezza se la perdona con facilità, anzi, non la<br />

considera neppure una debolezza.<br />

– Sì, Lia… se vuoi vedere le mie statue umane devi<br />

dirmelo. Magari adesso è presto… c’è ancora qualcosa<br />

che si sente intorno a quei due corpi. Forse è la forza<br />

della morte violenta, forse è qualcosa che appartiene<br />

a Giovanni e Tea Làconi che non si decide ad<br />

andarsene, non so, ma qualcosa c’è… sono come offesi.<br />

Passerà.<br />

– Senti, Efisio… ci penso da giorni. Vorrei parlarti, io<br />

mi fido del tuo cervello. Tuo padre Girolamo, quando<br />

io cantavo a casa vostra, ti faceva sedere vicino al pianoforte<br />

e tu ascoltavi, ascoltavi… Mi ricordo…<br />

– Io sono al mio studio dieci ore ogni giorno, mi trovi<br />

là.<br />

– Ora vado dal maestro Manetti, è nuovo… lavoro,<br />

provo e poi… E poi… Da un po’ di tempo, ma il moti-<br />

69


vo non lo so, ho perso il gusto per la musica, per il canto,<br />

per l’esercizio… e alle volte non voglio usare la voce<br />

neppure per parlare… Dalla sala dove provo vedo ogni<br />

giorno il mare che mi sembra uno stagno e lo stagno<br />

una pozzanghera puzzolente…<br />

Fa una pausa musicale.<br />

– Penso sempre alla stessa cosa! Penso che non resterà<br />

nulla… perché la mia voce dura per aria solo il<br />

momento in cui la uso… Neanche la traccia più piccola!<br />

Ma che razza di arte è che svanisce così? Allora cerco<br />

la tranquillità da altre parti… te ne parlerò… Cerco<br />

altre cose… Tu, invece, hai fatto il contrario di quello<br />

che faccio io e mi hai riempito di felicità… finalmente<br />

qualcosa che resta! Pietra, altro che la voce… Efisio, da<br />

quando ti è riuscito questo mezzo miracolo va meglio<br />

anche per me.<br />

Cosa succede alle donne di questa città? si chiede lui.<br />

Ora Lia si asciuga una lacrima col fazzoletto, Efisio<br />

guarda in basso.<br />

– Vieni quando vuoi, Lia. Non preoccuparti, è solo<br />

un po’ di malinconia, è normale… poi passa, passa.<br />

Via san Giuseppe è vicina al teatro ed Efisio bussa<br />

poco dopo alla porta degli scolopi.<br />

Deve parlare con padre Venanzio De Melas, il suo<br />

maestro del liceo che in convento, ormai, gli altri padri<br />

chiamano malignamente da molto tempo “il trapassan-<br />

70<br />

te”. In effetti lui non è esattamente un vivo anche se del<br />

vivo conserva alcune funzioni in modo incerto e ondeggiante,<br />

per cui il vecchio una volta finisce al di qua e<br />

un’altra finisce al di là ma ritorna sempre.<br />

Padre Venanzio vive a letto e la luce lo attraversa come<br />

se fosse di opalina, facendo ombre cinesi di quello<br />

che il corpo contiene. Efisio sa che da anni il suo corpo<br />

distilla il sangue e solo qualche goccia arriva al cervello<br />

che si è riservato un’autonomia vegetativa rispetto al<br />

resto e vive lontano dagli altri organi più volgari. E, ora<br />

che nella cella è entrata la luce, l’allievo vede l’ombra<br />

del cervello che galleggia e vaneggia nella scatola fragile<br />

della testa.<br />

– Sono Efisio Marini… E-fi-sio… E-fi-sio… padre<br />

Venanzio, mi sentite?<br />

Gli solleva i coperchietti degli occhi e le iridi sbiancate<br />

di Venanzio lo fissano. La voce non è né maschile, né<br />

femminile, è tornata una voce bianca: – L’occhiata letale,<br />

Efisio, Ampurias ora è polverina… la memoria… allora<br />

levigavi il tuo talento ogni giorno… Efisio, metà figlio<br />

mio, parlami… voglio sentire come sei diventato.<br />

Quanti anni hai?<br />

– Ventisei, quasi ventisette. Stavate sognando?<br />

– Credo di sì. Ma non vuol dire niente, anche gli idioti<br />

sognano.<br />

Efisio si siede sul bordo del letto, riempie un bicchiere<br />

d’acqua e ogni tanto bagna le labbra e la fronte di Venanzio.<br />

71


– Devo raccontarvi una storia. Volete ascoltarmi?<br />

Lo scolopio apre gli occhi ed Efisio crede che quello<br />

sia un sì.<br />

Gli racconta gli ultimi avvenimenti e anche il suo successo<br />

sulla morte, ma davanti al vecchio non lo chiama<br />

né successo, né vittoria.<br />

Alla fine Venanzio chiude gli occhi, suda e trema, segno<br />

che la distillazione è in corso e che il suo alambicco<br />

interiore sta bollendo.<br />

C’è il silenzio assoluto di quando Efisio era studente,<br />

lo stesso odore e gli stessi bisbigli dei muri e dei libri del<br />

convento che gli facevano credere - ma non se n’è mai<br />

convinto - che il suo spirito potesse anche solo per poco<br />

scappare dalla materia. Sullo scaffale della cella c’è<br />

anche una bottiglia di malvasia che, ogni tanto, come<br />

vivificante, fanno annusare a Venanzio e ci sono le copie<br />

della Gazzetta.<br />

Dalla testa stanca del vecchio viene fuori: – Il braccio<br />

è l’azione… la misura di tutto… cubitus, ripeti, Efisio e<br />

ricorda…<br />

– Cubitus? Gomito, braccio e anche misura… Un’unità<br />

di misura, è vero. Padre Venanzio, misuravano a<br />

braccia, tutto veniva misurato a braccia, a cubiti. Il<br />

braccio è una misura.<br />

– Il collo fa comunicare l’anima col corpo… guardami<br />

bene. Vedi che l’anima è nella testa e le arriva tutto<br />

dal basso?<br />

Il cervello del vecchio impallidisce e dalla bocca gli<br />

72<br />

esce solo un elenco che all’inizio Efisio non capisce,<br />

mai poi gli diventa chiaro.<br />

– Anciòva, servìola, òrgunus, gròffi, agùglia, bìffulu,<br />

palàia, sabbòga, cordìga, palomìda, sàrigu, ròmbulu,<br />

laccìola, merlàno, canìna, lùpu, sàlixi, arrocàli, sèrvulu,<br />

sùccara, bòga, bàcca, latarìna, muxòni e zingòrra, e<br />

ogni altra qualità.<br />

È un elenco di pesci. Cosa gli vuole dire Venanzio? O<br />

è solo che la testa ha rinunciato? Teme di sì. Ma come si<br />

muovono le idee del vecchio e cosa le muove? E poi,<br />

chissà se queste sono proprio idee?<br />

Venanzio si riaddormenta, la traslucenza del vecchio<br />

si spegne ed Efisio chiude la finestra e gli scurini della<br />

cella.<br />

Uscendo lo sente che pigola: – La via del mare, Efisio,<br />

come i pesci che vanno e vengono tra le due rive.<br />

73


11<br />

La vecchia casa Marini si ferma sempre alla stessa ora.<br />

Persino gli animali si ipnotizzano nel cortile. Il cavallo<br />

dorme all’ombra dell’acacia, attaccato al calesse e, all’ombra<br />

del cavallo, dormono due gatti mangiatopi.<br />

Questa è una delle regole che il padre di Efisio, Girolamo,<br />

custodisce insieme alla moglie Fedela e alle figlie<br />

nubili rimaste in famiglia.<br />

Girolamo ha difeso la giurisprudenza famigliare, stabilito<br />

regole e leggi che Efisio, solo lui, infrangeva non<br />

per malizia ma per una forza esagerata che, però, gli veniva<br />

riconosciuta come eccezione.<br />

Fedela, zitta, questa costituzione l’ha sostenuta anche<br />

quando nessuno comprendeva l’utilità dei suoi atti<br />

costanti, modesti e monotoni.<br />

Oggi il pesce fritto porta sonnolenza dopo pranzo e<br />

riduce le idee nella testa di tutti.<br />

Nella studio, Girolamo Marini, Efisio e Salvatore fumano<br />

i sigari amari che il padre si fa portare da Malta.<br />

– Insomma, babbo, se Efisio fa domande significa<br />

che vuole conoscere e capire… e voler capire non è una<br />

75


colpa. La mummificazione dell’avvocato e della moglie,<br />

poverini, è stata un successo, un capolavoro… li<br />

devi vedere! In prima pagina nella Gazzetta! Sono loro,<br />

sono ancora loro… sono morti dignitosi grazie a<br />

Efisio. Che Giacinta si fidi di lui non è strano… le ha<br />

salvato per metà i genitori e lei ci può parlare come prima…<br />

va ogni giorno a trovarli e mormora chissà cosa<br />

all’uno e all’altra.<br />

Efisio guarda il fumo grasso del suo sigaro: – Giacinta<br />

Làconi la conosci, babbo! È una donna che continua<br />

il silenzio del padre… in silenzio fa tutto. E in silenzio<br />

si fa domande anche lei. Un terzo dell’eredità del padre<br />

andrà al teatro…<br />

Girolamo si sbottona il panciotto e distende le gambe:<br />

– Già, già e, secondo te, per accelerare l’eredità<br />

qualcuno del teatro ammazza l’avvocato… Efisio, Efisio…<br />

– Non è stato ammazzato, te l’ho detto, è morto di<br />

paura…<br />

– … lo strangola, gli taglia un braccio e gli sfonda la<br />

testa. Figlio mio, fallo per la famiglia! Vuoi mummificare?<br />

Mummifica! Per te è un modo di riflettere, una filosofia…<br />

Ma lascia stare tutto il resto, lascia stare…<br />

Verrò a vedere questi capolavori, i due morti di pietra.<br />

Povera Tea! Non vogliono neppure seppellirla in cimitero,<br />

quel fanatico di don Lèpori dice che è una suicida.<br />

Efisio ha il ciuffo fermato da una forcina che sua madre<br />

Fedela gli ha messo durante il pranzo, se la toglie e<br />

76<br />

dice: – Babbo, ascolta, non ne ho parlato con nessuno<br />

tranne che con Salvatore.<br />

Girolamo spegne il sigaro e canticchia: – Senza manco<br />

trarre il fiato starò qui pietrificato ogni sillaba a contar.<br />

– Tea Làconi è stata spinta giù dalla finestra.<br />

Girolamo si alza, apre lo stipo e si versa due dita di<br />

cognac - cosa che d’estate nessuno in casa gli ha mai visto<br />

fare - e poi altre due. Lo sa, ne è certo, che questo figlio<br />

sta per esporgli il mondo dell’azione tagliandolo a<br />

fettine che rimetterà in ordine dopo avergliele spiegate<br />

una per una. È sempre stato così, ma ora non c’è più<br />

frusta o punizione per lui. C’è, però, la paura che Girolamo<br />

annusa perché riconosce l’odore e la vede girare<br />

intorno al figlio.<br />

– Ho capito, Efisio. E tu, Salvatore, anche tu ti ci metti…<br />

D’altronde sarà pure colpa mia – e canticchia ancora:<br />

– Chi vi guarda vede chiaro che il somaro è il genitor…<br />

– Indica il figlio più grande: – Il tuo posto è negli<br />

uffici del porto, Salvatore…<br />

– Babbo, tu hai i tuoi pezzi d’opera che tiri fuori di<br />

continuo e ti fanno vivere meglio. Io ho il mio ufficio e<br />

là sto bene ma Efisio cerca altro e…<br />

Girolamo, un po’ per l’alcol, un po’ perché è un iracondo<br />

- flemmatico solo quando le cose seguono il corso<br />

che lui sceglie - e un po’ perché di colpo è cosciente e<br />

spaventato da questa storia di morti ammazzati, alza la<br />

voce: – Io non uscirò più di casa per la vergogna, smet-<br />

77


terò di andare alle riunioni dei probiviri in teatro, non<br />

parlerò più con voi, non ragionerò su questi morti. Voglio<br />

solo sapere perché Tea Làconi che tutti, giudici,<br />

carabinieri e preti credono suicida, secondo te, invece,<br />

è stata ammazzata, uccisa, assassinata! Parla, Efisio!<br />

Efisio si alza, lui non è appesantito dalle triglie fritte,<br />

e cammina su e giù lungo il tappeto.<br />

– Tea Làconi è stata obbligata a compiere un percorso<br />

per andare a morire, come chi è spinto a forza sul patibolo.<br />

Con Giacinta e con l’avvocato Mamùsa, quello<br />

che ha sostituito Giovanni Làconi, ho ricostruito quel<br />

percorso. Una breve strada dolorosa. Paziente e rassegnata<br />

anche da morta: il suo cadavere si è subito fatto<br />

ricomporre, senza scandalo, come piaceva a lei, e senza<br />

strazi. L’ho pietrificata, non l’ho neppure incisa: aprirla<br />

era inutile. Il bagno nei sali l’ha trasformata in poche<br />

ore in un minerale ordinato, non molto diversa da<br />

quando era viva forse perché era povera, poverissima<br />

d’acqua. Ma due segni li ha lasciati prima del volo, due<br />

segni poco appariscenti, come lei.<br />

Si ferma davanti al padre: – Tea Làconi, babbo, è rimasta<br />

appesa alla balaustra a lungo prima di precipitare<br />

e sul legno ci sono, profondi come le artigliate di una<br />

belva, i segni delle sue unghie, perché la forza l’aveva<br />

trovata…<br />

Girolamo - sarà il cognac - è nervoso: – Potrebbe avere<br />

cambiato idea all’ultimo istante. Credo che capiti a<br />

chi si suicida! Che razza di ragionamento è questo?<br />

78<br />

Salvatore gli poggia una mano sulla spalla, gli riaccende<br />

il sigaro ed Efisio continua: – No, babbo, Tea<br />

non voleva buttarsi giù.<br />

– Tea non aveva intenzione di buttarsi? Tu credi che<br />

io sia una donnetta dei bassi, di quelle che si bevono<br />

tutto? Sono è vero stagionato, ma ben molto conservato,<br />

ricordatelo. Sono stordito ma non ubriaco.<br />

Ma Girolamo sa che il figlio ha dato un ordine minerale<br />

anche ai fatti.<br />

– Qualcuno l’ha spinta e poi le ha fatto mollare la presa<br />

sulla balaustra con una coltellata sulle mani, sulle dita,<br />

sul medio della mano destra e sul medio e l’anulare<br />

della mano sinistra. Una lama appuntita e affilata. Ci<br />

sono le ferite, ci sono le falangi fratturate e c’è un particolare<br />

che il maggiore Belasco - bella voce - non ha notato:<br />

anche sul legno, in corrispondenza dei tristi graffi<br />

lasciati da Tea, c’è il segno della punta del coltello che<br />

ha trapassato gli ossicini delle dita. Ma questo è banale,<br />

evidente, lampante, babbo!<br />

Girolamo si è arreso e ha chiuso gli occhi: – Cos’altro<br />

c’è?<br />

– Ho parlato con padre Venanzio. E la faccenda si è<br />

complicata.<br />

– Venanzio è vecchio, Efisio, altro che stagionato! E,<br />

scusa, mi raccontano che è un po’ annebbiato, insomma<br />

che si è rimbambito!<br />

– I segni e i simboli, babbo, e le cose! Chi ha spaventato<br />

a morte l’avvocato ha lasciato tre segni. Il braccio<br />

79


amputato: via il potere e via la capacità di dare la misura<br />

delle cose. Misurava ogni atto degli uomini con le<br />

leggi? Gli è stata tolta la misura della realtà! Il collo segnato<br />

dal laccio? Quell’anima è stata separata dal corpo,<br />

la testa da una parte e il resto dall’altra. Se avesse<br />

avuto un’ascia l’avrebbe decapitato e si è accontentato<br />

del segno nero lasciato dal laccio. E la fronte sfondata?<br />

Uno sfregio all’anima che risiede nella testa.<br />

– Bella ricostruzione… un bel castello su nuvole candide…<br />

Ti sono sempre piaciute le nuvole, Efisio, sin da<br />

bambino ci passavi le ore con la forma delle nuvole, –<br />

dice Girolamo fregandosi le palpebre stanco.<br />

– E infine il mare, babbo. Di questo non sono certo:<br />

la via del mare. Forse c’è un significato anche nella scelta<br />

del luogo. Il pastore uccide al pascolo col fucile, il<br />

contadino con la roncola, in città gli assassini usano la<br />

pistola…<br />

– Ma se hai detto che l’ha ucciso la paura.<br />

– Parlo della cornice, della scena. Il mare del molo…<br />

Da lì arriva e parte tutto. Poteva farlo morire di paura<br />

a caccia. Invece ha scelto il mare… L’ha lasciato là con<br />

gli occhi rivolti all’acqua e il braccio, forse, voleva buttarlo<br />

alle onde, invece è caduto nella barca di un pescatore<br />

che, per poco, non è morto anche lui di spavento.<br />

Mi sono informato. Questo Zonza, il pescatore, si allontana<br />

molto dalla costa, va verso l’Africa una volta la<br />

settimana. Ha un gozzo e lo governa bene, lo conoscono<br />

tutti, dorme in barca per tre, quattro giorni. Torna<br />

80<br />

con un sacco di pesce di ogni qualità… Cosa devo cercare<br />

dall’altra parte del mare? Ma qui, babbo, le idee<br />

mi si confondono. Devo solo aspettare, qualcosa arriverà…<br />

Girolamo si è addormentato, troppo caldo e cognac.<br />

Salvatore riprende il filo famigliare: – Domani prenditi<br />

un giorno di libertà, Efisio… Carmina si lamenta<br />

che vivi tra i cadaveri, stai attento che ne prendi anche<br />

l’odore. Andatevene a respirare aria buona. Le mummie<br />

restano là dove sono, a disposizione del giudice<br />

Marchi che ci deve pensare. Prenditi moglie e figli e<br />

vattene al sole, hai il colore di un’oliva in salamoia.<br />

Quando Efisio apre la finestra della camera da letto<br />

vede il cielo alto e solo una lunga nube sottile. La città<br />

oggi gli sembra una città volante col vento nuovo che<br />

ha portato via i vapori e solleva in alto i colli e le case. Il<br />

golfo luccica e sparge celeste. Carmina dorme ancora e<br />

lui le solleva i capelli, le scopre la nuca e gliela pizzica<br />

piano.<br />

– Efisio, ce ne andiamo davvero al mare? Ho pronto<br />

il polpettone, prendiamo pane e frutta per strada.<br />

– Sì, sì, io me ne vado a raccogliere sassi al promontorio<br />

e sto un po’ alla torre, in alto. Tu fai giocare i bambini<br />

e poi mangiamo qualcosa.<br />

Alle dieci sono ai piedi di una duna, all’ombra di un<br />

pino nano.<br />

81


Vìttore si riaddormenta e Rosa gioca sudata con la<br />

sabbia bianca.<br />

Carmina legge, non ha mai abbandonato le letture da<br />

ragazza di collegio e ogni volta lei si trasforma, cambia,<br />

si pettina come la donna del libro, usa parole sue, sospira,<br />

piange. Essere ammessa nel grande laboratorio<br />

naturale del marito ha spazzato via, ma solo per oggi, la<br />

gelosia e l’allontanamento dalla vita di lui non le pesa.<br />

Condividere con Efisio questo perimetro delicato che<br />

racchiude spiaggia, promontorio e stagno le provoca<br />

un bel tepore sentimentale.<br />

Efisio mette il cappello di paglia e inizia la scalata che<br />

è ogni volta un’ascesa mistica.<br />

Dal promontorio, sul quale è caduto l’angelo durante<br />

una battaglia con i diavoli, inizia una striscia di sabbia<br />

lunghissima dove l’angelo stanco si era addormentato.<br />

Le canne adolescenti separano le dune dallo stagno immenso.<br />

Per Efisio quella separazione tra la purezza del<br />

mare e la putrefazione dello stagno non è simbolica e la<br />

sua idea della pietrificazione dei corpi è partita da qui.<br />

La torre bianca è il punto più alto. Un falco, templare<br />

della torre, la difende e vola in cerchio. Efisio da qua, in<br />

alto, cerca di riconoscere Carminetta, Vìttore e Rosa<br />

sotto il pino nella spiaggia.<br />

– La via del mare! C’è una via del mare che arriva sino<br />

all’avvocato Làconi e io non la vedo… Però me lo diceva<br />

Venanzio: “Aspetta, aspetta e le idee vanno in ordine<br />

da sole, se le idee le hai”…<br />

82<br />

Si sdraia all’ombra di una roccia. Il vento è fresco come<br />

un’anima contenta, Efisio chiude gli occhi e gli ultimi<br />

pensieri gli vengono risucchiati dal sonno.<br />

Si sveglia di colpo e nonostante la pace che c’è in cielo<br />

- o forse proprio per questo, visto che la pace, quando<br />

c’è, lui teme sempre di perderla - sente un disagio, una<br />

scarsa padronanza del corpo, un limite alle proprie<br />

azioni, un impoverimento del pensiero che gli sembra<br />

proprio, ma non sa perché, paura.<br />

83


12<br />

– Matilde!<br />

Matilde Mausèli tiene in mano un pacchettino di zafferano<br />

come si tiene per le ali una farfalla e cammina<br />

sulle punte. Risale, all’ombra delle acacie, verso casa<br />

sua, al bastione della Santa Croce e il ticchettio dei passi<br />

di danza sui ciottoli fa uscire qualcuno dai bassi a<br />

guardarla e qualcun altro la spia dalle gelosie.<br />

Si volta, è Giacinta Làconi che la chiama: – Matilde, ti<br />

accompagno.<br />

Giacinta ha qualcosa di nuovo in viso. Ha allontanato<br />

la siccità ma ora sembra che acqua ne contenga troppa<br />

e che non sia acqua buona perché ha lo sguardo di<br />

chi è punto dall’anofele, le guance piene e le labbra grigie.<br />

– Ho avuto febbre per tre giorni, Matilde, grandi sudori…<br />

Nonna era preoccupata per me…<br />

– Ma non è uscita di casa per venirti a trovare, vero?<br />

Porte chiuse. Quella vecchia non morirà mai, Giacinta,<br />

perché a casa sua non entra nulla. Non la pungono le<br />

zanzare e, soprattutto, non la punge il dispiacere.<br />

– Non è vero! Lei ha sofferto per babbo. Era suo figlio.<br />

Io, casomai, non ho sofferto quanto dovevo soffri-<br />

85


e… E vuol bene a me, nonna… e anche a Efisio Marini;<br />

dice che le ha salvato Giovanni, pensa, dice proprio<br />

che glielo ha salvato.<br />

Giacinta si ferma, guarda la pelle straniera dell’amica,<br />

pensa al padre morto per lo spavento e alla madre e<br />

se la immagina proprio mentre vola: – Matilde… ho<br />

paura.<br />

L’amica le prende una mano e la tira su per la salita: –<br />

Certo che hai paura… ma ti sorvegliano, sei protetta,<br />

protetta, capisci?<br />

– Io non temo che mi ammazzino. Io ho terrore di essere<br />

una matta… sono felice e non lo sono… non sento<br />

dolore e questo non è naturale! Però, qualcuno mi dà<br />

un’altra sofferenza… come se ogni volta venissi al<br />

mondo… morta mi vede e non mi vuole aiutare… anche<br />

il corpo, dopo, si rifiuta e dorme per non pensarci<br />

più. Invece succede che ci penso anche quando dormo…<br />

Matilde mette lo zafferano in borsetta e la prende a<br />

braccetto: – Sono morti papà e mamma e tu sei innamorata,<br />

Giacinta… e non riesci a mettere d’accordo<br />

tutte queste cose che ti passano dentro la testa, sono<br />

troppe. Parlane con tua nonna, parlane con me, se<br />

vuoi, però i fatti stanno così. Il dolore ti fa pensare all’infinito…<br />

Prenditi cura di te… Tu non sei come donna<br />

Michela, tu non ti risparmi.<br />

Si fermano e Matilde la guarda con attenzione. Quella<br />

è proprio la faccia di una malata.<br />

86<br />

– Nonna Michela… hai ragione tu, Matilde. Lei non<br />

si fa toccare da niente. In casa sua non entra nulla, né la<br />

polvere, né le cose. Se le racconto la storia del mio amore<br />

che usa la forza… che mi sconquassa ogni volta senza<br />

proteggermi… se le racconto che per lui potrei anche<br />

essere morta crederebbe che sono pazza e mi manderebbe<br />

da un dottore. Adesso è soddisfatta perché<br />

babbo è di pietra e la pietra a lei piace più della <strong>carne</strong>,<br />

dura di più, non si deve nutrire…<br />

Matilde si ferma all’ombra e la pelle brilla dove cade<br />

qualche fascio di luce passato tra le foglie. Il corpo, è<br />

tutto nel corpo: si tocca il collo e cerca i battiti.<br />

Giacinta non ci bada a questa verifica di vita: – Io li<br />

ho visti babbo e mamma di pietra… mamma sembra di<br />

madreperla… e sono contenta che nessuno ha inchiodato<br />

le tavole sulla loro cassa… per me non sono ancora<br />

morti davvero, lo sai? Forse è per questo che non<br />

provo dolore. Mi dispiace perché non mi rispondono,<br />

non si muovono, non vedono… ma sembra che abbiano<br />

solo sospeso l’esistenza… Solo una paralisi, ecco,<br />

una paralisi.<br />

Zitte, riprendono la salita. Ora la pelle di Giacinta ha<br />

preso una sfumatura di rosa e improvvisamente dice: –<br />

Matilde, in giro in questa città, c’è una mia sorella che<br />

non conosco. Il padre è mio padre e la madre non è mia<br />

madre. Cosa devo fare?<br />

Matilde si ferma di colpo: – Una sorella? Tu hai una<br />

sorella?<br />

87


Quando entra nello studio dell’avvocato Làconi, Matilde<br />

sente, ma non lo dice a Giacinta, un odore di selvatico.<br />

Si siedono alla scrivania di Giovanni Làconi.<br />

– Vedi, Matilde? Ogni venti del mese, da diciotto anni,<br />

babbo metteva una busta con del danaro in una cassetta<br />

postale. In questo quadernetto segnava la cifra e<br />

la data. Era nella cassaforte qui nello studio.<br />

– A chi li versava?<br />

– A una donna tunisina di Gerba che vent’anni fa se<br />

n’è venuta qua in città a fare commercio di stoffe insieme<br />

a un gruppo di compaesani. Si chiama Hana Meir.<br />

Lei ha messo al mondo Maria He ’Ftha. E il padre di<br />

Maria è mio padre… e non ha mai smesso di aiutarla,<br />

mai…<br />

Lo studio è fresco e l’avvocato Mamùsa non c’è, ha<br />

udienza alla procura. Con prudenza silenziosa ha preso<br />

in mano tutte le cause di Giovanni Làconi. Usa la<br />

stessa borsa nera tenuta sotto l’ascella e anche lui entra<br />

in aula come un cristiano entra in una chiesa e<br />

guarda il seggio del giudice come l’altare maggiore.<br />

Quando il magistrato parla, lui fissa per terra e sembra<br />

triste per tutti i peccati della città. Non sa che Matilde<br />

Mausèli e Giacinta Làconi sono alla scrivania del<br />

defunto e pizzicano i fatti che, in questo modo, rischiano<br />

di agitarsi.<br />

– E come lo sai che questa Maria è tua sorella? Hai<br />

trovato lettere di tuo padre?<br />

88<br />

– Non era tipo da lettere, lui. È tutto negli atti del<br />

processo…<br />

– Processo?<br />

– Hana Meir era sposata a un contadino del suo paese…<br />

Lui l’ha ripudiata, ma voleva la figlia… voleva Maria<br />

che ha preso il suo nome, He ’Ftha… Insomma, è<br />

una causa ancora aperta… Babbo voleva farla scivolare<br />

sino alla consunzione… Aveva ragione.<br />

– Tu hai una sorella e si chiama Maria He ’Ftha… hai<br />

una sorella, – ripete Matilde. – E perché non ha il vostro<br />

nome?<br />

– Nonna e mamma non l’avrebbero mai permesso…<br />

Il processo ha fatto un po’ di rumore all’inizio, poi nessuno<br />

ne ha parlato più. Faceva le cose in silenzio mio<br />

padre.<br />

– E la donna tunisina?<br />

– Hana Meir vive in un basso del quartiere del porto.<br />

Ha la sua casa e continuerà a ricevere ogni mese il denaro<br />

che babbo le faceva avere per la bambina.<br />

– E la bambina?<br />

– La bambina oggi ha vent’anni.<br />

Mauro Mamùsa ha qualcosa di avvelenato addosso<br />

ma non lo emana sempre. La <strong>carne</strong> chiara gli viene dai<br />

nonni, pastori vestiti di pelli i quali scappavano dal sole<br />

che li offendeva e gli faceva accigliare gli occhi. Così<br />

quell’espressione, con le generazioni, è lentamente en-<br />

89


trata nei geni. Per questo Mamùsa ha la faccia offesa<br />

del pastore. Efisio gli stringe una mano che sembra<br />

sbiancata da un acido e pensa subito ai suoi sali pietrificanti<br />

e ai suoi piccoli viaggi nell’aldilà, piccoli perché<br />

lontano non è riuscito ad arrivare.<br />

– Dottor Marini, Giacinta Làconi ha espresso la volontà<br />

che voi siate messo a parte di tutto…<br />

– Ne parlate come di una defunta, avvocato: non<br />

sono le sue ultime volontà.<br />

– Vuole che sappiate quello che abbiamo appreso<br />

noi sull’esistenza di una sorella.<br />

In quel noi Mamùsa ci ha messo dentro un colore<br />

tale che Efisio capisce come Giacinta e l’avvocato siano<br />

diventati un noi.<br />

– È sicuramente onesto quello che Giacinta ha deciso.<br />

Voi siete d’accordo?<br />

– Sì.<br />

Mamùsa spiega i fatti elencati tristemente su un foglio.<br />

Efisio ricorda che Maria He ’Ftha è stata una volta a<br />

pranzo a casa Marini con Perseo Marciàlis per discutere<br />

di granaglie e navi con Girolamo. Se n’era rimasta<br />

zitta tutto il tempo, aveva risposto solo alle domande<br />

che le faceva Perseo e aveva guardato alternativamente<br />

solo il piatto e Perseo. A Efisio tutto quel silenzio era<br />

piaciuto mentre le onde rosse dei capelli di Marciàlis lo<br />

avevano infastidito.<br />

– Quella ragazza ha vent’anni, dottor Marini, e le<br />

leggi la proteggono.<br />

90<br />

– Non solo le leggi. È la sorella minore di Giacinta, un<br />

ricordo vivente del padre Giovanni che aveva, sì, una<br />

vita parallela, ma era una vita anche quella. Critiche e<br />

pettegolezzi sono cose da fogna, avvocato.<br />

Mentre Mamùsa ed Efisio discutono, lentamente arriva<br />

da sud una nuvolaglia africana, melanconica e fatale<br />

che copre la città alta, oscura quella bassa e rende il<br />

golfo colore del fango. Di colpo una pioggia calda e<br />

gialla sporca ogni cosa. Un soffio innaturale fa sudare<br />

tutti per strada e nelle case.<br />

Anche Efisio suda, sente le palpebre impiombate dal<br />

sonno e le idee che gli si stavano depositando nel cervello<br />

si infradiciano e diventano appiccicose.<br />

* * *<br />

Il maggiore Belasco si è appena affacciato a guardare,<br />

come tutti, quelle nubi basse e infette che si sono fermate<br />

sulla città. Lui va a vapore, bada alle cose e non si<br />

distrae: pensa al pezzo di stoffa a rombetti e anche alla<br />

causa mai chiusa dall’avvocato Làconi, pensa che ha<br />

solo queste due tracce e pensa anche che non sono<br />

granché.<br />

– Eccellenza, anche se gli avvocati protestano e hanno<br />

paura i fatti non cambiano. Quel dottor Marini…<br />

91


Marchi lo interrompe: – Che non possiamo condannare<br />

al taglio dell’indice usato senza limiti…<br />

– …Quel dottor Marini, signor giudice, ha detto,<br />

scritto e firmato la verità. Làconi è morto di paura e poi<br />

gli hanno fatto tutto il resto, la moglie Tea, invece, è stata<br />

buttata giù, quei segni del coltello nelle dita ci sono e<br />

resteranno a lungo dopo che lui li ha pietrificati. Non<br />

c’è persona in città che non sia al corrente delle osservazioni<br />

del mummificatore e tutti mi chiedono di vedere<br />

i morti di pietra. La Gazzetta ne parla ogni giorno.<br />

Persino quel depravato dell’avvocato Basilio Penna fa<br />

il fustigatore dei costumi sul giornale e dice che se si<br />

ammazzano gli uomini di legge abbiamo davanti un futuro<br />

barbaro. Eccellenza, noi dobbiamo interrogare<br />

Marciàlis con tutti i mezzi… Non è un caso che quel<br />

pezzo di stoffa fosse nella casa abbandonata del molo e<br />

non è un caso che la sua donna, mezzo berbera, sia figlia<br />

dell’avvocato Làconi.<br />

Marciàlis è seduto nell’atrio e aspetta. Anche lui ha<br />

visto le nuvole nere coprire la città e nascondere il porto<br />

mentre saliva alla regia udienza. Ora è lì, con la testa<br />

tra le mani, e cerca di pensare solo a Maria He ’Ftha che<br />

lo ha abbracciato prima di uscire.<br />

– Guarda che nuvole! Non sembrano vere! Le ha<br />

mandate qui il Signore!<br />

Lia Melis chiude il finestrone della sala di prova del<br />

92<br />

teatro perché quel vento caldo le ha messo addosso un<br />

avvertimento di paura che i vetri, secondo lei, potrebbero<br />

fermare. Fissa il golfo che con l’orizzonte ha fatto<br />

un solo color mercurio.<br />

– Vincenzo, l’avvocato aveva testa.<br />

Il cavalier Fois Caraffa si ammira gli anelli: – L’eredità<br />

di Làconi è assicurata. Non sarà pane benedetto ma<br />

finché sono vivo io servirà, eccome.<br />

– Sino a quando sarai vivo tu?<br />

– Sì, sono stato nominato io amministratore.<br />

Non la smette di guardarsi gli anelli che, però, senza<br />

sole non brillano e la luce grigia della giornata rende<br />

più triste anche il suo unico capello tortuoso.<br />

– Quest’anno ce la faremo, Lia. E tu avrai una parte in<br />

ogni opera, forse anche qualche recita da protagonista.<br />

La voce…<br />

– La voce ce l’ho, ce l’ho. Però sono stanca, Vincenzo…<br />

ci mancava solo questo cielo… sono triste, mi sveglio<br />

triste, non voglio svegliarmi… e la notte non mi addormento<br />

mai…<br />

– È tutto perché sei sola. Da soli non si campa.<br />

Il cavaliere si avvicina, le accarezza la peluria di un<br />

braccio - Lia è una donna saracena, pelosa - e le fa l’effetto<br />

di un tafano attaccato addosso. È così da molti anni.<br />

Ogni tanto Fois Caraffa ha un riflusso di voglia per<br />

Lia, un affetto saltuario, perché questa pelle, molto più<br />

giovane della sua, ha colore, odore, sapore ed energia<br />

che lo vaccinano contro i brutti pensieri dei suoi cin-<br />

93


quantotto anni e gli tolgono di dosso, per poco, la puzza<br />

dell’età nascosta sotto molti spruzzi di colonia.<br />

– Lasciami, Vincenzo. Questa pioggia gialla…<br />

– Quella è solo un po’ di sabbia del deserto.<br />

– Pensa… attraversa tutto il mare e poi cade qui.<br />

Qualcosa vorrà dire.<br />

– Senti, Lia, ti ho visto chiacchierare con Efisio Marini.<br />

È lui che ti ha messo addosso questa tristezza, non<br />

sono le nuvole. È lui e le sue mummie di pietra… E non<br />

si occupa solo di morti, no. Si ficca anche nelle cose dei<br />

vivi. È venuto qui, ha fatto domande sull’avvocato Làconi<br />

e un certo spirito sui miei anelli.<br />

– No. Efisio Marini non c’entra. È che è così difficile<br />

capire cosa provo quando ti guardo.<br />

94<br />

13<br />

La collina bassa e agra di sant’Avendrace non ha alberi<br />

ma solo cespugli e agavi amareggiate dal vento.<br />

Le tombe scavate nella pietra sono diventate la casa<br />

di una razza a parte di cui nessuno parla, magra e<br />

sdentata, che produce pochi bambini i quali soffocano<br />

nel moccio, non crescono mai perché il sole nei sepolcri<br />

non entra e muoiono all’improvviso con un solo<br />

sospiro.<br />

Chi non muore cresce strizzando quello che trova, e<br />

quel gregge di smilzi - che esce esausto dalle tombe al<br />

mattino e ci rientra al tramonto - va in città, senza sorrisi<br />

e senza lacrime, per cercare minutaglie che neppure i<br />

gabbiani vogliono.<br />

Questa mattina Mintonio - Mintonio e basta perché<br />

non c’è anagrafe per questi della collina - esce tardi dalla<br />

sua grotta e, mentre fa una pipì povera sull’erba secca,<br />

si stupisce per questa nebbia a giugno: – Arrivano<br />

altre malattie.<br />

Da pochi giorni gli è scomparso dalla faccia il grigio<br />

della sua specie e gli zigomi spingono meno sulla pelle.<br />

Acqua sulla collina non ce n’è e Mintonio si pettina, si<br />

toglie la cispa e si alliscia con le dita.<br />

95


Oggi c’è qualcosa di più nella sua giornata. Con un<br />

coltello si toglie anche il nero delle unghie, entra nella<br />

nebbia, che è una nuvola bassa, e prende il sentiero per<br />

Stampaccio, dove il mercante di denti, Cappai, gli deve<br />

provare una delle dentiere taglienti che vende a chi può<br />

comprarle.<br />

Così le gengive deserte di Mintonio diventeranno come<br />

quelle dei marchesi di Castello che masticano la<br />

<strong>carne</strong>. Il benessere sta arrivando nella sua tomba e lui<br />

sorride con le labbra piegate in dentro come un vecchio<br />

che beve solo brodo.<br />

Arriva in via del borgo di Stampaccio, inizia a incrociare<br />

qualcuno di città, si accorge che tutti guardano la<br />

sua camicia a rombetti strappata e decide che prima<br />

della dentiera gli servono una camicia nuova, pantaloni<br />

e scarpe. Perciò si ferma da Sanguinetti, che vende vestiti<br />

mal tagliati ai paesani della pianura, e si fa abbigliare<br />

di una taglia più grande. Mintonio ha le braccia tanto<br />

lunghe che sembrano altre due gambe e la camicia<br />

gli sta corta di polsini. Poi bussa al portone del mercante<br />

di denti e aspetta di essere chiamato.<br />

Un’ora dopo Cappai gli fruga la bocca spopolata: –<br />

Ecco, – gli dice dopo avergli provato cinque dentiere: –<br />

Questa non si muove, è bianca come un giglio e solida<br />

come il granito.<br />

– È pesante, mi resta la bocca aperta.<br />

– Ti abitui in un paio d’ore. Vedrai quando mangi, altro<br />

che peso! Puoi spezzare le cozze con questa!<br />

96<br />

Belasco usa la bella voce intarsiata: – Dunque, Marciàlis,<br />

qui non c’è brodetto e cappone. Abbiamo solo<br />

pane nero e <strong>carne</strong> dura che beccheggia nella minestra.<br />

Pulci, le regine delle pulci, abbiamo. E le saline! Tu<br />

non lo sai ancora cosa vuol dire portare un carruccio di<br />

sale sotto il sole. Bruci come una torcia e vedi tutto<br />

bianco dopo una giornata passata a trasportare sale.<br />

Non si dorme, si frigge!<br />

Le onde rosse sulla testa di Marciàlis si agitano. Perché<br />

Belasco usa il tu? Perché lo hanno messo in una cella<br />

con le sbarre? Perché oggi c’è così buio in cielo?<br />

Vuole Maria.<br />

– Maggiore Belasco, fatemi le domande che dovete<br />

farmi. Io il brodo, il pesce, la <strong>carne</strong> e il vino me li guadagno.<br />

Il maresciallo Testa solleva la mano e dà un manrovescio<br />

sulla bocca di Marciàlis che subito si gonfia e sanguina.<br />

Mai era stato offeso così, mai.<br />

La regia udienza funziona in questo modo: un rappresentante<br />

del re, grasso o magro ma sempre nervoso<br />

perché l’isola irrita e rende cupi, ordina severità e torture.<br />

Gli abitanti - pochi e tutti presi dal continuo cambiamento<br />

dei venti e dei padroni - sono contenti se uno<br />

di loro finisce nella galera della torre. Se è là una ragione<br />

c’è, dicono.<br />

Perciò Marciàlis è solo, senza amici e spaventato.<br />

– Maresciallo, perché mi avete picchiato? – chiede<br />

con gli occhi lucidi, pronto a piangere.<br />

97


– Umiliato? Per così poco? Testa, fategli vedere la<br />

frusta.<br />

La frusta è una treccia di tendini dipinta di nero<br />

con la pece e finisce con cinque cordicelle che all’estremità<br />

hanno cinque sferette di piombo.<br />

Il primo colpo di frusta sorprende Perseo Marciàlis.<br />

Ma è un sentimento più complicato della sorpresa: si<br />

arrabbia, piange senza vergogna e sente il dolore che<br />

non la smette e diventa sempre più forte.<br />

Belasco è al massimo della sua rigidità: – Senti,<br />

Marciàlis, così non va bene. Rispondi alle domande e<br />

faremo prima. Ti risparmierai il sale sulle ferite e forse<br />

il sale non andrai neppure a raccoglierlo allo stagno.<br />

Perseo sta singhiozzando piano e ripensa a tutte le<br />

cose che gli mancano: Maria, il porto, le cene al fresco,<br />

più di tutto Maria.<br />

– Devi solo rispondere a poche domande e dopo te<br />

ne vai a casa… vedrai che dimenticherai questo posto,<br />

tutti cercano di dimenticarlo. Ora smettila di<br />

piangere. Io voglio sapere a chi hai venduto quella<br />

stoffa coi rombi.<br />

Perseo tira su col naso, le onde, ormai sono un cespuglio<br />

rosso: – Ve l’ho già detto… perché, perché<br />

non mi credete? Non la vendo io, però ho chiesto a<br />

Gustavo, il mio commesso. Ne ha venduto qualche<br />

metro a uno di quei cavernicoli della collina di sant’Avendrace…<br />

98<br />

– Ma quelli si mettono addosso gli stracci che gli<br />

procurano le parrocchie di Stampaccio.<br />

– Ha pagato. Magari questo è uno che mette da parte<br />

le elemosine.<br />

– Come si chiama?<br />

– Il mio commesso non lo sapeva. Comunque non saranno<br />

in tanti con una camicia a rombetti, è una stoffa<br />

che non compra nessuno.<br />

Belasco avvicina la faccia a quella spaventata di Marciàlis:<br />

– La tua donna è la figlia di una donna di Tunisi.<br />

– Di Gerba.<br />

– E l’avvocato Làconi ha combattuto per anni, in tribunale,<br />

perché non se la riprendessero in Tunisia.<br />

– Maria He ’Ftha è mia moglie!<br />

– Non è tua moglie. La vuoi sposare?<br />

– Sì, ha solo vent’anni. A ventuno la sposo.<br />

Efisio sale leggero, si arrampica davanti a lei e ogni<br />

tanto l’aiuta.<br />

– Cosa succede in cielo lo so bene, Matilde. È solo la<br />

pressione dell’aria. Come col sangue: se ce n’è troppo<br />

allora il salasso rimette le cose a posto. Dal cielo piove<br />

polvere africana. Due città che si specchiano da due rive<br />

opposte possono scambiarsi anche una manciata di<br />

terra col vento e con le nuvole.<br />

Matilde non sta a suo agio nei pantaloni che ha indossato<br />

per arrivare a dorso di mulo sino alla spiaggia del-<br />

99


l’angelo con Efisio. Glielo ha chiesto lei al caffè perché<br />

vuole avere dei fossili su cui imparare a riflettere come<br />

lui. Con i calzoni si sente più fragile.<br />

Il ciuffo di Efisio e i pantaloni di Matilde indeboliscono<br />

tutt’e due, ma soprattutto indebolisce entrambi<br />

questa seconda omissione. Alle dune di nascosto. Ancora<br />

il peccato di omissione, nessuna penitenza e nessun<br />

pentimento.<br />

– Dobbiamo arrampicarci ancora un po’. I fossili sono<br />

più facili da trovare dove il promontorio fa l’arco<br />

della sella. Se piove è meglio.<br />

La fatica fa bollire le idee e le fa andare da una parte<br />

all’altra del cervello. Il vento da meridione è confusionario,<br />

disordinato.<br />

Arrivano in cima e vedono che l’orizzonte a sud è<br />

chiaro. Queste nubi passano in fretta.<br />

– Matilde, qui potremmo conservarci anche noi e ci<br />

troverebbero intatti.<br />

– E tu sei sempre venuto qui solo, pensando a come<br />

conservare i morti? In mongolfiera si deve vedere il<br />

mondo così.<br />

Efisio è contento in modo irragionevole e osserva<br />

ogni particolare di Matilde. Più osserva e più è contento.<br />

Non è mai stato così libero di guardarla.<br />

– Padre Venanzio mi ha fatto un lungo elenco di pesci:<br />

anciòva, servìola, òrgunus, agùglia, merlàno, sùccara,<br />

latarìna… Io ho pensato che fosse qualche effetto<br />

della vecchiaia. Però lui non è facile capirlo… ha sem-<br />

100<br />

pre parlato con i simboli, oppure ti metteva una traccia<br />

sotto il naso - un’idea, una parola - e tu dovevi afferrarla,<br />

sennò finivi con un altro insegnante. Ora guarda laggiù,<br />

Matilde.<br />

– Dove?<br />

– A sud, guarda il mare. Qui tutto è sempre arrivato<br />

dall’acqua, disgrazie e buone notizie, merci e cannonate.<br />

È tutto deciso dall’acqua. Un elenco di pesci… Cosa<br />

vuol dire? Sono andato al mercato dei bastioni, all’alba.<br />

Avevano appena portato i pesci e c’erano tutti quelli<br />

che mi ricordavo dell’elenco di Venanzio. Ho riflettuto<br />

e capito solo che è un elenco di cose che fanno vivere<br />

e senza le quali non ci sarebbe città e non ci saremmo<br />

noi, oppure saremmo come quei pastori che mangiano<br />

solo <strong>carne</strong> e formaggio e in mare non ci sono<br />

entrati mai.<br />

Matilde è faccia al vento, tutta questa altezza la stordisce<br />

e le sembra che aprendo le braccia e lasciandosi<br />

cadere in avanti non precipiterebbe giù dal costone,<br />

ma se ne starebbe in aria.<br />

Dall’erba secca arriva il verso circolare degli insetti.<br />

Matilde chiude gli occhi e respira tutto quello che riesce<br />

a respirare.<br />

– Tieni, Efisio, è per il tuo ciuffo.<br />

Gli dà un pacchettino. Lui lo apre e tira fuori una forcina<br />

d’oro. Matilde gli dice, ancora con gli occhi chiusi:<br />

– Leggi cosa ci ho fatto incidere.<br />

Efisio ha la lente con cui guarda i fossili: – Oltre la<br />

101


fronte. – Sorride: – Lo so, lo so che tu mi capisci…<br />

Lui vede bene le iridi arancioni.<br />

L’omissione è molto più di una dimenticanza. È<br />

un’esclusione, un taglio e resta una lacuna, una zona<br />

muta. Non è ancora una bugia, però corrode come<br />

una bugia. Quando Matilde gli mette la forcina lui sta<br />

pensando a questo. Deve semplicemente non parlarne<br />

mai, mai.<br />

– Vedete, maggiore, raramente mi pagano una dentiera<br />

in quel modo, neanche un ricco di Castello, anzi,<br />

quelli fanno più storie. Questo qui non sapeva cosa fossero<br />

i soldi e li usava come conchiglie da scambiare.<br />

Puzzava come un morto però aveva di che pagarmi.<br />

Magari ha vinto alla lotteria di san Gemiliano, non so…<br />

In genere quelli della collina non rubano: non hanno<br />

neppure la forza di farlo. Li vedo passare ogni giorno<br />

qui al corso e lo so. Questo Mintonio aveva la pancia<br />

piena, magari di immondezza, ma aveva mangiato.<br />

C’è penombra a casa di Michela Làconi, fresco e odore<br />

di nulla.<br />

– Donna Michela, perdonate l’ora, ma ho avuto il desiderio<br />

di parlarvi per mettere un po’ di ordine alle idee<br />

come faccio con i fossili.<br />

La vecchia è in fondo alla poltrona, seduta come un<br />

102<br />

fantoccino: – Efisio Marini, sono le undici e io a quest’ora<br />

mangio sempre.<br />

La guarda: – E cosa mangiate?<br />

– Zucchine, ogni giorno zucchine.<br />

– E come le cucinate?<br />

– Nel modo più pulito che conosco, senza olio che<br />

cola, come invece fanno tutti in questa città di mangioni.<br />

Acqua del pozzo e le zucchine intere a bollire. Dentro<br />

hanno tutto quello che mi serve. Le zucchine mi<br />

conservano… oh, non così bene come i tuoi sali. A proposito,<br />

le tue polveri mi hanno fatto bene. Mi hanno indurito.<br />

Te ne ordino un po’, solo un po’, è questione di<br />

misura. Guarda le mie mani, tremo meno dal giorno<br />

che ho bevuto la tua medicina…<br />

– Non è una medicina. Mentre mangiate, vi vorrei<br />

parlare a proposito dell’incarico che ho ricevuto dalla<br />

vostra famiglia.<br />

Mentre la vecchia taglia a rondelle le zucchine e poi le<br />

schiaccia sino a fare una pastetta, Efisio dice: – Dunque<br />

vostro figlio era il padre di Maria He ’Ftha.<br />

Michela mette in bocca boli minuscoli: – Giovanni<br />

continua a mantenerla quella ragazza. Ha lasciato una<br />

rendita, alla madre, non direttamente alla figlia. Rendite!<br />

Ha lasciato rendite anche al teatro e chissà a quanti<br />

altri. Io non ero d’accordo. Ogni risparmio è un risparmio<br />

di noi stessi, sono anni in più, giorni, ore e minuti<br />

di vita in più.<br />

Ingoia altri bocconcini in silenzio: – Ma cosa vuoi,<br />

103


tutti i figli fanno a modo loro e ti vogliono meno bene di<br />

quanto gliene vuoi tu che li hai messi al mondo…<br />

Efisio la guarda tutta concentrata sul cibo.<br />

– È la natura, donna Michela.<br />

Lei continua a ingoiare veloce: – Giovanni con questa<br />

Maria… La solita storia… Lei ora si prende i denari<br />

e fa la vita che vuole con quel barabba di Perseo Marciàlis.<br />

Giovanni le voleva bene.<br />

– Però qualcuno non voleva bene a lui, a Giovanni,<br />

dico. Perseo Marciàlis lo odiava. Il cavalier Fois Caraffa<br />

era interessato ai soldi per il teatro e basta: la sua paura<br />

era perderli, però sapeva di poterci contare anche<br />

dopo la morte di Giovanni perché conosceva il testamento.<br />

E questo avvocato Mamùsa? Cosa ne pensate,<br />

donna Michela?<br />

La vecchia finisce le zucchine. Abbassa il mento, tira<br />

fuori la linguetta da uccellino e si addormenta seduta.<br />

Efisio aspetta. Dopo pochi minuti Michela apre gli occhi:<br />

– Mamùsa? Quello è un uomo violento, Efisio, zitto<br />

e violento. Io non esco di casa ma ho capito che Giacinta,<br />

bella nipote che ho, si fa trattare come una pecora<br />

da Mamùsa e forse è contenta così. Un giorno che è<br />

venuto qui è rimasto in casa un odore di animale… ho<br />

dovuto aprire le finestre.<br />

– Donna Michela, io non ho le visioni come i santi.<br />

– Sei magro come un santo.<br />

– Però vedo i fatti e li metto insieme. Mi piace. Voi<br />

mettete energie da parte e io metto idee vicine ad altre<br />

104<br />

idee. Mi diverte e mi serve a vivere meglio, quasi felice<br />

per qualche momento.<br />

L’effetto delle zucchine, che incominciano a essere<br />

assorbite dalle budella linde di Michela, si fa sentire: lei<br />

chiude di nuovo gli occhi, le cade la mandibola, sporge<br />

fuori la linguetta e si piega in due sulla sedia, addormentata.<br />

È uno dei sistemi di risparmio della vecchia.<br />

Efisio si alza in punta di piedi ed esce di nuovo alla luce<br />

che in questa casa, siccome consuma le cose e le persone,<br />

non entra. Tornando si siede su una panchina, all’ombra<br />

di una palma, respira l’aria che sa di porto, di<br />

quell’odore di porto che ti mette addosso la voglia di<br />

essere in un altro luogo, e si accende un sigaretto. C’è il<br />

caldo del deserto che passa sulla città e la screpola.<br />

105


14<br />

Belasco ha rinchiuso due uomini nella torre bianca<br />

del carcere.<br />

Perseo Marciàlis perché odiava l’avvocato Làconi e<br />

traffica al porto.<br />

Mintonio perché ha avuto una camicia a rombetti<br />

come il pezzo di stoffa trovato nella casa del molo e<br />

perché ha denari che l’abitante di una tomba non può<br />

avere.<br />

Ma il maggiore non ha trovato la camicia a rombi buttata<br />

via da Mintonio.<br />

Per una settimana ogni mattina Belasco va prima nella<br />

cella di Marciàlis, che è dimagrito e ha due cerchi blu<br />

intorno agli occhi; e poi in quella di Mintonio, che è ingrassato,<br />

usa la dentiera tagliente con la <strong>carne</strong> dura della<br />

prigione e cammina a quattro zampe con quelle braccia<br />

lunghe sino a terra.<br />

La legge ammette e qualche volta vuole che si picchino<br />

i prigionieri, ma sulle carte le percosse non compaiono<br />

e restano solo le parole che, alla fine, sono sempre<br />

le stesse.<br />

Perciò Efisio Marini legge solo parole e non vede né<br />

107


abbia, né sangue sui fogli che il giudice Marchi gli ha<br />

messo sotto il naso.<br />

– Dottor Marini, – gli dice Marchi facendo la faccia<br />

da giudice che ha imparato dagli esordi ma che forse<br />

ha sempre avuto e ora ha perfezionato: – Avete capito<br />

bene. Noi vogliamo sapere se è possibile che un uomo<br />

scalcagnato, una scimmia come Mintonio abbia<br />

ucciso l’avvocato…<br />

– Eccellenza, vi ricordo che a Giovanni Làconi gli<br />

hanno spaccato il cuore con lo spavento. Tea è stata<br />

proprio uccisa, lei sì.<br />

– Allora vogliamo sapere se Mintonio può aver spaventato<br />

a morte l’avvocato Làconi e se poi gli ha tagliato<br />

il braccio. Quanto alla signora Tea, forse, sarebbe<br />

bastato la metà di questo Mintonio. Ma mi resta<br />

un dubbio su Giovanni Làconi, un onesto dubbio,<br />

credo. Uccidere non è facile… E il vostro è un altro<br />

punto d’osservazione delle cose, molto diverso dal<br />

nostro. Ce lo farete sapere con la vostra solita velocità.<br />

Quelle parole: “con la vostra solita velocità” fanno<br />

parte del repertorio ironico con cui gli scettici in città<br />

considerano il lavoro del pietrificatore. E allora decide<br />

per dispetto di usare il podio che porta con sé e tiene<br />

sempre pronto: – Eccellenza, anche questa volta la mia<br />

solita velocità, che non guasterebbe alle vostre indagini,<br />

potrebbe esservi d’aiuto. Ma vorrei chiedere, visto<br />

che è una domanda che mi hanno già fatto, di quali<br />

108<br />

panni mi devo vestire, considerato che i vostri, che<br />

mettiate la toga o no, sono comunque quelli del giudice,<br />

anche quando andate a dormire.<br />

Efisio è dritto sul suo piccolo podio: – Le idee viaggiano<br />

tutte alla stessa velocità, eccellenza, il problema è<br />

averle o non averle.<br />

Marchi si irrita e solleva le sopracciglia candide: –<br />

Dottor Marini, dite quello che volete dire.<br />

– Eccellenza, se voi avete fiducia nei miei mezzi, – parola<br />

che dice raddrizzandosi sulla sedia, – non usate l’ironia…<br />

Sono abituato, sapete? E dare risposte è molto<br />

più forte di me, non so resistere. Se invece siete interessato<br />

alla mia collaborazione allora avete una strada<br />

semplice da seguire: nominatemi perito settore della<br />

regia udienza e io tirerò fuori succo e sostanza, se ce<br />

n’è, dalle salme di Giovanni e Tea Làconi e dai fatti che<br />

si stanno inanellando.<br />

Marchi non è convinto di quella storia della velocità.<br />

Le sue idee sono lente, pesano e si depositano nel magazzino<br />

della testa con un tonfo grave e definitivo. Non<br />

hanno niente di rapido, non lampeggiano. Però restano<br />

al loro posto e non si muovono con facilità perché<br />

hanno la solidità da cattedrale della legge.<br />

– Domani mattina avrete il decreto di nomina dal notaio<br />

Lastretti.<br />

Poi sorride obliquo: – Domani, e non tra una settimana.<br />

Velocemente.<br />

109


* * *<br />

Consiglio Comunale del 29 giugno 1861.<br />

Ordine del Giorno: Censimento dei fenicotteri: 250.000 -<br />

Abbattimento della popolazione dello stagno di Bella Rosa<br />

- Pesca dei cefali, dei gamberi, delle tartarughe e delle<br />

arselle nello stagno: ammontare della vendita. Rendiconto<br />

annonario - Fondazione del nuovo Gabinetto di Mummificazione<br />

diretto dal dottor Efisio Marini presso la regia<br />

università: proposta del consigliere Loriga.<br />

Efisio aspetta nella saletta della cancelleria da dove<br />

sente le voci dei consiglieri comunali. Questa mattina<br />

ha ricevuto tre nuove richieste di pietrificazione. Sono<br />

le undici e dopo la pesca delle arselle si discute la proposta<br />

del nuovo laboratorio di mummificazione da costruire<br />

in mezzo ai pini del colle di Palabanda. I consiglieri<br />

sono meno loquaci e qualcuno è impallidito leggendo<br />

la proposta che Loriga ha fatto circolare tra i<br />

banchi. Si fa silenzio per un po’, come se tutti facessero<br />

un lungo respiro prima di iniziare.<br />

CONSIGLIERE MASTINO: – Dunque, secondo il consigliere<br />

Loriga a questa città mancherebbe proprio<br />

un’officina per i cadaveri, un posto dove ai morti viene<br />

tolta la pace condannandoli a fare un’imitazione di se<br />

stessi nel momento peggiore. E tutto questo costerebbe<br />

alla comunità cinquantamila lire!<br />

110<br />

CONSIGLIERE MARTINEZ: – Sono il decano di questa<br />

assemblea, ho ottantadue anni e ormai vivo con un presentimento<br />

che tutti qui capite qual è. Penso ai nipoti<br />

miei. Per me, colleghi, conservato o no, le cose non<br />

cambiano.<br />

CONSIGLIERE BOI: – Sono un sostenitore della cremazione.<br />

I vivi hanno bisogno dell’acqua e di illuminazione<br />

a gas. La città ha quasi trentamila abitanti. C’è lo stagno<br />

di Boasterra da risanare, il molo di levante da ingrandire…<br />

Sono per la cremazione, ripeto. Voterei una<br />

mozione sulla cremazione.<br />

CONSIGLIERE SPANO: – L’idea del dottor Marini comporterebbe<br />

un risparmio di legno nobile e, di conseguenza,<br />

più legno buono per le navi. Conservati ed<br />

esposti, senza bisogno di casse, con il vestito più bello,<br />

mai rinchiusi e magari cambiare il vestito col mutare<br />

delle mode!<br />

CONSIGLIERE MARTINEZ: – Non cambia, non cambia<br />

nulla, Spano. Da morto ti possono cambiare tutti i vestiti,<br />

camicie e mutande che vuoi, tanto non cambia.<br />

Tutto questo non farà morire né di più, né di meno.<br />

Non cambia nulla.<br />

«È la seduta più triste dopo quella di settant’anni fa<br />

per il bombardamento dei francesi», scrive Titino Me-<br />

111


lis della Gazzetta. E annota che non è colpa del dottor<br />

Marini se Giovanni e Tea Làconi hanno un riflesso verde.<br />

Lui, Marini, li ha trovati di quel colore e non li può<br />

dipingere, sarebbe un sofistico imbroglione.<br />

CONSIGLIERE LORIGA: – Dunque, moderazione e<br />

nuovo sembrerebbero non andare d’accordo…<br />

Interruzione: – Mummificare vi sembra una novità,<br />

consigliere Loriga? E poi, cosa c’entra la moderazione?<br />

CONSIGLIERE LORIGA: – Tutti in città sono colpiti. Fa<br />

bene allo spirito riflettere sulla…<br />

Interruzione: – Farà bene al vostro. A noi fa male allo<br />

spirito e al corpo. Abbiamo discusso dei fenicotteri, di<br />

pesci, arselle e tartarughe. È tutto a posto e ora basta,<br />

Loriga, è quasi ora di pranzo.<br />

CONSIGLIERE LORIGA: – Noi siamo qui, come in un<br />

dialogo di Platone, come in una città greca, lungo la<br />

sponda del fiume Ilisso a discutere dell’anima e del corpo!<br />

La cosa travalica questo consiglio, i pesci e le tartarughe!<br />

Interruzione: – Noi siamo qui a mantenere in ordine<br />

le strade e le case. E fiumi non ce n’è da millenni, fatevi<br />

112<br />

un giretto e controllate, Loriga. Non ci sono fiumi, è<br />

tutto secco.<br />

Interruzione: – Qui si governa la città. Lascia ai morti<br />

la pace.<br />

Interruzione: – Se qualcuno vuole farsi interrare pietrificato,<br />

lo faccia, a noi non interessa.<br />

CONSIGLIERE LORIGA: – Chi aggiunge conoscenze<br />

talvolta aggiunge affanni. Ora un sapere definitivo, ma<br />

che richiede altro sapere, ci è dato dalla scienza che ha<br />

fermato la morte, facendo bere ai defunti tazze d’acqua<br />

coi sali del fiume Lete…<br />

Interruzione: – Ho detto che non ci sono fiumi qua,<br />

Loriga, te lo ricordi o no?<br />

Di colpo, a mezzogiorno, il consiglio si scioglie, e tutti<br />

si alzano. Il consigliere Loriga, offeso, raccoglie i fogli<br />

che non gli hanno fatto leggere e resta a riguardarseli<br />

mentre tutti se ne vanno a casa dove il pranzo è quasi<br />

pronto. Cozze, aglio, prezzemolo, orate e meloni mandano<br />

via quei pensieri annuvolati e i profumi circolano<br />

per le strade mescolandosi in un unico odore che è un<br />

richiamo per tutti i cinque sensi e più.<br />

È la perdita prevista, voluta e ambita del tempo, una<br />

sospensione giornaliera che ferma vecchi e bambini.<br />

113


Persino Efisio, il quale del tempo ha un’idea grande e<br />

terribile, riesce a staccarsi dal trascorrere vischioso dei<br />

minuti e davanti al cibo si imbambola per un po’.<br />

* * *<br />

E i bambini?<br />

Vìttore e Rosa crescono all’ombra tiepida di Carmina.<br />

Vìttore gli somiglia. Efisio, alla fine della giornata, li<br />

trova addormentati e li vede quasi sempre con gli occhi<br />

chiusi. Alla luce della candela, guarda le ciglia lunghe e<br />

nere che tremano perché sognano. Cosa sognino non<br />

se lo immagina - non sognano certo di lui - e neppure ci<br />

pensa a lungo perché dopo averli osservati per qualche<br />

minuto torna in salotto, parla con Carmina, cena, pensa<br />

soprattutto alla sua idea di aldilà pietrificato. L’affetto<br />

non si può rimandare, lo sa, e ha bisogno di gesti e<br />

azioni, però è convinto di dispensarne quanto basta e<br />

di avere un futuro indeterminato durante il quale si<br />

spiegherà con i figli i quali capiranno che un’idea dominante<br />

si era preso il padre. Un’idea tanto grande che<br />

Vìttore e Rosa hanno dovuto aspettare.<br />

E Carmina?<br />

Carmina e la sua visione delle cose. Cresciuta per<br />

conservare e per fare continuare la specie, anche a costo<br />

di molto dolore. Perciò esige considerazione e dà le<br />

114<br />

spalle se si esce dalla legge di casa. Salvare i bambini da<br />

questa idea fissa di Efisio.<br />

E pensare che tutto il calore che lei emanava sino da<br />

ragazzi Efisio lo aveva considerato amore e invece, ora<br />

lui pensa così, era tutta forza già in risonanza per Vìttore<br />

e Rosa che ancora non esistevano.<br />

115


15<br />

Maria He ’Ftha è un’idra femmina e per Perseo Marciàlis<br />

è il centro del suo zodiaco che gira intorno all’essenza<br />

scura di lei.<br />

Le città, questa del padre Giovanni e quella della madre<br />

Hana Meir, si specchiano col mare in mezzo, unite<br />

dalla geometria della terra - che per Maria è sacra - ma<br />

non si sentono dello stesso sangue.<br />

Maria ha un buon odore di coriandolo e tiene in armonia<br />

ossa, linee e connotati spigolosi con la sua polpa<br />

bruna che, a Efisio lo avevano detto, fa un chiarore senza<br />

spiegazioni che viene da sotto la pelle o da più sotto<br />

ancora.<br />

– Scusate, Maria He ’Ftha, so che siete in angoscia a<br />

causa di Perseo Marciàlis, però io devo riuscire a comprendere.<br />

Farà bene a tutti.<br />

– Efisio Marini, ricordatevi che abbiamo mangiato<br />

alla stessa tavola, ospiti di vostro padre Girolamo e vostra<br />

madre Fedela.<br />

– Ricordo, e ricordo anche il riserbo che avete mantenuto,<br />

che è una cosa diversa dal silenzio. Anche da que-<br />

117


ste parti ci sono donne come voi che non parlano e crescono<br />

prima. Ma ora dovete parlare, Maria He ’Ftha,<br />

perché la parola serve, non per sostituire gli avvenimenti,<br />

ma per comprenderli.<br />

Maria si gratta le braccia, è agitata e sembra che<br />

pensi e pensi.<br />

Efisio la fissa e lei tiene gli occhi bassi. Maria si gira<br />

sulla sedia, si gratta ancora un po’ e chiama: – Marcellina.<br />

La vecchia entra col caffè e gli amaretti.<br />

Maria, adesso, guarda Efisio negli occhi.<br />

– Dottor Marini, Perseo è in prigione da sette giorni e<br />

io so cosa gli fanno. L’ho visto. Lui si è lavato, pettinato<br />

e messo un po’ in ordine per incontrarmi in parlatorio,<br />

ma è stato come se ne mancasse la metà… Io non parlo<br />

molto ma so spiegarmi. Gli hanno tolto tutta la forza.<br />

Se quello che volete sapere da me serve a farlo uscire<br />

dalla torre vi rispondo.<br />

Efisio è colpito, e si fida delle proprie intuizioni, da<br />

quella faccia che sembra adattata senza finzione ai<br />

propri pensieri. Lui alle fisionomie ci crede come un<br />

indovino crede al volo degli uccelli: – Perché Perseo<br />

non ha registri di gran parte dei suoi commerci gli è<br />

stato chiesto e richiesto in carcere ma nessuno l’ha capito.<br />

Forse una ragione non c’è: è solo un uomo disordinato.<br />

Perché odiava l’avvocato Làconi, invece, si<br />

sa…<br />

– Si sa?<br />

118<br />

– Sì. Giacinta Làconi sa che voi siete sua sorellastra.<br />

Le pupille di Maria sono troppo piccole: ecco, pensa<br />

Efisio, perché c’è qualcosa di cattivo e appuntito nella<br />

sua espressione, l’unico particolare che gli procura un<br />

po’ di diffidenza.<br />

– Giacinta sa anche come a vostra madre arrivi una<br />

rendita annuale di quattrocentoventi lire. E non muoverà<br />

un dito per togliervela, né lei, né, credo, la nonna…<br />

– Donna Michela, la vecchia che non muore mai.<br />

– Ma io non sono qui a parlarvi di questo, Maria.<br />

La giovane seguita a grattarsi le braccia e ora anche il<br />

collo.<br />

Efisio continua mentre beve questo caffè lungo: – Io<br />

ho un dubbio, anzi, sono un rifugio per i dubbi… Ma<br />

che vi riguarda ne ho uno solo e vi chiedo se voi amavate<br />

vostro padre quanto vostra madre. Lei, lo so dal<br />

maggiore Belasco, andate a trovarla nel suo basso una<br />

volta la settimana.<br />

Gli vengono in mente, chissà come, Vìttore e Rosa,<br />

sente una puntura ma ascolta Maria.<br />

– Mamma ha cinquant’anni e sembra che ne abbia<br />

quanto donna Michela. Mio padre non lo vedevo mai.<br />

Si interrompe: – Marcellina, portami acqua fresca,<br />

che sia fresca. Ho sete.<br />

– Cos’è questo prurito che avete alle braccia?<br />

– Zanzare.<br />

– Zanzare di mattina?<br />

119


– Mi mangiano ogni momento, come se avessi la pelle<br />

rosa.<br />

Maria sembra una donna che le zanzare sa tenerle<br />

lontane da generazioni: – Da casa vedo lo stagno e il<br />

mare. La notte resto per ore alla finestra perché l’insonnia,<br />

non la paura, mi tiene vigile. Le zanzare arrivano<br />

dalla laguna a centinaia. Sul letto ho un tulle che mi<br />

protegge quando dormo, ma dormo poco, ve l’ho detto.<br />

Efisio non vuole discutere di zanzare. Questa donna<br />

riesce a parlare di quello che vuole lei, con l’arte di una<br />

commerciante. Sarebbe capace di vendere qualsiasi cosa.<br />

– Maria, io credo che ci sia, in tutta questa storia, un<br />

filo velenoso ma unico che ci sfugge continuamente.<br />

Muoiono di morte violenta marito e moglie e il maggiore<br />

Belasco arriva come può vicino a qualche verità. Anch’io<br />

arrivo vicino a qualche verità, diversa. Quando<br />

ho trasformato in pietra i due morti spaventati ho pensato<br />

di aver passato il fiume e superato le correnti. Insomma,<br />

siamo vicini a qualcosa… E voi ci potete aiutare.<br />

Non dovete temere: non mancherà nulla a vostra<br />

madre, qualunque cosa succeda. C’è il testamento dell’avvocato<br />

che ha pensato a lei.<br />

Maria ha svuotato tutto il boccale d’acqua e continua<br />

a grattarsi. Ha perso un po’ di grazia nel farlo e ora è<br />

quasi frenetica.<br />

Efisio ha bevuto il suo caffè e sente la testa pizzicargli,<br />

120<br />

un pizzico, un’idea, un pizzico, un’idea. Però in disordine.<br />

Poi il pizzichio gli arriva al collo e alle braccia e<br />

anche lui, vergognandosi, è costretto a grattarsi.<br />

– Efisio Marini, tenete la tazzina del caffè.<br />

– Devo leggere il fondo?<br />

– Si usa così al paese di mamma con gli ospiti importanti:<br />

si regala la tazza che l’ospite ha usato. Ve la involgo<br />

in un mio fazzoletto.<br />

Più tardi, in strada, gli sembra di sentire tutto, come<br />

sempre, ma molto più intensamente. Le idee paiono<br />

più grandi e si agitano come lenzuola bianche stese al<br />

vento che, però, gliele confonde perché una copre l’altra.<br />

Gli danno piacere le idee, suda, ma sente fresco,<br />

come l’essenza del fresco che gli parte dallo stomaco e<br />

soffia da tutte le parti. La città di salite e discese gli sembra<br />

in pianura.<br />

Tra le altre idee che saltano da tutte le parti, una salta<br />

più in alto delle altre e lui la afferra, la tiene tra le mani e<br />

la guarda con attenzione.<br />

* * *<br />

Mattia Bertelli ha l’aspetto, la consistenza e l’energia<br />

costante di un bruco. La sua farmacia sembra mangiucchiata<br />

come una foglia di gelso e per terra ci sono i segni<br />

che lascia sul pavimento, da cinquant’anni, cercando le<br />

medicine negli scaffali in penombra.<br />

– Dottor Marini, – sfrigola Bertelli strisciando dietro<br />

121


il bancone. – Volete altre polveri? Complimenti! Ho<br />

visto le mummie… Lasciate che tutti parlino, lasciate<br />

dire, tanto restano i fatti… L’avvocato Làconi e sua moglie<br />

resteranno lì anche quando noi non avremo più bisogno<br />

di medicine perché, lo sapete, si arriva a un momento<br />

- tanto è solo un momento - in cui non c’è sciroppo,<br />

elisir, pastiglia o lenitivo che tengano… I vostri sali,<br />

invece, tengono, tengono!<br />

Efisio oggi è pallido e la lentezza del dottor Bertelli lo<br />

irrita: – In questo contagocce ho raccolto del caffè.<br />

– Caffè, Efisio Marini? Gocce di caffè?<br />

– Se voi riusciste a separare e classificare tutto ciò che<br />

lo compone, sarebbe davvero utile.<br />

Bertelli si contorce un po’: – È per i vostri studi?<br />

– Certo… il caffè vivifica, questo lo sanno tutti, ma<br />

questo vivifica di più. Cosa lo rende così ricostituente?<br />

– Vivifica di più? Questo caffè vivifica più degli altri<br />

caffè?<br />

Il farmacista prende il contagocce, striscia via e<br />

scompare, ondulando, dietro gli scaffali. Sbatte le mascelle<br />

e mastica: – Tornate fra cinque giorni, dottor Marini,<br />

ma non so cosa sarà possibile dirvi su questo caffè.<br />

– Mi chiamavate Efisio… ora che ho indurito due<br />

morti mi chiamate in un altro modo?<br />

– Torna fra due giorni, Efisio.<br />

122<br />

16<br />

La famiglia è un sentimento che oscilla dentro Efisio<br />

secondo gli avvenimenti. Quando sente pericolo, nella<br />

parte più nascosta di sé, non sa neppure dove, allora il<br />

desiderio di ordine, anche murario, della casa paterna,<br />

la nostalgia delle regole, delle voci, degli orari inalterabili,<br />

del ciclo dei cibi che cambiano con le stagioni e<br />

con la stessa costanza da quando era bambino, tutte<br />

queste cose insieme, lo spingono verso la famiglia.<br />

Fedela che gli riordina il ciuffo, Girolamo che dimentica<br />

anche lui l’età del figlio, Memèna che versa il brodo<br />

di tartaruga e dosa il vino, gli procurano una regressione<br />

passiva e senza pensieri verso l’infanzia alla quale<br />

non resiste. Così sopporta, anzi aspetta, la forcina che<br />

la madre gli piazza in testa appena si siede a tavola perché<br />

lei non tollera l’idea di un capello nella minestra e<br />

sa che Efisio è distratto.<br />

Memèna sta servendo le melanzane ripiene metà in<br />

amaro e metà in dolce.<br />

– Babbo, da quanti anni Perseo Marciàlis commercia<br />

al molo di san Francesco?<br />

– Commercia? Io direi che traffica… È un’altra cosa,<br />

Efisio.<br />

123


– Lo so, anche il maggiore Belasco la vede così. Però<br />

non è abbastanza per finire alla torre ed essere picchiato<br />

ogni giorno. Questa è una giustizia che mi fa paura.<br />

– Deve fare paura, la giustizia.<br />

Carmina si alza da tavola e porta le melanzane per<br />

Vìttore e Rosa che mangiano a un tavolino basso apparecchiato<br />

in cucina perché i bambini sporcano.<br />

Girolamo versa il vino.<br />

– Senti, Efisio, Perseo compra e vende di tutto: stoffa,<br />

grano, orzo, aratri, caldaie… Ha un uomo di fiducia, il<br />

capitano Luxòro, che non è proprio un brav’uomo. Beve<br />

e cerca donnacce in ogni porto. È furbo ma, secondo<br />

me, troppo ignorante per essere furbo davvero. Luxòro<br />

sembra furbo, ha la faccia del furbo, ridacchia come<br />

i furbi, fa lo spirito dei furbi…<br />

Carmina interrompe il suocero: – Come sarebbe lo<br />

spirito dei furbi?<br />

– Insomma, fa capire di sapere certe cose e, qualsiasi<br />

stupidaggine dica, deve avere quattro o cinque significati,<br />

così la gente è costretta a farsi domande e a crederlo<br />

intelligente.<br />

Carmina è seria: – E secondo voi il furbo vero, invece,<br />

deve sembrare un po’ scemo.<br />

– Brava, Carminetta, il vero furbo deve sembrare un<br />

po’ scemo o, almeno, deve fare come se non sapesse<br />

davvero niente di niente. Perciò Luxòro non è furbo.<br />

Lei rimugina, però si fa sentire: – Come se non sapesse<br />

niente di niente… come se non sapesse…<br />

124<br />

Il pranzo continua con pochi discorsi e i bei rumori di<br />

posate e di bicchieri che Efisio ascolta.<br />

Lui mangia veloce e quando finisce il melone, si toglie<br />

la forcina, la rende a Fedela e si siede su una poltrona<br />

a leggere la Gazzetta.<br />

Fuori c’è il silenzio pomeridiano e le tende di lino si<br />

gonfiano e fermano un po’ di caldo.<br />

– Efisio, – dice Carmina senza guardarlo, aiutando a<br />

sparecchiare. – Vuoi una forcina d’oro per i capelli? Ne<br />

ho portata una.<br />

Lui non stacca gli occhi dal giornale, sospende il respiro,<br />

e pensa in fretta. Un microscopico tremolio fa vibrare<br />

i fogli del giornale e il ciuffo non gli nasconde abbastanza<br />

la fronte.<br />

– La forcina che avevo dimenticato nei pantaloni?<br />

– Sì, quella d’oro con delle parole incise. Non le ho<br />

lette perché sono troppo piccole.<br />

– No, ora non ho bisogno della forcina, Carmina.<br />

Neanch’io le ho lette le parole incise, ci vuole una lente.<br />

– Dove l’hai comprata, Efisio?<br />

– Non l’ho comprata, non compro forcine.<br />

Pensa ancora più in fretta ma si accorge che la digestione<br />

rallenta le idee persino a lui e non riesce a vedere<br />

l’espressione di Carmina. È in svantaggio e lei questo<br />

svantaggio lo ha calcolato.<br />

– Me l’hanno regalata.<br />

– E chi?<br />

– Non lo so più. Dopo la mummificazione dei Làconi<br />

125


ho ricevuto tanti biglietti, tante lettere, lo sai, e in una<br />

busta c’era anche quella forcina d’oro. Volevo conservarla<br />

e invece l’ho dimenticata in una tasca dei pantaloni<br />

da lavoro.<br />

Ecco, sente un formicolio alla nuca, una via di mezzo<br />

non l’ha trovata e adesso è andato oltre il peccato di<br />

omissione.<br />

La prima vera, grande bugia coniugale e gli è venuta<br />

così, senza meditarla prima. Oppure no, forse ce l’aveva<br />

pronta da un pezzo.<br />

Non ha importanza, pensa a pancia piena, che sia una<br />

bugia. L’importante è che tenga le cose quadrate come<br />

erano prima di averla detta, che non metta disordine.<br />

Continua a leggere ma all’improvviso un malumore<br />

nuovo, di un tipo che non conosce, gli fa detestare la<br />

nuca di Carmina che porta i piatti in cucina. Percepisce<br />

un mutamento di ferro, definitivo e cupo nella sua vita.<br />

Di colpo si sente addosso tanta ruggine tossica da non<br />

potersi muovere e vorrebbe essere molto lontano dalla<br />

città e dalla famiglia che oggi ha cercato.<br />

Bussano da alcuni minuti al portone di casa in via san<br />

Vincenzo. Efisio ha sentito il rumore prima in sogno e<br />

poi si è svegliato, vestito e sceso.<br />

È Maria He ’Ftha: – Dottor Marini, mia madre non<br />

respira più…<br />

– Come, non respira?<br />

126<br />

– Respira ogni minuto… non risponde… Aiutatemi,<br />

vi prego.<br />

Efisio corre in casa, prende la borsa e viene di nuovo<br />

giù.<br />

– Dove abita?<br />

– In via del Collegio.<br />

Nel basso di Hana Meir l’aria non entra mai, neanche<br />

quella già respirata da altri. Però è tutto bianco, le pareti<br />

dipinte con la vernice a olio, e sembra pulito.<br />

In un lettino c’è Hana.<br />

Per terra c’è una pipa lunga tre palmi col fornello che<br />

fuma ancora. Maria ha aperto un piccola finestra che<br />

dà sull’acciottolato della via dove le blatte a passeggio<br />

accorrono all’odore che esce da quella pipa e poi si allontanano<br />

stordite.<br />

Efisio controlla la donna che non è vecchia ma ha i capelli<br />

grigi e tante rughe. Poca <strong>carne</strong> e molta pelle. Le<br />

apre la camicia e così sembra ancora più povera di sostanza<br />

viva.<br />

Maria He ’Ftha non piange: – L’ho trovata così… non<br />

mi risponde più…<br />

La donna sta morendo e lui vuole capire perché.<br />

Guarda Hana a lungo, poi guarda intorno e l’occhio gli<br />

ricade sulla pipa fumante. La prende, annusa.<br />

Maria lo sa quello che succede alla madre. Efisio cerca<br />

il dolore addosso ad Hana, la palpa e l’ausculta.<br />

127


L’orrore universale in cui cade chi prova dolore non è<br />

attenuato dal fatto che il dolore, in qualsiasi forma, è<br />

toccato a tutti. Il dolore dei sensi - l’unico certo - colpisce<br />

senza proporzione. Il piccolo nervo di un dito, il<br />

nervo ancora più piccolo di un dente, i nervi filiformi di<br />

un occhio possono dare la pazzia anche più di un nervo<br />

grosso. Ognuno di essi può fare male in ogni più dimenticata<br />

ramificazione che, quando viene scovata, diventa<br />

un tabernacolo in fiamme del dolore secondo<br />

un’ingiustizia naturale incomprensibile per Efisio.<br />

Fruga nell’unica credenza del basso, trova un sacchetto<br />

di stoffa, lo apre e annusa.<br />

Si inginocchia di fianco ad Hana: – Maria, avvicinatemi<br />

la lampada e se ce n’è un’altra accendetela e portatela<br />

qua. Credo di avere capito. Vostra madre non soffre<br />

e forse non ha mai sofferto, aveva trovato un modo per<br />

non patire.<br />

Illumina la faccia di Hana, le solleva le palpebre e vede<br />

uno sguardo senza direzione.<br />

La luce cade su un corpo che è tutto rifugiato al proprio<br />

interno ma non sta producendo sofferenza perché<br />

nessuno dei segni che il dolore causa sono visibili nel<br />

viso di Hana. Efisio non le vede in faccia neppure la solitudine<br />

di chi fa da solo il passaggio, anzi, non vede<br />

neanche la preparazione al passaggio. E capisce.<br />

– Oppio! Questa donna è una fumatrice d’oppio!<br />

Maria, vostra madre… Guardate le pupille…<br />

Maria ha acceso un altro lume e si ferma in mezzo alla<br />

128<br />

stanza. È spettinata, sembra più magra e, con quella luce,<br />

Efisio rivede, nell’atteggiamento di contrizione e di<br />

spavento della ragazza, qualcosa dell’avvocato Làconi.<br />

Hana fa piccoli respiri e le labbra le rientrano a ogni<br />

inspirazione. Non si muove. Efisio le ascolta il cuore:<br />

tanti colpetti, secchi e senza pause. Il polso è lontano.<br />

Le pupille, le pupille…<br />

– Sta morendo?<br />

– Non ci posso fare nulla, Maria, ha fumato molto,<br />

troppo oppio e non ci posso fare nulla. Voi lo sapevate…<br />

lo sapevate, vero?<br />

* * *<br />

Nella stanza c’è il silenzio, l’unica cosa possibile davanti<br />

alla morte che avviene, pensa Efisio, mentre la<br />

morte avvenuta è un sollievo e ci sono, si dicono e si<br />

scrivono parole fatte apposta. E chi assiste cosa fa?<br />

Chi assiste pensa a sé e al moribondo, ma soprattutto<br />

a sé. Efisio lo sa. Chi col morente ha rapporti di sangue<br />

prova terrore ma pensa a quando sarà la volta sua perché<br />

il moribondo gliela ricorda. Specialmente se ha davanti<br />

un’agonia timida come quella di Hana che si avvicina<br />

sempre di più al vuoto. La morte non dimentica<br />

nulla di vivo addosso alla donna.<br />

Le vengono fuori le lacrime: forse nel cervello è passata<br />

una ventata rinfrescante di ricordi.<br />

– Mamma piange, dottor Marini… è un buon segno?<br />

129


– Dipende da quello che c’è nella sua testa, Maria.<br />

– Magari pensa a quando era bambina… e muore<br />

contenta…. L’oppio aiuta soprattutto a morire. Lei mi<br />

diceva sempre di vedere tanta luce e di sentire fresco<br />

nella pancia quando fumava… Mi raccontava dei campi<br />

di papaveri a Gerba… ci giocava da bambina… e del<br />

mare…<br />

Una bambina africana che gioca nelle strade bianche<br />

e cerca l’ombra.<br />

Maria He ’Ftha non piange ancora.<br />

– Me la conservate di pietra?<br />

– Certamente, Maria… – Vanità, gli viene fuori un<br />

po’ di vanità, ma è che ha paura anche lui: – E faremo<br />

scheggiare i denti a chi ora ha iniziato a mangiarsela.<br />

Il cielo comincia a cambiare colore e adesso il blu è<br />

meno profondo.<br />

Loro restano ancora là ad assistere all’agonia di Hana<br />

che ormai sembra un piccolo animale di un’altra specie<br />

tanto è cambiata riducendosi tutta. Ogni tanto mormorano<br />

qualcosa - che ha il tono ma non la forma di una<br />

preghiera - guardando come la donna, senza ribellione,<br />

scivola via.<br />

In un momento dell’alba, durante la prima luce opaca,<br />

la faccia rugosa di Hana si spiana, apre gli occhi e<br />

così resta. Efisio è certo che non ha patito. Maria capisce<br />

subito il cambiamento, in apparenza un cambia-<br />

130<br />

mento infinitesimo, e sente come la vita che si ritira in<br />

silenzio produce la stessa vergogna di una morte conclamata<br />

e lo stesso spavento nei vivi.<br />

Padre Venanzio, col suo cervello galleggiante, è seduto<br />

sul lettino della cella e la luce lo attraversa. Tutte le<br />

volte che sta per ricadere sul cuscino Efisio lo sostiene.<br />

In quel momento un’arteria visibile del collo di Venanzio<br />

ha un palpito e gli manda alla testa una piccola<br />

porzione di sangue rosso. Il concentrato di sangue lo<br />

vivifica e lui dice: – Tutta questa violenza delle cose, anche<br />

quelle che siamo abituati a considerare le più dolci<br />

- pensa alla brutalità dell’accoppiamento che io perciò<br />

non ho mai voluto conoscere - genera un terrore e una<br />

tristezza che non ci spieghiamo. Anzi, tanto più sono<br />

belle le cose, tanto più portano terrore. Allora l’azzurro<br />

del cielo, i colori della terra generano lo stesso spavento<br />

che deve aver provato il primo uomo. E io ci devo vedere<br />

Dio e chiamo le cose il creato. Devo vederci Dio.<br />

Venanzio si interrompe perché il boccone di sangue<br />

ha smesso di funzionare, come una dose insufficiente<br />

di medicina, e allora ricade sul cuscino mentre Efisio<br />

gli bagna le labbra con una pezza imbevuta di malvasia.<br />

131


17<br />

– È il succo denso che gocciola dalla capsula del papavero<br />

sonnifero, che si raggruma dopo che lo raccolgono.<br />

Un ettaro può dare da cinque a settanta chili l’anno<br />

di oppio. Al microscopio si vedono globuli giallastri<br />

che sembrano lacrime. I granuli gialli contengono gli<br />

alcaloidi che agiscono sulla testa e, se vogliamo chiamarla<br />

così, sull’anima. Dioscoride, prima di Cristo, ne<br />

faceva uno sciroppo contro il dolore e, chissà, magari<br />

se ne conservava un po’ anche per sé. A Tebe, in Egitto,<br />

facevano la tintura di tebaìna da papaveri che, con l’acqua<br />

sostanziosa del fiume, crescevano giganteschi. Da<br />

sempre gli uomini fumano la polvere sino a morirne.<br />

Con due o tre grammi si guarda serenamente l’aldilà affacciati<br />

a un davanzale tutto profumi e si muore senza<br />

capire bene che quello che abbiamo temuto finalmente<br />

è arrivato ed è solo, tutto sommato, un cambiamento<br />

minimo anche se radicale.<br />

Belasco scrive lui stesso il verbale che Efisio gli detta<br />

evitando di annotare le considerazioni che a lui non<br />

sembrano da sottoporre al giudice.<br />

– Dottor Marini, mi sono informato… scusate, non<br />

voglio fare il lavoro vostro, ma…<br />

133


– La curiosità, vero?<br />

– Non è curiosità. Non sono una cameriera arrivata<br />

dal paesetto.<br />

– Belasco, perché dobbiamo incagliarci sempre nelle<br />

parole? La curiosità è una tendenza nobile dello spirito,<br />

non è pettegolezzo. Cosa credete che mi muova<br />

quando sto in compagnia dei morti o di pezzi di morto?<br />

Anche voi siete curioso perché il vostro lavoro ve lo impone.<br />

Magari tante domande non ve le fareste ma ci siete<br />

obbligato. Vorrei proprio conoscere un uomo che<br />

non fa domande.<br />

Efisio ha agitato l’indice davanti alla faccia di Belasco<br />

e lui, allora, per allontanarsi da quel dito, si alza e passeggia<br />

per la camera.<br />

– Mi sono informato, dottor Marini, e so che la morfina<br />

si estrae a sessanta gradi dall’oppio.<br />

– Sì, maggiore, da dieci grammi d’oppio si estrae un<br />

grammo di morfina.<br />

– E so che due o tre grammi uccidono, sono mortali.<br />

– Esatto. Io porto in borsa la tintura di Sydenham che<br />

tutti chiamano tintura di laudano, come un tempo, e<br />

conosco bene i suoi effetti straordinari sul dolore. Ma<br />

non avevo mai visto un fumatore d’oppio morire, mai<br />

visto.<br />

Belasco riprende la penna in mano: – Il fumatore<br />

d’oppio non ce la fa a vivere senza, è così?<br />

Efisio ha una specie di appassimento improvviso: –<br />

Dolore. È tutto un dolore… Guardatevi intorno, è<br />

134<br />

davvero tutto un dolore, anche in questa città addormentata.<br />

Perciò Hana Meir fumava sino alla consunzione.<br />

A lei non importava più della figlia, non importava<br />

lasciare una traccia, un’orma sulla terra. L’oppio è<br />

stato messo dentro fiori così belli e così colorati perché<br />

qualcuno - curioso - lo estraesse e comprendesse che<br />

serviva per scappare dalle cose del mondo. Cosa importava<br />

ad Hana di un tramonto, del mare azzurro o<br />

del cielo? Tutte distrazioni inutili. È arrivata a dimenticarsi<br />

della figlia Maria per la quale, pure, aveva tanto<br />

brigato con avvocati, giudici, tribunali e sbirri. Sorride:<br />

– L’altro grande dolore del mondo.<br />

Da queste parti non è mai morto nessuno in questo<br />

modo e tutti pensano che è una morte da grande città<br />

dove, lo scrive anche la Gazzetta, sono grandi anche i<br />

vizi. Solo qualcuno aveva già sentito parlare di questo<br />

tipo di consunzione lontana ed esotica. Qui si ubriacano<br />

col vino cattivo, mangiano sino a ingrassare anche il<br />

cervello, si fanno il sangue torbido, poltriscono sulle<br />

panchine sotto le palme, si stordiscono, dormono narcotizzati<br />

dal sole, ma nessuno, mai, è morto d’oppio.<br />

Almeno così crede Belasco.<br />

Hana Meir ha portato un’idea nuova che da queste<br />

parti nessuno conosceva. Questo tipo di morte unico<br />

sarà discusso per sempre qua in città: – Dottor Marini,<br />

da dove prendeva l’oppio Hana Meir?<br />

135


– Da dove volete che arrivi? Dal mare, arriva. Arriva e<br />

tira fuori dai geni cattivi degli abitanti un’energia fetida<br />

che voi dovete fermare. Qualcuno lo ha chiamato il<br />

“geniale piacere”. Non sono d’accordo con quel geniale.<br />

Vedete, se Matteo il campanaro fumasse una piantagione<br />

d’oppio, farebbe sogni ma resterebbe lo scimunito<br />

che per natura è. Se la città diventasse una fumeria<br />

d’oppio anch’essa resterebbe la città che è. La regia<br />

udienza non è preparata a casi del genere? Che studi:<br />

qualcosa nei codici ci sarà.<br />

Fuori di nuovo nuvole smisurate da sud. Efisio guarda<br />

il cielo e gli sembra che una velenosa nube d’oppio<br />

stia arrivando anche a lui. Si sente debole, si appoggia<br />

al muro e chiude gli occhi… che capogiro e che dolore.<br />

Il capitano Augusto Luxòro non sembra un uomo di<br />

mare. Non ha le rughe salmastre dei suoi marinai. Ha<br />

una pelle giallina e molle attaccata a una faccia triste e<br />

lunga come quella di un asino. È seduto a un tavolo del<br />

ristorante di Fabio Cancello: – Possono anche sequestrare<br />

la nave! Che se la tengano un mese! Ormai siamo<br />

a posto, è tutto risolto.<br />

Fabio, curvo e con la faccia da ladro di elemosine gli<br />

dice: – Nella lettera Perseo ti ha detto di buttare tutto il<br />

carico in mare… Deve essere impazzito di spavento<br />

perché sta provando i metodi della regia udienza.<br />

– Portami le anguille arrosto e una bottiglia di vino di<br />

136<br />

Perseo, la beviamo per lui. Mi hanno detto che è dimagrito<br />

ed è sempre spettinato, poveraccio. Come farà<br />

senza vino e senza Maria He ’Ftha? È bello anche il<br />

suono del nome di quella donna… He ’Ftha…<br />

Fabio Cancello, che è arrivato bambino in città da un<br />

villaggio di avari delle montagne, è cameriere per natura<br />

e costituzione. Ora ha quarant’anni ed è il padrone<br />

dell’unico ristorante del quartiere della marina. L’avidità<br />

ha determinato lo sviluppo del suo corpo e dei lineamenti<br />

predatori (ma di prede indifese). La gente lo<br />

giudica per come serve e lui giudica la gente per come<br />

si fa servire.<br />

– La schiavitù è abolita. Ma osti e camerieri sono rimasti<br />

schiavi, – dice sempre.<br />

Lui stesso porta i piatti ai tavoli e farsi pagare contando<br />

le monete gli piace più di ogni cosa.<br />

È seduto accanto al capitano Luxòro e qualche particolare<br />

li lega nelle fisionomie.<br />

Fabio bisbiglia scandalizzato: – Voleva buttare il carico<br />

a mare! Perdere il carico e farlo sciogliere in acqua<br />

per fare contenti i pesci e i gabbiani… è matto! Lo spavento<br />

fa davvero impazzire! Bravo sei stato, Augusto…<br />

– Adesso a Biserta il carico lo sorveglia gente sicura.<br />

Niente carico, niente soldi. Disobbedire, certe volte è<br />

importante, Fabio. Ricordiamocelo e Perseo, quando<br />

sarà fuori da questa storia, sarà pestato e pieno di lividi<br />

ma non avrà perso un soldo… e sarà contento che ho<br />

stracciato la sua lettera.<br />

137


Fabio stappa una delle bottiglie che Perseo teneva da<br />

parte nel ristorante per gli ospiti durante i suoi traffici.<br />

Carmina si difende e non vuole farsi male, però l’intimità<br />

di Efisio e Matilde la infilza sempre nello stesso<br />

punto sopra l’ombelico ogni volta che ne ha una prova.<br />

Ma questo non lo direbbe neanche al suo confessore<br />

che pure sa degli eccessi mezzo eretici del marito.<br />

Quando Carmina ha trovato la forcina d’oro ha immaginato<br />

che solo una donna poteva chiedere a un orefice<br />

un oggetto del genere e farci incidere OLTRE LA<br />

FRONTE. Quelle parole le hanno dato nausea e ha vomitato<br />

tutto il giorno.<br />

Poi, pensandoci e ripensandoci, sempre con la trafittura<br />

in pancia, le erano apparsi in mente il nome e la<br />

faccia dorata di Matilde Mausèli.<br />

Si è vergognata ma ha desiderato di nuovo che Efisio<br />

si ammalasse di una malattia grave per averlo in casa e<br />

amministrarlo come i figli. Un attacco maligno di malaria<br />

glielo avrebbe ricondotto tra le mura e lo avrebbe<br />

fatto pensare. Fradicio, debole e pallido Efisio sarebbe<br />

stato bello, con le palpebre blu come il Cristo liberato<br />

dai chiodi, lontano dalla luce del sole e dalla luce che<br />

lui, sicuramente, vedeva venire da Matilde. Avrebbe tenuto<br />

le finestre aperte e chiamato a raccolta legioni di<br />

anofele perché lo pungessero. Meglio morto.<br />

138<br />

18<br />

Michela Làconi oggi compie novantatré anni, ma lei<br />

non celebra anniversari: anche questa abitudine è un<br />

trucco per imbrogliare il tempo e pensa che, senza festa,<br />

l’anno trascorso continui e non si concluda mai.<br />

Anzi, tutti i suoi anni sono per la vecchia un anno, un<br />

tempo unico che lei passa poggiata sulle natiche d’ossa<br />

indolenzite a fine giornata.<br />

Così quando Giacinta e Matilde vanno a visitarla sanno<br />

che non devono fare auguri.<br />

– Matilde, bionda straniera, – Michela la chiama così<br />

da quando era bambina, – portami un bicchiere d’acqua<br />

del pozzo. Devo prendere la mia medicina.<br />

Medicina? Giacinta si stupisce, la nonna non ha mai<br />

visto un medico. Per il parto erano entrate in casa solo<br />

un’ostetrica e qualche donnetta che avevano estratto<br />

Giovanni dalla piccola cassaforte del grembo di Michela,<br />

poi richiuso per sempre.<br />

– Che medicina?<br />

La vecchia mostra i denti da topo: – Sono i sali conservanti<br />

di Efisio Marini. Due cucchiaini al giorno. Mi<br />

sento meglio, lui mi ha detto che sono ricostituenti e tonificano.<br />

Bisogna darne a Bernardina Mastio, ha no-<br />

139


vantadue anni ma è una rimbambita con un dente solo.<br />

Tutti i parenti intorno ad aspettare che dica una parola<br />

e poi tutti a gridare: “Che fenomeno!” E puzza di piscio.<br />

– Nonna, le vogliono bene.<br />

– Aspettano che crepi, ma quella è già crepata.<br />

Matilde ride: – Donna Michela, i sali di Efisio conservano<br />

i morti… non sapevo che si danno anche ai vivi.<br />

Voi siete sana nonostante le vostre precauzioni che toglierebbero<br />

la salute a un gigante.<br />

– È stata un’idea del dottor Marini. Mi fido di quel ragazzo:<br />

non spreca il tempo, non se ne sta seduto per ore<br />

a mangiare e non ingrassa. – Poi cambia: – Giacinta, so<br />

della morte di quella Hana Meir.<br />

Matilde va in cortile a prendere l’acqua fresca del<br />

pozzo, ne basta un bicchierino.<br />

Giacinta sente ancora Mauro addosso perché la mattina,<br />

in studio, l’ha fratturata come sempre. È come se,<br />

col caldo, lui le avesse trasferito addosso la propria pelle<br />

e lei ora se ne sente due, la sua, prosciugata, e quella<br />

di Mamùsa, spessa, violenta e fertile. E con la pelle le ha<br />

dato anche un po’ del suo sguardo.<br />

– Nonna, tu lo sai che babbo aveva lasciato una rendita<br />

ad Hana Meir per mantenere lei e Maria He ’Ftha…<br />

– So tutto. Ora questa Hana di rendita non ne ha più<br />

bisogno e neanche Maria avrà più un soldo. Quella<br />

mezzosangue non avrà un soldo!<br />

La vecchia si torce nella poltrona, le cade la testa da<br />

140<br />

un lato e ha uno dei suoi brevi sonni anestetici. Ora<br />

sembra un pezzo di <strong>carne</strong> secca. Di colpo si sveglia e,<br />

come se dormendo avesse consultato qualcuno, dice<br />

agitando le manine: – Giacinta, tu sei generosa. Però la<br />

donazione l’aveva decisa tuo padre e se aveva destinato<br />

i denari alla mamma di Maria vuol dire che non li voleva<br />

dare alla figlia. Vai a capire cosa passa nella testa dei<br />

maschi… Adesso non possiamo più decidere noi…<br />

Era già stato deciso da tuo padre e noi non cambiamo<br />

nulla.<br />

– Maria He ’Ftha è mia sorella!<br />

– È tua sorellastra, solo metà del sangue è nostro. E a<br />

guardarla, mi hanno detto, sembra meno della metà.<br />

Matilde è tornata dal cortile con l’acqua. Ora non<br />

sorride e i capelli chiari le brillano anche in penombra.<br />

– Donna Michela, la madre di Maria ha restituito l’anima<br />

ma la figlia è rimasta.<br />

La vecchia agita gambette e braccine: – Restituire?<br />

Cosa ha restituito Hana Meir? Non aveva nulla da restituire!<br />

Cosa dobbiamo restituire? Cosa ci hanno dato<br />

che dobbiamo renderlo? Pianto ci hanno dato e se mi<br />

chiedono qualcosa restituisco pianto… Anzi, io non<br />

restituisco neppure quello… L’idea di restituire non mi<br />

piace… non devo niente a nessuno! Giovanni può avere<br />

seminato il mondo di figli… non mi interessa… peggio<br />

per quelle che si sprecavano con lui… la vita non si<br />

spreca…<br />

Giacinta ha fastidio per l’odore di Mamùsa che si<br />

141


porta addosso, crede di spanderlo intorno, diventa rosa,<br />

suda e si tiene lontana.<br />

– Nonna, babbo stava attento a tutto. Non ha lasciato<br />

mai niente non finito, come se fosse stato sempre sul<br />

punto di morire. Le cose le concludeva… Salvo una: la<br />

causa con il tunisino.<br />

Michela ondeggia: – Bene, questo vuol dire che voleva<br />

che le cose finissero così.<br />

Scende dalla poltrona, tocca terra e se ne va, tenendo<br />

il fazzoletto sul naso, verso la porta. Fa un piccolo gracidìo<br />

e saluta. Va a dormire perché il sonno ferma la<br />

consunzione.<br />

È tutto questo gran lavorìo del corpo sveglio che lo<br />

deteriora.<br />

– Perfettamente simile al minerale meno friabile. Né<br />

polvere, né cenere.<br />

Quando Efisio si ripete, come un cancelliere che ribatte<br />

di continuo lo stesso timbro su fogli diversi, significa<br />

che si è arenato e dondola su un basso fondale,<br />

piatto e sabbioso, senza scogli e senza punte taglienti. Il<br />

torpore.<br />

Il dondolio non si ferma.<br />

– Proprio perfettamente simile…<br />

– Basta! – dice Belasco che guarda la mummia di Hana<br />

Meir e poi fissa Efisio.<br />

Lui: – Avete ragione, maggiore… ripeto le stesse cose<br />

142<br />

perché sono annoiato. È colpa della noia. E annoio tutti,<br />

annoio voi, mia moglie, i miei figli e i miei amici, ma<br />

soprattutto mi annoio io. Mi sembra di aver toccato il<br />

limite… al massimo ho spostato di poco una linea, perciò<br />

aggiungo tanti ‘io qua’ e ‘io là’ ai miei discorsi. Però<br />

qualche volta la stessa linea mi zittisce perché so che<br />

posso mummificare e pietrificare tutta la vita ma oltre<br />

non riesco ad avanzare.<br />

– Dottor Marini… si tratterà di un momento…<br />

I momenti di Efisio provengono tutti dalla stessa<br />

profondità e lì ritornano. I momenti di Belasco, invece,<br />

non arrivano da così lontano e nascono dentro di lui, limitati<br />

e necessari alle sue richieste di chiarezza.<br />

– Dottor Marini, abbiamo tutt’e due un incarico che<br />

ha un peso. Voi dite che io ho la schiena dritta, vero?<br />

Beh, allora vi avverto che questa schiena si sta piegando<br />

perché un peso non si può sostenere a lungo… Facciamo<br />

il punto.<br />

Fare il punto. Proprio quello che Efisio non vuole.<br />

Mettere in ordine i fatti e farli convergere verso una soluzione<br />

inevitabile, procedere secondo geometria e<br />

probabilità ragionevoli, oggi gli mette voglia di scappare<br />

e di lasciare che gli avvenimenti accadano da soli.<br />

– Voi volete essere ricordato, vero, maggiore?<br />

Belasco lo guarda in un modo che a Efisio sembra<br />

sfacciato: – E voi, dottore, non volete lasciare una traccia?<br />

Voi più di me.<br />

Stanno zitti e fissano la mummia della fumatrice<br />

143


d’oppio, perfettamente indurita e pietrificata. Hana<br />

Meir ha addirittura un’espressione da cherubino attempato.<br />

Poi Belasco apre la finestra, guarda fuori, respira a<br />

fondo e ritorna alle cose: – Perseo Marciàlis non parla…<br />

sulla nave di Luxòro non abbiamo trovato nulla e<br />

neppure nei suoi magazzini… Perseo è ancora nella galera<br />

della torre per via dei registri che non mantiene in<br />

ordine. Abbiamo recuperato la stoffa a rombetti, proprio<br />

la stessa che il mio maresciallo ha trovato nella casa<br />

diroccata del molo. Mintonio aveva una camicia a<br />

rombetti ma l’ha buttata via e se n’è fatta una nuova lo<br />

stesso giorno che ha comprato una dentiera tanto forte<br />

che riesce a masticare la <strong>carne</strong> della prigione. I denari<br />

dice di averli raccolti con le elemosine. Pensate che in<br />

carcere ha iniziato a lavarsi… nelle tombe di sant’Avendrace<br />

aspettavano l’acqua piovana. Il giudice Marchi si<br />

è convinto che Marciàlis c’entri qualcosa, sostiene che<br />

l’istinto del giudice è diverso da quello del poliziotto e<br />

che a vedere i fatti da lontano come fa lui il ragionamento<br />

ne guadagna.<br />

Efisio accarezza la mummia e la annusa, ha proprio<br />

odore di terra, lo stesso dei suoi fossili. Pensa a Marchi<br />

affacciato a palazzo viceregio che vede gli abitanti piccoli<br />

piccoli in basso.<br />

– Il ragionamento finora non ne ha guadagnato abbastanza,<br />

mi pare.<br />

La voce di Belasco non è bella e lustra come al solito.<br />

144<br />

L’indice di Efisio è ammainato e lui dice piano, seduto<br />

accanto ad Hana Meir: – Io non ho in testa un vero ragionamento,<br />

maggiore. Ho tante idee che ballano il<br />

ballo tondo, che non è un ballo disordinato. Aspetto<br />

che si trovino da sole la strada. Sono stordito…<br />

– Da che cosa?<br />

– Beh, le mie statue che tengono insieme la materia<br />

destinata a un’altra fine mi mettono addosso una serenità<br />

ebete che mi distrae da tutto… e mi annoio, ve l’ho<br />

detto. Insomma, maggiore, non so mettere insieme i<br />

pezzi e vorrei essere da un’altra parte e pensare ad altro.<br />

Ma l’oppio e il mare mi passano e ripassano in testa…<br />

Oppio e mummie: che confusione… Sapete che<br />

l’oppio procura a volte un prurito invincibile?<br />

– E il mare, cosa c’entra il mare?<br />

– Sì, la porta del mare di questa città. È sempre arrivato<br />

tutto da lì… Anche l’oppio che fumava questa<br />

donna sicuramente arrivava al porto e voi fate bene a<br />

sospettare di Perseo Marciàlis. Lui aveva buoni motivi<br />

per ammazzare l’avvocato Làconi, ma meno buoni per<br />

ammazzare la moglie. Quanto a quel Mintonio non so<br />

proprio cosa dirvi. Però le idee non hanno tutte lo stesso<br />

peso e non toccano terra insieme. Aspettiamo.<br />

– Andiamocene, Vincenzo, andiamo via da questa<br />

città. Io posso cantare ovunque, la voce viene con me.<br />

Anzi quest’umido eterno e questi venti avvelenati dallo<br />

145


stagno me la faranno durare meno. Cerchiamoci una<br />

città, anche piccola, anche sperduta dove l’aria sia al<br />

rosmarino, profumata…<br />

Fois Caraffa si lucida gli anelli sulla manica della giacca.<br />

Non è interessato alla fuga.<br />

– Senti Lia, qui le cose vanno bene. Sono complicate<br />

ma vanno bene e io so come funzionano, conosco tutto<br />

quello che bisogna conoscere di questo teatro. Abbiamo<br />

di che vivere sino alla vecchiaia anche se lo stagno<br />

puzza.<br />

Lia lo guarda e pensa che è già vecchio, corroso dai sigari<br />

di cui ha preso anche il colore. Però è soddisfatto:<br />

– La donazione dell’avvocato Làconi durerà quanto<br />

durerò io… è intestata a me, lo sai. L’avvocato Mamùsa<br />

l’ha detto chiaro: verrà versata ogni mese al cavalier<br />

Fois Caraffa. Vuoi finire in un teatrino chissà dove?<br />

– Perché, questo è un grande teatro?<br />

– No, ma non ce n’è altri in tutta l’isola, le opere arrivano<br />

regolarmente, il giornalista della Gazzetta cena<br />

nel palchetto, mangia l’aragosta offerta da noi e scrive<br />

gli articoli mentre mastica. E poi, ce ne dovremmo andare<br />

proprio adesso che abbiamo una rendita sicura…<br />

una rendita…<br />

La beatitudine gli arriva al capello che la sente, si<br />

riempie di vita, serpeggia e salta come una molla. Lui lo<br />

rimette a posto con un po’ d’acqua del vaso di fiori.<br />

146<br />

– Cosa vorresti mangiare, Mintonio?<br />

– Quello che mi date lo mangio, maggiore. Sapete, se<br />

portano qua in galera anche mia moglie e i due figli, io<br />

sono contento e anche loro. Siete mai entrato dentro<br />

una tomba? Là c’è poco da fare gli spiritosi.<br />

Mintonio ha riempito un po’ le occhiaie di sostanza.<br />

Lo hanno rasato perché i pidocchi erano più dei capelli<br />

tanto che glieli muovevano come una brezza. Sembra<br />

meno povero e la dentiera gli dà benessere.<br />

Belasco non si preoccupa della voce con lui: – Senti,<br />

Mintonio, tu non vuoi più essere picchiato, vero? Le<br />

bastonate della regia udienza non lasciano segni, non<br />

spezzano nulla e te ne possiamo dare all’infinito.<br />

– Lo so.<br />

– Hai qualcosa da confessare?<br />

– Non c’è più niente da confessare per noi delle tombe.<br />

Il povero ricorda il dolore e sente nausea, gli occhi gli<br />

si riempiono di lacrime e le guance, di colpo, si svuotano:<br />

– Basta coi colpi… Io non so niente maggiore…<br />

Quella camicia maledetta l’ho buttata via… l’avevo<br />

trovata nell’immondezza, lo giuro, lo giuro e lo giuro su<br />

Dio. Al cielo e ai santi ci credo, sennò come farei a vivere…<br />

Belasco tira fuori la voce ammonitrice del poliziotto:<br />

– Mintonio, sei libero da oggi. Stai attento.<br />

147


Luglio. La paura sa che la gente si dimentica di lei per<br />

un po’. Non si può avere paura tutto l’anno e la paralisi<br />

feriale che scende sulla città riduce il raggio dei pensieri<br />

degli abitanti che cercano solo riparo dal caldo.<br />

Mangiano all’ombra e si compiacciono di vegetare rimandando<br />

tutto a quei giorni di fine agosto quando, di<br />

colpo, si svegliano al fresco e vanno a letto presto perché<br />

il sole tramonta prima e risveglia tutte le preoccupazioni<br />

che hanno sospeso.<br />

149


19<br />

Perseo Marciàlis è scarmigliato e chissà quando riuscirà<br />

a pettinarsi di nuovo. La notte sogna sempre Maria<br />

He ’Ftha. Maria che gli alliscia i capelli con le mani,<br />

Maria che lo lava e lo bacia, Maria che lo nutre.<br />

– Lo so, lo so che Hana Meir fumava oppio.<br />

Il maresciallo Testa deve picchiare Perseo ogni volta<br />

che non dà risposte convincenti. Questa volta lo fa con<br />

un ramo elastico di olivastro rivestito di stoffa.<br />

Belasco usa la voce senza colore: – Marciàlis, la regia<br />

udienza ha buoni motivi per credere che voi portate<br />

oppio con la vostra nave qui in città…<br />

Perseo lo interrompe: – E chi lo fuma qui, eh? Io non<br />

faccio niente contro la legge. Ditemelo voi della regia<br />

udienza chi lo fuma o chi se lo beve e fa gargarismi.<br />

Non c’è una legge che lo proibisce.<br />

Testa vede il collo scoperto di Marciàlis, alza il braccio<br />

e lo frusta sulla nuca. Perseo salta sulla sedia ma ha<br />

le manette e le catene ai piedi e cade in ginocchio. Si lamenta<br />

per alcuni secondi poi, rosso di rabbia, si siede<br />

di nuovo ma senza segni sulla pelle.<br />

Belasco non cambia tono: – Il papavero non cresce<br />

151


ovunque, servono terra fertile e acqua. Alle pendici occidentali<br />

dei monti dell’Atlante i contadini sanno coltivare<br />

il papavero e sanno estrarre l’oppio. Poi da lì inizia<br />

il viaggio verso le grandi città. Ma c’è il mare in mezzo.<br />

E allora servono navi per portarlo a Marsiglia e chissà<br />

dove. Da Biserta a Marsiglia passando per questa città,<br />

vero Perseo? Da Biserta alla nostra città, vero?<br />

Perseo ha la testa piegata sulle ginocchia e piange accucciato.<br />

Maria non lo pettinerà più e si dispera.<br />

– Ecco perché non usi i registri come tutti gli altri.<br />

Grano, miglio, orzo e oppio, oppio. Ecco perché hai<br />

due case grandi a Stampaccio, carrozze, carri, cavalli…<br />

Maria non la potrà più abbracciare, toccare, odorare.<br />

Maria ha vent’anni e quando lui uscirà dalla galera lei<br />

non avrà più lo stesso profumo, chissà che odore avrà.<br />

E lui non avrà più i capelli rossi.<br />

– Maggiore, posso parlare?<br />

– Sì, ma non per fare domande.<br />

Perseo si asciuga gli occhi: – Ho dato l’ordine di buttare<br />

l’oppio in mare, ai pesci. Ho scritto al capitano<br />

Luxòro. Chiedete a lui se mi ha obbedito. Lo conosco…<br />

lui non butta via mai niente… magari il carico è<br />

ancora a Biserta. Ma posso giurarvi che con la morte<br />

dell’avvocato Làconi io non c’entro. Lo odiavo perché<br />

ha sempre cercato di portarmi via Maria He ’Ftha… diceva<br />

che violentavo una bambina… Io a Maria voglio<br />

bene e tra un anno, se lei vuole, la sposo anche se sono<br />

in galera. Sinora le ho solo dato una casa per viverci…<br />

152<br />

– Facevate scandalo.<br />

– È vergine, è vergine e lo sa anche don Migòni…<br />

– Glielo hai detto in confessione? Tu ti confessi?<br />

– Sì, quasi tutte le domeniche… anche qui in carcere…<br />

– Qui diventano tutti religiosi, qua confessarsi non<br />

vale: troppo facile.<br />

Perseo si raddrizza sulla sedia e pensa alla corda<br />

stretta intorno al collo, al patibolo tirato su in una giornata<br />

ventosa, sente il freddo, vede le nuvole basse che<br />

galoppano sopra la piazza, sente il brusio della folla, le<br />

mani del boia. Ha paura: – Non ho ammazzato l’avvocato<br />

Làconi.<br />

È un tramonto lento. Il vento si è fermato e poi, in silenzio,<br />

da nord è iniziata una brezza medicata che ripulisce<br />

i cervelli gonfiati dal vento meridionale.<br />

Belasco, meno dritto del solito, e Marini, con le mani<br />

in tasca, camminano lungo le mura. È come se si mostrassero<br />

l’uno all’altro a casa propria, in vestaglia, senza<br />

addobbi e senza scene.<br />

– Neanche il farmacista è riuscito a dirvi se in quel<br />

caffè c’era oppio?<br />

– Neanche lui, maggiore. D’altronde era solo un fondo<br />

di tazzina che è evaporato nei suoi alambicchi troppo<br />

vecchi. Però credo che Maria He ’Ftha me lo abbia<br />

dato perché io capissi… Voleva rivelarmi qualcosa.<br />

153


Che contenesse oppio ne sono convinto: il caffè non<br />

provoca prurito, non ti fa bollire le idee in testa in quel<br />

modo, non ti cambia le pupille, non ti manda il fresco<br />

attraverso la pancia, non ti fa passare sogni colorati davanti<br />

agli occhi per una notte intera…<br />

– Maria He ’Ftha lo conserverà in casa?<br />

– Io credo che un po’ dell’oppio che Perseo Marciàlis<br />

rivendeva a Marsiglia gli restasse tra le mani. Hana<br />

Meir ne aveva bisogno, fumava da quando era ragazza.<br />

E forse la figlia ha deciso di metterne un po’ nel caffè<br />

per farmi capire…<br />

– Non sarebbe bastato parlare, dire con chiarezza<br />

che si commercia oppio in città?<br />

– Non è la stessa cosa. Lei ha un debito verso Perseo e<br />

forse gli vuole anche bene: non può dire qualcosa che<br />

gli può nuocere. È una ragazza che con tutto quel nero<br />

addosso, quegli occhi neri, quei capelli neri, quella pelle<br />

speciale… insomma è una ragazza che qualcosa di<br />

forte ce l’ha dentro e lo emana. È una donna che ha l’energia<br />

del magnete, un’energia che non si vede però<br />

funziona. E chiede aiuto a modo suo.<br />

– La interrogo.<br />

Dalla salita ripida di santa Caterina vedono un cavallo<br />

nero montato da un militare che arranca con forza. Si<br />

fermano e riconoscono da lontano il maresciallo Testa<br />

che grida: – Maggiore, maggiore! Fois Caraffa!…<br />

Poco dopo Testa, col fiatone, è davanti a Belasco ed<br />

Efisio: – Fois Caraffa è morto. L’hanno trovato morto.<br />

154<br />

Né pallottola, né coltello. – Guarda Efisio: – Insomma<br />

niente di visibile a un primo sguardo. Però l’abbiamo<br />

trovato legato e con un segno in testa, dottore. E poi,<br />

c’è una cosa… non so… una cosa…<br />

– E allora?<br />

– E poi, insomma… sorrideva… e io non ho mai visto<br />

un morto col sorriso. Sorrideva. Ce l’ho ancora davanti<br />

agli occhi.<br />

Vincenzo Fois Caraffa è steso su un divano. Ha le mani<br />

legate dietro la schiena. Sulla tempia destra ha un segno<br />

blu, rotondo e grande quanto un uovo. Gli occhi<br />

sono chiusi. La faccia è rilasciata e la bocca, ha ragione<br />

il maresciallo, è allargata ma non in una smorfia: sorride,<br />

sorride proprio anche se le labbra sono tumefatte.<br />

Il suo capello dorato è rimasto appiccicato e ha resistito.<br />

Questo sorriso proprio non si capisce.<br />

Viveva solo, davanti al portico del santo Sepolcro, in<br />

una casa grande insieme a due cani da caccia che adesso<br />

si lamentano chiusi in una camera e grattano la porta<br />

per uscire.<br />

Lia Melis è seduta, scarmigliata, sulle scale.<br />

– Non voglio più entrare, l’ho trovato io un’ora fa…<br />

l’ho trovato io.<br />

Lia è abituata ai morti delle sue opere che, dopo l’agonia,<br />

si alzano per ringraziare, si tolgono via la polvere<br />

155


del palcoscenico, si inchinano e poi vanno a cena. Ora,<br />

invece, ha capito che Vincenzo è stato assassinato, vede<br />

il livido gonfio sulla tempia, sente l’odore dell’omicidio<br />

nella casa e le sembra che la insegua anche nelle scale. E<br />

poi, quel sorriso, quel sorriso.<br />

Scappa nella piazzetta e scompare in un angolo buio.<br />

Efisio la raggiunge, le tiene la fronte mentre vomita,<br />

le porge il suo fazzoletto, la prende a braccetto e la fa<br />

sedere su una panchina di pietra sotto un lampione.<br />

– Efisio Marini, cosa vuol dire? Cosa succede?<br />

Lui - saranno gli avvenimenti - adesso ha uno sguardo<br />

fosforico e Lia se ne accorge.<br />

– Efisio, ho paura.<br />

– Qualcuno comanda alla paura in città, hai ragione.<br />

Ma davanti alla paura devi voltare la testa da un’altra<br />

parte e metterti a pensare come se non ci fosse. E allora,<br />

vedrai, noi faremo venire i brividi alla paura…<br />

Si piazza sotto la luce del lampione: – Contro la forza<br />

della morte non crescono medicine negli orti, non possiamo<br />

farci niente. Io fermo larve, vermi e mosche, tutto<br />

qua…<br />

Anche Lia si mette sotto la luce e lo ascolta.<br />

– L’intelletto so condurlo dove voglio io, Lia. Tutti<br />

sanno fare il timoniere quando il mare è calmo. Questa<br />

morte fa saltare per aria il ragionamento della regia<br />

udienza, ma non la mia testa. Gli avvenimenti per adesso<br />

li percepisco, Lia… Poi arriverà anche la comprensione<br />

e allora l’assassino…<br />

156<br />

– L’assassino? Efisio, c’è un solo assassino? Uno solo?<br />

Lui si interrompe. Questa è una domanda di sostanza<br />

e gliela fa una cantante, pensa. Una che usa l’istinto per<br />

vivere. È proprio l’istinto che ora dà la direzione alle<br />

idee.<br />

– Conosci il detto: Duo cum faciunt idem, non est<br />

idem?<br />

– Cosa vuol dire?<br />

– Vuol dire che se due persone fanno la stessa cosa,<br />

quella cosa non sarà mai uguale perché è fatta da persone<br />

diverse. Se tua madre e mia madre fanno la salsa di<br />

pomodoro saranno due salse diverse, anche se usano<br />

gli stessi pomodori.<br />

– E allora? – la faccia di Lia è ispirata perché sente un<br />

accordo complicato suonare nella testa di Efisio anche<br />

se questa faccenda dei pomodori non la capisce. – E allora<br />

Efisio? – A guardarla bene non è la stessa Lia rassegnata<br />

di sempre.<br />

– Voglio dire che tre assassinati possono essere assassinati<br />

da tre criminali diversi anche se il risultato è sempre<br />

lo stesso: un corpo senza vita. Ma un corpo morto si<br />

tiene addosso il segno dell’omicida che noi dobbiamo<br />

riconoscere come riconosciamo la salsa fatta da nostra<br />

madre. Io credo di avere un’idea che ha dato un spallata<br />

alle altre idee perché è più robusta.<br />

Lia, di colpo ha qualcosa di più disperato nello sguardo,<br />

trema e per fermare il tremore si torce e torcendosi<br />

piange: – Efisio…<br />

157


Lia è grigia alla luce del lampione, gli occhi le sono diventati<br />

due ombre nelle orbite e le labbra sono rammollite:<br />

– Efisio, aiutami… pensieri che mi arrivano<br />

chissà da dove… la notte e il giorno, e il passaggio dalla<br />

notte al giorno, e il contrario… la luce che se ne va e poi<br />

torna… tutto mi terrorizza e allora…<br />

Inizia a raccontare come se leggesse: – L’ultima volta<br />

ne ho preso più di cento gocce. È poco, ma altre volte<br />

ne ho ingoiato anche cinque volte di più. – Si batte la<br />

lingua sul palato: – Sto meglio già da quando tolgo il<br />

tappo di vetro dalla bottiglietta e incomincio a contare<br />

le gocce. Che arrivino draghi, mostri pelosi, le setole<br />

della morte, arrivi chi vuole! Le guardo nel bicchierino<br />

alla luce della lampada a petrolio e poi le bevo, ma mica<br />

in un sorso… Le tengo sul palato, poi sotto la lingua e<br />

poi le faccio stagnare… Da qui scoppia…<br />

Efisio si è incurvato e si sfrega gli occhi: – Scoppia?<br />

– Sì, scoppia, esplode…<br />

– Ma l’esplosione si sente solo nella tua testa. La testa!<br />

Anche tu! Lia, Lia, non c’è aiuto e finirà col farti a<br />

pezzi. Questo lo capisci?<br />

Lia continua a muovere la lingua come se avesse le<br />

gocce in bocca: – E allora ringrazio la bocca che riconosce<br />

il sapore e assorbe, assorbe, ringrazio per come siamo<br />

fatti. Quante idee che non sapevo neppure di contenere<br />

e che invece nascono e muoiono dentro di me…<br />

– Ogni quanto ne hai bisogno?<br />

Lia non smette e parla ancora come una che legge: –<br />

158<br />

Allora canto meglio. Certo, la voce resta quella che è,<br />

povera, da teatro piccolo, intubata… ma la musica attraversa<br />

la voce e tutto cambia perché mi escono forza e<br />

ispirazione da angoli che non conoscevo e sento davvero<br />

musica e parola… ecco cosa dovrebbe essere la voce<br />

umana, mi dico… Una sonnambula che canta…<br />

Si copre la faccia con le mani: – Ma poi passa.<br />

– Ogni quanto hai bisogno del laudano? – Efisio ha<br />

perso lo sguardo al fosforo e ora ha gli occhi neri, più<br />

bui del solito.<br />

Lia è uscita dalla luce del lampione: – Era quindici<br />

giorni che non ne prendevo. Non dire una parola, non<br />

fartelo uscire di bocca. Credevo di star bene col vento<br />

fresco e invece ieri, dopo che ho parlato con Vincenzo,<br />

ho aperto il comò e ho preso la boccetta. Era così liscia…<br />

Ne ho lasciato la metà per la prossima volta.<br />

– Chi te lo vende?<br />

– Fabio Cancello, quello del ristorante… è uno strozzino<br />

e ogni volta me lo fa pagare di più, uno strozzino…<br />

Io con la voce guadagno e lo pago. La gente non<br />

lo sa perché certe volte canto meglio. Sentono qualcosa<br />

di diverso ma non sanno cos’è. Solo qualcuno, tuo padre<br />

Girolamo, per esempio, si rende conto della differenza<br />

e mi fa i complimenti e mi dice che l’ispirazione è<br />

una bella cosa ma che non si sa da dove viene, e mi dice<br />

ridendo di fare attenzione perché anche i santi si ispirano.<br />

Efisio si arrotola il ciuffo con un dito. Nella solitudi-<br />

159


ne della testa sta costituendosi un disegno, tante persone<br />

che si tengono per mano, ma ancora gli manca la faccia<br />

più cattiva che guida la fila.<br />

– Dunque Fabio Cancello procura oppio in tutte le<br />

forme. Le gocce per te, il fumo per Hana e chissà per<br />

quanti altri. Non lo compra certo al suo paese di taccagni<br />

che vivono di sterco e risparmiano per comprare<br />

botteghe buie con i mosconi morti in vetrina. Gli arriva<br />

dal mare, dove Venanzio mi ha detto di guardare, me<br />

l’ha detto! Forse ha ragione che tutto il dolore arriva<br />

dal mare.<br />

Lia piange: – Penso a Vincenzo… Dopo una morte ci<br />

si asciuga gli occhi rossi e poi si ricomincia a mangiare,<br />

a dormire e tutto il resto… A noi basta un fazzoletto e a<br />

lui, invece…<br />

160<br />

20<br />

Questa mattina Efisio si sente il padrone delle parole:<br />

– Difficile dire perché è morto Fois Caraffa, giudice<br />

Marchi. È difficile soprattutto dirlo davanti a voi che<br />

non amate le ipotesi. L’hanno legato, questo è certo, e<br />

gli hanno infilato qualcosa in bocca a forza, magari con<br />

un tubicino. Dobbiamo aspettare il dottor Bertelli per<br />

essere certi di cosa gli hanno fatto colare giù per la laringe.<br />

– Sì, eccellenza, – garantisce Belasco: – Il dottor Marini<br />

ha dato al farmacista, in mia presenza e firmando<br />

un impegno sotto giuramento, un campione di liquidi<br />

prelevati dalla bocca del defunto Fois Caraffa…<br />

Efisio lo interrompe: – È saliva, saliva. Vedete, se Vincenzo<br />

Fois Caraffa è stato obbligato con la forza a bere<br />

qualche veleno, allora avrà cercato di trattenerlo in<br />

bocca senza ingoiarlo, ignorando, meschinetto, che la<br />

bocca assorbe e trasferisce al torrente del sangue dolci<br />

e veleni senza distinzioni.<br />

Marchi non guarda nessuno dei due: – Perché dovrebbero<br />

averlo obbligato a bere? E poi che veleno sarebbe?<br />

Belasco lucida la voce: – Perché le labbra tumefatte e<br />

161


un dente spezzato fanno supporre proprio che siano<br />

state forzate per introdurre qualcosa.<br />

Fa una pausa, conosce Marchi e sa che ha bisogno di<br />

tempo.<br />

– Inoltre, eccellenza, a proposito delle labbra, come<br />

avrete letto nei verbali, quello di polizia e quello del sezionatore<br />

dottor Marini, le labbra, insomma, anche se è<br />

difficile a credersi, sorridevano…<br />

– Sorridevano? – Marchi è stupito e pensa ancora alle<br />

parole scritte che restano.<br />

– Beh, non immaginatevi una risata vera, quella di un<br />

vivo.<br />

Efisio si ravvia il ciuffo: – Si tratta di una distensione<br />

serena, di un rilassamento, del contrario di una smorfia.<br />

È un particolare importante. Concordo col maggiore<br />

Belasco.<br />

Marchi si sta irrigidendo perché gli sembra di sentire<br />

l’odore del ridicolo: – Un morto assassinato che sorride?<br />

E tutto questo si può leggere sulla carta della regia<br />

udienza, dove lo stemma reale fa fede a quello che è<br />

scritto?<br />

Efisio si alza: – Lo stemma del re non verrà deriso da<br />

nessuno, signor giudice.<br />

Per assumere, lui giovane magro e spettinato, una dignità<br />

da sezionatore, oggi ha messo un vestito nero e un<br />

grande colletto d’osso. Marchi l’ha notato, prende un<br />

colore ancora più papiraceo e lo ascolta come se quella<br />

veste abilitasse Efisio a parlare ed essere creduto.<br />

162<br />

– Quando il dottor Mattia Bertelli finirà di far passare<br />

tra i tubi del suo alambicco il campione abbondante di<br />

saliva che Vincenzo Fois Caraffa aveva ingenuamente<br />

conservato tra le guance capienti, io credo che avremo<br />

la certezza di quello che sto per esporvi.<br />

– Lo hanno stordito con una mazzata in testa - c’è il<br />

segno - lo hanno legato e gli hanno infilato a forza un<br />

imbuto o un tubo nella bocca. E ci hanno versato la sostanza<br />

con tanta abbondanza da ucciderlo. Volevano<br />

farlo sembrare un colpo apoplettico, un uomo grasso<br />

che muore. Però, eccellenza, la morte offende e la morte<br />

violenta offende ancora di più… e lascia segni. Certo,<br />

i defunti sono sempre tristi, ma i morti assassinati<br />

sono più tristi e questa tristezza, di solito, gli resta in<br />

faccia.<br />

– Nella casa di Fois Caraffa, invece, non ristagnava<br />

niente di tutto ciò e il morto aveva la bocca distesa tanto<br />

che sulla guancia sinistra si notava una di quelle fossette<br />

allegre che hanno i vivi contenti di essere vivi.<br />

– Quando un mio malato sta per essere trascinato al<br />

largo perché la marea è troppo alta e le onde troppo<br />

forti, allora io gli somministro una quantità di laudano<br />

che toglie ogni paura o la trasforma in sogno e gli fa vedere<br />

l’eternità senza spavento… anche un’ampollina<br />

intera. Procura un po’ di prurito, è vero, ma li dovreste<br />

vedere, eccellenza. Quando le funzioni centrali, ammaestrate<br />

da chissà quale segnale, diminuiscono in silenzio<br />

e poi smettono e tutto si ferma, quel malato è ar-<br />

163


ivato nel nulla non con gli occhi e la bocca spalancati<br />

dal terrore ma con un sorriso perché ha visto e capito,<br />

però la sua mente non si è spaventata.<br />

Marchi ha ascoltato questo discorso con le palme<br />

delle mani alzate a dire basta. Ma la sua pelle giuridica<br />

ha cambiato colore e adesso si vede una traccia di sangue<br />

che circola sotto le guance.<br />

– Volete dirmi, dottor Marini, che Fois Caraffa è stato<br />

assassinato con il laudano? Assassinato e sereno. Questo<br />

volete dirmi?<br />

– Eccellenza, gliene hanno fatte ingoiare sorsate intere!<br />

E Fois Caraffa ha cercato di trattenerne un poco in<br />

bocca.<br />

– E voi maggiore Belasco, siete d’accordo? Anche voi<br />

avete scritto parole che rimangono, ricordatevelo, rimangono<br />

scritte e sono da sostenere con i fatti!<br />

Ostacolo polveroso all’avvenire, Marchi sta per iniziare<br />

una riflessione rallentante quando alla porta bussa<br />

l’usciere e annuncia il dottor Mattia Bertelli. Il bruco<br />

farmaceutico striscia nella stanza sino davanti al giudice<br />

e gli deposita davanti un foglio dopo essersi contratto<br />

in un inchino peloso.<br />

– Eccellenza, ecco. Ho fatto analisi semplici e qualche<br />

prova su dei ratti neri che mi procuro apposta.<br />

In fondo al foglio mezzo rosicchiato, scritta con caratteri<br />

svolazzanti, si legge la parola laudano, vergata a<br />

164<br />

caratteri il doppio degli altri, con un tremolio che si trasmette<br />

alle mani di Marchi che legge: – La dose estratta<br />

dalle guance e dallo stomaco di Fois Caraffa è pari a<br />

cinque volte la dose letale. Questo significa che nel corpo<br />

del defunto dovevano già esserci tante gocce di tintura<br />

di laudano da indurlo a quel coma dolce in cui sicuramente<br />

è sprofondato come risucchiato nell’ombra…<br />

– Anche il bruco scrive come un poeta, pensa il<br />

giudice, anche lui.<br />

Laudano, oppio, veleno e vizio. Ne ha sempre sentito<br />

parlare. Decadenza: le cose e i costumi. Tutta la città<br />

che lentamente sostituisce i saraghi e le orate arrosto<br />

con lunghe pipate anche al passeggio, al caffè, al porto,<br />

a teatro e in tutti quei luoghi in cui la gente si riunisce<br />

per farsi compagnia. Macché compagnia: questo laudano<br />

ti rende un eremita, non hai più bisogno degli altri.<br />

E allora niente scambi, niente consiglio comunale,<br />

niente teatro, niente Gran Caffè, tutti da soli a casa e felici<br />

sino al giorno in cui, stanchi di fumare oppio e mangiare<br />

fiori profumati, inghirlandati di rametti di mirto<br />

si butteranno dalla scogliera in mare. E così finirà questa<br />

razza.<br />

Belasco si accorge che Marchi è lontano coi pensieri:<br />

– Eccellenza, la legge ha previsto tutto. La legge.<br />

Marchi dà una manata sulla scrivania che suona come<br />

un timpano: – Giovanni Làconi, spaventato a morte!<br />

165


Tea Làconi, Vincenzo Fois Caraffa, assassinati! Non<br />

servono logiche minuscole, serve una logica grande<br />

che unisca i fatti e…<br />

Efisio guarda il farmacista tutto retratto e poi Belasco<br />

e poi il giudice: – Eccellenza, avete ragione sulla logica.<br />

Questi tre assassinati diversi forse chiedono una giustizia<br />

unica e un’unica forca. Noi vediamo quello che vedono<br />

gli occhi: poco, molto poco. Ma possiamo immaginare<br />

molto di più.<br />

166<br />

21<br />

Le tombe della collina di sant’Avendrace sono dentro<br />

la roccia e ci si entra attraverso un cunicolo. La temperatura<br />

è sempre la stessa tutti i mesi dell’anno, come<br />

il colore e lo sguardo ingiallito dalle candele di sego di<br />

quelli che ci vivono dentro. Nelle tombe non arriva il<br />

vento, non si sentono cinguettii, né il tic tac della pioggia,<br />

né cani che abbaiano, nulla.<br />

Oggi è morto un bambino.<br />

Mintonio è uscito anche lui a guardare l’interramento.<br />

Tiene la bocca aperta perché non si è abituato al peso<br />

della dentiera. Questo corteo funebre - che festeggia<br />

la liberazione del bambino, così la pensano alle tombe -<br />

non lo intristisce. C’è abituato e poi non è la morte il<br />

peggiore dei mali. Certo, pensa, dipende da come si<br />

muore. Lui, nei giorni della galera, ha immaginato il<br />

patibolo, l’ultimo passo sino alla corda, il cappuccio, la<br />

faccia del boia e poi buio e avrebbe voluto un po’ dell’oppio<br />

che era riuscito a procurarsi al porto. La prima<br />

volta che glielo avevano fatto fumare non lo sapeva<br />

neppure che era oppio e ogni pensiero si era tramutato<br />

in un bel pensiero e la notte, nella tomba, aveva sognato<br />

di volare sul golfo e si era dimenticato la sporcizia.<br />

167


Solo la mattina si era accorto che gli mancava un pezzo<br />

della sua camicia a rombi.<br />

Prova la dentiera all’aria e gli piace il rumore della ceramica<br />

e del ferro. Guarda il golfo e decide di andare sino<br />

al porto dove le elemosine sono dure da ottenere<br />

perché ai moli lo insultano tutti, però di gente ce n’è<br />

tanta. Decide di non scrostarsi la cispa dagli occhi malati<br />

per avere più carità dai pochi cristiani delle banchine.<br />

Prende il sentiero verso Stampaccio, arriva sino al<br />

corso, scende nel viale alberato e all’altezza del mercato<br />

inizia a sporgere la mano aperta a barchetta. Ha pensato<br />

tante volte di usare un piattino, ma il piattino è già<br />

una ricchezza, mentre la mano, la mano e basta, ce<br />

l’hanno perfino quelli della collina.<br />

Attraversa, sempre con la mano aperta, via san Francesco<br />

e arriva al molo maggiore.<br />

La faccia da asino bianco del capitano Luxòro è<br />

un’eccezione in mezzo alle facce nere del porto. È seduto<br />

davanti a un bancone all’aperto che serve pane e sardine.<br />

Fa caldo e tutti sono poco operosi e mezzo nudi.<br />

Mintonio arriva con la mano aperta davanti al marinaio.<br />

* * *<br />

– Maria, io da questo letamaio esco e ti sposo. Le voglio<br />

vedere tutte quelle facce coperte di merda, perché<br />

168<br />

io gliele coprirò di merda. Sono triste, sono dimagrito,<br />

non dormo più ma da qui esco perché non ho fatto nulla.<br />

Porto oppio in città… L’hanno scoperto, e allora?<br />

Oggi mi sento forte, Maria.<br />

Maria non gli ha ancora detto che Hana è morta fumando<br />

l’oppio migliore che lui, Perseo, le sceglieva apposta.<br />

Non glielo dirà, ha deciso, sino a quando è nella<br />

torre.<br />

– Maria, qua la tua pelle si sciupa senza luce… guarda,<br />

ne fanno entrare quel tanto che basta a riconoscersi…<br />

Però sento il tuo odore e mi resta nel naso tutto il<br />

giorno. Voglio scappare… Ce ne andiamo…<br />

La barca di Domenico Zonza, il pescatore, è tornata<br />

oggi. Mancava da tre giorni. Tutti dicono che è un uomo<br />

coraggioso da quando ha riportato il braccio dell’avvocato<br />

Làconi.<br />

Domenico si è prosciugato perché quando è in barca<br />

mangia solo frutta secca e biscotto. Dal sole meridionale<br />

lui si difende all’ombra della vela. Poi la notte dorme<br />

poco, respira di più, si prende tutto il fresco che può, lo<br />

conserva e lo libera di giorno.<br />

Ha preso molto pesce al terzo giorno e ha deciso di<br />

tornare.<br />

A casa si è lavato con acqua dolce e sapone, la moglie<br />

lo ha frizionato con l’olio, e poi ha portato il pesce al<br />

mercato all’aperto della via Dritta.<br />

169


Il mercato.<br />

A quest’ora - che qua, senza darsi orari, la gente chiama<br />

ora conveniente perché il sole non è ancora troppo<br />

forte - le donne si mischiano, anche le più differenti, e<br />

diventa il luogo più pubblico della città dove appaiono<br />

meno diverse e separate possibile.<br />

Matilde Mausèli cerca gamberi. Maria He ’Ftha vuole<br />

seppie. Giacinta Làconi non sa cosa vuole.<br />

C’è anche Carmina. Guarda gli occhi di un muggine<br />

grasso e lucente. Efisio le ha insegnato che, proprio come<br />

gli uomini, si può sapere qual è l’ora della morte anche<br />

per i pesci. Il morto, se è morto da poco, ha l’occhio<br />

che specchia, brilla e luccica come l’occhio del vivo. Le<br />

immagini lo attraversano senza ostacoli anche se poi<br />

non arrivano da nessuna parte. Per i pesci è lo stesso.<br />

Carmina si avvicina per vedere meglio, quel muggine<br />

ha un riflesso lattiginoso nell’occhio, segno di un trapasso<br />

non vicino, ed è piatto. Così cerca un altro banco,<br />

dove trova Matilde che tenta di capire dall’odore quando<br />

i gamberi sono morti.<br />

Per un’attrazione quasi magnetica si ritrovano tutte e<br />

quattro da Domenico Zonza e si salutano in un ordine e<br />

secondo una gerarchia multipla e complessa. Matilde<br />

saluta Carmina che ricambia però non sorride e fa un<br />

piccolo inchino a Giacinta la quale risponde e si volta,<br />

rossa di colpo, verso Maria e poi si aggrappa con uno<br />

sguardo melanconico a Matilde che non vuole guardare<br />

Carmina.<br />

170<br />

Domenico si sporge dal banco con la carta straccia<br />

aperta su una mano e aspetta.<br />

– Quattro muggini, – ordina Carmina per prima.<br />

– Gamberi, mezzo chilo, – dice guardando il pescatore<br />

Matilde.<br />

Un chilo di ghiozzi per Giacinta.<br />

Un merluzzo per Maria.<br />

Carmina consegna il pacchetto alla cameriera e sparisce<br />

in mezzo alla gente. Matilde si allontana.<br />

Giacinta e Maria restano sole e la vecchia Marcellina<br />

prende il merluzzo e lo mette nella sporta di vimini.<br />

– Giacinta Làconi, vi devo parlare.<br />

– Anche io, Maria He ’Ftha. Vi parlo e vorrei volervi<br />

bene. Ma mia nonna è una vecchia dura, tanto dura che<br />

si è messa a fare dispetti al tempo. Consuma le mattonelle<br />

di casa sua, ma lei non si consuma.<br />

– È una donna coraggiosa, vero? E non mi vuole, lo<br />

so. Non crede che nel mio sangue ce ne sia abbastanza<br />

di quello del figlio. Mio padre Giovanni mi ha parlato<br />

poche volte in vita sua, senza neanche appoggiare la<br />

borsa che aveva sotto il braccio. Ma ogni volta mi ha<br />

detto, scappando, che mi voleva bene e ha sempre aiutato<br />

mamma Hana, lo sapete, Giacinta.<br />

Giacinta ha quello sguardo spento che piace a<br />

Mamùsa e gli chiama le voglie più profonde.<br />

– Maria, babbo aveva stabilito una rendita per vostra<br />

madre e ora nonna non vuole che la rendita venga trasferita<br />

a voi. L’eredità è vincolata alla sua volontà per-<br />

171


ché nostro, – e dice nostro, – padre le voleva bene…<br />

per lui la mamma era come la regia udienza, un codice<br />

vivente, una tavola delle leggi. Io per lei sono debole e<br />

senza volontà, ed è anche vero… Ho bisogno di una sorella,<br />

voglio parlare, parlare e parlare. E farò in modo,<br />

con l’aiuto dell’avvocato Mamùsa e con il tuo, di diventare<br />

tua sorella… Nonna cercherà di piegarmi perché<br />

sinora hanno fatto tutto quello che volevano di me…<br />

ma adesso io in solitudine non voglio vivere più e voglio<br />

mia sorella.<br />

Domenico Zonza guarda Giacinta da lontano e pensa<br />

al braccio grigio e peloso dell’avvocato Làconi trovato<br />

nel fondo della sua barca e all’uomo che ha visto saltare<br />

in mezzo ai sassi della casa diroccata del molo.<br />

Quel braccio gli appare in sogno durante le nottate in<br />

barca ed è la cosa più brutta della vita sua. Ma il vero<br />

spavento glielo ha procurato l’uomo che scappava tra i<br />

sassi. Ha visto anche il riflesso cattivo della lama. Non<br />

lo ha raccontato di quell’uomo e del coltello al maresciallo<br />

Testa. D’altronde era di spalle, lontano. Cosa<br />

avrebbe potuto testimoniare? Eppoi ormai dicevano<br />

tutti che l’avvocato l’aveva ammazzato la paura.<br />

172<br />

22<br />

Basilio Penna si è scelto la fisionomia dell’astuto con<br />

un pizzo aguzzo che punta sul suo interlocutore, gli occhi<br />

piccoli come ceci, i modi lenti e curvi come se dovesse<br />

perennemente insinuarsi in qualche spazio stretto<br />

e scivoloso. Rappresenta la camera degli avvocati<br />

della città e davanti alla prestanza giuridica di Marchi<br />

appare come un roditore che cerca sempre di rosicchiare<br />

qualcosa alla giustizia.<br />

– Eccellenza, nella mia qualità di presidente della camera<br />

degli avvocati…<br />

Marchi è di cartapesta: – Qualità?<br />

Penna ha iniziato a rosicchiare: – Nella mia qualità di<br />

presidente della camera degli avvocati sono qua per<br />

esprimere rimostranze non generiche ma articolate secondo<br />

logica legale e allo stesso tempo per lamentarmi<br />

come un comune abitante dei bassi o delle palafitte dei<br />

pescatori.<br />

La cartapesta di Marchi non è resistente come vorrebbe.<br />

Penna continua: – C’è un affare, un intrigo, un<br />

traffico e aggiungerei un avvelenamento che si diffonde<br />

in città. Voi, signor giudice, avete portato alla luce<br />

un commercio immondo di una sostanza che la natura<br />

173


ha donato agli uomini per alleviare il dolore. Abbiamo<br />

perfino appreso in questi giorni dalla stampa che il papavero<br />

sonnifero è coltivato anche in un villaggio della<br />

pianura ma la terra è così arida e i fiori sono così piccoli<br />

che non ne è venuto fuori granché, quasi nulla… qui<br />

crescono bene i fichi d’india, troppo vento per il papavero.<br />

Allora ecco le navi e i traffici con le terre dove invece<br />

il papavero ingrassa.<br />

Marchi unisce i polpastrelli e non interrompe il pizzo<br />

parlante di Penna.<br />

– E subito, accanto all’oppio che circola, si è manifestato<br />

il crimine, sino all’omicidio. Dunque, eccellenza,<br />

la camera degli avvocati, anche per la memoria di uno<br />

dei suoi componenti, Giovanni Làconi, ma soprattutto<br />

preoccupata dell’interesse generale - poiché è solo incidentale<br />

che una delle vittime sia un collega - vi chiede<br />

cosa la regia udienza ha intenzione di fare per interrompere<br />

questo abominevole legame tra la polvere del<br />

papavero e gli omicidi in città. Dobbiamo tollerare che<br />

continuino e che la pace sia bandita dalla nostra comunità<br />

pacifica? Dobbiamo costituirci come parte civile?<br />

Marchi si alza e cammina a passi lunghi con le braccia<br />

incrociate. Sta separando, tra le cose che pensa, quelle<br />

che può dire da quelle che non può. Non può ricordare<br />

all’avvocato Penna che il suo corpo, idoneo a intrufolarsi<br />

nelle fessure, anche in quelle più nascoste, ha fama<br />

di un corpo che usa alcuni dei suoi cinque sensi sino all’eccesso<br />

e sino alla depravazione. Non può ricordargli<br />

174<br />

puttane e ragazzine arrivate dai paesi delle montagne,<br />

ripulite con sapone e spruzzate di profumo. Tante altre<br />

cose non può dire a Basilio Penna che aspetta, seduto,<br />

pizzo all’aria. Per Marchi i pensieri pesano e si muovono<br />

lentamente nelle strade del suo cervello che non assomigliano<br />

ai vicoli tortuosi e bui della testa dell’avvocato.<br />

Allora si ferma e inizia così: – Negli anfratti si infilano<br />

i topi e gli uomini che hanno qualcosa da nascondere.<br />

Un vero anfratto è buio e perciò sarà anche poco visibile<br />

agli occhi della gente e di chi, in nome della regia<br />

udienza, cerca tracce e prove. Un lavoro difficile. Sono<br />

stati assassinati tre cittadini e una donna tunisina è<br />

morta, poveretta, uccisa da una quantità esagerata<br />

d’oppio che lei stessa si somministrava.<br />

– Voi sapete quanto me che non esistono leggi contro<br />

il commercio della polvere di papavero e che ben presto,<br />

concluso il minuzioso e severo interrogatorio, Perseo<br />

Marciàlis potrà lasciare la torre perché nulla sostiene,<br />

dopo le indagini, la sua colpevolezza riguardo all’omicidio.<br />

Non può stare nelle galere del regno perché<br />

carica e scarica oppio. Ne discende, avvocato Penna,<br />

che ciò che deve costituire lo scheletro di ferro di un’indagine,<br />

cioè i fatti messi su carta dove resteranno per finire<br />

negli archivi, noi questo scheletro non ce l’abbiamo.<br />

La memoria della giustizia è la carta e noi non scriviamo<br />

fantasie per accontentare né il consiglio della<br />

città, né la camera degli avvocati. Quando avremo - e li<br />

175


avremo - argomenti incontroversi sui tre omicidi o su<br />

uno di essi, allora, caro Penna, la procedura aprirà le<br />

sue ali grandi su chi ha ucciso l’avvocato Làconi, sua<br />

moglie Tea e Vincenzo Fois Caraffa. Quanto alla vostra<br />

intenzione di costituirvi non è certo una minaccia, è il<br />

diritto di una categoria di eccellenti cittadini che voi<br />

rappresentate.<br />

Marchi ha parlato immobile e questa immobilità che<br />

non si aspetta replica ha un po’ intimidito l’avvocato<br />

Penna abituato a sgusciare tra gli argomenti e i fatti, ed<br />

esercitato a formulare discorsi simili a palamiti, quelle<br />

lenze lunghe fornite di centinaia di ami. Perciò si alza,<br />

prende la sua borsa nera, abbottona la giacca nera, si<br />

inchina e si insinua nella porta socchiusa (una porta<br />

spalancata è troppo esplicita per lui).<br />

Percorre il corridoio lungo il muro e raggiunge, puntandolo<br />

con il pizzo, un gruppo di altri uomini con la<br />

borsa nera e la giacca nera in mezzo ai quali si infiltra<br />

per discutere come lui sa discutere.<br />

* * *<br />

È arrivato a cavallo un’ora prima dell’appuntamento,<br />

si è seduto all’ombra, sugli aghi di pino, aspira il profumo<br />

di resina e inizia a scrivere su un quadernetto. Compone<br />

versi, Efisio. Oggi cerca rime sulla bugia e nel suo<br />

rimario, che ha in tasca, ne ha trovato. Mentre aspetta<br />

Matilde l’incantesimo della bugia che tiene insieme i<br />

176<br />

fatti, che non starebbero in piedi in altro modo, lo ha<br />

emozionato e le palme delle mani gli prudono. Ma i<br />

versi non gli escono fuori perché, riflette, non esistono<br />

poeti bugiardi. Ha ragione il padre: l’ispirazione non<br />

segue le intenzioni.<br />

Non si tratta di una sola bugia ma di una serie coerente<br />

di menzogne. Una costruzione cinica e contenta come<br />

lo spirito di Efisio che oggi ha compiuto il giro concentrico<br />

per arrivare a Matilde la quale, però, anche lei<br />

bugiarda, dal centro del cerchio non si è mai mossa, ha<br />

fatto luce come un faro ed è rimasta ferma in attesa. Salvatore<br />

glielo diceva quando erano ragazzi: – Il diavolo<br />

salta sul nostro carro e noi ce ne accorgiamo solo all’arrivo.<br />

– Macché diavolo e diavolo… queste sono cose<br />

che invece nascono dall’innocenza e si viene al mondo<br />

proprio per sentirsi così come si sente lui ora. È naturale.<br />

Quasi nove anni con Carmina e gli ultimi trascorsi in<br />

silenzio. Ma rimuove subito Carmina, lei e il suo mutismo<br />

dispettoso.<br />

In mezzo ai pini vede il riverbero arancione di Matilde.<br />

Gli sembra di sentire l’odore di mentuccia. Mette<br />

via il quaderno e dimentica omissioni e bugie.<br />

* * *<br />

Oggi hanno liberato Perseo Marciàlis, dimagrito, un<br />

po’ ansimante, ma con le onde rosse in ordine.<br />

Questa sera può guardare da casa sua le lampàre dei<br />

177


pescatori dello stagno mentre mangia e aspettare che<br />

sia ora di bussare alla porta di Maria He ’Ftha. Però<br />

mormora di continuo: – La mia vita ha cambiato colore…<br />

– e cerca di capire quale colore abbia preso.<br />

Marcellina apparecchia e lui se ne sta in poltrona,<br />

ascolta e osserva tutto, la tovaglia, i bicchieri di cristallo.<br />

Poi si affaccia, guarda il cielo ma la calma non arriva.<br />

Gli sembra che il tramonto affamato oggi vuole mangiarsi<br />

tutto, stagni e montagne. Un terrore ha ammattito<br />

uno stormo di anatre che finiscono dentro questo<br />

rosso e scompaiono. Gli sembra che persino le nubi<br />

corrano a farsi ingoiare, e questo disordine in cielo lo<br />

spaventa ancora di più: gli tocca la <strong>carne</strong>. Magari risucchia<br />

anche lui e Maria.<br />

Torna dentro la stanza, chiude le finestre e tira le tende.<br />

– Marcellina, niente notte e niente sonno. Chiama<br />

Maria.<br />

178<br />

23<br />

Monsignor Alfio Migòni ha attuato anche lui, come<br />

Michela Làconi, una forma di economia del corpo, ma<br />

in un modo diverso che fa pensare più all’accumulo<br />

che al risparmio. È il tesoriere porcino del capitolo metropolitano<br />

e ha messo da parte - tra tutte le cose che<br />

mette da parte - anche le sue prediche da quando era<br />

giovane. Di anni ne ha ottanta e le prediche, ciascuna<br />

contenuta in una pagina, sono cinquecento anche se si<br />

possono riassumere in una cinquantina. Così i suoi parrocchiani,<br />

assistendo ai cicli delle prediche del reverendo<br />

Migòni se ne vanno all’altro mondo, quando è il momento,<br />

con pochi ma ribaditi princìpi religiosi.<br />

Tra le idee che, col ritmo degli equinozi e dei solstizi,<br />

ricorrono nella mente del monsignore c’è quella di recuperare<br />

dalle tenebre Michela, perché lo richiedono<br />

la pietà e i doveri di tesoreria. Ora che la vecchia ha<br />

subìto e superato - nella vicina cattedrale se n’è discusso<br />

a lungo - la morte del figlio, per non parlare di quella<br />

della nuora, una morte molto più leggera, a dare un peso<br />

ai morti, don Migòni e due chierichetti nerofumo e<br />

già pelosi bussano al portale di casa Làconi.<br />

La vecchia aspetta nel salotto in penombra e il prete<br />

179


è contento di questo fresco dopo la camminata al sole.<br />

Sul tavolino accanto alla poltrona dove siede il sacerdote<br />

ci sono un bicchiere di limonata e un bicchiere<br />

d’acqua del pozzo. Migòni si immagina che sia un tranello<br />

e che debba scegliere a dimostrazione della propria<br />

parca frugalità l’acqua e non la spremuta di limone<br />

zuccherata.<br />

– Bevete, reverendo, e badate che l’acqua e il limone<br />

sono tutt’e due per voi. Non ci ho versato una nuova<br />

polverina ricostituente che un medico mi ha ordinato<br />

perché non mi sembrate da ricostituire.<br />

– Una polvere che ricostituisce che cosa? Non tutti i<br />

medici agiscono secondo la morale naturale. Comunque<br />

se è una polvere fortificante per il corpo e non agisce<br />

falsando la mente e l’anima, allora è una buona cosa.<br />

Sarei interessato anch’io e, se il vostro medico è<br />

d’accordo, potrei farmi visitare…<br />

– Non c’è bisogno, don Migòni, fa bene a tutti, guardate<br />

me. Un giorno ve ne farò dono io stessa. Per ora<br />

bevete, i vostri polsi hanno tante pieghe quanto i polsi<br />

di un bebè, tenete benissimo il bicchierone che ho scelto<br />

per voi, bevete.<br />

Da alcuni anni ogni espressione viene perdonata a<br />

Michela. Un lasciapassare legato all’età e, soprattutto,<br />

alla sua austera concezione economica dell’esistenza<br />

contro la quale nessun prete in città aveva argomenti<br />

abbastanza solidi. Migòni, perciò, prova con la paura<br />

condensata in alcuni suoi sermoni proverbiali.<br />

180<br />

Si copre i polsi, allarga un poco il collare, guarda in<br />

alto e ripensandoci sceglie la limonata. Michela lo aveva<br />

previsto.<br />

– Sapete che gli ebrei del ghetto distinguono due crepuscoli?<br />

Il crepuscolo della colomba, l’alba, e il crepuscolo<br />

del corvo, il tramonto. C’erano molti vecchi oggi<br />

in chiesa e li ho osservati. Erano raggrinziti, incurvati,<br />

ma sereni. Hanno cantato con me Signore, salvaci dalle<br />

tenebre e se ne sono andati col passo dei vecchi verso<br />

casa e verso il crepuscolo del corvo. Loro non sanno<br />

perché ci sono i venti ma sanno che soffiano dove vogliono,<br />

non sanno perché ogni giorno devono sprofondare<br />

nel buio della notte e addormentarsi. Però hanno<br />

accettato tutti i misteri minori che vediamo ogni giorno<br />

perché sin da bambini sono stati toccati dal mistero<br />

maggiore. Mi capite, donna Michela?<br />

Beve un altro sorso di limonata e continua, con le mani<br />

appoggiate sulla pancia: – Il tempo, d’estate, ci dà la<br />

misura di quanta luce ci può essere dispensata per l’eternità,<br />

la sera il sole indugia a lungo e le tenebre smettono<br />

presto di strisciare intorno ai nostri letti perché<br />

l’alba è anticipata. Tutto è perfetto per qualche tempo.<br />

Pensate che da ottanta ore nessuno, in città, ha riconsegnato<br />

la propria anima al creatore perché, io credo, ci è<br />

concessa una grazia così luminosa da scacciare per un<br />

poco anche l’oscurità che ci avvolgeva prima di nascere.<br />

Così chi non pensa al mistero…<br />

Michela si sente un vigore addosso che, ne è convin-<br />

181


ta, le arriva anche dalle polveri indurenti di Efisio e siccome<br />

ha imparato a mandare il suo sangue dove le serve<br />

di più - negli intestini quando mangia e nella testa<br />

quando pensa - aspetta qualche secondo perché il cervello<br />

si rifornisca e poi interrompe il reverendo.<br />

– Don Migòni, da quando ero signorina, con un personale<br />

da signorina e tutto ciò che vi era annesso, ho<br />

una fede. Io sono lo spazio che occupo. E lo spazio si<br />

adatta a me. Nello spazio, sparsa in varie forme, c’è l’energia<br />

che mi tiene dritta, mi fa respirare bene senza<br />

tosse, mi procura l’acqua e un pochino di materia solida.<br />

La stessa energia, anche voi la sentite, si vede, fa<br />

crescere le zucchine che mangio ogni giorno e ingrassa<br />

il cavallo per il mio filetto della domenica. Non so nulla<br />

delle tenebre e non ne voglio sapere. Quando chiudo<br />

gli occhi per dormire vedo buio e non mi spavento.<br />

Quando chiuderò gli occhi per sempre vedrò buio per<br />

sempre, ma le cose necessarie perché la casa Làconi<br />

continui io le avrò messe da parte e difese da chi vuole<br />

impadronirsene. Che le tenebre striscino pure intorno<br />

al mio letto, tanto tutto striscia! Le nostre cose sono<br />

più importanti di noi perché durano di più. E anche io,<br />

don Migòni, durerò, durerò… non quanto le statue di<br />

Efisio Marini, ma durerò.<br />

Il prete ha finito la limonata e ora beve l’acqua miracolosa,<br />

lo dicono tutti, del pozzo di Michela. Riprende<br />

il sermone: – Vi fa onore non provare la paura e il terrore<br />

degli uomini, ma attenta! Potrebbe essere superbia!<br />

182<br />

– E vi sembro superba? Vivo come un uccellino in<br />

una gabbietta, mi massaggio le tempie per fare uscire<br />

dalla bocca qualche pensiero. Amministro, non rubo,<br />

conservo…<br />

La parola “conservo” fa apparire un riflesso argentato<br />

negli occhi del sacerdote, un piccolo lampo monetario<br />

che Michela vede e riconosce. E per lasciare una<br />

speranza a quel brillìo, dopo essersi sfregata con tutte<br />

le forze le tempie, dice: – Don Migòni, ecco cosa voglio…<br />

Una lastra di marmo bianco vicino a un’acquasantiera,<br />

un medaglione col profilo di mio figlio Giovanni<br />

e un’iscrizione che ho già in testa allontanerebbero<br />

le tenebre che la notte strisciano anche intorno a<br />

me e il capitolo sarebbe ricompensato come si deve.<br />

Una donazione a vostro nome, pensate, e restereste<br />

nella storia della cattedrale. Inoltre, e anche questo è<br />

poco, voi dovreste attestare che Michela Làconi, oltre<br />

che essere una donna generosa, è esentata dall’obbligo<br />

di andare alle funzioni, di sentire cori funebri e di cantare<br />

esorcismi contro la morte, visto che dalla morte si<br />

difende da sola.<br />

Michela ha un brivido, si accorcia un pochino, lo<br />

sguardo si sperde, le crolla la mandibola e si addormenta.<br />

Migòni se ne va con una contentezza leggera addosso<br />

che non sa spiegarsi.<br />

183


Quando non c’è vento, come stasera, le voci dei pescatori<br />

arrivano sino alla città e una calma d’olio rende<br />

immobili le acque. Le lampàre scivolano mentre nelle<br />

reti finiscono muggini, tartarughe e gamberi intontiti<br />

da tutta questa immobilità e dalla luna piena che li acceca<br />

più delle fiamme miserabili dei pescatori.<br />

Abbracciati sul divano davanti alla finestra aperta<br />

Perseo e Maria He ’Ftha si accarezzano. Lei passa la<br />

mano sulle onde dei capelli di Perseo come farebbe se<br />

fosse nella cassa.<br />

– Mangerai bistecche al sangue tutti i giorni sino a<br />

quando ritornerai com’eri prima. Non devi più parlare<br />

con Luxòro. Non devi più parlare con quello della collina.<br />

Non devi più parlare con Fabio Cancello e non devi<br />

più andare al suo ristorante. Tu, per loro non esisterai<br />

più e l’oppio che adesso è a Biserta lo venderai a Biserta.<br />

Perseo la odora sino a perdere il fiato e le sfiora le<br />

braccia scure e sottili: – Non è l’oppio che mi ha mandato<br />

in galera, Maria. Non c’è galera per l’oppio, lo sai.<br />

È che mi hanno sospettato di avere ucciso l’avvocato<br />

Làconi perché lo odiavo. E adesso che è morto e l’hanno<br />

fatto diventare una statua lo odio ancora di più.<br />

Ora, in questo momento, se mi dessero un maglio, lo<br />

farei a pezzi senza rimorsi e nessuno lo riconoscerebbe<br />

più.<br />

Riprende a fissare la pace della serata e non smette<br />

più di accarezzare Maria.<br />

184<br />

Lei ha capito che in tutta questa storia Perseo ha dovuto<br />

bere qualcosa di molto amaro, più amaro della<br />

cella arroventata dove lo hanno ridotto a metà.<br />

– Giacinta Làconi non la odio. Lei, in fondo, non ha<br />

nessuna colpa. Però, Maria, se il padre avesse lasciato<br />

una rendita anche a te forse avrei cambiato idea su<br />

quell’uomo… Invece, no, anche da morto fa male. Sei o<br />

non sei sua figlia?<br />

Maria sorride e si toglie la camicia bianca: – È donna<br />

Michela che non mi vuole… dice che sangue del figlio<br />

dentro di me non ce n’è… dice che è stato peggio per<br />

mia madre, peggio per lei se ha fatto quello che ha fatto…<br />

dice che era una donna sposata a un uomo lontano,<br />

di un’altra razza e di un’altra religione…<br />

Perseo l’abbraccia e gli sembra che i raggi della luna<br />

l’abbiano scaldata: – Maria, noi non abbiamo bisogno<br />

dei soldi di quella gente. Michela è una vecchia crudele<br />

e cosa vuoi che contino le poche gocce d’acqua che ha<br />

nelle vene in confronto al tuo bel sangue rosso. A marzo<br />

dell’anno che viene ci sposiamo e magari ce ne andiamo<br />

a vivere nella tua città. Se senti affetto per Giacinta<br />

e lei ti vuole bene vi vedrete, parlerete, può venire<br />

in questa casa quando vuole.<br />

Tutta la pelle di Maria è per lui. Si ricorda di colpo<br />

che dalla cella non si vedeva neppure un pezzetto di<br />

cielo e ora, invece, la luna enorme gli riempie gli occhi<br />

di luce e di lacrime senza vergogna.<br />

185


La paura si riposa.<br />

Ogni fatto ha prodotto una conseguenza. Belasco ha<br />

trovato una traccia ma il filo gli si è spezzato tra le mani<br />

e la schiena gli si è un po’ incurvata. Efisio ha immaginato<br />

e capito che si tratta di una matassa e non di un solo filo<br />

ma la sedimentazione delle idee è lenta e spesso lui ha<br />

gli occhi annebbiati dai riflessi di Matilde.<br />

La paura si riposa e riflette.<br />

Resiste la consapevolezza carnale di Giacinta. Era così<br />

anche da bambina. La memoria della <strong>carne</strong> è stata la prima<br />

a consolidarsi. Giacinta ha una coscienza del corpo<br />

così forte che oggi, a trentatré anni, i maschi se ne accorgono<br />

e la annusano quando passa anche se nessuno dice<br />

che Giacinta è bella. Perciò lei sviene quando Mamùsa<br />

la sconquassa. Ma la stessa <strong>carne</strong> sentimentale la spinge<br />

tutte le mattine da Maria He ’Ftha per cercare cosa ha in<br />

comune con lei e la guarda per ore.<br />

Michela - che alla <strong>carne</strong> pensa come prodotto perfettibile<br />

sino all’ordine geometrico del cosmo - ha commissionato<br />

la lapide per il figlio Giovanni, ha stabilito una<br />

scadenza, ha deciso l’iscrizione e, in capo a dieci giorni, è<br />

entrata, senza segnarsi, in cattedrale per assistere alla si-<br />

187


stemazione della lastra di marmo e definire la donazione<br />

al capitolo. Poi è tornata a casa a mangiare zucchine e a<br />

bere gocce d’acqua del pozzo, la vita lontana e la fiammella<br />

bassa.<br />

188<br />

24<br />

Una mattina di settembre, dopo una notte di agonia<br />

clemente, senza scosse e dopo molti salassi inutili,<br />

muore il corpo grasso di don Migòni. Un gran funerale.<br />

Efisio assiste mentre costringono Migòni a stare dentro<br />

una cassa snella e lunga. Guarda in cielo e vede ancora<br />

nuvole immense. Le fissa a lungo e di nuovo gli<br />

sembrano grandi nubi d’oppio, una fumata che stordisce<br />

la città.<br />

Ogni giorno, di sera, un’oscillazione dell’intelletto,<br />

anche a causa delle giornate mansuete e dei cieli addomesticati<br />

dopo i cieli selvatici, trastulla Efisio e lo intorpidisce.<br />

Così, tutte le volte che ripensa alle impossibilità<br />

della lucente Matilde gli viene in testa anche il tempo<br />

sommerso passato con Carmina.<br />

Il suo ciuffo è disperatamente giù. Ogni tanto ha<br />

una scossa di piacere, attratto da un’eco sentimentale,<br />

ma poi ricade per questo rollio delle idee che lo indebolisce.<br />

189


Questa mattina è nella sala d’aspetto del capitolo e<br />

aspetta don Armandino, l’elemosiniere della cattedrale,<br />

segretario del reverendo trapassato.<br />

– Sì, dottor Marini, io ho assistito all’agonia di padre<br />

Migòni e io l’ho unto. L’olio santo per il passaggio<br />

gliel’ho dato io… Ma lui sembrava già così beato che<br />

forse non ce n’era bisogno. Un uomo perfetto.<br />

– Perfetto?<br />

– Sì, nel senso che forse era già in stato di grazia e il<br />

mio olio era inutile. Forse…<br />

Tutti nel rione lo chiamano Gemito e don Armandino<br />

lo sa perciò si sforza di non sospirare e si tiene su: –<br />

Però ho detto forse, badate, forse era già in stato di grazia…<br />

ma non ne sono sicuro.<br />

Efisio sposta uno scintillìo biondo dalla fronte: è Matilde<br />

che gli gira per la testa. Ora però sente la puntura<br />

dell’attenzione.<br />

– Don Armandino, mi avete appena detto che monsignor<br />

Migòni forse era in stato di grazia quando è trapassato<br />

o forse no. Allora, prendo in prestito il vostro<br />

“forse” e vi chiedo: forse volete dirmi qualche cosa? È<br />

così?<br />

Armandino annoda le dita e la voce diventa un soffio<br />

cadente: – Sì, dottor Marini. Io so che voi avete la fiducia<br />

di donna Michela Làconi e della nipote Giacinta<br />

che qualche volta don Migòni confessava.<br />

– Confessava anche donna Michela?<br />

– No, lei non è mai entrata in chiesa che io ricordi, sal-<br />

190<br />

vo che per dirigere i lavori per la bella lapide del figlio,<br />

proprio una bella lapide con il profilo dell’avvocato ma<br />

un po’ abbellito. Comunque ho speranza che in vecchiaia<br />

la signora cambi. Ma non è di questo che volevo<br />

parlarvi.<br />

Snoda le dita, unisce le palme e puntella la voce: –<br />

Don Migòni è stato tranquillo tutta la notte, non ha articolato<br />

verbo, respirava calmo e sempre più debole<br />

nonostante la strofantina che il professor Falconi gli<br />

dava…<br />

– Gli è stata data strofantina e non ha reagito in nessun<br />

modo?<br />

– Nessun segno. Poco prima dell’alba, mentre gli<br />

asciugavo il sudore e lo aiutavo a calmare un terribile<br />

prurito grattandolo io stesso, il reverendo ha aperto gli<br />

occhi e la bocca…<br />

Gemito esala: – … e ha detto: “Nessuna assoluzione<br />

per chi toglie la vita… il bicchiere, il calice del demonio”.<br />

Ecco, dottore, guardate, l’ho scritto subito per<br />

non dimenticarmi.<br />

Con la forza di una reazione chimica un’idea si infiamma<br />

nella testa di Efisio, e la sente come un sale urticante<br />

che si è formato finalmente con le sostanze giuste:<br />

– Don Armandino, qualcuno della collina veniva in<br />

chiesa?<br />

– Lo sapete che non sono loro a venire da noi. Siamo<br />

noi che andiamo come missionari alle tombe. Ci guardano<br />

con quegli occhi incavati e si prendono il pane ne-<br />

191


o che gli procurano le terziarie di Castello. Don Migòni<br />

a volte andava alla collina e predicava all’aperto…<br />

– E qualcuno si confessava con lui?<br />

– Sì, in genere chi stava per morire. Ma sono pochi,<br />

sempre troppo pochi quelli della collina che si confessano.<br />

La palma nel terrapieno davanti alla chiesa si curva<br />

improvvisamente. I due si affacciano e vedono il golfo<br />

raggrinzirsi. Le montagne e la costa cambiano colore.<br />

Dal cielo spariscono tranquillità e nubi. Il vento del<br />

Nord si è imbizzarrito e solleva il ciuffo di Efisio, che<br />

chiude la finestra.<br />

Don Armandino si scusa, deve andare all’ospizio di<br />

Palabanda.<br />

Per strada, Efisio si ferma e lo guarda mentre si tiene<br />

la sottana, spinto in salita dal vento stretto e veloce nelle<br />

vie striminzite del quartiere.<br />

Efisio lega il cavallo e segue il sentierino polveroso<br />

della collina di sant’Avendrace dove i fiori spezzati delle<br />

agavi sono sparsi dappertutto. Qualcuno degli abitanti<br />

è all’aria. Uova di pidocchi e pidocchi, moccio,<br />

cerchi d’inchiostro intorno agli occhi, bambini con i<br />

capelli grigi, tutto sempre uguale alla collina.<br />

Si ferma dietro un costone, al riparo dal vento che è<br />

diventato rabbioso e impedisce di respirare se gli si va<br />

contro.<br />

192<br />

Dà una moneta a un nano adolescente: – Voglio parlare<br />

con Mintonio, quello con la dentiera.<br />

Si è portato il frustino per scacciare i cani però cani<br />

alle tombe non ce n’è perché preferiscono boccheggiare<br />

dietro a qualche folaga imprendibile allo stagno: qua<br />

non c’è nulla per loro.<br />

Neanche i cani ci vivono qua. Pensa a Matilde e alla<br />

cura che lei ha di sé e gli viene in mente il suo respiro,<br />

bello e leggero, senza intoppi.<br />

Poi da un lato del costone appare Mintonio con le<br />

braccia che arrivano a terra.<br />

– Mintonio, non avere paura. Ti devo solo fare qualche<br />

domanda. Io sono…<br />

– Lo so chi siete, siete quello che pietrifica i morti.<br />

Il vento è aumentato, precipita come un folle verso il<br />

golfo e dalla collina si vede il mare quasi bianco che si<br />

consuma.<br />

– Mintonio, io conosco i tuoi guai e so anche della<br />

dentiera comprata con l’elemosina.<br />

– Ieri è venuto il maresciallo che mi picchiava in carcere.<br />

Anche lui mi ha fatto domande e vogliono sapere<br />

perché vado al porto e chi mi fa la carità.<br />

Efisio alza la voce: – Luxòro, vero? È lui che ti fa la<br />

carità?<br />

Mintonio tiene la bocca aperta per la dentiera e non<br />

risponde.<br />

– Parlo io, Mintonio… Tu non sforzarti… Ascolta…<br />

Il capitano Luxòro deve distribuire il carico della nave.<br />

193


Gli servono braccia povere che portino qualsiasi cosa…<br />

vero? E tu, per un po’ di soldi, porteresti anche<br />

sacchi di sterco sulla schiena per tutte le salite della<br />

città. Tu credi di essere innocente come un animale. Tu<br />

dici che il cinghiale non sa cosa è il peccato quando azzanna<br />

i cani onesti, padri esemplari, che lo inseguono.<br />

Tu pensi - ma pensi, e innocente non sei - che il tuo stato<br />

giustifichi ogni cosa, tanto, voi della collina che ve ne<br />

andate all’altro mondo più veloci degli altri, siete fuori<br />

dall’ordine, dalle leggi, dalle cose…<br />

– Non c’è inizio e fine qui alle tombe… Con le stesse<br />

fasce dei bambini qui si fasciano i morti. Un sistema<br />

perfetto. È come essere sempre la stessa materia che si<br />

fa, si disfa e poi si rifà sempre nel medesimo luogo. Tanto<br />

è tutto ben chiuso in questo colle e voi siete già nelle<br />

tombe, vi fate trovare sempre pronti. Disfatti e poi rinati,<br />

una specie di miracolo, una resuscitazione. Perciò<br />

non volete preti da queste parti.<br />

Mintonio capisce solo una parte del discorso: quella<br />

faccenda della nave e del carico che potrebbe allontanarlo<br />

dalla sua tomba.<br />

Efisio è costretto a gridare perché il vento fa chiasso<br />

scaraventandosi dal costone: – Quel pezzo di stoffa,<br />

quella camicia a rombetti, è un’elemosina di Luxòro e,<br />

quella traccia che è piaciuta tanto a Belasco, è una traccia<br />

vera. Tu eri al molo, Mintonio, quando lo spavento<br />

ha ucciso l’avvocato e pensavi già a questi denti nuovi<br />

da mastino. È vero? Con chi eri?<br />

194<br />

Il cielo si è coperto di nuvole alte e la collina è illuminata<br />

a sprazzi solo dai raggi che trovano una via tra le<br />

nubi.<br />

Dal margine roccioso si sporgono una decina di teste<br />

nere. Mintonio solleva le braccia ma Efisio non capisce<br />

il significato del gesto.<br />

Vede le prime piccole pietre cadergli vicino e fa alcuni<br />

passi all’indietro. Poi si accorge che a ogni lancio le<br />

pietre sono più grandi e una lo colpisce a un piede. Così<br />

scappa zoppicando, ma fila veloce anche se è controvento,<br />

inseguito da dieci uomini che le croste hanno reso<br />

tutti uguali. Solo Mintonio è rimasto fermo.<br />

Arriva al cavallo, lo slega e lo frusta con tutta la forza<br />

dell’inseguito.<br />

Mentre trotta veloce verso Stampaccio pensa: Cannibali,<br />

devono essere cannibali… Poi sorride. Sarà questo<br />

vento che le fa muovere, ma le cose si muovono.<br />

Avevamo smesso di pensare, tutti.<br />

Adesso il cavallo cammina nella salita verso la regia<br />

udienza e sembra che rifletta insieme a Efisio, tutt’e<br />

due col ciuffo alto a ogni raffica, e pensierosi.<br />

– Lo abbiamo seguito. Luxòro gli fa la carità, è vero.<br />

Fabio Cancello, quello del ristorante, non gli fa nemmeno<br />

elemosine perché è troppo avaro: lo paga con poche<br />

monete per lavoretti da animale. Insomma, Mintonio<br />

stava meglio in galera, di sicuro.<br />

195


Efisio zoppica per la contusione al piede ma gira intorno<br />

alla scrivania di Belasco.<br />

– Maggiore, io non so se Mintonio sia un assassino.<br />

Per uccidere servono una testa, un’idea, un piano e soprattutto<br />

un motivo. Certo, dite voi, il motivo potrebbe<br />

essere una ricompensa e Mintonio in questo caso sarebbe<br />

un sicario. Ma anche il sicario è uno che sa ammazzare,<br />

che ha una capacità…<br />

– Per esempio, dottor Marini?<br />

– Per esempio lanciare una pietra sulla testa di un<br />

morto e sfondargliela. Oggi avrebbero potuto sfondare<br />

la mia, di testa, mettermi in una delle tombe, mangiarsi<br />

il cavallo e non sarebbe rimasta traccia di Efisio Marini<br />

il mummificatore. Anche tagliare un braccio a un morto<br />

potrebbe essere un altro lavoro degno di Mintonio.<br />

Lui non divide le cose in sporche e pulite.<br />

Belasco usa la voce da cerimonia: – Uccidere può essere<br />

molto semplice per una mente semplice… D’accordo<br />

su Mintonio, ma Luxòro, Cancello e Marciàlis?<br />

È tutto chiaro e definitivo, dottor Marini, commerciavano<br />

in oppio. Abbiamo scoperto che in questa città<br />

c’erano e ci sono mangiatori e fumatori d’oppio. E ci<br />

sono stati dei morti ammazzati.<br />

– Giovanni Làconi, Tea Làconi, Vincenzo Fois Caraffa<br />

e…<br />

Efisio non sente più il dolore al piede. Ha una sua<br />

idea e fa un altro nome: – Monsignor Alfio Migòni.<br />

Belasco fissa il giovane ossuto che non resiste, e ha risollevato<br />

l’indice magro.<br />

196<br />

– Cosa c’entra don Migòni, dottor Marini? Cosa?…<br />

– Il prete era anziano ma in buona salute. Ho parlato<br />

con il professor Falconi il quale l’ha assistito durante<br />

l’agonia che è stata serena come un tramonto di primavera.<br />

Ha detto proprio così Falconi e ha aggiunto di<br />

non aver mai visto una morte tanto bella, così bella che<br />

se l’è augurata anche per sé. Un volo angelico, ha detto<br />

Gemito.<br />

Efisio adesso parla per sé: – Anche io ho visto una<br />

morte così: Hana Meir sembrava che galleggiasse serena<br />

su un’onda scura ma benigna che la trasportava al<br />

largo come una foglia ancora verde ma già staccata dallo<br />

stelo. Anche lei si muoveva soltanto per compiere un<br />

atto all’apparenza banale: si grattava il petto e il collo,<br />

l’unica cosa che la disturbava era il prurito.<br />

Trattiene il desiderio di recitare, sa che l’altro si irrita<br />

se lui esagera.<br />

– Ora riflettete, riflettiamo, Belasco. Anche Migòni si<br />

grattava, anzi Gemito lo grattava con devozione: il prurito<br />

turbava la sua agonia.<br />

Gli scappa l’indice ancora più in alto.<br />

– Maggiore, voi sapete che l’oppio procura un tremendo<br />

prurito, come la morfina pura. E le pupille del<br />

prete? Falconi le ha controllate: erano grandi e profonde,<br />

come le pupille di Hana.<br />

Da Belasco viene fuori una voce bruna e cupa: – Il reverendo<br />

Migòni è stato ucciso con l’oppio, questo volete<br />

dirmi?<br />

Efisio è più alto e anche più bello: – Il laudano non la-<br />

197


scia tracce e poi don Migòni è morto quindici giorni fa.<br />

Però quel ‘calice’ che ha nominato durante un’agonia<br />

silenziosa deve avere un significato, deve averlo per<br />

forza, era un calice da cui aveva bevuto un piacere così<br />

grande che lo ha ammazzato. E quella specie di maledizione,<br />

la mancanza di assoluzione per chi uccide? Forse<br />

in un angolo della coscienza deformata dall’oppio<br />

aveva capito. La strada percorsa dal veleno per arrivare<br />

sino a monsignore possiamo provare a percorrerla anche<br />

noi e passa per quel calice. Temo che non sia una<br />

strada dritta, maggiore, e che, magari, non sia neppure<br />

una strada sola.<br />

Belasco quella strada incomincia a intravederla. Non<br />

sa dove porta, ma la vede: – L’oppio arriva al molo e lì<br />

prende diverse vie. Io affido di nuovo alle braccia della<br />

legge Perseo Marciàlis. Mi hanno detto che sta ingrassando,<br />

ma questa volta lo spaventerò tanto che qualcosa<br />

dalla sua bocca verrà fuori.<br />

– E poi pensiamo, maggiore, come se fossimo due<br />

viaggiatori saggi che osservano le cose dall’alto di una<br />

rocca. Dall’alto si vedono meglio le azioni degli uomini<br />

e i vicoli luridi che percorrono per non farsi vedere nelle<br />

strade principali, dove normalmente passeggiano<br />

con la cravatta annodata e la loro dama al braccio. Marciàlis<br />

è un uomo innamorato e ricambiato, non credo<br />

che pensi a uccidere… però, forse, qualcosa sa…<br />

Belasco ripete mentre esce dalla camera: – Io lo rimetto<br />

in galera.<br />

198<br />

Una bella mattinata di domenica, dopo la messa,<br />

Mauro Mamùsa è seduto alla sua scrivania e fa somme<br />

con la stessa fronte bassa e la medesima disposizione<br />

ingorda con la quale suo padre contava le pecore dei<br />

greggi altrui. Sono calcoli che lo fanno sorridere e la<br />

faccia bianca come il latte cambia colore e diventa rosa.<br />

Giacinta è nell’altro studio, lui allarga le narici e cerca<br />

di sentire ancora il profumo di lavanda che le ha già<br />

sentito in chiesa. Lo acchiappa in aria e improvvisamente<br />

si alza sbottonandosi i pantaloni.<br />

Dopo un po’ è seduto di nuovo alla scrivania e Giacinta<br />

è a pancia in giù sul divano, la faccia schiacciata<br />

sul cuscino, braccia e gambe a croce e il respiro forte e<br />

soddisfatto che Mamùsa ascolta dal suo studio.<br />

Riprende le addizioni e ricomincia a sorridere.<br />

Perseo piange nella cella più buia.<br />

Dal risvolto di uno stivale tira fuori un pacchetto,<br />

prende un pizzico di polvere, se la mette sotto la lingua<br />

e aspetta. Poi, quando sente il fresco dentro, ne prende<br />

un pizzico più grande. E poi ripete lo stesso gesto ancora.<br />

Sull’altra sponda del mare, dove l’altra città si specchia<br />

con questa città, c’è il raccoglitore di papaveri, ritornato<br />

per capire bene in quale direzione deve guardare,<br />

se vuol sapere dove sono gli esemplari di quella<br />

199


azza mista alla quale si è mescolato anche il sangue di<br />

sua moglie. Era il più bravo a spremere i papaveri sonniferi,<br />

sceglieva i migliori, i più gonfi di succo. Ha impiegato<br />

tre giorni per arrivare a questo porto dalla<br />

piantagione. Qui l’odore e la confusione lo stordiscono<br />

più della sua dose di gocce del papavero.<br />

Un marinaio gli fa vedere una bussola e gli spiega che<br />

la città che lui vorrebbe vedere è a due giorni di nave<br />

proprio nella direzione dalla quale oggi soffia il vento<br />

tanto forte che nessun pescatore è uscito.<br />

Il vecchio spolpato si siede per terra, guarda e pensa<br />

che non è così lontana quella gente e che lui è molto<br />

vecchio e vorrebbe almeno capire.<br />

200<br />

25<br />

– Quasi morto? Come sarebbe? Cosa significa quasi<br />

morto? Pesate bene le parole, maggiore!<br />

– Perseo Marciàlis si è ingoiato una dose d’oppio che<br />

poteva ucciderlo, eccellenza.<br />

Marchi perde le pose monumentali. Un prigioniero<br />

che cerca di ammazzarsi con una droga è un’esagerazione<br />

di cui non riesce a immaginare le conseguenze e,<br />

comunque, è un evento che lui non è riuscito a prevedere.<br />

È vero che il secondino Lecis ha trovato Marciàlis<br />

addormentato all’alba e, visto che non riusciva a farlo<br />

tornare in sé, ha chiesto aiuto: Lecis, in fondo, è anche<br />

lui un pezzetto di giustizia e la giustizia, col piccolo secondino,<br />

ha salvato Perseo. Questo pensa, più rapido<br />

del solito, il giudice: la giustizia è salva.<br />

Belasco guarda fisso davanti: – Il dottor Marini è arrivato<br />

alla conclusione che Marciàlis è sprofondato in un<br />

sonno artificiale ancora prima di finire tutto l’oppio<br />

che nascondeva negli stivali dove ne abbiamo trovato<br />

altri cinquanta grammi. Perciò non ne ha assunto una<br />

dose mortale: si è addormentato prima. Lecis dice che<br />

dormiva come un’anima beata. Marini ha sorriso dopo<br />

avergli tastato il polso, ascoltato il cuore e controllato il<br />

201


espiro. Ora il prigioniero è in una cella che dà sulla<br />

piazza, controllato e assistito.<br />

– Cosa fa?<br />

– Dorme ancora. Se vostra eccellenza lo desidera potrà<br />

parlargli questo pomeriggio, secondo il parere del<br />

medico. – Belasco sta ben dritto e guarda oltre il giudice:<br />

– Per quanto riguarda la mia condotta, mi sono già<br />

consegnato e lascio il comando della guarnigione del<br />

regio fisco al capitano Moretti.<br />

Marchi scrive per qualche minuto, poi asciuga il foglio<br />

e lo consegna all’immobile Belasco.<br />

– È l’ordine di scarcerazione di Perseo Marciàlis. Mi<br />

assumo il peso dell’arresto, di ciò che è accaduto e della<br />

liberazione. La camera degli avvocati può solo strepitare<br />

un po’. Io bado a ciò che resta scritto e non al vociare<br />

del pollame forense. Quanto al rappresentante del re,<br />

non credo che obietterà un bel nulla. Ascolterà annuendo<br />

quel miserabile dell’avvocato Penna, il quale,<br />

con la voce che gli viene dritta dal naso finirà con l’infastidirlo<br />

e la faccenda si chiuderà così. Voi, maggiore, riposatevi<br />

per una settimana, avete lavorato tutta l’estate.<br />

Siamo a settembre, è un mese adatto all’ozio… a ottobre<br />

ricominciamo a parlare e a ragionare. – Tentenna<br />

un poco e poi dice sottovoce: – Abbiamo, tutto considerato,<br />

ancora una volta fermato gli avvenimenti. Bene.<br />

Il giudice si alza e indica la folla in piazza dalla finestra:<br />

– Guardate questa gente, Belasco, venite alla fine-<br />

202<br />

stra. Vi sembrano capaci di intraprendere un’impresa?<br />

No di certo… Sono neri, piccoli, rissosi, pigri, mangioni,<br />

dormono dopo pranzi senza misura, hanno paura<br />

del mare e disprezzo per tutto quello che arriva da<br />

mondi diversi dal nostro. Ammazzare un uomo è<br />

un’impresa complicata! Come hanno potuto uccidere<br />

senza essere scoperti e perché hanno ucciso? Quando<br />

questa storia sarà finita vi manderò per un mese a Torino,<br />

maggiore, per vedere come funzionano le cose lassù.<br />

Non è una punizione, anzi, è una manifestazione di<br />

stima. Io vi stimo, Belasco.<br />

Efisio e Carmina sono al Gran Caffè. Salutano, s’inchinano,<br />

lui legge la Gazzetta che parla della liberazione<br />

di Perseo Marciàlis e si sofferma su una pagina intera<br />

che parla della schiavitù dell’oppio e racconta di un<br />

inglese celebre che ha pubblicato le sue confessioni dopo<br />

essersi liberato dallo “sciroppo incantato” che occupava<br />

a forza le sue giornate, così scrive il giornale,<br />

raccomandando la lettura del libro come vaccino contro<br />

la tintura di laudano.<br />

Carmina, Efisio la conosce bene, ha qualcosa di preciso<br />

da dirgli, perciò è rimasta zitta nel tragitto da casa<br />

al caffè, per non perdersi nei discorsi.<br />

– Tu hai trasformato casa nostra e io non posso sopportarlo.<br />

– Io ho il mio lavoro, Carmina, e un’idea da cui non<br />

203


torno indietro. Ho un progetto che fa troppo, troppo<br />

rumore, è vero, ma solo in questa città dove comandano<br />

commercianti, impiegati, topi e blatte… In un’altra<br />

città avremmo avuto una vita normale.<br />

Lei non vuole usare troppe parole: – Tu la porti a casa<br />

la morte e qualche volta si siede a tavola con noi. Hai<br />

un’idea, lo so. Ma ora c’è qualcosa che cambia tutto dal<br />

momento che la vita tu te la cerchi altrove e per te ora<br />

ha un altro odore e un altro colore diverso dal mio.<br />

Efisio vorrebbe andarsene, è fatto così. Quando il<br />

suo maestro scolopio lo scopriva in errore lui voleva<br />

tornarsene a casa e non parlarne più. Gli errori sono<br />

qualcosa di personale, di intimo che deve correggere<br />

da sé, non sopporta che qualcuno lo faccia al posto suo.<br />

Perciò, siccome non può scappare, si agita molto sulla<br />

sedia.<br />

Carmina ha un peso dentro che le toglie il respiro e<br />

affanna: – Voglio dire che tu a noi, a me, Vìttore e Rosa,<br />

porti in tutti i momenti del giorno, persino a letto, una<br />

polvere e anche un odore che viene dall’aldilà… ormai<br />

lo sento ovunque.<br />

Ora gli occhi di Carmina sono fissi sulle mani di Efisio<br />

che le sono sempre piaciute e si rattrista ma senza lacrime.<br />

– E cerchi sole, luce, allegria da altre parti sennò ti annoi.<br />

La noia. Sì, vedi, mi sono convinta che il problema<br />

è che tu a me hai detto già tutto e io non sono più interessante…<br />

tu mi hai consumata come un libro. Mi hai<br />

204<br />

letta e forse riletta. Ora pietrifichi i morti e ogni giorno<br />

ti chiedono una pietrificazione, qualche pazzo si è già<br />

prenotato. Me lo hai ripetuto tante volte: è la tua idea<br />

dominante, non c’è niente da fare. Sì, Efisio, mi hai parlato<br />

troppo e forse è anche colpa mia che non ascolto<br />

più. E ora cerchi, e magari l’hai trovata, una persona<br />

che ti ascolta mentre tu scegli belle parole in cima a una<br />

roccia… che si rende conto quanto sei intelligente e capace<br />

di entrare nelle cose quando le cose ti interessano.<br />

A me cosa puoi dire più? Che hai pietrificato questo e<br />

quello? Meglio il silenzio.<br />

Finiscono la granita, si alzano e si avviano verso casa,<br />

senza più parole.<br />

205


26<br />

Un senso di solitudine amarognola ha preso il sangue<br />

buono di Belasco. Dopo la liberazione di Marciàlis, per<br />

qualche giorno si è sentito inutile e incapace di usare le<br />

idee e ha incominciato a odiarle. Ancora di più odia le<br />

parole e rimugina una frase di Tea Làconi: Le parole sono<br />

uno scandalo. Basta con le parole e basta con le costruzioni<br />

di idee. Esistono solo i fatti e le cose che avvengono.<br />

Invece, soprattutto all’alba, gli tornano in<br />

mente le parole inutili.<br />

Anche Efisio, ma il maggiore non lo sa, prova nausea<br />

per le parole e si è rinchiuso in istituto a pietrificare e<br />

pietrificare, aspettando idee e ispirazione.<br />

Ma la solitudine diventa per Belasco in poco tempo<br />

una tristezza che lo rinchiude in un’oscurità anche materiale<br />

giacché - libero per sette giorni - ogni mattina,<br />

curvo, dopo il risveglio flaccido che vorrebbe rimandare,<br />

si alza e si chiude in camera, con gli scurini accostati<br />

sino all’ora di pranzo.<br />

Però non sa che le idee, spesso, sono un fenomeno involontario<br />

e non si possono rifiutare, arrivano.<br />

Mentre guarda da ore la grande pianta di croton pensando<br />

che bisogna innaffiarla, gli appare, proprio da-<br />

207


vanti agli occhi, un dubbio, che gli fa l’effetto di un bicchierino<br />

d’acquavite e lo stordisce. Poi, però, prende<br />

una forma.<br />

E allora, contemporaneamente al dubbio vede gli occhi<br />

appuntiti di Efisio, si ricorda che il mummificatore<br />

dice sempre: Quanti errori e quante risate prima di arrivare<br />

alle mie statue, quanti errori!<br />

Si alza e si alliscia i capelli, la schiena si raddrizza, la<br />

voce gli suona di nuovo bene alle orecchie e la prova.<br />

– Don Armandino, sì, insomma, Gemito, nessuno ci<br />

ha pensato a chiedere a lui. Per colpa di un po’ di malumore<br />

dovrei accettare un assassino di preti libero in<br />

questa città? Passi per gli avvocati, anche se non ammazzano<br />

quelli giusti. E poi dopo don Armandino corro<br />

da Efisio Marini, devo parlargli di una mia idea, piccola,<br />

magari sbagliata, ma è un’idea!<br />

Indossa la divisa che lo fa sentire più forte, e legnoso e<br />

lustro arriva in mezz’ora di passo energico alla porta<br />

del capitolo.<br />

È stato solo qualche giorno di melanconia.<br />

Gemito suda perché Belasco ha la voce dello sbirro in<br />

cerca.<br />

– Maggiore, veniva tanta gente ogni giorno, non posso<br />

ricordarli tutti. Don Migòni lo conoscevano in tanti,<br />

in città.<br />

– Voi eravate il suo segretario, don Armandino. Vi ri-<br />

208<br />

corderete a quanto ammonta la donazione di Michela<br />

Làconi.<br />

– Questo sì, anche se non so… – esala Gemito, – anche<br />

se non so se posso riferirlo. Se ne sono occupati materialmente<br />

l’avvocato Mamùsa e la signorina Giacinta,<br />

anche se lei è sempre così distratta.<br />

– E hanno parlato con don Migòni, l’hanno incontrato?<br />

– La signorina Làconi e l’avvocato Mamùsa sono venuti<br />

la mattina… hanno portato qualche dono… – sospira:<br />

– … poi, a mezzanotte, il reverendo mi ha mandato<br />

a chiamare, stava male e ha iniziato la sua agonia.<br />

All’alba, l’ho unto. Come era in pace… Era beato, ne<br />

sono certo. Le parole che ha pronunciato: “Nessuna<br />

assoluzione per chi toglie la vita… il calice del demonio…”<br />

venivano da una mente che non c’era più e il suo<br />

essere non era più quello di padre Migòni, lui, quello<br />

vero, era già volato via. E pensare che era così sereno a<br />

cena… ha bevuto e mangiato contento, in letizia… lui<br />

tutto in letizia faceva…<br />

A Belasco, la tristezza è proprio scomparsa: il calice,<br />

il calice!<br />

Marini, deve trovare Efisio Marini.<br />

* * *<br />

– Sì, maggiore, i fatti vanno spesso più veloci delle<br />

idee, avete ragione.<br />

209


– Dottor Marini, sono rimasto cinque giorni rinchiuso<br />

e non volevo più pensare. Poi mi sono accorto che le<br />

idee, anche se non le vuoi, anche se non le cerchi, ti vengono<br />

addosso.<br />

Efisio e Belasco passeggiano lungo le mura di santa<br />

Cristina e guardano il tramonto che in quel momento è<br />

al punto d’equilibrio tra tenebre e luce. Un istante e inizia<br />

a scurire.<br />

– Anch’io ho riflettuto, maggiore, e anch’io mi sono<br />

rinchiuso, lontano dai fatti e dalla gente che mi distrae.<br />

Ma non ci sono riuscito, intristisco, non mangio e smetto<br />

persino di dormire. Ho bisogno di spazio. Questa<br />

mattina sono andato alla spiaggia, le dune sono più belle<br />

in questo mese e non abbagliano. Ho remato e pescato<br />

qualche occhiata. Sapete di cosa mi sono convinto<br />

durante tutto questo tempo in ozio?<br />

Belasco aspetta la risposta ed Efisio continua: – Marciàlis,<br />

Luxòro e quell’oste, Cancello, sono commercianti<br />

d’oppio, forse lo vendono. Marciàlis lo regalava<br />

ad Hana Meir, lo usa lui stesso e lo usa con Maria He<br />

’Ftha, lo mettono nel caffè… sono magari spregevoli,<br />

oppure, secondo don Armandino, sono dei peccatori,<br />

ma non sono assassini. Chi di questi sarebbe potuto<br />

entrare a casa di Tea Làconi, spingerla al balcone e costringerla<br />

a buttarsi? Tea non li avrebbe neppure fatti<br />

entrare. Chi di questi poteva avvicinarsi a don Migòni<br />

e convincerlo a bere qualche brodaglia all’oppio? Nessuno.<br />

Ci siamo fatti allontanare dai fatti, maggiore.<br />

210<br />

Noi dovevamo cercare un omicida, o più di uno, e non<br />

dare la caccia a qualche vizioso furfante. Non ci abbiamo<br />

fatto una bella figura, Belasco. Di Mintonio non so<br />

cosa credere. Quello forse non è neppure un essere<br />

umano e, comunque sia, non sa neppure cosa è la colpa,<br />

non distingue. Abbiamo fatto cilecca, maggiore, cilecca.<br />

Belasco per la prima volta, da quando conosce l’indice<br />

di Marini, sorride. Ha qualcosa da dire che non richiede<br />

l’uso indecoroso di molte parole: – Mamùsa e<br />

Giacinta hanno incontrato monsignor Migòni nel suo<br />

studio al capitolo la mattina. La notte Migòni ha iniziato<br />

la sua agonia.<br />

Fa una pausa perché vede che Efisio si è di colpo<br />

scarmigliato e poi continua: – Ora io vi domando, dottor<br />

Marini, siete ragionevolmente convinto che il prelato<br />

sia morto per l’oppio introdotto nella stanza del capitolo<br />

da mani che volevano eliminare il povero prete?<br />

Magari un regalo sotto forma di dolce, di bevanda, diluito<br />

nel vino… in un calice.<br />

Ormai è quasi buio e il lampionaio sta terminando il<br />

suo giro.<br />

Efisio non pensa al ciuffo, non pensa ai morti, dimentica<br />

Matilde e Carmina e gli occhi neri fanno luce: – C’è<br />

fresco stasera! Fa bene, mantiene vispi. Io non ho risposte,<br />

maggiore, ma ho come la sensazione di aver iniziato<br />

un viaggio con voi e mi piacerebbe concluderlo.<br />

D’altronde un titolo per partecipare agli eventi ce l’ho.<br />

211


– Sorride: – Sono il mummificatore di fiducia di casa<br />

Làconi e di Maria He ’Ftha…Voi avete introdotto una<br />

novità nel ragionamento, una novità importante dato<br />

che sono convinto che quell’improvvisa agonia senza<br />

segni, senza paralisi e senza dolore, sia stata causata<br />

dalla morfina. Persino la digitale non ha risvegliato il<br />

cuore del prete che se n’è scivolato via, al largo, esattamente<br />

come Hana Meir. E ora voi mi dite che Giacinta<br />

Làconi e Mauro Mamùsa sono andati da lui…<br />

Belasco allarga il sorriso. Efisio continua: – Don<br />

Migòni ucciso con grazia durante la notte dalla morfina,<br />

la visita di quei due in mattinata… La vostra informazione,<br />

maggiore Belasco, assume un’importanza<br />

che nessuno può contestare. Mamùsa, insomma, è<br />

molto più sospettabile di Marciàlis e di Luxòro. Non<br />

sapete se ha portato qualche dono al prete?<br />

– No. Però don Armandino non ricorda, quindi non<br />

è escluso.<br />

– Mamùsa… Bisogna interrogarlo.<br />

– Mamùsa è un avvocato di uno studio importante in<br />

città. Lo capite, vero?<br />

Gli occhi di Efisio si sono accesi come due lampioni:<br />

– Voi non potete, certo. Ma io posso, posso parlare con<br />

l’avvocato Mauro Mamùsa. Però… – si interrompe: –<br />

Però c’è una persona che sente più di tutti il peso delle<br />

parole e dei fatti e ha una faccia che soffre senza interruzione.<br />

Parlo prima con lei.<br />

212<br />

27<br />

Appena entra nello studio del Bàlice, Efisio sente l’odore<br />

di bestia selvatica. Un praticante lo ha fatto sedere<br />

in una stanzetta grigia che serve come cella di riflessione<br />

per i clienti e ha aperto la finestra perché quell’odore<br />

gli ricorda qualcosa di brutto ma non sa cosa.<br />

Aspetta l’avvocato Mamùsa che deve tornare dalle<br />

udienze. Non c’è neppure Giacinta.<br />

Accende un sigaretto e si affaccia al davanzale.<br />

Alla fine della fumata vede camminare rasente il muro,<br />

la borsa nera stretta sotto l’ascella, il bianco avvocato<br />

con la redingote che luccica al sole.<br />

Mamùsa imbocca il portone dello studio.<br />

– Avvocato, sono contento che Giacinta Làconi non<br />

sia qui. In ogni caso avrei domandato un colloquio riservato.<br />

– Non vedo Giacinta da ieri, dottor Marini.<br />

– Io l’ho incontrata questa mattina a casa sua, le ho<br />

parlato a lungo ed è meglio che non senta quello che<br />

sto per chiedervi.<br />

213


Mamùsa è latteo e ha due canali azzurrognoli intorno<br />

agli occhi. Gli occhi. Efisio pensa che quell’assenza<br />

di espressione sia il frutto di un lungo esercizio ma anche<br />

un carattere trasmesso da una specie indifferente<br />

alle cose della natura e, di conseguenza, anche al sangue.<br />

Improvvisamente capisce che questo odore di bestia<br />

feroce, che qui nello studio è ancora più forte, è<br />

proprio l’odore dell’avvocato e che non esiste sapone<br />

capace di coprirlo.<br />

La paura gli dà un pizzico però; e siccome gli fa rabbia<br />

provare paura, per dispetto inizia a usare le parole<br />

come un punteruolo anche se ha capito che Mamùsa,<br />

per arte appresa e per istinto, aspetta che siano gli altri<br />

a parlare.<br />

– Voi sapete che Giovanni Làconi è morto di spavento,<br />

lo sanno tutti.<br />

Mamùsa avvicina la sedia alla scrivania ed Efisio riconosce<br />

la sensazione di piacere nel far da cardine agli<br />

avvenimenti.<br />

– La paura. La paura non è una cosa che si pensa. È<br />

come la fame e la sete. Se si potesse riflettere quando la<br />

paura arriva al cervello, tutto sarebbe diverso e la paura<br />

sarebbe meno potente. Giovanni Làconi non ha<br />

pensato, si è sentito il laccio intorno al collo ed è morto<br />

subito di terrore. Ma ragionare, mettere le idee una<br />

dietro l’altra non gli sarebbe bastato.<br />

L’indice di Efisio è all’erta: – Avvocato, se avete un<br />

po’ di tempo da dedicarmi, farò un discorso che vi<br />

214<br />

sembrerà spezzettato, a momenti, senza rispetto per<br />

l’ordine delle cose.<br />

– Ascolto.<br />

– Il reverendo Migòni ha iniziato la sua agonia, che<br />

tutti in città credono l’agonia serena di un santo, dopo<br />

cena. La mattina ha ricevuto più visite tra le quali, dice<br />

don Vincenzino, la vostra. E anche al prete, forse, è<br />

toccata una morte che non gli spettava ancora.<br />

Mamùsa non si muove. Efisio non sente solo piacere<br />

perché all’improvviso la memoria gli procura qualche<br />

dolore.<br />

– Ora ci tocca fare un salto indietro. Giovanni Làconi<br />

aveva predisposto diverse donazioni. Una donazione<br />

per Hana Meir che è “tra i più” i quali si chiamano<br />

così perché sono più numerosi di noi che siamo ancora<br />

qua. E un’altra donazione per il teatro, nella persona<br />

di Vincenzo Fois Caraffa, che ha diminuito anche lui il<br />

nostro numero perché qualcuno lo ha avvelenato con<br />

l’oppio. E poi…<br />

Efisio ora sente spilli dappertutto, prova un bruciore<br />

alla testa, in fondo, dove si formano i sentimenti.<br />

– … e poi Tea. Era la moglie di Giovanni e il grosso<br />

del lascito sarebbe arrivato a lei…<br />

Mamùsa aggiunge piano: – E a Giacinta.<br />

– Parleremo poi di Giacinta, se volete. Adesso vorrei<br />

ancora parlarvi di Tea che avrebbe ereditato e, magari,<br />

amministrato il patrimonio di Giovanni, – si guarda intorno,<br />

– compreso questo studio, ciò che contiene e<br />

215


ciò che vi è connesso, tutto l’intreccio di vicende complicate<br />

che un avvocato, quando muore, non si porta<br />

dietro ma lascia invece come erba amara per chi resta.<br />

Però anche Tea è morta assassinata.<br />

L’odore di bestia selvaggia è diventato più forte. Efisio<br />

si alza e, senza domandare, apre la finestra. Resta in<br />

piedi vicino alla luce, da cui si sente protetto.<br />

– Ma un diversivo ha distratto tutti, anche me, da<br />

un ragionamento che doveva portarci a un’unica causa<br />

che ha mosso le cose, che doveva farci seguire un<br />

unico filo nero: quello dell’interesse, dell’avidità e del<br />

possesso. Ci ha distratto l’oppio, il commercio dell’oppio:<br />

una novità, uno scandalo per questa città di<br />

bottegai. E l’oppio ci ha fatto immaginare, anche senza<br />

farne uso, mondi fantastici, criminali fantastici,<br />

l’Africa, porti lontani e deserti… Ma un criminale poco<br />

fantastico ha ucciso sotto il nostro naso tre, forse<br />

quattro, esseri umani mettendoci tutta la cattiveria<br />

possibile. Cattiveria. Sì, avvocato, anch’io ho pensato<br />

che tutta questa crudeltà arrivasse dal mare, da lontano.<br />

E invece dovevo voltarmi, dare le spalle all’acqua<br />

e ricordare l’anima sanguinaria che abita nei monti<br />

della nostra isola, che il male lo produce da sé come il<br />

formaggio e la ricotta.<br />

Mamùsa ha capito però non cambia colore né sguardo:<br />

– Marini, voi fate imitazioni della <strong>carne</strong>, qualcuno,<br />

superstizioso, crede che voi abbiate preso le misure all’eternità<br />

e può perfino immaginarsi che Giovanni Là-<br />

216<br />

coni e sua moglie aspettino lì, pronti ad alzarsi e a indicare<br />

l’assassino. Però la giustizia richiede fatti.<br />

Ora il piacere è arrivato dappertutto, in ogni parte di<br />

Efisio.<br />

– Qualche volta anche la giustizia si accontenta di<br />

qualcosa di simile alla realtà. E io ho in testa un’idea<br />

che mi fa male da quanto è cresciuta. Vi dicevo che ho<br />

provato a seguire la traccia nera dell’avidità, che ho dato<br />

le spalle al mare e guardato i monti dove tanti villaggi<br />

sono uniti solo dalle strade disegnate nelle cartine piemontesi,<br />

dove i matrimoni sono sempre più stretti e le<br />

teste più malate. Molta cattiveria viene da lì. Ma queste<br />

sono considerazioni sentimentali. Fatti volete, Mamùsa,<br />

fatti? Intanto vi dico che per uccidere un uomo è<br />

meglio essere in due, è più sicuro. L’omicidio non è un<br />

atto eroico e bisogna essere prudenti. Uno dei due si<br />

strappa la camicia a rombetti… è distratto e lascia una<br />

taccia.<br />

– E il secondo?<br />

– Beh, il secondo è quello che comanda, non suda,<br />

non si strappa i vestiti. Il secondo è quello che conosce<br />

le abitudini di Giovanni, decide come ammazzarlo e<br />

utilizza i simboli dell’umiliazione dell’ucciso come si<br />

usa dalle parti sue. La vittima deve essere annichilita anche<br />

nella <strong>carne</strong>, sfregiata. Che il corpo non risorga davvero<br />

mai più e che l’atto orrendo sia ricordato sempre.<br />

– Dottor Marini, ora parlatemi della morte di Tea, vi<br />

ascolto.<br />

217


Un’altra onda di piacere.<br />

– Tea ha aperto la casa a qualcuno che conosceva,<br />

magari gli ha sorriso. Lo ha fatto entrare e poi lui l’ha<br />

spinta giù dalla finestra. Tea non ne voleva sapere di<br />

quel volo, ha reagito, si è aggrappata e l’assassino ha<br />

pugnalato le dita che restavano artigliate alla ringhiera.<br />

Forse uno di quei coltelli che usano i pastori dalle vostre<br />

parti.<br />

– E Fois Caraffa?<br />

– Anche lui ha aperto a un conoscente, anche lui,<br />

magari ha sorriso, ma quello l’ha bastonato, stordito,<br />

legato e ingozzato d’oppio.<br />

– E il reverendo Migòni?<br />

– Un goloso che ha bevuto un ricostituente esagerato…<br />

Magari gli è stato offerto da qualche visitatore<br />

nemmeno tanto devoto e lui se l’è scolato a cena. Tanto,<br />

ha pensato il generoso donatore che regala bibite<br />

all’oppio, non resta un segno visibile di quella bevanda.<br />

Efisio sente una stanchezza che allontana un po’ il<br />

piacere e vorrebbe fare un sonno breve, come la vecchia<br />

Michela, però continua: – Questi fatti marciano<br />

uniti come una falange verso un punto: tutti i morti<br />

erano un ostacolo alla conservazione e all’integrità del<br />

patrimonio che Giovanni Làconi, messo al mondo per<br />

questo scopo, ha costruito guastandosi nell’aula della<br />

regia udienza. Tea era la nuova padrona dopo la morte<br />

del marito? Ha preso il vento ed è volata via all’altro<br />

218<br />

mondo. Fois Caraffa e Migòni pretendevano denari?<br />

Ora navigano con la marea più nera. Adesso è tutto di<br />

Giacinta.<br />

Mamùsa non cambia colore: – Avete parlato con<br />

Giacinta questa mattina… Lei all’inizio della giornata<br />

è più debole… Poi si sente meglio come il tempo passa.<br />

Efisio si affaccia, guarda verso il Bàlice come se<br />

aspettasse qualcosa, poi sorride, si avvicina alla scrivania:<br />

– Giacinta, Giacinta! Vedete, Mamùsa il pazzo, –<br />

l’avvocato resta bianco ma gli occhi diventano rossi e<br />

lucenti. – Quando si utilizza un perno, qualsiasi meccanico<br />

lo sa, questo ha il compito di resistere alle forze<br />

che deve reggere. Se il perno cede tutto crolla.<br />

Mamùsa ha una vertigine che lo colpisce come uno<br />

schiaffo. Ha capito, ha proprio capito.<br />

Efisio l’ha chiamato pazzo e lui, come certi pazzi,<br />

non cambia espressione però lacrima.<br />

– Cosa volevate da Giacinta, dottor Marini?<br />

Giacinta la debole, che lui assaliva e sconquassava e<br />

poi ogni volta si doveva ricomporre da sola dopo tutta<br />

quella forza che lui le rovesciava addosso e la mandava<br />

fuori di sesto.<br />

Efisio lo frusta ancora: – Ho parlato con Giacinta. Il<br />

perno si è rotto, Mamùsa. L’assassino ha proprio sbagliato…<br />

credeva di essere il padrone di Giacinta…<br />

magari sposarla poi, se serve, ammazzarla… Ci sono<br />

tanti modi… Però Giacinta si è spezzata…<br />

219


Mamùsa prova con le parole: – L’assassino poteva<br />

uccidere anche Michela… No, per lei basta aspettare<br />

un poco, qualche anno.<br />

Efisio è scuro e una piega nuova gli compare in fronte:<br />

– Michela prende le sue precauzioni, si protegge e<br />

vivrà più di noi. Non aprirebbe la porta neppure a voi,<br />

Mamùsa. Non beve veleni.<br />

Guarda di nuovo fuori dalla finestra… sono arrivati:<br />

– Giacinta ha parlato.<br />

Bussano. Non è il tocco di Giacinta che poi entrava<br />

con lo sguardo di chi non pensava più. Bussano di<br />

nuovo.<br />

Mamùsa chiude gli occhi e parla improvvisamente<br />

come un poeta: – Avevo trovato consolazione e l’ho<br />

perduta azzannandola. Ho morso quello che non potevo<br />

mordere.<br />

220<br />

28<br />

Le stagioni nell’isola e in città sono solo due, quella<br />

calda e quella fredda, e si succedono con mutazioni<br />

violente che privano la natura e gli uomini delle sfumature<br />

e della dolcezza che le stagioni di mezzo portano<br />

con sé. Gli alberi non ingialliscono in autunno ma diventano<br />

improvvisamente scheletri. Mandorli e ciliegi<br />

non germogliano e poi fioriscono ma una mattina d’inverno<br />

li si vede ricoperti di fiori asfissiati.<br />

Così l’autunno ha portato l’estate sino a dicembre e<br />

oggi, all’improvviso, è il primo giorno freddo d’inverno.<br />

I canneti dello stagno tremano e rinsecchiscono di<br />

colpo e l’odore dolciastro della decomposizione scompare.<br />

Oggi appendono Mamùsa.<br />

Efisio è uscito di casa col buio, ha lasciato il cavallo al<br />

promontorio e ha camminato e camminato. La sabbia è<br />

più pura col freddo. Parla da solo e usa le parole come<br />

consolazione. Il mare gli dice che il mondo è una cornucopia<br />

e che il sole scioglierà la nebbia. Ma quando si<br />

volta e vede la città alta ancora nella foschia e il profilo<br />

221


lattiginoso della torre dei prigionieri allunga il passo<br />

nella direzione opposta.<br />

È ingrassato negli ultimi giorni perché mangiava di<br />

più per la paura e passava il tempo a digerire qualcosa<br />

lentamente e con dolore.<br />

Sono entrati con la prima luce cruda del giorno e<br />

l’hanno trovato che camminava in tondo nella cella piccola.<br />

Gli hanno portato latte caldo e un bicchierino<br />

d’acquavite. Beve il latte ma tutti gli organi lo rifiutano<br />

perché sanno che non saranno mai più nutriti, e vomita.<br />

Allora butta giù l’acquavite, che non è un nutrimento.<br />

Gentili, gli poggiano una mano sulla spalla, lo fanno<br />

sedere e con le forbici tagliano il colletto della camicia.<br />

Il collo incomincia da adesso a sentire quello che gli deve<br />

succedere, si irrigidisce e gli fa male.<br />

Mauro Mamùsa inizia a tremare e sente cose che non<br />

capisce. Qualcuno gli tocca le vertebre sotto la nuca.<br />

Lui lascia fare e chiude gli occhi. Non è possibile, non<br />

è possibile… Rumina ancora il sapore dell’alcol bianco.<br />

Dice solo che ha freddo e gli danno un giaccone di<br />

panno.<br />

Si massaggia gli occhi, li schiaccia nelle orbite e riprende<br />

a camminare veloce nella cella perché la velocità<br />

è l’unico anestetico possibile mentre sente le parole<br />

a un solo tono recitate dal prete.<br />

Gli danno altra acquavite. Gli legano i polsi dietro la<br />

222<br />

schiena. Vorrebbe chiedere dov’è Giacinta però la voce<br />

non esce fuori.<br />

Poi lo portano in un’altra cella.<br />

Qui sente un odore noto, guarda in un angolo e la riconosce<br />

anche se è vestita di sacco. Adesso Giacinta<br />

sembra il babbo Giovanni perché la sofferenza della<br />

punizione le ha cancellato ogni particolare femminile<br />

ed è rimasto quello che i geni del padre le hanno trasmesso:<br />

una pelle povera e una <strong>carne</strong> qualunque.<br />

Mauro Mamùsa non vuole ricordarla più, non gliene<br />

importa di cosa le succederà perché ora è occupato tutto<br />

dalla sua paura. Eppure qualche volta ci aveva pensato<br />

che poteva finire così, ma non si era fermato.<br />

Lo devono appendere alle otto.<br />

Quando esce dalla torre sente un freddo da fare rabbia.<br />

Perché non lo coprono? Perché tanto non si può<br />

più ammalare? Ammalarsi e morire sfinito dalla malattia<br />

non può. C’è una luce da panico. Perché non lo uccidono<br />

al buio?<br />

* * *<br />

Ecco il carro. È scoperto. C’è vento. La mia <strong>carne</strong>,<br />

la mia <strong>carne</strong>.<br />

All’aria l’alcol che ha bevuto se ne vola via. Ne chiede<br />

altro ma non gliene danno. Cos’è tutta questa lucidità?<br />

223


La paura acuisce tutti i sensi che lo avvertono… Vede<br />

di più, sente di più… Il cuore gli sembra un picchio impazzito.<br />

Se si fermasse…<br />

Guarda tutte le espressioni della gente per strada che<br />

è lì, al freddo, per vedere la faccia dell’omicida. Non<br />

riesce a stare in piedi sul carro e lo sostengono. Ha un<br />

unico istante di nervosa serenità quando gli sembra di<br />

vedere la valle chiusa d’Escravida dove il padre lo portava<br />

col gregge. Ma quando si ricorda il piacere con cui<br />

il servo pastore sgozzava l’agnello per festeggiare, allora<br />

pensa che tutti quelli sono là proprio come a una festa,<br />

smette di guardarli e riprende a tremare e a pensare<br />

veloce.<br />

Non c’è modo di cacciare via la paura. Perché non<br />

può morire adesso? Perché tutta questa cerimonia?<br />

Lui uccideva senza procedura. Perché tutta questa<br />

violenza?<br />

Il carro esce da porta Cristina. Vede improvvisamente<br />

il mare e gli viene in mente Efisio Marini, chissà<br />

come.<br />

Ma smette subito perché alla sua destra, addossato al<br />

muro, gli appare, con tutta la violenza possibile di<br />

un’apparizione, il patibolo di assi fresche e vede che<br />

sotto il piano di legno, c’è già l’uomo che deve appendersi<br />

ai suoi piedi per dargli lo strappo. Ci pensa da<br />

giorni a questa storia degli strappi. Sa che ne deve sentire<br />

due: uno della corda e uno di quell’uomo grasso<br />

con un grembiule di cuoio.<br />

224<br />

Ha freddo.<br />

Si rifiuta di venire giù dal carro. Poi, invece, all’improvviso<br />

scende docile e cerca di guardare solo il cielo,<br />

ma gli abbassano la testa.<br />

Sui gradini cade all’indietro e lo tengono per le ascelle.<br />

Il profumo acido del legno fresco inchiodato per lui<br />

lo terrorizza, ha una convulsione e si bagna.<br />

Quando è sull’impalcatura si convince che morirà<br />

prima che gli mettano la corda intorno al collo. Non<br />

può essere che le cose vadano così come vogliono questi,<br />

pensa. Invece vede bene la faccia e le labbra viola di<br />

chi gli passa l’olio sul collo con un pennello e gli dice: –<br />

Girati, bravo, ecco, tieni gli occhi chiusi, ti avverto così<br />

quando è il momento non ti irrigidisci.<br />

E invece non lo avverte e Mauro Mamùsa precipita<br />

per due metri, ha gli occhi aperti, vede bianco e sente<br />

le mani che lo afferrano ma non sa più cosa succede.<br />

Alle nove un altro carro esce dal cortile della torre<br />

alla luce del supplizio.<br />

Una dentiera bianchissima scintilla al sole di dicembre.<br />

Mintonio e le sue croste vanno alla forca e lui non<br />

sente tramontana, non guarda la gente, non si accorge<br />

che di quelli delle tombe non c’è nessuno, non trema<br />

neppure, non ha un’espressione. Prova solo la paura<br />

assoluta, tellurica di chi sta per non esserci più. È finito<br />

225


per il quadrumane Mintonio l’incolonnamento dei<br />

giorni. Il tempo non si elemosina.<br />

Gli hanno detto che a Mamùsa è già stato fatto quello<br />

che doveva essere fatto e una guardia cattiva e bassa<br />

gli ha gridato da dietro il carro che non cambieranno<br />

neppure la corda. Oppio vorrebbe, e altro alcol<br />

bianco.<br />

Anche lui, uscendo dalla porta delle mura, prima vede<br />

il mare e poi lo fulmina il patibolo.<br />

La smorfia del giustiziato si attacca alle facce della<br />

gente.<br />

Da una finestrella piccola il giudice Marchi ha guardato<br />

tutto e scriverà tutto. Ha segnato le ore e i minuti<br />

decisi dal tempo puntiglioso che ha determinato l’inizio<br />

dei fatti, la fine e anche tutto quello che c’è stato in<br />

mezzo.<br />

– Maggiore, Giacinta Làconi non può essere trasferita<br />

a Bellarosa. Per lei, il carcere dello stagno è come<br />

una condanna a morte. Lasciatela qua in città. Può redimersi.<br />

Quella donna ha qualcosa nello sguardo che<br />

non so dire.<br />

Belasco non ha mai fatto guerre e non conosce battaglie.<br />

I morti staccati dalla corda e deposti nella cassa se<br />

li ricorderà sempre.<br />

– Eccellenza, quella femmina è debole e si sposta con<br />

la stessa facilità verso il peccato o verso la santità, di-<br />

226<br />

pende verso dove viene spinta. Ha permesso che le<br />

ammazzassero madre e padre.<br />

– Lasciatela nel carcere della città. Anche se, forse,<br />

avete ragione: potrebbe essere una redenzione di poco<br />

valore.<br />

Giacinta aveva aspettato per mesi, senza dormire<br />

neppure una notte, che Mauro Mamùsa la mutilasse<br />

come aveva fatto col padre. E Mauro la mutilava ogni<br />

volta, lasciandola con quello sguardo vetroso e profondo<br />

che ai maschi, anche a quelli che la giudicavano<br />

brutta, faceva effetto. Ora passa le giornate a spiare il<br />

cielo delle stelle fisse, senza mangiare e senza lavarsi<br />

perché del corpo non ne vuole più sapere.<br />

Le vecchie della città, abituate a barattare pregando<br />

dolori e brutti pensieri con qualche altro giorno di nutrimento,<br />

digestione e deiezione, sono contente che un<br />

giovane è morto prima di loro, senza un capello bianco<br />

e senza una ruga.<br />

A Mintonio non pensano e dei giustiziati si ricordano<br />

solo quello giovane e pallido, col colorito da principe<br />

dei gladioli, che tremava.<br />

Però pregano ugualmente, sedute davanti al braciere,<br />

mentre il sugo si fa ristretto, i ceci rammolliscono e<br />

l’osso libera bollendo il midollo a cui aspirano come a<br />

un fecondativo.<br />

227


Dopo due giorni di viaggio lungo la strada orientale<br />

dell’isola è arrivata in città la madre di Mamùsa a riprendersi<br />

il corpo fratturato del figlio.<br />

Non parla più.<br />

Ha smesso di parlare quando ha visto Mauro, candido<br />

come una vela sul tavolato della camera mortuaria<br />

dei condannati, e come una vela l’ha visto allontanarsi<br />

veloce quando hanno chiuso la cassa.<br />

C’è qualcosa, e ci pensa senza smettere mai, c’è qualcosa<br />

che assomiglia alla nascita nella morte del figlio.<br />

Da tutt’e due il padre è stato escluso. L’evento sanguinario<br />

passa sempre per vie materne. Lei prova, ora che<br />

l’hanno chiuso, un’accettazione, una resa come se il<br />

giovane sia morto consolato dalla convinzione che,<br />

tanto, tutto il patimento è stato delegato alla madre.<br />

Perciò è sicura che Mauro, pensando a lei, ha sofferto<br />

meno trasferendole il suo dolore, e sente sollievo.<br />

Non vuole parlare con Giacinta, che figli non ne ha<br />

avuti. Se fosse stato il contrario, le cose non sarebbero<br />

andate così.<br />

Però qualcuno le ha detto che, eterna, indissolubile e<br />

sana, si conserva in una casa grande di Castello la vecchia<br />

Michela Làconi e sente il desiderio di usare la parola<br />

con lei, anche se una vergogna superiore la farebbe<br />

fuggire dalla città.<br />

– Non esco mai, signora Mamùsa, e i fatti si fermano<br />

228<br />

davanti alla porta di casa mia. Qualche volta bussano<br />

ma io guardo dallo spioncino e non apro.<br />

– Mauro era innamorato di vostra nipote.<br />

– Mia nipote? Anche la sua storia in questa casa non<br />

ci entra. Non ne voglio sentire. Fate anche voi come<br />

me. Le nostre teste sono fatte per dimenticare. Io mi dimentico<br />

di tutto e dormo bene. Tenete lontane le cose e<br />

le cose non vi faranno male. Guardate la mia pelle. Bevo<br />

ogni giorno dei sali indurenti insieme all’acqua del<br />

mio pozzo. Qui non scende la paralisi che vola intorno<br />

agli abitanti di questa città di mangioni. Non lascio immondezza<br />

ai gabbiani. Non entrano le blatte a cercare<br />

briciole e pentole unte. Non c’è burro, non c’è vino,<br />

non c’è niente che oscura il cervello. L’unica oscurità<br />

che permetto è quella del sonno.<br />

– La morte pelosa tocca anche ai giovani, donna Michela.<br />

– Il giovane che muore è un’offesa alla natura e qualche<br />

volta i giovani la morte la inseguono. Io la natura<br />

non la offendo. Anzi, ogni giorno prego la natura, lo<br />

sanno tutti.<br />

Il suo corpicino terroso ha una scossa. Ha appena<br />

mangiato e non deroga mai alle proprie funzioni. Cade<br />

all’indietro nella poltrona e si addormenta fissando<br />

con un solo occhio la vecchia Mamùsa che si allontana<br />

dalla vita remota di Michela Làconi che, però, sempre<br />

vita è.<br />

229


29<br />

Nessuno usa scarpe nel villaggio dall’altra parte del<br />

mare e i piedi scalzi hanno reso le strade lisce come il<br />

raso. Le calzature non offendono il suolo e per gli abitanti<br />

del paese i piedi sono la congiunzione tra cielo, acqua<br />

e terra. Dalle strade e dalle case di mattoni di fango<br />

di Erhehàs è stata eliminata ogni ruvidità. Quando piove,<br />

ma non piove mai qui nel deserto, piedi e terra vanno<br />

ugualmente d’accordo, anzi, l’accordo aumenta<br />

perché il fango è considerato un intenerimento del suolo<br />

che ancora di più si adatta all’arco della pianta che, a<br />

Erhehàs, non fa calli. In questo modo i piedi dei più ricchi<br />

sono uguali a quelli dei più poveri e ciascuno ha<br />

un’espressione dei piedi che esprime malumore, allegria<br />

o dolore.<br />

I papaveri crescono grassi vicino all’oasi di Hat e tanti<br />

canalicoli sotterranei portano l’acqua.<br />

Il padre putativo di Maria, il vecchio Elam He ’Ftha,<br />

esce ogni mattina con Perseo al quale le onde rosse dei<br />

capelli si sono sbiancate e appiattite. Troppe ne ha passate<br />

e la sua è una capigliatura da uomo spaventato.<br />

Per la paura è scappato con Maria appena uscito dalla<br />

prigione e non sa nulla di impiccati e di confessioni.<br />

231


Domenico Zonza li ha traghettati sino all’Africa vicina,<br />

sono sbarcati nella città che si specchia nell’altra e durante<br />

la traversata hanno ricordato gli eventi luttuosi<br />

iniziati con il ritrovamento del braccio nella barca del<br />

pescatore. Poi, su un carro, sono arrivati sino al paese<br />

ocra dei contadini scalzi.<br />

Hanno portato con sé la mummia di Hana Meir, che<br />

ora sembra una vecchia cicogna e assomiglia al marito<br />

Elam. Però nessuno la guarda più perché Elam l’ha avvolta<br />

in una tela e messa a macerare sottoterra tra due<br />

canali principali che portano l’acqua alla piantagione.<br />

In questo modo riprende elasticità, un aspetto migliore<br />

e un po’ di succo del papavero sonnifero arriva anche a<br />

lei.<br />

La pelle bruna di Maria e l’infuso di profumi che lei<br />

sparge calmano Perseo.<br />

– Maria, quel cuore di mattone di Belasco mi ha scritto.<br />

Mamùsa è stato giustiziato e anche il disgraziato<br />

delle tombe. Dice che era una mattinata fredda di dicembre<br />

e che tremavano. Mai, ma proprio mai, sarei<br />

andato a vederli morire impiccati. Ci potevo essere<br />

io… il mio corpo appeso…<br />

E i capelli gli si sbiadiscono un po’ di più.<br />

– E Giacinta?<br />

Perseo non risponde, i suoi piedi si torcono come nei<br />

crocefissi.<br />

Maria He ’Ftha cattura la luce e poi la rimanda. Da<br />

quelle radiazioni Perseo è tenuto in vita. L’uso del pro-<br />

232<br />

prio corpo è diventato sedativo. Inizia all’alba, interrompe<br />

col sole alto, e riprende a pomeriggio inoltrato.<br />

Ogni giorno fa un piccolo sonno a mezza mattina e dice<br />

che è il sonno degli uomini onesti, un sonno purificatore<br />

come quello della vecchia immortale.<br />

Oggi si è addormentato su una distesa di code di topo.<br />

Lo sveglia Maria e, quando solleva le palpebre, vede<br />

le colonnine brune delle caviglie di lei e pensa che ci<br />

si potrebbero attaccare delle piccole ali bianche per<br />

renderle la vita più leggera.<br />

Resta sdraiato per terra, da dove sente arrivare tepore,<br />

a guardare il cielo e le gambe di Maria, dimenticando,<br />

anche se in fondo alla <strong>carne</strong> la sente ogni tanto mordicchiare,<br />

la paura.<br />

Efisio sposta il lenzuolo e la guarda: le due clavicole<br />

gli ricordano le effe del violino. Lo sguardo arancio di<br />

Matilde è più pallido d’inverno. D’altronde tutto è impallidito.<br />

Si è addormentata.<br />

In questi mesi ha occupato meno i pensieri di Efisio,<br />

su questo lui sta riflettendo, perciò la guarda e sta zitto.<br />

Anche la bellezza, il profumo non lo emozionano. Ma<br />

non è disinteresse. Il fatto è che ormai non la deve raggiungere<br />

più e un indebolimento sentimentale gli ha<br />

addormentato le emozioni. Ha persino buttato in mare<br />

la forcina d’oro. Pensieri e azioni da maschio. Ma, si di-<br />

233


ce, perché non dev’essere così? E poi questo non significa<br />

che lui non ne abbia una considerazione vicina all’amore.<br />

La desidera, e questo è naturale, vuole che lo<br />

ascolti e lo guardi e gli piacerebbe mostrarla, sì, anche<br />

mostrarla. Però lei ha un’idea troppo preziosa di sé,<br />

forse per il colore raro, e si tiene distinta e separata da<br />

Efisio.<br />

È convinto, e gli vengono in mente Mauro e Giacinta,<br />

che qualsiasi straccio d’uomo ha una donna che lo adora.<br />

Anche il più idiota, il più cattivo, il più povero ha<br />

una femmina che gli si attacca, lo ammira e lo cura.<br />

Alla fine mischiare il suo col sangue straniero di Matilde,<br />

dopo quello di Carmina, lo ha allontanato da<br />

tutt’e due e adesso è diventato un bugiardo solitario.<br />

Matilde non è un tizzone, anzi, pensa guardandola, è<br />

un’aria fresca e profumata; così lui non ha ustioni da<br />

nessuna parte. Però tutto quel chiarore adesso lo vede<br />

proprio sbiadito e desidera di colpo andarsene a casa<br />

anche se i lamenti di Carmina non li vuole sentire e<br />

neppure fare carezze facili a Rosa e Vìttore. Lamenti<br />

non ne vuole sentire e non vuole dividere dolore. Glielo<br />

ha detto Belasco che lui, Efisio, è un uomo di nervi,<br />

che non sta bene e che si vede.<br />

Il tavolo apparecchiato di casa Marchi non rimbomba<br />

come la cattedra del giudice. E non c’è traccia di<br />

polvere giuridica in casa. Lui è di cartapesta anche da-<br />

234<br />

vanti al cibo ma in famiglia non suona la tromba del<br />

giudizio. La moglie è una donna piccola, grassa con le<br />

dita grasse, di una razza locale taciturna perché ha poco<br />

da dire.<br />

La luce di molte candele non ravviva le testine di<br />

agnello freddo aperte a metà, una metà a ciascuno.<br />

– Dottor Marini, siete un uomo duro.<br />

– Io, giudice?<br />

– Mangiate anche l’occhio.<br />

– È un’abitudine. Lascio per ultima la lingua. C’è<br />

sempre stato un ordine a casa mia per mangiare le mezze<br />

testine di agnello e io l’ho mantenuto. Dopo aver<br />

mangiato le testine dovevamo, secondo nonno, rifarci<br />

la bocca col sedano e il vino. Sgrassano, diceva. E a<br />

questa tavola ci sono sedano e vino.<br />

Quell’idea dell’ordine piace a Belasco che si è preparato<br />

per cena la voce da sera, bassa, ramèica e costante:<br />

– Eccellenza, l’ordine nel mangiare del dottor Marini è<br />

l’ordine che poi cerca nelle cose.<br />

Marchi ha finito la sua mezza testina: – Tutti abbiamo<br />

cercato ordine negli avvenimenti.<br />

Efisio mastica un cuore di sedano, ingoia e poi dice: –<br />

Beh, l’ordine è un’esigenza naturale per me, giudice. Io<br />

lo cerco per combattere il caso e l’ordine mi calma. Tutto<br />

è casuale e noi, meschinetti, classifichiamo e classifichiamo…<br />

Anch’io ci provo. Ma poi tutto, anche quello<br />

che abbiamo calcolato, a guardarlo bene, avviene per<br />

caso.<br />

235


Marchi si guarda le belle mani da vecchio mentre<br />

parla: – Non direi. Mamùsa non era un omicida per caso.<br />

Vedete, io ho sessantadue anni e da molto tempo ho<br />

maturato una paura. Quella di dover vedere un impiccato<br />

condannato da me al supplizio. Però vi assicuro<br />

che la mattina dell’esecuzione ero un vecchio sereno.<br />

Non c’era il caso a determinare la giustizia, ma le conseguenze<br />

inevitabili dei delitti. Conseguenze, conseguenze…<br />

– Perché avete detto un vecchio sereno? – interrompe<br />

Efisio e fissa dentro gli occhi di Marchi.<br />

– Perché sono vecchio e un vecchio pensa sempre alla<br />

stessa cosa, voi dovreste sapere cosa intendo, e ha bisogno<br />

di più tranquillità. Ci ho riflettuto a lungo prima di<br />

decidere la pena, sono rimasto una settimana chiuso<br />

nel mio studio, mia moglie mi portava da mangiare.<br />

Ogni giorno mi trovavo davanti un foglio bianco, ricominciavo<br />

da capo e finivo per riscrivere le stesse cose<br />

sulla carta della regia udienza. Insomma quella sentenza<br />

era talmente giusta, proporzionata, quasi armoniosa<br />

che la mia paura antica è scomparsa. Sì, nella condanna<br />

di Mamùsa c’era l’armonia, non il caso.<br />

– E Mintonio? – gli chiede Efisio.<br />

– Anche Mintonio era un uomo e aveva i doveri di un<br />

uomo. Quindi gli spettava la punizione dovuta agli uomini<br />

che ammazzano, mutilano e devastano come ha<br />

fatto lui.<br />

– E Giacinta?<br />

236<br />

– Non ha ucciso, lei.<br />

Nessuno vorrebbe parlarne perché nessuno ha capito<br />

cosa sia passato nella testa di Giacinta Làconi. Neanche<br />

la legge ha ben chiaro quale colpa abbia commesso.<br />

Efisio, però, si ricorda gli occhi della donna, neri e perduti,<br />

e smette di mangiare.<br />

– Vedete, giudice, non avrà importanza per la legge,<br />

ma credo che ciò che ha guidato ogni azione di Giacinta<br />

Làconi, fosse una forma ammalata d’amore. L’amore<br />

può diventare una malattia, lo sappiamo tutti, e può<br />

condurre alla distruzione, anche questo si sa. Ecco,<br />

Giacinta aveva trovato il suo oppio. Il suo laudano erano<br />

gli incontri, un segreto assoluto di cui non conosceremo<br />

nulla, con il pallido Mamùsa che per lei era un dio<br />

e una scimmia che le era saltata addosso. E i ricordi di<br />

quegli incontri non finiranno mai: la terranno in vita,<br />

pazza ma viva. Lei è la donna che ha sofferto di più.<br />

Forse il suo era amore perfetto, che non cambia e resta<br />

immutabile. Noi conosciamo solo fatti verosimili ma la<br />

verosimiglianza non è la verità.<br />

Belasco non ha mai parlato d’amore prima di oggi, è<br />

imbarazzato e gioca con le briciole sulla tovaglia: – Io<br />

penso invece che l’amore di Giacinta abbia cambiato<br />

forma. È successo quando ha confessato e incolpato<br />

Mamùsa, proprio in quel momento. E adesso lei ha solo<br />

ricordi e sogni che la perseguitano. Certe cose sono<br />

troppo grandi per essere contenute dentro la testa. Ha<br />

dovuto farle uscire e ha parlato.<br />

237


Efisio insiste, ma tiene l’indice al suo posto: – Anche<br />

la confessione di Giacinta era amore, l’amore<br />

comprende anche l’odio. Lei voleva purificare Mauro<br />

Mamùsa, salvarlo confessando e poi riprenderselo<br />

dopo. Noi saremmo ancora in giro per la città a cercare<br />

colpevoli e a fare bei ragionamenti se lei non avesse<br />

parlato…<br />

Marchi si beve di un fiato il bicchiere di vino: – Colpita<br />

da una malattia… Sì, quella donna è malata. Voi dite<br />

che era un amore malato, certo, però non era immutabile<br />

come credete. Provava rimorso. Giacinta era una<br />

femmina malata… Quello che provava e sentiva non le<br />

stava tutto dentro e da qualche parte doveva venire<br />

fuori, è vero, Belasco. E infatti ha parlato. Magari per<br />

redimere dal crimine Mamùsa, ma ha parlato. Avete ragione,<br />

dottor Marini, noi ci dobbiamo accontentare di<br />

cose verosimili. E quando Mamùsa è stato allontanato<br />

da lei Giacinta ha continuato a parlare, ha spiegato particolari<br />

orrendi e alla fine…<br />

Anche Efisio ha terminato il vino: – È impazzita.<br />

– Sì, Efisio, parto per Napoli fra tre giorni, ho trovato<br />

da lavorare in un coro.<br />

– Lia, hai una bella voce. E questa è una città senza<br />

destino.<br />

– Non ho una bella voce senza oppio.<br />

– Hai smesso?<br />

238<br />

– Ogni quattro, cinque, qualche volta sette giorni,<br />

apro il cassetto e guardo la bottiglietta bruna del laudano.<br />

Allora ne butto giù anche cucchiaiate. Quando incomincio<br />

a sentire quel fresco nella pancia è il segnale<br />

che sta iniziando… allora mi passa tutto. Però riuscirò<br />

a smettere.<br />

– Mi raccomando la voce, la voce.<br />

239


30<br />

Piove da nuvole fumose. L’acciottolato lucente è scivoloso<br />

e tutte le screpolature delle mura si gonfiano.<br />

Alle pozzanghere dei quartieri bassi bevono le cornacchie<br />

e una nebbia cremosa stagna nella città alta. La palude<br />

e il mare hanno un unico avvilito colore metallico.<br />

Efisio lo vede dai vetri del caffè.<br />

– Latte caldo e biscotti.<br />

Al caffè il pavimento è cosparso di paglia e sa di stalla.<br />

Un tepore da postribolo. Molte lampade e troppa gente.<br />

Per Efisio lì dentro c’è sempre troppa gente che<br />

scappa dal freddo o dal caldo, e comunque scappa, e si<br />

tiene vicina al gomito di qualcun altro per non stare sola<br />

perché la solitudine è disprezzata in città. Stare a lungo<br />

da soli, dicono, è una stranezza, sempre soli è una<br />

follia.<br />

Efisio è solo e scrive. Interrompe per inzuppare i biscotti<br />

nel latte tiepido. Con un suo linguaggio di segni<br />

riscrive da settimane sempre la stessa vicenda che inizia<br />

con la morte per spavento dell’avvocato Làconi e termina<br />

con la morte sulla forca, forse anche questa da<br />

spavento, di Mamùsa e di Mintonio della collina.<br />

Sul foglio ha ridotto i fatti a una miriade di frecce che<br />

241


uniscono i nomi, e le frecce si sono col tempo disposte<br />

come una coroncina di spine intorno a un nome solo.<br />

Quando arriva lì allora ricapitola tutto e, comunque, si<br />

riforma la corona di inchiostro blu che indica sempre<br />

lo stesso nome.<br />

Entra Matilde con il fidanzato Stefano. Efisio vede il<br />

suo luccichio e decide che è meglio non sollevare neppure<br />

la testa. E continua a rimescolare la stessa idea per<br />

la sua strana via.<br />

C’è qualcosa di incompiuto nella morte di Mauro<br />

Mamùsa, anche se il giudice Marchi dando una manata<br />

sul tavolo l’ha definita giuridicamente perfetta. Per<br />

Efisio non è una morte che conclude gli avvenimenti. E<br />

neppure l’inizio dei fatti, la morte di Giovanni Làconi,<br />

è il vero inizio. Tutto deve essere incominciato prima.<br />

Il giovane Mamùsa ha lasciato confessare Giacinta,<br />

ha lasciato parlare Belasco, Marchi, Testa, ha lasciato<br />

che la gente parlasse, e ancora parla, e non ha mai pronunciato<br />

un no, non è così. Non ha mai negato. Il processo<br />

è durato due mesi. La confessione di Giacinta ha<br />

costituito un ostacolo che Mamùsa, forse, ha giudicato<br />

intimamente troppo grande per potersi difendere.<br />

Entra Belasco bagnato, vede Efisio e viene a sedersi al<br />

tavolo.<br />

242<br />

– Qualcosa che non si chiude con la morte di Mamùsa?<br />

– Belasco si china in avanti: – Ora vi vengono dubbi,<br />

ora, dottor Marini?<br />

– Sì, maggiore, e badate che non è solo l’istinto a farmelo<br />

pensare.<br />

L’intelletto pulito di Belasco funziona sempre come<br />

un unico pezzo ed è come un onesto focolare domestico<br />

sempre acceso che scalda ma non incendia le cose<br />

intorno.<br />

– Dottore, siete persuaso, o no, che Mamùsa ha ucciso<br />

quattro volte? Che una volta, forse due, si è servito<br />

di Mintonio come aiuto perché doveva assassinare<br />

un uomo adulto? Che Giacinta ha pronunciato e ripetuto<br />

verità terribili mai negate da Mamùsa? Siete persuaso?<br />

Voi stesso, convinto del vostro ragionamento,<br />

avete preso un rischio, quando avete fatto crollare<br />

Giacinta…<br />

– Giacinta era già crollata, già in frantumi… le hanno<br />

ammazzato il padre e poi la madre e tutto quello che<br />

potevano farle gliel’hanno fatto…<br />

– Voi avete provocato Mauro Mamùsa. Avevate capito<br />

la fragilità di Giacinta e avete intuito che il suo peccato<br />

l’aveva ridotta alla follia. O il vostro ragionamento<br />

era solo un esercizio?<br />

– Certo che sono persuaso. Quell’uomo era un assassino<br />

per vocazione, un assassino nato da generazioni di<br />

assassini, da un paese di assassini. E Giacinta è un’anima<br />

persa che ha lasciato ammazzare chi l’aveva messa<br />

243


al mondo. Però c’è un che di incompleto nella nostra<br />

opera.<br />

– Ma come incompleto?<br />

– Io sono convinto che Mamùsa non avesse l’intelligenza<br />

per costruire un disegno, un affresco criminale<br />

come quello… E non mi pare che abbia agito da uomo<br />

acuto. Avrebbe potuto sposare Giacinta, aspettare<br />

qualche anno che la vecchia trapassasse, diventare padrone<br />

del patrimonio e fare causa a chi si prendeva le<br />

rendite dei Làconi. Insomma, non solo non ha curato il<br />

proprio esclusivo interesse ma ha sparso sangue. Di<br />

suo, solo suo, c’è stata una violenza continuata, sempre<br />

tenebrosa. E c’è stato anche il piacere del dominio dei<br />

corpi, quello di Giacinta e quello degli ammazzati di<br />

cui Mamùsa si è sentito padrone.<br />

È stanco, Efisio: – Ma credo che le azioni di Mauro<br />

Mamùsa fossero comandate da una logica non sua…<br />

lui non era un uomo logico.<br />

– Cosa volete dire?<br />

– Riflettete sul percorso dei denari di Giovanni Làconi,<br />

seguite l’odore dei denari. Hanno concluso il loro<br />

giro, che ora possiamo chiamare naturale, e sono tornati<br />

dove sono nati. Tutto ha una convergenza naturale<br />

che noi non abbiamo mai notato anche se era lì, davanti<br />

agli occhi.<br />

– Dottor Marini, in quel foglio avete segnato dei nomi<br />

e delle frecce, posso vederlo?<br />

– Beh, i nomi li conoscete, i fatti anche… Guardate,<br />

244<br />

guardate dove convergono le frecce. Le ha indirizzate il<br />

pensiero. Leggete il nome.<br />

Belasco prende il foglio in mano. Lo osserva a lungo<br />

e segue le punte delle freccette blu. Poi fissa Efisio,<br />

sposta la sedia all’indietro, sente tutti i cuori intorno<br />

battere veloci, respira profondo e sussurra: – Efisio<br />

Marini, qui dentro soffoco… esco all’aria. Una famiglia<br />

intera…<br />

La cella è bassa e c’è luce solo dove la proietta una gola<br />

di lupo. Fa freddo. Giacinta Làconi è avvolta in una<br />

coperta ammuffita e guarda Efisio con un’espressione<br />

canina, grata ma scolorita, e parla senza smettere - parlava<br />

già quando lui è entrato - concentrata sul proprio<br />

incessante dolore emotivo: – … Bello, che bello quando<br />

i sensi non riuscivo più a distinguerli. Neanche i<br />

miei dai suoi distinguevo più, neanche il mio odore dal<br />

suo… Questo ce l’ho chiaro in testa. Si mescolavano e<br />

per me era come tornare all’inizio delle cose. Davano<br />

frutti e io ogni volta soffrivo per lo stesso piacere. Ero<br />

stretta a un sangue sicuro. Lui avrebbe dovuto portarmi<br />

via magari per torturarmi, però portarmi via. Mi attirava<br />

col caldo. Sono ancora arrabbiata, perciò mi fa<br />

male la testa, mi passa solo quando mi sanguina il naso.<br />

Mi faccio una domanda, non so neppure quale… Mi si<br />

confonde, e conosco la risposta come conosco la domanda,<br />

non capisco nulla.<br />

245


– Oggi l’ho rivisto girandomi all’improvviso. “Vieni”…<br />

Quel “vieni” lo sento sempre. So di forze che<br />

fanno spostare la terra. Era come essere mangiata, ma<br />

senza dolore. Mi pettinava con le dita. Che voce aveva?<br />

Non aveva una voce calma con me. E so che dopo non<br />

mi sentivo nata inutilmente, né viva inutilmente. Venivo<br />

mangiata però mi nutrivo. Ma io che non so prevedere<br />

niente prevedevo infelicità…<br />

Quando Efisio esce all’aperto pioviggina ancora e il<br />

cielo è più alto del solito.<br />

L’ha lasciata che continuava i ricordi terebranti. Gli<br />

passa e gli ripassa in testa una sua frase: “E dopo non<br />

mi sentivo nata inutilmente, né viva inutilmente”. Pensa<br />

all’improvviso che non servirà a niente tutto questo<br />

suo lavoro, fare mummie di pietra e conservarle, e si incurva<br />

di colpo. Giacinta, lei sì, era davvero riuscita ad<br />

allontanare la paura, ma solo per poco, e aveva usato la<br />

<strong>carne</strong>. Però è diventata pazza. Meglio, visto che non<br />

c’era più morte somministrabile per lei.<br />

Arriva sotto casa. Guarda le finestre dalla strada, si<br />

ferma, ci pensa un poco e poi riprende a camminare.<br />

246<br />

31<br />

È spiovuto al quarto giorno. La luce nuda della tramontana<br />

ha pulito il cielo da ogni vapore e fa brillare il<br />

portale della casa di Michela Làconi. Efisio è lì davanti<br />

da alcuni minuti, guarda la porta troppo grande per la<br />

vecchia e gli sembra che questo è l’adito dell’eternità di<br />

cui lei si è impadronita. Bussa.<br />

– Efisio, eri più bello questa estate, più magro, meno<br />

<strong>carne</strong>.<br />

Michela, molto profumata perché non vuole saperne<br />

del proprio odore, è seduta sulla poltrona di velluto<br />

che ha l’impronta consumata delle sue ossicine: – Non<br />

voglio ricordare niente, e tu, invece, sei venuto qui a ricordare,<br />

vero? O mi hai portato altri sali conservanti?<br />

– Ricordare.<br />

– Non intendo sapere nulla di Giacinta. Fra sette anni<br />

uscirà dalla galera. Ne avrà quaranta e io cento e andrò<br />

a casa sua a pranzo, poi mi riporterà qua e io continuerò.<br />

– Continuerete?<br />

– Continuerò a essere io. Non voglio dolori né alle ar-<br />

247


ticolazioni, né al cuore. Lo so come evitarli. Lasciatemi<br />

fare. Se vuoi parlare di quel Mamùsa… è inutile perché<br />

io lo sapevo, lo sapevo che non andava bene per Giacinta,<br />

aveva un odore selvatico e i canini da gatto. Gli<br />

impiccati muoiono subito se le cose sono fatte bene,<br />

non ha sofferto. Ho parlato con la madre. Anche lei è<br />

colpevole se ha messo al mondo un figlio così.<br />

Le piccole narici di Michela tremano: – Questa storia<br />

degli impiccati è una storia vecchia e io l’ho dimenticata.<br />

Sono passate molte settimane e il tempo è importante<br />

trascorrerlo in qualche modo che non faccia male.<br />

Ricordare fa male. Anche a te fa male, hai una ruga in<br />

più, Efisio.<br />

La vecchia ha già mangiato e ha già dormito. Efisio lo<br />

sa, perciò è venuto di pomeriggio, e ora lui cerca un inizio.<br />

– Michela Làconi voi siete una cassaforte, lo dicono<br />

tutti. Però tra le cose che conservate, secondo voi, non<br />

ci sono ricordi?<br />

– No, solo cose utili e non conosco ricordi utili, – risponde<br />

lei con un broncio grinzoso.<br />

– Donna Michela, non vi ricordate, quindi, se una<br />

mattina siete andata, insieme all’avvocato Mamùsa, a<br />

trovare don Migòni?<br />

– Ci sono andata sola da don Migòni, non ho bisogno<br />

di compagnia.<br />

– E gli avete portato un ricostituente?<br />

– Un po’ dei tuoi sali.<br />

248<br />

– E i miei sali erano in una bottiglia?<br />

– Sì, con l’acqua del mio pozzo e il succo di limone<br />

del mio giardino.<br />

– E non c’era altro, Michela? Solo acqua, limone e i<br />

miei sali? Ascoltate, donna Michela.<br />

Lei gira l’orecchietto destro verso Efisio.<br />

– Al processo, Mamùsa non ha negato l’accusa di avere<br />

offerto anche lui, dico anche lui, una bottiglia metà<br />

limonata e metà laudano al reverendo Migòni.<br />

– Gliel’ho data io quella bottiglia, Efisio, perché la regalasse<br />

al prete.<br />

– Quindi Migòni ha ricevuto due bottiglie da parte<br />

vostra: una portata da voi stessa e una portata da<br />

Mamùsa. Tutt’e due vostro omaggio, tanto di acqua del<br />

pozzo miracoloso e di limoni ne avete in abbondanza.<br />

E il laudano?<br />

Efisio ripete più forte: – E il laudano? Ce lo mettevate<br />

voi.<br />

Michela sorride, batte le mani e fa sì con la testa: –<br />

Chissà quante bottiglie gli regalavano… e non solo<br />

bottiglie a vedere le pieghe del suo mento e le fossette<br />

che aveva nelle mani. Comunque aveva già assaggiato<br />

la mia miscela un’altra volta a casa mia… seduto dove<br />

sei tu adesso… Un calice pieno! Ha iniziato a bere<br />

qui…<br />

– La vostra miscela… miscela… la chiamate miscela?<br />

– E quanta se n’era bevuta. Ho iniziato ad abituarlo<br />

qui e ci si abitua in fretta, lo sai. Era seduto dove sei se-<br />

249


duto tu, ma sprofondava perché era tutto ciccia. La<br />

<strong>carne</strong> è solo <strong>carne</strong>, Efisio. C’è <strong>carne</strong> di tonto, <strong>carne</strong> di<br />

furbo, <strong>carne</strong> di prete e tante altre ma sempre <strong>carne</strong> è.<br />

Meglio non averci a che fare con la <strong>carne</strong>. Guarda<br />

com’è finita Giacinta.<br />

Efisio si alza.<br />

– Perché ti alzi? Te ne vai?<br />

– No.<br />

– Allora vuol dire che ti devi esibire, agli uomini piace<br />

esibirsi in piedi.<br />

Lui si ferma, la guarda a lungo, come si guarda un<br />

quadro, una statua, nei particolari, come se ci cercasse<br />

qualcosa.<br />

– Donna Michela, sapete cosa penso?<br />

– Sì che lo so. Però tu hai una voglia di dirmelo così<br />

grande che ti ascolto.<br />

Efisio si scarmiglia il ciuffo: – Nella prima bottiglia<br />

c’era una dose d’oppio che gli ha procurato piacere<br />

senza che lui capisse, neppure alla lontana, di cosa si<br />

trattava. Nella seconda, sperando di trovare lo stesso<br />

piacere, il prete ci ha trovato dentro il trapasso ideale,<br />

la morte che vola così in alto che chi muore non sa più<br />

né chi è, né dov’è… ed è contento. Brava, donna Michela,<br />

brava. E glielo avete fatto assaggiare qui, a casa<br />

vostra… Brava…<br />

Cammina avanti e indietro e se potesse camminerebbe<br />

sui muri.<br />

– L’oppio non viene dall’acqua del vostro pozzo.<br />

250<br />

– L’oppio arriva dalla città che sta dall’altra parte del<br />

mare, lo sai anche tu.<br />

– E secondo la vostra economia naturale noi siamo<br />

acqua e terra.<br />

– È abbastanza. Quando uno sa di che cos’è fatto non<br />

ha bisogno d’altro. Mette e toglie acqua, mette e toglie<br />

un po’ di sostanza. Però bisogna starci attenti, è un lavoro<br />

difficile.<br />

– E, mentre vi dosavate acqua e materia, il commercio<br />

dell’oppio passava attraverso voi e vostro figlio. E<br />

insieme davate ordini a una corte di grandi e di piccoli<br />

peccatori.<br />

La vecchia non parla e fa ginnastica muovendo in aria<br />

braccia e gambe, come i neonati. Secondo la sua igiene<br />

così manda il sangue dove vuole. Poi si ferma perché il<br />

sangue le serve in testa, e allora si massaggia le tempie.<br />

Efisio vede chiara intorno alla vecchia l’energia che la<br />

tiene asciutta e dritta.<br />

– Michela, se vi invertissero il tubo digerente per voi<br />

sarebbe uguale, vero? Se vi togliessero un polmone, un<br />

rene, un occhio voi continuereste…<br />

– Bravo! Un occhio, un polmone… queste sono solo<br />

economie… Io sono fatta per continuare e tu hai capito<br />

che sono cattiva, perciò continuo. Però a te, che la testa<br />

ce l’hai, non faccio bere limonata…<br />

Al pozzo nel cortile si arriva attraversando la casa e<br />

Michela lo guida per mano. Nel secchio c’è un mestolo<br />

e la vecchia beve a occhi chiusi un po’ d’acqua. Sente<br />

251


subito che i suoi tessuti spugnosi l’assorbono e la travasano<br />

nel sangue.<br />

– Vedi, Efisio Marini, in quest’acqua devono esserci<br />

sali simili ai tuoi. Io mi sto mummificando, me ne rendo<br />

conto, sai? Però li so dosare e cerco di evitare che induriscano<br />

anche la testa e gli altri organi. I miei organi<br />

sono le cose in cui credo. E poi credo anche a quello<br />

che possiedo. È tanto, sai, in questa città di poveri.<br />

L’indice di Efisio segna dolore: – Voi lo volete intatto<br />

il vostro corpo, è naturale perché il corpo questo vuole,<br />

a questo tende. Perciò si è richiuso subito dietro Giovanni<br />

dopo che l’avete partorito. Chiuso per sempre.<br />

Voi vi siete riprodotta non perché i mammiferi sono<br />

spinti a riprodursi, ma perché dovevate completare un<br />

corredo di cose utili. E questo corredo poi è aumentato.<br />

Avete imparato gli affari, le economie, dite voi. Usavate<br />

Marciàlis, Luxòro e Cancello, ma per questo poco<br />

male…<br />

Guarda in terra: – Avete lasciato che Mamùsa corrompesse<br />

Giacinta, e questo è molto male perché il<br />

corpo è tutto, così avete detto. Però Mamùsa aveva bisogno<br />

delle vostre ossicine intelligenti, lo sapeva di essere<br />

un animale lui, un animale e basta.<br />

Si incurva: – Gli avete spiegato come uccidere Tea,<br />

che di oppio non ne voleva sapere, e lui l’ha gettata<br />

dalla finestra. Poi Fois Caraffa e don Migòni, che sono<br />

morti in silenzio. Tre belle morti. Poi avete brigato<br />

perché Giacinta pazza di rimorso si rivoltasse contro<br />

252<br />

Mamùsa e lo facesse impiccare. Adesso avete una nipote<br />

alienata che non avrà diritto a niente della vostra<br />

eredità. Tutto vostro, ora. Ma… – si interrompe, inspira,<br />

si frega gli occhi.<br />

– Continua, Efisio, continua.<br />

Il caso ha messo in vita Michela, l’ha fatta invecchiare<br />

senza malattie, ma ora persino il caso si dà un limite.<br />

Efisio sente caldo: – Ma soprattutto avete ordinato a<br />

Mamùsa il selvaggio di uccidere vostro figlio.<br />

Michela guarda dentro il secchio.<br />

Efisio continua con la voce bassa delle confessioni: –<br />

Mi sento debole e stanco solo a parlarne. Siete una pazza.<br />

L’avete messo al mondo conservandolo nove mesi<br />

in una membrana secca, avete perso qualche schizzo di<br />

sangue per partorirlo, l’avete nutrito, poco, cresciuto,<br />

poco, e alla fine tutto è tornato a voi. E io non avevo capito<br />

perché i pazzi sono difficili da comprendere… Ma<br />

anche i pazzi sono mortali.<br />

Michela fa un respiro lungo, assaggia un po’ d’acqua<br />

dal secchio: – Avevo intorno tre donne che mi hanno lavata<br />

dopo il parto e hanno lavato la stanza. Quanta<br />

sporcizia era venuta fuori. Tutto alla luce, una mattina<br />

di luglio. Ti sembrava un uomo nato a luglio mio figlio<br />

Giovanni?<br />

Efisio non ha più voglia di parlare, sente la lingua inutile,<br />

pesante: – Vi vorrei infliggere una punizione, Michela<br />

Làconi.<br />

Dietro la bocca chiusa della vecchia inizia un rima-<br />

253


neggiamento violento come gli scivolamenti della crosta<br />

terrestre sulla lava che sta sotto.<br />

Lei non ha ancora capito che l’accelerazione del respiro<br />

e del cuore, tutta una serie improvvisa di cambiamenti<br />

che percepisce senza capirli, sono segni della<br />

paura che ha fatto il giro e adesso è arrivata sino a Michela.<br />

E così lo spavento la intossica e lei si sente dentro<br />

un formicaio con mille cunicoli bui.<br />

Efisio si stupisce perché la donna non risponde, ma<br />

trotta, tenendosi il braccio destro, verso una seggiolina<br />

in un angolo del cortile dove si siede e respira veloce.<br />

Fissa all’infinito, proprio da dove sta arrivando la paralisi,<br />

e tiene la bocca aperta.<br />

– Voi che pregate la natura, proprio voi, Michela…<br />

Si interrompe perché i cambiamenti interni della vecchia<br />

improvvisamente vengono fuori e si manifestano.<br />

La donna cade dalla sedia. Lui riconosce la malattia, si<br />

avvicina a Michela, la raccoglie e la porta, in braccio,<br />

sul suo letto bianco.<br />

Apre gli scurini, la luce entra e illumina ogni particolare.<br />

In un lato di Michela si verifica quello che sinora aveva<br />

evitato bevendo l’acqua del pozzo. Ma il pozzo non<br />

è abbastanza profondo e un lato, tutto un lato le si è fermato.<br />

– Prima che vi manchi la parola per sempre ditemi<br />

l’unica cosa che non ho capito…<br />

– No, no, tu hai capito.<br />

254<br />

Efisio usa le parole più nude che può: – Perché avete<br />

fatto tagliare il braccio di vostro figlio? Ditemelo…<br />

In qualche parte della testa di Michela, senza dolore,<br />

l’uso delle parole si confonde: – All’inizio volevo solo il<br />

braccio, ma non era possibile prenderglielo senza la vita.<br />

Il braccio del figlio… Quello che ho sofferto a metterlo<br />

al mondo… Il padre è morto subito dopo, si chiamava<br />

Dionigi, tu non lo hai neppure conosciuto… Che<br />

giustizia: uno nasceva e l’altro moriva, questo non lo<br />

hai notato, vero? Uno veniva a questo mondo e uno se<br />

ne andava nell’altro… E tutto restava a me…<br />

Efisio si è trovato improvvisamente tra le mani l’inizio<br />

del filo. È di tanti anni fa, ma lo ha trovato. Il filo,<br />

però, brucia.<br />

– Michela! Avete ammazzato anche Dionigi Làconi?<br />

Avete ammazzato vostro marito?<br />

– E cosa cercava quello da me?<br />

– Avete ammazzato vostro marito…<br />

Aspetta il dolore ma non arriva, sente solo che è scesa<br />

la paralisi: – E poi lui, Giovanni… un figlio che cresce e<br />

vuole tutto… Prepotente… voleva il comando… Ma<br />

se il figlio si prende tutto la madre muore… Nel mare<br />

doveva finire il braccio… nel mare…<br />

L’ultima parola.<br />

Non parla più e continua disperata la tenebrosa ginnastica<br />

conservativa solo con la metà sinistra del corpo.<br />

L’altra metà si è fermata.<br />

255


32<br />

Una luce interminabile arriva sino al fondo del golfo<br />

e ritorna su fresca con un brivido.<br />

Il vento prima rifiuta, poi esce da terra, si stende verso<br />

il mare, avanza e si allarga sino al vuoto dell’orizzonte<br />

dilatato.<br />

Efisio è salito al promontorio bianco.<br />

Pensa alla punizione indimenticabile toccata a Michela<br />

Làconi, paralitica e senza più la parola. Mezzo<br />

corpo perso in un momento dopo tanti anni di risparmio.<br />

È salito leggero perché è riuscito a capire l’inizio e la<br />

fine, senza farsi imbrogliare dalle cose. Ha trovato<br />

principio e conclusione.<br />

I ricordi.<br />

La memoria, per lui, è fondata sulla dimenticanza,<br />

senza la quale non conserverebbe la memoria. Perciò<br />

oggi la mattina sembra a Efisio la mattina più bella della<br />

sua vita e non ricorda di averne già visto una così.<br />

Che fortuna dimenticarsi le altre mattine.<br />

Distratto dai ricordi imperfetti, sospeso, illuminato<br />

dalla luce perfetta, per un istante si dimentica la paura<br />

e la <strong>carne</strong>.<br />

257


INDICE


INDICE<br />

<strong>Paura</strong> e <strong>carne</strong><br />

9 Cap. 1<br />

15 Cap. 2<br />

23 Cap. 3<br />

25 Cap. 4<br />

31 Cap. 5<br />

41 Cap. 6<br />

51 Cap. 7<br />

57 Cap. 8<br />

59 Cap. 9<br />

65 Cap. 10<br />

75 Cap. 11<br />

85 Cap. 12<br />

95 Cap. 13<br />

107 Cap. 14<br />

117 Cap. 15<br />

123 Cap. 16<br />

133 Cap. 17<br />

139 Cap. 18<br />

151 Cap. 19<br />

161 Cap. 20<br />

167 Cap. 21


173 Cap. 22<br />

179 Cap. 23<br />

189 Cap. 24<br />

201 Cap. 25<br />

207 Cap. 26<br />

213 Cap. 27<br />

221 Cap. 28<br />

231 Cap. 29<br />

241 Cap. 30<br />

247 Cap. 31<br />

257 Cap. 32<br />

Volumi pubblicati:<br />

Tascabili<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />

Maria Giacobbe, Il mare (3 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus (2 a edizione)<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Marcello Fois, Sempre caro (2 a edizione)<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />

Luciano Marrocu, Fáulas (2 a edizione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime (2 a edizione)<br />

Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)


Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano Marrocu, Debrà Libanòs<br />

Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />

Marcello Fois, Materiali<br />

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />

Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />

Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />

Gavino Ledda, Padre padrone<br />

Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />

Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />

Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />

Giorgio Todde, Ei<br />

Luigi Pintor, Servabo<br />

Marcello Fois, Tamburini<br />

Francesco Abate, Ultima di campionato<br />

Patrick Chamoiseau, Texaco<br />

Luciano Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo<br />

Alberto Capitta, Creaturine<br />

Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />

Peppinu Mereu, Poesie complete<br />

Maria Giacobbe, Le radici<br />

Patrick Chamoiseau, Il vecchio schiavo e il molosso<br />

Paolo Cherchi, Erostrati e astripeti<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo (2 a edizione)<br />

Giorgio Todde, <strong>Paura</strong> e <strong>carne</strong> (2 a edizione)<br />

Giulio Angioni, Alba dei giorni bui<br />

Roberto Concu, Verità per verità<br />

Ricuore, testi di Massimo Carlotto, Raul Montanari, Enzo Fileno<br />

Carabba, Marcello Fois, Antonio Pascale, Carlo Lucarelli,<br />

Stefano Tassinari, Matteo Galiazzo, Giosuè Calaciura,<br />

Francesco Piccolo<br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />

Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />

Mariangela Sedda, Oltremare<br />

Rossana Copez, Si chiama Violante<br />

Poesia<br />

Giovanni Dettori, Amarante<br />

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo<br />

Gigi Dessì, Il disegno<br />

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza<br />

Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole<br />

Saggistica<br />

Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario<br />

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in<br />

Pascale Dessanai<br />

FuoriCollana<br />

Salvatore Cambosu, I racconti<br />

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre<br />

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea


I Menhir<br />

Salvatore Cambosu, Miele amaro<br />

Antonio Pigliaru, Il banditismo in <strong>Sardegna</strong>. La vendetta barbaricina<br />

Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi<br />

Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in <strong>Sardegna</strong><br />

Libristante<br />

Giorgio Pisano, Lo strano caso del signor Mesina<br />

In coedizione con Edizioni Frassinelli<br />

Marcello Fois, Sempre caro<br />

Marcello Fois, Sangue dal cielo<br />

Marcello Fois, L’altro mondo<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Giorgio Todde, <strong>Paura</strong> e <strong>carne</strong><br />

Giorgio Todde, L’occhiata letale


Finito di stampare<br />

nel mese di aprile 2005<br />

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco (GE)

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