TFO - Tesi Filosofiche Online - Online Philosophical Theses SWIF ...
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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI MILANO<br />
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA<br />
CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA<br />
LE PROFEZIE DI SPENGLER. HENRY MILLER E<br />
"IL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE"<br />
RELATORE: Prof. Stefano Zecchi<br />
CORRELATORE: Prof.<br />
ANNO ACCADEMICO<br />
1994-95<br />
TESI DI LAUREA DI<br />
ROBERTO LIMONTA<br />
MATRICOLA N. 399856
I N D I C E<br />
INTRODUZIONE p. 1<br />
LEGENDA p. 9<br />
I - Affinità stilistiche e affinità concettuali: il potere<br />
evocativo della parola p. 11<br />
I. 1. Prospettive stilistiche p. 12<br />
I. 2. La sensibilità fisiognomica spengleriana p. 15<br />
I. 3. Il duplice significato della forma: forme della civiltà<br />
e forme dello stile p. 18<br />
I. 4. Il potere evocativo della parola p. 21<br />
II - Miller lettore de "Il Tramonto dell'Occidente": l'ultimo<br />
capitolo di "Plexus" p. 25<br />
II. 1. Il tema della decadenza p. 30<br />
II. 1. 1. Il nichilismo e il destino<br />
dell'Occidente: Dostoevskij p. 30<br />
II. 1. 2. La lettura spengleriana della modernità p. 32<br />
II. 1. 3. Le profezie sul destino del mondo<br />
euro-americano p. 39<br />
II. 2. La civiltà della macchina p. 43<br />
II. 3. La metropoli p. 52<br />
II. 4. Il flusso della vita p. 59<br />
III - Destino e civilizzazione in "The World of Lawrence" p. 70<br />
III. 1. 'La corona' e il suo fondamento spengleriano p. 75<br />
III. 2. La modernità come epoca irreligiosa p. 80<br />
III. 3. L'antintellettualismo e il mito dell'analisi p. 86<br />
III. 4. L'idea di destino p. 95<br />
III. 5. L'uomo nuovo come uomo del destino p.102
III. 6. Sacralità del corpo e immagine della donna p. 113<br />
III. 6. 1. Le chiavi simboliche della storia p. 119<br />
IV - Estetiche a confronto p. 123<br />
IV. 1. Un'estetica della storia p. 125<br />
IV.1.1. Forma, simbolo, espressione p. 129<br />
IV.1.2. Stile e ritmo p. 131<br />
IV.2. Arte come linguaggio dell'anima p. 134<br />
IV.2.1. La tipicità dell'artista p. 138<br />
IV.3. Arte come mestiere: la condanna spengleriana<br />
della modernità p. 140<br />
IV.4. L'estetica di Henry Miller p. 146<br />
IV.4.1. L'annullamento della volontà p. 146<br />
IV.4.2. L'identificazione arte-vita p. 153<br />
IV.4.3. L'arte del futuro p. 158<br />
V - Una lettura spengleriana di "Tropico del Cancro" p. 166<br />
V. 1. La fase Bergson-Spengler p. 166<br />
V. 2. Miller e "Tropico del Cancro" simboli<br />
del proprio tempo p. 173<br />
V. 3. "Tropico del Cancro" e la crisi della civiltà p. 180<br />
V. 4. Le figure della crisi p. 184<br />
V. 5. Parigi come "ultima città" p. 191<br />
V. 6. I simboli del riscatto p. 196<br />
V. 6. 1. La Vita p. 196<br />
V. 6. 2. La critica di Orwell e il senso<br />
dell'accettazione p. 199<br />
V. 6. 3. I simboli della vita p. 206<br />
CONCLUSIONI p. 216<br />
APPENDICE p. 221<br />
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI p. 226<br />
RINGRAZIAMENTI p. 239
INTRODUZIONE<br />
Il rapporto tra Henry Miller e Il Tramonto dell'Occidente non è di<br />
immediata evidenza ed è interamente da costruire. Non esiste, a<br />
tutt'oggi, nessun contributo critico che sviluppi un confronto puntuale<br />
ed articolato tra i due: la presenza di Spengler nella formazione<br />
intellettuale di Miller viene spesso ignorata, sottovalutata, oppure<br />
semplicemente accennata. Se si passano in rassegna gli studi sull'opera<br />
milleriana, si può riscontrare facilmente quali siano le ascendenze<br />
attribuite dalla critica e le affinità più evidenti e rimarcate: Lawrence,<br />
Céline, Whitman, Dostoevskij, Rabelais, Rimbaud, i trascendentalisti<br />
americani come Emerson e Thoureau, fino a pensatori orientali come<br />
Vivekananda e Khrisnamurti ed alla filosofia Zen. Già da questo breve<br />
elenco è facile farsi un'idea della distanza che sembra separare Miller e<br />
Spengler: distanza che è fatta di formazione, cultura, interessi e letture<br />
profondamente diverse.<br />
A questo bisogna aggiungere il fatto che non esistono rapporti diretti<br />
tra i due. C'è anche un leggero ma decisivo sfasamento nella<br />
cronologia: Spengler scrive Il Tramonto dell'Occidente tra il 1918 ed il<br />
1922, e muore nel '36, mentre Miller pubblica il suo primo romanzo,<br />
Tropico del Cancro, nel settembre del '34, presso una piccola casa<br />
editrice parigina e in edizione limitata. È lecito supporre che Spengler<br />
non avesse conoscenza della sua opera, o comunque non se ne hanno<br />
tracce nei suoi scritti. La dialettica è pertanto in un solo senso, da<br />
Miller a Spengler, e circoscrivibile all'orizzonte de Il Tramonto<br />
dell'Occidente, che rimane l'unica lettura spengleriana dello scrittore<br />
americano.<br />
Un'ulteriore difficoltà è costituita dal fatto che non solo la bibliografia<br />
critica è avara di elementi utili per un raffronto, ma anche Miller ci<br />
fornisce pochi contributi in merito. Le uniche eccezioni sono<br />
rappresentate dall'ultimo capitolo di Plexus e da alcune pagine di The<br />
World of Lawrence, nonchè da alcune osservazioni estratte dallo<br />
sterminato epistolario. Sparsi riferimenti a Spengler sono poi<br />
riscontrabili in diversi altri testi, ma senza che ci sia un particolare<br />
approfondimento.<br />
1
Se si superano queste difficoltà iniziali, ci si accorge che più ci si<br />
addentra nell'analisi dei testi, e più emergono gli elementi di affinità, più<br />
profonda e puntuale risulta la sintonia. L'approccio milleriano a Il<br />
Tramonto dell'Occidente si caratterizza per una forte enfasi sulla sua<br />
profondità metafisica e quasi mistica: è un "poema del mondo", un<br />
"elisir di vita" che fa di Spengler un poeta e un profeta visionario.<br />
Questo tipo di lettura, pur se estremizzata dalla tendenza milleriana<br />
all'iperbole e al misticismo, è tutto sommato comprensibile. Il<br />
Tramonto dell'Occidente fu un grande successo editoriale ed un testo<br />
molto diffuso e discusso; lo stile di Spengler è all'origine di una così<br />
vasta popolarità, per il suo carattere fortemente evocativo e per il<br />
linguaggio immaginifico, denso di simbologie ed al contempo tagliente<br />
nell'incisività aforismatica dei suoi passaggi più celebri. Questa<br />
scrittura era la forma di un "filosofare col martello" che osservava la<br />
storia dalla "prospettiva dell'aquila", e che aveva come unità di misura<br />
secoli e millenni, e come oggetti dello sguardo filosofico le forme della<br />
storia in quanto manifestazioni dello spirito umano: arte, religione, ma<br />
anche politica, economia, società.<br />
Se diamo uno sguardo ai romanzi di Miller, in particolare a Tropico<br />
del Cancro che è il suo capolavoro e che è cronologicamente il più<br />
vicino a Spengler, notiamo come alcune caratteristiche di linguaggio<br />
siano molto simili: lo stile è plastico, fondato sull'idea della parola<br />
come suggestione ed articolato sulla presenza ossessiva di alcune<br />
figure simboliche, prima fra tutte quella del "Cancro". "Cancro" e<br />
"Tramonto": due metafore organiche che mirano entrambe a<br />
descrivere l'impasse della civiltà occidentale e la crisi dei suoi valori<br />
fondanti. Nella loro simbologia c'è il senso della fine e l'urgenza di un<br />
generale ricominciamento di significato dell'esistenza: il Cancro è una<br />
malattia ma è anche il simbolo della svolta, in quanto il Granchio è<br />
l'unico essere vivente che può camminare indifferentemente in tutte le<br />
direzioni indifferentemente. È la necessità della scelta, la responsabilità<br />
di una nuova direzione della storia oltre il tramonto dell'Occidente. Il<br />
concetto di Tramonto, da parte sua, evoca a prima vista l'immagine<br />
della decadenza, ma dietro ogni tramonto del sole c'è sempre la<br />
certezza di una nuova alba, cosicchè esso si configura più<br />
precisamente come "compimento" della civiltà occidentale, necessario<br />
nella sua negatività ma dotato anche di un senso positivo.<br />
2
L'affinità stilistica non è un elemento da sottovalutare: dietro le<br />
sintonie del linguaggio si nascondono più profonde analogie<br />
concettuali. D'altra parte, qui il confronto tra Miller e Spengler chiama<br />
in causa le categorie stesse della filosofia de Il Tramonto<br />
dell'Occidente: secondo questa prospettiva, ogni "forma" è<br />
testimonianza di un'anima, manifestazione sensibile di un'idea di cui<br />
riproduce, nella propria articolazione fenomenica, i tratti essenziali.<br />
Forma allora è anche la parola, lo stile che è l'espressione di un<br />
pensiero; così facendo si libera l'aspetto "estetico" del pensiero dal<br />
carattere limitato e inessenziale dell'abbellimento retorico, e ci si rende<br />
conto di come le affinità stilistiche ci portino a risalire sino ad una<br />
comune visione del mondo che le sottende. Questa comune<br />
Weltanschauung è la prospettiva del mondo e della storia come<br />
"forma": forma è un concetto estetico e, se è naturale il suo richiamo<br />
in uno scrittore come Miller, meno scontato è riscontrarne la centralità<br />
nel pensiero filosofico di Spengler. Questo "sguardo estetico" è<br />
l'approccio fondamentale del filosofo tedesco alla storia e lo<br />
accomuna alla prospettiva ovviamente "estetica" dell'artista Miller.<br />
La prospettiva morfologica porta ad una comune profezia di<br />
sventura. Già dal titolo Il Tramonto dell'Occidente non lasciava dubbi<br />
sul giudizio in merito al destino dell'Occidente. Spengler risolve la<br />
storia in una successione di civiltà, monadi indipendenti l'una dall'altra,<br />
realtà qualitativamente diverse ed espressioni di idee, valori, pensieri<br />
che si estingono con la scomparsa della civiltà che hanno contribuito a<br />
formare. La dialettica interna della civiltà è determinata da una<br />
periodizzazione ricavata dalle fasi degli organismi naturali: nascita,<br />
crescita, maturazione, senescenza, morte. Le due categorie che<br />
spiegano questa fisiologia sono "Kultur" e "Zivilisation", dove la prima<br />
corrisponde al fiorire delle potenzialità di una civiltà, e la seconda<br />
all'esaurirsi della carica vitale delle sue forme. L'Occidente è nella fase<br />
di Zivilisation, e questo significa che il suo percorso secolare è<br />
prossimo alla fine.<br />
C'è tutta una serie di caratteri e di fenomeni che permettono di<br />
individuare la collocazione di una realtà in una fase piuttosto che in<br />
un'altra. La concentrazione della vita nelle grandi città è il fenomeno<br />
più macroscopico della "Zivilisation" occidentale: la "cosmopoli" o<br />
"metropoli" spengleriana si caratterizza per l'artificialità, l'asetticità, la<br />
3
massificazione e l'omologazione dei cittadini, l'intellettualismo, la fine<br />
di ogni grande arte come simbolo dell'esaurirsi di ogni capacità<br />
espressiva. Tutti questi elementi tradiscono una fondamentale perdita<br />
di contatto con i valori originari dell'esistenza, con la terra, con il<br />
sangue e con la razza, sradicamento che fa dell'uomo un "nomade<br />
intellettuale".<br />
Proprio la figura del "nomade intellettuale" è al centro del fitto<br />
tessuto di citazioni da Il Tramonto dell'Occidente che compare<br />
nell'ultimo capitolo del romanzo milleriano Plexus; un vero e proprio<br />
elenco che sembra voler richiamare il potere evocativo della parola<br />
spengleriana. La figura dell'uomo moderno come "nomade<br />
intellettuale" privo di focolare (come a dire senza radici e dunque<br />
senza identità) è affiancata da altre immagini tratte da Il Tramonto<br />
dell'Occidente. Innanzitutto la "macchina", fulcro della riflessione<br />
spengleriana sul significato della tecnica moderna e topos dell'opera di<br />
Miller e delle sue invettive contro la meccanicità e la disumanizzazione<br />
dell'esistenza. La "macchina" è il momento finale di un percorso che<br />
ha tratti identici in Miller come in Spengler: la macchina è il simbolo<br />
tutto negativo della tecnica, vista come momento conclusivo della<br />
civiltà. Altro simbolo evocato in Plexus è la "cosmopoli", la metropoli<br />
moderna; immagine dello sradicamento dell'uomo dal suolo,<br />
testimonianza di un impulso creativo che si è ormai spento, essa<br />
costruisce un mondo artificiale ed un'umanità altrettanto artificiale<br />
attorno a sé, cercando di animare con le forze dell'intelletto ciò che<br />
solo la vitalità del contatto con le radici può generare. In questo modo,<br />
Miller si appropria della prospettiva spengleriana e fa dell'artificialità<br />
della vita metropolitana un tema centrale della sua opera.<br />
Giunti a questo punto, saremmo portati a credere che il rapporto tra<br />
Miller e Spengler si sviluppi all'insegna della decadenza. Questo è solo<br />
parzialmente vero. Già in Plexus si scorge la presenza di un forte<br />
valore "positivo" che rappresenta, agli occhi di Miller, la possibilità del<br />
riscatto dal declino: ciò che è più interessante è che questa stessa<br />
positività è presente ne Il Tramonto dell'Occidente. È la fiducia nel<br />
"flusso della Vita" o, come scrive Spengler, nella "corrente del<br />
divenire": oltre il destino di caducità delle forme resta l'energia<br />
primordiale che le ha plasmate, una forza che garantisce il futuro<br />
4
dell'umanità, una storia che sta al di là e prima della storia delle civiltà<br />
costruite dall'uomo.<br />
Questo elemento positivo è evidente in The World of Lawrence: il<br />
libro vorrebbe essere un saggio sullo scrittore inglese David Herbert<br />
Lawrence, ma assume ben presto i connotati di una riflessione a largo<br />
raggio sul destino della civiltà. In questo quadro compaiono alcune<br />
interessanti riflessioni su Spengler. Miller riprende nuovamente alcuni<br />
motivi spengleriani, introducendoli con citazioni da Il Tramonto<br />
dell'Occidente ed intrecciandoli con elementi del pensiero di<br />
Lawrence: ecco allora il richiamo alla "irreligiosità" dell'epoca moderna<br />
come perdita di un'anima, ecco gli accenni polemici alla psicanalisi, al<br />
socialismo ed alla letteratura contemporanea, tutti fenomeni che<br />
risultano espressione dell'artificialità della vita moderna. Ecco,<br />
soprattutto, il richiamo al concetto tipicamente spengleriano di<br />
"destino", che spiega il senso positivo della morte e della distruzione<br />
come fasi necessarie per la rinascita dell'umanità. Forse perché inserita<br />
nel contesto della riflessione su un autore vitale e "affermativo" come<br />
Lawrence, la tematica spengleriana assume anch'essa tratti<br />
prevalentemente positivi. La condanna della civiltà occidentale si va<br />
così delineando come funzionale al disegno di una ricostruzione<br />
radicale della società. Per far questo, occorre risalire a valori<br />
fondamentali, radicati nell'essenza dell'uomo, nella sua anima dove essi<br />
sono sentiti e non intellettualmente costruiti: questi valori si risolvono<br />
sinteticamente nell'esaltazione del flusso della Vita.<br />
Questa profonda sintonia tra Miller e Spengler, sia nella pars<br />
destruens che nella pars costruens della riflessione, trova la sua<br />
rappresentazione più sintomatica nella scelta della donna come<br />
simbolo della Vita. La figura della donna è centrale nell'opera di Miller,<br />
e si lega a quel tema dell'eros che ha costruito le fortune e la popolarità<br />
dello scrittore americano. Il sesso è una forza cosmogonica, nel senso<br />
che annulla ogni forma di convenzione e di limite sancito dall'uomo<br />
per ristabilire una condizione di originaria nudità. L'eros è un rapporto<br />
dialettico che stabilisce le proprie regole oltre ogni forma di<br />
identificazione sociale, e la donna è la forza trainante del rapporto in<br />
quanto essa è il potere della creazione, è l'irrompere dell'energia<br />
immensa ed incontrollabile dei fenomeni naturali nelle macrostrutture<br />
create dalla ragione umana.<br />
5
In Spengler il tema della donna viene solo accennato, ma anche nella<br />
laconicità di questo riferimento si riscontra una completa sintonia con<br />
Miller: "l'uomo fa la storia, la donna è la storia". L'identificazione con<br />
la storia e con il divenire mira a garantire alla donna quel significato di<br />
simbolo della vita e quel potere di rigenerazione che Miller aveva<br />
enfatizzato in riferimento al sesso.<br />
Attraverso l'esame dei contributi di Miller su Il Tramonto<br />
dell'Occidente, abbiamo rintracciato una serie cospicua di elementi<br />
spengleriani. Questi vengono a coinvolgere non aspetti marginali, ma le<br />
fondamenta stesse della visione del mondo milleriana. Le categorie di<br />
Spengler sono per Miller una vera e propria chiave di volta per rendere<br />
conto del significato della decadenza e per costruire un pensiero che<br />
ne realizzi il superamento.<br />
Il riscontro più efficace della profondità di questa influenza è da<br />
cercare nell'opera narrativa di Miller. È qui che occorre ritrovare la<br />
presenza de Il Tramonto dell'Occidente, che diventa doppiamente<br />
significativa se, oltre a fornire le premesse ideologiche, contribuisce<br />
anche a plasmare il linguaggio, le immagini, i simboli e l'idea stessa di<br />
arte che formano le opere milleriane.<br />
Se il discorso si sposta sul piano delle forme artistiche, occorre<br />
riscontrare se si verifichino delle convergenze già in partenza, e se ci<br />
sia una sintonia sul significato dell'arte, sul valore e sulla funzione dei<br />
suoi prodotti. Pur con le dovute differenze, anche qui si presenta una<br />
sostanziale sintonia: emerge soprattutto, al di là di alcune analogie che<br />
potrebbero essere casuali o comunque marginali, un'idea di arte come<br />
"annullamento della volontà" e come "spersonalizzazione". L'arte è una<br />
creazione "anonima", una vera e propria germinazione della vita,<br />
un'espressione naturale ed inconsapevole dell'uomo; l'accento viene<br />
posto non sull'artista come soggetto creatore, ma sull'oggetto artistico,<br />
che in realtà oggetto non è, se si intende come tale un manufatto<br />
dell'uomo. La forma artistica diventa una realtà naturale, come il<br />
sorgere del sole, la nascita di una pianta o lo sbocciare di un fiore;<br />
della natura ha anche la potenza, e quindi la carica eversiva,<br />
l'incontrollabilità, la capacità di offendere, di colpire l'uomo.<br />
6
Le intenzioni di Miller come di Spengler sono chiare: definire l'arte<br />
attraverso i caratteri di spersonalizzazione, anonimità, naturalità<br />
significa ricondurla ad un piano di oggettività e necessità. In questo<br />
modo l'arte viene svincolata dal piano del futile e dell'inessenziale, e<br />
diventa un destino dell'uomo, una emanazione irrinunciabile della sua<br />
anima. Il valore delle forme estetiche si libera in questo modo da ogni<br />
possibile accusa di soggettivismo: l'arte può aspirare ad un ruolo nel<br />
quadro della conoscenza, e l'artista ritrova una funzione all'interno<br />
della società. All'opposto di questa prospettiva sta l'arte<br />
contemporanea come espressione inessenziale, dominio del capriccio<br />
e simbolo del tramonto della civiltà: non è un caso che la polemica nei<br />
confronti dell'arte moderna sia condotta, in Miller come in Spengler,<br />
attraverso l'enfatizzazione del suo carattere "artificiale", "intellettuale",<br />
svincolato da quella necessità che caratterizza le realtà radicate<br />
nell'anima e nel sangue.<br />
Per descrivere un fenomeno necessario, oggettivo, espressione<br />
necessaria di una realtà essenziale, Spengler prende dall'estetica la<br />
categoria del simbolo. Il simbolo è ciò che dà un senso alla storia,<br />
perché cogliere nella storia una successione di simboli significa<br />
comprendere il senso di ciò che accade e scorgere nei fenomeni della<br />
storia delle realtà dotate di un significato, o meglio, con un altro<br />
termine proprio del linguaggio estetico, "espressive".<br />
Questo approccio va sicuramente applicato a Tropico del Cancro,<br />
che si configura perfettamente come romanzo epocale secondo una<br />
lettura spengleriana. Sia Tropico del Cancro che la figura stessa di<br />
Miller come artista sono simboli del proprio tempo e ne riflettono<br />
dubbi, certezze, contraddizioni, speranze. Il romanzo è l'espressione<br />
di un disagio che era diffuso negli anni tra le due guerre mondiali: lo<br />
domina la sensazione di una fine imminente del mondo occidentale, e<br />
una certa violenta impietosità nel condannare quel mondo e dei valori<br />
di cui esso era portatore. Anche il tono risoluto della condanna è<br />
sintomatico di un'epoca che richiedeva soluzioni nette, risolute, anche<br />
brutali: la sensazione generale era che l'umanità dovesse ripartire da<br />
zero, dall'origine, e che non fosse possibile alcuna soluzione di<br />
compromesso che mantenesse in piedi la farsa di una civiltà che era<br />
ormai il cadavere di sé stessa.<br />
7
Il percorso attraverso Tropico del Cancro mette in luce una<br />
dicotomia che è il fondamento della Weltanschauung milleriana e che<br />
riproduce una dialettica tipica del proprio tempo. Se da una parte<br />
troviamo le grandi figure della crisi, le immagini della metropoli, del<br />
cancro, dell'intellettuale cinico e del mondo meccanizzato, dall'altra<br />
riscontriamo come reazione il sorgere dei simboli del riscatto: la Senna<br />
e l'invocazione al flusso del divenire ("Amo tutto ciò che scorre",<br />
scrive Miller), la vitalità del sesso e della donna che ne è simbolo. Il<br />
ritorno alle radici e a valori originari, primordiali, naturali, è la risposta<br />
caratteristica dell'epoca al sentimento di alienazione dell'uomo di fronte<br />
al mondo che la sua tecnologia ha creato.<br />
Questa fondamentale dicotomia la ritroviamo anche in Spengler e<br />
nella sua opera, realtà anch'esse sintomatiche: all'aspetto "negativo"<br />
della critica all'Occidente fa da contraltare la fiducia nel valore della<br />
Vita e del divenire; è una dialettica già riscontrabile ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, e che diventa ancora più evidente nelle opere<br />
successive, in particolare Urfragen. Essere umano e destino, l'opera<br />
"metafisica" di Spengler, dove l'intento dichiarato è quello di cercare<br />
una "continuazione verso il basso" del pensiero storico de Il<br />
Tramonto dell'Occidente, fino a risalire ai principi metastorici del<br />
divenire.<br />
Si può dire che, adottando la metodologia spengleriana, Miller e<br />
Spengler diventano simboli che ci aiutano a capire il loro tempo e il<br />
loro mondo: se il loro confronto viene inteso in questa prospettiva,<br />
allora esso assume un respiro più ampio ed acquista un maggiore<br />
interesse, legittimando l'importanza "epocale" attribuita a Tropico del<br />
Cancro e dando prova "sul campo" della validità delle categorie<br />
spengleriane, che intervengono a due livelli, sul piano della<br />
comprensione dell'opera milleriana e nel delineare la portata simbolica<br />
delle affinità tra i due intellettuali.<br />
8
HENRY MILLER<br />
L E G E N D A<br />
- ART Per 'Of art and the future', in Sunday<br />
after the war, N.Y., New Directions, 1944.<br />
- CANCRO Per Tropic of Cancer, Paris,<br />
Obelisk Press, 1934. Edizione consultata Tropico del Cancro, Milano,<br />
Mondadori, 1993.<br />
- CAPRICORNO Per Tropic of Capricorn, Paris,<br />
Obelisk Press, 1939. Edizione consultata Tropico del Capricorno in<br />
Opere. Vol. 1, Milano, Mondadori, 1992.<br />
- COLOSSO Per The Colossus of Maroussi,<br />
California, Colt Press, 1941. Edizione consultata Il Colosso di<br />
Maroussi, Milano, Mondadori, 1948.<br />
- CONVERSAZIONI Per Flash-back. Entretiens à Pacific<br />
Palisades avec Christian de Bartillat suivi de 'Le prophete de Millerium'<br />
par C. de Bartillat, C. de Bartillat editeur, 1990. Edizione consultata<br />
Conversazioni a Pacific Palisades, Parma, Guanda, 1992.<br />
- INCUBO Per The Air-Conditioned Nightmare,<br />
N.Y., New Directions, 1945. Edizione consultata L'incubo ad aria<br />
condizionata, Torino, Einaudi, 1979.<br />
- LAWRENCE Per The World of Lawrence,<br />
California, Capra Press, 1980.<br />
- MAX Per Max and the White Phagocytes,<br />
Paris, Obelisk Press, 1938. Edizione consultata Max e i fagociti<br />
bianchi in Opere. Vol. 1, Milano, Mondadori, 1992.<br />
9
- NIN Per Letters to Anais Nin.<br />
Edizione consultata Lettere ad Anais Nin, Milano, Longanesi, 1987.<br />
- NIN-MILLER Per A Literate Passion: Letters of<br />
Anais Nin and H.Miller, 1932-1953, edited by Gunther Stuhlmann,<br />
New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1987. Edizione consultata<br />
Storia di una passione. Lettere 1932-53, Milano, Bompiani, 1989.<br />
- OLTRAGGIO Per Art and Outrage: Lawrence Durrell<br />
and Alfred Perlès, New York, Dutton, 1961. Edizione consultata Arte<br />
e oltraggio, Milano, Feltrinelli, 1961.<br />
- PRIMAVERA Per Black Spring, Paris, Obelisk<br />
Press, 1936. Edizione consultata Primavera nera in Opere. Vol. 1,<br />
Milano, Mondadori, 1992.<br />
- RIMBAUD Per The Time of the Assassins: A<br />
Study of Rimbaud, N.Y., New Directions, 1946. Edizione consultata Il<br />
tempo degli assassini. Saggio critico su Rimbaud, Milano, Sugarco,<br />
1966.<br />
OSWALD SPENGLER<br />
- EAUTON Per Eis heauton. Edizione consultata A<br />
me stesso, Milano, Adelphi, 1993.<br />
- SCRITTI Per Scritti e pensieri, Milano, Sugarco,<br />
1993.<br />
- TRAMONTO Per Der Untergang des Abendlandes,<br />
C.H. Beck'sche Verlagbuchhandlung, Munchen 1923. Edizione<br />
consultata Il Tramonto dell'Occidente, Parma, Guanda, 1991.<br />
- URFRAGEN Per Urfragen. Fragmente aus dem<br />
Nachlass, Munchen, 1965. Edizione consultata Urfragen. Essere<br />
umano e destino, Milano, Longanesi, 1971.<br />
10
I<br />
AFFINITÀ STILISTICHE E AFFINITÀ CONCETTUALI: IL<br />
POTERE EVOCATIVO DELLA PAROLA<br />
Le prime analogie tra Miller e Spengler si riscontrano già a partire da<br />
quello che è l'aspetto di più immediata evidenza e che, spesso, ha le<br />
maggiori capacità di attirare il lettore: lo stile. Lo stile è la forma<br />
peculiare e necessaria di un pensiero, la sua espressione nel fenomeno<br />
della forma estetica. Questa può essere una verità ovvia per un artista<br />
come Miller, meno ovvia se la applichiamo ad un tipo di scrittura<br />
come quella filosofica, generalmente estranea a considerazioni formali<br />
e stilistiche. È proprio Spengler a venirci in soccorso e a fornirci un<br />
sostegno teoretico a questa prima ipotesi di lettura: tutto Il Tramonto<br />
dell'Occidente si regge sulla possibilità di una conoscenza<br />
"morfologica" della storia, fondata cioè sulla Forma, che costituisce<br />
nella sua articolazione fenomenica il manifestarsi di una realtà che<br />
imprime il proprio sigillo su di essa, plasmandone i tratti. Sarà allora<br />
possibile interpretare le peculiarità dello stile spengleriano come la<br />
forma di un peculiare contenuto, e scorgere nella sua affinità con la<br />
scrittura di Miller il segno di una più profonda affinità concettuale.<br />
Lo stile di Spengler era adeguato alla profondità delle sue intuizioni, e<br />
la sua capacità suggestiva non rappresentava semplicemente un<br />
accorgimento retorico atto a donare godibilità estetica e piacevolezza<br />
narrativa ad idee e concetti filosofici. È Miller stesso ad enfatizzare<br />
l'interesse per l'elemento stilistico: "Esigevo che lo stile dell'autore<br />
fosse pari al mistero che illuminava" (Plexus, p. 735). Altrove indugia<br />
maggiormente su questo aspetto:<br />
"Ultimando la stesura di 'The rosy crucifixion`, fui<br />
costretto a ricorrere ai miei appunti presi tanti anni fa,<br />
sul 'Tramonto dell'Occidente' di Spengler... In certi<br />
casi il senso delle parole aveva perduto un po'<br />
dell'importanza che un tempo gli attribuivo, ma non le<br />
parole stesse...il linguaggio diveniva sempre più<br />
saporito, più pregnante, più carico di quella misteriosa<br />
qualità di cui ogni grande autore impregna il suo<br />
linguaggio e che è il contrassegno della sua unicità.<br />
Comunque, fui così impressionato dalla vitalità e dal<br />
11
carattere ipnotico di quei brani spengleriani che decisi<br />
di citarne alcuni nella loro interezza." ( Libri, pp. 20-<br />
1)<br />
Ed infatti l'ultimo capitolo di Plexus è intessuto di lunghe citazioni da<br />
Spengler. Il senso di questo accumulo è che le "parole" diventano più<br />
importanti dei concetti. Queste righe sono del 1950: l'atmosfera<br />
emotiva è molto diversa dagli anni Trenta, quando Miller scrive<br />
Tropico del Cancro e legge Il Tramonto dell'Occidente, trovandovi<br />
una diagnosi precisa del "cancro" della civiltà. Quella che l'amico e<br />
scrittore inglese Lawrence Durrell definisce "fase Bergson-Spengler" 1<br />
è passata da tempo: più che ad una diagnosi dei mali dell'Occidente,<br />
condotta nel suo romanzo secondo coordinate spengleriane, Miller<br />
sembra ora più interessato ad elaborare l'immagine "positiva" di un<br />
mondo incontaminato e di originaria purezza, l'ideale di una piccola<br />
comunità isolata ed autosufficiente che ritroverà poi nella cittadina di<br />
Big Sur, in California 2. Eppure le frasi di Spengler, che sembrano così<br />
lontane da questa realtà, mantengono ancora un fascino profondo e<br />
riescono a coinvolgerlo fin quasi a "ipnotizzarlo": evidentemente, non<br />
è solo il significato di quelle parole che Miller cerca, non è insomma<br />
solo l'anima ma anche il "corpo" delle idee spengleriane ad attrarlo.<br />
I. 1. Prospettive stilistiche<br />
Lo stile di Spengler non è quello della tradizione filosofica tedesca<br />
più ortodossa, da Kant, a Hegel, fino ad Husserl: i suoi modelli<br />
dichiarati sono Goethe e soprattutto Nietzsche. Da quest'ultimo<br />
apprende il dono della sintesi, la capacità di creare immagini attraverso<br />
un linguaggio dal forte potenziale icastico, che deve molto allo stile<br />
aforismatico di Così parlò Zarathustra 3.<br />
1 - Lawrence Durrell - H. Miller, I fuorilegge della parola, Milano, Archinto, 1991, p.<br />
190.<br />
2 - H. Miller, Big Sur and the Oranges of Hieronymus Bosch, New York, New<br />
Directions, 1957. Ediz. ital. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Torino, Einaudi,<br />
1979.<br />
3 - V. Beonio Brocchieri scrive, nell'introduzione ad Anni decisivi, che da Nietzsche<br />
deriva a Spengler "quel gusto sentenzioso, quel tratto violento e provocatorio". Più<br />
12
Scrive infatti Spengler:<br />
"Non sono mai stato in grado di stendere con calma<br />
una sola pagina di prosa scientifica...Perfino di<br />
matematica posso scrivere soltanto nello stesso<br />
modo in cui scrivo versi poetici. Devo attendere un<br />
momento propizio, quando sento che qualcosa mi<br />
scuote, quando le parole mi corrono intorno, quando<br />
le frasi si accalcano nella penna senza che io abbia<br />
piena coscienza del loro rapporto...<br />
Se preferisco gli aforismi dipende da questa<br />
incapacità di portare a termine grandi lavori.<br />
L'aforisma nasce e si compie nell'attimo...Anche se<br />
viene sentito come scadente non guasta comunque il<br />
ricordo di una intera raccolta." (Eauton, p. 32)<br />
Lo stile di Spengler è deciso e procede a grandi balzi, è fatto, come<br />
scrive Miller, "di porfido e granito e pesa una tonnellata" (Plexus, p.<br />
745), ma questi materiali duri li attacca con grandi colpi di scalpello,<br />
senza esitazioni. È il "filosofare col martello di nietzscheana memoria;<br />
il tono è profetico, visionario, e per questo il linguaggio assume a tratti<br />
accenti millenaristici. Spengler mantiene sempre il tono olimpico di chi<br />
osserva la storia col metro delle epoche e dei millenni:<br />
"Io scrivo non per alcuni mesi o per il prossimo anno,<br />
bensì per l'avvenire [...] Ciò che è esatto non può<br />
esser tolto di mezzo da un avvenimento." (Anni<br />
decisivi, cit., p. 10)<br />
È lo stile di chi ritiene di intravvedere rivolgimenti epocali. D'altra<br />
parte, chi ha il coraggio (o la pretesa) di abbracciare millenni di storia<br />
non può tirarsi indietro di fronte ai rischi che ciò comporta: accuse di<br />
avanti parla di "folgorante, rapsodico autore germanico"; vedi O. Spengler, Anni<br />
decisivi, Milano, Bompiani, 1934, p. XV. Sullo stile di Spengler vedi anche la<br />
prefazione all'edizione definitiva de Il Tramonto dell'Occidente, dove scrive che il suo<br />
libro "ha una base intuitiva ed è stato scritto in uno stile che cerca di rendere gli oggetti e<br />
le relazioni in modo plastico invece di sostituirvi file di concetti astratti; e si rivolge<br />
unicamente al lettore capace di rivivere anche lui assonanze e immagini" (Tramonto, p.<br />
5).<br />
13
dilettantismo, di superficialità, di pessimismo compiaciuto, tutte<br />
puntualmente rivoltegli 4.<br />
È una scrittura tagliente, fatta di chiaroscuri, dove lunghe parti<br />
didascaliche preparano lo slancio delle illuminazioni, dell'aforisma che<br />
epifanicamente fa luce sulla verità. Ed è un procedimento che ricorda la<br />
prosa di Henry Miller, con il suo andamento irregolare e discontinuo,<br />
con quell'oscillare caratteristico tra alti e bassi, attraverso bruschi<br />
passaggi da parti fortemente realistiche, crude e violente, a intermezzi<br />
"metafisici". Non vi sono gerarchie: spirito e carne, sacro e osceno,<br />
luce e tenebra convivono, nella convinzione che gli opposti poli<br />
vadano ricondotti ad una originaria unità 5. Soprattutto, anche Miller<br />
procede disinvoltamente a grandi bracciate, "bracciate troppo grosse,<br />
a volte" gli scrive Anais Nin (Nin-Miller, p. 169). Nei tratti più<br />
metafisici la narrazione assume un afflato epico. Si veda ad esempio<br />
l'attacco di Tropico del Cancro:<br />
"Abito a villa Borghese. Non un granello di polvere,<br />
non una sedia fuori posto. Siamo soli, e siamo<br />
morti...Boris mi ha fornito poco fa un compendio di<br />
come la vede. E' un profeta del tempo. Farà brutto<br />
ancora, dice. Ci saranno ancora calamità, ancora<br />
morte, disperazione. Non c'è il minimo indizio di<br />
cambiamento. Il cancro del tempo ci divora. I nostri<br />
eroi si sono uccisi, o s'uccidono. Protagonista,<br />
dunque, non è il Tempo, ma l'Atemporalità.<br />
Dobbiamo metterci al passo, passo serrato, verso la<br />
prigione della morte. Non c'è scampo. Non cambierà<br />
stagione." (Cancro, p. 5)<br />
Il "cancro" diventa una immagine simbolica della fine dei tempi:<br />
"Tempo", "Atemporalità", "morte", "caos", questi sono i simboli, le<br />
grandi figure apocalittiche che aleggiano nel tropico del cancro, nel<br />
luogo del disfacimento dell'Occidente. E questa atmosfera da<br />
"crepuscolo degli dei" è resa con uno stile "massimalista", che<br />
4 - Vedi l'introduzione di Marcello Veneziani a O.Spengler, Scritti, pp. 7-21.<br />
5 - Antoine Denat così scrive in 'H. Miller clown, barocco, mistico e vincitore',<br />
introduzione a H.Miller, Il meglio di H.M., Milano, Longanesi, 1961: "Miller si tuffa<br />
nella vita ( non ne scappa mai ) e viene fuori tutto grondante e allora distende le sue ali<br />
di arcangelo in una meditazione sugli argomenti più svariati" (p. 44).<br />
14
acconta grandi storie con un stile barocco, enfatico e fortemente<br />
immaginifico, sostenuto da metafore, iperboli, accumulazioni,<br />
iterazioni 6. Non che Miller avesse bisogno de Il Tramonto<br />
dell'Occidente e di Spengler per assimilare questo stile: ne aveva<br />
esempi più illustri e più congeniali nella tradizione americana, nel<br />
trascendentalismo di Thoureau ed Emerson, nella poesia di Whitman,<br />
nei romanzi di Melville, influenze queste, tra l'altro, più volte<br />
riconosciute. Tuttavia, lo stile di Spengler contribuisce non poco nel<br />
render conto dell'interesse di Miller per il filosofo tedesco.<br />
I. 2. La "sensibilità fisiognomica" di Spengler<br />
L'analogia di stile tra Miller e Spengler è un'analogia a più strati. C'è<br />
un primo strato, il più superficiale, che è quello dello stile a volo<br />
d'uccello, del tono epico ed apocalittico di chi, come Miller e<br />
Spengler, ama atteggiarsi a profeta.<br />
C'è un secondo strato, che è quello del procedere per illuminazioni.<br />
Esso si risolve in modi differenti: in Miller conduce ad uno stile che<br />
risolve ogni dualità in unità e che dalle scene più realistiche e carnali<br />
trae slancio per intermezzi poetici e visionari, nella convinzione che<br />
questi rivelino una sorta di "filigrana metafisica" del reale; in Spengler<br />
porta ad una scrittura aforismatica che procede per ispirazione.<br />
L'aforisma riproduce nel suo stile frammentario il carattere epifanico<br />
delle intuizioni spengleriane.<br />
C'è infine il terzo strato, che è forse il più profondo perché coinvolge<br />
il significato stesso della "parola" ed il senso di cui viene caricata.<br />
Spengler e Miller mostrano di avere in comune un approccio di tipo<br />
estetico alla realtà ed alla parola, e di trattare allo stesso modo le forme<br />
6 - Vedi Guido Almansi, 'L'estetica di H. Miller' in L' estetica dell'osceno, Torino,<br />
Einaudi, 1994, dove si legge: " Se esiste lo scrittore minimalista, ci sarà anche lo<br />
scrittore massimalista il quale racconta ampie storie su grande scala con un linguaggio<br />
ricco e immaginifico [...]. A questa corrente massimalista appartiene di certo Henry<br />
Miller, scrittore di ambizioni colossali che ha allargato il tenue soggetto del proprio io a<br />
dimensioni cosmiche." (p. 231).<br />
15
della realtà come le forme della parola. Si scorge in loro un identico<br />
"talento fisiognomico" 7.<br />
Innanzitutto occorre chiarire concetti come "forma" e "talento<br />
fisiognomico". Quella che Spengler si propone ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente è una "morfologia della storia" che "abbracci tutte le<br />
forme e i movimenti del mondo nel loro più profondo, ultimo<br />
significato" (Tramonto, p. 17), morfologia che rappresenta l'ultima<br />
filosofia possibile per l'Occidente. Il corso degli eventi storici è<br />
dominato da otto grandi civiltà, forme con cui una idea di mondo ha<br />
preso corpo ed ha fatto storia, imprimendo il proprio sigillo su ogni<br />
sua manifestazione; il loro destino è segnato dalle stesse leggi che<br />
regolano la vita del macrocosmo naturale:<br />
"Io vedo una molteplicità di civiltà possenti, scaturite<br />
con una forza elementare dal grembo di un paesaggio<br />
materno [...]: civiltà che imprimono ciascuna la<br />
propria forma all'umanità, loro materia, e che hanno<br />
ciascuna una propria idea e delle proprie passioni,<br />
una propria vita, un proprio volere e sentire, una<br />
propria morte.[...] Ogni civiltà ha proprie, originali<br />
possibilità di espressione, che germinano, si<br />
maturano, declinano e poi irrimediabilmente<br />
scompaiono. [...] Nella storia mondiale io vedo un<br />
eterno formarsi e disfarsi, un meraviglioso apparire e<br />
scomparire di forme organiche." (ibidem, pp. 40-1)<br />
Ogni civiltà ha uno "stile, che è la forma della propria rappresentazione<br />
e che si rivela nelle forme che produce, nell'arte, nella politica,<br />
nell'organizzazione socio-economica, nella religione 8; un identico tratto<br />
somatico accomuna questa molteplicità di fenomeni. È in base a<br />
queste premesse che Spengler potrà parlare di "stile" di una politica,<br />
"stile" di una matematica ecc... Entra così in gioco il "talento<br />
7 - Per il significato di "talento fisiognomico", "forma", "espressione", e in generale per<br />
una interpretazione di Spengler basata sul concetto di "forma", vedi Giovanni Gurisatti,<br />
'Il tramonto dell'espressione. Spengler e la fisiognomica', in Estetica 1991, Bologna, il<br />
Mulino, pp. 323-345.<br />
8 - "Come nella loro forma, nel loro colore e nella loro disposizione le foglie, i fiori, i<br />
rami e i frutti esprimono l'essere vegetale, questo stesso significato lo hanno, per una<br />
civiltà, le sue forme religiose, intellettuali, politiche ed economiche" (Tramonto, p. 177).<br />
16
fisiognomico", o morfologico, perché qui si tratta di scoprire l'essenza<br />
di una civiltà tramite il suo "volto", le sue forme:<br />
Una volta che si disponga di una sensibilità<br />
fisiognomica, è assolutamente possibile scoprire i<br />
lineamenti organici fondamentali dell'immagine storica<br />
di interi secoli partendo da sparse particolarità degli<br />
ornamenti, dell'architettura, della scrittura, da dati<br />
isolati di natura politica, economica, religiosa.<br />
(ibidem, pp. 183-4)<br />
La civiltà è la "forma", il modo con cui si estrinseca la storia, che è una<br />
successione di civiltà. La lingua, la letteratura, la musica, la politica, la<br />
religione, queste sono tutte "forme", invece, con cui si estrinseca la<br />
civiltà. La realtà si comprende solo quando assume una forma, quando<br />
cioè una serie di eventi assume un significato, un'intelligibilità, una<br />
visibilità per l'occhio del filosofo; quegli eventi diventano allora<br />
"simbolo", espressioni di un pensiero e di una specifica civiltà. È così<br />
che la storia diventa morfologia, cioè indagine, a tutti i livelli, sulla<br />
forma.<br />
Ciò che essa ha, e che la rende fondamentale, è di essere la<br />
materializzazione dell'idea. L'idea di una civiltà si trasfonde<br />
direttamente e completamente nelle sue forme: esse rappresentano<br />
anima (idea) e corpo della civiltà, dove l'aspetto materiale e quello<br />
ideale si intrecciano in modo indissolubile; vedere una civiltà come<br />
serie di forme non significa coglierne una realtà parziale, bensì<br />
comprenderla pienamente ed essenzialmente. Spengler studia le civiltà<br />
con sguardo morfologico, senza mai scindere cioè i due momenti;<br />
partendo dall'analogia tra uomo e civiltà, tra anima del corpo e anima<br />
della civiltà, Spengler scrive:<br />
"Anima e corpo sono due espressioni per la<br />
medesima cosa...un corpo animato e vivente è la<br />
medesima cosa." (Urfragen, p. 261)<br />
"L'anima ci appare nell'espressione corporea. Il<br />
corpo, cioè, è espressione dell'anima." (ibidem, p.<br />
359)<br />
17
Tutto Il Tramonto dell'Occidente si regge sull'idea che fenomeno e<br />
idea, corpo e spirito siano uniti nell'espressività della forma, "forma<br />
vivente" 9, che costituisce un Leitmotiv nell'interpretazione spengleriana<br />
della storia. Ma la forma è anche il problema principale dell'artista, e<br />
questo sotto diversi punti di vista.<br />
I. 3. Il duplice significato della forma: forme della civiltà e<br />
forme dello stile<br />
In primo luogo, è l'approccio stesso alla realtà da parte dell'artista ad<br />
essere contraddistinto da una prospettiva morfologica: egli vede il<br />
mondo come serie di forme, rappresenta cioè la realtà attraverso<br />
immagini simboliche scelte per il loro valore espressivo, coagula i<br />
fermenti di un'epoca in una immagine sensibile che diventa espressione<br />
simbolica. È quello stesso carattere di impersonalità della creazione<br />
che Spengler sottolinea nella prefazione a Il Tramonto<br />
dell'Occidente:<br />
"Un pensatore è un uomo chiamato a esprimere<br />
simbolicamente il suo tempo mediante il suo potere di<br />
visione e di comprensione. A lui non è dato di<br />
scegliere." (Tramonto, p. 3)<br />
"Un pensiero avente storica necessità, un pensiero<br />
che, dunque, non cade semplicemente in un'epoca,<br />
ma che fa un'epoca, è solo in un senso assai limitato<br />
proprietà di colui cui capita di esprimerlo. Esso<br />
appartiene piuttosto a tutta l'epoca; esso agisce<br />
inconsciamente nello spirito di tutti [...]." (ibidem, p.<br />
7)<br />
Questo è il "tropico del cancro" di Miller: una sintesi espressiva che<br />
descrive un mondo ed una condizione esistenziale e storica. Questo è<br />
9 - In tedesco l'elemento dinamico del concetto di "forma" viene espresso dal termine<br />
"Bildung", parola chiave del pensiero di Goethe e ripresa da Spengler; la "forma" come<br />
categoria statica è invece la "Form".<br />
18
il significato del protagonista autobiografico di Tropico del Cancro: in<br />
una sola immagine, con un solo colpo d'occhio abbiamo la<br />
rappresentazione e lo svolgimento di un problema complesso come la<br />
crisi di valori dell'occidente. Una vicenda apparentemente<br />
insignificante come le vicissitudini di un immigrato americano nella<br />
Parigi degli anni trenta si carica di valore espressivo ed assurge al<br />
ruolo di simbolo del tramonto della civiltà. Spengler mostra di scegliere<br />
questo modo di rappresentazione, questo tipo di approccio "estetico"<br />
alla realtà: tale può dirsi la sua ambizione di una mo rfologia della storia<br />
e la sua scelta di una visione rivolta alle forme. A questo tipo di<br />
conoscenza si dischiudono possibilità precluse al sapere causale e<br />
dimostrativo 10.<br />
Una conferma di questa sensibilità "artistica" ci viene fornita dalla<br />
biografia e dai diari del filosofo tedesco 11. Sappiamo infatti che, fin da<br />
bambino, Spengler si cimentava nella composizione di drammi ispirati<br />
alla storia greca e romana; fino ai diciotto anni lavora a due drammi<br />
storici in versi, il Montezuma e il Malstrom, poi progetta una serie di<br />
drammi ispirati ai personaggi della storia prussiana, ed una<br />
autobiografia della quale ci rimangono diversi frammenti, raccolti col<br />
titolo di Eis heauton. Infine lavora ad un romanzo, rimasto allo stato di<br />
abbozzo, che avrebbe dovuto rappresentare la metamorfosi dell'eroe,<br />
dal tipo dell'artista, uomo della crisi, all'uomo del destino e dell'azione,<br />
il guerriero.<br />
In un frammento di Eis heauton troviamo in proposito due passi<br />
interessanti:<br />
Io sono fatto per il vedere. Soltanto ciò che vedo si<br />
imprime nella mia memoria, al punto che ricordo una<br />
melodia solo quando l'ho suonata io stesso, leggendo<br />
le note sulla partitura. (Eauton, p. 15)<br />
In dote per la vita ho ricevuto lo sguardo. Il dono<br />
geniale, se così posso esprimermi, di osservare, di<br />
stare a guardare. L'attività esige lo sguardo...Questo<br />
sguardo è il vero talento filosofico. Una scienza<br />
10 - Vedi G. Gurisatti, 'Il tramonto dell'espressione. Spengler e la fisiognomica', cit., pp.<br />
329-339.<br />
11 - Vedi G. Gurisatti, 'Fisionomia di un ripudiato', postfazione a Eauton, pp. 123-131.<br />
19
filosofica specialistica è una assurdità filosofica.<br />
(ibidem, p. 17)<br />
Ecco la dote che Spengler rivendica: la capacità dello sguardo, cioè la<br />
capacità di vedere le forme, di cogliere le dinamiche della storia<br />
attraverso "ciò che si vede", il "fenomeno". Tutto Il Tramonto<br />
dell'Occidente è attraversato dalla metafora visiva dello sguardo<br />
dell'aquila, dall'occhio del predatore che domina dall'alto attraverso la<br />
vista, e la visione è lo strumento principe della conoscenza. Ma la<br />
visione è sempre visione di forme: qui troviamo l'intuizione centrale di<br />
Spengler, la storia come successione di simboli espressivi. "Tutto ciò<br />
che passa non è che un simbolo" è il Leitmotiv goethiano de Il<br />
Tramonto dell'occidente 12. Occorre leggere la storia secondo la legge<br />
dell'espressione: l'idea esprime sé nella forma, nel fenomeno, cosicché<br />
la forma stessa non è effetto esterno dell'idea. L'idea non causa la<br />
forma, perché è già tutta in essa e non ne è scindibile. Per<br />
comprendere l'essenza di una civiltà bisogna allora indagarne le<br />
strutture morfologiche: lì c'è lo "stile" di una civiltà, la peculiarità che la<br />
contraddistingue. Essere in grado di restare su questo piano significa<br />
cogliere nella realtà una serie di forme dotate di senso: questo è il dono<br />
di Spengler, e questa è l'unica possibile filosofia della storia, quella che<br />
egli chiama la "prospettiva da aquila" (Tramonto, p. 77).<br />
Veniamo ora ad un altro aspetto del problema delle forme: esse sono<br />
l'oggetto della rappresentazione dell'artista e dell'indagine filosofica di<br />
Spengler; forme sono anche, però, gli strumenti di queste indagini,<br />
cioè le parole. Il problema centrale di un artista sta nel rapporto con le<br />
parole, e nel rapporto tra le parole e la realtà. Nel caso dello stile di un<br />
filosofo, si tende abitualmente ad applicare una struttura rigidamente<br />
imperniata sulla coppia significante-significato. La parola rinvierebbe<br />
ad un significato, ed in questo rinvio esaurirebbe la propria funzione.<br />
La parola indica la direzione, ed è puramente strumentale al concetto<br />
che vuole mettere il luce. Esprimere una serie di pensieri non<br />
comporterebbe una scelta esclusiva di linguaggio: una parola vale<br />
l'altra, e l'unico criterio discriminante diventa la chiarezza<br />
dell'argomentazione. Vale cioè il motto: "rem tene, verba sequentur".<br />
12 - Vedi Stefano Zecchi, introduzione a O. Spengler, Il Tramonto dell'Occidente, cit.,<br />
pp. IX-XXVIII.<br />
20
Miller, invece, vede nella scrittura di Spengler qualcosa di diverso. Il<br />
corpo dei concetti, infatti, ha tanta importanza quanto i concetti stessi.<br />
Abbiamo già visto quale peso abbia per Miller questo aspetto<br />
"estetico" della scrittura spengleriana, il suo stile immaginifico e<br />
fortemente evocativo, la sua capacità di suggestione. Ma questo si<br />
spiega ora più chiaramente se applichiamo qui il concetto di forma<br />
secondo le indicazioni spengleriane. Spengler ha un approccio<br />
morfologico con la realtà, estetico: delinea una serie di immagini, vede<br />
la realtà stessa come una serie di immagini espressive, di volti. Questi<br />
volti esauriscono tutta la realtà: il reale è tutto nel "volto", cioè nel<br />
fenomeno. Le sue parole non sfuggono a questa dinamica e si<br />
caricano di un valore espressivo: il corpo delle parole non è più<br />
indifferente, non è più un medium tra lettore e concetto, ma è parte<br />
integrante del concetto stesso. Anche le parole hanno un corpo e<br />
un'anima. Lo stile di Spengler è la manifestazione di una idea, il suo<br />
corpo imprescindibile: è insomma uno stile "letterario", volendo<br />
indicare con questo una scrittura che rimanda non solo ad un'idea, ma<br />
anche alla forma con cui l'idea viene espressa.<br />
Detto questo, appare più chiaro il legame con Miller: è proprio il<br />
modo di intendere la parola ad accomunarli. C'è in sostanza un<br />
identico approccio estetico alla realtà, che si rivela nella duplice<br />
accezione del termine forma: forma come "oggetto" della<br />
rappresentazione, e forma come "mezzo" della rappresentazione.<br />
Questo è evidente e naturale in uno scrittore come Miller, meno<br />
evidente e meno naturale in un filosofo come Spengler. Tuttavia, le<br />
vicende biografiche di quest'ultimo ci hanno sostenuto in questa<br />
interpretazione: dai suoi tentativi letterari, al suo amore per l'arte e la<br />
poesia, al suo stile fortemente espressivo ed "ispirato". La forza<br />
icastica del linguaggio spengleriano diventa evidente ed ineludibile<br />
quando è lo stesso Miller ad evidenziarla, richiamando alcune delle<br />
immagini più celebri del Tramonto dell'Occidente, dall'"uomo quale<br />
nomade intellettuale" all'"uomo dell'alba" (Plexus, p. 748).<br />
I. 4. Il potere evocativo della parola<br />
21
Le "parole" di Spengler centrano poi uno dei temi preferiti da Miller:<br />
il potere evocativo della parola. L'ultimo capitolo di Plexus è<br />
interamente intessuto di lunghe citazioni da Il Tramonto dell'occidente.<br />
È Miller stesso a render conto di questo piacere della rievocazione:<br />
"Vi sono, ne Il Tramonto dell'Occidente, frasi,<br />
periodi, a volte interi capoversi che sembra mi siano<br />
scolpiti nel cervello. La prima lettura scese in<br />
profondità. Da quel tempo, l'ho letto e riletto, ho<br />
copiato e ricopiato i passi che mi ossessionano.<br />
Eccone alcuni presi a casaccio, non meno<br />
incancellabili delle lettere dell'alfabeto." (Plexus, p.<br />
741)<br />
Seguono più di due pagine di citazioni. Le parole di Spengler riflettono<br />
la sua capacità di rievocare il passato, di donarlo al presente dotato di<br />
un significato e quindi rivelato nel suo carattere di simbolo. Sono una<br />
sorta di alfabeto primitivo, un linguaggio prenatale che riporta al<br />
mistero della vita e del suo formarsi, e che ha un sapore ancestrale. È<br />
proprio uno dei passi spengleriani citati da Miller a fare luce su questo<br />
tema:<br />
"Insieme col nome nasce una nuova concezione del<br />
mondo...Insieme col nome, si rasenta anche il<br />
sentimento del risveglio, e la sorgente dell'angoscia.<br />
Non solo il mondo esiste: si intuisce in lui la presenza<br />
di un segreto. Si dà un nome...a ciò che è<br />
enigmatico." (Plexus, p. 742)<br />
La parola non si limita ad indicare: è la rivendicazione di un possesso.<br />
Con la parola l'uomo domina le cose, le controlla, le ha in suo<br />
potere. 13 Grazie alla parola, come dice Spengler, l'uomo si distingue<br />
13 - Per l'accento sul valore evocativo della parola e sulla sua forza creatrice, vedi<br />
anche Giuseppe Picca, Introduzione a H. Miller, Milano, Mursia, 1976, p. 121: "La<br />
fede nella potenza creatrice del linguaggio è la causa, al livello psichico, del piacere che<br />
Henry Miller provava nell' essere attore o spettatore di una narrazione, e al livello<br />
stilistico, della singolare predilizione per il coacervo di parole [...], a indicarne il potere<br />
evocativo. [...] Solo pochi uomini, che hanno scoperto l'angelo dentro di sé, sono<br />
capaci di dare nuova vita alle parole.".<br />
22
dalla bestia e perviene ad una coscienza "metafisica". Ed in Miller è<br />
evidente il piacere dell'evocazione, che si rivela nella sua predilizione<br />
per l'accumulo, l'ammasso, la lista, in quel suo amore per l'elenco che<br />
lo porta a volte a sconfinare nel pletorico. La parola assume un valore<br />
cosmogonico: crea un ordine, e richiama alla memoria le formule<br />
magiche ed evocative dell'uomo primitivo, che attraverso l'arte, delle<br />
parole o delle immagini, costruiva un senso al proprio mondo 14.<br />
Stile e pensiero sono fusi in unità: il pensatore diventa anche poeta e<br />
Il Tramonto dell'occidente si fa poema del mondo. Poema perché<br />
giunge al cuore dell'uomo, perché riesce a coglierne l'aspetto<br />
metafisico oltre il contingente, perché coglie la realtà come simbolo di<br />
qualcos'altro, perché dona ai fatti del reale un valore espressivo, e<br />
quindi anche un senso. Ogni fatto ha importanza, nulla è trascurabile:<br />
in ogni fenomeno agiscono e si rendono conoscibili le leggi che<br />
regolano la storia e la vita degli uomini.<br />
La scommessa de Il Tramonto dell'Occidente è quella di dare vita e<br />
di rendere espressivo ogni frammento della realtà, di vedere in ogni<br />
cosa una forma vivente che testimoni, nel proprio microcosmo, la<br />
presenza di quelle stesse leggi che regolano il macrocosmo dell'uomo<br />
e della natura. Goethianamente, ogni foglia rappresenta tutto il mondo<br />
vegetale: indagare il microcosmo ci porta a scoprire quelle stesse leggi<br />
che regolano il macrocosmo.<br />
Questo aspetto colpiva ed attraeva Miller, questa corrente vitale che<br />
attraversa tutte le cose, donando loro pari dignità in quanto ugualmente<br />
espressive. Un fregio, la modanatura di un architrave, il particolare di<br />
un capitello, la scelta di una tonalità di colore per un paesaggio, tutto<br />
ciò prende vita, assume un senso, e cessa di essere cosa morta. Si<br />
consuma così, in Miller, una metamorfosi de Il Tramonto<br />
dell'occidente da trattato morfologico-filosofico a poema del mondo,<br />
da "scienza della morte" a canto di vita.<br />
Le parole di Spengler, scrive Miller, lo fanno "ballare" (Plexus, p.<br />
734), perché sono vita, vita del corpo, azione. Possono essere oscure<br />
ed enigmatiche, ma mai inautentiche. Non sono macrostrutture<br />
14 - La parola è evocazione, scrive Spengler, e nella parola "evocare" ritroviamo il<br />
duplice significato della creazione artistica, che è creazione di un ordine umano sulla<br />
realtà ma anche preghiera, appello alle forze impersonali del macrocosmo: "la parola<br />
'evocare' [...] vuol dire sia costringere che invocare, supplicare." (Tramonto, p. 134).<br />
23
intellettuali, prodotti di un uomo "in grado di comunicare soltanto<br />
attraverso lo sterile intelletto" (ibidem, p. 748). A Miller non sembra<br />
interessare più di tanto la concezione spengleriana del mondo:<br />
"Una morfologia della storia, per quanto valida,<br />
eccitante ispiratrice possa essere, è sempre una<br />
scienza della morte. Spengler non si preoccupava di<br />
quel che è situato al di là della storia. Io lo sono."<br />
(ibidem, p. 748)<br />
Il Tramonto dell'occidente è semplicemente un "osso di più da<br />
rodere" (ibidem, p. 746), come a dire nuova linfa vitale. Ogni pensiero<br />
è scienza della morte se non coglie, oltre il mutare delle forme<br />
contingenti, il permanere della vita e la sua capacità di creazione e<br />
continua rigenerazione:<br />
"La morte è un 'controsimbolo'. La vita è il tutto,<br />
anche nelle epoche terminali. Da nessuna parte si<br />
trova il più lieve accenno che la vita debba<br />
arrestarsi." (ibidem, p. 758)<br />
Questo vitalismo, questa idea di una vita come eterno flusso,<br />
rappresenta uno dei pilastri della costruzione spengleriana, ma<br />
soprattutto è parte integrante della visione del mondo di Miller. Ed è<br />
importante che questo elemento emerga già da una prima ricognizione<br />
sul rapporto con Spengler, perché con il suo richiamo a valori<br />
"positivi" fa da contraltare, ne Il Tramonto dell'Occidente, alla<br />
riflessione critica, "negativa", sul destino decadente della civiltà. Il<br />
rapporto tra Miller e Spengler non si appiattisce nel lamento della<br />
decadenza, ma sviluppa una riflessione articolata e complessa dove il<br />
momento "negativo" e quello "positivo", "pars destruens" e "pars<br />
construens", costituiscono di volta in volta prospettive diverse di un<br />
identico pensiero.<br />
24
II<br />
HENRY MILLER LETTORE DE "IL TRAMONTO<br />
DELL'OCCIDENTE": L'ULTIMO CAPITOLO DI "PLEXUS"<br />
Quello di Spengler è un nome ricorrente nel corpus dell'opera<br />
milleriana. D'altra parte, la sua importanza è riconosciuta sia dai critici<br />
che dallo stesso Miller 1. Il Tramonto dell'Occidente rientra nella lista<br />
dei "cento libri della mia vita", pubblicata alla fine dell'edizione<br />
americana di I libri della mia vita, dove il nome di Spengler compare<br />
tra quelli di Whitman, Emerson, Rabelais, Nietzsche, Dostoevskij, Elie<br />
Faure e molti altri, come facente parte di una ideale "linea genealogica"<br />
(Libri, p. 122) 2. Inoltre l'opera del filosofo tedesco faceva parte di una<br />
ristretta rosa di testi (otto in tutto) che, agli inizi degli anni trenta, Miller<br />
aveva proposto per un'edizione con le proprie annotazioni e<br />
commenti 3. In quegli stessi anni, andava elaborando il progetto, mai<br />
realizzato, di un libro sui pensatori "life-givers" (Spengler, Nietzsche,<br />
Elie Faure), da opporre ai "death eaters", i pensatori della morte<br />
(Joyce e Proust) 4.<br />
Le osservazioni sul filosofo tedesco sono generalmente brevi: poche<br />
righe, tutt'al più un paragrafo, nella maggior parte dei casi solo il nome<br />
o un'espressione tipica, come "Spatestadt" ("ultima città") o "cultura<br />
faustiana". Vi sono due sole eccezioni nell'immenso corpus dell'opera<br />
di Miller: le digressioni di The World of Lawrence 5 e, soprattutto, il<br />
diciassettesimo capitolo di Plexus, ventisette pagine che costituiscono<br />
il contributo più cospicuo per l'interpretazione milleriana di Spengler.<br />
Plexus è il secondo volume della trilogia "Crocifissione in rosa",<br />
comprendente Sexus e Nexus: vi si descrivono gli anni americani di<br />
1 - "Le mie idee, se venivano da qualcuno, era piuttosto da Spengler, da Elie Faure, da<br />
Joyce, o addirittura da D.H. Lawrence. Sono stato influenzato da loro, come più tardi<br />
da Céline" (Conversazioni, p. 51).<br />
2 - Per la lista dei cento libri, vedi l'appendice I all'edizione americana, H.M., The<br />
books of my life, New York, New Directions, 1952.<br />
3 - Vedi J. Martin, Always Merry and Bright: the life of H.M., Santa Barbara, Capra<br />
Press, 1978, p. 331.<br />
4 - ibidem, p. 286.<br />
5 - Vedi Cap. III, 'Destino e civilizzazione in The World of Lawrence', pp. 70-122.<br />
25
Miller, dal primo, disastroso matrimonio, all'incontro con Mona (da<br />
"monos", "unica"), alias June Mansfield, seconda moglie dello<br />
scrittore. June è la donna che ha trasformato la sua vita: lo ha<br />
mantenuto con lavori equivoci, permettendogli di abbandonare il<br />
lavoro e dedicarsi alla scrittura, lo ha spinto a lasciare l'America e a<br />
recarsi a Parigi, gli ha fatto da musa ispiratrice per i primi romanzi, e<br />
qui, nella trilogia americana, è la protagonista assoluta. I tre romanzi<br />
sono autobiografici, anche se vicende e personaggi sono stati<br />
ampiamente rielaborati. Siamo a New York, alla fine degli anni venti,<br />
nel pieno della grande depressione succeduta alla crisi economica del<br />
1929. Sono gli anni che chiudono definitivamente con le illusioni<br />
dell'inizio del secolo e degli "anni ruggenti", un'epoca di crisi e di<br />
profondi ripensamenti, ripensamenti che, per Miller, si svolgono sulla<br />
traccia delle osservazioni spengleriane. Il Tramonto dell'Occidente<br />
forniva una chiave di lettura per la crisi dell'America e dell'Occidente,<br />
descriveva in modo acuto e persuasivo il disfacimento di un mondo,<br />
l'alienazione delle grandi metropoli e del lavoro meccanizzato, la<br />
frantumazione dei rapporti sociali. In questa descrizione dell'uomo<br />
della "Spatestadt" Miller si ritrovava in pieno, e ha dato testimonianza<br />
di tutta la sua frustrazione ed il suo odio nei confronti del proprio<br />
mondo in opere come L'incubo ad aria condizionata e Tropico del<br />
Capricorno, dove si legge:<br />
"Pochi mesi dopo me ne stavo in scanna nella "Piazza<br />
del Tramonto", ad assumere e licenziare come un<br />
demonio. Era un macello, e che Dio mi aiuti. Una<br />
cosa insensata da capo a fondo, uno spreco di<br />
uomini, di materiale e di fatica. Una farsa ripugnante<br />
contro uno sfondo di sudore e di miseria."<br />
(Capricorno, p. 315)<br />
Il diciassettesimo capitolo costituisce una delle caratteristiche<br />
digressioni milleriane; si apre con una lunga citazione dalla prefazione<br />
all'edizione definitiva de Il Tramonto dell'Occidente, dove Spengler<br />
dichiara le sue ascendenze: Nietzsche, dal quale ha tratto la facoltà di<br />
porre tutto in forse, sistematizzandone in una sintesi organica le<br />
intuizioni frammentarie, e Goethe, dal quale ha preso il metodo, la<br />
visione morfologica, cioè l'ideale organico di una storia che segue i<br />
26
itmi della natura, e che condivide con essa una ciclicità fatta di nascita,<br />
crescita e morte: l'immagine è quella di un mondo in continua<br />
germinazione, dove la morte non è la fine della vita ma un fenomeno<br />
della vita, il naturale compimento dell'esistenza di un organismo e<br />
quindi la naturale premessa per la nascita di nuove forme viventi 6.<br />
Queste righe continueranno ad ossessionare Miller negli anni a venire.<br />
Le immagini utilizzate nella descrizione di questa esperienza intellettuale<br />
sono all'insegna dell'enfasi e dell'iperbole, con un linguaggio di<br />
barocca esuberanza. Il Tramonto dell'Occidente è una "immensa opera<br />
in cui si svolge il panorama del destino umano", o anche un "poema<br />
del mondo" (Plexus, p. 733) 7, "una bomba che non era scoppiata<br />
perché un'altra bomba (la prima guerra mondiale) aveva fatto saltare la<br />
valvola" (ibidem. p. 738).<br />
L'incontro con Spengler assume quasi i tratti di un'esperienza mistica:<br />
"Sono pienamente consapevole che lo studio di<br />
questa grande opera rappresenta un nuovo<br />
avvenimento capitale nella mia vita. [..] Ogni tanto, un<br />
rigo o una frase mi arriva addosso con tale forza di<br />
percussione che mi sento balzato dal nido, scagliato a<br />
capofitto sulla strada, dove giro come un<br />
sonnambulo. [...] Come un sughero sballottato da un<br />
mare iroso io navigo nella scia di questo mostro<br />
morfologico. Ch'io sia capace di seguirlo anche a<br />
distanza mi sbalordisce. Sono io che lo seguo o<br />
vengo succhiato da un vortice ? Che cosa mi<br />
consente di leggere e di capire con rapimento ?"<br />
(Plexus, pp. 733-4)<br />
L'enfasi nell'apprezzamento è una costante della saggistica milleriana,<br />
ed è in linea con lo stile dei suoi romanzi, ma qui può esserci utile per<br />
comprendere i termini della sua lettura di Spengler. L'immagine che<br />
emerge dalle pagine di Plexus non è quella di un filosofo che<br />
costruisce sistemi di pensiero e sillogismi inattaccabili, ma quella di un<br />
6 - Vedi Plexus, p. 733. La citazione è da Tramonto, pp. 5-6.<br />
7 - Analoga espressione si ritrova nel saggio 'Quando piglio la pistola', contenuto nella<br />
raccolta Come il Colibrì, dove Il Tramonto dell'Occidente viene definito uno "stupendo<br />
poema sinfonico morfologico, o fenomenologico" (Come il Colibrì, Milano, Rizzoli,<br />
1970, p. 56).<br />
27
"poeta", di un pensatore "che frughi nell'anima delle cose". Secondo<br />
l'interpretazione milleriana, le riflessioni di Spengler giungerebbero alla<br />
verità non attraverso procedimenti logici ed analitici ma per intuizione.<br />
Non ci sono elaborazioni intellettuali a mediare il rapporto tra l'uomo e<br />
il mondo; l'essenza della realtà si coglie per illuminazione, per contatto<br />
diretto.<br />
Spengler riuscirebbe quindi a nutrire il proprio pensiero alle fonti<br />
stesse della vita. La sua non è una costruzione intellettuale, o almeno,<br />
non è in questo senso che la intende Miller: "Una morfologia della<br />
storia, per quanto valida, eccitante ispiratrice possa essere, è sempre<br />
una scienza della morte" (Plexus, p. 748). In Spengler ritrova non un<br />
pensatore convincente, ma uno spirito affine, una sintonia di pensiero<br />
che parte da lontano, da una comune ricerca delle fonti della "Vita"<br />
che li riconduce a quell'humus animale e irrazionale che costruisce le<br />
forme dell'arte e del pensiero umano.<br />
Per inciso, notiamo che le metafore utilizzate per descrivere Il<br />
Tramonto dell'Occidente sono sempre riconducibili a due motivi che<br />
apparentemente poco hanno a che fare tra loro, il cibo e la violenza:<br />
l'opera di Spengler è un "osso" che si "rosica", si "mastica", si<br />
"scava", ma è anche una "bomba", una tremenda "forza di<br />
percussione". Questi simboli ricorrono con insistenza in tutta l'opera<br />
milleriana, e li ritroveremo con più insistenza ed efficacia in Tropico<br />
del Cancro . Qui basti dire che entrambe le metafore sono simboli di<br />
vita: l'esplosione è l'irrompere nella realtà di una energia compressa, è<br />
la forza irrazionale e cieca della Vita che irrompe nel mondo e travolge<br />
ogni macrostruttura intellettuale; il cibo è il nutrimento concreto del<br />
corpo, è ciò che alimenta la vita, l'immagine stessa della sua ricchezza<br />
ed il suo simbolo più evidente.<br />
De Il Tramonto dell'Occidente affascina Miller la capacità di dare un<br />
senso vivo alla storia, di mostrare le civiltà come "persone" e quindi<br />
come entità naturali e vitali, nel loro dinamismo che si sviluppa<br />
secondo le leggi della natura. Conoscere una civiltà, così come leggere<br />
un libro, significa allora comprenderne il senso e la "forma" essenziale:<br />
attraverso i fenomeni che una cultura produce, possiamo risalire al<br />
pensiero che ne sta alla base, e che dà fine e significato ai fenomeni<br />
28
stessi. "Tutto ciò che passa non è che un simbolo" 8: il verso di Goethe<br />
indica la direzione da prendere, che è quella di un ritorno alle origini,<br />
alla sorgente di senso che genera la storia. Questo significa vedere<br />
nelle vicende umane una successione di simboli, così da trasformare<br />
l'apparentemente fortuito in qualcosa dotato di un significato e di un<br />
destino. Senza la vitalità di questa lettura della storia, le forme della<br />
cultura e della civiltà rimangono forme morte.<br />
Due immagini si congiungono in Miller: il bambino e la sorgente.<br />
Spengler<br />
"ci fa tornare da soli, ci fa tornare alla sorgente.<br />
Com'era strano che nel leggere Spengler io<br />
cominciassi nuovamente a comprendere quali<br />
pensatori veramente meravigliosi si fosse da ragazzi !<br />
Se si considera la nostra età e la nostra limitata<br />
esperienza di vita, si resta sorpresi nel constatare che<br />
riuscivamo nondimeno a proporci reciprocamente le<br />
domande più profonde e vitali. Le affrontavamo [...]<br />
con tutto il nostro essere." (Plexus, p. 736)<br />
Il bambino sta qui ad indicare la possibilità di un pensiero spontaneo,<br />
immediato e non regolato dall'intelletto, un pensiero pre-razionale che,<br />
forte di questa naturalità, riesce a giungere fino alle radici di senso<br />
dell'esistenza. Il Tramonto dell'Occidente comporta un identico<br />
movimento a ritroso: riporta alla sorgente di significato della storia,<br />
permettendoci di coglierne la dinamica ciclica e di attingere ad un<br />
patrimonio di energia vitale inalterato. Se parte dalla Vita, il pensiero si<br />
fa originario ed autentico.<br />
Nell'opera di Spengler ciò che viene colta è la dinamica storica nella<br />
sua essenza: oltre l'apparente accatastarsi di fenomeni c'è la forza di<br />
un pensiero che sa coglierne la dimensione simbolica e che può quindi<br />
formulare diagnosi e prognosi sul destino della civiltà. Quello che<br />
Spengler offriva allo scrittore americano era una prospettiva alta,<br />
metafisica e metastorica, la "prospettiva da aquila" che contempla il<br />
mondo dall'alto, "come Eschilo, Platone, Dante, Goethe", e che si<br />
oppone alla visione "della ranocchia", al punto di vista "del bisogno<br />
8 - Il verso, Leitmotiv de Il Tramonto dell'Occidente, compare due volte anche in<br />
Miller, in Plexus, p. 738, e in Primavera, p. 681, e sempre legato a motivi spengleriani.<br />
29
quotidiano e della realtà opprimente" (Plexus, p. 742; da Tramonto, p.<br />
532). È qui che entriamo nel cuore del problema: chiarito che<br />
l'interesse di Miller parte da una preliminare sintonia con i presupposti<br />
del metodo spengleriano, possiamo entrare nel dettaglio dei contenuti.<br />
II. 1. Il tema della decadenza<br />
II. 1. 1. Il nichilismo e il destino dell'occidente: Dostoevskij<br />
Il Tramonto dell'Occidente è una profezia sul destino del mondo<br />
euro-americano. Il tema viene introdotto in Plexus da un<br />
richiamo a Dostoevskij:<br />
"Il Tramonto dell'Occidente ! Non lo dimenticherò<br />
mai il brivido che mi corse lungo la schiena quando<br />
lessi questo titolo per la prima volta. Era come Ivan<br />
Karamazov che dice: 'Voglio andare in Europa. So<br />
bene che andrò soltanto verso un cimitero, ma sarà il<br />
più caro dei cimiteri" (Plexus, p. 736)<br />
La stessa citazione da I fratelli Karamazov compare ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, in un paragrafo, citato poco dopo da Miller, dal titolo<br />
'Pseudomorfosi storiche'. Lì la citazione è completa:<br />
"Partirò per l'Europa. Io so di non andare che verso<br />
un cimitero, ma so anche che questo cimitero mi è<br />
caro, che è il più caro di tutti i cimiteri. I nostri cari<br />
morti sono seppelliti là, ogni pietra delle loro tombe<br />
parla di una vita passata così fervida, di una fede<br />
così appassionata nelle azioni che hanno compiute,<br />
nelle loro verità, nelle loro lotte e nelle loro<br />
conoscenze che io, lo so di già, mi prosternerò per<br />
baciare quelle pietre e per piangere su di esse."<br />
(Tramonto, p. 936)<br />
Dostoevskij, per Spengler, è una figura di "santo", un "apocalittico"<br />
accostabile, per purezza di pensiero, solo agli apostoli del<br />
cristianesimo primitivo. Dostoevskij è l'artista cristiano che scorge la<br />
30
decadenza dei valori del mondo occidente e la vive in tutta la sua<br />
lacerante complessità; in questo viene contrapposto a Tolstoj, il<br />
prototipo del pensatore "sociale", l'intellettuale che riflette sulla base<br />
della distinzione tra conservatorismo e progresso, oscurantismo e<br />
dominio della ragione. Dostoevskij si colloca più in alto; il suo<br />
sguardo è quello dell'aquila, che si libra oltre le prospettive sancite dai<br />
limiti di categorie come "conservatorismo", "riformismo",<br />
"rivoluzione" o "comunismo": queste sono tutte prospettive limitate in<br />
quanto variabili di un'unica realtà, cioè della civiltà delle metropoli, che<br />
sorgevano allora a dominare il territorio, prefigurazione delle società<br />
tecnocratiche del XX secolo. Per Spengler, Tolstoj è solo un maestro<br />
del romanzo occidentale, un tecnico, un buon artigiano, mentre<br />
Dostoevskij è un santo, un apostolo del cristianesimo primitivo, un<br />
mistico che osserva dall'alto di una prospettiva metafisica gli eventi<br />
della storia, e che quindi è in grado di scorgerne quelli che sono i veri,<br />
grandi movimenti. Dostoevskij intuisce che l'alternativa non è tra<br />
riforma agraria o latifondo, tra zarismo e comunismo (il secondo è anzi<br />
l'esito estremo del primo, come un degradarsi di prospettiva, dalla<br />
metafisica ai problemi sociali), ma tra l'Occidente e nuove forme di<br />
civiltà. Tutti i problemi che il pensiero sociale prende in considerazione<br />
sono relativi al mondo occidentale, ed hanno quindi una ragion<br />
d'essere solo per chi resta all'interno di quel panorama concettuale: il<br />
futuro, e il destino dell'umanità, stanno invece in una cultura che sappia<br />
pensare l'avvenire fuori dalle categorie classiche del pensiero<br />
occidentale.<br />
Dostoevskij si colloca simbolicamente all'origine del problema della<br />
decadenza: questa almeno è la collocazione attribuitagli tanto da<br />
Spengler quanto da Miller. Lo scrittore russo è uno dei più ammirati<br />
dal filosofo tedesco e forse il più venerato da Miller. I due sono vicini<br />
anche nei termini del loro apprezzamento: in Dostoevskij ammirano<br />
non tanto, o non solo, lo scrittore, quanto la figura complessiva di<br />
uomo, la sua immagine mistica, profetica. Scrive Spengler:<br />
"l'opera su Cristo, che egli ebbe sempre l'intenzione<br />
di scrivere, sarebbe divenuta un vero Vangelo, un<br />
Vangelo come quelli del cristianesimo primitivo, che<br />
caddero completamente fuori dai quadri di tutte le<br />
31
forme letterarie antiche ed ebraiche" (ibidem, p.<br />
938)<br />
Dostoevskij attira chi, come Spengler e Miller, è attratto dalle soluzioni<br />
radicali, dove non ci sono compromessi, non ci sono soluzioni facili e<br />
graduali; la vera rivoluzione è quella che si compie nell'anima<br />
dell'uomo. È l'insegnamento del cristianesimo primitivo: non si può<br />
migliorare la società, ma cambiarla radicalmente per renderla degna<br />
della propria essenza spirituale. Il percorso va compiuto a ritroso, fino<br />
alle origini, laddove si trova l'energia per ricostruire il mondo.<br />
Il richiamo ad una soluzione che esca dalla prospettiva euro-centrica<br />
parte dalla constatazione di un disagio diffuso nel mondo<br />
contemporaneo. Seguiamo ancora la traccia della riflessione su<br />
Dostoevskij. Descrivendo il mutamento epocale che si svolge in<br />
Russia nella prima metà del XIX secolo, Spengler scrive:<br />
"In una campagna senza città col suo antico elemento<br />
contadino sorsero ora, come un cancro, città in uno<br />
stile straniero. Esse erano false, innaturali e<br />
inverosimili fin nell'intimo. 'Pietroburgo è la città più<br />
astratta e artificiale che esista' doveva dire<br />
Dostoevskij" (ibidem. p. 933)<br />
La Russia si occidentalizza, e contro questa europeizzazione si scaglia<br />
Dostoevskij. Nel difendere l'essenza tradita del popolo russo, il suo<br />
cristianesimo rinnegato per i dogmi dell'illuminismo occidentale, egli<br />
costruisce con i suoi romanzi alcune delle più lucide e penetranti<br />
descrizioni del nichilismo e della decadenza, cioè di quei mali che sono<br />
il presente della civiltà occidentale. Ivan Karamazov è l'eroe nichilista, il<br />
simbolo di una modernità dove l'uomo sperimenta la distruzione dei<br />
valori, e dove l'architettura morale dell'etica, laica o cristiana, cede il<br />
posto ad un deserto in cui vale la legge del più cinico e del più forte: la<br />
verità è di chi sa imporla, la verità anzi non esiste, perché è solo la<br />
volontà del più forte. In questo modo Dostoevskij esprime la<br />
decadenza dell'Occidente interiorizzando il conflitto tra i valori che ne<br />
hanno costruito la civiltà e le forze intellettuali, figlie di questa civiltà,<br />
che ne sanciscono l'infondatezza. L'Occidente ha armato l'intelletto<br />
che ora gli si ritorce contro, cosicché il suo prodotto più alto è anche<br />
il segnale del compimento della sua storia.<br />
32
II. 1. 2. La lettura spengleriana della modernità<br />
L'immagine del tramonto, che dà il titolo all'opera di Spengler, non<br />
lascia dubbi sul tono della riflessione sul mondo occidentale. Occorre<br />
quindi chiarire, preliminarmente, cosa si intenda per Occidente e quale<br />
siano i tratti del suo presente.<br />
L'Occidente è una delle otto civiltà che hanno costruito la storia. La<br />
"civiltà" è la "forma originaria della storia", la forma attraverso la quale<br />
il "divenire", la Vita pulsante "fa" la storia:<br />
"La civiltà è il fenomeno originario di ogni storia<br />
mondiale passata, presente e futura. [...] Fenomeno<br />
originario è quello in cui l'idea del divenire si presenta<br />
pura al nostro sguardo." (Tramonto, p. 171)<br />
Il succedersi delle civiltà è l'immagine più efficace del dinamismo<br />
dell'esistenza, che ha come proprio destino un'eterna trasformazione:<br />
questo è il senso del "divenire" spengleriano. Il percorso complessivo<br />
della storia non segue una direzione: un fine lo si può rintracciare solo<br />
all'interno delle singole civiltà. In 'Pessimismus?' Spengler afferma:<br />
"L'umanità, per me, è un'unità di misura zoologica.<br />
Non vedo progresso, né uno scopo, né una strada<br />
percorribile dall'umanità [...]. Un orientamento<br />
intelligente della vita verso un determinato scopo,<br />
un'unità spirituale, di volontà, di esperienza, li ritrovo<br />
solo nella storia delle singole civiltà." (Scritti, p. 51)<br />
Il metodo da applicare è quello dell'analogia morfologica: esistono<br />
strutture analoghe e percorsi di sviluppo sempre identici all'interno di<br />
ogni singola civiltà, ma nessuna evoluzione è riscontrabile nella storia<br />
dell'umanità, né alcun'altra direzione che dia significato alla storia.<br />
Un'unica legge accomuna ogni organismo vivente, dall'uomo,<br />
all'animale, alla pianta: esso nasce, cresce, raggiunge la maturità e<br />
quindi lentamente declina concludendo il suo ciclo vitale con la morte.<br />
Questo movimento, che si ripresenta ciclicamente nella storia e<br />
nell'esperienza degli uomini, è il destino di ogni forma di vita sulla<br />
33
terra. Un identico movimento di ascesa e declino unisce il moto del<br />
sole alla crescita di un arbusto, allo sviluppo di una foglia:<br />
"io vedo una molteplicità di civiltà possenti, scaturite<br />
con una forza elementare dal grembo di un loro<br />
paesaggio materno [...]: civiltà, che imprimono<br />
ciascuna una propria idea e delle proprie passioni,<br />
una propria vita, un proprio volere e sentire, una<br />
propria morte. [...] Ogni civiltà ha proprie, originali<br />
possibilità di espressione che germinano, si maturano,<br />
declinano e poi irrimediabilmente scompaiono."<br />
(Tramonto, p. 40)<br />
Spengler mostra qui il suo debito nei confronti di Goethe 9, che aveva<br />
dedicato molti studi alla metamorfosi delle piante e ad altri aspetti della<br />
botanica e delle scienze naturali, fino alla formulazione di una teoria dei<br />
colori costruita in aperto contrasto con le regole dell'ottica newtoniana.<br />
Goethe era convinto che un'unica forma fosse alla base degli<br />
organismi vegetali ed animali: la ricerca doveva quindi procedere non<br />
nell'analisi, che distingue e separa, ma nella ricerca di un principio<br />
comune, un "fenomeno primordiale" o "Urphaenomenon" 10, che<br />
sottostasse all'apparente caos dei fenomeni e garantisse loro l'origine<br />
da una comune forma originaria, quasi un'idea platonica, origine della<br />
vita delle forme particolari. Il metodo era quello della morfologia,<br />
dell'indagine sulla forma: un metodo che Spengler adotta ed applica<br />
alla storia.<br />
La storia non sfugge a questo destino: il suo movimento non è un<br />
continuo progresso, ma un perenne e ciclico ripresentarsi di epoche e<br />
fasi analoghe, un "eterno ritorno dell'identico" di sapore nietzscheano.<br />
La storia annovera nel suo percorso millenario otto grandi civiltà:<br />
perché esse siano sorte in quel preciso luogo e in quella frazione<br />
temporale rimane un mistero, o piuttosto un elemento casuale ed<br />
9 - "Queste civiltà, organismi viventi di ordine superiore, crescono in una magnifica<br />
assenza di fini, come i fiori dei campi. Come le piante e gli animali, esse appartengono<br />
alla natura vivente di Goethe e non a quella morta di Newton." (Tramonto, p. 41)<br />
10 - Vedi l'introduzione di Stefano Zecchi a .Goethe J.W., La metamorfosi delle piante,<br />
Parma, Guanda, 1989, pp. 8-26.<br />
34
imprevedibile di scarsa importanza 11. Una volta che esse siano<br />
sbocciate, però, non possono sfuggire al loro destino, alla legge di<br />
sviluppo organico fondata su crescita, maturazione, senescenza e<br />
disfacimento: questo è il flusso della Vita, il senso del divenire. Se la<br />
storia è "un eterno formarsi e disfarsi, un meraviglioso apparire e<br />
scomparire di forme organiche" (Tramonto, p. 41), la morte delle<br />
forme sarà un destino, un percorso naturale, inevitabile ma vitale,<br />
perché sopprime una forma morta e svuotata di senso, e lascia spazio<br />
all'energia eterna della Vita perché prenda una nuova forma.<br />
Questa prospettiva doveva attirare molto Miller: attribuire alle culture<br />
storiche la legge di sviluppo degli organismi significa farne delle realtà<br />
viventi, ed era propria questa "vitalità" ad affascinare lo scrittore<br />
americano. Miller ammirava questa capacità spengleriana di dare vita<br />
alla storia, di fornire un quadro vivo e non storiografico del passato.<br />
Ne Il Tramonto dell'Occidente trovava una connessione tra cultura,<br />
storia e vita, per cui ogni civiltà veniva ancorata a principi vitali come il<br />
sangue, la razza, l'anima dell'uomo. I prodotti della cultura cessavano<br />
allora di essere "ciarpame intellettuale" e diventavano espressione di<br />
istinti vitali. La loro origine non era più l'intelletto e la razionalità, ma<br />
l'inconscio collettivo, una sensibilità pre-razionale sentita dall'uomo in<br />
modo viscerale. Come Miller faceva dei libri degli incontri umani e<br />
delle persone dei "libri viventi" 12, così Spengler trasformava forme<br />
statiche in realtà dinamiche e vitali dotate di significato.<br />
Nel panorama morfologico di Spengler, l'Occidente è l'ultima grande<br />
Forma della storia. Il filosofo tedesco parla di "civiltà faustiana"; ogni<br />
civiltà, infatti, ha una propria Anima, cioè un proprio Destino, un<br />
indirizzo, una forma essenziale. L'anima dell'Occidente è l'anima di<br />
Faust:<br />
"Chiamerò ormai apollinea l'anima della civiltà antica,<br />
che scelse come tipo ideale dell'esteso i singoli corpi<br />
sensibili e presenti. [...] A essa oppongo l'anima<br />
11 - "Il gruppo delle civiltà superiori non costituisce una unità organica. Che esse siano in<br />
quel numero, che siano nate in quei luoghi e in quei tempi, ciò per il sapere umano è un<br />
caso, privo di un senso più riposto." (Tramonto, p. 703).<br />
12 - "Considero i miei incontri con i libri alla stessa stregua degli incontri con altri<br />
fenomeni della vita e del pensiero.[...] i libri sono parte della vita quanto gli alberi, le<br />
stelle o il letame." (Libri, p. 4).<br />
35
faustiana, il cui simbolo primordiale è la civiltà<br />
occidentale, nata insieme allo stile romanico del<br />
decimo secolo nelle pianure nordiche fra l'Elba e il<br />
Tago." (Tramonto, pp. 277-8)<br />
È un concatenarsi di forme legate dall'espressione simbolica: la civiltà<br />
è la forma della storia, l'anima di Faust è la forma della civiltà<br />
occidentale, mentre la dinamica di Galilei, la pittura di Rembrandt, le<br />
cattedrali gotiche, la poesia romantica, il dogma cattolico-protestante<br />
sono le forme che quest'anima assume, i suoi simboli. Essi esprimono<br />
un indirizzo che la Vita ha preso, la "forma espressiva" che ha<br />
prescelto per portare a compimento un suo fine. È la lettura<br />
morfologica della storia, l'idea goethiana di un mondo comprensibile<br />
attraverso il linguaggio della forma, cioè attraverso lo studio delle<br />
diverse "incarnazioni" del flusso della Vita.<br />
L'immagine di Faust esprime simbolicamente la storia dell'Occidente<br />
e ne mostra il destino: Faust è desiderio, volontà, è la tensione verso<br />
l'assoluto, verso l'infinito, lo "Streben" del Faust goethiano, la pulsione<br />
eterna e totale ma che non giunge, né può mai giungere alla<br />
realizzazione. Faust è pura tensione, e la tensione è volontà, volontà di<br />
potenza. E' una forza che brama il dominio, intollerante delle resistenze<br />
del macrocosmo, una forza che esige spazi liberi per agire e per<br />
perpetuare la propria spinta "verso il lontano e il futuro" (ibidem, p.<br />
513) espressa simbolicamente nella spinta verticale delle cattedrali<br />
gotiche. Vivere allora ha il significato di una guerra per l'affermazione<br />
della volontà di potenza, di un continuo superare e superarsi: la forma<br />
della vita diventa l'"azione" 13.<br />
Ma c'è un momento in cui l'Occidente tradisce il proprio destino<br />
d'azione e trasforma il suo dinamismo in statica passività: ciò accade<br />
quando l'uomo faustiano cede la propria forza creatrice alla<br />
"macchina". Allora l'attività che plasma le forme cessa di essere umana<br />
e viene trasferita al meccanicismo della tecnica. Il significato simbolico<br />
della tecnica si perde: la macchina cessa di essere simbolo della<br />
volontà di potenza e diventa immagine della deposizione del potere<br />
creatore dell'uomo, espressione di una generale perdita di significato<br />
13 - Nel Faust di Goethe, la traduzione della parola "logos", nell'incipit del vangelo di<br />
Giovanni ("In principio era il logos"), con "azione" sancisce il destino di Faust.<br />
36
dell'esistenza. Con il tradimento della propria anima, la civiltà faustiana<br />
testimonia l'incombere della decadenza. L'Occidente cessa di essere<br />
una realtà vitale. I suoi sforzi ora sono puntati alla perpetuazione di<br />
forme anonime e prive di vita: al dinamismo subentra la staticità, che<br />
per l'Occidente significa avviarsi verso il proprio destino di morte 14.<br />
Due sono le categorie spengleriane che spiegano il divenire della<br />
storia: "Kultur" e "Zivilisation", generalmente tradotte come "civiltà" e<br />
"civilizzazione". Ne Il Tramonto dell'Occidente si legge:<br />
"Civiltà e civilizzazione: sono come il corpo vivo di<br />
un'anima e la sua mummia. [...] Civiltà e civilizzazione:<br />
sono come l'organismo che nasce da un paesaggio e<br />
il meccanismo risultante dall'irrigidimento di esso."<br />
(Tramonto, pp. 528-9)<br />
La "Kultur" è la fase di pieno rigoglio dell'anima di una civiltà, il fiorire<br />
delle sue possibilità, la realizzazione della sua essenza. E' qui che una<br />
civiltà dispiega le proprie potenzialità e che costruisce il proprio<br />
contributo alla storia. La "Zivilisation" è la "Kultur" nella sua fase<br />
declinante: è la forma svuotata di vita e di senso, è la forma come mera<br />
produzione intellettuale. La dicotomia "Kultur"-"Zivilisation" 15 esprime<br />
l'opposizione tra una vita pulsante e in continua metamorfosi ed una<br />
razionalità umana che cerca di imbrigliarla nei suoi schemi. Le forme,<br />
nella "Zivilisation", non rispondono più all'anima della civiltà ma<br />
diventano creazioni astratte la cui raffinatezza tecnica serve a coprire il<br />
vuoto di significato. Alla radice delle sue forme non sta più la Vita, la<br />
terra, il sangue, ma lo spirito del razionalismo, l'intelletto dell'uomo<br />
delle metropoli.<br />
La "Kultur" è la naturalezza dell'esistenza, la Vita che scorre e che<br />
non si ferma a riflettere sulle proprie creazioni, ma perpetua la sua<br />
attività creatrice: qui le forme nascono spontaneamente e possiedono<br />
una grande carica simbolico-espressiva. La "Zivilisation" è la Vita che<br />
14 - Tutto il discorso sulla tecnica e sul "tradimento dell'anima di Faust" si trovano<br />
nell'ultimo capitolo di Tramonto, pp. 1385-1398, e in O.S., Der Mensch un die<br />
Technik, Munchen, 1931. (ed. ital. L'uomo e la macchina, Milano, 1931; ed.<br />
consultata L'uomo e la tecnica, Parma, Guanda, 1992).<br />
15 - Per l'origine della polarità "Kultur"- "Zivilisation" vedi Zecchi Stefano (a cura di),<br />
Estetica 1991. Sul destino, cit., p. 290.<br />
37
si ferma a riflettere, che prende coscienza:<br />
"Il sentimento di estraneità di fronte a quelle forme e<br />
di un peso che limita la libertà nel creare, la necessità<br />
di esaminare razionalmente l'esistente onde utilizzarlo<br />
coscientemente, l'intervento di una riflessione letale<br />
per ogni misteriosa forza creatrice, ecco i primi<br />
sintomi del declino dell'anima. Solo il malato sente le<br />
proprie membra" (Tramonto, p. 529)<br />
Qui emerge tutta l'ostilità di Spengler per il pensiero "causale", logico,<br />
scientifico, visto come costruzione artificiosa e priva di un'anima.<br />
L'Occidente ha costruito le proprie fortune sulla potenza gnoseologica<br />
della ragione; ma di fronte allo sguardo dell'intelletto i legami che<br />
costruiscono la vita del cosmo si ritraggono; l'intelletto li spezza, è una<br />
forza d'analisi, di scissione, mentre la Vita è fatta di sintesi. Tutte le<br />
categorie della filosofia spengleriana, dal "simbolo" alla "forma" al<br />
"destino", sono costruite in aperto contrasto con le categorie del<br />
pensiero logico-scientifico.<br />
"Kultur" e "Zivilisation" sono due fasi necessarie nello sviluppo<br />
interno di una civiltà: così, se "Zivilisation" ha una connotazione di<br />
fondo negativa, tuttavia essa si riscatta in quanto naturale compimento<br />
della "Kultur"; il declino è una fase dolorosa ma necessaria. Ora, nel<br />
delineare il futuro di una civiltà come quella occidentale, tutto sta a<br />
chiarire in quale fase del movimento storico essa si ritrovi; la sua<br />
fenomenologia, per Spengler, indica senza pericolo di confutazione<br />
che si è in una fase di civilizzazione:<br />
"In tali termini [civiltà e civilizzazione, N.d.C.] si<br />
distingue l'esistenza euro-occidentale di prima e dopo<br />
il diciannovesimo secolo, la vita in una pienezza e in<br />
una naturalezza, la cui forma nasce e si sviluppa<br />
dall'interno, in un unico slancio vigoroso che<br />
dall'infanzia del gotico va fino a Goethe e a<br />
Napoleone; e quella vita tarda, artificiale, senza radici<br />
delle nostre grandi città, le cui forme sono tracciate<br />
dall'intelletto." (ibidem, pp. 528-9)<br />
38
Su questo giudizio Miller concorda: attraverso la lettura storica di<br />
Spengler egli può fare luce sulle dinamiche che attraversano la civiltà in<br />
un'epoca di decadenza, ed inserirle in una immagine complessiva che<br />
soddisfi la propria vena mistica ed epocale: un millennio di civiltà<br />
repressiva che ha inaridito le fonti dello spirito, e la prospettiva di<br />
un'imminente apocalisse che costituisca il segnale per l'avvento<br />
dell"Era dello Spirito Santo" 16.<br />
II. 1. 3. Le profezie sul destino del mondo euro-americano<br />
Riprendiamo un'immagine di Dostoevskij tratta dal brano che apriva il<br />
tema della decadenza: l'Europa è un cimitero, una civiltà di cui non<br />
rimangono che i resti, e dove tutta la ricchezza e il fervore della sua<br />
storia permangono solo come ricordo del passato. La spinta vitale si è<br />
venuta progressivamente spegnendo ed il cammino è giunto ad una<br />
svolta: l'Europa ha cessato di essere una forza che "fa" storia ed è<br />
divenuta "la" storia, non più potenza che agisce ma immagine di un<br />
passato irripetibile. Non ci sono più energie che possano apportare<br />
nuove creazioni e determinare nuovi indirizzi di sviluppo. Il panorama<br />
è quello di un deserto puntellato di involucri svuotati: essi rimangono,<br />
oltre che come segni della passata grandezza, come stimolo perché<br />
questa forza vitale si riattivi, e ricordano all'uomo quale sia la sua<br />
capacità creativa quando essa può attingere all'energia primaria della<br />
Vita.<br />
Il cimitero europeo è colmo di tombe, ma questi tumuli sono cari a<br />
Dostoevskij, a Miller ed a Spengler, anche se recano impresso il sigillo<br />
della morte: perché è la "loro" morte, è la morte del loro mondo, ma<br />
soprattutto è la morte come compimento di un ciclo naturale. Ogni<br />
logica catastrofica è messa fuori gioco: la Vita troverà altre forme in<br />
cui esprimersi. Ciò che è tragico, allora, è lo sforzo di mantenere in<br />
vita il cadavere dell'Occidente: è tragico non accettare il fatto che la<br />
contemporaneità è un canto del cigno, tragico perché è un destino cui<br />
non c'è soluzione. Il percorso è stabilito, e per quanto doloroso sia<br />
constatarne la direzione l'uomo occidentale non può che seguirlo.<br />
16 - "era of the Holy Ghost" (Lawrence, p. 142).<br />
39
"Ducunt fata volentem, nolentem trahunt" è il motto con cui si chiude<br />
Il Tramonto dell'Occidente (Tramonto, p. 1398).<br />
Questa è la lettura spengleriana, e da qui parte Miller. Dopo il<br />
richiamo a Dostoevskij, compare subito il termine "decadenza":<br />
"Durante molti anni, mi ero reso conto di partecipare<br />
a una generale decadenza. Lo sapevamo tutti, lo<br />
sentivamo tutti, soltanto qualcuno riusciva a<br />
dimenticare più rapidamente degli altri." (Plexus, p.<br />
736)<br />
Quello della "decadenza" è un sentimento forte nella prima metà del<br />
XX secolo: lo shock della prima guerra mondiale, con la sua carica<br />
distruttiva inaudita e con l'irrompere nel conflitto di una tecnologia<br />
spersonalizzante, aveva distrutto la sicurezza con cui si era aperto il<br />
secolo, all'insegna della pace e del progresso. In questo scenario di<br />
inquietudine si aggiunga la grave crisi del 1929, che aveva colpito<br />
duramente gli Stati Uniti e creato tutta una letteratura di protesta<br />
sociale, da Steinbeck a Dos Passos. Ma l'opera di Miller si pone su<br />
una prospettiva più ampia ed ambiziosa: la crisi non è ricondotta ad<br />
una fase regressiva dell'economia capitalistica, ma diventa il sintomo di<br />
un malessere radicale ed insito nel sistema stesso. Non si tratta di<br />
trovare alternative all'interno del modello occidentale, bensì di<br />
cambiare modello, perché la crisi è il sintomo di un malessere<br />
complessivo della civiltà. In questo processo è coinvolto tutto<br />
l'Occidente, dal vecchio continente all'America; Miller tiene a<br />
sottolineare questa inclusione:<br />
"Quel che la maggior parte fra noi non aveva<br />
compreso così chiaramente, era di far parte di quello<br />
stesso 'Occidente', che l'Occidente comprendeva<br />
non soltanto l'Europa ma anche l'America del Nord.<br />
Per noi l'America era sempre stato il paese del<br />
rischio, un giorno caldo, un giorno freddo, un giorno<br />
sterile, un giorno fecondo. [...] Non era nostra<br />
abitudine pensare in termini di destino storico"<br />
(ibidem, p. 736)<br />
Il "tramonto" era il destino riservato all'Europa: l'immagine si<br />
confaceva ad un vecchio continente in profonda crisi di valori,<br />
40
squassato da una guerra mai così sanguinosa. Gli Stati Uniti avevano<br />
partecipato al primo conflitto mondiale da estranei, ed alla conferenza<br />
di pace di Versailles si erano presentati come portatori dei valori<br />
positivi del nuovo mondo. L'America si preparava a sostituire, con le<br />
sue fresche energie, la civiltà millenaria del vecchio continente.<br />
L'Europa appariva un campo di battaglia dove le forze responsabili<br />
dell'esplosione del conflitto avevano portato alla luce tendenze<br />
autodistruttive latenti da tempo, e che costituivano il segnale di una<br />
crisi imminente.<br />
La società americana si sentiva estranea a questo processo, come se<br />
il monito di Spengler non la riguardasse; si rifiutava di prendere<br />
coscienza del fatto che quell'Occidente, del quale intravedeva<br />
chiaramente la crisi, la comprendeva. Si era pronti a scorgere i sintomi<br />
del tramonto dell'Europa, ma non lo si era altrettanto nello scorgere<br />
quegli stessi sintomi nel malessere dell'America dei primi decenni del<br />
Novecento. Ecco cosa fa dire Miller ad uno dei suoi personaggi, un<br />
ebreo russo, in Plexus:<br />
"Ci leggeva a voce alta Puskin nel testo originale, poi,<br />
con un sospiro, lasciava cadere il libro esclamando:<br />
'A che scopo ? Siamo in America adesso. Un<br />
Kindergarten (giardino d'infanzia, N.d.C.)'. La scena<br />
americana lo annoiava, lo annoiava supremamente.<br />
[...] Per lui, l'America significava apatia." (ibidem, p.<br />
740)<br />
L'America viveva in uno stato di incoscienza, cullandosi nell'illusione<br />
del sogno americano e nel sogno di una nazione giovane e vitale, piena<br />
di energia e di intraprendenza, un paese libero ed aperto nel quale ogni<br />
cosa era possibile:<br />
"Si poteva essere conducente di tram un giorno, e<br />
agente di assicurazione il giorno successivo.[...]<br />
Ordine, disciplina, proposito, méta, destino ? Termini<br />
sconosciuti. L'America era un paese libero, e nulla di<br />
quel che si faceva avrebbe potuto distruggerla: mai.<br />
Tale era la nostra visione del mondo. In quanto ad un<br />
Ueberblick ["sintesi", N.d.C.], conduceva al<br />
manicomio." (ibidem, p. 737)<br />
41
Se Spengler aveva individuato le leggi immutabili della storia, ed aveva<br />
in questo modo indicato la presenza di un destino ineluttabile della<br />
civiltà, l'America ne scaricava sull'Europa il peso. Gli Stati Uniti erano<br />
un paese che non sentiva su di sé il passato e che per questo si<br />
autorizzava ad una totale indisciplina. Tutto ciò che mostrava la<br />
presenza di leggi necessarie, di un ordine e di un destino, veniva<br />
sacrificato sull'altare della libertà d'azione: tutto ciò che aveva odore di<br />
storia, e che quindi suonava come qualcosa di dato, di necessario, era<br />
bollato come "covata preistorica" (ibidem, p. 737).<br />
Miller la pensava in modo diametralmente opposto:<br />
"No, nessuno pensava consapevolmente e<br />
deliberatamente in termini di decadenza del mondo.<br />
La decadenza non era per questo meno reale, e ci<br />
svuotava. Si rivelava in modi insospettati. Per<br />
esempio: non c'era nulla per cui valesse la pena di<br />
appassionarsi. Nulla. O, un lavoro valeva un altro, un<br />
uomo era uguale all'altro. E così via di seguito. Tutte<br />
balle, naturalmente." (ibidem, p. 737)<br />
La decadenza era un problema anche americano, anzi, soprattutto<br />
americano. Il nuovo continente non sfugge alla condanna spengleriana<br />
dell'Occidente: Occidente non è solo l'Europa ma anche l'America del<br />
Nord, che ne costituisce non solo l'estrema propaggine geografica, ma<br />
anche e soprattutto il suo esito estremo. E come estrema realizzazione<br />
dell'Occidente, l'America presenta nel modo più evidente e<br />
preoccupante i sintomi del tramonto. È il punto estremo di sviluppo<br />
lungo un percorso sbagliato. Il nichilismo che Dostoevskij additava<br />
come male oscuro dell'Occidente svuota di significato i valori<br />
americani: il culto dell'azione, dell'intraprendenza e della libertà<br />
d'iniziativa perde di significato quando non ci sono più valori per<br />
distinguere tra libertà e costrizione, azione positiva e azione negativa, e<br />
tra azione o immobilità. Tutto affonda nell'indistinto e nell'indifferenza.<br />
Il tramonto dell'Occidente, rappresentato a livello storico e<br />
macroscopico dal suicidio dell'Europa nella prima guerra mondiale, si<br />
rivelava in America a livelli più microscopici, come generale apatia.<br />
Ne L'incubo ad aria condizionata, resoconto di un lungo viaggio<br />
attraverso l'America compiuto nei primi anni Quaranta, si legge tutto il<br />
rimpianto per la grande occasione perduta:<br />
42
E, poche pagine dopo:<br />
"Avremmo potuto fare un mondo meraviglioso di<br />
questo nuovo continente se avessimo davvero<br />
tagliato i ponti coi nostri simili in Europa, Asia e<br />
Africa. Avrebbe potuto diventare un nuovo, indomito<br />
mondo se avessimo avuto il coraggio di volgere le<br />
spalle a quello vecchio [...] Non si fa un mondo<br />
nuovo cercando solo di dimenticare il vecchio. Un<br />
mondo nuovo lo si fa con uno spirito nuovo, con<br />
nuovi valori. Può darsi che il nostro mondo sia nato<br />
così, ma oggi è una caricatura." (Incubo, pp. 14-5)<br />
"La terra delle occasioni è diventata la terra del<br />
sudore e della lotta insensata. La meta di tutti i nostri<br />
sforzi è da tempo dimenticata." (ibidem, p. 18)<br />
L'America poteva essere la culla di una nuova civiltà, la costruzione di<br />
un mondo nuovo per uomini e idee, ma ben presto gli ambiziosi<br />
progetti delle origini hanno lasciato il posto al trapianto sul suolo<br />
americano della barbarie dell'uomo occidentale, operazione pagata a<br />
caro prezzo con l'estinzione di civiltà millenarie, con la vergogna della<br />
schiavitù negra, con lo sfiguramento della natura ad opera dei ritrovati<br />
tecnologici.<br />
La lettura di Spengler viene quindi applicata alla società americana.<br />
Spengler non aveva escluso il nuovo continente dal modello<br />
occidentale, anzi aveva parlato esplicitamente di civiltà "euro -<br />
americana". Miller riprende questa impostazione con una particolare<br />
intonazione antiamericana che riversa sul nuovo continente tutti gli<br />
aspetti negativi di un'epoca di civilizzazione. Il tramonto, per Miller, è<br />
soprattutto quello della "schizofrenica" America: i suoi sintomi<br />
coincidono con i simboli del declino indicati da Spengler.<br />
II. 2. La civiltà della macchina<br />
43
Per Miller e Spengler la "macchina" riassume in sé tutta la tragedia del<br />
tramonto della civiltà. Essa non è strumento, cioè produzione<br />
secondaria della tecnica, ma è simbolo della tecnica stessa, è ciò che<br />
"produce" la civiltà tecnologica e non ciò che ne è "prodotto"; il<br />
procedimento che la informa sta all'origine e non alla fine del pensiero<br />
della tecnica, pensiero che è al centro del dibattito filosofico negli anni<br />
venti-trenta grazie ai contributi di Heidegger, Junger, Husserl, per citare<br />
i nomi più noti.<br />
Partiamo da Spengler. La riflessione sulla macchina è alla fine de Il<br />
Tramonto dell'Occidente, perché la macchina è il simbolo della tecnica<br />
e la tecnica è l'esito estremo della civiltà faustiana. Il discorso parte da<br />
lontano:<br />
"La tecnica è antica quanto la vita che si muove<br />
liberamente nello spazio. [...] L'animale, in quanto si<br />
muove, ha anche una tecnica del movimento da lui<br />
usata per conservare e per difendere la sua<br />
esistenza." (Tramonto, p. 1389)<br />
La tecnica qui è la tecnica dell'animale predatore, dell'uomo che<br />
caccia, è il pensiero che muove i primi passi nel mondo, che passa<br />
dalle "impressioni" fornitegli dai sensi ad un "giudizio" volto all'azione.<br />
Il pensiero valuta la situazione ed elabora gli strumenti per affrontarla.<br />
Il passo successivo è la costruzione di una "immagine" del mondo,<br />
con la quale si vuole fissare la natura e così, attraverso i segni<br />
dell'uomo (parole, nomi e numeri), intervenire per plasmarla in base<br />
alle proprie esigenze. La natura rimane al fondo un mistero, ma l'uomo<br />
ora la ritiene un campo dove intervenire con delle modifiche<br />
intenzionali. Da questo all'imitazione delle leggi di natura, il passo è<br />
breve:<br />
"Si è spiato il corso della natura annotandone i segni<br />
e si è incominciato ad imitarla grazie e mezzi e a<br />
metodi che utilizzano le leggi del ritmo cosmico.<br />
L'uomo ha osato assumere la parte di un dio, e si<br />
capisce che i primi che si dettero a fabbricare e a<br />
conoscere queste cose artificiali [...] siano stati<br />
considerati come esseri strani, però timorosamente<br />
venerati o aborriti." (ibidem, p. 1387)<br />
44
L'atteggiamento dell'uomo nei confronti della natura è ancora quello<br />
del rispetto: le leggi che regolano il cosmo sono dettate dalla natura, e<br />
ad esse si rifà l'uomo nella sua brama di creare. La creazione segue<br />
sempre i dettami delle leggi del macrocosmo, e l'uomo ambisce ad<br />
essere dio non imponendo proprie leggi alla natura, ma sottraendole il<br />
segreto delle sue creazioni. Il potere cosmogonico del microcosmo<br />
umano si riconosce nel legame col macrocosmo.<br />
Con la tecnica della civiltà faustiana avviene il passo decisivo:<br />
"Cosa affatto diversa è la tecnica faustiana che fin dai<br />
primissimi giorni del gotico irrompe con tutto il suo<br />
pathos della terza dimensione nella natura per<br />
dominarla. Qui, e qui soltanto, il congiungersi del<br />
sapere con le applicazioni del sapere appare naturale.<br />
La teoria è già in partenza una ipotesi di lavoro."<br />
(ibidem, p. 1388)<br />
La sua figura simbolica è Faust, e Faust è l'uomo dell'azione. L'azione<br />
non tollera impedimenti e si pone naturalmente in competizione con i<br />
limiti sanciti dalle leggi del macrocosmo. L'uomo d'azione non tollera<br />
altre creazioni al di fuori delle proprie: la tecnica cambia direzione e<br />
diventa la lotta dell'uomo con la natura, il suo tentativo di superarla, di<br />
dominarla, di carpirle il segreto della creazione. Il mondo diventa<br />
"un sistema dinamico di struttura esatta, matematica,<br />
sperimentabile fin nelle cause ultime e formulabile in<br />
cifre, così che l'uomo possa dominarlo. [...] Il sapere<br />
è potenza - ciò però ha avuto un senso solo nel<br />
quadro della civilizzazione euro-americana.[...] Il<br />
grande mito intellettuale dell'energia e della massa<br />
[...] definisce l'immagine della natura in modo tale,<br />
che la si può usare." (ibidem, p. 1107)<br />
L'anima dell'Occidente plasma l'immagine di microcosmo e<br />
macrocosmo e ne inverte il rapporto: l'uomo diviene pura volontà di<br />
dominio, incurante dei limiti del mondo esterno, e la natura si riduce a<br />
campo d'azione di questa brama. L'uomo diventa Dio perché impone<br />
le "sue" leggi al mondo, e quindi "mai come oggi un microcosmo si è<br />
sentito così superiore al macrocosmo" (ibidem, p. 1393).<br />
45
La macchina è il simbolo di questa tecnica. Essa è un "piccolo<br />
cosmos obbediente esclusivamente alla volontà dell'uomo" (ibidem, p.<br />
1390). La natura da "coadiutrice" diventa "schiava": la sua energia<br />
viene incanalata e calcolata in termini di "cavalli-vapore", "massa",<br />
"forza meccanica", unità di misura umane. L'Occidente impone le<br />
tracce della sua volontà sul mondo come mai prima nella storia:<br />
"questa tecnica lascerà le sue tracce anche quando tutto sarà<br />
dimenticato e sepolto" (ibidem, p. 1391).<br />
Ma la macchina non è solo un prodotto dell'uomo: la macchina<br />
lavora, ma costringe anche l'uomo a lavorare insieme a lei. Qui<br />
comincia a prender risalto un aspetto decisivo nel destino della tecnica:<br />
la perdita di controllo, da parte dell'uomo, del mondo che con la<br />
macchina va creando. La civiltà faustiana crea la macchina come<br />
simbolo della propria anima, ma questa stessa macchina, che potenzia<br />
le forze dell'uomo e lo porta a dominare il cosmo, esige un tributo:<br />
l'uomo ora non può più sottrarsi al lavoro della macchina, deve<br />
lavorare con essa, cosicché "tutta la civiltà è giunta ad un tale grado di<br />
attivismo, che sotto di esso la terra trema" (ibidem, p. 1391).<br />
Due immagini si sovrappongono. La prima è quella di una tecnica che<br />
crea<br />
"opere di cristallo e di acciaio che vibrano nel<br />
frastuono di ogni specie di meccanismi nelle quali<br />
l'uomo, questo essere minuscolo, si muove come un<br />
signore assoluto sentendo finalmente sotto di sé la<br />
natura" (ibidem, p. 1391)<br />
Qui c'è tutto il fascino della macchina che dona il dominio, la potenza<br />
dell'acciaio e del cemento e l'inesorabilità e la freddezza della loro<br />
azione. Ma la macchina mostra anche il tradimento dell'anima<br />
dell'Occidente: la macchina agisce per conto dell'uomo, gli si<br />
sostituisce, e l'uomo faustiano tradisce la propria vocazione all'azione,<br />
depone ai suoi piedi la propria capacità creatrice, avviando così il<br />
proprio tramonto. L'Occidente sorge come civiltà dell'azione, come<br />
sfida dell'uomo alla natura, e se la tecnica è il simbolo supremo di<br />
questa lotta, la macchina ne mostra il compimento: l'uomo diventa<br />
passivo e si sottomette proprio a quella macchina che era il simbolo<br />
della sua inaudita potenza sulla natura:<br />
46
"L'uomo faustiano è divenuto schiavo della sua<br />
creazione. Nelle sue mosse così come nelle sue<br />
abitudini di vita egli sarà spinto dalla macchina in una<br />
direzione sulla quale non vi sarà più né sosta, né<br />
possibilità di tornare indietro. [...] Questo mondo<br />
costringe sia l'imprenditore che l'operaio industriale<br />
ad obbedirgli. Entrambi sono gli schiavi, non i<br />
signori della macchina che ora comincia a manifestare<br />
il suo occulto potere demonico." (ibidem. p. 1393)<br />
La macchina è il simbolo dell'Occidente in tutta la sua ambiguità,<br />
simbolo di potenza ma anche immagine di decadenza:<br />
"La terra che lavora è l'essenza della visione<br />
faustiana; nel contemplarla, muore il Faust della<br />
seconda parte del poema, nella quale il lavoro<br />
dell'imprenditore ha avuto la sua suprema<br />
trasfigurazione" (ibidem, p. 1395)<br />
Spengler non fa distinzioni, nel quadro della civilizzazione faustiana,<br />
tra Europa ed America. Miller invece pone l'accento decisamente sulla<br />
realtà americana Il suo giudizio sull'Europa e sul suo simbolo, Parigi,<br />
manterrà sempre una certa ambivalenza, sospeso tra l'inclusione nel<br />
declino ed il vagheggiamento dell'Europa come portatrice di valori<br />
eterni. Il vecchio continente assume progressivamente, nell'opera di<br />
Miller, i tratti di una potenza spirituale e diventa la metafora<br />
dell'intramontabilità dello spirito umano. L'Europa diventa una<br />
categoria dello spirito: Europa significa continuità dell'arte, continuità<br />
del dialogo tra culture diverse, continuità di una ricerca che non si è<br />
negata nessuna libertà, che ha sempre avuto il coraggio di sperimentare<br />
e di confrontarsi con l'altro. I ruderi del passato, che rappresentano lo<br />
scenario europeo, acquistano significato come espressione della<br />
continuità di una forza creativa che non è mai venuta meno e che<br />
permane nonostante il peso di due millenni di storia. In Come il<br />
Colibrì si legge:<br />
"La cosa più consolante e più incoraggiante nella<br />
scena europea è la sensazione di continuità che<br />
permea perfino le pietre degli edifici. Un artista, per<br />
47
E, poche pagine dopo:<br />
sopravvivere, chiede quest'atmosfera di continuità"<br />
(Come il Colibrì, cit., p. 58)<br />
"Se c'è una cosa che permea tutta quanta l'Europa,<br />
quella è l'arte. La comunicazione costante con lo<br />
spirito che permea tutta la vita rende l'Europa a un<br />
tempo possente e vulnerabile." (ibidem, p. 71)<br />
L'Europa mostra di aver mantenuto un certo carattere vitale ed una<br />
capacità espressiva intatta, che le proviene dal contatto millenario con<br />
la Vita, con il flusso del "divenire". L'Europa è la Vita stessa come<br />
sede dei valori umani ed artistici, un "cimitero", certo, ma "il più caro<br />
dei cimiteri". E sarà proprio verso questo cimitero che, seguendo la<br />
traccia di Ivan Karamazov, Miller si recherà nel 1930 per sfuggire<br />
all'"incubo" americano.<br />
Le differenze rispetto a Spengler, qui, sono evidenti: il movimento del<br />
tramonto partiva proprio dall'osservazione della realtà europea e della<br />
sua storia, e comprendeva l'America del Nord per ampliamento<br />
successivo. In Miller il movimento è inverso: il tramonto come<br />
affermazione della civiltà della macchina, della civiltà della metropoli,<br />
del razionalismo e del pragmatismo, è in primo luogo quello della<br />
civiltà americana. L'Europa viene inclusa in un secondo tempo e, da<br />
Domenica dopo la guerra (1941) in poi, definitivamente esclusa.<br />
Tutte le osservazioni de Il Tramonto dell'Occidente sulla tecnica e<br />
sulla macchina vengono riferite da Miller alla realtà americana in modo<br />
pressoché esclusivo. In merito a questo problema, in Plexus c'è una<br />
lunga citazione da Spengler:<br />
"Per via della macchina, la vita umana diventa<br />
preziosa. Lavoro diventa la grande parola del<br />
pensiero morale; perde, nel diciottesimo secolo, in<br />
tutte le lingue, il suo significato spregiativo" La<br />
macchina lavora e costringe l'uomo a collaborare.<br />
L'intera cultura ha raggiunto un grado di attività sotto<br />
la quale la terra freme... E queste forme assumono<br />
forme sempre più disumane, diventano sempre più<br />
48
ascetiche, mistiche, esoteriche... L'uomo ha sentito la<br />
macchina come diabolica, e a ragione. Essa significa<br />
agli occhi di un credente la deposizione di Dio. Essa<br />
consegna nelle mani dell'uomo la sacra Causalità e<br />
viene messa in movimento da lui, silenziosa e<br />
irresistibile, con una specie di onniscienza presciente."<br />
(Plexus, p. 743; da Tramonto, p. 1391)<br />
Quello della macchina come simbolo dell'alienazione e della disumanità<br />
della società moderna è un topos dell'opera di Miller, e non solo della<br />
sua. È un elemento che ritroviamo, negli stessi termini, in D.H.<br />
Lawrence, uno degli autori più cari allo scrittore americano: Miller,<br />
Spengler e Lawrence, pur con le dovute differenze, condividono l'idea<br />
della macchina come strumento dell'alienazione umana. Il rifiuto della<br />
tecnica o quantomeno dei suoi aspetti più alienanti è un fil rouge che<br />
attraversa tutta la cultura occidentale nel ventennio tra le due guerre, e<br />
che accosta figure anche molto diverse tra loro: ne abbiamo qui un<br />
esempio con Lawrence, Spengler e Miller, che dimostrano all'origine<br />
un comune sentimento di rifiuto della modernità, pur sviluppandolo<br />
poi con articolazioni differenti. Il discorso di Spengler partiva da<br />
lontano ed aveva una impostazione storica di ampio respiro. Scrittori<br />
come Miller e Lawrence, invece, procedono attraverso la costruzione<br />
di un universo simbolico basato sull'immediata evidenza dell'immagine.<br />
La loro rivolta contro la macchina è sintomatica di una crisi nei<br />
rapporti tra l'uomo e le forme dell'organizzazione socio-economica,<br />
che diventano in Miller "macina da mulino" (Incubo, p. 33). Anche in<br />
questa immagine emerge il lato necessitante della tecnica: la macchina<br />
rende passivo l'uomo, lo inserisce nelle sue leve, lo spersonalizza e<br />
disumanizza, lo trasforma in uno dei suoi ingranaggi. L'uomo diventa<br />
un'unità di forza lavoro anonima, e il lavoro stesso diventa un anonimo<br />
servizio alla macchina: ogni elemento creativo della tecnica si perde,<br />
come paventava Spengler. La macchina che impone il proprio<br />
pensiero rende impossibile ogni tentativo di dare un senso alle sue<br />
creazioni.<br />
Tutta la negatività si riversa sull'America, "incubo ad aria<br />
condizionata" mascherato dal frenetico attivismo dei ritrovati<br />
tecnologici. Della creatività umana si è persa ogni traccia:<br />
49
"Com'è che in America le grandi opere d'arte sono<br />
tutti prodotti di natura ? C'erano i grattacieli, sicuro, e<br />
le dighe e i ponti e le autostrade di cemento. Tutta<br />
roba utile. Da nessuna parte, in America, c'era<br />
qualcosa di paragonabile alle cattedrali europee, ai<br />
templi d'Asia e d'Egitto: monumenti duraturi creati<br />
dalla fede e dall'amore e dalla passione." (Incubo, p.<br />
229)<br />
Il mondo è quello plasmato e voluto dalla macchina, e il segreto della<br />
creazione, smarrito dall'uomo, si ritrae nel macrocosmo naturale.<br />
Nell'assenza di forme espressive si consuma la trasformazione del<br />
mondo in deserto, in vuoto:<br />
"Superammo ponti, binari ferroviari, magazzini,<br />
fabbriche, moli e Dio sa cos'altro. Era come seguire<br />
la scia di un gigante impazzito che avesse seminato la<br />
terra di folli sogni. Fossi almeno riuscito a vedere un<br />
cavallo o una mucca [...] Ma non c'era niente, in<br />
vista, del regno vegetale, animale o umano. Era un<br />
vasto, caotico deserto creato da mostri pre-umani o<br />
sub-umani in un delirio d'aridità. Era qualcosa di<br />
negativo, una specie di nientezza." (ibidem, p. 9)<br />
Sembra paradossale, ma in un mondo sovraccarico di uomini e cose,<br />
dove la terra trema sotto l'azione della tecnica, a dominare non è la<br />
pienezza ma l'assenza, la negazione, il senso di una perdita. Ciò che<br />
manca spiega anche l'origine di questo vuoto: il fallimento parte dalla<br />
perduta simbiosi tra uomo e natura, e questo divorzio nasce con la<br />
civiltà della macchina, che si frappone tra l'umanità e il mondo<br />
mediando il rapporto tra i due termini. La macchina è un elemento di<br />
mediazione e di disturbo tra l'uomo e il mondo. La perdita del contatto<br />
con la natura determina il rapido estinguersi della vitalità umana: la<br />
macchina è come l'"intellettualismo", la "letteratura", la filosofia "di<br />
sistema", tutte macrostrutture create dalla ragione e che non hanno<br />
nulla di originario, di autenticamente vitale. Occorre spezzare il ritmo<br />
imposta dalla macchina per ritrovare quella sintonia con il ritmo del<br />
cosmo che, ne Il Tramonto dell'Occidente, era l'origine della civiltà e<br />
dei suoi simboli. La soluzione di Miller segue la traccia lawrenceana: la<br />
forza dell'eros, del sesso, è l'elemento di rottura che fa entrare in gioco<br />
50
l'energia stessa della creazione, la forza pura e primitiva della natura.<br />
Parlando di Viaggio al termine della notte, Miller scrive:<br />
"Per alcune pagine vi canta una meravigliosa canzone<br />
sulla macchina, le grazie che spande sull'umanità. Poi<br />
incontra Molly. Molly non é che una puttana.[...]<br />
Molly ha un'anima. [...] Si, questa è la cosa più bella<br />
e sorprendente del capitolo di Céline su Detroit: che<br />
fa trionfare il corpo di una puttana sull'anima della<br />
macchina." (ibidem, p. 41)<br />
Subito dopo, in violento contrasto, ecco l'immagine della fabbrica<br />
americana, dominio della macchina:<br />
"Non sospettereste mai l'esistenza di una cosa come<br />
l'anima, se vi recaste a Detroit. Tutto è troppo nuovo,<br />
troppo liscio, troppo brillante, troppo spietato. Le<br />
anime non crescono nelle fabbriche. Le anime<br />
vengono uccise nelle fabbriche: anche le più sordide.<br />
Detroit può fare in una settimana per l'uomo bianco<br />
ciò che il Sud non è riuscito a fare al negro in<br />
cent'anni." (ibidem, p. 41)<br />
La contrapposizione è totale e può essere positivamente risolta solo<br />
con il ricorso a forze ancestrali, primordiali. Per Spengler queste<br />
saranno il sangue e la razza, espressioni del legame concreto di un<br />
popolo con la terra e con la storia; ad essi si contrappongono la<br />
macchina, la tecnica, l'intellettualismo e il miti della ragione e del<br />
progresso, simboli dell'impossibilità di un'esperienza autentica. La<br />
tecnica è una potenza lontana dalla vita, come il "denaro" e la sua arma<br />
politica, la "democrazia", potenze destinate a soppiantare il mondo<br />
della macchina ed a condurre al suo esito ultimo il processo di<br />
civilizzazione; contro di esse si ergeranno le forze del "sangue" e del<br />
cesarismo 17, in uno scontro di titani che sancirà alla fine l'avvenuta<br />
riconciliazione dell'uomo con la corrente della Vita. Miller cercherà<br />
17 - "Una potenza può essere rovesciata solo da un'altra potenza, non da un<br />
principio; ma al di fuori della potenza del danaro non ve n'è un'altra, oltre a quella ora<br />
detta. Il danaro potrà essere spodestato e dominato soltanto dal sangue. La vita è la<br />
prima e l'ultima delle correnti cosmiche in forma microcosmica." (Tramonto, p. 1397).<br />
51
altrove questa vitalità primordiale, e la troverà, come Lawrence prima di<br />
lui, nel valore della sessualità, energia che spezza i limiti sanciti<br />
artificialmente dalla ragione e di fronte alla quale l'uomo ritrova la<br />
primitiva nudità, simbolo di un ritrovato contatto con il ritmo del<br />
macrocosmo.<br />
II. 3. La metropoli<br />
C'è un altro simbolo che spiega il tramonto dell'occidente: la<br />
metropoli, o "cosmopoli". Ogni grande civiltà è stata una civiltà<br />
cittadina, dice Spengler 18. La città è il simbolo stesso di una civiltà, il<br />
fenomeno primario che spiega la sua origine e ne mostra la storia e il<br />
destino.<br />
Come nel discorso sulla macchina, anche qui Spengler parte da<br />
lontano. L'uomo è da principio un animale nomade, slegato dal<br />
macrocosmo naturale, senza senso di appartenenza alla terra che<br />
occupa. Questo procura uno stato di perenne angoscia, dovuto alle<br />
incertezze dell'approvvigionamento del cibo ed alle insidie di una<br />
natura estranea ed ostile. Con la nascita dell'agricoltura, l'uomo si<br />
radica al suolo, diviene pianta anch'esso e quindi stabilisce un<br />
rapporto di reciproca appartenenza con la terra che coltiva: nasce la<br />
casa "contadina". Nello stesso modo si forma la città, che è il<br />
radicamento dell'uomo sul territorio e l'instaurarsi del legame con la<br />
terra: la nascita di una civiltà è la nascita di una nuova forma di città, di<br />
un nuovo modo di formare la comunità 19.<br />
È chiara l'impostazione del discorso: la città è un fenomeno<br />
"naturale", come manifestazione del legame tra il microcosmo umano<br />
ed il macrocosmo naturale. È la nascita della proprietà e del senso<br />
stesso dell'identità dell'uomo, che si riconosce in quanto legato ad una<br />
18 - "È un fatto essenziale, ma raramente valutato nella sua reale portata, che tutte le<br />
grandi civiltà sono state civiltà cittadine.[...] Le nazioni, gli Stati, la politica e la religione,<br />
tutte le arti, tutte le scienze si basano su quest'unico fenomeno elementare dell'esistenza<br />
umana, costituito dalla città." (ibidem, p. 777).<br />
19 - Per questa introduzione storica che definisce i termini del discorso sull'essenza della<br />
metropoli, vedi Tramonto, pp. 775-776. Per il discorso complessivo sulla metropoli<br />
vedi il capitolo 'L'anima della cittá', pp. 771-810.<br />
52
determinata terra, e che su questo senso di reciproca appartenenza<br />
fonda le proprie forme di organizzazione sociale, politica, culturale. La<br />
città insomma non è un prodotto artificiale ma nasce dal legame<br />
profondo prima tra l'uomo e il mondo, e poi tra gli<br />
uomini che formano una comunità:<br />
"Essa è qualcosa che d'un tratto si stacca dall'animità<br />
della sua civiltà come un'anima collettiva di una specie<br />
tutta nuova [...]. Una volta destatasi, quest'anima si<br />
crea un corpo visibile. Da un insieme di abitazioni da<br />
villaggio [...] si forma un tutto e questo tutto vive,<br />
respira, cresce, assume un volto e una forma interna,<br />
inizia un'altra storia." (Tramonto, p. 778)<br />
Questo carattere espressivo non si perde col sopraggiungere della<br />
civilizzazione. La città, da piccolo agglomerato, diventa "metropoli",<br />
si ingigantisce fino a dominare il paesaggio e a dimenticare il proprio<br />
radicamento alla terra:<br />
"Soltanto la civilizzazione con le sue città gigantesche<br />
torna a disprezzare queste radici della spiritualità e si<br />
stacca da esse. L'uomo civilizzato, nomade<br />
intellettuale, torna ad essere tutto microcosmo,<br />
privo di patria." (ibidem, p. 777)<br />
La metropoli è la forma della città nell'epoca di civilizzazione, ed in<br />
quanto tale costituisce il fenomeno più evidente della decadenza. La<br />
metropoli è la città artificiale, e tra le sue mura di pietra si perde ogni<br />
traccia della natura. Il paesaggio è un deserto dominato dalle<br />
costruzioni della tecnica, a testimonianza del trionfo della volontà di<br />
potenza dell'uomo sulle leggi del macrocosmo. Tra le pareti di pietra<br />
sparisce non solo la natura ma anche ogni residuo di umanità:<br />
"E nella città, disgiunta dalle potenze del paesaggio,<br />
quasi isolata dal suolo dalla pavimentazione, la vita<br />
s'indebolisce sempre di più, mentre la percezione e<br />
l'intelligenza si fanno sempre più acute. L'uomo<br />
diviene "spirito", diviene "libero" epperò di nuovo<br />
nomade, però più freddo e con un orizzonte più<br />
ristretto. [...] E con la civilizzazione si ha il climaterio.<br />
53
Le antichissime radici dell'essere si disseccano fra le<br />
masse di pietra delle città." (ibidem, p. 781)<br />
Da qui possiamo ripartire con Miller. In Plexus c'è un'enfasi<br />
particolare sul termine spengleriano "nomade intellettuale". Abbiamo<br />
visto come esso definisca l'esperienza dell'uomo della civilizzazione,<br />
dell'"animale" da metropoli. Miller fa propria questa definizione:<br />
"Quali pagine accoranti ha consacrato Spengler alla<br />
condizione del "nomade intellettuale". Spostato,<br />
sterile, scettico, senza anima e per giunta senza<br />
focolare e con la nostalgia di un focolare. 'I popoli<br />
primitivi possono staccarsi dal suolo e ramingare; il<br />
nomade intellettuale non lo può. la nostalgia delle<br />
grandi città è più acuta in lui di qualsiasi altra<br />
nostalgia. Per lui, ognuna di quelle mastodontiche città<br />
è la patria, ma il villaggio più vicino è territorio<br />
straniero'." (Plexus, p. 751; citaz. da Tramonto, p.<br />
797)<br />
L'appropriazione del concetto si sovrappone all'esperienza personale:<br />
New York diventa "la" metropoli; viverci significa essere al centro<br />
stesso del tramonto, "nel centro stesso del processo trasformativo",<br />
dove tutto è "morte e trasfigurazione" (Plexus, p. 751).<br />
Anche se tra le molte citazioni da Il Tramonto dell'Occidente solo<br />
quella sopra citata si riferisce direttamente alla metropoli, questo è un<br />
motivo che attraversa tutta l'opera milleriana. La città moderna è<br />
l'immagine più chiara del "cancro" che divora l'Occidente. La<br />
metropoli è una delle grandi mediazioni dell'intelletto, ed è, insieme alla<br />
macchina, il simbolo più espressivo della civilizzazione; questo tanto<br />
in Miller quanto in Spengler.<br />
Il discorso dello scrittore americano è meno lineare rispetto a quello<br />
di Spengler. Ne Il Tramonto dell'Occidente il simbolo della metropoli<br />
ha una connotazione univoca, designando una forma primaria della<br />
civilizzazione, come mutamento qualitativo nell'organizzazione del<br />
territorio: la città come espressione del radicamento umano alla terra<br />
cede il passo alla città come espressione della vittoria dell'uomo sul<br />
54
paesaggio naturale. Il sorgere delle grandi metropoli del passato come<br />
Roma, Babilonia, Alessandria, ha sempre rappresentato la spia di un<br />
processo corruttivo in atto; il segno, qui, è senza dubbio negativo.<br />
La posizione di Miller è più ambigua e nel corso del tempo assume<br />
sfumature diverse ed a tratti opposte. Inizialmente, l'immagine della<br />
metropoli moderna è quella di Parigi. Essa è una figura dominante di<br />
Tropico del Cancro, ma la sua connotazione non la si può dire<br />
completamente negativa. A tratti assume contorni nettamente<br />
spengleriani nell'assimilazione a Roma e Ninive, grandi città della<br />
corruzione: la metropoli diventa allora il cancro della civiltà, "l'acquaio<br />
putrido" dove si concentra una vita che affonda il proprio vigore nella<br />
lussuria e nella corruzione. Ma Parigi è anche la città delle opportunità,<br />
capitale della cultura, città degli artisti, dei café e della vita bohemien,<br />
fulcro dell'esperienza delle avanguardie dell'inizio del secolo e,<br />
nell'immaginario collettivo americano, il simbolo stesso dell'Europa.<br />
Europa significa storia, arte, cultura: Parigi ne è l'emblema, e questo la<br />
salva. Parigi è una metropoli moderna, certo, ma è anche il risultato di<br />
secoli di storia: la Vita continua a fluirvi senza soluzione di continuità.<br />
Nella sua corruzione si intravede una forza positiva che riscatta dal<br />
"cancro":<br />
"Trovare in mezzo alla corruzione qualcosa di<br />
perennemente nuovo, qualcosa di perennemente in<br />
fiore, qualcosa di perennemente allettante e<br />
seducente, questa è forse l'attrattiva principale che ha<br />
l'Europa per un uomo del Nuovo Mondo.[...]<br />
Non vedo l'Europa là ferma, immobile. Non vedo la<br />
Francia andare in malora per forza d'inerzia.[...] Ciò<br />
che m'impressiona è la coltivazione intensiva che ha<br />
luogo in quel piccolo giardino del mondo. Là s'alleva<br />
lo spirito dell'uomo" (Ricordati di ricordare, Torino,<br />
Einaudi, 1979, p. 270 20 )<br />
È questa immagine che fa dire a Miller:<br />
"preferisco il mondo corrotto d'Europa. Preferisco i<br />
vermi che strisciano. Preferisco il canto della carne,<br />
anche se quella carne imputridisce." (ibidem, p. 269)<br />
20 - Ed. orig. Remember to remember, N.Y., New Directions, 1947.<br />
55
Dopo Tropico del Cancro il giudizio su Parigi, come sull'Europa,<br />
perderà la sua ambivalenza e assumerà contorni ancora più netti:<br />
l'identità Europa-Spirito(Arte)-Vita verrà sancita definitivamente.<br />
Quando l'immagine della metropoli cessa di essere Parigi e diventa<br />
New York, o più in generale la cosmopoli americana, il discorso perde<br />
ogni ambiguità. Nella condanna all'America viene coinvolta in pieno<br />
anche quella forma che ne è l'espressione più significativa. La<br />
metropoli americana è fredda, impersonale, anonima: la sua<br />
descrizione procede per negazioni, a partire da quella negazione<br />
originaria che è la negazione della Vita. La metropoli è la forma del<br />
tradimento dell'anima umana; essa crea attorno a sé un<br />
paesaggio desolante:<br />
"Quando si pensa al significato di cui Spengler carica<br />
la frase 'L'uomo quale nomade intellettuale', si<br />
comincia a comprendere che nel perseguire il suo alto<br />
compito, egli è stato vicino a diventare un Mosè<br />
moderno. Quanto più spaventoso questo deserto in<br />
cui il nostro 'nomade intellettuale' è costretto a<br />
risiedere ! Nessuna Terra promessa in vista. Nulla<br />
all'orizzonte, se non simboli vuoti." (Plexus, p. 748)<br />
La metropoli è un deserto, immagine nietzscheana, e l'attraversamento<br />
del deserto è la metafora della condizione esistenziale dell'uomo<br />
moderno, destinato ad un percorso attraverso i simboli del male per<br />
poter tornare a vedere la luce di un mondo nuovamente popolato.<br />
Leggiamo da L'incubo ad aria condizionata la descrizione di<br />
Cleveland:<br />
"La città più tipicamente americana che abbia visitato<br />
finora. Fiorente, prospera, attiva, igienica, vivificata<br />
da una generosa infusione di sangue forestiero e<br />
dall'ozono del lago, spicca nella mia mente come il<br />
composto di molte città americane. Pur avendo tutte<br />
le virtù, tutti i requisiti fondamentali per vivere,<br />
crescere, fiorire, resta nondimeno un posto<br />
assolutamente morto" (Incubo, p. 45)<br />
56
Una somma di attributi che non costruisce una totalità, un insieme di<br />
elementi che non fanno un tutto perché mancano della forza coesiva<br />
insita in quella sintesi originaria che è ogni creazione naturale, dove tutti<br />
i fattori si coagulano attorno ad un fine comune, generando una totalità<br />
organica volta all'espressione di un insopprimibile istinto vitale. Il<br />
carattere disorganico è l'essenza della città americana, forma moderna<br />
della comunità umana.<br />
Ma non è solo l'immagine della città a testimoniare il tramonto. Una<br />
città decadente produce cittadini devitalizzati, una metropoli fredda e<br />
impersonale genererà uomini anonimi:<br />
"Nelle città grandi e piccole si trova ovunque<br />
l'americano tipo. La sua espressione è mite, blanda,<br />
pseudoseria e decisamente fatua. Di solito è ben<br />
vestito, con un completo acquistato a buon mercato,<br />
le scarpe lustre, una penna stilografica e una matita<br />
nel taschino [...]. Lo si direbbe prodotto da<br />
un'università con l'aiuto del reparto abbigliamento di<br />
un grande magazzino. Si somigliano tutti, proprio<br />
come le automobili, le radio e i telefoni." (ibidem, p.<br />
44)<br />
In Spengler si ritrovano accenti molto simili:<br />
"Le teste di tutti gli uomini civilizzati di una certa<br />
levatura mostrano esclusivamente l'espressione di una<br />
estrema tensione.[...] L'intelligenza è l'esercizio<br />
perfetto del pensiero che si sostituisce ad una<br />
esperienza inconscia della vita: è qualcosa di scarno,<br />
di squallido. I visi intelligenti degli uomini di tutte le<br />
razze di rassomigliano. È la stessa razza che da essi<br />
si é ritirata." (Tramonto, pp. 797-8)<br />
La fisionomia del volto tradisce l'assenza di un'anima. Questo<br />
approccio morfologico vale sia per il volto umano che per il volto<br />
della città perché coinvolge tutto ciò che è "fenomeno". Anche il volto<br />
della città della civilizzazione mostra una totale assenza di significato:<br />
"Ed ora le città organiche col loro nucleo centrale<br />
gotico costituito dalla cattedrale, dal municipio e dalle<br />
viuzze fiancheggiate da case a tetti spioventi [...]<br />
57
cominciano a crescere da ogni parte con una massa<br />
informe costituita da case-alveari e da costruzioni<br />
utilitarie. [...] Chi dall'alto di una torre contempla<br />
questo mare di case [...] vi riconosce esattamente<br />
l'epoca in cui la fase di una crescenza organica è<br />
terminata e in cui comincia un ammucchiamento<br />
inorganico e quindi illimitato. [...] Ed ora sorgono<br />
anche forme artificiali, matematiche [...], sorgono le<br />
città degli architetti urbani che in tutte le<br />
civilizzazioni tendono verso una stessa struttura a<br />
scacchiera, simbolo di perdita di anima." (ibidem, p.<br />
794)<br />
Se l'immagine della città non esprime più nulla, questo significa che<br />
essa ha cessato di essere una realtà vitale. Ad essa Miller contrappone<br />
Parigi, simbolo ormai privo di ambiguità. Quartieri, case, palazzi<br />
custodiscono un significato e una fisionomia riconoscibile, così<br />
come i nomi delle vie e dei boulevards mantengono il fascino del loro<br />
potere evocativo: sono i movimenti e le metamorfosi di un organismo<br />
che vive ad incidere i tratti del volto di una città. Parigi è un corpo vivo<br />
che<br />
"si gratta la pancia. Parigi si umetta le labbra. Parigi si<br />
affina il palato per il festino in vista. Qui il corpo si<br />
muove di continuo nel suo proprio ambiente [...].<br />
Ogni cosa incredibilmente viva, un brulichio di<br />
materia differenziata [...]. Le strade mi brulicano tra<br />
le dita. In una sola mano raccolgo la Francia intera."<br />
(Primavera, p. 831)<br />
Le fisionomie dei parigini confermano la presenza di una vitalità e di<br />
una personalità sconosciute al cittadino anonimo della metropoli<br />
americana:<br />
"Un giovedì pomeriggio me ne sto nel métro di<br />
faccia alle semplici donne europee. C'è una consunta<br />
bellezza nei loro volti, quasi che, come la stessa terra,<br />
avessero partecipato a tutti i cataclismi della natura.<br />
Portano scolpita sui volti la storia della loro razza, la<br />
loro pelle è una pergamena sulla quale sono riportate<br />
tutte le lotte della civiltà. [...] Vedo sui loro volti la<br />
58
carta geografica stracciata e multicolore d'Europa."<br />
(ibidem, p. 825)<br />
Il parigino ha ancora un'anima, l'americano no: il cittadino europeo<br />
porta con sé, incisi sul volto, il retaggio della propria storia, che è<br />
come dire il senso del suo radicamento nel mondo, l'americano ha in<br />
sé tutta la fragilità di una creatura da laboratorio, frutto di un<br />
esperimento malriuscito. Questa distinzione ci conduce ad un tema che<br />
nel capitolo di Plexus viene solo introdotto, ma che avrà la sua<br />
rappresentazione simbolica più espressiva in Tropico del Cancro: la<br />
"corrente della Vita".<br />
II. 4. Il flusso della vita<br />
Il concetto di "Vita", connesso all'idea dell'esistenza come "divenire",<br />
è al centro dell'opera di Miller come della filosofia della storia<br />
spengleriana. Esso permette di mettere in rilievo alcuni punti che<br />
chiariscono meglio la posizione di entrambi.<br />
Partiamo da Spengler. Il Tramonto dell'Occidente è stato più volte<br />
attaccato come espressione di dilettantismo filosofico, di superficiale<br />
pessimismo sulle sorti della cultura occidentale: vi si vedeva<br />
l'espressione di un "Kultur-pessimismus" che indicava nel destino<br />
dell'Occidente un imminente "crepuscolo degli dei", e che nel<br />
tratteggiarlo mostrava di non disprezzarne la ferocia e la sanguinosità.<br />
L'immagine del tramonto, scissa dal suo contesto di metafora<br />
organica, era passata ad indicare univocamente la "decadenza": il<br />
tramonto dell'Occidente diventava il tramonto del mondo intero, la<br />
negazione di ogni forma di civiltà, quasi la profezia di una prossima<br />
fine del mondo. Certamente, il tema della decadenza è un asse portante<br />
del discorso spengleriano, e forse si può concordare sul fatto che ci<br />
sia una sorta di ambiguo piacere nel delineare con toni così crudi e<br />
decisi e con tanta impassibilità la fine del mondo occidentale. Tuttavia,<br />
il discorso de Il Tramonto dell'Occidente va portato avanti senza<br />
tralasciare il contesto di riferimento: e questo ci porta a<br />
ridimensionarne la lettura "nichilista" e "pessimista".<br />
Il tramonto è, innanzitutto, una immagine del mondo della natura:<br />
nella realtà del macrocosmo, il movimento del tramonto è una legge<br />
59
fondamentale. Ogni cosa nasce, si sviluppa e poi muore: questo è il<br />
destino unico di tutti i viventi, valido per l'uomo come per le civiltà.<br />
Quando Spengler parla di un "tramonto dell'Occidente" non fa che<br />
descrivere il tragitto che ogni civiltà è destinata a compiere, e che, la<br />
storia lo testimonia, ogni civiltà ha seguito. Roma, Babilonia, Atene,<br />
Alessandria, Pechino: tutte le grandi culle della civiltà sono cadute.<br />
Esse non sono che forme nelle quali l'energia della Vita si è incanalata:<br />
quando, per naturale senescenza, esse si rivelano inadatte alle esigenze<br />
della Vita, o quando hanno portato a compimento il loro destino, esse<br />
deperiscono e poi muoiono, seguendo il questo il destino di ogni<br />
forma vivente.<br />
Il "pessimismo" di Spengler pone l'accento su un aspetto della verità<br />
che molti ignorano, o cercano di ignorare. Spengler ha cercato di<br />
spiegarlo in quel 'Pessimismus?' che voleva essere la risposta alle<br />
accuse che gli venivano rivolte ed al contempo la chiarificazione di<br />
alcuni concetti cruciali travisati dalle letture "negative" e nichiliste de Il<br />
Tramonto dell'Occidente. Spengler teneva a sottolineare che l'intendere<br />
l'era moderna come fase finale della civiltà non significava negare<br />
all'uomo la possibilità dell'azione. Il grande successo popolare della<br />
sua opera e la carica suggestiva delle sue immagini aveva contribuito<br />
ad ingabbiarne il significato in facili schematismi, cosicché il<br />
"tramonto" del titolo era diventato la condanna a morte di una intera<br />
civiltà e, con una sovrapposizione che Spengler non avrebbe mai<br />
accettato, del mondo intero. Il fraintendimento sta tutto nel senso<br />
spengleriano della parola. Il "tramonto" è innanzitutto il tramonto del<br />
sole, la fine del suo moto e al contempo la premessa di una nuova<br />
alba. Il tramonto non è la fine di tutto, ma solo il "compimento"<br />
goethiano di una realtà che, svuotata di significato, è destinata a cedere<br />
il passo. Scrive Spengler:<br />
"ci sono uomini che confondono il tramonto del<br />
mondo antico con il naufragio di un transatlantico.<br />
Il concetto di catastrofe non è implicito nel termine<br />
'tramonto'. Se invece di 'tramonto' si dicesse<br />
'compimento', espressione legata nel pensiero di<br />
Goethe a un senso ben preciso, l'aspetto pessimistico<br />
verrebbe infatti escluso, senza per questo modificare<br />
il senso autentico del concetto." (Scritti, p. 40)<br />
60
Questo ci porta ad alcune considerazioni. Innanzitutto, il tramonto è<br />
una figura relativa all'Occidente. Ogni civiltà segue la legge di natura<br />
dello sviluppo organico, ma è anche vero che ogni civiltà nasce da<br />
un'esigenza spirituale diversa, da un diverso compito che la vita si è<br />
posta: ogni cultura ha un proprio destino, una propria anima. Ecco<br />
allora l'anima di Faust, che spiega l'Occidente secondo la categoria<br />
dell'azione, dell'impulso verso l'infinito. Ecco allora l'anima apollinea,<br />
essenza della civiltà classica, fondata sul senso della presenza e della<br />
concretezza, sull'armonia statica e sull'equilibrio. Ogni civiltà ha quindi<br />
una sua direzione, un suo scopo, mostrato da quel "simbolo primo" 21<br />
che è l'anima di una civiltà. Il declino di cui parla Il Tramonto<br />
dell'Occidente è il declino della civiltà faustiana, che giunge al suo<br />
estremo compimento realizzandosi come società tecnocratica. Ciò che<br />
è più importante è che a questo "destino di morte" Spengler non ha<br />
mai accennato come a qualcosa di puramente negativo. Anzi la morte,<br />
nella visione spengleriana, essendo fenomeno della natura non va<br />
soggetta ad un giudizio negativo né può dare adito a interpretazioni<br />
pessimistiche. La morte è una realtà naturale, e la natura non la si<br />
giudica, si può solo prenderne atto. Alla base della filosofia della storia<br />
spengleriana c'è l'idea del "divenire", cioè di un eterno flusso della<br />
corrente della Vita, una corrente di energia che attraversa la storia e le<br />
sue forme senza che questo movimento abbia mai fine, un'immagine<br />
eraclitea di incessante dinamismo che salva da qualsiasi interpretazione<br />
unilateralmente negativa della figura del tramonto. Le forme sono<br />
mortali, la Vita (il divenire) è immortale, e le trascende.<br />
Su questo tema della Vita Miller si incontra pienamente con Spengler.<br />
La loro sintonia non si fonda solo sul legame apparentemente più<br />
ovvio, vale a dire l'interpretazione della modernità come decadenza,<br />
che è certamente un aspetto importante, decisivo, ma è solo uno dei<br />
fattori che sostengono il legame tra i due: l'altro, imprescindibile e<br />
inseparabile da quello, è l'idea di un flusso eterno della Vita. Anche<br />
Tropico del Cancro è stato oggetto di critiche di "pessimismo": vi si<br />
vedeva una indebita forzatura dei contorni della realtà, ed una lettura<br />
21 - "La scelta del simbolo primo, che per chiunque sappia considerare la storia<br />
mondiale in tal guisa ha qualcosa di emozionante, nel momento in cui l'anima di una<br />
civiltà si desta ad autocoscienza nel suo paesaggio, è ciò che tutto decide." (Tramonto,<br />
p. 276)<br />
61
ingiustamente unilaterale e negativa del presente. Ma anche qui, al tema<br />
della decadenza dell'Occidente andava affiancato quel presupposto<br />
fondamentale che è la fede nel flusso della Vita. Questo è l'elemento di<br />
positività che salva, almeno nelle intenzioni e pur con indubbie<br />
ingenuità, l'opera di Miller da interpretazioni restrittive e puramente<br />
negative.<br />
Seguiamo in Plexus il percorso di citazioni spengleriane tracciato<br />
da Miller:<br />
"Appena la vita è stanca - dice Spengler - appena<br />
l'uomo è trapiantato sul suolo artificiale delle grandi<br />
città, che sono mondi intellettuali in sé, e ha bisogno<br />
di una teoria in cui poter presentare adeguatamente la<br />
Vita a se stesso, la morale diventa un problema."<br />
(Plexus, p. 741; da Tramonto, p. 531)<br />
Qui compaiono alcuni elementi tipicamente milleriani: lo spaesamento e<br />
l'alienazione dell'uomo nelle metropoli, l'artificialità della vita cittadina,<br />
l'intellettualismo che fa della Vita un problema etico, e non più un<br />
sentimento connaturato all'uomo. Ma questa critica della modernità<br />
parte dalla preliminare constatazione dell'assenza della Vita. È quando<br />
questa manca che comincia il declino; ed il declino non può essere<br />
frenato da costruzioni intellettuali:<br />
"i principi astratti della vita acquistano diritto di<br />
cittadinanza soltanto come idiotismi, massime comuni<br />
di uso quotidiano sotto i quali la vita continua a<br />
scorrere come ha sempre fatto. La razza, alla fine, è<br />
più forte della lingua" (ibidem, p. 743; da Tramonto,<br />
p. 862)<br />
Al di là delle forme create dall'uomo e dalla natura, la Vita rimane<br />
un'energia indomabile. È un continuo plasmare e disfare forme,<br />
qualcosa di fluido, quindi non dotato di forma perché può assumerne<br />
molteplici senza rimanerne imprigionata e senza che questo muti la sua<br />
essenza. È il flusso che unisce l'uomo e la sua azione alle leggi della<br />
natura, e che costituisce il fondo stesso dell'esistenza, la sua radice<br />
misteriosa e imperscrutabile. Ecco un'altra citazione da Il Tramonto<br />
dell'Occidente:<br />
62
"La vita è la prima e l'ultima cosa, il flusso cosmico in<br />
forma microcosmica. È il fatto essenziale del mondo<br />
in quanto storia...Nella storia è questione della vita e<br />
sempre e soltanto della vita, della razza, del trionfo<br />
della volontà di potenza, e non della vittoria di verità,<br />
di invenzioni o di danaro. [...] E così il dramma di<br />
un'alta cultura, questo meravigliosissimo mondo di<br />
deità, pensieri, battaglie, città, si chiude ancora una<br />
volta nei fatti primitivi del sangue eterno, che è uno e<br />
identico col flusso cosmico in eterna rotazione"<br />
(ibidem, pp. 743-4; da Tramonto, p. 1397)<br />
La Vita trascende il significato relativo dell'esistenza delle singole<br />
civiltà, e sfugge a categorie della storia come "Kultur" e "Zivilisation".<br />
La posizione all'interno di questa parabola ha importanza solo per<br />
l'uomo, che fin dalla nascita si trova a confrontarsi con un proprio<br />
destino particolare:<br />
"La nostra direzione, la direzione della nostra volontà<br />
e della nostra necessità nel medesimo tempo, è fissata<br />
entro stretti limiti, senza il che non vale la pena di<br />
vivere. Non abbiamo la libertà di scegliere il punt o da<br />
raggiungere, ma la libertà di fare il necessario o di non<br />
fare nulla" (ibidem, p. 740; da Tramonto, p. 1399)<br />
Questo aspetto relativo e necessitante lega l'uomo occidentale<br />
moderno ad una fase di decadenza, e lo condanna a vivere in un'epoca<br />
di civilizzazione. Ma è qui che interviene il valore della Vita in tutta la<br />
sua positività. Così scrive Miller:<br />
"Importa qualcosa che noi siamo uomini della fine e<br />
non del principio ? No, se si comprende che<br />
facciamo parte di qualcosa nel processo eterno, nella<br />
eterna ebollizione. [...] La morte è un<br />
'controsimbolo'. La vita è il tutto, anche nelle epoche<br />
terminali. Da nessuna parte si trova il più lieve<br />
accenno che la vita debba arrestarsi." (ibidem, pp.<br />
757-8)<br />
63
Qui si capisce bene come l'idea della Vita sia, per Miller e Spengler, il<br />
valore che salva dalla decadenza, e da una lettura unilaterale del<br />
problema del tramonto dell'Occidente. Se esiste un valore alle radici<br />
della storia, e questo valore é la Vita, esso non cessa mai di<br />
rappresentare un elemento salvifico. Il flusso vitale non è solo<br />
l'immagine che spiega il disagio del presente, ma è anche la proposta<br />
di un fondamento al quale far riferimento: la Vita è una garanzia, la<br />
garanzia che, oltre il mutare ed il disfarsi delle forme, permane l'attività<br />
plasmatrice. In questo modo, la morte diventa un "controsimbolo", un<br />
simbolo di quella Vita della quale dovrebbe essere la negazione: la<br />
morte diventa un fenomeno naturale e "necessario". Questa idea della<br />
morte, tratteggiata da Spengler, viene ripresa integralmente da Miller,<br />
che ne L'incubo ad aria condizionata scrive:<br />
"Distruggete tutto ciò che vedete, se credete che sia<br />
questo il sistema per sbarazzarvi dei vostri problemi.<br />
Io non credo in una distruzione del genere. Credo<br />
solo nella distruzione che è naturale, incidentale e<br />
inerente alla creazione." (Incubo, p. 16)<br />
La morte non nega la vita ma la afferma, ed in questo trova una sua<br />
positività. Di conseguenza, anche la fine della civiltà occidentale<br />
assumerà i tratti di un evento liberatorio, voluto e non subìto. Nel<br />
momento in cui la storia dell'Occidente volge al termine, il richiamo alla<br />
Vita vuole mostrare la possibilità di un cammino ulteriore, oltre la<br />
decadenza. La Vita è il cardine immobile da cui ripartirà il movimento<br />
che genera le forme della storia.<br />
Alcuni brani de Il Tramonto dell'Occidente su Gesù, citati da<br />
Miller 22, intervengono a conferma di questa interpretazione. Cristo è<br />
una figura emblematica di uomo che vive nella concretezza i problemi<br />
della fede. Nelle sue parole non ci sono elaborazioni concettuali o<br />
formulazioni dogmatiche: egli annuncia un regno "altro", una realtà<br />
superiore ai "fatti" della storia umana e che tuttavia è l'essenza stessa<br />
delle vicende della storia. Mostra, con l'esempio della sua persona, un<br />
tragitto da compiere; non costruisce dimostrazioni né sistemi di<br />
pensiero o religioni, offre il suo esempio, ed incide sul mondo non<br />
22 - Vedi Plexus, pp. 754-5.<br />
64
come creatore di una religione, ma come un simbolo della forza della<br />
Vita.<br />
Miller mostra di riconoscere, in Plexus, la complessità della<br />
costruzione spengleriana, e di coglierne appieno la portata:<br />
"Sono immensamente grato ad Oswald Spengler per<br />
avere avuto la strana bravura di descrivere<br />
meravigliosamente la sinistra aura di arteriosclerosi<br />
che è la nostra, e di avere nel medesimo tempo<br />
frantumato il rigido mondo di pensiero che ci<br />
avviluppa, così liberandoci, almeno nel pensiero.<br />
[...] Invece di avanzare incespicando attraverso<br />
sedimenti glaciali, si è trasportati sopra una marea di<br />
linfa e di sangue. [...] Ci troviamo di nuovo al centro<br />
dell'universo" (Plexus, p. 757)<br />
L'interesse per Spengler parte dal motivo della decadenza. Detto<br />
questo, è lo stesso Miller a porre in rilievo il richiamo spengleriano alla<br />
Vita come l'aspetto costruttivo, "positivo" de Il Tramonto<br />
dell'Occidente, proposta di un pensiero non intellettualizzato ma vivo,<br />
capace di trasmettere il senso della storia come "divenire". Plexus<br />
mette in guardia da una lettura esclusivamente "pessimistica" de Il<br />
Tramonto dell'Occidente:<br />
"Quel che a torto si chiama il suo 'pessimismo' mi<br />
colpiva soltanto come freddo realismo teutone.[...]<br />
Improvvisamente, grazie a questo maestro della<br />
storia, noi si racimola che la verità della morte non<br />
deve essere necessariamente triste [...]<br />
Improvvisamente siamo invitati a immergere lo<br />
sguardo nelle profondità della tomba, con lo stesso<br />
zelo e la stessa gioia con cui prima accogliemmo la<br />
vita." (ibidem, p. 738)<br />
La morte va intesa come "controsimbolo", come una dinamica non<br />
opposta ma interna alla vita stessa. Questo intrecciarsi di vita e morte,<br />
come due facce della stessa moneta, viene ripreso da Miller e<br />
raffigurato simbolicamente dalle due figure del "Cancro" e del<br />
"Capricorno", che danno il titolo ai suoi due romanzi più celebri: "Il<br />
Cancro è dunque l'apogeo della morte nella vita, così come il<br />
65
Capricorno è quello della vita nella morte" (Conversazioni, pp. 131-2).<br />
Nel Cancro prevale l'aspetto negativo, la fine del percorso, anche se<br />
rimane la forza positiva della vita che deve scegliere una nuova<br />
direzione; nel Capricorno emerge l'idea della rinascita nella morte, e<br />
siamo quindi già oltre la morte, all'inizio di una nuova forma di vita.<br />
La morte di una civiltà è l'epilogo della fase di civilizzazione: ma il<br />
fatto che la modernità venga inclusa in questa categoria non significa<br />
che l'uomo sia condannato ad una parte passiva. Per Miller come per<br />
Spengler, constatare il proprio destino (il destino di "uomo della<br />
civilizzazione") significa comprendere i termini e il fine della propria<br />
azione. In Tropico del Cancro leggiamo:<br />
"Le idee devono sposarsi all'azione; se in loro non vi<br />
è sesso, non vita, non c'è azione. Le idee non<br />
possono esistere da sole nel vuoto del pensiero. Le<br />
idee sono in rapporto con la vita: idee di fegato, idee<br />
di reni, idee interstiziali ecc..." (Cancro, p. 255)<br />
Un identico concetto, con parole pressoché analoghe, lo<br />
possiamo ritrovare in Spengler:<br />
"La vita non possiede nulla di assoluto e di scientifico.<br />
Ogni riga che non è scritta per servire all'azione mi<br />
pare superflua." (Scritti, p. 41)<br />
La profezia di decadenza si innesta sempre sull'invito ad agire e sulla<br />
prefigurazione di un futuro di totale rinnovamento, sia esso l'"Era dello<br />
Spirito Santo" (Lawrence, p. 142) vagheggiata da Miller o l'epoca del<br />
Cesarismo precognizzata da Spengler. Il disagio del presente porta a<br />
mitizzare il passato ed a caricare di tensioni utopiche il futuro. È<br />
interessante notare come, pur partendo da un'identica, fondamentale<br />
volontà di "ritorno alle origini", tra Miller e Spengler si possa<br />
riscontrare una differenza essenziale: per il filosofo tedesco il futuro si<br />
presenta come la perpetuazione di un ciclo storico eterno, cosicché il<br />
destino riserva alle civiltà dell'avvenire un processo di sviluppo ed<br />
un'articolazione identica a quelle che l'hanno preceduto; con Miller,<br />
invece, il futuro si configura come superamento dei cicli della storia, e<br />
l'"Era dello Spirito Santo" si presenta come uno stadio finale,<br />
metastorico. La differenza è radicale: l'uomo del futuro, in Spengler. ha<br />
66
il compito di riavviare il ciclo delle civiltà; in Miller, al contrario, ha il<br />
destino di spezzarlo e di concludere la storia 23. Superamento della<br />
storia significa anche superamento di ogni distinzione classista o<br />
ideologica. Scrive Miller:<br />
"dovremo diventare cittadini planetari della terra,<br />
legati l'uno all'altro non dal paese, dalla razza, dalla<br />
classe, dalla religione, dalla professione o<br />
dall'ideologia, ma da un istintivo, comune ritmo<br />
spirituale." (Ricordati di ricordare, cit., p. 141)<br />
Qui siamo all'opposto di Spengler, dove l'uomo si definisce sempre<br />
come funzione di una civiltà, e quindi sempre in base ai concetti di<br />
razza, religione, cultura; nella prospettiva de Il Tramonto<br />
dell'Occidente l'"uomo" in sé non esiste se non come unità di<br />
riferimento biologica. Miller mostra di comprendere e di seguire la<br />
lezione spengleriana, quando descrive la storia delle civiltà come<br />
"una improvvisa fioritura di grandi metropoli che<br />
riassumevano nel loro breve arco di vita lo sboccio<br />
d'una cultura dopo l'altra; con la loro estinzione la vita<br />
d'un intero popolo [...] è avvizzita e scomparsa. [...]<br />
È possibilissimo che prima di morire si vedano<br />
crollare anche [...] Mosca, Berlino, Tokio, Roma,<br />
Londra, New York, Atene." (ibidem, p. 141)<br />
Ecco però che subito dopo il discorso prende un indirizzo che è<br />
radicalmente opposto a quella matrice spengleriana da cui era partito:<br />
"Ma stavolta il crollo di queste grandi città non<br />
significa necessariamente la fine di un'altra civiltà. Al<br />
contrario, vi sono buone ragione per ritenere che<br />
finché non periranno queste città [...] non<br />
cominceremo sul serio ad avere quel che sogna la<br />
gente quando usa la parola civiltà." (ibidem, p. 142)<br />
23 - Negli appunti relativi a Tropico del Cancro, risalenti al 1932-33, Miller scrive:<br />
"Nuovo tipo di uomo. Uccide la storia, la cultura, lo sviluppo ciclico. Personalità<br />
creativa" ("New type of man. Kill history, culture, cyclical development. creative<br />
personality." in Moore Thomas (edited by), Henry Miller on Writing, N.Y., New<br />
Directions, 1984, p. 163).<br />
67
Per Miller la civiltà occidentale diventa l'impedimento al superamento<br />
della storia ed alla concretizzazione del senso autentico della civiltà,<br />
che egli vede come metastorica e come "comunità", termine che evoca<br />
"un'idea di onnicomprensione" (ibidem, p. 142) e che mira a stabilire<br />
una definizione dell'individuo oltre le forme storiche di identificazione,<br />
con un procedimento che è esattamente all'opposto di quello<br />
spengleriano. Se la fiducia nel futuro riposa, in Spengler, nella certezza<br />
del perpetuarsi del ciclo storico delle culture, in Miller questa stessa<br />
fiducia si fonda, all'opposto, sulla certezza che l'avvenire comporterà<br />
la fine del ciclo delle civiltà, viste come elemento di distorsione<br />
dell'autentica natura dell'uomo e della sua esistenza.<br />
L'atteggiamento di Miller non è sempre coerente, e il giudizio su Il<br />
Tramonto dell'Occidente mostra a volte delle oscillazioni 24. Se<br />
prendiamo in esame alcuni brevi richiami a Spengler, sparsi in lettere e<br />
saggi, vediamo come l'immagine che se ne ricava è quella di un<br />
filosofo della fine, di un pensatore della decadenza. E in Come il<br />
Colibrì, quando parlerà dell'Europa, mirerà a smentire le profezie di<br />
Spengler, e a dimostrare che l'Europa è sopravvissuta ai suoi<br />
presagi infausti:<br />
Quando scrive che<br />
"Nessuno fu più emozionato di me nel leggere quello<br />
stupendo poema sinfonico morfologico, o<br />
fenomenologico, che si intitola Il Tramonto<br />
dell'Occidente. [...] non c'era musica più dolce alle<br />
mie orecchie, che questa musica della fine. Ma ora<br />
sono sopravvissuto alla fine, fine d'Europa, fine<br />
d'America, tutte le fini" (Come il colibrì, p. 56)<br />
"L'Europa non era soltanto la somma totale dei<br />
legami della sua esistenza individuale [...]; era,<br />
venerabile e intangibile, l'esistenza di una unità di<br />
24 - Questo senza che che venga assolutamente meno il riconoscimento dell'importanza<br />
di Spengler e della sua influenza, anche a molti anni dalla sua lettura. Se in Plexus<br />
include il filosofo tedesco tra i "quattro cavalieri della mia personale Apocalisse !",<br />
come "costruttore di schemi" (p. 758), in Come il Colibrí parlerá de Il Tramonto<br />
dell'Occidente come "stupendo poema sinfonico morfologico" (p. 56).<br />
68
duemila anni, Pericle e Nostradamus, Teodorico e<br />
Voltaire, Ovidio ed Erasmo, Archimede e Gauss<br />
[...]. Tutta questa luce scagliata contro le tenebre e<br />
da esse di nuovo risplendente [...], tutta quella grande<br />
corrente comune, con le sue catene, i suoi stadi e i<br />
suoi fastigi, a comporre un solo spirito. Questa era<br />
l'Europa" (ibidem, pp. 56-7)<br />
Miller esce di nuovo dalla prospettiva rigidamente storicista de Il<br />
Tramonto dell'Occidente. Il suo fraintendimento sta nell'aver sottratto<br />
la categoria dell'"Europa" al significato del termine "Occidente",<br />
nell'averla posta su un piano metastorico, cosa che Spengler non<br />
avrebbe mai accettato. Da questo gli deriva a volte una certa<br />
inconsapevolezza del sostrato positivo dell'opera spengleriana che<br />
pure, stando alle citazioni di Plexus, aveva saputo cogliere con tanto<br />
acume. C'è insomma una certa oscillazione nel pensiero di Miller,<br />
oscillazione che a volte gli fa perdere il senso della riflessione<br />
spengleriana. In Plexus questo senso è colto nella sua complessa<br />
ambiguità, complessità che, in Tropico del Cancro, verrà non più<br />
enunciata, ma messa in opera.<br />
69
III<br />
DESTINO E CIVILIZZAZIONE IN "THE WORLD OF<br />
LAWRENCE"<br />
Il destino di quella massa informe di appunti che è stato pubblicato<br />
solo nel 1980 con il titolo The World of Lawrence 1 è legato a filo<br />
doppio con quello di Tropico del Cancro. Miller aveva cominciato<br />
nell'agosto del '31 a lavorare su quello che sarebbe poi diventato il suo<br />
primo romanzo pubblicato. Una prima stesura fu pronta nella<br />
primavera del '32, ma quella che venne pubblicata nel '34 sarebbe stata<br />
un'opera molto diversa da quell'abbozzo: un profondo lavoro di<br />
revisione e di sgrezzamento aveva portato a tagli drastici, tanto che<br />
alla fine risultarono scartati più di due terzi del manoscritto originale,<br />
che contava quasi mille pagine. Le difficoltà ed il tempo impiegati per<br />
la revisione del romanzo si spiegano anche col sopraggiungere di un<br />
nuovo impegno, che finì per sovrapporsi e poi sostituirsi a tutti gli<br />
altri. Nell'autunno del '32 lo scrittore americano aveva sottoposto il<br />
manoscritto del primo Tropico del Cancro all'editore Jack Kahane,<br />
che aveva accettato di pubblicarlo. Questi però, per poter accreditare<br />
Miller come scrittore serio e per sfruttare alcune evidenti analogie tra la<br />
sua opera e quella di Lawrence, gli propose di scrivere un breve<br />
saggio sullo scrittore inglese, una plaquette da pubblicarsi poco prima<br />
dell'uscita del romanzo. Miller vi si dedicò con alterna fortuna sino alla<br />
metà del '33, quando ebbe un ripensamento che lo portò a rivedere<br />
drasticamente lo schema del libro ed a tagliarne più di duecento<br />
1 - Curiosamente, quello che doveva essere il suo primo libro pubblicato fu invece<br />
l'ultimo, Miller vivente. Lo scrittore morì il giorno stesso in cui le prime copie gli<br />
venivano spedite dalla legatoria.<br />
70
pagine. Il lavoro proseguì per qualche mese, finché nell'ottobre del<br />
'33, non riuscendo più a venirne a capo, decise di rinunciare. Riprese<br />
più volte in mano il manoscritto, negli anni successivi, ma senza mai<br />
riuscire a concluderlo o a dargli una sistemazione definitiva. Rimase<br />
allo stato di abbozzo, con le sue ripetizioni e le sue contraddizioni, e fu<br />
in questa forma che venne pubblicato nel 1980.<br />
Miller si era impegnato per la plaquette senza alcun entusiasmo.<br />
Riferendo l'esito dell'incontro con Kahane, scriveva:<br />
"Durante la riunione [...] sono stato persuaso a<br />
scrivere il saggio. Mi hanno dato carte blanche,<br />
hanno mollato su ogni punto... e io me ne sono<br />
andato con la promessa di ripensarci. Rientrato a<br />
casa [...] ho detto a me stesso: 'Si, lo scriverò, per<br />
spillare quattrini a Kahane'." (Nin, p. 136)<br />
Alcuni mesi prima si era espresso in termini non dissimili in alcune<br />
lettere ad Anais Nin, che di Lawrence era una grande ammiratrice ed al<br />
quale aveva appena dedicato un breve saggio 2:<br />
"Sai, non mi meraviglio che i francesi siano irritati e<br />
invidiosi del successo di Lawrence. Non era meritato<br />
affatto. [...] Lawrence è tanto infantile da molti punti<br />
di vista. Voglio dire che il suo fanatismo, il suo<br />
predicare, eccetera, è infantile." (Nin-Miller, p. 107)<br />
L'ostilità iniziale durò molto poco: qualche giorno dopo aver<br />
accettato l'incarico Miller era già "immerso fino alle orecchie nel<br />
saggio" ed andava accumulando "un vero e proprio mattatoio di<br />
appunti" (Nin, p. 139). Tra annotazioni, piani di lavoro e ricerche<br />
bibliografiche il lavoro stava lievitando. Quello che doveva essere un<br />
breve opuscolo diventava una vera e propria resa dei conti con<br />
Lawrence: "I must wash myself clean of him" 3 , diceva Miller, a<br />
sottolineare la volontà di mettere la parola fine al capitolo Lawrence,<br />
pronunciando un giudizio definitivo. Nel progetto originario del saggio,<br />
c'è un accostamento significativo tra lo scrittore inglese e James Joyce.<br />
2 - A. Nin, D.H.Lawrence. An Unprofessional Study, 1932. (ed. italiana D.H.<br />
Lawrence, Milano, Bompiani, 1988).<br />
3 - Lettera citata nell'introduzione a The World of Lawrence, p. 14.<br />
71
Joyce è il simbolo dell'arte moderna senz'anima, intellettualizzata:<br />
l'Ulisse descrive la parabola dell'uomo contemporaneo che, perso il<br />
contatto con le proprie radici vitali e con le fonti della creatività, si<br />
aggira in un mondo inanimato, schiacciato da una "malattia dello<br />
spirito" per la quale non ha altro rimedio che le armi spuntate del<br />
proprio intelletto. Con Joyce "entriamo nel mondo inorganico, nel<br />
regno dei minerali, dei fossili, delle rovine", in una realtà dove l'arte<br />
diventa il surrogato della vita, l'unica via di fuga, il baluardo eretto<br />
dall'uomo per risparmiarsi il dolore di vivere" 4 : l'arte insomma diventa<br />
tecnica, "letteratura", e con questo la vita non è più in gioco.<br />
Se questa è il senso della lettura milleriana di Joyce, è evidente che il<br />
suo accostamento a Lawrence tradisce un approccio decisamente<br />
critico nei confronti dello scrittore inglese. Ma questa impostazione<br />
subirà un radicale rovesciamento nel corso della stesura del<br />
manoscritto: i passaggi possono essere stati graduali, ma c'è un<br />
avvenimento che viene richiamato da Miller come decisivo in questa<br />
revisione, ed è la lettura di un breve saggio di Lawrence dal titolo 'La<br />
corona', contenuto nella raccolta Morte di un porcospino 5. Miller vi si<br />
imbatte nel maggio del '33, e, con la sua caratteristica propensione<br />
all'enfasi, ne parla subito come di una rivelazione mistica. Notiamo<br />
che, nel riferirne ad Anais Nin, egli fa un accenno, breve ma decisivo,<br />
a Spengler:<br />
"Tu non sai che cosa mi hai dato prestandomi Morte<br />
di un porcospino. Il saggio intitolato 'La corona'<br />
(lungo un centinaio di pagine) è di gran lunga la cosa<br />
migliore che Lawrence abbia mai scritto. [...] è stato<br />
tremendamente piacevole aprirsi un varco fino a<br />
questo e trovare la risposta a tutti gli enigmi che egli<br />
presenta.[...] E' profetico ed è un giudizio sul genere<br />
umano. [...] E' come una nuova rivelazione. Si basa<br />
su Spengler, anche se può darsi che Lawrence non<br />
sapesse nemmeno di lui, allora. E va oltre<br />
4 - Per tutta l'interpretazione milleriana di Joyce, e di Lawrence come simbolo dell'artista<br />
opposto al "letterato", vedi 'L'universo della morte' in Max, pp. 925-952.<br />
5 - D.H.Lawrence, Reflections on the Death of a Porcuspine, and Other Essays,<br />
Philadelphia, 1925. Per 'La Corona' i riferimenti saranno all'edizione italiana, D.H.L.,<br />
La Corona, Milano, SE, 1985.<br />
72
Spengler...è la vera concezione di un artista del<br />
processo della vita." (Nin, pp. 170-1)<br />
Miller era rimasto affascinato dal tono profetico e visionario di quelle<br />
pagine, dal fitto intrecciarsi di immagini simboliche che davano alla<br />
scrittura una cadenza epica, dal sapore biblico. 'La corona' è un testo<br />
singolare, un impasto multiforme di poesia e prosa, di riflessioni sulla<br />
guerra (siamo nel 1915) e di slanci lirici: ha l'andamento di un inno<br />
sacro, ritmato sulla presenza di figure simboliche che mettono in<br />
immagine i concetti.<br />
A partire da questa lettura, la prospettiva su Lawrence cambia<br />
decisamente. La testimonianza più eloquente la troviamo in Max e i<br />
fagociti bianchi, nel saggio 'L'universo della morte': Lawrence diventa<br />
un controsimbolo della morte, l'immagine dell'artista che al processo<br />
di disgregazione oppone il potere dell'elemento vitale:<br />
"All'infuori di Lawrence, non abbiamo più a che fare<br />
con uomini vivi, uomini per i quali la Parola è cosa<br />
viva. La vita e le opere di Lawrence rappresentano<br />
un dramma che ha per centro il tentativo di sfuggire a<br />
una morte durante l'esistenza." (Max, p. 925)<br />
La trasfigurazione è completa e fa di Lawrence un simbolo di<br />
speranza per l'umanità, un "life-giver" opposto ai "death-eaters" Proust<br />
e Joyce. Questi si arrendono alla crisi dell'uomo occidentale e si<br />
limitano a descriverla, a rispecchiarla: sono grandi figure, certo, ma<br />
figure tragiche, testimonianza di una scissione che non si riesce a<br />
ricomporre. Per Proust vivere e fare arte ha senso solo come<br />
"memoria": è lo sguardo retrospettivo di chi rievoca una realtà un<br />
tempo viva, e che ora non lo è più. In Joyce il mondo appare già<br />
pietrificato, fenomeno inorganico sul quale si esercita l'abilità tecnicolinguistica<br />
dello scrittore; se con Proust abbiamo sotto gli occhi forme<br />
organiche in via di corruzione, con Joyce siamo già proiettati oltre la<br />
marcescenza, in una dimensione dove non c'è più nulla di animato.<br />
Lawrence invece combatte, portando nella lotta tutta la forza positiva<br />
delle origini, della vitalità, della passione. In questo senso egli sta su un<br />
gradino superiore agli altri due, che pure appaiono "più<br />
rappresentativi, 'riflettono' i tempi" (ibidem, p. 927). Joyce e Proust<br />
73
esprimono il carattere effimero delle civiltà umane, riflettono<br />
l'inesorabilità del processo di corruzione delle cose, che conduce<br />
irrevocabilmente alla morte. È il lato oscuro dell'esistenza, quel potere<br />
della distruzione che richiama costantemente alla memoria l'inesorabile<br />
carattere corruttibile e transitorio di ogni realtà terrena. Lawrence è<br />
dall'altra parte della vita, ne rappresenta l'aspetto solare; è il valore<br />
assoluto e insopprimibile della vita nel suo eterno rigenerarsi, la stabilità<br />
del principio del farsi e disfarsi delle forme. La sua opera è una<br />
continua sfida al nichilismo, per affermare che è ancora possibile, nel<br />
mondo moderno, un'arte creativa, attiva formatrice di simboli.<br />
In questa immagine positiva del processo della vita traspaiono, a<br />
parere di Miller, alcuni tratti marcatamente spengleriani. L'ombra de Il<br />
Tramonto dell'Occidente si proietta così tra i due scrittori e ci<br />
costringe a fare i conti con un complesso intreccio a tre. Spengler<br />
funge da medium, per Miller, nel suo avvicinarsi a Lawrence. Per noi,<br />
invece, è Lawrence l'elemento di mediazione che ci consente il<br />
passaggio da Miller al filosofo tedesco.<br />
C'è una profonda sintonia che farebbe di 'La corona' un precursore<br />
de Il Tramonto dell'Occidente. Scrive Miller:<br />
"È meraviglioso, inoltre, quanto intimamente<br />
coincidano le idee di Lawrence con i voli più alti del<br />
pensiero di Jung e Spengler. Egli è giunto alla<br />
definizione delle sue idee indipendentemente da loro,<br />
per pura coincidenza, dal momento che 'La corona'<br />
(germe di tutto) è stata scritta nel 1915 [...] E<br />
Lawrence rimane superiore a loro, loro antecedente,<br />
come sempre succede all'artista, a riprova della mia<br />
costante asserzione che il vero artista non deve nulla<br />
a psicanalisti e scienziati. Sono loro ad essere in<br />
debito nei suoi confronti. Essi lo saccheggiano,<br />
erigendo morti schemi sopra la sua vitale visione delle<br />
cose." (Lawrence, p. 221) 6<br />
6 - "It is marvellous, moreover, how intimately Lawrence's ideas coincide with the<br />
highest flights of Jung and Spengler. He arrived at his ideas independently and<br />
coincidentally with them, 'The Crown' (germ of all) written in 1915 [...]. And Lawrence<br />
remains above them, an antecedent to them both, as the artist always does, proving my<br />
costant assertion that the true artist does not owe anything to the psychoanalysts, nor<br />
the scientist. It is they who are indebted to the artist. They pillage him, erecting dead<br />
schemes out of his living vision of things".<br />
74
L'artista Lawrence sente intuitivamente, istintivamente, ciò che il<br />
filosofo Spengler sistematizzerà poi, sottraendo in questo modo<br />
all'intuizione una parte della sua vitalità. È probabile che Spengler<br />
avrebbe rifiutato una definizione della propria filosofia come<br />
"costruzione di schemi morti", e sicuramente non avrebbe accettato la<br />
sua contrapposizione ad un pensiero intuitivo, perché proprio alla<br />
capacità intuitiva, rabdomantica della riflessione attribuiva in buona<br />
parte la forza e la verità del proprio pensiero. La distinzione d'altra<br />
parte ha valore incidentale, e non trova riscontri in altri luoghi<br />
dell'opera milleriana. Prendiamola per ciò che significa in questo<br />
contesto: un accostamento tra due intellettuali per certi aspetti distanti,<br />
eppure uniti da una comune visione complessiva, da una "questioning<br />
faculty" (ibidem, p. 17) che li porta a concentrare la riflessione sugli<br />
enigmi fondamentali della realtà, ed in particolare su quel mistero<br />
originario che è il processo della vita.<br />
III.1. 'La corona' e il suo fondamento spengleriano<br />
Uno sguardo a 'La corona' ci consentirà di chiarire preliminarmente<br />
alcuni concetti, che ritroveremo sviluppati, in The World of Lawrence,<br />
nel complesso intreccio Miller-Spengler-Lawrence.<br />
La figura della corona, che dà il titolo al saggio, ci immette subito nella<br />
realtà simbolica del testo. La corona è ciò che si contendono leone ed<br />
unicorno: essa grava su di loro, come scopo della lotta; tuttavia il<br />
senso dell'esistenza non sta nella corona come premio finale per il<br />
vincitore, ma nella lotta che essa scatena tra leone ed unicorno, vale a<br />
dire tra gli opposti: potenza e virtù, carne e spirito, tenebra e luce, fine<br />
ed inizio. L'esistenza è tutta nella dialettica di questa opposizione,<br />
dialettica che non può conoscere una sintesi come risoluzione del<br />
contrasto: il valore assoluto, la vita, sta nell'unione dei due infiniti<br />
(flussi continui) che si contrastano, e compito dell'uomo è mantenere<br />
questo equilibrio sottile tra principi opposti. Essi<br />
"proprio per il fatto di essere tali, esprimono la<br />
necessità del supremo rapporto reciproco. E tale<br />
rapporto supremo diviene assoluto nello scontro tra<br />
75
due onde contrapposte e nella schiuma che esso<br />
produce. E lo scontro e la schiuma sono la Corona,<br />
l'Assoluto." (La Corona, p. 19)<br />
La corona sta sospesa su leone e unicorno che lottano: se cessassero<br />
di lottare, o anche se uno dei due avesse il sopravvento ponendo fine<br />
alla lotta, essa cadrebbe su di loro uccidendoli. Questo è ciò sta<br />
accadendo all'uomo occidentale: la crisi della modernità va letta<br />
esattamente come il crollo della corona.<br />
La parola chiave è "scissione". La realtà si nutre di un continuo<br />
confronto tra gli opposti: quando questo viene meno, a causa di un<br />
processo di separazione, allora l'uomo ripiega su uno dei due infiniti,<br />
sulla luce o sulle tenebre, sulla virtù o sulla potenza. In questo modo<br />
l'organicità dell'esistenza umana si perde, si frantuma il senso<br />
dell'esistenza che sta nel rapporto con il totalmente altro da sé. È il<br />
trionfo di un falso assoluto, cioè l'assolutizzazione di uno dei due<br />
opposti: la realtà perde il proprio carattere di "consumazione",<br />
esperienza reale della lotta tra princìpi, e diventa imposizione di una<br />
visione unilaterale e inevitabilmente imparziale, sia essa quella<br />
dell'amore o della potenza. Quell'equilibrio sottile tra l'io e il mondo si<br />
spezza: si perde il senso della relatività degli opposti, che mantengono<br />
l'equilibrio solo grazie al contrapporsi delle loro spinte. Cala la<br />
tensione tra i due poli e le rispettive energie vengono indirizzate verso<br />
l'interno, piuttosto che verso l'esterno, verso l'altro.<br />
In questo ripiegamento l'uomo s'illude di aver trovato un valore: ciò<br />
che è accaduto, invece, è solo il trionfo dell'ego, l'irruzione<br />
dell'individualità che non accetta l'essenza agonistica del reale e che<br />
lotta per imporre una falsa totalità, per fare di un valore relativo un<br />
assoluto. L'io, la volontà dell'intelletto analitico, trionfa nella sua<br />
pretesa di unicità. In questo modo, il vero assoluto diviene inattingibile:<br />
"Ecco, questa è la falsa corona, quella che il leone<br />
vittorioso, o l'unicorno vittorioso, si pone sul capo.<br />
Quando l'uno trionfa, o quando l'altro trionfa,<br />
l'autentica corona scompare, e l'animale trionfante si<br />
pone in capo una falsa corona: la corona dello sterile<br />
egoismo." (ibidem, p. 34)<br />
76
L'identificazione separazione-morte è un fondamento della filosofia<br />
della storia di Spengler. L'esistenza delle civiltà obbedisce alle leggi<br />
degli organismi: l'esistenza stessa è un organismo, una sintesi di<br />
processi paralleli e concomitanti, che insieme forniscono una immagine<br />
unitaria. È la visione imposta dalle forme di conoscenza scientifica a<br />
spezzare questa organicità, attraverso, appunto, la separazione. In<br />
Spengler essa compare prevalentemente come "analisi": la scienza<br />
moderna non ha capacità di visione sintetica (come quella che fonda Il<br />
Tramonto dell'Occidente) ed impone la legge dell'analisi, cioè la legge<br />
della separazione degli elementi 7. Ma, come scrive Lawrence, "l'analisi<br />
presuppone un cadavere" (ibidem, p. 52); allora, ciò che si offre alla<br />
vista nell'immagine della scienza è solo il simulacro di una forma vitale.<br />
La dissezione causa anche la perdita del senso dell'organicità delle<br />
forme vive: nella scienza la vita non entra più in gioco, e solo su<br />
questo "cadavere" di realtà si possono far valere i dogmi di causaeffetto.<br />
L'esistenza è un tutto, una totalità complessa, e quando<br />
l'individuo ripiega su di sé, perché non trova più un rapporto organico<br />
col mondo, allora anche quella totalità residua che è l'uomo si spezza,<br />
si decompone sotto lo sguardo analitico dell'intelletto e dell'autoanalisi.<br />
Il sapere scientifico reifica il processo vitale, lo vuole stabile, definito,<br />
racchiudibile nelle proprie definizioni e nella sicurezza del principio<br />
causale; così facendo, però, modifica l'oggetto stesso, occultandone<br />
l'essenza profonda. Cambia la qualità stessa del fenomeno e della<br />
nostra capacità di esperirlo. È quello che Spengler vuole sottolineare<br />
quando scrive:<br />
"Per chi le usa istintivamente, le parole tempo e<br />
destino toccano la stessa vita nelle sue più intime<br />
profondità, tutta la vita, inseparabile da ogni vita<br />
vissuta. Ma la fisica, l'intelletto che osserva, deve<br />
separare l'una cosa dall'altra. Il vissuto 'in sé',<br />
pensato come distaccato dall'atto vivente<br />
7 - È interessante notare come sia in Lawrence che in Spengler riecheggi la figura di<br />
Newton come simbolo, in negativo, della scienza moderna. Spengler si rifaceva al<br />
pensiero di Goethe, del quale è nota l'ostilità nei confronti del metodo analitico<br />
newtoniano. In Lawrence il riferimento allo scienziato inglese è evidente, quando scrive<br />
che l'analisi "rappresenta il disfacimento di un'unità completa, la sua riduzione nei fattori<br />
che erano serviti a costituirla. È la riduzione dell'iride nelle fasce dei colori che la<br />
compongono." (La Corona, p. 56).<br />
77
dell'osservatore, divenuto oggetto, morto,<br />
anorganico, fissato - ecco ciò che è ora la natura:<br />
qualcosa, che si può esaurire matematicamente."<br />
(Tramonto, p. 583)<br />
La scienza come sapere che divide è funzione della civiltà faustiana e<br />
del suo mito della ragione: essa ricompare in termini pressoché identici<br />
in Lawrence e Miller come espressione ultima della volontà di potenza<br />
dell'uomo moderno. Alla conoscenza come sentimento del flusso del<br />
divenire si sostituisce l'imposizione di un principio e quindi<br />
l'occultamento del significato dell'esistenza. Alla profondità si<br />
sostituisce l'estensione, la volontà di potenza che non può giungere al<br />
nocciolo dell'esperienza e che occulta questo fallimento attraverso la<br />
propria imposizione spaziale. Ad ogni frammento della realtà viene<br />
applicata la legge della dissezione. Scrive Lawrence:<br />
"Un'attività continua di disintegrazione: disintegrarsi,<br />
dividersi, separarsi, investigare, esplorare, ricadere<br />
nel vuoto originario. [...] Dentro l'involucro, come<br />
insetti lucidi dentro il guscio, ci illudiamo di occupare<br />
la totalità del cosmo, di comprendere in noi la totalità<br />
del tempo" (La Corona, p. 53)<br />
Le prospettive di Lawrence e di Spengler seguono le linee di<br />
convergenza evidenziate da Miller. C'è la diffusa consapevolezza di<br />
una crisi dell'uomo moderno (non dimentichiamo che 'La Corona' è<br />
del 1915 e vuole essere una riflessione sulla guerra), attribuita al<br />
prevalere della ragione ed al suo carattere analitico; c'è la critica ad una<br />
scienza moderna che va sempre più in profondità nello scindere i<br />
legami che costruiscono le realtà organiche più elementari; c'è la<br />
proposta di un'immagine della vita e della storia come flusso vitale,<br />
magmatico; c'è l'indicazione di una alternativa al sapere distruttivo della<br />
scienza, consistente in una conoscenza di tipo sintetico e intuitivo, che<br />
colga appunto la dinamica del processo vitale nella sua concreta<br />
esperienza e soprattutto nella sua complessa totalità. I poli della<br />
riflessione sono due: da un lato abbiamo gli "angeli che ci separano",<br />
"gli angeli perfetti della corruzione", l'immagine stessa del trionfo della<br />
morte: sono il serpente, "che manda bagliori come due corsi d'acqua<br />
che si separano", il tritone, "dio che s'erge nel flusso della corruzione",<br />
78
la ninfea (ibidem, p. 48); dall'altro troviamo "gli angeli d'oro del<br />
Bacio", testimoni di una realtà dove gli uomini "sono come tizzoni<br />
spontaneamente sprigionanti la fiamma": sono la tigre, "fiamma<br />
maculata che domina nella tenebra", la colomba, la fenice simbolo<br />
della rigenerazione con il suo sorgere dalle ceneri (ibidem, pp. 47-8),<br />
sono i simboli di una prospettiva dove l'esistenza è la schiuma dello<br />
scontro tra onde opposte, e la vita è il flusso eterno del divenire.<br />
L'uso insistito di metafore organiche è un elemento che riunisce<br />
Lawrence, Miller e Spengler. Si noti l'affinità tra questi tre brani. Il<br />
primo è di Lawrence:<br />
"Ogni fiore che spunta, ogni uccello che canta, ogni<br />
falco che piomba come una lama sulla preda [...] è<br />
una conferma del cielo atemporale che si fonda sul<br />
fluire, e su di esso sono stabiliti la nostra forma e il<br />
nostro essere." (ibidem, p. 88)<br />
Il passo seguente è tratto da Il Tramonto dell'Occidente:<br />
"Queste civiltà [...] crescono in una magnifica assenza<br />
di fini, come i fiori dei campi. Come le piante e gli<br />
animali, esse appartengono alla natura vivente di<br />
Goethe e non a quella morta di Newton. Nella storia<br />
mondiale io vedo un eterno formarsi e disfarsi, un<br />
meraviglioso apparire e scomparire di forme<br />
organiche." (Tramonto, p. 41)<br />
L'ultimo brano, invece, compare in Tropico del Cancro:<br />
"- Amo tutto ciò che scorre - disse il grande Milton<br />
cieco dei nostri tempi. Pensavo a lui stamattina<br />
quando mi son destato con un grande urlo di gioia:<br />
pensavo ai fiumi e agli alberi e a tutto quel mondo<br />
notturno che egli esplora. Si, dicevo a me stesso,<br />
anch'io amo tutto ciò che scorre: fiumi, fogne, lava,<br />
sperma, sangue, bile, parole, frasi." (Cancro, p. 271)<br />
Il tono è fondamentalmente identico, ma non solo: come abbiamo<br />
visto e come vedremo meglio in The World of Lawrence, l'analogia<br />
non rimane su un piano generico, ma trova conferma anche nelle<br />
connessioni più particolari. I tre percorsi qui si sovrappongono, o<br />
79
meglio, Miller prosegue sulla strada tracciata da quelli che considera<br />
suoi precursori.<br />
Nel saggio su Lawrence, Miller ci dimostra che è nello scrittore<br />
inglese e in Spengler che vanno ricercati i presupposti del suo universo<br />
concettuale. L'opera è significativa come esempio unico di riflessioni<br />
"a caldo" su Spengler. Infatti, se in Plexus, che risale ai primi anni '50,<br />
c'era solo la rievocazione di quell'incontro intellettuale, qui invece<br />
vediamo Il Tramonto dell'Occidente dispiegare tutta la propria<br />
suggestione. È un banco di prova per la filosofia spengleriana, che qui<br />
mette in gioco tutta la sua capacità di lettura dei fenomeni del mondo<br />
contemporaneo, e la validità della propria immagine del divenire<br />
storico.<br />
III. 2. La modernità come epoca irreligiosa<br />
La presenza de Il Tramonto dell'Occidente è rivelata, al di là del fitto<br />
intreccio di citazioni spengleriane, dalla presenza costante di termini<br />
come "macrocosmo" e "microcosmo", "cultura faustiana", "anima<br />
faustiana", "spirito da megalopoli", "destino", utilizzati qui con<br />
disinvoltura, come corrente moneta d'uso. Sarà a partire da questa<br />
pervasività che si snoderà il percorso attraverso il testo, fino a quel<br />
quinto capitolo che ne costituisce il "cuore spengleriano". Due<br />
citazioni da Il Tramonto dell'Occidente aprono le riflessioni sulla<br />
decadenza dell'Occidente, nel terzo capitolo, 'L'universo della morte'.<br />
Questa è la prima e più lunga versione del saggio che, con identico<br />
titolo, comparirà nella raccolta Max e i fagociti bianchi. L'universo<br />
della morte è il mondo della cultura occidentale: l'immagine è sempre<br />
quella cupa e crepuscolare di una civiltà in via di disfacimento. In Max<br />
e i fagociti bianchi come simboli di questo mondo malato verranno<br />
scelti Joyce e Proust, in The World of Lawrence l'orizzonte era<br />
allargato a Pound ed Eliot, fino al movimento Dada ed al surrealismo,<br />
venendo così a comprendere gli esponenti più in vista dell'avanguardia<br />
artistica del primo Novecento.<br />
La poesia di Ezra Pound, ad esempio, è l'emblema dell'arte che si è<br />
fatta tecnica, e che cerca, con artifici intellettuali, di riconquistare<br />
quella sintonia con il cosmo che la civilizzazione gli ha sottratto e gli<br />
80
impedisce di riattingere. Nell'oscurità dei Cantos, nell'esasperata<br />
frammentazione della loro forma poetica, nell'eterogenea e fitta<br />
presenza di riferimenti culturali spesso esoterici, Miller vedeva la lotta<br />
tragica dell'uomo moderno per la riconquista dell'anima. Egli "parla<br />
dello spirito fecondatore, ma è incapace di allungarci sopra le mani"<br />
(Lawrence, p. 85) 8 . Il giudizio di Miller è netto:<br />
"Nel caso di Pound, per esempio, troviamo un artista<br />
strangolato dal cordone ombelicale. È nato perfetto -<br />
cioè, morto. Niente conflitti, nessun problema, tranne<br />
quelli di natura tecnica. [...] Le sue poesie mostrano il<br />
lavoro di vanga dell'individuo colto sepolto vivo sotto<br />
la crosta della civilizzazione.[...] Un fenomeno<br />
interessante in sé, ma che non ha alcun valore, che<br />
non offre nulla di positivo alla vita." (ibidem, p. 85) 9<br />
L'arte di Pound, come quella di Proust e di Joyce, ha qui un valore<br />
sintomatico: è l'immagine di un'epoca che ha come fondamento<br />
l"irreligiosità".<br />
Questa categoria è presa dalla filosofia della storia spengleriana. Non<br />
a caso, Miller cita due passi da Il Tramonto dell'Occidente. Con il<br />
primo si stabilisce un nesso fondamentale tra anima, civiltà e<br />
religione:<br />
"Ogni anima ha religione. Religione non è che un altro<br />
nome per la sua stessa esistenza. Tutte le forme<br />
viventi nelle quali l'anima si esprime, tutte le arti, le<br />
teorie, le usanze, tutti i mondi metafisici e matematici<br />
delle forme, ogni ornamentistica, ogni colonna, ogni<br />
verso, ogni idea è, nel profondo, religiosa, e non può<br />
che essere religiosa. Ma ora non può più esserlo.<br />
L'essenza di ogni civiltà è religione; quindi l'essenza<br />
8 - "talking about the fecundating spirit, but unable to lay hands on it".<br />
9 - "In the case of Pound, for example, we have an artist who is strangled by the<br />
umbilical cord. He is born perfect - that is, dead! No problems, no conflicts, except<br />
technical ones.[...] His poems reveal the spade work of the cultured individual buried<br />
alive under the crust of civilization.[...] An interesting phenomenon in itself, but of no<br />
value, not contributive to life.".<br />
81
di ogni civilizzazione è l'irreligione." (ibidem, pp.<br />
85-6; da Tramonto, p. 538)<br />
Per Spengler, la "religione" o "religiosità" è l'anima che vive, sono le<br />
forme che ne recano impresso il marchio. È la testimonianza che c'è<br />
un significato nell'agire umano. La fede religiosa implica la certezza di<br />
un valore e il senso di un destino; è il radicamento alla vita, che,<br />
attraverso l'anima di una civiltà, esprime il proprio inesauribile anelito<br />
alla creazione. Ogni forma plasmata dall'anima reca con sé la sacralità<br />
di un gesto primordiale, che evoca il mistero supremo della creazione:<br />
così, una civiltà che voglia dirsi espressiva, che voglia cioè<br />
comunicare un senso alle proprie forme ed alla propria storia, non<br />
potrà che avere un fondamento religioso.<br />
All'identificazione civiltà-religione fa seguito quella, di senso opposto,<br />
tra civilizzazione e irreligione. Questo è il tema della seconda citazione<br />
da Il Tramonto dell'Occidente. Vediamone i passaggi cruciali:<br />
"Questo estinguersi di una religiosità intima e vivente<br />
informa e compenetra a poco a poco anche i tratti<br />
più irrilevanti dell'esistenza ed è ciò che nell'immagine<br />
storica del mondo appare come trapasso della civiltà<br />
alla civilizzazione, come il climaterio della civiltà<br />
[...] nel quale la fecondità spirituale di un dato tipo<br />
umano è per sempre esaurita e al generare subentra il<br />
costruire. Assumendo la parola sterilità in tutto il suo<br />
peso originario, essa può contrassegnare il destino<br />
dell'uomo cerebrale delle metropoli.[...]" (ibidem, p.<br />
539; da Tramonto, p. 86)<br />
Il significato della civilizzazione sta nella scomparsa dell'anima e nel<br />
venir meno di un contatto diretto con le origini: alla crescita spontanea<br />
delle creazioni di un'anima subentra l'artificioso costruire dell'uomo<br />
civilizzato, alla simbiosi organica tra microcosmo e macrocosmo si<br />
sostituisce la volontà di potenza della modernità, cosicché si viene a<br />
creare un corto circuito tra i due poli dell'esistenza, con conseguente<br />
calo della tensione creativa. L'uomo della civilizzazione ignora la logica<br />
della natura, della pianta che, per crescere e germogliare, distende le<br />
radici verso il basso: alla profondità sostituisce la dinamica<br />
dell'estensione, del dominio spaziale, l'occupazione di ogni frazione<br />
82
della realtà 10. In questo modo si costruisce l'illusione di un<br />
microcosmo che detta le proprie leggi alla natura ed alla storia: in<br />
realtà, così facendo l'uomo si condanna alla sterilità. Di qui l'insistenza<br />
sulle immagini che richiamano la fertilità della natura ("fecondità<br />
spirituale") e, all'opposto, la fase critica della fine del periodo fertile<br />
("climaterio", termine preso dalla biologia, e che significa l'involuzione<br />
delle ghiandole sessuali, e quindi il termine delle possibilità riproduttive<br />
dell'organismo). Ciò cui si dà forma si rivela privo di quella spontaneità<br />
inconsapevole che è testimonianza della presenza di un'anima e di un<br />
senso religioso dell'esistenza. La creazione scaturisce quasi<br />
indipendentemente dalla volontà del singolo, sorge dai precordi della<br />
civiltà, dal sangue, dalla razza: la "costruzione" dell'uomo "tutto<br />
intelletto" è la parodia di questa generazione 11.<br />
In Spengler, nel termine "irreligione" c'è anche il senso di una<br />
mancanza di rispetto nei confronti della natura e delle sue leggi:<br />
l'immagine della tecnica, simbolo della civilizzazione faustiana, è quella<br />
di un atto diabolico, sacrilego, perché porta alla creazione della<br />
macchina, "piccolo cosmos obbediente esclusivamente alla volontà<br />
dell'uomo" (Tramonto, p. 1390). Una sorta di hybris, che sottrae a Dio<br />
10 - La logica del divenire e del destino viene sopraffatta. Anche il tempo viene<br />
"spazializzato": o compresso nel divenuto, in unità sempre identiche e inespressive<br />
(passato), o intrappolato in una rigida programmazione (la frenetica gestione del tempo<br />
da parte dell'uomo cittadino), nell'illusione che anche il futuro sia una risorsa disponibile,<br />
perfettamente prevedibile nei suoi contorni. Al tempo che ancora non è viene imposta<br />
una struttura costruita dalla volontà umana, alla partecipazione al divenire si sostituisce<br />
una manipolazione dall'alto, dall'esterno, della logica temporale.<br />
11 Un altro studioso di area tedesca, Hermann Broch, sviluppava considerazioni simili in<br />
alcune conferenze dei primi anni Trenta: "Un musicista padrone della tecnica<br />
contrappuntistica è già per questo un vero compositore ? È proprio necessario<br />
ricordare i vani tentativi di tecnicizzare l'arte dei maestri cantori o della scuola poetica<br />
slesiana ? [...] questo metodo additivo è dunque destinato a fallire [...] perché esso<br />
instaura un processo completamente meccanico. [...] Si pensi all'artista medievale. Lui<br />
stesso e l'arte che esercitava facevano parte del sistema religioso: il suo sguardo era<br />
esclusivamente volto all'infinito valore ultimo del sistema: a Dio. Tuttavia, poiché serviva<br />
Dio, sapeva anche di poter tendere a questo altissimo fine soltanto eseguendo bene il<br />
proprio lavoro artigianale." E anche: "Il fine infinito, l'estetico, l'irrazionale, che si<br />
produce automaticamente [...], questo elemento assolutamente irrazionale viene<br />
innalzato a fine razionale." (H.Broch, Il kitsch, Einaudi, Torino, 1990, pp. 66-7 e p.<br />
152).<br />
83
il segreto della creazione 12 , e con la quale si consuma il tradimento<br />
dell'anima faustiana: il potere della creazione delle forme passa da Dio<br />
all'uomo, e da questi alla macchina, ma in questi passaggi smarrisce il<br />
proprio senso religioso.<br />
In Miller l"irreligiosità" è un concetto più vago. Quando parla di fede<br />
religiosa, di religiosità dell'esistenza, si riferisce ad una generica fiducia<br />
nell'essenza metafisica dell'uomo. È la vita che rivela una dimensione<br />
più ampia di quella della mera sopravvivenza biologica. Religione,<br />
insomma, come fede nel potere della vita, condizione imprescindibile<br />
per ogni costruzione positiva.<br />
Attiguo al religioso è, qui, il sentimento del "sacro", un misto di<br />
timore e reverenza di fronte al potere nascosto della natura. In<br />
Ricordati di ricordare c'è un accostamento, che a prima vista può<br />
sembrare sconcertante, tra sacralità e osceno 13 . In realtà il discorso ha<br />
una propria coerenza: la chiave sta nel rapporto tra il sacro, l'oscenità e<br />
l'eros. Al sesso viene spesso sovrapposto l'osceno: sesso e oscenità<br />
disturbano, infastidiscono, le immagini turpi, lascive, degradanti, così<br />
come la descrizione di un atto sessuale, portano turbamento. Ma<br />
questo turbamento non è che la vertigine del sacro, il disorientamento<br />
di chi si trova faccia a faccia con l'infinito: è il contatto con le radici<br />
della vita e con la loro inaudita potenza che sconvolge, nel sentimento<br />
religioso come nel sesso e nell'osceno. Una civiltà ha il senso del sacro<br />
quando accetta di confrontarsi con la profondità delle proprie origini,<br />
della propria anima.<br />
È nel quadro di questa impostazione del problema che si inserisce il<br />
richiamo a Spengler, profeta del tramonto dell'Occidente. A lui va il<br />
merito di aver indicato l'impasse della civiltà, e l'avvenuto trapasso alla<br />
fase della civilizzazione:<br />
12 - Non a caso Spengler usa anche il termine "ateismo" per descrivere la condizione<br />
spirituale dell'uomo civilizzato, che può anche manifestare l'anelito ad una dimensione<br />
religiosa ma senza essere in grado di raggiungerla: "l'ateismo è la espressione necessaria<br />
[...] di un'animità che ha esaurito le sue possibilità religiose e che soggiace al potere<br />
dell'inorganico. Ma esso non esclude un bisogno vivo e nostalgico di vera religiosità; nel<br />
che è affine al romanticismo, che vorrebbe parimenti riesumare qualcosa di<br />
irreparabilmente perduto", Tramonto, p. 617.<br />
13 - Remember to remember, New York, New Directions, 1947. Ed. italiana Ricordati<br />
di ricordare, Torino, Einaudi, 1979, pp. 240-252, il saggio 'L'osceno e la legge di<br />
riflessione'.<br />
84
"Siamo entrati in uno stadio finale di arteriosclerosi, e<br />
l'anarchia e il caos che dominano la politica ci<br />
indicano fatalmente di prepararci all'avvento di un<br />
incubo di vita biologica, un altro Medioevo nel quale<br />
l'anima dell'uomo giacerà sepolta nella terra, come un<br />
seme [...] Spiritualmente siamo nell'era dell'Impero<br />
della Nevrosi, e tutto ciò che prima era considerato<br />
l'essenza dell'anima viene ora esaminato<br />
scientificamente, classificato secondo la patologia"<br />
(Lawrence, pp. 86-7) 14<br />
Il giudizio qui non fa che rinsaldare le posizioni che abbiamo già avuto<br />
modo di discutere in Plexus. C'è l'accento sul carattere conclusivo<br />
della storia occidentale, ritornano le immagini dell'anarchia, del caos<br />
primordiale, l'immagine di un'epoca buia dove ogni vincolo sociale è<br />
spezzato e dove è scomparsa ogni norma di valore che guidi l'agire<br />
umano. C'è il richiamo alla spiritualità spezzata dell'individuo<br />
civilizzato, in quel richiamo all'anima che giace nella terra in attesa del<br />
risorgere della vita. C'è però anche un elemento di novità, rispetto a<br />
Plexus, il che ci riporta all'intreccio con Spengler e Miller: lo si trova<br />
nella seconda parte del brano citato, in quella evocazione di un<br />
"impero della Nevrosi" dove l'anima viene dissezionata, e lo spirito è<br />
sottoposto all'azione corrosiva dell'intelletto umano, che ha il suo<br />
simbolo primario nella scienza.<br />
III. 3. L'antintellettualismo e il mito dell'analisi<br />
Nell'opera di Miller l'antintellettualismo è un elemento molto<br />
ricorrente. Generalmente, esso viene fatto rientrare nell'ambito<br />
circoscritto della polemica letteraria: l'antintellettualismo di Tropico del<br />
Cancro, ad esempio, ha il senso della rivolta contro l'accademismo,<br />
contro una forma di letteratura astratta, cerebrale, nichilista, complessa<br />
nei suoi riferimenti culturali ed adagiata in una sorta di decadente<br />
14 - "We have entered upon the final stage of arteriosclerosis, with all the anarchy and<br />
chaos prevailing in politics poiting fatally to the preparation for a nightmare of biologic<br />
life, another Dark Age in which the soul of man lies like a seed in the earth [...]<br />
Spiritually we have entered the Empire of Neurosis, all that was heretofore regarded as<br />
soul-substance now being examined scientifically, classified according to pathology".<br />
85
compiacimento. Ma questo è solo un punto di partenza, ovvero la<br />
manifestazione particolare di un fenomeno di proporzioni ben più<br />
ampie. Abbiamo avuto un esempio di questo modo di procedere nella<br />
discussione su Pound e Joyce, dove il campo dell'arte diventava una<br />
sorta di osservatorio privilegiato dal quale si poteva seguire l'evolversi<br />
di quei fenomeni di corruzione che andavano minando il cuore della<br />
civiltà. In modo perfettamente spengleriano, le disgregazioni della<br />
forma artistica si facevano simbolo della crisi.<br />
L'antintellettualismo assume così i contorni più ampi di una rottura<br />
nei confronti del sapere logico-scientifico, e di una rivolta contro il<br />
monopolio del sapere da parte della ragione. Le radici irrazionalistiche<br />
ed intuizionistiche del pensiero di Miller lo portano ad indicare nel<br />
prevalere di un atteggiamento scientifico, analitico e distruttivo nei<br />
confronti della vita, la causa del disagio della civiltà. Il bisturi<br />
dell'analisi non si ferma neppure di fronte al nocciolo più intimo della<br />
personalità umana, cioè all'anima: essa viene spogliata della propria<br />
dimensione spirituale, metafisica, e viene posta, come un cadavere, sul<br />
piano del dissezionatore. La sua complessità ora svanisce, racchiusa<br />
nella precisione dei parametri classificatori della patologia. Dell'anima<br />
si fa un oggetto di indagine, un fenomeno dalla consistenza quasi<br />
materiale, quasi fosse una qualsiasi parte del corpo.<br />
Questo modo di procedere comporta la perdita dell'organicità<br />
dell'anima e il venir meno del suo legame con il mondo. Il dualismo tra<br />
corpo e spirito, invece di essere fondato nel senso di un continuo<br />
rapporto dialettico, viene risolto e appiattito sul versante della materia.<br />
L'anima diventa un fenomeno come altri, e viene ricondotto alla<br />
fisiologia del corpo. In questa prospettiva, dell'anima autentica non vi<br />
è più traccia, ed è chiaro che in un mondo dominato da questa<br />
mistificazione dell'essenza umana, di anima o di fede religiosa non si<br />
può più parlare. Da qui il senso di smarrimento dell'individuo di fronte<br />
ad una realtà che egli vive come proiezione della frantumazione<br />
dell'ego: macrocosmo e microcosmo soggiacciono ad un identico<br />
processo di disgregazione.<br />
Ritorna qui il motivo della separazione, che avevamo già trovato in<br />
'La corona' come elemento unificante tra Lawrence, Spengler e Miller.<br />
La separazione è l'essenza della contemporaneità: separazione come<br />
abbandono al mito dell'analisi, al mito di una conoscenza che non si<br />
86
ferma di fronte alle connessioni ed ai vincoli che, in un organismo,<br />
fanno sì che esso viva. Un organismo è qualcosa di più degli<br />
agglomerati di materia che lo compongono: questa è la verità che il<br />
sapere analitico non coglie e che occulta, la verità accessibile solo a chi<br />
sa avere una visione sintetica dei processi naturali. Questa è l'essenza<br />
metafisica che Miller rivendica all'uomo, l'angelo che è la sua filigrana 15<br />
. E questa è la natura vivente di Goethe, come si legge in Spengler, il<br />
mondo come organismo contro il mondo come meccanismo<br />
(Tramonto, p. 47); questo il pensiero fondamentale che anima Il<br />
Tramonto dell'Occidente e che dà senso alle sue antinomie, come<br />
divenuto/divenire, conoscere/vivere, legge matematica/legge<br />
dell'analogia, causalità/destino, fino alla più nota civiltà/civilizzazione.<br />
In The World of Lawrence viene presa a simbolo dell'atteggiamento<br />
scientifico la psicoanalisi. Il percorso è chiaro: dalla religiosità,<br />
all'anima, alla sua rappresentazione scientifica, ad opera della<br />
psicologia. Miller scrive:<br />
"l'intera storia delle terapie mentali (è) la mal celata<br />
ammissione della decadenza dell'anima. L'ascesa<br />
della psicoanalisi, ad esempio, non è che un sintomo<br />
del fatto che, sconosciuti a noi stessi, stiamo<br />
spianando la strada all'accettazione della morte che<br />
grava su di noi [...] Ora dovrebbe essere chiaro che<br />
la disintegrazione dell'ego è solo una piccola parte<br />
della più ampia disintegrazione che è in atto."<br />
(Lawrence, p. 87) 16<br />
La psicoanalisi compie proprio quella azione di scissione distruttiva<br />
che Miller aveva precedentemente attaccato. Ciò che le viene<br />
rimproverato è di avere introdotto nelle questioni dell'anima il frasario e<br />
la concettosità della scienza: la psicologia reifica i processi mentali, li<br />
trasforma in oggetti, e scinde l'organica unità dell'anima in componenti<br />
come conscio, subconscio, inconscio, attività onirica, veglia. Il senso<br />
15 - Vedi Primavera, il capitolo 'L'angelo è la mia filigrana', pp. 701-719.<br />
16 - "the entire history of mental therapy a thinly disguised admission of the decay of the<br />
soul. The rise of psychoanalysis, for example, is but a symptom of the fact that,<br />
unknown to ourselves, we are paying the way to an acceptance of the death wich is on<br />
us [...] Now it may be realized that the disintegration of the ego is only part and parcel<br />
of that larger disintegration going on.".<br />
87
unitario di questi processi verrebbe così a perdersi, nella scissione<br />
della totalità dell'io in una somma di parti. La pratica analitica è<br />
l'immagine stessa del processo con il quale l'individuo non rivolge più<br />
le proprie forze verso l'esterno (questo è il significato autentico<br />
dell'agire), ma le impegna in una perenne e logorante attività di<br />
autodistruzione: tutta la potenza dell'intelletto si volge a destrutturare la<br />
forma dell'anima.<br />
L'esempio della psicoanalisi mostra bene il senso dell'irreligiosità<br />
nell'uomo metropolitano e civilizzato:<br />
"La teoria dell'Inconscio, con il suo linguaggio che<br />
trasforma d'incanto la dinamica faustiana, con la sua<br />
grande enfasi sul desiderio incestuoso, è l'ideologia di<br />
una razza moribonda; la sua lingua e la sua<br />
simbologia sono ora convertiti nel linguaggio tecnico,<br />
religioso-scientifico, dell'elettrodinamica" (ibidem, p.<br />
88) 17<br />
Le teorie psicologiche, con le quali si cerca di afferrare il meccanismo<br />
della mente umana, sono una macrostruttura concettuale che travisa il<br />
senso dell'anima e dell'esistenza umana. Così l'uomo diventa<br />
sconosciuto a sé stesso, e cerca invano il recupero della coscienza di<br />
sé proprio attraverso quelle mediazioni che hanno provocato la<br />
scissione. Tutto ciò che una civilizzazione può produrre è questo:<br />
costruzioni e non più creazioni, manufatti e non organismi. È la<br />
differenza tra l'osservare un fenomeno dal di fuori, in un altro, ed il<br />
viverlo nella propria esperienza, sentendone interiormente il senso. La<br />
storia della cultura contemporanea è tutta in questo cercare di cogliere<br />
con la ragione ciò che si può solo sentire con l'anima:<br />
"Il completo dominio della vita, e la sua totale<br />
esplicazione da parte della scienza, il linguaggio<br />
dell'anima preso in prestito dalle scienze fisiche, [...]<br />
la riduzione della critica letteraria all'analisi, [...] la<br />
ribellione degli scrittori del dopoguerra, dai Dadaisti<br />
17 - "The theory of the Unconscious, with its transmogrified language of Faustian<br />
dynamism, its great emphasis on the incestuous wish, is the ideology of a dying race<br />
whose language and symbology are now converted into the religio-scientific lingo of<br />
elecrto-dynamics.".<br />
88
per finire al Surrealismo, tutto ciò rappresenta il<br />
fallimento del tentativo della mente di riprendersi<br />
qualcosa che solo l'anima è capace di afferrare."<br />
(ibidem, p. 89) 18<br />
Ogni campo del sapere testimonia la perdita della sintonia con il flusso<br />
della vita. E ciò che Miller chiama "bancarotta dello spirito" (ibidem,<br />
p. 90). Alla paura della morte, che è il sentimento fondamentale di ogni<br />
cultura e la ragion d'essere dei suoi sforzi di creare opere eterne, si<br />
sostituisce la paura della vita. Ciò che spaventa non è il potere della<br />
distruzione, ma quello della vita: paura della vita significa paura delle<br />
forze sotterranee che animano la vita, significa declinare le<br />
responsabilità che ogni creazione comporta. L'uomo moderno ha<br />
paura di affrontare la vita, che è come dire affrontare la realtà, perché<br />
teme di guardare in faccia l'approssimarsi della fine. Il processo di<br />
corruzione viene occultato e rimosso: in questo modo, però, non c'è<br />
possibilità che si liberino forze positive sulle quali ricostruire<br />
l'esistenza. Non essendo in grado di fronteggiare la durezza<br />
dell'esistenza, l'individuo civilizzato si condanna ad un lento suicidio.<br />
Il comportamento dello psicologo è l'esplicazione di questa rinuncia:<br />
invece di spingere l'individuo alla rivolta contro un mondo che spegne<br />
ogni spiritualità, questo "prete della vita" rimuove ogni conflittualità, e<br />
"tutti i suoi sforzi mirano piuttosto ad adattare<br />
l'uomo ad una condizione impossibile. Con il risultato<br />
che ciò che una volta era considerato disagio è<br />
divenuto la norma." 19<br />
La scienza non rimuove i conflitti, ma li occulta, e diventa la<br />
"religione" del ventesimo secolo perché di quella assume la funzione<br />
consolatoria. Rassicura l'individuo in quanto non lascia spazio a<br />
domande, non spinge le coscienze al risveglio ma fa credere loro di<br />
avere la soluzione per ogni problema, di essere in grado di spiegare<br />
18 - "The complete domination and exploitation of life by science, the language of the<br />
soul borrowed from the physical sciences, [...] the reduction of all criticism to analysis,<br />
[...] the rebellion of the post-war writers, commencing with Dada and ending in<br />
Surrealism, all this is but the representation of the mind's abortive effort to recapture<br />
what the soul alone is capable of grasping.".<br />
19 - "all his efforts tend rather toward adjusting him to an impossible condition of things.<br />
With the result that what was once regarded as disease becomes the norm.".<br />
89
ogni fenomeno del reale. Per questo la scienza, mentre sgomina<br />
simboli, miti, religioni ed ogni altra forma di sacralità, in realtà non fa<br />
che sostituirsi ad essi:<br />
"L'ultimo mito che ci sostiene, o simbolo, è la scienza<br />
- la conoscenza. Scienza è la fede della mente che<br />
prende il posto della fede dell'anima. Essa spiega la<br />
morte di tutte le cose. Offre come consolazione il<br />
buon senso, che è l'onere dell'uomo infelice. La gioia<br />
è annientata, l'entusiasmo anche. Tutti gli istinti<br />
vengono snaturati [...] Dalla fede alla conoscenza<br />
significa dalla vita alla morte. Questa è la Storia."<br />
(ibidem, p. 207) 20<br />
La fiducia nell"Assolutismo della Mente" (ibidem, p. 208) presenta gli<br />
stessi caratteri di certezza, di fanatismo e di consolatoria saggezza<br />
delle religioni del passato. Con una differenza, però: che quella fede<br />
religiosa aveva un potere costruttivo, una positività che era il riflesso<br />
del legame tra l'uomo ed il flusso della vita. La fede religiosa costruiva<br />
simboli, edificava civiltà; la scienza non ha questa capacità<br />
mitopoietica, e la sua azione ha un'unica polarità, quella negativa,<br />
distruttiva. L'incapacità di creare nuovi simboli è il sintomo della<br />
perdita di vitalità e dà l'avvio al processo di annichilimento che porta<br />
alla morte:<br />
"l'abilità di creare simboli sempre nuovi, sempre più<br />
numerosi, è il segno della vitalità. Un popolo, una<br />
razza, una cultura, un individuo, muore solo quando<br />
la capacità di creare illusioni è esaurita. [...] La storia<br />
ci mostra il passaggio della vita da una serie di<br />
simboli illusori all'altra." (ibidem, p. 207) 21<br />
20 - "the last sustaining myth, or symbol, is science - knowledge. Science is the faith of<br />
the mind displacing the faith of the soul. It explains the death of all things. It offers as<br />
consolation wisdom, which is the sorrowful man's burden. Joy is wiped out. Enthusiasm<br />
also. All the istincts are perverted [...] From faith to knowledge is from life to death.<br />
That is History.".<br />
21 - "the ability to erect ever new, ever more numerous symbols is the sign of vitality. A<br />
people, a race, a cultura, an individual, die only when the ability to create illusions is<br />
90
Scienza come simbolo della civilizzazione, e civilizzazione come<br />
perdita della capacità espressiva di una civiltà: il percorso segue la<br />
falsariga tracciata da Il Tramonto dell'Occidente, e ci riporta alla sua<br />
filosofia della storia.<br />
Torniamo quindi a Spengler. Ne Il Tramonto dell'Occidente,<br />
ovviamente, troviamo una riflessione più articolata ed aperta in<br />
molteplici direzioni. Il presupposto fondamentale è che ogni forma di<br />
una civiltà ne testimoni l'essenza. Matematica, poesia, arte, fisica, sono<br />
solo differenti incarnazioni di un medesimo principio. Sarà facile,<br />
allora, andare a ritrovare, nel quadro della civilizzazione faustiana,<br />
quegli esempi che ne testimoniano l'irreligiosità.<br />
Uno di questi esempi, forse quello sul quale Spengler insiste<br />
maggiormente, è la trasformazione della morale in "problema". Ci<br />
soffermeremo particolarmente su questo caso, in quanto la sua<br />
trattazione ricorre in un capitolo, 'Buddismo, stoicismo, socialismo',<br />
che Miller dimostra di aver letto a fondo, e per le frequenti citazioni<br />
che ne fa, e per alcuni temi che riproporrà identici in The World of<br />
Lawrence.<br />
L'uomo che vive in naturalezza, l'uomo della Kultur, non ha bisogno<br />
di crearsi una morale, di elaborare concettualmente un apparato di<br />
norme comportamentali: la sua etica l'ha nel sangue, è una morale<br />
"istintiva" (Tramonto, p. 531) 22 . La sua vita pulsa all'unisono con<br />
quella dell'anima della civiltà, ne è una manifestazione e da essa non si<br />
discosta: l'uomo della Kultur accetta l'etica che gli è stata destinata,<br />
non la discute ma la vive, la sente. L'intelletto spezza questa armonia:<br />
"La civiltà è naturalezza. Il sentimento di estraneità<br />
rispetto a quelle forme [arte, religione, costume,<br />
Stato, società, N.d.C.] e di un peso che limita la<br />
libertà nel creare, la necessità di esaminare<br />
razionalmente l'esistente onde utilizzarlo<br />
exhausted [...] History reveals to us the progress of life from one set of illusory simbols<br />
to another.".<br />
22 - Questo paragrafo è ampiamente citato e commentato in Plexus. Vedi anche<br />
Capitolo II.4., pp. 59-69.<br />
91
E, poco più avanti:<br />
coscientemente, l'intervento di una riflessione letale<br />
per ogni misteriosa forza creatrice, ecco i primi<br />
sintomi del declino di un'anima. Solo il malato sente le<br />
proprie membra." (ibidem, p. 529)<br />
"Regna il cervello, perché l'anima ha abdicato. Gli<br />
uomini di una civiltà vivono inconsciamente, gli uomini<br />
di una civilizzazione vivono consciamente." (ibidem,<br />
p. 530)<br />
Quando si perde la sintonia con l'anima della civiltà, quando la vita<br />
che animava le forme di una cultura comincia ad affievolirsi, ecco che<br />
l'uomo perde i propri punti di riferimento, e la morale diventa un<br />
"problema". Ciò in due sensi: problema, perché non è più qualcosa di<br />
sentito, di spontaneo, così che diventa difficile individuare dei codici<br />
di comportamento; ma problema anche e soprattutto perché<br />
l'individuo civilizzato trasforma la morale nell'oggetto di un'indagine<br />
razionale. Una morale non la si costruisce, chiarisce Spengler, la si<br />
sente: questo è precisamente ciò che l'uomo metropolitano nega. La<br />
morale diventa una funzione della logica, un ramo della scienza ed un<br />
altro campo di applicazione per il proprio metodo, dove l'etica si<br />
risolve in un "giocare con i concetti" (ibidem, p. 531). La morale della<br />
civilizzazione è un sistema concettuale, qualcosa di astratto ed<br />
artificiale, privo di anima, appunto, privo di senso religioso.<br />
L'altra faccia della cerebralizzazione della morale e della mistificazione<br />
della religione è il sorgere di una nuova forma di religiosità. Si verifica<br />
una sorta di laicizzazione della spiritualità religiosa, il cui bisogno viene<br />
ora espletato da ideologie come quella del socialismo. In The<br />
World of Lawrence è Miller a richiamare esplicitamente Il<br />
Tramonto dell'Occidente :<br />
"Spengler, nel parlare di una prossima 'Seconda<br />
Religiosità', ne parla come di una religione 'sincretica'<br />
[...] Sarebbe un errore pensare che stiamo andando<br />
verso una religiosità di tipo orientale, come il<br />
buddismo, che è senza dio, totalmente intellettuale<br />
[...] Noi abbiamo il nostro buddismo nel 'Socialismo'<br />
- nel senso spengleriano del termine - la condizione in<br />
92
cui l'individuo scompare nella collettività, dove la vita<br />
è interamente basata su un'etica dell'economia,<br />
l'idealismo della biologia, la spiritualità delle<br />
statistiche" (Lawrence, p. 172) 23<br />
Uno sguardo al capitolo dell'opera spengleriana conferma il perfetto<br />
coincidere delle due prospettive. Vi si legge come il socialismo sia il<br />
tradimento della realtà metafisica dell'uomo, la sua degradazione ad<br />
atomo anonimo nel grande corpo della società. Il mondo immaginato<br />
da Marx diventa la pianificazione dell'esistenza in base ai principi della<br />
ragione e della scienza, espressi dalle necessità dell'economia.<br />
L'affermarsi dell'ideologia socialista, in The World of Lawrence, è<br />
l'ennesima manifestazione del dominio dell'intelletto e del potere<br />
distruttivo della separazione: tutta la collettività perde il senso della<br />
propria totalità, del proprio destino di civiltà, e si riduce ad un<br />
agglomerato di parti, ad una somma di unità sempre identiche e<br />
insignificanti nel loro carattere individuale. Il socialismo è la religione<br />
intellettuale dell'uomo della civilizzazione faustiana. Qui Miller ci<br />
rimanda direttamente a Spengler per il significato preciso del termine, e<br />
ne Il Tramonto dell'Occidente si legge:<br />
"Il socialismo etico è il massimo sentimento di una<br />
vita concepita in funzione di finalità che, in<br />
genere, si possa raggiungere. [...] La direzione è<br />
ciò che è vivo, il fine è ciò che è morto. È, in genere,<br />
faustiano l'ardore dell'andare avanti, è socialistico in<br />
particolare il resto meccanico di questo movimento, il<br />
'progresso'. L'una cosa sta all'altra nello stesso<br />
rapporto di corpo a scheletro." (Tramonto, pp. 543-<br />
4)<br />
Ritornano le immagini antinomiche della vita e della morte, nel<br />
contrasto tra corpo e scheletro, direzione (ovvero destino) e scopo.<br />
Da una parte sta un'immagine vitale e concreta dell'esperienza, vissuta,<br />
23 - "Spengler, in speaking of the coming 'Second Religiousness', speaks of it as being a<br />
'syncretic' religion [...]. It would be a mistake to suppose that we will go toward an<br />
Oriental religiousness, such as Buddhism, which is godless, wholly intellectual [...]. We<br />
have our Buddhism already in 'Socialism' - in the Spenglerian sense of the word - the<br />
condition in which the individual is sunk in the collectivity, where life is wholly<br />
economic-ethical, the idealism of biology, the spirituality of statistics.".<br />
93
proprio per la sua assoluta naturalezza, in completa incoscienza ed<br />
immediatezza. Dall'altra troviamo una visione del mondo del tutto<br />
arbitraria, vuota, sterile, che risolve la complessità di concetti come<br />
cultura e destino nel meccanicismo dell'idea di progresso. È l'illusione<br />
di chi crede di poter rendere tangibile l'ideale, che invece è tale proprio<br />
in quanto irraggiungibile: esso è un modello che guida l'agire umano,<br />
un "dover essere" che per definizione non è mai raggiungibile<br />
concretamente. Quando si perde il senso teleologico dell'azione, il<br />
meccanicismo ed una rigida causalità subentrano alla logica del<br />
destino; ecco allora che la filosofia dell'azione, lo "Streben" che è<br />
l'etica dell'uomo faustiano, si degrada a filosofia del lavoro (ibidem, p.<br />
533).<br />
Le conclusioni del discorso che abbiamo sviluppato ci riconducono<br />
al punto di partenza, a quell'idea di decadenza che è stato il filo<br />
conduttore nel percorso da Miller, attraverso Lawrence, fino a<br />
Spengler. Il problema dell'interpretazione del socialismo, infatti, non ha<br />
grande importanza in sé, quanto nel suo valore simbolico, come<br />
espressione del disagio della civiltà. La scelta delle forme che<br />
testimoniano questo disagio procede da Spengler e la ritroviamo<br />
identica in Miller: stesso approccio ai problemi (ogni forma è simbolo<br />
del proprio tempo, e quindi ne esprime ideali e problemi), stessa scelta<br />
di esempi (religione, scienza, socialismo, psicologia 24).<br />
III. 4. L'idea di destino<br />
Il quinto capitolo, dal titolo 'Destino', introduce nella riflessione su<br />
Lawrence un ricco tessuto di citazioni da Il Tramonto dell'Occidente,<br />
che scorrono parallele a quella e ne completano e chiariscono il senso.<br />
Il confronto tra Spengler, Miller e Lawrence si fa ora serrato, ed è il<br />
24 - Per inciso, un giudizio sulle scienze psicologiche affine a quello di Miller lo<br />
ritroviamo ne Il Tramonto dell'Occidente: "la psicologia euro-occidentale di oggi - e con<br />
essa il 'socialista - riduce l'uomo interiore ad un fascio di sensazioni e ad una somma di<br />
forze chimiche ed elettriche" (Tramonto, p. 535). Qui però credo che il parallelismo<br />
vada limitato ad un analogo atteggiamento di fondo, più che ad una derivazione<br />
spengleriana del tema.<br />
94
momento in cui la sovrapposizione e gli intrecci fra i tre si fanno più<br />
espliciti.<br />
Tutto ruota attorno al concetto di "destino". Il primo passo consiste<br />
nell'identificazione tra la logica del destino ed il processo del<br />
"divenire": "la vita è il processo del Divenire, il movimento del tempo e<br />
del destino" (Lawrence, p. 147) 25 , scrive Miller. Perché questo sia<br />
chiaro sarà bene tornare al testo spengleriano e ad una distinzione che<br />
è il presupposto di tutto ciò che seguirà. Spengler distingue due<br />
prospettive fondamentali, quella del "divenire" e quella del "divenuto":<br />
E, poco dopo:<br />
"con Goethe, come elementi ultimi di tutto quanto è<br />
semplicemente dato nello stato e con lo stato di<br />
veglia [...] si possono distinguere il divenire e il<br />
divenuto." (Tramonto, p. 90)<br />
"Se si applicano i concetti di divenire e di divenuto<br />
[...] la parola vita va a ricevere un significato ben<br />
determinato affine a quello di divenire. [...] Finché<br />
l'uomo è desto, la sua vita in sviluppo e in continua<br />
realizzazione è rappresentata nella sua coscienza<br />
dall'elemento del divenire" (ibidem, p. 92)<br />
La vita si identifica con il processo storico, con il succedersi delle<br />
civiltà, perché la civiltà è la forma stessa della storia. La vita, quindi, è<br />
tutta nel divenire, nella continua metamorfosi, cioè nell'eterno mutare<br />
delle forme. E questa legge del divenire dà anche il senso all'idea di<br />
destino: all'inesorabile caducità e relatività delle cose occorre<br />
rassegnarsi, perché questa è la forma del vivere umano.<br />
Tuttavia, la parola "destino" evoca anche altre sfumature di<br />
significato. Destino è anche, innanzitutto, l'immedesimazione nel<br />
flusso della vita. Di fronte ad una forma di esperienza del reale di tipo<br />
scientifico compare l'esperienza goethiana della "natura vivente" 25, la<br />
25 - "Life is the process of Becoming, the time-destiny movement".<br />
25 - "Ci si ricordi di Goethe. Ciò che egli ha chiamato natura vivente è proprio ciò che<br />
qui viene designato come storia mondiale nell'accezione più vasta [...]. Goethe [...]<br />
sempre raffigurò la vita, l'evoluzione delle sue forme, il divenire e mai il divenuto [...].<br />
Per lui al mondo come meccanismo si opponeva il mondo come organismo, alla natura<br />
95
conoscenza come immedesimazione nella corrente, come abbandono<br />
della volontà individuale alla legge del divenire. Questo stesso<br />
approccio lo ritroviamo nella teoria milleriana del "flusso vitale",<br />
secondo la quale la vita sarebbe un eterno scorrere, la cui esperienza<br />
non va ricercata tirandosene fuori, ma accettando di essere trascinati.<br />
Una conoscenza autentica della realtà si dà solo attraverso la sua totale<br />
accettazione. C'è una sorta di passività in tutto questo: lasciarsi<br />
abbandonare nel flusso può apparire una resa di fronte alla fatalità. E'<br />
un pericolo che Miller avverte, e che cerca di esorcizzare distinguendo<br />
tra "Fato" e "Destino". Nel parlare di Lawrence, scrive:<br />
"Uomo del destino ? Anti-Fato ? Dal punto di vista<br />
spengleriano, basato sullo studio dell'individuo<br />
collettivo e delle forme nelle quali il suo mondo si<br />
risolve, Lawrence è l'Anti-Fato. Ma questo è solo<br />
l'aspetto superficiale. Perché lo spirito creativo,<br />
anche quando predica la morte, si esprime in modo<br />
entusiastico, con fede, con speranza nella vita. Il suo<br />
pessimismo è un più profondo, impercettibile<br />
ottimismo." (Lawrence, pp. 148-9) 26<br />
Il "Fato" è il piano della mera materialità, la necessità intesa come<br />
destino biologico di nascita, corruzione e morte. Il "destino" è l'eternità<br />
della vita, e costituisce quindi il contraltare della morte e del<br />
pessimismo. Questo è l'aspetto "positivo" del destino, che,<br />
garantendo la sicurezza dell'eternità del flusso vitale, viene a<br />
controbilanciare il carattere negativo, limitante, del richiamo alla<br />
necessaria caducità delle cose Pessimismo significa guardare alla vita<br />
vedendone solo il lato distruttivo; ottimismo, invece, è scorgere anche<br />
nei processi di corruzione la forza della vita, che spazza via le forme<br />
decrepite per lasciare spazio alle nuove forme nelle quali la vita<br />
morta quella vivente, alla legge la forma. [...] Rivivere col sentimento, intuire [...]: ecco<br />
quali furono i mezzi di cui si servì per avvicinarsi al mistero dei fenomeni in moto."<br />
(Tramonto, p. 47).<br />
26 - "Man of destiny ? Anti-Fate ? From the Spenglerian view, based on the study of<br />
the collective individual and the forms about which his world revolves, Lawrence is<br />
Anti-Fate. But this is only the surface aspect. For the creative spirit, even when<br />
preaching death, expresses itself enthusiastically, with faith, with life hope. His<br />
pessimism is but a more profound an invisible optimism.".<br />
96
esprime il proprio senso. Questo è il destino particolare riservato<br />
all'uomo della civilizzazione faustiana, un destino di distruzione; ma,<br />
ora che ne abbiamo inteso il senso, questo percorso non ci appare più<br />
come qualcosa di puramente negativo, decadente nel senso deteriore<br />
del termine. Se Lawrence parla di morte, la sua partecipazione significa<br />
che egli intravede in quel processo un momento necessario di<br />
purificazione, e che ne scorge il significato di "morte vitale".<br />
L'apparente pessimismo si volge in ottimismo, mentre l'ottimismo<br />
dell'uomo contemporaneo rivela la propria superficialità, basata sul<br />
terrore della morte e sulla paura della vita e che risolve questa angoscia<br />
rimuovendola, ricoprendo la realtà con i tratti consolanti del progresso,<br />
della fiducia nella scienza e nella ragione.<br />
La questione del pessimismo ci conduce alla digressione vera e<br />
propria su Spengler. Essa viene introdotta da un'osservazione di<br />
Miller:<br />
"È curioso osservare come dal caos del nostro<br />
mondo moderno, che ha una mentalità scientifica, sia<br />
emerso un rinnovato interesse in materia di<br />
cosmologia." (ibidem, p. 163) 27<br />
Il problema del destino è stato introdotto dalle profezie di Lawrence<br />
sull'imminenza di una nuova era, profezie che, unitamente al crescere<br />
dell'interesse per l'astrologia, costituiscono l'espressione di un<br />
sentimento di repulsa nei confronti del mondo scientificamente inteso.<br />
Per Lawrence, evocare il destino significa richiamare all'azione un<br />
principio pre-razionale, un valore da opporre a quelli della razionalità e<br />
del pensiero causale. Nel suo Apocalisse egli ricorre alle figure<br />
dell'astrologia, questa forma di sapere negato dalla civilizzazione, per<br />
proiettare all'esterno la propria utopia "cosmica":<br />
"Solo ora [...] stiamo oltrepassando i limiti dei Pesci<br />
[il segno astrologico della nostra epoca], verso un<br />
27 - "It is curious to observe how a renewed sense of destiny and a renewed interest in<br />
matters cosmological have emerged out of the chaos of our modern, scientificallyminded<br />
world.".<br />
97
nuovo segno ed una nuova era." (ibidem, p. 163; da<br />
Apocalisse, p. 52) 28<br />
Senso del destino e prefigurazione di un nuovo corso della storia si<br />
intrecciano indissolubilmente: credere nell'avvento di un"Era dello<br />
Spirito Santo" (ibidem, p. 142) significa avere fiducia nelle capacità<br />
rigenerative della vita e dell'anima umana, che proprio nel destino, nel<br />
fatto di avere un destino, mostra il suo carattere eterno. Avere un<br />
destino significa avere la rassicurante garanzia che lo spirito umano<br />
sopravvivrà nonostante tutto: l'azione dell'uomo, allora, diventa una<br />
con la corrente del divenire, nella consapevolezza di avere sempre un<br />
futuro davanti a sé.<br />
Tutto ciò si connette, in The World of Lawrence, alla riflessione su Il<br />
Tramonto dell'Occidente, che ora viene chiamato direttamente in<br />
causa:<br />
"Con la fine dell'era napoleonica, si è entrati nel<br />
mondo moderno. D'ora innanzi la parola 'destino'<br />
acquisterà un nuovo significato, un significato<br />
pregnante. Cent'anni dopo Napoleone, dopo la<br />
concezione organica, ciclica della vita che procedeva<br />
contro le teorie di Darwin - la prospettiva di Goethe<br />
- il destino assume il suo senso definitivo per noi nel<br />
monumentale lavoro di Spengler, intitolato<br />
significativamente 'Il Tramonto dell'Occidente'."<br />
(ibidem, p. 163) 29<br />
Miller ripete diligentemente la lezione spengleriana: la prospettiva del<br />
destino si oppone al principio della causalità e del meccanicismo,<br />
propri di una visione scientifica della storia. L'idea di destino<br />
"detronizza" la causalità nell'interpretazione dei fenomeni del reale.<br />
28 - "Only now [...] are we passing over the border of Pisces [the astrological sign of<br />
our age], into a new sign and a new era". La citazione è da D.H.Lawrence,<br />
Apocalypse, 1932 (ed. italiana consultata Apocalisse, Roma, Newton Compton, 1995;<br />
l'indicazione della pagina nel testo si riferisce a questa edizione).<br />
29 - "With the close of the Napoleonic era the modern world was ushered in.<br />
Henceforth, the word 'destiny' acquires a new significance, a pregnant significance. A<br />
hundred years after Napoleon, after the organic, cyclical conception of life which ran<br />
contrary to the Darwinian - the Goethian view - destiny acquires its definitive cast for us<br />
in the monumental work of Spengler, entitled significantly 'The Decline of the West'".<br />
98
Miller segue Spengler anche nel distinguere preliminarmente il destino<br />
dal fato:<br />
"C.B. [l'intervistatore Christian de Bartillat, N.d.C.] -<br />
Lei dice anche che ha il senso del destino, e che per<br />
lei c'è una differenza notevole tra il destino e la sorte,<br />
la cattiva sorte. Un uomo ha un destino, e quando a<br />
un tratto non segue più il suo destino, allora arriva la<br />
cattiva sorte." (Conversazioni, p. 120)<br />
Tutto ciò comporta una lettura morfologica delle culture, che scorga in<br />
esse i simboli di un'anima destinata ad esprimersi ed a forgiare valori in<br />
una forma ben precisa e prestabilita. In questo modo, il mondo si<br />
identifica col processo del divenire e col succedersi delle epoche<br />
storiche: è la prospettiva del "mondo-come-storia" (Lawrence, p.<br />
163).<br />
Queste sono considerazioni che compaiono sin dalle prime pagine de<br />
Il Tramonto dell'Occidente, e che ne costituiscono, per così dire, le<br />
premesse necessarie. Per Spengler, il futuro della filosofia, e la sua<br />
ultima possibilità espressiva, è<br />
"una morfologia della storia mondiale, del mondo<br />
inteso come storia, che [...] abbracci tutte le forme<br />
e i movimenti del mondo nel loro più profondo,<br />
ultimo significato, [...] nei termini non di un quadro<br />
complessivo di quanto si conosce ma di una<br />
immagine della vita, di una immagine non del divenuto<br />
ma del divenire." (Tramonto, p. 17)<br />
La filosofia dell'avvenire conoscerà il mondo sotto forma di corrente,<br />
ovvero come eterno divenire. Non più categorie e concetti statici,<br />
bensì l'accento sul carattere metamorfico dell'essere, che porta con sé<br />
la rivelazione della relatività dei valori e dei concetti.<br />
Ci sono due aspetti della filosofia spengleriana che Miller tiene a<br />
porre bene in evidenza, e che emergono anche dal confronto delle<br />
citazioni scelte: la relatività della prospettiva de Il Tramonto<br />
dell'Occidente e, connesso a ciò, il suo carattere simbolico e la sua<br />
inevitabilità come destino del pensiero faustiano. I brani sono tratti<br />
99
dall'introduzione al testo spengleriano; scorriamone i passaggi<br />
più importanti:<br />
"Il presente libro cercherà di abbozzare questa<br />
'filosofia afilosofica' del futuro, che sarà l'ultima<br />
dell'Europa occidentale. Lo scetticismo è<br />
l'espressione di una pura civilizzazione." (Lawrence,<br />
p. 163; da Tramonto, p. 81)<br />
"Non esistono verità eterne. Ogni filosofia è<br />
espressione del suo tempo, e solo del suo tempo.<br />
[...] Il rango di una dottrina è determinato solo dalla<br />
sua necessità vitale." (ibidem, p. 163; da Tramonto,<br />
p. 73)<br />
"la mia stessa filosofia non esprime e non riflette che<br />
l'anima occidentale [...] solo nel suo attuale stadio di<br />
civilizzazione." (ibidem, p. 164; da Tramonto, p. 81)<br />
Ogni forma di conoscenza, ogni verità sul mondo, ha un senso solo<br />
per la civiltà che l'ha prodotta e per l'anima della quale è espressione.<br />
Anche la filosofia, la matematica, la fisica, discipline che hanno<br />
l'ambizione di attingere a verità eterne, sono in realtà forme di una<br />
civiltà, espressioni particolari del modo di vedere la realtà proprio di<br />
un'anima, e di quella soltanto. Così, come si può parlare di una<br />
matematica faustiana diversa ma di identico valore rispetto alla<br />
matematica indù, allo stesso modo si deve sottolineare che la filosofia<br />
del mondo-come-storia è solo una delle tante verità possibili sul<br />
mondo 30; e, più precisamente, è l'unica forma possibile di filosofia per<br />
l'uomo della civilizzazione, il suo unico "destino" di conoscenza. Alla<br />
fine dell'era faustiana, e solo in questo preciso tratto di tempo, si rende<br />
possibile una morfologia della storia.<br />
Questo ci porta naturalmente al secondo aspetto prima accennato: se<br />
ogni filosofia è "funzione" di una data civiltà, allora essa, se non potrà<br />
ambire a formulare giudizi validi universalmente, avrà tuttavia la<br />
caratteristica di esprimere il proprio tempo. Rivolgendo su Spengler la<br />
30 - Il tempo per i Greci, invece, era concepito nei termini di un eterno presente, e lo<br />
spazio nella concretezza del singolo corpo esteso, a fronte di un'anima faustiana che<br />
concepisce lo spazio come puro e illimitato. Vedi Tramonto, p. 277.<br />
100
sua lettura morfologica della civiltà, Il Tramonto dell'Occidente<br />
diventa esso stesso un fenomeno espressivo, la messa in forma delle<br />
tensioni, delle aspirazioni, dei contrasti e delle soluzioni elaborate dal<br />
proprio mondo, il tutto racchiuso nell'unicità del simbolo. Miller aveva<br />
compreso bene questo aspetto, che è un'esigenza fortemente sentita<br />
anche dallo stesso Spengler:<br />
"La filosofia 'genetica' di Spengler, il suo mondocome-storia,<br />
[...] non è una prospettiva sul mondo<br />
isolata o rara, come sappiamo. E' una prospettiva<br />
che senza dubbio è stata espressa altre volte, nei<br />
periodi finali. L'attenzione data a quest'opera<br />
immensa, il suo successo 'popolare', anche, non sono<br />
che un sintomo del suo essere in linea coi tempi."<br />
(ibidem, p. 164)<br />
Questa lettura simbolica de Il Tramonto dell'Occidente segue<br />
perfettamente le indicazioni spengleriane, ed è un'impostazione che<br />
ritroviamo in altri luoghi dell'opera di Miller, il quale dimostra così,<br />
specialmente in The World of Lawrence, non solo di condividere con<br />
Spengler non solo alcuni concetti fondamentali, ma anche e soprattutto<br />
di essere profondamente influenzato dal suo modo di interpretare la<br />
realtà. Ne è un esempio la lettura della figura di Lawrence come<br />
simbolo del proprio tempo 31.<br />
La scelta di Miller testimonia una necessità, che è poi la stessa di<br />
Spengler: la necessità, cioè, di ancorare la riflessione sulla storia al<br />
presente, di trarre dalla propria visione del mondo una utilità concreta e<br />
puntuale nella comprensione dei fenomeni del mondo contemporaneo.<br />
È un pensiero che procede circolarmente: dal presente si traggono le<br />
31 In The world of Lawrence si legge: "Un uomo non ha importanza, se non rappresenta<br />
il suo tempo. [...] Uno studio di Lawrence, ristretto alla sua personalità, o ai suoi<br />
prodotti artistici, avrebbe poco valore per noi." ("A man has no importance except as<br />
he represents his time. [...] A study of Lawrence, restricted to his personality, or his artproduct,<br />
has little value for us"), Lawrence, p. 77. E ancora: "Vediamo in lui una figura<br />
veramente simbolica. [...] I grandi problemi che sono stati analizzati [...] sono riuniti in<br />
lui, l'individuale che simbolizza i problemi di un mondo intero." (We see in him a truly<br />
symbolic figure. [...] The grand problems which had been analyzed away [...] are<br />
reunited in him, the individual who symbolizes the whole world problem"), ibidem, p.<br />
149.<br />
101
asi per una visione storica generale, che a sua volta interviene,<br />
retroattivamente, nell'interpretazione della realtà contemporanea. In<br />
questo modo l'opera di Spengler acquista valore, agli occhi di Miller,<br />
in quanto immagine stessa del mondo moderno, proiezione delle sue<br />
aspirazioni e anche della sua critica conflittualità. Ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente i brani citati da Miller compaiono significativamente<br />
nell'introduzione, ed aprono al dispiegarsi della più ampia riflessione<br />
sulla crisi della modernità. Analogamente, in The World of Lawrence,<br />
la loro citazione introduce al percorso esplorativo dei caratteri<br />
"nevrotici" della civiltà.<br />
III. 5. L'uomo nuovo come uomo del destino<br />
Il carattere "necessario", destinale della filosofia de Il Tramonto<br />
dell'Occidente viene rimarcato nuovamente da Miller, questa volta in<br />
riferimento al saggio spengleriano Pessimismus?, breve pamphlet che<br />
prendeva posizione contro tutte quelle interpretazioni che appiattivano<br />
il pensiero sul tramonto della civiltà ad un generico pessimismo. Tutto<br />
ruota attorno alla distinzione tra "pessimismo" e "compimento". Miller,<br />
riprendendo un'opinione espressa da Havelock Ellis, che a sua volta<br />
riproduceva fedelmente l'argomentazione spengleriana, così scrive:<br />
"Nel citare il pamphlet di Spengler, 'Pessimismus ?',<br />
Havelock Ellis sottolinea giustamente come un simile<br />
punto di vista non sia assolutamente da considerare<br />
'pessimistico', ma piuttosto quale espressione di un<br />
'compimento' - espressione che, curiosamente,<br />
ricorda Lawrence, di fatto una delle sue espressioni<br />
chiave." (ibidem, p. 164) 32<br />
In Spengler, l'accezione goethiana del termine "tramonto" serviva a<br />
fugare ogni possibile lettura pessimistica 33. Quanto a Miller, richiamare<br />
l'attenzione sul senso del "compimento" significa sottolineare l'assoluta<br />
32 - "In citing Spengler's pamphlet, 'Pessimismus ?', Havelock Ellis remarks very justly<br />
that such a point of view is not at all to be regarded as 'pessimistic', but as expressing<br />
'fulfillment' - a word strangely reminiscent of Lawrence, one of his key words, in fact.".<br />
33 - Vedi Cap. II.4., pp. 59-69.<br />
102
necessità del pensiero de Il Tramonto dell'Occidente, ed il suo<br />
allineamento con le posizioni di Lawrence. La filosofia della storia che<br />
vi si delinea non è una costruzione intellettuale, un'ipotesi qualsiasi: è<br />
l'unica prospettiva possibile per una civiltà giunta all'apogeo del<br />
proprio declino. Il Tramonto dell'Occidente è espressione necessaria<br />
della civilizzazione faustiana; non a caso, la terminologia spengleriana è<br />
stata incorporata velocemente nel linguaggio corrente:<br />
"Oggi il linguaggio di Spengler è radicato nel nostro<br />
modo di pensare [...] Non importa se queste<br />
prospettive [l'altra è la psicoanalisi, N.d.C.] siano<br />
'vere' o 'corrette'; ora rappresentano una<br />
componente, definita ed accettata, del quadro<br />
complessivo. Sono penetrate nella nostra immagine<br />
del mondo e l'hanno plasmata, facendo appello non<br />
alla 'coscienza' o alla 'intelligenza' dell'uomo, ma a<br />
qualcosa di più profondo, allo strato imperscrutabile<br />
del suo essere." (ibidem, p. 164) 34<br />
Il richiamo all'aspetto intuitivo ed irrazionale del linguaggio<br />
spengleriano, oltre a costituire un topos della lettura milleriana de Il<br />
Tramonto dell'Occidente, sottolinea anche il legame stretto tra<br />
Spengler e il proprio tempo, il suo essere in linea con i tempi. L'opera<br />
spengleriana diventa allora l'espressione di qualcosa che era fortemente<br />
sentito ma che era rimasto inespresso: attraverso di esso, parlano non<br />
solo i tempi, ma anche l'essenza più profonda dell'uomo. Si superano<br />
le barriere della conoscenza intellettuale e si attingono alle radici<br />
nascoste della vita umana, il tutto attraverso una riflessione<br />
"involontaria", attraverso un pensiero che diviene l'esatta trascrizione<br />
dei movimenti sismografici dell'anima faustiana 35.<br />
34 - "Today Spengler's language is incorporated into our thought [...] It does not matter<br />
wheter these views are 'true' or 'correct' they are now a definite, accepted part of the<br />
picture. They enter into and shape our picture of the world, appealing not to the<br />
'coscience' or the 'intelligence' of man, but to some deeper, inscrutable layer of his<br />
being.".<br />
35 - Questa è la definizione che si trova in una lettera di Miller del 7 marzo 1933: "quella<br />
di Spengler è stata la descrizione del corso sismografico dell'anima che vive nelle<br />
civiltà." (Nin, p. 159).<br />
103
Ciò che Spengler si trova a descrivere, al culmine del "compimento"<br />
dell'anima faustiana, è uno "stato di arteriosclerosi" 36. Il progressivo<br />
irrigidimento dei canali linfatici attraverso i quali la vita si diffonde<br />
porta ad un blocco delle capacità creative dell'uomo. A dominare<br />
l'individuo moderno è la paura stessa della vita, ed è l'incapacità di<br />
farsi strumento di questa forza a fargli preferire la rinuncia al<br />
confronto:<br />
"La caratteristica dominante del nostro tempo [...] è<br />
la Paura - paura di vivere. Paura è la pietra<br />
angolare di questo edificio finale di nevrosi che<br />
abbiamo creato come luogo dell'ultimo dramma. [...]<br />
È questa paura dell'estinzione che ci sta portando<br />
proprio verso l'estinzione." (ibidem, pp. 164-5) 37<br />
Paura di vivere significa molte cose. Significa innanzitutto la rinuncia a<br />
dare un senso all'esistenza umana, la rinuncia ad ogni facoltà creativa<br />
dell'individuo: l'uomo abdica dal proprio ruolo e si rassegna al declino<br />
in un mondo che non riesce più a comprendere. Questo è il senso del<br />
progressivo chiudersi dell'individuo in sé; egli cerca di stabilire un<br />
valore certo, sicuro, inattaccabile contro l'imprevedibilità e i rischi che<br />
vivere comporta. La scienza, la ragione, l'intelletto diventano le<br />
postazioni di forza con cui difendere il ristretto dominio della propria<br />
individualità; ma già Spengler aveva mostrato il destino di<br />
autodistruzione insito in questo restringimento di orizzonti, e la cecità<br />
di un comportamento esclusivamente conservativo, difensivo.<br />
Paura della vita significa anche perdita dell'anima: questo già lo si era<br />
visto parlando del carattere irreligioso del mondo moderno. Non a<br />
caso Miller ritorna sul concetto:<br />
"Per rianimare queste forme morte, per dar loro un<br />
significato e un valore, è assolutamente necessario un<br />
sentimento religioso. Nessuna nuova "Civiltà" può<br />
36 - "stage of arteriosclerosis" (Lawrence, p. 164).<br />
37 - "The dominant characteristic of this age [...] is Fear - fear of life. Fear is the<br />
corner-stone of this final edifice of neurosis which we have created as the seat of the<br />
last drama. [...] It is this fear of estinction which is driving us to extinction.".<br />
104
sorgere senza il simbolo primario - l'anima." (ibidem,<br />
p. 166) 38<br />
Una civiltà sorge quando la volontà umana riesce a dare un senso al<br />
proprio mondo, quando l'uomo prende la "responsabilità" della<br />
creazione, quando cioè attribuisce un significato simbolico ai fenomeni<br />
della realtà, stabilendo in questo modo gerarchie, priorità, valori; in una<br />
parola, la civiltà sorge quando c'è un'anima della civiltà. Il compito<br />
dell'individuo diventa allora allinearsi con questa, riconoscerla e farla<br />
propria: questo è il senso del destino. "L'uomo del destino si fa uno<br />
col destino" (ibidem, p. 166) 39, scrive Miller ripetendo le parole di<br />
Spengler, e non a caso sceglie come esempio Napoleone, che è il<br />
simbolo, ne Il Tramonto dell'Occidente, dell'uomo che è un destino,<br />
che è "destino incarnato" (ibidem, p. 167). Nelle memorie<br />
dell'imperatore si legge:<br />
"Io mi sento spinto verso uno scopo che non<br />
conosco. Non appena l'avrò raggiunto, non appena<br />
io non sarò più necessario, basterà un atomo per<br />
annientarmi. Ma prima di ciò tutte le forze umane non<br />
potranno nulla contro di me" (ibidem, p. 166; da<br />
Tramonto, p. 225)<br />
Il richiamo a queste parole di Napoleone ha il senso di evidenziare<br />
l'elemento necessario del destino. Il destino è un percorso tracciato<br />
che non si può evitare di percorrere fino in fondo; ma, se questo può<br />
comportare una dose di passività, d'altra parte ha come compenso<br />
finale la prospettiva di un mondo nuovo. Il futuro del destino e di chi<br />
lo accetta è sempre una nuova forma della vita, una nuova possibilità di<br />
espressione per l'uomo, una nuova occasione per l'uomo di farsi<br />
strumento dell'inesauribile energia della vita. L'esistenza di un destino<br />
significa anche che occorre accettare come legge dell'esistenza la legge<br />
del divenire, e quindi la regola della perenne trasformazione di tutte le<br />
cose. Tutto muta continuamente di forma, tutte le forme sono<br />
caduche, ma è anche vero che "tutto ciò che passa non è che un<br />
38 - "To reanimate these dead forms, to give them meaning and value, a religious feeling<br />
is imperative. No new 'Culture' rears itself without the prime symbol - soul.".<br />
39 - "The man of destiny makes himself one with the destiny".<br />
105
simbolo", cioè l'espressione mortale di un'attività creatrice che si sa<br />
eterna.<br />
Per l'uomo della civilizzazione faustiana, in sostanza, la fase di<br />
neurosi va vissuta come una fase naturale che si ripresenta<br />
periodicamente nella storia delle civiltà. Miller cita la civilizzazione<br />
greco-romana, riprendendo un esempio caro a Spengler, che parla<br />
della modernità come di una sorta di nuovo ellenismo 40, dove<br />
Alessandria d'Egitto diventa il corrispondente antico delle metropoli<br />
contemporanee. Come allora, è forte la sensazione di un alone di<br />
morte che circonda l'uomo.<br />
Il senso del destino sta nella sua accettazione. Accettare il destino,<br />
però, non significa rassegnarsi all'insensatezza della morte, ma cercare<br />
di darle un valore positivo. Se una forma del mondo si rivela<br />
pericolante, il compito dell'uomo è "mandare tutto in frantumi";<br />
"questo", scrive Miller, "è il significato reale del destino. È il nostro<br />
destino" (ibidem, p. 166) 41.<br />
Destino, distruzione, paura della vita, anima e senso religioso si<br />
richiamano continuamente nel serrato intreccio delle riflessioni<br />
milleriane sul mondo. La paura della vita sorge dal fatto che l'uomo<br />
non accetta la morte come fase necessaria dell'esistenza e rifiuta il<br />
destino di corruzione delle forme; nel far ciò, si arrocca nella difesa<br />
delle proprie postazioni e rinuncia a costruire, a creare, perdendo così<br />
il senso religioso ed il contatto con l'anima; è a partire da questo<br />
momento che l'uomo si avvia inesorabilmente proprio verso quella<br />
morte che aveva cercato di esorcizzare; mettere in gioco tutte le<br />
proprie forme di difesa e di rimozione non fa che accelerare il<br />
processo della decadenza.<br />
Di fronte all'uomo dominato dalla paura, sorgono quelle figure che<br />
riescono ad evocare il sentimento dell'incalcolabile potenza nascosta<br />
nell'uomo. Miller riunisce in un'unica immagine simbolo, il "life-giver"<br />
40 - "Uno studio comparato ci fa apparire la 'contemporaneità' di tale periodo<br />
[l'Occidente dal 1800 al 2000, n.d.C.] con l'ellenismo e in particolare quella del suo<br />
vertice attuale, contrassegnato dalla guerra mondiale, col passaggio dal periodo<br />
ellenistico al periodo romano." (Tramonto, p. 49).<br />
41 - "Smash everything ! This, too, is a very real sense of destiny. It is our destiny".<br />
106
(l'uomo che porta la vita, che la incrementa), le figure di Spengler,<br />
Lawrence e dello psicoanalista Otto Rank.<br />
Rank ebbe modo di conoscerlo personalmente, spinto da Anais Nin<br />
che già da tempo era in terapia da lui, e l'incontro, secondo quanto ne<br />
riferisce in una lettera, lo lasciò entusiasta 42. Miller oscilla sempre tra la<br />
condanna della psicoanalisi e l'apprezzamento di singole figure di<br />
analisti, come Jung (di volta in volta apprezzato o condannato) e,<br />
appunto, Rank, che nel suo Arte e artista aveva dedicato una<br />
particolare attenzione allo studio dei processi psicologici della mente<br />
creativa. Partendo da alcune osservazioni lì contenute, Miller mette a<br />
fuoco il rapporto tra destino e teoria dell'inconscio:<br />
"Dal momento che i processi logici, consci, sono<br />
giunti ad un punto di esaurimento, si ipotizza una<br />
nuova realtà, con la sede dell'anima, o la psiche, o il<br />
'cervello', situata nell'Inconscio." (ibidem, p. 165) 43<br />
Si nota subito come l'area semantica del termine inconscio si presti a<br />
interpretazioni contrastanti: vedi l'accostamento di concetti quali<br />
"anima" e "cervello", normalmente antitetici in Miller. L'inconscio può<br />
essere spiegato come un espediente intellettualistico per superare<br />
l'impasse della conoscenza razionale, ed è l'aspetto negativo<br />
dell'immagine della psicoanalisi, intesa come simbolo della scienza.<br />
Ma, d'altra parte, qui il concetto sembra prestarsi ad una diversa<br />
interpretazione, per cui l'inconscio diventa la forza che porta alla luce<br />
"le incalcolabili forze che si celano dietro i fenomeni dell'attività<br />
umana" (ibidem, p. 167) 44. Scrive Miller:<br />
"Astrologia e psicoanalisi hanno come scopo<br />
supremo la rivelazione dell'estensione e<br />
dell'importanza di queste forze. [...] Un senso di<br />
mistica partecipazione con l'universo, una coscienza<br />
42 - Anais Nin ebbe da Rank una completa formazione da analista, tanto che, nel<br />
gennaio 1935, praticò per qualche mese la psicoanalisi. Cosa che, nello stesso periodo<br />
e su suo invito, fece anche Miller, pur senza averne alcuna qualifica.<br />
43 - "The conscious, logical processes, having arrived at the point of exhaustion, a new<br />
reality is hypothesized, with the seat of the soul, or the psyche, or the 'brain', situated in<br />
the Unconscious.".<br />
44 - "Beyond the phenomena of human actitity lie incalculable forces".<br />
107
eligiosa, è tutto ciò che importa. Entrambe le<br />
prospettive sono fondate su quella visione della vita,<br />
più antica e più sana, che Lawrence ha proclamato."<br />
(ibidem, p. 167) 45<br />
Il discorso ci conduce a Lawrence, vale a dire a colui che<br />
rappresenta il simbolo della lotta contro la paura di vivere e contro la<br />
scissione del legame panico tra uomo e natura. La battaglia di<br />
Lawrence è per il ritorno ad "un mito più creativo, più poetico, più<br />
umano, nel quale le idee siano sempre legate alla vita, e non solamente<br />
a realtà morte" (ibidem, p. 165) 46; il pensiero ha un valore mitopoietico<br />
solo quando le idee sono espressione di istinti vitali, senza mediazioni<br />
e senza elaborazioni intellettuali. Il contrasto appare in tutta chiarezza<br />
quando si confrontino i miti del passato con il mito moderno, la<br />
scienza: da una parte c'è una forma di raffigurazione che proviene dalle<br />
radici stesse della civiltà, e che ne è quindi diretta espressione, forma e<br />
funzione, per dirla alla Spengler, del mondo classico; dall'altra parte<br />
abbiamo il mito della scienza, con i corollari della fiducia nel progresso<br />
e della certezza della superiorità dell'uomo rispetto alla natura. Da una<br />
parte c'è un pensiero che si confronta con le contraddizioni del reale e<br />
che le raffigura simbolicamente: questa è la creatività "sentita" della<br />
civiltà. Dall'altra c'è l'impianto di una serie complessa di macrostrutture<br />
che spezzano il legame espressivo tra civiltà e simboli dell'uomo, e che<br />
occultano, piuttosto che esprimere, l'essenza dell'agire umano: questa<br />
è la creatività "artificiale" della civilizzazione.<br />
Questo tipo di mediazione è visibile in ogni aspetto della realtà.<br />
Lawrence ne scorge un esempio nel sorgere della figura del Dio dalla<br />
primitiva religiosità panteistica. Dio<br />
"interviene tra l'uomo e il cosmo. Le più antiche idee<br />
dell'uomo sono puramente religiose, e non<br />
contengono alcun concetto di un Dio o di più dèi.<br />
Dio e gli dèi vennero quando gli uomini precipitarono<br />
45 - "Both astrology and psychoanalysis have for their grand aim the revelation of the<br />
extent and magnitude of these forces. [...] A sense of mystic participation with the<br />
universe, a religious awareness, is the all important. Both views are founded in that<br />
older, sounder view of life which Lawrence proclaimed.".<br />
46 - "a more creative, more poetic, more human myth, in which ideas are again related<br />
to living, and not merely to dead facts.".<br />
108
in un abisso di separazione e di isolamento..."<br />
(ibidem, p. 167; da Apocalisse, p. 78) 47<br />
È un concetto che si frappone tra l'uomo e la natura, è un'idea che<br />
non sorge dalla vita del cosmo, ma dalla volontà di potenza<br />
dell'intelletto umano. Questo è ciò cui giunge l'uomo, quando decide<br />
di adorare l"Albero della Conoscenza" invece dell' albero "della vita"<br />
(ibidem, p. 167; da Apocalisse, p. 78). Allo spirito della separazione,<br />
che domina la scienza, Lawrence oppone un sentimento di mistica<br />
partecipazione alla vita dell'universo, l'idea di un cosmo che "sempre<br />
fu", che non conosce inizio o fine, ma ha carattere di eternità. Dio è il<br />
concetto che divide la creazione dal mondo, il creato dal creatore:<br />
l'uomo si fa simile a Dio, ed il senso delle sue creazioni matura<br />
attraverso una separazione rispetto alla vita del cosmo. Per Lawrence,<br />
scrive Miller, vale l'opposto: la religiosità dell'uomo si misura<br />
sull'assenza del divino come scissione tra microcosmo e<br />
macrocosmo. Tutta la natura è divina, e, panteisticamente, tutto è dio;<br />
ogni singolo atomo della natura partecipa di questa divinità, ogni<br />
frazione del reale è animata, e l'uomo è tale solo se prende coscienza<br />
di essere parte di questa totalità organica.<br />
Tutta l'opera dello scrittore inglese è incentrata su questi temi,<br />
rappresentati come antagonismo di grandi concetti quali Società e<br />
Natura, Scienza e Spiritualità, Intelletto ed Anima, Separazione e<br />
Partecipazione Mistica, Religiosità e Divinità. Queste antinomie<br />
prendono poi forma nelle grandi coppie di personaggi che<br />
costruiscono i suoi romanzi: ne L'amante di Lady Chatterley il<br />
guardiacaccia Mellors, l'uomo che ha il fascino oscuro e profondo<br />
della natura, è la forza della vita rivolta contro il mondo sterile della<br />
società, impersonificato dalla infermità di Sir Clifford Chatterley e dalla<br />
frigidezza della moglie; in Donne innamorate le due idee dell'amore,<br />
quella fondata sull'unione e sul reciproco completamento e quella<br />
fondata sulla divisione e sulla reciproca sopraffazione, sono raffigurate<br />
nel contrasto tra la coppia Rupert-Ursula a quella Gerald-Gudrun. La<br />
polemica di Spengler nei confronti della modernità si costruisce<br />
47 - "to intervene between man and the cosmos. The very oldest ideas of man are<br />
purely religious, and there is no notion of any sort of god or gods. God and gods enter<br />
when man has 'fallen' into a sense of separateness and loneliness".<br />
109
anch'essa in modo antinomico, con grandi coppie di opposti che<br />
coincidono, sostanzialmente, con quelle di Lawrence: da una parte il<br />
"vivere", dall'altra il "conoscere", da una parte il "divenire", dall'altra il<br />
"divenuto", da una parte la simbiosi microcosmo-macrocosmo,<br />
dall'altra la sopraffazione del primo sul secondo, e poi proseguendo<br />
fino alla coppia essenziale "civiltà" -"civilizzazione". L'enfasi di<br />
Lawrence sulla separazione ripropone il tema spengleriano<br />
dell'antinomia tra sapere analitico e conoscenza intuitivo-sintetica, così<br />
come, nell'area semantica del concetto di "tramonto", ritroviamo tutto<br />
uno spettro di significati, dal dominio dell'intelletto alla scissione tra<br />
microcosmo e macrocosmo, dalla mancanza di una dimensione<br />
spirituale al venir meno della capacità espressiva della civiltà, che è alla<br />
base della prospettiva lawrenciana.<br />
Il discorso di Miller non fa che riprendere le posizione dei due<br />
intellettuali per sostenere e rafforzare le proprie convinzioni.<br />
Innanzitutto, ricompare l'antinomia fondamentale tra scienza e natura:<br />
"Il desiderio di soggiogare le forze della natura per<br />
scopi pratici, invece di indagarle [...] in modo<br />
disinteressato, ha portato ad una vuota conoscenza<br />
della natura, invece che ad una saggezza di vita. Vita<br />
e morte perdono il loro significato, la loro polarità"<br />
(ibidem, p. 168) 48<br />
L'esistenza trascorre tra i due poli di vita e morte, che si integrano<br />
vicendevolmente piuttosto che elidersi. La nascita apre un percorso<br />
che conduce alla morte, ma anche la morte ha il senso di un cammino<br />
verso la vita, verso una nuova vita. L'uomo moderno vive in modo<br />
conflittuale il rapporto con la morte: ne è fatalmente attratto, ma d'altra<br />
parte la teme, teme che la morte del proprio mondo (il tramonto<br />
dell'Occidente) significhi la fine della vita. Esalta la propria volontà di<br />
potenza attraverso il dominio delle leggi scientifiche sul macrocosmo,<br />
ma al contempo sente l'inquietudine profonda del distacco dai principi<br />
della natura.<br />
48 - "The desire to subjugate the forces of Nature for pratical purposes, instead of<br />
exploring them in a [...] disinterested way, has brought about an empty knowledge of<br />
Nature, instead of a wisdom of life. Life and death lose their significance, their<br />
polarity.".<br />
110
Fin qui, Miller ha seguito rigorosamente le indicazioni fornite dai suoi<br />
due precursori. La riflessione è proceduta attraverso un fitto tessuto di<br />
citazioni, dove ogni brano riportato va riferito transitivamente a Miller,<br />
che sulla base di queste fondamenta ha potuto portare avanti<br />
l'edificazione di un proprio edificio concettuale. È quando ci<br />
stacchiamo momentaneamente dai testi, però, che emerge con maggior<br />
chiarezza la sua profonda comprensione del significato della filosofia<br />
spengleriana e dell'arte di Lawrence. La direzione che Miller imprime al<br />
discorso sulla polarità vita-morte ce lo mostra, come in una cartina al<br />
tornasole.<br />
Dopo aver posto in rilievo il venir meno di un senso che unisse vita e<br />
morte in un'immagine complessiva dell'esistenza, ed aver dichiarato<br />
che è invece proprio in questa prospettiva che va cercata la verità,<br />
Miller scrive:<br />
"Dal seme al fiore e poi di nuovo indietro al seme. Un<br />
dramma di movimento, cambiamento, lotta, crescita,<br />
declino. Tra i due poli magnetici, i poli prefissati di<br />
nascita e morte, fluisce la corrente misteriosa, la vita.<br />
[...] Quando la corrente è forte e senza impedimenti<br />
l'individuo diventa uno con la vita, col destino. Il<br />
desiderio più profondo ora non è sfuggire il conflitto,<br />
il dramma, ma accettarlo" (ibidem, p. 168) 49<br />
Qui ci sono tutti gli elementi della Weltanschauung spengleriana: c'è<br />
l'identificazione fondamentale tra vita e divenire, il richiamo alla ciclicità<br />
dei processi naturali ed alla loro periodicità, il concetto di destino<br />
come assenso alla legge della vita e, quindi, come accettazione della<br />
caducità dell'esistenza; c'è l'immagine della morte come "morte vitale",<br />
il tutto esposto attraverso la metafora organica della crescita di una<br />
pianta, procedimento che ha la sua origine ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, dove il destino della civiltà segue la traiettoria sancita<br />
dalle leggi dello sviluppo organico.<br />
49 - "From seed to flower and back to seed again. A drama of movement, change,<br />
struggle, growth, decay. Between the two magnetic poles, the fixed, constant poles of<br />
birth and death, flows the mysterious current, life. [...] When the current is strong and<br />
unimpeded the individual becomes one with life, with destiny. The innermost desire then<br />
is not to escape the conflict, the drama, but to accept it".<br />
111
Questa immagine del tempo procede dalla constatazione di una<br />
dinamica ciclica dei fenomeni naturali:<br />
"l'elemento ciclico del tempo [...], che è così<br />
radicato, così innato nel nostro modo di pensare, ha<br />
la sua origine in quelli che sono gli aspetti primari<br />
della vita - terra, sole, luna, i quattro punti cardinali,<br />
le stagioni." (ibidem, p. 169) 50<br />
È questo simbolismo che permette la partecipazione dell'uomo al<br />
divenire dell'universo e la rinascita di un rapporto simbiotico tra<br />
microcosmo e macrocosmo. Uomo e natura sono legati ad identiche<br />
leggi di sviluppo; analogamente, in Spengler, il "tramonto"<br />
simboleggiava l'appartenenza della civiltà all'ambito delle realtà<br />
naturali 51. La civiltà diventava così una forma del cosmo, radicandosi<br />
nell'essenza profonda del reale come espressione del divenire del<br />
processo vitale, come il moto degli astri o la nascita di un fiore. Il<br />
"tramonto" della civiltà é il tramonto del sole, l'ascesa di una Kultur é il<br />
sorgere di un nuovo germoglio, la crescita di un organismo. Questa<br />
prospettiva fugava ogni prospettiva "pessimistica" dal concetto di<br />
destino.<br />
Al fondo di tutto stanno due principi, "tipo" e "periodicità" 52 .<br />
Riguardo al secondo, si è appena visto quale sia il senso. Quanto al<br />
concetto di "tipo", esso si lega necessariamente all'idea di periodicità:<br />
"Osservando la vita nel senso storico del tempo<br />
come destino, riscontriamo il fatale ricorrere di<br />
uomini-tipo, di situazioni-tipo, di disagi-tipo, di<br />
azioni-tipo, di idee-tipo, di problemi-tipo, che<br />
forniscono la struttura melodica del mutare dei nostri<br />
50 - "the rotary, cyclical time element [...] which is so ingrained, so innate in our way of<br />
thinking, has its inception in the most primitive, fundamental aspects of life - earth, sun,<br />
moon, the four cardinal points, the seasons.".<br />
51 - Vedi l'introduzione di Stefano Zecchi a Tramonto, p. XV: "Il 'tramonto' è<br />
un'immagine del simbolismo cosmico che unisce gli uomini al movimento delle stelle e<br />
agli eventi della vita: il sole tramonta e risorge, così una civiltà nasce e declina."<br />
52 - "Always there are the two phenomena: type and periodicity.". E aggiunge: "È la<br />
storia stessa della terra" ("It is the story of the earth itself"). (Lawrence, p. 170).<br />
112
simboli e delle nostre forme culturali, le basi<br />
architettoniche dell'idea." (ibidem, p. 169) 53<br />
La storia, per Miller, procede secondo cadenze regolari. C'è una serie<br />
di forme essenziali che scandiscono lo scorrere del tempo e<br />
l'avvicendarsi delle epoche. All'interno di questa "architettura", di<br />
questo scheletro ideale, si muove la varietà delle situazioni storiche,<br />
che sono in sé contingenti, interscambiabili, mentre non è contingente<br />
il loro significato simbolico.<br />
Allo stesso modo, Spengler scriveva che date e fatti non hanno alcun<br />
significato se non sono letti come simbolo di qualcos'altro, se non<br />
vengono cioè caricati di un significato 54, che in questo caso è fornito<br />
dalla prospettiva ciclica del divenire. Dati, idee e personaggi vanno<br />
compresi a partire da questo quadro complessivo, come espressione<br />
del suo evolversi, testimonianza del riproporsi di fasi e concetti<br />
archetipici.<br />
Il richiamo alle idee di "tipo" e "periodicità" conclude quella che si<br />
può definire la riflessione "spengleriana" di The World of Lawrence.<br />
Ma c'è ancora un tema che vale la pena esaminare, poiché risulta<br />
cruciale per l'interpretazione complessiva dell'opera di Miller:<br />
l'identificazione donna-natura.<br />
III. 6. Sacralità del corpo e immagine della donna<br />
C'è una frase di Spengler che ricorre nelle riflessioni milleriane sulla<br />
donna e sul ruolo del sesso: "L'uomo fa la storia, la donna è la storia"<br />
53 - "Looking at life in a historical-time-destiny sense we observe the fatal recurrence of<br />
type-men, type-situations, type-diseases, type-deeds, type-ideas, type-problems,<br />
which provide the melodic structure of our changing cultural forms and symbols, the<br />
architectonics of idea.".<br />
54 - "Tutto quanto è divenuto, tutto quanto è fenomenico, è simbolo, è espressione di<br />
un'anima. Esso vuol essere considerato dallo sguardo del conoscitore d'uomini, vuol<br />
esser sentito nel suo significato. [...] vale il detto che tutto quanto è effimero è solo<br />
un'immagine simbolica." (Tramonto, p. 166). Stesso tono in queste parole di Miller:<br />
"è sempre e soltanto il richiamo 'letterario' a valere su di me. La realtà è senza interesse.<br />
[...] Anche la grande rivisitazione panoramica del passato che fa Spengler è piena di<br />
vita e significato per me. Gli eventi concreti mi hanno sempre lasciato indifferente."<br />
(Nin-Miller, p. 225; la lettera è del 28 luglio 1933).<br />
113
(Tramonto, p. 1132). L'espressione viene citata, in modo impreciso, e<br />
spiegata in una lettera ad Anais Nin:<br />
"quando si considera la donna nel suo compito di<br />
generatrice, di procreatrice, quando si pensa quanto<br />
ella appaia analoga, nella mente dell'uomo, al<br />
compito della Natura, la Natura che genera senza<br />
posa e con noncuranza e distrugge nello stesso<br />
tempo, come è naturale, come è inevitabile che<br />
questa immagine della vita artificiosa, astratta,<br />
totalmente mentale, che è la civiltà dell'uomo, debba<br />
essere opposta al punto di vista femminile, al<br />
principio femminile. La donna è, l'uomo diviene...mi<br />
sembra che questa sia una delle frasi di Spengler."<br />
(Nin, p. 163)<br />
La donna è la personificazione della natura. L'identificazione procede<br />
dal legame della creazione, nel senso che è la capacità riproduttiva della<br />
donna a farne un'espressione delle dinamiche della natura. La donna si<br />
definisce in base a caratteristiche biologiche, ed in questo modo<br />
ancora il proprio significato alla sopravvivenza della specie: la donna<br />
come grembo fertile, come "madre terra", garantisce il perpetuarsi<br />
della vita. Essa è la natura stessa nel suo incessante moto di creazione,<br />
oltre la caducità e la precarietà del creato, è la dinamica opposta alla<br />
statica. Attraverso la donna, l'uomo attinge alle radici della vita e<br />
ristabilisce il legame simbiotico con il macrocosmo.<br />
La donna, nel suo portato simbolico, esprime senza contraddizioni<br />
l'unità di nascita e morte nella ciclicità del divenire, l'immutabilità<br />
dell'essere. Il divenire è ciò che rimane costante quando tutto cambia:<br />
muta il divenuto ma non si estingue il divenire delle forme. In The<br />
World of Lawrence Miller richiama un brano da Il Tramonto<br />
dell'Occidente; vediamone i passi più significativi:<br />
"Tutto quanto è femminile si trova più vicino<br />
all'elemento cosmico. È più profondamente connesso<br />
alla terra e più direttamente inserito nei grandi cicli<br />
della natura. Invece il maschio è più libero, più<br />
animale [...].<br />
L'uomo vive il destino e capisce la causalità, la<br />
logica del divenuto [...]. Invece la donna è destino, è<br />
tempo, è la logica organica dello stesso divenire. [...]<br />
114
Ogni volta che l'uomo ha cercato di raffigurarsi il<br />
destino ha avuto sempre l'idea di qualcosa di<br />
femminile - Moira, Parche e Norne." (Lawrence, p.<br />
69; da Tramonto, pp. 1131-2)<br />
La donna è il fluire della corrente della vita mentre l'uomo è il tentativo<br />
di ingabbiare questo movimento, di indirizzarlo, di proteggerlo. Sono<br />
due storie diverse: da una parte la storia delle civiltà, dall'altra la storia<br />
senza civiltà, la storia come eterna generazione, come espressione della<br />
natura. In Spengler non vi è tanto contrasto, quanto una diversità di<br />
prospettiva:<br />
"L'uomo fa la storia, la donna è la storia. Qui si ripete<br />
in un modo misterioso un duplice aspetto di ogni<br />
fenomeno vivente: da un lato vi è una corrente<br />
cosmica in sé, dall'altro una successione di<br />
microcosmi che assume, protegge e conserva tale<br />
corrente." (Tramonto, p. 1131)<br />
La storia "maschile" rimane sempre un'espressione della storia<br />
"femminile": ne protegge il corso, ne garantisce la continuazione. Alle<br />
civiltà, simbolo della storia maschile, soggiace un potere di creazione<br />
che esse possono solo indirizzare. "La donna è l'oracolo" (ibidem, p.<br />
1132), scrive Spengler, mentre l'uomo può essere solo l'interprete, ed<br />
esprimere una verità di cui la donna è la vera depositaria. Certamente,<br />
le forme politiche, culturali, sociali ed economiche su cui l'uomo<br />
costruisce il proprio mondo possono diventare anche degli<br />
impedimenti al movimento del divenire: questo è precisamente ciò che<br />
accade con la civilizzazione, un irrigidimento delle forme della civiltà in<br />
conseguenza di una sopraggiunta incapacità nello star dietro alla<br />
dinamicità del divenire. Tuttavia, queste macrostrutture hanno<br />
soprattutto il compito di proteggere la corrente del divenire: esse<br />
rappresentano la continuità tra i fenomeni elementari del regno naturale<br />
e le più alte costruzioni simboliche dell'uomo, un ponte tra la materia e<br />
la sua trasfigurazione spirituale.<br />
In Miller il contrasto si fa più radicale: da una parte sta la donna, la<br />
natura, il flusso vitale, l'istinto, dall'altra sta l'uomo, la volontà di<br />
potenza alimentata dalla fede nella ragione, l'espressione della morte e<br />
della staticità. La donna è creazione, mentre l'uomo è distruzione; per<br />
115
usare una terminologia spengleriana, la donna è sempre civiltà, mentre<br />
l'uomo è civilizzazione. Parlando di Lawrence, Miller scrive:<br />
"egli ora rivela il lato femminile della sua natura<br />
conservando l'istinto vitale, mentre allo stesso tempo<br />
afferma la piena forza della sua mascolinità nella<br />
distruzione delle forme esistenti." (Lawrence, p. 149)<br />
Lawrence può a dare un senso positivo alla morte proprio perché<br />
riesce a tenere insieme i due aspetti della vita, l'aspetto maschile della<br />
distruzione e quello femminile della creazione e della conservazione<br />
della vita. Il suo valore come simbolo sta proprio nel mettere in scena<br />
questo conflitto tra forze, ma senza che una di esse riesca mai a<br />
prevalere. Lawrence riesce sempre a mantenersi in equilibrio su quel<br />
sottile crinale che divide creazione e distruzione e che costruisce una<br />
visione complessivamente unitaria della realtà.<br />
Quando però si vive in una fase di civilizzazione, questo sottile<br />
equilibrio diventa insostenibile e viene meno, cosicché le due forze<br />
tornano a combattersi per il dominio della realtà. È allora, scrive Miller,<br />
che l'azione della donna diventa decisiva, quando, con la fine di una<br />
cultura, sopraggiunge il suicidio della razza: quello è il momento in cui<br />
la donna libera i propri istinti e la propria forza primordiale. Ciò che si<br />
scatena è la lotta tra la vita e la morte. Nel saggio 'Of Art and the<br />
Future' Miller avvicina le immagini della donna e quella dell'"Oriente"<br />
nel segno di un comune senso di ritorno alle radici ed alla naturalità<br />
dell'esistenza:<br />
"Il fondamento dell'uomo è in Oriente" (Art, p. 154)<br />
"Ho la strana sensazione che la nuova grande<br />
impersonificazione del futuro sarà una donna. Se<br />
stiamo andando verso una realtà più grande, allora<br />
deve essere la donna a indicare il cammino<br />
L'egemonia dell'uomo è finita. Gli uomini hanno perso<br />
il contatto con la terra; si arrampicano sui pannelli di<br />
vetro delle loro sovrastrutture artificiali" (ibidem, p.<br />
160) 55<br />
55 - "The human fundament is in the East". "I have a strange feeling that the next great<br />
impersonation of the future will be a woman. If it is a greater reality we are veering<br />
116
Donna ed Oriente rappresentano lo "spirito" ed indicano quale sia la<br />
via per un futuro dell'umanità oltre il destino di morte dell'Occidente.<br />
Alla dinamica della civilizzazione, dove l'uomo si abbandona ad un<br />
cieco istinto di distruzione, la donna oppone il valore della vita e la sua<br />
necessità. Essa si fa simbolo della natura e si fa carico del destino del<br />
mondo, o meglio della possibilità che un destino ancora ci sia: è una<br />
sorta di monito, affinché non ci si dimentichi che l'essenza della vita<br />
risiede nel divenire e non nella caducità del divenuto.<br />
La forza che può fare tutto ciò non è la donna deificata, estetizzata e<br />
resa sterile, ma la donna nella pienezza della propria naturalità e dei<br />
propri istinti, è la donna nella propria dimensione non civilizzata,<br />
donna come irruzione del "corpo" nelle strutture della società. Miller<br />
parla di "Sacro Corpo" (Lawrence, p. 175) con un evidente richiamo a<br />
Lawrence. Dal corpo parte la rinascita dell'individuo, da un corpo non<br />
deificato ma compreso nella sua sacralità. La dimensione del corpo<br />
non ha bisogno di essere nascosta o di essere sublimata, poiché in<br />
quanto natura essa è già valore, anzi è "il" valore, il simbolo stesso<br />
della vita: per questo è dalla coscienza della propria corporeità che può<br />
sorgere un nuovo senso dell'individuo. Questa è anche la direzione<br />
verso cui volgono i simboli dell'universo poetico di Lawrence:<br />
innanzitutto la "fenice", l'animale che risorge dalle proprie ceneri,<br />
quindi il "Serpente-Uccello" Quetzalcoatl, il dio azteco che riunisce il<br />
corpo (serpente) allo spirito (uccello), la terra al cielo. La<br />
riconciliazione degli opposti ridona un senso unitario ai fenomeni della<br />
vita: lo spirito diventa trasfigurazione simbolica del corpo, con un<br />
gesto che non annulla le proprie radici, ma che anzi ritorna sempre<br />
all'origine a rivendicarle e a mostrarne la sacralità.<br />
Queste considerazioni ci permettono di fare luce su alcuni aspetti del<br />
concetto di "eros", che è connesso al tema della "donna-natura" e che<br />
tanta parte ha avuto nell'opera dei due scrittori. Il sesso è una forza<br />
che unisce, è la proiezione dell'ego oltre le barriere dell'individualità, la<br />
tensione al ricongiungimento nell'originaria unità tra uomo e donna;<br />
l'eros conduce le due polarità ad unità, ridona loro il senso della<br />
towards then it must be woman who points the way. The masculine hegemony is over.<br />
Men have lost touch with the earth; they are clinging to the window-panes of their<br />
unreal superstructures".<br />
117
propria relatività nel quadro di una totalità organica. Nel far questo<br />
sospende ogni forma di identificazione sociale: nell'atto sessuale uomo<br />
e donna ritrovano la loro dimensione unitaria nella nudità della loro<br />
primitiva condizione naturale. L'eros sprigiona tutta la forza degli istinti<br />
vitali, richiamando l'uomo alla realtà del corpo. L'individuo moderno,<br />
invece, vive la sessualità come divisione. Miller scrive:<br />
"La disintegrazione che egli [Lawrence, N.d.C.]<br />
percepisce ovunque, la sente profondamente nel<br />
mondo del sesso. Vede ogni cosa diventare grigia,<br />
opaca [...] Vede che c'è il pericolo che la fiamma si<br />
consumi, che il fuoco si spenga e tutto il colore della<br />
vita si esaurisca." (ibidem, p. 194) 56<br />
Il processo distruttivo dell'analisi si fa particolarmente evidente nel<br />
sesso, proprio per il suo essere espressione per eccellenza delle<br />
dinamiche di simbiosi. L'eros si fa lotta ed assume i contorni di un<br />
confronto che separa invece di unire; cessa la ricerca di un rapporto<br />
armonico, e l'impegno diventa quello di sancire delle differenze,<br />
ripiegando ognuno sulla difesa della propria individualità. Il sesso, da<br />
proiezione dell'io, diventa scontro tra individui che sono e si sentono<br />
autonomi ed ostili; scompare l'anelito all'equilibrio ed al reciproco<br />
completarsi, e rimane soltanto la volontà di sopraffare l'altro, di<br />
imporsi alla sua volontà, di far trionfare il proprio principio, che<br />
ammette solo sé stesso e non tollera che l'esistenza di un altro valore<br />
ponga il discussione la propria assolutezza, mettendone a nudo la<br />
relatività.<br />
Quanto a Miller, è in Tropico del Cancro che verrà messa in scena in<br />
tutta la sua drammaticità l'alienazione dell'uomo moderno dal senso<br />
originario dell'eros. Ciò che per Lawrence era "l'analisi" per Miller<br />
diventa il "meccanicismo", l'assimilazione, da parte dell'uomo, delle<br />
dinamiche ripetitive ed artificiali della macchina. Il sesso come gesto<br />
meccanico separa l'uomo dalla donna, e negando il senso dell'eros<br />
nega l'esigenza stessa dell'uomo di proiettarsi all'esterno dell'io, verso i<br />
propri simili. Contro tutto ciò Miller libera la forza del sesso, e la<br />
56 - "The disintegration which he perceived everywhere he felt most keenly in the world<br />
of sex. He saw everything going grey, opaque [...]. He saw a danger of the flame<br />
perishing, the fire dying down and all the color of life running out".<br />
118
utalità che emerge nelle descrizioni dell'esperienza erotica ha il senso<br />
di una scossa salutare, dove quella forza frantuma ogni definizione<br />
sociale dell'individuo, riportandolo all'originaria nudità. E questo<br />
sconvolge, come sconvolge l'ideale simbiotico di Lawrence, perché<br />
annienta di colpo le protezioni dell'individuo, scaglia l'ego oltre le<br />
strutture difensive della propria interiorità, nel flusso magmatico del<br />
divenire.<br />
La rinascita dell'anima è una rinascita "del" corpo e "dal" corpo.<br />
Questo sacro corpo, in Miller come in Lawrence, è sempre la donna.<br />
Ogni rivitalizzazione dell'eros, necessaria premessa alla rivitalizzazione<br />
della civiltà, passa dal riconoscimento del valore simbolico della figura<br />
femminile. Miller e Lawrence proiettano su di essa il peso, ma anche il<br />
valore, del processo di reintegrazione dell'anima. In lei risiede il potere<br />
della creazione e quindi il futuro del mondo.<br />
Lawrence ha "il senso del greco antico per il corpo, l'antica<br />
concezione greca dell'Eros" (ibidem, p. 200) 57. La Grecia classica<br />
come civiltà del corpo e dell'equilibrio tra anima apollinea ed ebbrezza<br />
dionisiaca, dove si sente tutto il peso della concreta fisicità delle<br />
cose 58, tutto ciò ci riporta a Il Tramonto dell'Occidente, là dove si<br />
parla della classicità come civiltà cui è sconosciuto il senso del tempo:<br />
l'anima apollinea vive nell'eterno presente dell'hic et nunc, come<br />
sentimento dell'immediata disponibilità e tangibilità del reale, del<br />
corpo 59.<br />
57 - "He has the early Greek feeling for the body, the early Greek conception of Eros.".<br />
58 - "C.B. Spengler diceva che in Grecia è tutto corpo, che l'architettura è in realtà<br />
scultura, e che il cosmo stesso è un grande corpo di cui l'uomo è il centro assoluto.<br />
H.MILLER: In India, mi sembra che non si sia mai stabilita una divisione tra il corpo e<br />
lo spirito: sono sempre stati legati tra loro, e come in Grecia fanno tutt'uno."<br />
(Conversazioni, p. 81).<br />
59 "Quel che il greco chiamava cosmos, era l'immagine di un mondo che non diviene,<br />
ma sempre fu." (Tramonto, p. 22). Questo per quello che riguarda l'aspetto temporale;<br />
quanto al sentimento dello spazio, leggiamo: "L'elemento materiale, il visibilmente<br />
delimitato, il tangibile, l'immediatamente presente: ecco le caratteristiche che<br />
esauriscono l'antico concetto dell'estensione. [...] Il nostro bisogno di concepire spazio<br />
di là da tale volta [volta celeste, N.d.C.] mancò del tutto al sentimento antico del<br />
mondo." (ibidem, p. 271).<br />
119
III. 6. 1. Le chiavi simboliche della storia<br />
In The World of Lawrence, la perdita del senso sacrale del corpo<br />
sancisce l'esplosione di un antagonismo che viene a lacerare l'anima<br />
dell'Occidente. Qui abbiamo modo di osservare come Miller utilizzi<br />
un approccio alla storia che, pur mutuando le proprie immagini da<br />
Lawrence, mostra tuttavia una analogia di fondo con l'elaborazione<br />
simbolica messa in atto ne Il Tramonto dell'Occidente. Egli opera una<br />
sorta di sincretismo simbolico, quando costruisce, sul tradimento<br />
dell'anima faustiana, il simbolo di Amleto, indicato da Lawrence come<br />
espressione del dubbio e del conseguente stallo della creatività umana.<br />
Amleto diventa l'antagonista di Faust, il suo "controsimbolo",<br />
l'estroversione di una conflittualità che Spengler aveva mantenuto<br />
all'interno dell'anima faustiana, combattuta tra il dinamismo perpetuo<br />
dello streben e la volontà di ripiegare sulla conservazione delle proprie<br />
conquiste. Il destino dell'Occidente viene risolto nell'antinomia tra<br />
Faust e Amleto: se il primo è vita, azione, Amleto è la negazione<br />
dell'azione, e quindi la negazione della vita, il dubbio che frena l'anelito<br />
faustiano alla creazione. Amleto è l'entrata in scena dell'intelletto con<br />
tutto il suo potere distruttivo:<br />
"L'aspetto dinamico dell'anima Faustiana ha la sua<br />
controparte nel mito di Amleto. La grande Volontà<br />
porta con sé il germe della propria distruzione: il<br />
dubbio. [...] Il grande, bramoso spirito Faustiano,<br />
che ha aperto nuovi mondi, che si è ubriacato con<br />
nuovi orizzonti, [...] questo stesso spirito emerge,<br />
nello spazio di poche generazioni, con la più terribile<br />
incarnazione della propria malattia: Amleto."<br />
(ibidem, pp. 195-6) 60<br />
Al divenire dello spirito faustiano subentra la regressione del dubbio,<br />
dove tutto il dinamismo volto al mondo esterno ripiega nell'interiorità e<br />
si fa analisi. Le basi dell'individualità vengono così scosse dalle<br />
60 - "The great dynamic aspect of the Faustian Soul has its counterpart in the myth of<br />
Hamlet. The great Will carries within the germ of its own destruction: doubt. [...] The<br />
great, yearning Faustian spirit which had opened up new worlds, which had made<br />
himself drunk with new horizons [...], this same spirit emerges in the space of a few<br />
generations with the most terrible incarnation of its malady: Hamlet.".<br />
120
fondamenta, mentre viene meno ogni possibilità di agire e di creare, in<br />
quanto l'azione nasce sempre quando è espressione di una volontà<br />
ferma, di un'anima che sa ciò che vuole. Il dubbio distrugge questa<br />
certezza ed apre la strada ad un futuro dove il tormento dell'autoanalisi<br />
si sostituisce ad ogni pulsione formativa, condannando l'uomo<br />
faustiano ad una situazione di perenne stallo e di continua erosione<br />
della propria individualità.<br />
Un altro esempio di elaborazione simbolica è l'immagine della<br />
decadenza dell'Occidente come "sifilide" e come "morte nera". Il<br />
disagio della civiltà è espresso sempre con la terminologia che si<br />
addice ad una malattia dell'organismo: un identico processo di<br />
metaforizzazione organica darà luogo al simbolo del Cancro in<br />
Tropico del Cancro. La sifilide è l'episodio della storia dell'Occidente<br />
che Lawrence sceglie per la sua evidenza figurativa come simbolo<br />
della decadenza. L'irrompere del morbo insinua un tarlo inestirpabile<br />
nel modo occidentale di vivere la sessualità, togliendole ogni innocente<br />
naturalità. L'uomo vive questo dramma come una condanna, come una<br />
colpa che riversa sul sesso e sul corpo; l'eros viene spogliato della sua<br />
spontaneità e reso tabù, sterilizzato, razionalizzato. Questo ci riporta<br />
alla figura di Amleto:<br />
"Amleto è sifilide, sifilide della mente. Amleto, la<br />
malattia, colpisce il sangue, quella consapevolezza del<br />
sangue cui Lawrence annetteva tanta importanza. [...]<br />
[La sifilide] era una malattia mortale che ebbe la<br />
possibilità di manifestarsi solo quando il corpo venne<br />
completamente negato e disprezzato." (ibidem, p.<br />
197) 61<br />
Miller ricongiunge i fili del discorso lawrenceano, connette le figure di<br />
Amleto e della sifilide, e gli aggiunge una propria immagine, quella della<br />
"morte nera", cioè di quella serie di terribili pestilenze che per diversi<br />
secoli devastarono l'Europa. Sulla scorta dell'esempio lawrenciano, e<br />
d'accordo con le premesse di Spengler, per cui un fenomeno non ha<br />
61 - "Hamlet is syphilis, the syphilis of the mind. Hamlet, the disease, strikes at the<br />
blood, at that bloody-consciousness which Lawrence has raised to such importance.<br />
[...] syphilis [...] was a mortal disease which could make its appearance only when the<br />
body has been utterly denied and despised.".<br />
121
significato se non ha valore simbolico, Miller trae dalla storia<br />
dell'occidente l'episodio delle epidemie pestilenziali e lo carica di un<br />
significato simbolico:<br />
"Potremmo legittimamente chiederci se quelle grandi<br />
piaghe che sconvolsero l'Europa dal quattordicesimo<br />
al diciassettesimo secolo non fossero la<br />
manifestazione esteriore e visibile di quella guerra che<br />
aveva già cominciato a devastare l'anima dell'uomo<br />
occidentale." (ibidem, p. 197) 62<br />
La peste si carica di un significato ulteriore rispetto alla sua casualità di<br />
evento storico, diventa una realtà espressiva, un fenomeno nel senso<br />
proprio del termine, manifestazione sensibile di una realtà essenziale.<br />
"Tutto ciò che passa non è che un simbolo": riecheggia qui il<br />
Leitmotiv goethiano de Il Tramonto dell'Occidente. In questo senso, la<br />
"morte nera" si inserisce in un ampio quadro di simbolizzazioni che<br />
riunisce Lawrence, Miller e Spengler, e che si snoda attraverso un<br />
percorso che va dalla "macchina" a "Faust", da "Amleto" alla<br />
"Fenice", a "Quetzalcoatl", alla "Sifilide", fino al "cancro" e alla<br />
"Morte Nera".<br />
62 - "We might well ask ourselves if those great plagues which ravaged Europe from the<br />
fourteenth to the seventeenth century were not the outward, visible manifestation of that<br />
warfare which had already begun to devastate the soul of Western soul.".<br />
122
III UNA LETTURA SPENGLERIANA DI "TROPICO DEL<br />
CANCRO"<br />
III. 1. La fase Bergson-Spengler<br />
Esaminare gli interventi su Spengler e sul Tramonto ci ha<br />
condotti a mettere in rilievo diversi elementi comuni, o<br />
quantomeno a delineare con precisione, all'interno delle tematiche<br />
di Miller, i contorni di una dichiarata ereditá di pensiero<br />
spengleriana . Il debito da parte di Miller nei confronti della<br />
weltanschauung spengleriana é indubbio nè é stato mai negato.<br />
Ma per ora siamo rimasti alle dichiarazioni programmatiche, alle<br />
premesse del prodotto artistico: per entrare in un ambito piú<br />
strettamente estetico, occorrerá ora procedere all'esame dell'opera<br />
letteraria. Infatti, se il legame tra i due intellettuali puó giá dirsi<br />
fondato in base ai testi sinora esaminati, esso si rivelerá ancora<br />
più pregnante una volta che se ne saranno mostrati i riscontri<br />
nell'opera milleriana. Tale legame perderebbe il suo significato se<br />
non incidesse sull'estetica e sull'arte stessa di Miller. La critica alla<br />
civiltá occidentale ed ai suoi simboli, come la tecnica, la metropoli<br />
ed il cittadino quale "nomade intellettuale", la denuncia di una<br />
perdita di contatto dalla vita, dalla terra e dal sangue, la lettura<br />
della modernitá come decadenza: tutto questo non avrebbe il peso<br />
che ha se non si riflettesse sull'opera artistica, informandola di sé<br />
e fornendogli una visione storica e un repertorio di simboli.<br />
La produzione letteraria di Henry Miller copre un arco di piú di<br />
mezzo secolo: dai primi fallimentari tentativi alla metá degli anni<br />
Venti fino ai Book of friends, ricordi di infanzia, pochi anni prima<br />
della morte (avvenuta nel 1980). Come si vede, un periodo molto<br />
lungo, durante il quale le posizioni di Miller sono cambiate o<br />
hanno subito delle evoluzioni. Evoluzioni che sono riscontrabili<br />
soprattutto nelle influenze intellettuali, le quali subiscono una<br />
svolta significativa attorno al 1939 1. Gli anni Trenta erano stati<br />
1 Questa é la data che secondo Jay Martin, biografo di Miller, fa da spartiacque<br />
tra il periodo parigino e la "fase orientale" o zen. Vedi J. Martin, Always Merry<br />
1
segnati, per Miller, dall'esperienza parigina, dalla fine, dolorosa,<br />
del rapporto con la moglie June (la "Mona" che ha ispirato tutti i<br />
suoi romanzi), ma anche dalla certezza di aver trovato la propria<br />
vocazione nella scrittura. Negli anni fra il '31 e il '38 scrive<br />
Cancro, Primavera e Capricorno, oltre ai saggi di Max: é il suo<br />
periodo piú intenso e fecondo.<br />
Alla fine degli anni Trenta, come detto, si verifica una cesura: a<br />
Lawrence, Spengler, Bergson e Nietzsche subentra il pensiero<br />
orientale, il misticismo indiano, la saggezza cinese dei Tao, dei<br />
Ching e soprattutto dello Zen. Miller, che era sempre rimasto<br />
affascinato da figure profetiche e visionarie, come Lawrence,<br />
Whitman o Nietzsche, prende ora decisamente la via mistica, che<br />
per lui conduce alla cultura dell'Oriente. Cosí scriverá all'amico e<br />
scrittore inglese Lawrence Durrell, alcuni anni dopo:<br />
"Non é che io ponga il santo o il saggio un gradino al di<br />
sopra dell'artista. E' piuttosto che voglio vedere<br />
affermarsi l'artista della vita'. [...] Ció si lega al<br />
passaggio, che tu evidenzi, da una fase Bergson-<br />
Spengler a una Cinese-Induista. Penso di aver passato<br />
anche quella, ormai." 2<br />
Ció che è interessante sono le definizioni delle due fasi. Il<br />
passaggio da l'una all'altra trova qui conferma, ma la conferma<br />
maggiore viene sempre dal riscontro nelle opere. Ed é indubbio<br />
che dalla fine degli anni Trenta si registri una evoluzione in Miller,<br />
testimoniata da Colosso.<br />
Colosso é un diario di impressioni, ricavato dal viaggio in Grecia<br />
compiuto a cavallo dello scoppio della seconda guerra mondiale,<br />
e prima di essere costretto a reimbarcarsi per gli Stati Uniti, causa<br />
l'imminente invasione della Grecia da parte delle forze dell'Asse.<br />
Colosso é la scoperta di una dimensione spirituale: dopo aver<br />
mostrato la corruzione della decadenza, dopo aver esplorato il<br />
and Bright: the life of Henry Miller, cit.. Critici e biografi sono tutti pressochè<br />
concordi su questa periodizzazione.<br />
2 L. Durrell-H.Miller, I fuorilegge della parola, Milano, Rosellina Archinto, 1991,<br />
p. 190.<br />
2
"ventre della balena" ed essere disceso negli "inferi" 3 del<br />
nichilismo occidentale, Miller trova nella Grecia, nel suo passato<br />
classico ma anche nella sua realtá naturale, selvaggia ed<br />
incontaminata, una dimensione eterna dello spirito. Sin dalle<br />
prime pagine di Colosso si percepisce il senso di un distacco dal<br />
passato, e lo stupore dell'ingresso in una realtà nuova:<br />
"Mi piegai all'indietro e guardai il cielo. Non avevo mai<br />
visto prima d'ora un cielo così bello. Era veramente<br />
magnifico. Mi sentii completamente staccato dall'Europa.<br />
Ero entrato in un regno nuovo, come un uomo libero" 4<br />
La Grecia assurge a valore eterno: come l'Europa era diventata,<br />
nella lettura milleriana, il simbolo della creatività dell'Occidente, il<br />
baluardo dello creatività artistica, così la Grecia, antica e<br />
moderna, si trasfigura a simbolo dello spirito, simbolo di una<br />
materia sacralizzata dalla presenza visibile del potere della<br />
Creazione. Essa "resta ancora sotto la protezione del Creatore",<br />
terra dove "l'incanto di Dio è ancora operante", "sacro recinto" 5:<br />
testimonianza, con il proprio passato, di una straordinaria capacità<br />
formativa, ed immagine, con il proprio presente, di quel<br />
radicamento alla natura che è l'unica speranza per la redenzione<br />
del mondo:<br />
"La Grecia non ha bisogno di archeologi; ma di<br />
rimboschitori, d'arboricoltura. Una Grecia verdeggiante<br />
può dare speranza a un mondo oggi corroso dalla<br />
putredine. [...] la Grecia non è un piccolo paese: è<br />
straordinariamente vasta [...] la Grecia è infinitamente<br />
più vasta degli Stati Uniti. La Grecia potrebbe assorbire<br />
3 "Scende all'inferno come Dante e poi ascende la montagna per trovare le porte<br />
del paradiso in Grecia. New York è l'ingresso agli inferi, Parigi l'ingresso al<br />
purgatorio, la Grecia l'ingresso al paradiso." Erica Jong, Il diavolo fra noi,<br />
Milano, Bompiani, 1993, p. 157.<br />
4 H. Miller, Colosso, Milano, Mondadori, 1948, p. 23. (ed. orig. H.M., The<br />
colossus of Maroussi, Colt Press, California, 1941)<br />
5 ibidem, p. 24-5.<br />
3
gli Stati Uniti e l'Europa insieme. La Grecia è piccola<br />
come la Cina o l'India." 6<br />
Miller trova nella Grecia un paradiso in terra, l'espressione<br />
tangibile di una dimensione spirituale che appare senza tempo.<br />
Trova un panorama naturale incontaminato, dove corpo e spirito<br />
sono in armonia e dove l'uomo non è più estraneo alla creazione,<br />
ma parte integrante di essa. L'uomo ritrova la propria dimensione<br />
all'interno del cosmo, rinunciando alla propria volontà di dominio<br />
ed accettando i ritmi e le leggi della natura:<br />
"La strada per Epidauro è come la via della creazione. Si<br />
desiste dal cercare. Si diventa muti, immobilizzati dal<br />
silenzio dei misteriosi inizi. [...] Il paesaggio non<br />
indietreggia, si stabilisce negli aperti spazi del cuore; si<br />
addensa, s'accalca, vi spossessa. Non correte piú<br />
attraverso qualche cosa - chiamatela Natura, se vi garba<br />
- ma partecipate ad una disfatta, la disfatta delle forze<br />
della cupidigia, della malizia, dell'invidia, dell'egoismo" 7<br />
La Grecia assurge al rango di simbolo della vita e della sua<br />
capacità di rigenerare e rigenerarsi, oltre le costruzioni effimere<br />
dell'umanità. Il viaggio attraverso i luoghi della classicità da Atene<br />
ad Epidauro, da Erakleion a Cnosso, Tebe, Micene, diventa un<br />
percorso a ritroso verso l'origine della civiltà, e verso l'origine<br />
della vita. Questo "ritorno all'utero", come Miller ama definirlo, ha<br />
il senso di una presa di coscienza dell'uomo sul proprio ruolo<br />
nella creazione: il suo posto non é tanto nella natura, quanto tra la<br />
natura e il divino, ponte non simbolico ma concreto tra la materia<br />
e quella dimensione spirituale che le dá un senso, e che dá un<br />
senso a tutta l'esperienza. Essere consapevoli di ció significa<br />
cambiare il senso della storia dell'umanitá, che non sará piú una<br />
lotta per l'affermazione sugli altri e sul mondo ma una progressiva<br />
riscoperta delle radici divine che sono nell'uomo e che ne fondano<br />
la sua stessa umanitá. Già da questa intonazione mistica e<br />
dall'enfasi sulla dimensione spirituale si comprende il<br />
6 ibidem, p. 66-7.<br />
7 ibidem, p. 102<br />
4
cambiamento in atto. Cambiamento di cui lo scrittore americano è<br />
pienamente consapevole, e che anzi rivendica insistentemente:<br />
"Questo è il primo giorno della mia vita, dissi a me<br />
stesso, in cui ho incluso ognuno e ogni cosa sulla terra in<br />
un solo pensiero. Benedico il mondo, ne benedico ogni<br />
centimetro, ogni atomo vivente e tutto è vivo, respirante<br />
come me e pienamente conscio" 8<br />
Con il viaggio in Grecia si apre un nuovo capitolo della vita di<br />
Miller: è da qui che comincia il suo interesse per la filosofia Zen. Il<br />
pensiero dell'accettazione, l'idea che l'uomo debba lasciarsi fluire<br />
nella corrente della vita, accettando la legge del divenire, tutto ciò<br />
trovava corrispondenza nel pensiero dei grandi saggi orientali, e<br />
nell'intonazione mistica della loro filosofia. L'aspetto profetico,<br />
visionario già presente in Miller si accentua. La prospettiva<br />
spengleriana è stata assorbita e, per così dire, consumata 9. Ora è<br />
la saggezza orientale a fornire gli strumenti concettuali per la<br />
comprensione del presente. L'elemento sapienziale si fà più<br />
forte, dominante 10. Tant'è che sarà proprio questa prospettiva a<br />
caratterizzare la figura di Miller nell'immediato dopoguerra,<br />
quando si stabilirà come in un eremo sulla selvaggia costa<br />
californiana attorno a Big Sur: come un pensatore mistico, un<br />
8 ibidem, p. 197.<br />
9 Il Tramonto cede il passo alle nuove letture, ma non sparisce del tutto. Nel<br />
Colosso, la prospettiva sulla Grecia risente dell'interpretazione spengleriana: "C.B.<br />
[l'intervistatore Christian de Bartillat, n.d.r.] - Spengler diceva che in Grecia tutto<br />
è corpo, che l'architettura è in realtà scultura, e che il cosmo stesso è un grande<br />
corpo di cui l'uomo è il centro assoluto. H.M. - In India, mi sembra che non si<br />
sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito: sono sempre stati legati tra<br />
loro, e come in Grecia fanno tutt'uno." H. Miller, Conversazioni a Pacific<br />
Palisades, cit., p. 81. Si vedano anche alcuni passi del Colosso: "Siamo diventati<br />
dei nomadi spirituali" (p. 155), "La più antica costruzione di Erakleion<br />
sopravviverà alla più moderna costruzione americana. Gli organismi muoiono, la<br />
cellula continua a vivere. La vita è nlle radici" (p. 179).<br />
10 "D' un tratto le lunghe frasi tortuose di Cancro e Capricorno, piene di<br />
oltraggiose e surreali contraddizioni, sono diventate brevi, chiare, rilucenti in<br />
Colosso. Lo scrittore si è sublimato in veggente". Poco più avanti si legge: "Fu in<br />
Grecia che trovò la sua vera vocazione di autore/saggio". Vedi Erica Jong, Il<br />
diavolo fra noi, cit., p. 156 e 157.<br />
5
vero e proprio guru, un apostolo del sesso e della liberazione<br />
spirituale lo vedono gli scrittori della beat-generation 11.<br />
Compaiono motivi come l'identificazione arte-persona, l'enfasi<br />
sull"artista della vita" ovvero sull'artista che fa della sua stessa vita<br />
un'opera d'arte, l'insistenza sulla necessità di un rivolgimento<br />
spirituale e sull'avvento di un'Era dello Spirito Santo.<br />
Abbiamo situato più o meno attorno al 1939 una cesura<br />
fondamentale: da una parte il Miller della trilogia parigina, dall'altra<br />
il Miller "orientale" di Big Sur e della trilogia americana. Questa<br />
distinzione ci consente di non indugiare sulle opere del secondo<br />
periodo: come abbiamo visto, esso procede sotto l'influenza di<br />
sistemi di pensiero lontani dal Tramonto. E, se é vero che proprio<br />
in Plexus (1953) troviamo il contributo piú corposo su Spengler,<br />
non dobbiamo dimenticare che esso avviene retrospettivamente, e<br />
si inquadra in un romanzo autobiografico che vuole rievocare gli<br />
anni della Grande Depressione in America. D'altra parte, quel<br />
fondo di temi milleriani che attraversano tutta la sua produzione, e<br />
che quindi sono presenti in queste opere, si trovano, con bel altro<br />
peso e come assi portanti, nella produzione parigina, e<br />
specificatamente nel primo e più celebre romanzo.<br />
La lettura spengleriana si concentrerà quindi su Cancro: anche<br />
se in altri romanzi sono presenti spunti spengleriani, anche se vi<br />
compaiono singole intuizioni che possono essere fatte risalire al<br />
Tramonto 12, tuttavia é solo in Cancro che queste intuizioni<br />
trovano la ricomposizione in un tutto organico. Lì emerge una<br />
visione della contemporaneitá, una immagine della storia e del<br />
divenire, una teoria della vita e dell'arte che mostrano la loro<br />
vicinanza alle posizioni spengleriane. I simboli della decadenza,<br />
11 Questa é anche l'immagine che emerge da buona parte della critica milleriana.<br />
Basti ricordare K. Shapiro, che parla di Miller come di uno "scrittore sapienziale",<br />
un "santo", un "Gandhi col pene", "scrittore di Saggezza, intendendo per<br />
letteratura di Saggezza un tipo di letteratura che sta tra la letteratura e le Scritture"<br />
(vedi K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente' in AAVV, H.Miller, il sesso, la<br />
censura e Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 41-61).<br />
12 Questo vale anche per il caso giá citato di Plexus, dove la riflessione finale su<br />
Spengler ha carattere di digressione e non incide sulla struttura complessiva del<br />
romanzo.<br />
6
come i simboli del riscatto e della salvezza, procedono sulla<br />
falsariga della filosofia del Tramonto. Questo significherá, a<br />
seconda dei casi, o una diretta influenza spengleriana, oppure la<br />
compartecipazione ad un clima culturale comune: partendo dal<br />
comune presupposto di una evidente crisi della civiltà, vedremo<br />
come affine sarà anche, pur nel divergere di interessi lontani, la<br />
direzione verso la quale si volgeranno per individuare la forza che<br />
salva dalla decadenza. L'impostazione del percorso sarà identica<br />
nei due, anche se porterà a soluzioni spesso contrastanti tra loro.<br />
Il periodo che va dalla seconda metà degli anni Venti fino al<br />
1934, anno della pubblicazione di Cancro, è il più intenso per la<br />
formazione di Miller: accanto a Joyce, Proust, Nietzsche,<br />
Spengler vi occupa un posto di primo piano. Il peso della sua<br />
presenza lo si avverte scorrendo l'epistolario Miller-Nin. Anais<br />
Nin, scrittrice e per breve tempo amante di Miller, fu soprattutto<br />
un'amica che lo incoraggiò come scrittore e che lo sostenne<br />
economicamente, finanziandogli la pubblicazione di Cancro: essa<br />
fu inoltre una interlocutrice sensibile ed acuta per le riflessioni<br />
dello scrittore americano sull'arte, sulla propria visione del<br />
mondo, e soprattutto sul senso del propria lavoro.<br />
Scorrendo l'indice analitico alla fine delle Lettere ad Anais Nin 13<br />
e di Storia di una passione. Lettere 1932-1953 14, ci si rende conto<br />
che Spengler è l'intellettuale più citato dopo D.H.Lawrence. Se<br />
controlliamo le citazioni, vedremo che il suo nome compare<br />
prevalentemente nel periodo tra il febbraio del '32 (Miller e la Nin<br />
si conoscono alla fine del '31) e la fine del '33: esattamente gli anni<br />
della stesura definitiva di Cancro, di Capricorno e dell'inizio di<br />
Primavera. E' Miller che fa conoscere il filosofo tedesco alla Nin:<br />
"Sto leggendo Spengler e ne sono entusiasta. Non mi<br />
sarei mai aspettata di provare un tale senso di meraviglia,<br />
13 H. Miller, Lettere ad Anais Nin, Milano, Longanesi, 1987. Le lettere coprono<br />
un arco di tempo che va dal 1931 al 1946.<br />
14 H.Miller-A.Nin, Storia di una passione. Lettere 1932-1953, Milano,<br />
Bompiani, 1994. Le due raccolte presentano, tranne in rari casi, lettere diverse.<br />
7
vastità e ricchezza. Mi piacerebbe poterne parlare con<br />
te. Non voglio leggere altro." 15<br />
Il nome di Spengler compare spessissimo nelle lettere tra i due: a<br />
volte viene citato solo il nome, a volte una breve citazione, altre<br />
volte ancora compaiono giudizi sul Tramonto 16. Due sono però i<br />
passi più significativi: innanzitutto, perchè asseriscono<br />
esplicitamente il legame tra Cancro e il Tramonto 17, e poi perchè<br />
mettono in rilievo i due aspetti del rapporto Miller-Spengler, la<br />
condanna della decadenza occidentale e l'adesione al culto della<br />
vita. La prima citazione è del 2 Agosto 1932, ed è una lettera di<br />
Anais Nin:<br />
"Le ultime pagine di Tropico del Cancro sono<br />
magnifiche. Non potrebbe esserci finale migliore. [...]<br />
Spengler dice che tutto ciò cui appiccichiamo parole, in<br />
un certo senso lo conquistiamo, e questo, dal momento<br />
che le paorle non sono appiccicate a niente, siccome è<br />
puro delirio, rivela quello che vuoi dire: sconfitta.<br />
Indubbiamente, se il mondo sta andando a pezzei (e non<br />
lo credo) tu sei l'arcidistruttore. Queste pagine lo<br />
provano senza ombra di dubbio. Lo testimonia tutto ciò<br />
che scrivi. Sono le profezie di Spengler che tu<br />
materializzi, a ogni tuo romanzo." 18<br />
15 H.Miller-A.Nin, Storia di una passione. Lettere 1932-1953, cit., p. 95. La<br />
lettera è del 22 luglio 1932.<br />
16 In una lettera del febbraio 1932 Miller ad esempio scrive, riferendosi alla sua<br />
esperienza di insegnante al Liceo Carnot di Digione: "Ho contagiato i surveillants<br />
con il virus di Spengler". Il nome di Spengler ricompare nell'ottobre 1932: "Devo,<br />
ad esempio, dare un'occhiata [...] al primo volume di Spengler (per il<br />
Rinascimento)". In una lettera del marzo 1933 si legge che "quella di Spengler è<br />
stata la descrizione del corso sismografico dell'uomo che vive nelle Civiltà." E le<br />
citazioni proseguono con questa cadenza fino alla fine del 1933; da qui diventano<br />
sempre più rare. Vedi H.Miller, Lettere ad Anais Nin, cit., p. 64, 141, 159.<br />
17 J. Martin, nella sua biografia, riferendosi alla genesi del romanzo scrive:<br />
"George Grosz's paintings, as well as Grosz's and Spengler's ideas about 'the latecity<br />
man', were inserted"; J. Martin, Always Merry and Bright, cit., p. 251. Vedi<br />
anche gli appunti di Miller con il piano di lavoro degli anni 1932-33 (stesura di<br />
Capricorno e sistemazione di Cancro), in H. Miller, H.M. on writing, N.Y., New<br />
Directions, 1964, p. 161.<br />
18 H.Miller-A.Nin, Storia di una passione, cit., p. 113.<br />
8
Qui viene intrecciato un rapporto basato sull'interpretazione della<br />
modernità come decadenza. E' l'aspetto "negativo" presente nei<br />
due, l'indagine sulla polarità della morte. In questo senso Cancro<br />
proverebbe, con l'efficacia delle sue immagini, la tragica attualità<br />
delle previsioni di Spengler. Ma, all'estremo della morte, rimane<br />
per entrambi una forza che salva, la Vita. Così scrive Miller il 7<br />
marzo 1933:<br />
"'La paura e il terrore del mondo', dice Spengler, le<br />
tragiche sorgenti della vita, secondo il punto di vista<br />
nietzscheano. In ogni caso, la vita ridotta ai suoi terrori<br />
fondamentali, [...] alla sua assurdità, alla sua sublimità.<br />
Ma comunque la Vita... anche se la via passa attraverso<br />
la morte. E pertanto [...] il modo giusto di guardare<br />
attraverso il telescopio è dalla Vita. La morte è un punto<br />
di partenza, un incrocio dal quale partono infinite<br />
possibilità. Ma tutte le possibilità devono essere vissute<br />
nella Vita." 19<br />
Qui egli mette bene a fuoco l'altro aspetto della filosofia<br />
spengleriana, e, di riflesso, della propria lettura della modernità: al<br />
di là della denuncia del tramonto c'è anche la fiducia nel divenire<br />
della storia, o, in termini milleriani, nel "flusso della vita".<br />
Dall'indagine sugli aspetti distruttivi della morte si passa senza<br />
soluzione di continuità alla prospettiva della vita. Morte e vita si<br />
configurano come i due poli della riflessione. Tutta l'analisi di<br />
Cancro si svolgerà sulla falsariga di questa impostazione dialettica,<br />
dove la fine è sempre anche un nuovo inizio, e dove la distruzione<br />
apre sempre la strada a nuove creazioni.<br />
III. 2. Miller e "Tropico del Cancro" simboli del proprio tempo<br />
La prima stesura di Cancro è del 1931: l'edizione definitiva è di<br />
tre anni posteriore. Il romanzo venne pubblicato da una piccola<br />
casa editrice parigina di lingua inglese, la Obelisk Press di Jack<br />
Kahane. L'editore aveva preso tutte le precauzioni per evitare<br />
19 H. Miller, Lettere ad Anais Nin, cit., p. 164-5.<br />
9
problemi con la censura francese: tiratura limitata, prezzo<br />
proibitivo e divieto di esporre il libro in vetrina. Ciononostante, il<br />
libro fece scandalo ed ottenne anche un clamoroso successo,<br />
tanto che ne fu stampata subito una seconda edizione. La<br />
diffusione in Europa e poi nel mondo fu immediata, con<br />
l'eccezione dei paesi di lingua inglese, dove Tropico del Cancro e<br />
buona parte della produzione successiva di Miller furono banditi<br />
come "osceni", in ciò seguendo una tradizione illustre di<br />
censurati, da L'amante di Lady Chatterley a Ulisse di Joyce. Il<br />
romanzo tuttavia circolò, clandestinamente, anche negli Stati Uniti.<br />
Il Cancro del titolo è simbolico, ed in più sensi. Cancro è<br />
innanzitutto una malattia, un tumore maligno che divora la civiltà<br />
occidentale dal suo interno. Ma non solo:<br />
"Il titolo [...] è un titolo simbolico. Tropico del<br />
Cancro è il nome che nei libri scolastici si dà alla<br />
zona temperata posta al di sopra dell'equatore. Al<br />
di sotto dell'Equatore si trova il Tropico del<br />
Capricorno che è la zona temperata del Sud. Il<br />
libro, naturalmente, non ha nulla a vedere neanche<br />
con le condizioni climatiche, a meno che non sia<br />
una specie di clima mentale. Cancro è un nome<br />
che mi ha sempre incuriosito: lo troverete anche<br />
nello zodiaco. Etimologicamente, viene da<br />
chancre, che significa gambero. [...] Il gambero è<br />
il solo essere vivente che può camminare<br />
all'indietro, in avanti e di lato con eguale facilità.<br />
[...] Tra parentesi, il libro è stato pubblicato a<br />
Parigi perchè è troppo osceno per l'Inghilterra o<br />
per l'America. C'è troppo cancro, non so se mi<br />
capite..." 20<br />
Il Tropico del Cancro, per mantenere la metafora medica, è al<br />
contempo prognosi e diagnosi. La coordinata geografica richiama<br />
l'attenzione su un punto dove i sintomi della metastasi<br />
dell'Occidente sono più evidenti: mostra il punto finale di un<br />
20 H. Miller, 'Via Dieppe-Newhaven', in Max e i fagociti bianchi, Milano,<br />
Meridiani Mondadori, 1992, p. 1070.<br />
10
percorso storico, l'impasse di una civiltà giunta al punto estremo<br />
di realizzazione lungo un cammino sbagliato. Allo stesso tempo, il<br />
cancro è prognosi, figura simbolica che mostra il destino<br />
dell'Occidente e il tragitto che resta da percorrere affinchè questo<br />
destino si compia pienamente.<br />
Il Cancro implica un giudizio sul mondo contemporaneo.<br />
L'immagine è pessimistica e nel corso del romanzo assume tratti<br />
addirittura apocalittici:<br />
"Boris mi ha fornito poco fa un compendio di<br />
come la vede. E' un profeta del tempo. Farà brutto<br />
ancora, dice. Ci saranno ancora calamità, ancora<br />
morte, disperazione. Non c'è il minimo indizio di<br />
cambiamento. Il cancro del tempo ci divora. I<br />
nostri eroi si sono uccisi, o s'uccidono.<br />
Protagonista, dunque, non è il Tempo, ma<br />
l'Atemporalità. Dobbiamo metterci al passo, passo<br />
serrato verso la prigione della morte. Non c'è<br />
scampo. Non cambierà stagione." 21<br />
Questa è l'atmosfera che aleggia nel Tropico del Cancro: la<br />
sensazione di una fine imminente, la consapevolezza di un mondo<br />
destinato a spegnersi in un tramonto sanguinoso e violento.<br />
Certamente, nel romanzo si riversano molti rancori e molte<br />
frustrazioni personali di Miller, ma questo non ci deve portare a<br />
ingabbiare l'opera nei parametri di uno sfogo soggettivo. Tropico<br />
del Cancro ha un valore soprattutto come opera simbolo del<br />
proprio tempo: indica i sintomi di un morbo ed è al contempo<br />
sintomo e rimedio. C'è un'identificazione che è triplice e che<br />
procede secondo un movimento circolare che collega ogni<br />
termine agli altri due: il tramonto dell'occidente è il Cancro, che è<br />
Miller 22, che è a sua volta simbolo, come uomo e come<br />
personaggio letterario, della propria epoca. Un simbolo che<br />
21 H. Miller, Tropico del Cancro, Milano, Mondadori, 1991, p. 5.<br />
22 "Sono Cancro, il granchio, che si muove di lato e in avanti e all'indietro, a<br />
volontà. Agisco in tropici strani e tratto in esplosivi potenti, liquidi per<br />
imbalsamare, diaspro, mirra, smeraldi, moccio sottile e ditini di porcospino." H.<br />
Miller, Primavera nera, Milano, Meridiani Mondadori, 1992, p. 674.<br />
11
mostra l'azione di quelle leggi eterne che muovono gli eventi della<br />
storia:<br />
"Non riesco a dimenticare che sto facendo storia,<br />
una storia che, come un sifiloma, divorerà l'altra<br />
storia insignificante. Io non mi considero un libro,<br />
un documento, una testimonianza, ma una storia<br />
del nostro tempo - una storia di ogni tempo." 23<br />
Qui l'atteggiamento di Miller è del tutto identico a quello di<br />
Spengler: l'obiettivo è quello di mostrare, sotto l'apparente caos<br />
degli eventi, il ripetersi ciclico e periodico di identiche leggi di<br />
natura, il perpetuarsi di un ordine eterno ed immutabile che muove<br />
nascostamente le pedine della storia 24. C'è in entrambi un<br />
atteggiamento di sufficienza nei confronti degli eventi concreti, se<br />
non quando possano assurgere al rango di simboli, intesi qui<br />
come chiavi d'accesso alla dimensione delle leggi del<br />
macrocosmo. Ecco cosa scrive Spengler:<br />
"Io non scrivo per alcuni mesi o per il prossimo<br />
anno, bensì per l'avvenire [...] Ciò che è esatto<br />
non può essere tolto di mezzo da un<br />
avvenimento." 25<br />
Ed ecco ciò che scrive Miller:<br />
"La realtà è senza interesse. Piatta. [...] la grande<br />
rivisitazione panoramica del passato che fa<br />
Spengler è piena di vita e significato per me. Gli<br />
eventi concreti mi hanno sempre lasciato<br />
indifferente." 26<br />
23 ibidem, p. 669.<br />
24 Su questo punto l'influenza spengleriana è evidente. Vedi in merito Giuseppe<br />
Picca, Introduzione a Henry Miller, Milano, Mursia, 1976, p. 41-42 e 130-131.<br />
25 O. Spengler, Anni decisivi, Milano, Bompiani, 1934, p. 10.<br />
26 Henry Miller-Anais Nin, Storia di una passione. Lettere 1932-1953,<br />
Milano, Bompiani, 1994, p. 225.<br />
12
"Una cosa mi sembra sommamente palese, ed è<br />
che la condanna e la distruzione, le quali figurano<br />
tanto spiccatamente in tutte le profezie, vengono<br />
dalla conoscenza certa che l'elemento storico o<br />
cosmico nella vita dell'uomo è solo transitorio. [...]<br />
La storia deve seguire il suo corso, diciamo. E'<br />
vero, ma perchè ? Perchè la storia è il mito, il vero<br />
mito" 27<br />
Le affinità sono evidenti: c'è un modo comune e specifico di<br />
porre il problema della crisi dell'occidente, c'è un metro comune<br />
che è quello dei secoli e delle epoche. Il presupposto è quello<br />
della presenza di un ritmo periodico della storia e della natura<br />
sotto l'intreccio degli eventi ( il goethiano "tutto ciò che passa non<br />
è che un simbolo" ): esso fornisce a Spengler le fondamenta della<br />
sua filosofia della storia e gli strumenti per cogliere il significato<br />
profondo della modernità, ed a Miller la possibilità di indicare,<br />
oltre il disfacimento, anche una concreta speranza di riscatto, nella<br />
convinzione che la fine dell'occidente rappresenti solo un<br />
esempio dell'eterno farsi e disfarsi delle forme, oltre il quale<br />
permane la forza creatrice della natura.<br />
Applichiamo ora una metodologia spengleriana: cerchiamo di<br />
scorgere il volto di un'epoca attraverso il senso delle sue forme. I<br />
grandi movimenti della vita del macrocosmo acquistano così una<br />
visibilità concreta e sintetica nella dimensione estetica del simbolo.<br />
Nello scrivere Tropico del Cancro, Miller partiva da un progetto<br />
titanico: mettere in un libro tutto, tutto il proprio mondo, tutto sè<br />
stesso, tutto ciò che sapeva. L'impresa era assurda, e se ne<br />
accorse presto anche Miller:<br />
"Il manoscritto era enorme, e l'ho notevolmente<br />
ridotto con l'aiuto di Perlès. Tutto era superfluo, ci<br />
avevo voluto metter dentro tutto. Lo dicevo,<br />
27 Henry Miller, Plexus, Milano, Longanesi, 1960, p. 417.<br />
13
persino: 'Tutto quello che so, voglio metterlo in<br />
questo libro'." 28<br />
E' però un'intenzione che ci illumina sul significato del romanzo:<br />
c'è alla base la volontà di trasferire la vita stessa dalla realtà alla<br />
pagina scritta, e l'idea che sia la realtà stessa, o almeno il suo<br />
senso profondo, a trasporsi nella parola. In questo senso l'artista<br />
appare come una sorta di mistico visionario, strumento passivo<br />
di forze impersonali: ed è questo il presupposto essenziale di tutta<br />
l'opera di Miller.<br />
L'estetica milleriana è fondata sull'idea romantica del genio 29. Ne<br />
troviamo una chiara enunciazione ne Il tempo degli assassini.<br />
Saggio critico su Rimbaud. L'identificazione col poeta francese è<br />
talmente evidente e dichiarata, da permetterci di applicare senza<br />
dubbio le riflessioni su Rimbaud allo stesso Miller:<br />
E, più avanti:<br />
"Capitava con lui come con Blake e con Jacob<br />
Boehme: tutto quanto enunziavano era vero,<br />
letterale e ispirato. Erano immersi<br />
nell'immaginazione; i loro sogni erano realtà, realtà<br />
che a noi rimangono ancora da sperimentare [...].<br />
Il 'benevolo' orgoglio del genio consiste nella sua<br />
volontà che deve essere spezzata" 30<br />
28 Henry Miller, Conversazioni a Pacific Palisades. Con Christian de Bartillat,<br />
Parma, Guanda, 1992, p. 56.<br />
29 Su questa filiazione romantica, vedi:<br />
Montgomery Belgion, 'French chronicle' in The criterion, XV, 86, ottobre 1935.<br />
Carla De Petris, 'Henry Miller' in Letteratura americana. I contemporanei.<br />
W.A. Gordon, The Mind and Art of H.M., Baton Rouge, Lousiana State U.P.,<br />
1967.<br />
Giuseppe Picca, Introduzione a H.M., Milano, Mursia, 1976, p. 159-160.<br />
Karl Shapiro, 'Il più grande autore vivente', in AAVV., Miller, il sesso, la<br />
censura e il Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 41-61.<br />
30 Henry Miller, Il tempo degli assassini. Saggio critico su Rimbaud, Milano,<br />
Sugarco, 1986, p. 81.<br />
14
"Un artista si procura il diritto di chiamarsi un<br />
creatore, solo quando ammette con se stesso di<br />
non essere che uno strumento. [...] L'uomo non<br />
crea nulla da sé e di per sé. Tutto è creato, tutto è<br />
stato predesignato...e nondimeno c'è libertà.<br />
Libertà di cantare le lodi di Dio. E' questa l'azione<br />
più alta che l'uomo possa compiere [...]. E' questa<br />
la sua libertà e la sua salvezza, posto che è la sola<br />
maniera di dire sì alla vita." 31<br />
Il ritratto dell'artista che se ne deduce è quello di un uomo<br />
soggetto a forze occulte, mosso da volontà imponderabili e<br />
imperscrutabili. La creazione diventa allora l'azione più sublime<br />
per l'uomo, in quanto egli si fa strumento di Dio, della verità.<br />
L'arte sarebbe insomma un atto di pura passività, una trascrizione<br />
fedele di eventi, sentimenti e pensieri che si riflettono in quello<br />
specchio che è l'artista. La parola specchio va presa con estrema<br />
cautela: l'artista è uno specchio, certo, ma a chi si riflette esso<br />
rimanda un simbolo, cioè un'immagine formata secondo il proprio<br />
codice espressivo. Occorre fissare bene i termini del problema: il<br />
concetto milleriano del genio romantico, l'idea mistica della<br />
creazione artistica, l'enfasi sulla spersonalizzazione dell'atto<br />
creativo, questi sono tutti elementi che servono per mettere in<br />
rilievo come un artista ed un'opera d'arte esprimano sempre, nel<br />
linguaggio del simbolo, la storia del proprio tempo. Nel simbolo<br />
l'artista mostra, consapevolmente e inconsapevolmente, di<br />
appartenere ad un destino, al destino del proprio mondo: nei<br />
termini di Spengler, l'artista e il pensatore possono scegliere dei<br />
simboli per dar forma alle proprie creazioni, ma non il simbolo<br />
primo, che è già deciso, già destinato 32. Ogni civiltà ha avuto una<br />
propria lingua espressiva, con la quale ha comunicato il proprio<br />
31 ibidem, p. 103.<br />
32 "Lo stesso simbolo originario [...] agisce nel sentimento della forma di ogni<br />
uomo, di ogni comunità, di ogni stadio ed epoca dettando lo stile di tutte le<br />
manifestazioni della vita. Esso vive nelle forme politiche, nei miti e nei culti<br />
religiosi, negli ideali dell'etica, nelle varietà della pittura, della musica e della<br />
poesia" O. Spengler, Il tramonto dell'occidente, Parma, Guanda, 1991, p.<br />
269.<br />
15
significato. Ogni civiltà ha avuto il suo stile, espressione di una<br />
forma con la quale l'artista si trova, suo malgrado, a dover fare i<br />
conti: fin dalla nascita, il suo vocabolario espressivo è deciso.<br />
Prima della sua opera, è lo stesso Henry Miller ad essere un<br />
simbolo del proprio tempo. Utilizziamo qui le categorie di<br />
Spengler. Così scrive nella prefazione all'edizione definitiva del<br />
Tramonto dell'occidente:<br />
"Un pensatore è un uomo chiamato a esprimere<br />
simbolicamente il suo tempo mediante il suo<br />
potere di visione e di comprensione. A lui non è<br />
dato di scegliere. [...] Solo questo elemento<br />
simbolico, ricettacolo ed espressione di umana<br />
storia, ha carattere di necessità." 33<br />
Spengler sottolinea l'elemento destinale e quindi il carattere di<br />
necessità presente nella vita di un pensatore o di un artista ( il<br />
senso della loro creazione è analogo ). Egli è simbolo prescelto<br />
e necessario per esprimere una storia, che sarà necessariamente<br />
la storia sua e dei suoi tempi 34. Su questo punto, Miller e<br />
Spengler si esprimono in termini poco dissimili:<br />
"Per strada io mi espongo agli elementi distruttori e<br />
disintegratori che mi circondano. Lascio che ogni<br />
cosa mi sconquassi. Mi chino a spiare i processi<br />
segreti, a obbedire piuttosto che comandare" 35<br />
Così scrive Spengler:<br />
"Un pensiero avente storica necessità, un pensiero<br />
che, dunque, non cade semplicemente in un'epoca,<br />
ma che fa un'epoca, è solo in un senso assai<br />
limitato proprietà di colui cui capita di esprimerlo.<br />
33 ibidem, p. 3-4.<br />
34 Vedi p. 3, nota 4.<br />
35 H. Miller, Primavera nera, cit., p. 673.<br />
16
Esso appartiene piuttosto a tutta l'epoca; esso<br />
agisce inconsciamente nello spirito di tutti" 36<br />
Se la fisionomia dell'artista e dell'opera d'arte è così legata al<br />
macrocosmo nel quale si trova a vivere, occorre allora osservare<br />
in che misura la figura di Henry Miller e la sua opera rientrino nella<br />
tipologia spengleriana dell'artista moderno.<br />
L'interpretazione di Spengler dell'arte contemporanea è<br />
totalmente negativa: d'altra parte, essa non può che riflettere la<br />
diagnosi pessimistica che investe l'intera civiltà euro -americana.<br />
L'occidente è al tramonto e non ha più energia spirituali da<br />
spendere: la carica vitale che ne ha costruito le fortune si è spenta<br />
lasciando il posto a forme tipiche di un'epoca di civilizzazione. La<br />
vita si concentra nell'impersonalità e nella massificazione delle<br />
metropoli, dove la fisionomia dei volti umani si riduce ad una<br />
maschera, il contatto con le fonti originarie dell'esistenza, terra,<br />
sangue, razza, viene a perdersi, mentre la tecnica sottrae all'uomo<br />
la sua potenza creativa e sfigura il volto della terra: le forme<br />
dell'arte non potranno allora che riflettere questa generale<br />
decadenza e testimoniare il venir meno del legame tra uomo e<br />
natura. Ma l'arte moderna ha perso la propria capacità di<br />
espressione attraverso il simbolo: esso è l'immagine di un legame<br />
organico tra microcosmo e macrocosmo, e quando questa<br />
simbiosi viene spezzata, anche l'arte perde di significato 37. Cessa<br />
di spiegare il destino di un civiltà e si limita a mostrarcelo nelle<br />
proprie forme sfatte e sterili, testimone dei tempi proprio<br />
attraverso questa perdita di significato e questo sopraggiunto<br />
nichilismo espressivo:<br />
"Un crepuscoleggiare di forme vuote,<br />
tradizionalistiche, momentaneamente rianimate<br />
36 O. Spengler, Il tramonto dell'occidente, cit., p. 7.<br />
37 Vedi in merito l'introduzione di Stefano Zecchi al Il tramonto dell'occidente:<br />
"Possiamo allora [...] stabilire questa equivalenza: una civiltà è l'insieme di<br />
espressioni simboliche divenute arte, religione, scienza, linguaggio: il suo<br />
tramonto è il tramonto della capacità di espressione simbolica" p. XX.<br />
17
arcaisticamente o ecclettisticamente, segna la fine.<br />
[...] Un lungo giocare con forme morte, con cui si<br />
vorrebbe perpetuare l'illusione di un'arte vivente" 38<br />
L'occidente vive in una fase di civilizzazione, e nelle epoche di<br />
civilizzazione la grande arte scompare. Alla necessità che<br />
formava le opere dell'arte nelle epoche precedenti si sostituisce<br />
il capriccio e la moda come criterio di giudizio 39. Tutto è<br />
superficiale, casuale ed arbitrario: l'arte non è più simbolo di<br />
un destino e diventa un manufatto, opera di mestiere,<br />
"intellettualismo":<br />
"La cultura si trasforma nello spirito delle grandi<br />
città che ora dominano il paesaggio e essa<br />
intellettualizza lo stesso stile. Ogni sublime<br />
simbolismo si sbiadisce; l'impeto di forme<br />
sovrumane declina [...]. Appare l'artista. Egli ora<br />
'progetta' ciò che prima nasceva dal suolo." 40<br />
La condanna è totale: l'impressionismo è solo l'espressione di uno<br />
stato d'animo, di un'arte fredda e malata che fa dell'artista un<br />
operaio, un abile artigiano e nulla più; l'espressionismo è una<br />
"sfrontata farsa" 41 costruita dal commercio artistico; con il<br />
Tristano di Wagner muore infine anche la musica, ultima<br />
espressione artistica dell'anima faustiana. Non è più il tempo<br />
dell'arte: l'era della cultura è finita 42.<br />
Alla condanna storica fa seguito una disamina dei caratteri che<br />
definiscono quest'arte decadente: la disarmonia, la tendenza<br />
all'informe e allo sproporzionato, la cerebralità ma soprattutto<br />
38 ibidem, p. 316.<br />
39 ibidem, p. 300.<br />
40 ibidem, p. 314.<br />
41 ibidem, p. 444.<br />
42 In un saggio dal titolo 'Of art and the future', in Sunday after the war, N.Y.,<br />
New Directions, 1944, Miller riprenderà questa espressione: "The cultural<br />
world in which we swam [...] is fast disappearing. The cultural era of Europe,<br />
and that includes America, is finished. The next era belongs to the technician"<br />
p. 148.<br />
18
l'arbitrarietà ed artificialità. La vita che animava le sue forme si è<br />
spenta e l'arte faustiana si accinge a morire per senilità, dopo aver<br />
portato a compimento le proprie potenzialità. Il cordone<br />
ombelicale che alimentava reciprocamente arte e civiltà è stato<br />
ora reciso:<br />
"Il segno di ogni arte vivente, cioè la pura armonia<br />
fra volontà, interna necessità e capacità, la<br />
naturalezza del fine, l'inconscio della realizzazione,<br />
l'unità di arte e di civiltà - tutto ciò è finito. [...]<br />
Prima, libertà e necessità si identificavano. Ora<br />
come libertà si concepisce una mancanza di<br />
disciplina." 43<br />
L'arte contemporanea è un "frastuono", un "ciarlare in fatto di<br />
teorie", il perpetuarsi della falsità sotto la maschera<br />
dell'espressione spirituale: quello che era il linguaggio dell'anima è<br />
divenuto "lingua morta, come il sanscrito e il latino<br />
ecclesiastico" 44. La riflessione prosegue in un crescendo di<br />
durezza, fino alla provocazione estrema:<br />
"Una cosa è certa: oggi si potrebbero chiudere tutti<br />
gli studi artistici senza che l'arte ne risenta in un<br />
qualche modo." 45<br />
All'interno di questo quadro, la figura di Henry Miller rientra<br />
certamente anche se in modo problematico. Abbiamo qui una<br />
singolare ambiguità, in virtù della quale in questa denuncia di<br />
un'arte decadente ed intellettualizzata può essere incluso<br />
43 O. Spengler, Il tramonto dell'occidente, cit., p. 440.<br />
44 ibidem, p. 444.<br />
45 ibidem, p. 443. Il grande interesse di Spengler per l'arte si ferma tuttavia,<br />
storicamente, al volgere del secolo. Anche nelle confessioni di A me stesso la<br />
condanna della contemporaneità è totale: "Tutto il mondo intellettuale<br />
contemporaneo mi fa l'effetto di un uggioso paesaggio decembrino, sporcizia,<br />
nebbia, freddo, qualche cornacchia svogliata su rami spogli." O. Spengler, A<br />
me stesso, Milano, Adelphi, 1993, p. 36-7.<br />
19
proprio quel Miller che quella denuncia condivide pienamente 46.<br />
Le ragioni della condanna spengleriana prefigurano quelle che<br />
saranno poi impostazioni critiche molto diffuse di fronte<br />
all'opera di Miller, e, fatto significativo, saranno le stesse<br />
ragioni che spingeranno Julius Evola, traduttore del Tramonto<br />
dell'occidente e studioso di Spengler, ad occuparsi del<br />
"fenomeno" Miller 47.<br />
Stile informe, barocco, disarmonico, immaginifico e fortemente<br />
personale, linguaggio volgare e osceno, predilizione che sfiora<br />
il morboso per tutto quanto è disgustoso, sordido e<br />
degradante: queste le definizioni, ora in positivo ora in negativo,<br />
che la critica ha attribuito all'opera di Henry Miller. Anche la<br />
sua figura sociale di artista trova riscontro nella descrizione di<br />
Spengler:<br />
"Per le possibilità che un'epoca concede all'arte è<br />
significativo considerare che genere di persone<br />
sente la "vocazione" dell'arte. In passato era l'élite,<br />
oggi gli scarti" 48<br />
"Ci sono poeti che in una mansarda con la stufa<br />
fredda e il soffitto che gocciola potrebbero sentirsi<br />
dei re [...]. Non intendo contestare che tutto ciò si<br />
possa accordare con un grande talento, ma<br />
contesto l'idea che questa 'interiorità' (secondo<br />
46 Miller scrive in Tropico del Cancro: "Un anno, sei mesi fa, pensavo di<br />
essere un artista. Ora non lo penso più, lo sono. Tutto quel che era letteratura<br />
mi è cascata di dosso. Non ci sono più libri da scrivere, grazie a dio." p. 6.<br />
Concetto ribadito in una delle sue frasi più celebri: "Ciò che non è in mezzo<br />
alla strada è falso, derivato, vale a dire: letteratura." H. Miller, Tropico del<br />
Capricorno, Milano, Meridiani Mondadori, 1992, p. 651.<br />
47 Evola sottolinea positivamente la critica alla civiltà moderna e americana in<br />
particolare, la denuncia di un mondo in disfacimento, mentre si dichiara<br />
infastidito dal tono discordante e disarmonico della narrazione, dal linguaggio<br />
triviale, dalla superficialità dei riferimenti culturali, dalla ingenuità delle soluzioni<br />
utopistiche, per poi concludere: "Nel complesso [...] nulla acquista una forma<br />
precisa". Vedi Julius Evola, 'Il fenomeno Henry Miller', in J. Evola,<br />
Ricognizioni. Uomini e problemi, p. 173-177.<br />
48 O. Spengler, A me stesso, cit., p. 78.<br />
20
l'opinione corrente) caratterizzi i grandi<br />
uomini.Goethe ad esempio si sarebbe inaridito" 49<br />
Henry Miller sembra rientrare pienamente in questo ritratto: nato<br />
e vissuto a New York, lascia l'America per la metropoli Parigi,<br />
dove vive di stenti e dove riesce a sopravvivere solo<br />
grazie all'aiuto economico di alcuni amici. La descrizione è<br />
calzante: artista da "cosmopoli", "nomade intellettuale" sradicato<br />
dalla propria terra ed in cerca di una identità, vagabondo che<br />
occupa i gradini più bassi della scala sociale. Inoltre, il suo stile<br />
violento ed osceno offriva il fianco all'accusa di ricercare<br />
scandalo e clamore, inseguendo una notorietà legata alla moda del<br />
momento. Egli è realmente un simbolo del proprio tempo:<br />
simbolo di un'epoca di crisi e di disagio, testimone di una civiltà<br />
allo sfacelo 50, interprete di un mondo dominato dalla<br />
consapevolezza che la morte è vicina. Tutto questo Miller lo<br />
esprime nella complessità della sua opera e nella contradditorietà<br />
della propria figura: pessimista sul destino dell'occidente ma<br />
ottimista sul futuro dell'uomo, critico implacabile dell'America<br />
come civiltà ormai morente ed esaltatore ammirato della millenaria<br />
cultura francese ed europea, scrittore dallo stile crudo ed al<br />
contempo visionario e metafisico, carnale ma anche fortemente<br />
intellettuale ( pochi scrittori hanno scritto e fatto tanto per gli altri<br />
artisti quanto Miller ), un uomo che è perfettamente consapevole<br />
del precipitare della situazione in Europa ( siamo alla metà degli<br />
anni Trenta ) ma che dall'alto delle profezie sul tramonto della<br />
civiltà rif iuta ogni intervento attivo, nella convinzione che sia inutile<br />
cercare di accelerare o frenare una fine ormai imminente 51. Artista<br />
che esprime tutte le lacerazioni del proprio tempo, dal disagio<br />
49 ibidem, p. 91.<br />
50 Vedi Mario Praz, 'Civiltà in sfacelo' in AAVV, Henry Miller, il sesso, la<br />
censura e Tropico del Cancro, cit., p. 108-111.<br />
51 Questo diceva ad Orwell, che si accingeva a partire per la guerra civile<br />
spagnola. Vedi George Orwell, 'Il ventre della balena', prefazione a Tropico del<br />
Cancro, cit., p. V-LI. Anche in AAVV, H. Miller, il sesso, la censura e Tropico<br />
del Cancro, cit., p. 62-97.<br />
21
sociale dell'artista 52 al contrasto tra i successi della tecnica e la<br />
disperazione della condizione umana, dall'odio per la macchina,<br />
forma simbolo del mondo tecnologico, alla tensione verso una<br />
perduta purezza che si risolve nell'abbandono della volontà allo<br />
scorrere della Vita, con tutte le disillusioni e le ingenuità che<br />
questo comporta.<br />
Molti di questi elementi erano stati indicati da Spengler, che<br />
d'altra parte non aveva negato il valore simbolico e<br />
rappresentativo di questa figura di artista: nella sua negatività egli<br />
costituisce l'immagine più efficace del tramonto dell'occidente.<br />
Questa è tutta l'arte che la modernità riesce a dare.<br />
Tuttavia, non c'è solo un aspetto passivo e necessitante in Henry<br />
Miller: la simbolicità, che finora abbiamo visto applicata alla sua<br />
immagine di artista, va applicata anche alla sua opera, e poi alle<br />
forme che costruiscono l'opera stessa. Tropico del Cancro ha<br />
questa simbolicità, ma non in senso negativo. Occorre svuotare il<br />
concetto di simbolo dalla negatività che assume nel pensiero<br />
spengleriano quando viene applicato all'interpretazione dell'arte<br />
contemporanea. Il filosofo tedesco non riesce a scorgere che,<br />
dietro l'apparente caos delle forme espressive dell'avanguardia, si<br />
cela in realtà una grande elaborazione simbolica, e che quello che<br />
può apparire caos testimonia certo della frammentarietà del reale,<br />
ma nella forma mediata dell'espressione estetica.<br />
Se ritorciamo su Spengler i suoi stessi principi, vediamo come<br />
anche la sua figura presenti una sostanziale ambiguità. Anche<br />
Spengler ha tutti i caratteri per essere un simbolo del proprio<br />
tempo, con quella duplicità di aspetti passivi e attivi che abbiamo<br />
riscontrato in Miller. Costruisce una serie di forme simboliche con<br />
le quali spiega la modernità, e nella quale anch`egli rientra di<br />
diritto, simbolo dell`epoca con tutti i pregi e con tutti quei limiti e<br />
difetti che proprio la sua opera ha contribuito ad illuminare 53.<br />
52 Un tema che sta molto a cuore a Miller e sul quale ritornerà più volte nelle sue<br />
opere, da Il tempo degli assassini, cit., a Ricordati di ricordare, Torino, Einaudi,<br />
1979.<br />
53 Theodor W. Adorno mette bene in rilievo il rientrare di Spengler nella propria<br />
immagine della civilizzazione: "A voler applicare allo stesso Spengler il linguaggio<br />
delle forme della civilizzazione da lui denunziata e nei modi a lui propri, non si<br />
22
Per Spengler l'arte moderna non ha più portata simbolica ed è<br />
l'immagine della morte di un'anima: ma, se Il tramonto<br />
dell'occidente pone l'arte su un terreno dove non si intravede la<br />
possibilità di un futuro, Tropico del Cancro rappresenta una<br />
risposta su questo stesso terreno, quasi a significare che anche<br />
nel deserto di una metropoli possono crescere i simboli della<br />
cultura. Sembra quasi che Miller accetti integralmente le regole del<br />
gioco stabilite da Spengler, per dimostrare che nonostante tutto<br />
l'artista riesce ancora a ritagliarsi un spazio proprio ed espressivo.<br />
Ed è così che Tropico del Cancro assume quasi il sapore di una<br />
scommessa vinta.<br />
III. 3. "Tropico del Cancro" e la crisi della civiltà<br />
La genesi di Tropico del Cancro risale ai primissimi anni Trenta,<br />
la pubblicazione è del settembre 1934. Possiamo seguirne la<br />
gestazione passo dopo passo, grazie alla testimonianza di<br />
"Boris", alias Michael Fraenkel. Libraio e scrittore americano,<br />
grande amico di Miller, lo aiuterà economicamente ospitandolo<br />
per alcuni mesi nel suo appartamento a Ville Seurat.<br />
Siamo nel 1930-1: gli Stati Uniti subiscono i postumi della<br />
grande crisi economica del 1929, l'Italia è da un decennio sotto il<br />
regime fascista, la Germania assiste all'ascesa di Hitler ed al crollo<br />
della repubblica di Weimar, mentre in Spagna nasce quella<br />
Repubblica che di lì a poco sarebbe stata teatro di una<br />
sanguinosa guerra civile, nell'indifferenza delle democrazie<br />
occidentali. Si andava sgretolando l'ordine europeo sancito a<br />
Versailles alla fine della prima guerra mondiale 54:<br />
potrebbe che paragonare 'Il tramonto dell'occidente` ad un gran magazzino dove<br />
sono offerti in vendita i frutti secchi delle letture che il gerente intellettuale ha<br />
arraffato a basso prezzo nella massa fallimentare della cultura. " T. W. Adorno,<br />
Prismi, Torino, Einaudi, 1972, p. 52.<br />
54 Sulla Grande Guerra come cesura tra due mondi, e come evento che apre la<br />
crisi, vedi la testimonianza di Stefan Zweig, Il mondo di ieri, Milano, Mondadori,<br />
1946.<br />
23
"Dovunque, incertezza, timore, confusione. La<br />
incomprensione totale. Un'altra crisi, diceva la<br />
gente.<br />
E le crisi si avvicendavano, crisi d'ogni genere,<br />
politiche, economiche, sociali [...] Era un banco di<br />
nebbia, una foschia, una condizione atmosferica:<br />
l'aria era pesante. [...]<br />
Nessuno sapeva quel che c'era dietro questa crisi,<br />
quel che c'era sotto questa muffa, sotto questa<br />
ruggine: si ignorava il marciume sotterraneo, che<br />
seguitava ad aprirsi la sua strada" 55<br />
La sensazione che si fosse alla fine di un'epoca era condivisa da<br />
molti intellettuali dell'epoca. Scrive ancora Fraenkel:<br />
"Eravamo alla fine di un'era, di una civiltà; un<br />
modo di vivere, un passato si andavano<br />
esaurendo: eravamo iscritti in un processo ciclico,<br />
organico. Ora, qualunque processo si esaurisce, si<br />
conclude, finisce si risolve. Si trattava<br />
semplicemente di fronteggiare e di accettare la<br />
Morte, con energia e risolutezza, di assumerla, per<br />
così dire, in sè stessi [...] e di sorpassarla." 56<br />
La diagnosi combacia con quella di Spengler, fin nei dettagli: la<br />
consapevolezza della crisi, una ciclicità organica che spiega il<br />
tramonto, e la fiducia nella possibilità di superare questa impasse<br />
vivendo sino in fondo l'esperienza di morte, o, nella terminologia<br />
spengleriana, accettando il proprio destino. Questa lettura della<br />
modernità aveva fatto la fortuna di Spengler, ma ne aveva anche<br />
decretato il successivo, rapido oblio (come pensatore dilettante,<br />
pessimista e reazionario). Tuttavia, attorno agli anni Venti tutti<br />
55 Michael Fraenkel, 'Genesi del Tropico del Cancro', in AAVV, Miller, il sesso,<br />
la censura e Tropico del Cancro, cit., p. 112-135.<br />
56 ibidem, p. 115.<br />
24
leggevano Il tramonto dell'occidente 57, e Spengler era diventato il<br />
filosofo del momento.<br />
Il tema della decadenza permeava tutta la cultura occidentale fra<br />
le due guerre. Basta passare in rassegna qualche titolo per<br />
rendersene conto: Il disagio della civiltà di Freud è del 1929, La<br />
crisi della civiltà di Huizinga ( che ha come riferimento polemico<br />
proprio Spengler ) è del 1935, La crisi delle scienze europee e la<br />
fenomenologia trascendentale di Husserl del 1936, La situazione<br />
spirituale del nostro tempo di Jaspers del 1931. Quanto alla<br />
letteratura, si possono ricordare opere come La montagna<br />
incantata di Mann ( 1924 ), L'uomo senza qualità di Musil (<br />
1930-33 ), Terra desolata di Eliot ( 1922 ) oppure i Cantos di<br />
Ezra Pound. La crisi dell'occidente portava poi con sè tutta una<br />
serie di approfondimenti sulla problematicità del mondo moderno<br />
e sulle sue prospettive: ne è un esempio la grande riflessione sulla<br />
tecnica e sul rapporto tra l'uomo e la moderna realtà tecnologica,<br />
riflessione che vede in quegli anni i contributi di Heidegger,<br />
Husserl, Junger, Spengler. Questo per dire come la questione<br />
sollevata da quest'ultimo avesse colto nel segno.<br />
In questa storia una parte importante è quella di Tropico del<br />
Cancro. Michael Fraenkel vi vede uno specchio dei tempi:<br />
"In principio era Henry Miller e in principio era il<br />
caos...[...] Essendo la sua vita caos, e caos il<br />
mondo, rispecchierà il caos della sua vita e quello<br />
del mondo. Era preparato per questo compito. Era<br />
maturo per 'Tropico del Cancro'." 58<br />
57 In un articolo, risalente al tempo della pubblicazione del Tramonto<br />
dell'occidente, si legge: "D'improvviso, tutti lo leggevano: i professori a lezione<br />
facevano mostra di modernità citandolo, le riviste pubblicavano lunghi articoli<br />
elogiativi, mai un'opera filosofica di quelle dimensioni aveva goduto di un simile<br />
successo presso tutte le fasce di lettori." citato in Giovanni Gurisatti, 'Fisionomia<br />
di un ripudiato', postfazione a O. Spengler, A me stesso, Milano, Adelphi, 1993,<br />
p. 114.<br />
58 M. Fraenkel, 'Genesi di Tropico del Cancro', cit., p. 122-3.<br />
25
Innanzitutto osserviamo il tono complessivo: l'atteggiamento non<br />
è quello di chi si accinga ad esaminare il problema isolandone<br />
minuziosamente gli elementi positivi da quelli negativi. E' piuttosto<br />
un rifiuto radicale e violento, che non fa distinzioni nè vuole farle,<br />
che non tollera sottigliezze e sordine. Nella metafora anarchica del<br />
libro come esplosivo, dinamite 59, scorgiamo l'intento di mettere<br />
una pietra sul passato: la storia dell'occidente è la storia di un<br />
errore di percorso, una deviazione dal senso della vita umana.<br />
La negazione dell'occidente coinvolge quindi non solo le forme<br />
estreme della sua decadenza, ma anche e soprattutto i suoi<br />
principi fondanti. Ogni valore viene rifiutato:<br />
"Questo non è un libro. [...] No, questo è un<br />
insulto prolungato, uno scaracchio in faccia<br />
all'Arte, un calcio alla Divinità, all'Uomo, al<br />
Destino, al Tempo, all'Amore, alla Bellezza... a<br />
quel che vi pare." 60<br />
Il mondo è un cancro che divora sè stesso. In Miller non ci sono<br />
sfumature: tutta la storia dell'Occidente è un percorso sbagliato.<br />
Ecco perchè ora ci si trova di fronte ad un impasse, ecco perchè<br />
sgomenta la sensazione di trovarsi di fronte ad un muro, oltre il<br />
quale non si può andare e che chiude ogni prospettiva per il<br />
futuro. Ed ecco allora il Cancro, questa figura simbolica che<br />
racchiude in sè il senso della disgregazione e l'indicazione che<br />
ogni via è aperta. Vanno sprecate quelle forze che cercano di<br />
mantenere in vita una forma di civiltà che è solo il cadavere di sè<br />
stessa: il Cancro indica il destino e mostra che è il momento di<br />
scegliere se andare avanti, indietro o di lato. E' il momento della<br />
decisione, e nella dissoluzione si apre la speranza, la prospettiva<br />
di un superamento:<br />
"Non io, è il mondo che muore, che depone la<br />
pelle temporale. Ma io ancora vivo, ancora ti<br />
59 "Ora avremo un recipiente in cui versare il liquido vitale, una bomba che, a<br />
gettarla, sconvolgerà il mondo" H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 31.<br />
60 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 6.<br />
26
scalcio in grembo, sono ancora una realtà di cui si<br />
possa scrivere" 61<br />
Il futuro dell'uomo sta in un cambiamento totale, e nella<br />
costruzione di un mondo radicalmente nuovo. Bisogna ricostruire<br />
dalle fondamenta. Ma questo comporta una preliminare<br />
distruzione del vecchio mondo. E sulla necessità di un<br />
annullamento impietoso Miller non ha dubbi; ecco perchè con<br />
Tropico del Cancro non vuole scrivere della "letteratura", ma "il<br />
Libro", non un prodotto da museo, ma un testo sacro:<br />
"Sarà una nuova Bibbia, L'ultimo libro. Tutti quelli<br />
che han qualcosa da dire la dirann, là dentro,<br />
anonima. Daremo fondo alla nostra epoca. Dopo<br />
di noi non più libri, almeno per una generazione." 62<br />
Il Libro sarà al contempo un colpo di grazia per la<br />
contemporaneità ed un serbatoio di storie e di miti per gli uomini<br />
della prossima generazione:<br />
"Vi saranno oceani di spazio in cui muoversi,<br />
deambulare, cantare, ballare, arrampicarsi, nuotare,<br />
far salti mortali, gemere, violentare, assassinare.<br />
Una cattedrale, una cattedrale vera e propria [...] Si<br />
potrà entrare coi cavalli al galoppo per le navate" 63<br />
Tropico del Cancro e Il tramonto dell'occidente si presentano<br />
come opere definitive, sigilli di un'epoca della quale esauriscono<br />
le possibilità residue e mostrano il destino. In Spengler si compie<br />
l'atto estremo della storia della filosofia che giunge al proprio<br />
compimento come morfologia della storia: quella che egli per la<br />
prima volta abbozza è l'ultima filosofia possibile dell'occidente, la<br />
la sua forma necessaria. 64 Identica è l'ambizione di Tropico del<br />
61 ibidem, p. 6-7.<br />
62 ibidem, p. 31.<br />
63 ibidem, p. 32.<br />
64 "'Tutto ciò che è caduco è solo un simbolo'. Partendo da questa verità si<br />
possono raggiungere soluzioni e prospettive finora nemmeno sospettate. [...] La<br />
27
Cancro: chiudere i conti con millenni di storia. Ma per far questo<br />
occorre una deflagrazione, una azione decisa e violenta, e non a<br />
caso la metafora della bomba, che abbiamo visto riferita al<br />
proprio libro, Miller la proietta su Il tramonto dell'occidente 65. C'è<br />
il metro di giudizio dei secoli e delle epoche ad accomunarli,<br />
quello che Spengler definisce "sguardo dell'aquila", c'è la<br />
sensazione che il disagio della modernità indichi il suo fallimento e<br />
quindi la necessità di un superamento. A questo bisogno cercano<br />
entrambi di dare una risposta, seppur con soluzioni spesso<br />
divergenti.<br />
III. 4. Le figure della crisi<br />
La trama del romanzo è estremamente esile e povera d`azione: è<br />
la storia di un breve periodo della vita parigina di Miller, quando,<br />
venuto meno il sostegno economico di alcuni ricchi amici, è<br />
costretto ad accettare prima il lavoro di correttore di bozze in un<br />
quotidiano, e poi quello di professore d`inglese in un collegio di<br />
Digione, che lascerà dopo poche settimane per tornare a Parigi.<br />
La vera struttura è quella creata dalle riflessioni, dai ricordi, dai<br />
sogni, dai deliri, dall'escatologia del protagonista autobiografico,<br />
Henry. Attorno a lui ruota tutta una galassia di personaggi, gli<br />
amici Carl, Van Norden, Boris, Cronstadt, Fillmore i coniugi<br />
Wren, Germaine, Tania, Llona, Irene e tutte le prostitute dei<br />
sobborghi parigini, Mona, la donna amata, e tanti altri.<br />
Il primo simbolo che si incontra nel romanzo, fin dal titolo e<br />
ripetutamente nelle prime pagine, è il Cancro. La sua figura<br />
sintetizza tutta la gamma di significati che il romanzo cerca di<br />
esprimere, pars destruens e construens al contempo. Le figure del<br />
degrado e le forze che sostengono la speranza convivono nella<br />
sua articolata simbologia.<br />
I sintomi del malessere dominano complessivamente il romanzo:<br />
nel formulare una diagnosi la più precisa possibile consiste il<br />
fisiognomica dell'avvenire mondiale sarà l'ultima filosofia faustiana". O.S., Il<br />
tramonto dell'occidente, cit., p. 249.<br />
65 "Una bomba che non era scoppiata perchè un'altra bomba (la prima guerra<br />
mondiale) aveva fatto scoppiare la valvola." H.M., Plexus, cit., p. 738.<br />
28
primo passo per ogni futura guarigione 66. La civiltà è trattata<br />
come un essere vivente, come una realtà organica: si ammala,<br />
viene divorata da un cancro, contrae infezioni ed epidemie ed<br />
emana cattivi odori. E` la stessa prospettiva di Spengler: le civiltà<br />
seguono i ritmi organici delle leggi di natura, nascono dal suolo,<br />
crescono e fatalmente muoiono. Simbolo di questa ciclicità<br />
organica è il tramonto, tramonto del sole e tramonto<br />
dell'occidente, realtà naturali entrambe. In Miller questo stesso<br />
organicismo si esprime attraverso la presenza di simboli come la<br />
malattia, il tumore, la carne e il sangue, la morte, tutte espressioni<br />
di una realtà vivente e, in Tropico del Cancro come ne Il<br />
Tramonto dell'occidente, morente. Sarà proprio questa<br />
prospettiva ad aprire la possibilità di un destino oltre la crisi: come<br />
Spengler ha dimostrato, la morte è il destino di ogni cultura, ma<br />
questo non significa che la vita abbia fine. Morte di una civiltà<br />
significa nascita di un`altra, ed all'orizzonte del tramonto si<br />
scorgono già le prime luci di una nuova alba.<br />
L'attacco del romanzo è segnato dalle profezie di Boris: se il<br />
mondo è un "cancro che si divora", se l'uomo viene divorato dal<br />
"cancro del tempo", ciò che segue sarà una celebrazione del<br />
potere della morte. I suoi simboli dominano e sono visibili<br />
ovunque, sul volto degli uomini e sul volto della città: ovunque si<br />
vada tutto è "cancro e sifilide". Accelerare il decorso della<br />
malattia e lasciare che il destino si compia: questo è il compito<br />
dell'artista. Miller è convinto che si debba accettare il destino di<br />
morte e viverlo fino in fondo, per portarlo a compimento e<br />
ricominciare da capo, ricominciare una nuova vita. La sua vuole<br />
essere una "danza della morte", un rituale macabro che "chiama"<br />
la morte perchè essa sola può affrettare l`avvento di una nuova<br />
era:<br />
"Chiamo sciagure e ancora sciagure, calamità<br />
più grandi, più grandioso sfacelo. Voglio che<br />
66 "Per scandagliare la nuova realtà è anzitutto necessario smantellare gli scoli,<br />
spalancare i dotti incancreniti che compongono il sistema genito-urinario che<br />
fornisce l`escremento dell'arte." H.M., Tropico del Cancro, cit., p. 176.<br />
29
tutto il mondo vada fuori sesto, che tutti si<br />
grattino a morte." 67<br />
Tutto il libro è articolato su queste presenze: il cancro, la fine, il<br />
caos. Il motivo si ripete con l'insistenza di un memento mori:<br />
"Il mondo intorno a noi si dissolve, lasciando qua<br />
e là chiazze di tempo. [...] E quando tutto si sarà<br />
ritratto in grembo al tempo, tornerà il caos, e il<br />
caos è la partitura su cui è scritta la realtà" 68<br />
"Sempre più il mondo assomiglia al sogno di un<br />
entomologo. La terra è uscita di orbita, l'asse si è<br />
spostato [...] Sopravviene una nuova età glaciale, si<br />
chiudono le suture traverse e dovunque, per tutta<br />
la cintura fertile, il mondo fetale muore" 69<br />
"I cieli sono stati esplorati, e sono vuoti. E quel<br />
che sta sotto la terra è pure vuoto, pieno di ossa e<br />
di ombre. State sulla terra e nuotate per qualche<br />
altro centinaio di migliaia d'anni." 70<br />
Le immagini sono quelle della morte (teschi, cadaveri, ossa) e<br />
della malattia (epidemie, peste, sifilide), immagini che si<br />
susseguono in un flusso narrativo surrealista e grottesco.<br />
L'atmosfera è quella di una apocalisse biblica:<br />
"La cittá era un carnaio; cadaveri dai norcini e<br />
denudati dai rapinatori, spesseggiavano nelle strade<br />
[...] intanto la danza macabra turbinava tra le<br />
tombe del cimitero." 71<br />
"A ogni stazione della metropolitana ci son teschi<br />
ghignanti che ti avvisano: 'Dèfendez-vous contre la<br />
67 ibidem, p. 17.<br />
68 ibidem, p. 6.<br />
69 ibidem, p. 175.<br />
70 ibidem, p. 259.<br />
71 ibidem, p. 47<br />
30
syphilis !' Ovunque siano muri, lá sono lucidi<br />
tossici granchi che annunziano l'avvicinarsi del<br />
cancro. Dovunque tu vada, qualunque cosa tu<br />
tocchi, è cancro e sifilide." 72<br />
La danza dei simboli della morte ricorda l'avvicinarsi della fine dei<br />
tempi, contiene un monito e un giudizio. La danza è movimento<br />
del corpo, esplosione di vita come il riso, e nel suo accostamento<br />
straniante alle maschere della morte fissa l'immagine di un mondo<br />
che si avvia alla fine con colpevole inconsapevolezza:<br />
"Dietro le mie parole ci son tutti quei teschi<br />
ghignanti, irridenti, grotteschi, alcuni morti e<br />
ghignanti da tempo, altri ghignanti come se<br />
avessero il tetano, altri ghignanti con quella smorfia<br />
di ghigno, preannuncio e conseguenza di quello<br />
che sempre accade." 73<br />
L'attacco di Miller investe direttamente la realtà. La sua brutalità<br />
si ritorce su di essa, attraverso la mediazione dell'arte che si fa<br />
espressione di quella violenza. La violenza "del" mondo diventa,<br />
nell'opera di Miller, violenza "sul" mondo, ideale contrappasso 74.<br />
L'epoca esplosiva richiede soluzioni esplosive:<br />
"Soltanto gli assassini paiono trarre dalla vita una<br />
soddisfacente contropartita per ciò che vi mettono<br />
di loro. Il secolo vuole violenza, ma abbiamo<br />
soltanto esplosioni mancate."<br />
E' così che nasce lo stile ruvido, violento, osceno di Miller, dalla<br />
volontà sistematica di non tralasciare nulla 75: uno specchio che<br />
72 ibidem, p. 197.<br />
73 ibidem, p. 267-8.<br />
74 "Se son disumano, è perchè il mio mondo ha traboccato fuori di ogni<br />
costrizione umana" ibidem, p. 269.<br />
75 Questo fa dire a Van Norden: "Un giorno scriverò un libro su di me, sui miei<br />
pensieri. Non voglio dire un saggio di analisi introspettiva...Voglio dire che mi<br />
stenderò sul tavolo operatorio e metterò in mostra le budella, ogni cosa,<br />
accidenti." ibidem, p. 141-2.<br />
31
non si cura di quanto sia scomodo o rivoltante ciò che riflette, ma<br />
che si limita a rispecchiarlo fedelmente. La mancanza di pietà per il<br />
degrado forma la violenza del linguaggio milleriano:<br />
"Dalle parti di Aubervilliers ci ficchiamo in una<br />
tana da pochi soldi e immediatamente ne abbiamo<br />
intorno un branco. Passa qualche minuto, e lui già<br />
balla con una puttana nuda, una bionda grossa con<br />
le guance rugose. Le vedo il culo riflesso dieci<br />
volte negli specchi allineati al muro - e quelle sue<br />
dita scure, ossute, che aggrinfiano tenacemente.<br />
[...] Le ragazze disoccupate siedono<br />
tranquillamente sulle panche di pelle, e si grattano<br />
in santa pace come una famiglia di scimpanzè." 76<br />
La descrizione procede attraverso una parcellizzazione (quasi una<br />
autopsia) del corpo femminile, dalla quale risulta l'immagine di un<br />
animale ("branco", "scimpanzè") in stato decadente ("bionda<br />
grossa", "guance rugose") o già cadaverico ("dita scure, ossute<br />
che aggrinfiano tenacemente" come per aggrapparsi ad una vita<br />
che sfugge). Qui c'è la disperazione del sesso prostituito, che con<br />
una falsa frenesia nasconde l'assenza di passione e l'incombere<br />
della fine.<br />
La violenza dello stile è la violenza degli uomini e del loro<br />
mondo. Osserviamo Van Norden alle prese con una prostituta:<br />
qui l'accoppiamento si spoglia di ogni componente emozionale e<br />
diventa una vera e propria azione di guerra. La polarità dei sessi si<br />
perde e uomo e donna diventano semplici posizioni di una<br />
"volontà di distruzione":<br />
"E' proprio come la guerra, non riesco a levarmelo<br />
di capo. [...] è come l'uomo in trincea: non sa più<br />
per che cosa dovrebbe continuare a vivere, perchè<br />
se scampa ora, ci rimane poi, ma lui continua lo<br />
stesso, e anche se ha l'anima di uno scarafaggio, e<br />
se n'è magari accorto, dategli un fucile, un coltello,<br />
76 ibidem, p. 104.<br />
32
ma anche le unghie e basta, e lui continuerà la<br />
strage [...]" 77<br />
Il loro accoppiamento non è neppure bestiale, perchè nelle bestie<br />
la scintilla dell'attrazione carnale dà un senso all'amplesso, gli dona<br />
la purezza di un rapporto originario e primitivo: qui<br />
l'accoppiamento è quello di due macchine, e l'immagine è quella<br />
di un ingranaggio che ripete indefinitamente e ottusamente il<br />
proprio movimento. La meccanicità e la monotonia delle azioni<br />
riempono un vuoto, nascondono l'horror vacui col quale l'uomo<br />
non osa più confrontarsi: basterebbe fermarsi un attimo a<br />
riflettere, scrive Miller, e la forza di un solo "perchè" manderebbe<br />
in frantumi questa realtà artificiale e disumana. La mistificazione<br />
spoglia il sesso del suo mistero e del fascino della sua forza<br />
generatrice, e lo immette nel circuito del denaro. Il criterio di<br />
giudizio avverrà in termini di utile ricavato e di investimento ben<br />
riuscito: i quindici franchi dati alla prostituta sono stati spesi bene<br />
o male, il tempo non è stato sprecato. Lo spettacolo è quello di<br />
un motore che gira a vuoto:<br />
" A guardare Van Norden che la monta, mi sembra<br />
di contemplare una macchina con gli ingranaggi<br />
slogati. Lasciati a se stessi, potrebbero anche<br />
continuare in eterno, a macinare a vuoto e a<br />
slittare, senza che però succedesse nulla." 78<br />
All'ingranaggio manca la scintilla della passione, la mano del<br />
meccanico, il tocco umano. Cedere a questa immagine<br />
meccanizzata dei rapporti umani significa rassegnarsi alla perdita<br />
del senso della vita. L'accoppiamento di Van Norden è simbolo di<br />
un mondo che nell'ottundimento di un ritmo frenetico nasconde<br />
l'angoscia della morte e la consapevolezza stessa della propria<br />
mortalità, il che è come a dire della propria natura. Nessun<br />
sentimento entra più in gioco, e l'atto sessuale, origine della vita e<br />
immagine del suo mistero, diventa uno spettacolo senza senso:<br />
77 ibidem, p. 152-3.<br />
78 ibidem, p. 153<br />
33
"Lo spettacolo di loro due accoppiati come una<br />
coppia di capre, senza la minima scintilla di<br />
passione, che macinano e macinano senz'altro<br />
motivo che i quindici franchi, dilava ogni<br />
sentimento che io ho, tranne quello disumano di<br />
soddisfare la mia curiosità." 79<br />
La brutalità di linguaggio diventa l'unico specchio che possa<br />
riflettere pienamente la brutalità della vita. Ecco allora i leitmotiv<br />
del romanzo, il "cancro", la "peste", la "sifilide", l'"odore fetido",<br />
i "pidocchi". E' proprio con dei "pidocchi" che si apre il<br />
romanzo:<br />
"Ieri sera Boris si è accorto di avere i pidocchi. Gli<br />
ho dovuto radere le ascelle, ma il prurito non ha<br />
smesso. [...]" 80<br />
Essi si accalcano sul corpo di Boris come i vermi su un cadavere<br />
in decomposizione. Quel Boris che è una figura spettrale, senza<br />
corpo nè sangue, l'emblema stesso del tramonto della civiltà e<br />
dell'intellettuale decadente, tutto idee e niente carne. In Spengler la<br />
condanna dell'intellettuale della civilizzazione è altrettanto netta:<br />
identica è anche la scelta delle immagini, l'assenza di un legame<br />
con la vita e col sangue ("razza") che porta come conseguenza<br />
un pensiero ed un'arte sterili, razionali, freddi prodotti di maniera.<br />
La stessa brutalità informa i termini che descrivono l'unione<br />
sessuale: non "amore" o "amplesso", ma "chiavare", non donna<br />
ma "puttana" ed animale da montare. Tutto si riduce ad una<br />
questione di "mortaio e pestello". E' così che nasce la violenza<br />
di<br />
scene come questa:<br />
"Mi inginocchio dietro Van Norden per guardare<br />
più attentamente il meccanismo. La ragazza volge il<br />
79 ibidem, p. 153-4.<br />
80 ibidem, p. 5.<br />
34
capo da un lato e mi lancia uno sguardo di<br />
disperazione. 'Non serve' dice 'E' impossibile'. E<br />
allora Van Norden riattacca il lavoro con rinnovata<br />
energia, come un vecchio caprone. [...] E ora si<br />
arrabbia perchè io gli faccio il solletico sul sedere.<br />
'Per l'amor di Dio, Joe, piantala ! L'ammazzi quella<br />
povera ragazza.'<br />
'Lasciami stare' brontola 'Glielo avevo quasi<br />
infilato' " 81<br />
Caduta ogni remora, le immagini di Miller mostreranno la stessa<br />
impassibilità e precisione delle osservazioni di un "entomologo":<br />
"In mezzo al cortile c'è un grappolo di costruzioni<br />
decrepite marcite al punto di crollare l'una sull'altra<br />
e di formare una sorta di abbraccio intestinale. Il<br />
terreno è disuguale, il selciato scivoloso di melma.<br />
Una sorta di discarica umana colma di ceneri e di<br />
spazzatura risecchita." 82<br />
Su un mondo del genere, anche il sole "tramonta in fretta". I<br />
colori muoiono, bambini pallidi e ossuti strillano, c'è un odore<br />
fetido che trasuda dai muri, l'odore di un millennio di storia<br />
dell'Europa, creatura "medievale, grottesca, mostruosa sinfonia in<br />
si bemolle". I simboli della vita, la luce, il colore, la gioia di un<br />
bambino, sbiadiscono e scompaiono. Accanto alla disperazione,<br />
le immagini brillanti di un cinema, che proietta 'Metropolis' per la<br />
sua "distinta clientela". Il degrado delle piccole viuzze parigine è<br />
dietro l'angolo delle luci delle avenuès e dei Boulevard. La morte,<br />
sembra indicare Miller, è al lavoro dietro di esse.<br />
III. 5. Parigi come "ultima città"<br />
Il Cancro ha il suo Tropico, ha una coordinata spaziale e<br />
temporale. Il Tropico è Parigi. La metropoli francese non è un<br />
luogo indifferente: è invece un punto di osservazione privilegiato,<br />
81 ibidem, p. 154-5.<br />
82 ibidem, p. 46-7.<br />
35
il cuore stesso del cancro, l'epicentro della crisi. Lì è possibile<br />
seguire l'evolversi della malattia, vivendola nella propria<br />
esperienza.<br />
La città è una protagonista del racconto, la sua presenza è<br />
costante e filtra attraverso i discorsi, i pensieri, le azioni. Parigi era<br />
un topos dell'immaginario americano: era il cuore della vecchia<br />
Europa, il continente delle proprie origini e dalla storia millenaria,<br />
ed era la città degli artisti (se ne contavano trentamila nel 1929),<br />
dello spirito, dell'avanguardia, dei geni incompresi e delle eterne<br />
speranze. Parigi è carica di significati anche per Miller: è la fuga<br />
dalla "macina da mulino" americana e la realizzazione come<br />
scrittore. La trasposizione dalla storia personale alla dimensione<br />
simbolica è immediata:<br />
"Non è il caso che scaraventa a Parigi persone<br />
come noi. Parigi è soltanto un palcoscenico<br />
artificiale, un palcoscenico rotante che permette<br />
allo spettatore di cogliere ogni fase del conflitto.<br />
[...] Parigi è solamente il forcipe ostetrico che<br />
strappa dall'utero l'embrione vivo e lo mette<br />
nell'incubatrice. Parigi è la culla delle nascite<br />
artificiali." 83<br />
Parigi è stata la levatrice di Tropico del Cancro: solo a Parigi<br />
Miller è riuscito ad operare il distacco dal mondo americano, dai<br />
"valori borghesi" della famiglia e del lavoro, per scegliere di<br />
essere artista. E` la città della libertà assoluta e delle infinite<br />
esperienze, un carnevale perpetuo, quella che Hemingway<br />
chiamerà "festa mobile". E' un palcoscenico dove Miller ha la<br />
parte dell'attore e dello spettatore.<br />
Attore, perchè mette in scena il proprio dramma personale,<br />
compie quella metamorfosi che lo porta ad abbandonare ogni<br />
incertezza ed a scegliere la propria vocazione di artista: nascono<br />
così Tropico del Cancro, Tropico del Capricorno e Primavera<br />
Nera. Spettatore, perchè Parigi è un palcoscenico dove<br />
l'Occidente mette in scena il proprio tramonto. Il palcoscenico<br />
83 ibidem, p. 34.<br />
36
uota e mostra tutte le fasi del conflitto, ogni sfaccettatura. E' una<br />
terra di nessuno, un palcoscenico artificiale che, proprio per la<br />
sua neutralità, costituisce lo sfondo ideale per i drammi di ognuno.<br />
Una incubatrice di feti giunti da ogni parte del mondo. Parigi è la<br />
metropoli dell'era della civilizzazione, l"ultima città" per usare un<br />
termine spengleriano ripreso da Miller 84:<br />
"Citta eterna, Parigi ! Più eterna di Roma, più<br />
splendida di Ninive. Ombelico del mondo [...] E'<br />
come un sughero trascinato a finire nel centro<br />
morto dell'oceano, qui si galleggia sulla feccia e<br />
sulle alghe dell'oceano, sbadato, disperato [...] Le<br />
culle della civiltà sono gli acquai putridi del mondo,<br />
i colombari a cui uteri fetenti affidano i loro<br />
sanguinolenti pacchi di carne e ossa." 85<br />
Parigi è come Roma, come Ninive: città simbolo di una civiltà.<br />
Roma, Ninive, Parigi sono prese ad emblema della decadenza. Le<br />
"culle della civiltà" si rivelano "acquai putridi del mondo",<br />
mostrano nella loro immagine il cancro che agisce nella fase del<br />
declino. Qui c'è tutta la simbologia negativa di Parigi come città di<br />
cadaveri, ma anche tutto il suo fascino di città decadente, che<br />
libera le ultime forze della civiltà nel celebrare la propria fine.<br />
Eppure è una Parigi che bisogna vivere, perchè l'esperienza del<br />
tramonto va vissuta fino in fondo, sino al suo pieno compimento.<br />
Se il destino è il tramonto, direbbe Spengler, occorre tramontare:<br />
"E' una Parigi che bisogna vivere, che bisogna<br />
provare giorno per giorno in mille diverse forme di<br />
tortura, una Parigi che ti cresce dentro come un<br />
cancro e cresce finchè non ti ha divorato." 86<br />
Parigi è una "tortura", un "cancro" che divora: è una malattia il cui<br />
corso va portato sino in fondo. E' qui che "il mondo si rivela per<br />
84 H.M., Tropico del Capricorno, cit., p. 490.<br />
85 H.M., Tropico del Cancro, cit., p. 194.<br />
86 ibidem, p. 191.<br />
37
quel folle carnaio che è". In questa realtà non sembra esserci altra<br />
scelta che la morte: la morte dell'occidente, la morte del suo<br />
mondo, dove "la ruota che fanno girare gli schiavi si estende<br />
all'infinito" e dove "la logica corre sfrenata" 87. Parigi appare in<br />
continuo e tragico movimento, tragico perchè nasconde senza<br />
riuscirci la perdita di significato dell'esistenza. E' la celebrazione<br />
del trionfo della morte.<br />
C'è un'altra immagine che viene associata a Parigi: la "pancia<br />
della balena", le "visceri stesse della terra" 88. Ne Il mondo del<br />
sesso Miller parlerà di "tipica atmosfera uterina, satura di tutti i<br />
babilonici lussi della decadenza". Vivere Parigi significa<br />
immergersi nelle visceri della terra, là dove si svolgono i<br />
movimenti fondamentali: l'atteggiamento di Miller è quasi quello<br />
del naturalista che osserva con curiosità lo svolgersi di eventi<br />
fisici. Le visceri sono l'origine della vita, e stesso significato ha<br />
l'utero: Miller ripete spesso il suo desiderio di "tornare nell'utero",<br />
volendo intendere il ritorno alla fonte stessa della vita. Nell'utero si<br />
svolgono i processi essenziali. E' questo accostamento che dona<br />
a Parigi il suo fascino e la sua "positività": qui si svolgono<br />
processi mortali ma anche vitali, si assiste alla morte ma anche ai<br />
primi sintomi della vita. Nella metropoli c'è tutto lo sfascio della<br />
civiltà ma anche tutta la forza della vita, che permane nonostante<br />
tutto. Non tutte le energie liberate nella decadenza sono negative.<br />
Miller entra spontaneamente nel ventre della balena per registrarne<br />
i movimenti segreti e studiarne flora e fauna 89.<br />
A Parigi, "palcoscenico rotante", ognuno mette in scena, nel<br />
dramma della propria esperienza, il disagio della modernità. La<br />
87 ibidem, p. 193.<br />
88 ibidem, p. 193.<br />
89 "Nel ventre della balena" è il titolo di un celebre saggio di G. Orwell su Miller.<br />
L'interpretazione dello scrittore inglese è di un Miller come Gionata, registratore<br />
dei sommovimenti interni della balena. "Non c'è dubbio che Miller stesso è nel<br />
ventre della balena. [...] Egli ha compiuto l'essenziale atto di Gionata, di lasciarsi<br />
inghiottire, restando passivo, accettando." vedi G. Orwell, 'Nel ventre della<br />
balena' (1940) in AAVV, H. Miller, il sesso, la censura e il Tropico del Cancro,<br />
cit., p. 91.<br />
38
"fauna" parigina in questo senso è ricca di attori. Il primo che<br />
incontriamo è Boris, il profeta di sciagure che si compiace della<br />
propria disperazione, modello dell'intellettuale decadente che vede<br />
tutto attraverso il filtro delle idee, del "suo" Platone, del "suo"<br />
Spinoza, e che parla in una lingua che è "una specie di matematica<br />
superiore" nella quale non può entrare nulla di vivo, nè carne, nè<br />
sangue. Tutto è "astrazione fantastica, spettrale, vampiresca" 90.<br />
Ecco di nuovo l'immagine della morte, dell'uomo come cadavere<br />
vivente, come scheletro abbandonato dalla carne, cioè dalla vita.<br />
Boris e l'amico Cronstadt sono spiriti esangui, e nella distanza tra<br />
loro e Miller sta tutta la differenza che corre tra un pessimismo<br />
compiaciuto ed una autentica disperazione: Boris e Cronstadt<br />
vedono il crollo della civiltà come realtà intellettuale, le loro morti<br />
sono "astratte", "agonie senza sangue". Non si fanno carico del<br />
dramma che una consapevolezza di questo genere comporta, ed è<br />
così che rifiutano ogni tentativo di superamento. Vivendo la<br />
morte in astratto, possono evitarne il dolore e vivere pienamente il<br />
piacere della decadenza. Hanno perduto il contatto con il senso<br />
positivo della vita. Miller invece questo contatto cerca di non<br />
perderlo mai, perchè su questo si basa la possibilità di scorgere<br />
un futuro oltre il crollo del presente.<br />
Altro attore è Van Norden, il grande mistificatore del sesso,<br />
l'americano cinico e spregiudicato. La sua brutalità ed il suo<br />
nichilismo fanno dell'amplesso il movimento di una macchina e<br />
del mistero della creazione un segreto anatomico da svelare<br />
illuminando con una torcia elettrica l'utero di una prostituta 91. Van<br />
Norden in certo senso è l'opposto di Boris e Cronstadt: là,<br />
astrazione e intellettualismo come mediazioni che allontanano dalla<br />
vita, qui il medesimo effetto attraverso una totale assenza di<br />
significato della vita stessa, privata di sentimenti umani e ridotta<br />
ad ingranaggio. Il mondo perde di significato e la vita diventa il<br />
pretesto per un lamento continuo:<br />
90 ibidem, p. 179-180.<br />
91 "Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un vuoto e basta.<br />
Non sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica...oppure un calendario ?<br />
Invece non c'è nulla...nulla di nulla. E' schifoso" ibidem, p. 150.<br />
39
"Qualunque cosa faccia, dovunque vada, mai una<br />
cosa che gli vada dritta. O è il paese del cazzo, o il<br />
lavoro del cazzo [...]<br />
'Ho i denti tutti guasti' dice, mentre fa i gargarismi.<br />
'E' questo pane del cazzo che ti fan mangiare<br />
qui'." 92<br />
Tutta la serie di personaggi che popolano il romanzo oscilla tra<br />
questi due estremi, secondo diverse gradazioni. C`è lo spiritualista<br />
Kruger, il tipo "ascetico" e cultore dell'esoterico, che parla di<br />
karma ed anima cosmica "e che un bel giorno è capace di far<br />
ingoiare i denti a qualcuno e senza scrupolo" 93. C'è Moldorf, che<br />
è "ubriaco di parole", che non ha sangue, muscoli, vene, ma<br />
"cassetti, e nei cassetti ci sono tante etichette scritte a inchiostro<br />
bianco, inchiostro marrone, inchiostro rosso..." 94. C'è Fillmore,<br />
che è incapace di agire e che per questo si crea ostacoli<br />
insormontabili, tanto da dover lasciare la Francia per sfuggire ad<br />
una donna. Ci sono Nanantee e il russo Serge, che in cambio di<br />
una miserabile ospitalità in letti pieni di cimici fanno di Henry uno<br />
schiavo abbrutito dal lavoro. E c'è poi tutto il caleidoscopio delle<br />
prostitute, Germaine, Tania, Irene, Llona, che nella visione di<br />
Miller rappresentano il rifugio estremo della vita, le custodi di un<br />
senso sacrale del sesso come passione e come forza che spezza<br />
limiti e convenzioni.<br />
III. 6. I simboli del riscatto<br />
III. 6. 1. La vita<br />
Un'epoca di civilizzazione sprigiona, secondo Spengler, forze<br />
estreme: si liberano le energie residue e, in quel breve intervallo di<br />
tempo tra la fine di una civiltà e l'inizio di un'altra, si rende<br />
92 ibidem, p. 110.<br />
93 ibidem, p. 203.<br />
94 ibidem, p. 9.<br />
40
possibile una visione complessiva della storia, una immagine<br />
organica del passato 95.<br />
C'è però una forza che trascende il succedersi delle epoche, che<br />
è "prima" di ogni civiltà e che ne rappresenta il principio<br />
formatore: questa forza è la vita. La vita è un "fenomeno<br />
originario", una idea concretizzatasi, una sorta di entelechia che<br />
genera continuamente forme sempre diverse. La vita è l'essenza<br />
stessa della realtà e si sostanzia seguendo le leggi immutabili della<br />
natura: "procreazione, nascita, crescere, appassire, svanire". La<br />
vita è l'eterno divenire, il moto generato dal continuo nascere e<br />
morire di forme organiche. Essa connette ogni organismo in un<br />
movimento che ha ritmi e cadenze comuni. Il simbolismo della<br />
natura spiega la storia delle sue forme, siano esse piante, animali,<br />
uomini o civiltà. Spengler riprende l'immagine eraclitea del fuoco<br />
come simbolo del divenire: la fiamma è "un simbolo originario, un<br />
fenomeno primordiale" che spiega la realtà. La vita stessa "è"<br />
fiamma, è continuo movimento, un incessante accendersi e<br />
spegnersi, nascere e morire di forme. Nasce così quel ricco<br />
repertorio spengleriano di immagini organiche: la civilizzazione<br />
diventa "senilità", "ceneri che si spengono lentamente", l'amore è<br />
la "fiamma" mentre l'odio è il "freddo", la procreazione è un<br />
"momento di calore", l'accendersi della scintilla che sprigiona la<br />
forza del fuoco. E' il "magico fascino del rosso di sera, del fuoco<br />
che arde nel camino...".<br />
Questa visione "vitalistica" spiega i fenomeni della storia ma<br />
soprattutto rassicura sul destino dell'uomo. La decadenza viene<br />
fatta rientrare nella normale fisiologia di un organismo vivente,<br />
figura simbolica di una ciclicità naturale. Le forme umane sono<br />
destinate a trapassare: compiono la loro storia e poi svaniscono<br />
insieme al destino che le ha forgiate. Ma oltre queste eterno farsi e<br />
disfarsi di forme permane un'energia che non cessa mai di creare,<br />
e che rappresenta la sicurezza che oltre la fine di una civiltà c'è<br />
sempre l'inizio di un'altra. La vita rimane un mistero insondabile,<br />
ma la sua presenza è certa: la vita è una fiamma che arde sempre,<br />
95 vedi O. Spengler, Urfragen. Essere umano e destino, Milano, Longanesi,<br />
1972, p. 494.<br />
41
che trova sempre nuovo materiale da combustione, lo consuma e<br />
si volge altrove per ardere di nuovo. La vita sfugge agli "oggetti"<br />
che crea: essa "non è alcunchè di oggettivo ma puro<br />
movimento" 96.<br />
La fine di una civiltà non coincide con la fine della vita: essa<br />
cambia solo la forma del suo manifestarsi, alla luce di nuovi<br />
bisogni e nuovi interrogativi. Tramonta l'occidente, forma della<br />
vita, ma non tramonta la forza che crea le forme, la vita. La morte<br />
diventa espressione della vita, in quanto consente una continua<br />
rigenerazione: le forme svuotate di senso cedono il posto a forme<br />
nuove, cosicchè la vita non si cristallizza mai e non cessa mai la<br />
sua attività creatrice. Questa osservazione consente di sfatare una<br />
immagine di Spengler molto diffusa, quella del "pessimista", del<br />
profeta di sciagure: accusa rivolta peraltro da un filosofo illustre<br />
come Croce. Già nel 1921 Spengler aveva risposto con un saggio<br />
dal titolo Pessimismo ? 97. In esso si sottolineava come nel termine<br />
"tramonto" non fosse implicita l'idea della catastrofe: tramonto è<br />
"compimento", termine che indica il consumarsi delle potenzialità<br />
di un'epoca e quindi il suo inesorabile spegnersi. Il "pessimismo"<br />
mette solo l'accento su un lato della realtà che molti ignorano o<br />
cercano di ignorare:<br />
"E così torno alla questione del pessimismo.<br />
Quanto nel 1911 [...] ho improvvisamente<br />
scoperto la mia 'filosofia', il piatto dell'ottimismo<br />
dell'era darwiniana pesava sul mondo euroamericano.<br />
Perciò [...] con il titolo del mio libro ho<br />
messo senza saperlo il dito sull'aspetto<br />
dell'evoluzione che allora nessuno voleva vedere.<br />
Se dovessi scegliere, oggi, tenterei di colpire un<br />
pessimismo altrettanto piatto con un'altra<br />
formula." 98<br />
96 Per tutta la spiegazione del divenire come fiamma, e della vita come moto<br />
eterno, vedi O. Spengler, Urfragen, cit., p. 43-91 (il capitolo dal titolo 'Fiamma').<br />
97 Il saggio è contenuto nella raccolta Scritti e pensieri, Milano, Sugarco, 1993, p.<br />
39-57.<br />
98 ibidem, p. 51.<br />
42
Richiamare l'attenzione sull'avvicinarsi del tramonto dell'occidente<br />
non è essere pessimisti: significa solo che questa fine va riportata<br />
nel quadro di una ciclicità naturale, dove ogni morte non è che una<br />
nuova nascita. E l'idea che la morte di un organismo sia sempre la<br />
nascita di uno nuovo è molto più vicina all'ottimismo che al<br />
pessimismo.<br />
Mettere in luce questo aspetto fondamentalmente "positivo" di<br />
Spengler è importante perchè una identica positività sta alla base<br />
del romanzo di Henry Miller. Se il Cancro indica un malessere,<br />
esso intravede anche un percorso e quindi una nuova prospettiva.<br />
Anche Miller ha dovuto fare i conti con l'accusa di essere un<br />
"menagramo", accusa che gli ha permesso di chiarire<br />
definitivamente i termini del suo concetto di decadenza:<br />
"Sono stato spesso criticato e messo in ridicolo<br />
come profeta di sventura. [...] Di tanto in tanto,<br />
come i profeti dell'antichità, sono arrivato al punto<br />
di esultare per la catastrofe imminente. Però non<br />
era l'uomo che io condannavo, bensì il suo modo<br />
di vivere. Infatti, se c'è un potere che l'uomo senza<br />
dubbio possiede [...] è il potere di cambiare il suo<br />
modo di vivere." 99<br />
Ciò che si consuma a Parigi non sono "gli ultimi giorni<br />
dell'umanità", ma gli ultimi giorni dell'occidente. La distinzione è<br />
indispensabile per comprendere i percorsi di Miller e di Spengler<br />
e per individuarne i punti di contatto.<br />
Un sentimento domina Cancro: l'accettazione. Tutta la critica<br />
concorda nell'attribuire a questo sentimento un ruolo centrale<br />
nell'opera di Miller 100. Essa va intesa in due modi. Innanzitutto,<br />
accettazione significa accogliere il lato negativo della realtà come<br />
momento necessario, come esperienza che va<br />
portata sino in fondo:<br />
99 H. Miller, Come il colibrì, Milano, Rizzoli, 1970, p. 22.<br />
100 Basti ricordare i nomi di Orwell, Fraenkel, Shapiro, e, tra i critici italiani, i<br />
contributi di Almansi e Sanguineti.<br />
43
"Credo che il compito del futuro sia di esplorare il<br />
dominio del male fin tanto che non rimanga<br />
nemmeno più una briciola di mistero. Dobbiamo<br />
scoprire le amare radici della bellezza, accettare<br />
radice e fiore, foglia e germoglio. Non possiamo<br />
più resistere al male; ci tocca accettare." 101<br />
E' questo ciò che Rimbaud vuol dire quando scrive: "Una sera,<br />
ho preso la bellezza sulle mie ginocchia - E l'ho trovata amara - E<br />
l'ho ingiuriata.". La vita va gustata, anche quando il sapore è<br />
amaro e provoca disgusto. Occorre attraversare il "dominio del<br />
male" senza tirarsi indietro. Accettare significa accogliere su di sè<br />
il cancro del presente, nutrirne i germi fino a quella esplosione<br />
della malattia che è anche l'inizio della guarigione. In questo<br />
senso, il messaggio è identico a quel "Ducunt fata volentem,<br />
nolentem trahunt" che chiude il Tramonto: al destino non si deve<br />
resistere, perchè è una realtà che va accettata con piena<br />
consapevolezza e cognizione. Il destino impone all'uomo un<br />
mondo, ed all'uomo non resta che accettarlo e viverne l'esperienza<br />
fino in fondo, per quanto essa possa sembrare negativa e<br />
degradante. Il percorso è già stabilito 102.<br />
V. 6. 2. La critica di Orwell e il senso dell'accettazione<br />
Come Spengler è stato sempre tacciato di pessimismo, così<br />
Miller ha dovuto spesso far fronte all'accusa di "passività". Il<br />
primo a muovere questa critica fu George Orwell, in un celebre<br />
saggio del 1940 dal titolo "Nel ventre della balena". Uno sguardo<br />
a quelle pagine ci consentirà di delineare con più precisione il<br />
senso della "accettazione", e di sfatare così tutta una letteratura<br />
critica che tende ad ingabbiare la figura di Miller nel clichè<br />
dell'artista della decadenza.<br />
"Nel ventre della balena" è una delle prime recensioni a Cancro e<br />
certamente il primo contributo critico di una certa lunghezza<br />
101 H. Miller, Il tempo degli assassini, cit., p. 38.<br />
102 Spengler e Miller tradiscono qui l'influenza di Nietzsche e del suo "amor fati".<br />
44
sull'opera di uno scrittore pressochè sconosciuto, qual'era allora<br />
Miller. La posizione di Orwell non è totalmente critica, ma forse<br />
proprio per questo è ancora più insidiosa. Innanzitutto, le doti<br />
dello scrittore non vengono negate, anzi sottolineate con vigore:<br />
"La prosa è sbalorditiva e, in certe parti di<br />
Primavera Nera, ancor meglio. [...] Ma<br />
procuratevi Tropico del Cancro, procuratevi<br />
Primavera Nera e leggete specialmente le prime<br />
cento pagine. Vi daranno un'idea di quello che si<br />
può ancora fare ai nostri tempi con la prosa<br />
inglese. L'inglese vi è usato come una lingua<br />
parlata, ma parlata senza paura, cioè senza paura<br />
della retorica o dell'inusitato o del termine<br />
poetico." 103<br />
Questo per poi concludere:<br />
"Secondo me, con Miller abbiamo l'unico<br />
romanziere con un minimo di valore che sia<br />
apparso tra i popoli di lingua inglese da parecchi<br />
anni a questa parte." 104<br />
La critica di Orwell non si muove verso una messa in discussione<br />
della resa artistica dell'opera , quanto piuttosto contro quello che<br />
è il presupposto etico ed estetico di Cancro, l'accettazione. Il<br />
punto di forza dell'opera milleriana tradirebbe anche il difetto che<br />
ne è all'origine.<br />
La tesi dello scrittore inglese è fondata sull'identificazione di<br />
accettazione e passività: è proprio questa passività, questa capacità<br />
ricettiva a fare di Cancro un'opera importante, o per usare il<br />
termine orwelliano, "emblematica". L'estetica di Miller è fondata<br />
su una idea della letteratura come riproduzione del caos,<br />
registrazione del venir meno dei vincoli di senso della realtà: la<br />
103 G. Orwell, 'Nel ventre della balena', p. XI, introduzione a H.M., "Cancro",<br />
cit. (ediz. orig. 'Inside the Whale', in G. Orwell,<br />
"England Your England", London, 1954)<br />
104 ibid., p. LI.<br />
45
disgregazione del presente viene fatta defluire direttamente sulla<br />
pagina, attraverso una narrazione sconnessa, frammentaria, a tratti<br />
impossibile da decifrare se non volutamente priva di senso.<br />
L'opera, in questo caso Cancro, presenterebbe insomma tutti i<br />
connotati della realtà di cui parla. Ma proprio in questo starebbe la<br />
sintomaticità (o simbolicità) di Miller:<br />
"Appunto perchè è passivo all'esperienza, Miller<br />
può avvicinarsi maggiormente all'uomo comune di<br />
quanto non siano in grado di fare scrittori con più<br />
definite intenzioni. Perchè anche l'uomo comune è<br />
passivo. [...] E' una voce della folla, del popolo<br />
minuto, una voce che viene dal vagone di terza<br />
classe, dall'uomo comune, dall'apolitico, amorale<br />
uomo passivo." 105<br />
Come si vede, l'elogio di Orwell nascondeva una profonda<br />
insidia: identificando l'accettazione con la passività, con una<br />
adesione indiscriminata al presente, veniva a crollare il<br />
fondamento stesso della posivitività di Cancro. In esso, ad una<br />
"pars destruens" dai toni apocalittici, sostenuta da una<br />
interpretazione della modernità come decadenza, faceva da<br />
contraltare necessario l'esaltazione del potere della vita e del<br />
divenire, la fiducia nelle possibilità dell'uomo di ritrovare in sè,<br />
nella propria fisicità, nella propria naturalità di organismo ins erito<br />
nel macrocosmo, la forza che conducesse alla salvezza. Alla<br />
condanna del vecchio mondo seguiva l'indicazione di una via per<br />
il futuro. Questa idea mostra il fianco a diverse critiche, prima fra<br />
tutte quella di semplicismo e di ingenuità; se ne possono mostrare<br />
i lati deboli e le contraddizioni. Ciò che non si può fare è<br />
travisarne il senso, attribuendole un valore simbolico di segno<br />
opposto a quello delle intenzioni dell'autore. Questa idea di una<br />
fusione panteistica col fluire della vita, pur con tutte le sue<br />
ingenuità, ha tuttavia il senso di un rifiuto della decadenza:<br />
ignorarlo significa mutilare la costruzione milleriana, che proprio<br />
105 ibid., p. XVII.<br />
46
sulla dialettica degli opposti (qui, distruzione e costruzione) è<br />
fondata.<br />
Orwell ha il grande merito di mettere in rilievo la simbolicità di<br />
Cancro come romanzo della decadenza, che testimonia nella sua<br />
forma frammentaria ed irrazionale il tramonto dell'Occidente e<br />
della sua creatività artistica. Grande merito è anche l'aver saputo<br />
indicare e dimostrare il profondo legame tra l'opera di Miller e il<br />
proprio tempo: il romanzo mette in scena l'inquietudine di quegli<br />
anni, la diffusa consapevolezza, tra i ceti intellettuali, dell'impasse<br />
della civiltà, la sfiducia nei miti del progresso e della democrazia,<br />
fino ad atteggiamenti esteriori molto in voga in quegli anni, come<br />
la posa del "cinico" e dell'intellettuale "disincantato". Ma queste<br />
immagini diventano per Orwell un segnale d'assenso, quasi che la<br />
loro scelta indichi una condivisione da parte dell'autore. Mostrare<br />
significa allora condividere, esprimere la decadenza diventa<br />
accettarla:<br />
"Accettare la civiltà così com'è significa<br />
praticamente accettare la decadenza. Ha cessato di<br />
essere un atteggiamento intrepido ed è divenuto un<br />
atteggiamento passivo: anzi 'decadente', ammesso<br />
che questa parola significhi qualcosa" 106<br />
Orwell coglie il valore simbolico di Cancro, ma ne fraintende il<br />
segno, e muta da positivo a negativo il significato<br />
dell'accettazione: essa è si emblematica dei tempi, ma non nel<br />
senso di una decadente adesione alla civiltà, e nel conseguente<br />
disimpegno dell'intellettuale, quanto piuttosto in una positiva<br />
ricerca di alternative. L'accettazione è la proposta, forse ingenua,<br />
di una generazione che cercava, nell'adesione al flusso vitale e ad<br />
uno "spirito della storia", un percorso "oltre" la decadenza. In<br />
questo senso essa si colloca accanto ad altri fenomeni, come la<br />
ricerca di primitivismo nelle arti figurative, quale simbolo di<br />
un'epoca che il futuro lo delineava come ritorno alla natura, come<br />
ricerca di ritmi e forme immediate ed elementari, originarie,<br />
archetipiche.<br />
106 ibid., p. XVI.<br />
47
L'identificazione dell'accettazione con la decadenza porta al<br />
fraintendimento della complessità dell'opera milleriana 107.<br />
Accettare la paradossale coesistenza di opposti della realtà<br />
significa solo riconoscere una struttura dialettica evidente<br />
nell'esperienza: per Miller accettare significa allargare gli orizzonti,<br />
o, più precisamente, far entrare la materialità, la fisicità dell'uomo,<br />
la sua parte carnale e "naturale" nel mondo del pensiero, donare<br />
dignità di rappresentazione alla parte corporea dell'individuo, ed<br />
alla sua componente animale, dionisiaca.<br />
Accettazione significa ammettere la complessità e la<br />
contradditorietà del reale:<br />
"Questa dottrina dell'accettazione, la più difficile<br />
eppure la più semplice tra tutte le idee radicali [...]<br />
incarna il concetto che [...] bene e male<br />
coesistono, anche se l'uno non è che l'ombra<br />
dell'altro, e che il mondo, con tutti i suoi mali e i<br />
suoi difetti, fu creato per la nostra gioia." 108<br />
E' un dualismo che vuole farsi monismo: il lato spirituale e il lato<br />
materiale, lo spirito e la carne, le digressioni metafisiche e le<br />
descrizioni degli accoppiamenti sessuali, tutto rientra nella realtà.<br />
L`opposta polarità di due fenomeni non deve portare<br />
all`esclusione: tutto rientra con uguali diritti nel mondo, l`angelo<br />
come il demonio. Ecco perchè Miller non si sente in<br />
107 Lo stesso appunto venne mosso ad Orwell da un noto critico e seguace di<br />
Miller, Karl Shapiro: "Orwell ha scritto uno dei più bei saggi su Miller, nonostante<br />
la prospettiva tendenzialmente sociologica e il suo tentativo di codificare Miller tra<br />
gli scrittori della Depressione o qualcosa del genere." Shapiro sottolinea come<br />
questo errore di prospettiva derivi proprio dall'aver frainteso il senso<br />
dell'accettazione milleriana: "Orwell definisce il libro di Cèline [Viaggio al termine<br />
della notte, n.d.r.] un grido di insopportabile disgusto [...] E si stupisce che il<br />
Tropico del Cancro sia quasi esattamente il contrario ! [...] è un peccato che<br />
Orwell non abbia saputo vedere al di là della situazione sociologica di Whitman e<br />
di Miller." in K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente', in AAVV, H. Miller, il<br />
sesso, la censura e il Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli 1967, p. 46. (ed.<br />
orig. K. Shapiro, 'The greatest living author' in Defense of ignorance, New York,<br />
1960, pp. 313-338).<br />
108 H. Miller, Come il colibrì, cit., p. 31.<br />
48
contraddizione quando, dopo essersi definito un "capricorno", un<br />
essere bestiale metà uomo e metà caprone, parla dell"angelo come<br />
filigrana", della purezza spirituale come sostanza metafisica della<br />
sua vita e della sua scrittura. Questo perchè tra i due momenti non<br />
vede cesure: le vette dello spirito non sono che gli abissi della<br />
carne rovesciati, e viceversa. Occorre guardare in faccia le cose<br />
ed accettarle per ciò che sono:<br />
"Voglio un mondo [...] che abbia paura e rispetto<br />
per le sue origini animali. [...] Voglio in una<br />
purezza classica, in cui le feci siano feci e gli angeli<br />
siano angeli." 109<br />
Il primo passo per giungere alla accettazione è il riconoscimento<br />
della polarità del reale: il materiale e lo spirituale convivono senza<br />
escludersi ma anzi completandosi. Compiere questo passo<br />
significa innanzitutto che lo spirituale riacquista contatto con la<br />
materia del mondo, con la concretezza della carne e dei suoi<br />
bisogni, ed in questo modo ritrova il proprio senso come<br />
"filigrana" del reale, come ciò che dà un senso agli eventi della<br />
vita. Quanto al materiale, esso conquista una pari dignità di<br />
rappresentazione: anche la carne, il corpo, la natura animale e<br />
"dionisiaca" 110 dell'uomo viene riconosciuta ed acquista uno<br />
spazio espressivo.<br />
Di fronte ad una realtà di questo tipo, due sono le reazioni<br />
possibili: la prima è il rifiuto, l`esclusione dalla immagine del<br />
mondo di aspetti considerati triviali, osceni, degradanti. La<br />
seconda, ed è la reazione di Miller, è l'accettazione totale. Essa<br />
rappresenta un cedere al mondo così com`è, un lasciarsi andare<br />
alla corrente della vita con i suoi alti e bassi , senza trovare in<br />
questo contraddizione. La complessità dell`esistenza trascende le<br />
109 H. Miller, Primavera nera, cit., p. 693.<br />
110 Il punto di partenza della dottrina dell'accettazione è proprio la polarità<br />
nietzscheana "apollineo-dionisiaco". La simbologia del Capricorno, ad esempio,<br />
mostra la consapevolezza di un lato oscuro e "bestiale", "irrazionale", nella natura<br />
dell'uomo.<br />
49
possibilità umane di racchiuderla in una definizione o in<br />
un'immagine onnicomprensiva. L'esperienza è fatta di razionalità e<br />
di caos: vedere in essa solo una serie ordinata e sensata di<br />
fenomeni significa occultare la verità, costruire una immagine del<br />
mondo funzionale ai propri desideri ma falsa in quanto unilaterale,<br />
proiezione della volontà di potenza della ragione. Gli sforzi<br />
dell'intelletto per comprendere la realtà nelle proprie categorie, per<br />
Miller, non cancellano quelle zone oscure che sfuggono ai tentativi<br />
dell'uomo di stabilire un ordine e una logica. Di fronte al mondo,<br />
allora,<br />
"non dobbiamo fermarci a riflettere, confrontare,<br />
analizzare, possedere, ma fluire, fluire senza fine,<br />
come la musica. Questa è la virtù di chi si<br />
arrende" 111<br />
Il sentimento dell'accettazione ci porta al grande tema milleriano<br />
della "fluidità delle cose". Così scrive in Cancro:<br />
"Sì, dicevo a me stesso, anch`io amo tutto ciò che<br />
scorre: fiumi, fogne, lava, sperma, sangue, bile,<br />
parole, frasi. [...] Amo tutto ciò che scorre, tutto<br />
ciò che ha in sè tempo e divenire, che ci riporta al<br />
principio dove non c`è mai fine: la violenza dei<br />
profeti, l'oscenità che è estasi, la saggezza del<br />
fanatico [...] Il grande desiderio incestuoso è<br />
scorrere all`unisono col tempo [...] Un desiderio<br />
fatuo, suicida, reso stitico dalle parole e paralizzato<br />
dal pensiero" 112<br />
La realtà è un continuo divenire, come lo scorrere di un fiume. Le<br />
acque portate dal movimento cambiano, ma il movimento del loro<br />
fluire è sempre lo stesso e permane oltre il loro mutamento. La<br />
legge di un eterno farsi e disfarsi delle cose regola la vita del<br />
cosmo, secondo Miller: tutto passa, tutto scorre, i fiumi, il<br />
111 H. Miller, Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli, 1992 (quarta<br />
edizione), p. 76-7.<br />
112 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 271.<br />
50
sangue, così come le parole e le civiltà. Tutta la realtà è animata da<br />
un principio vitalistico di eterno divenire: le immagini del "flusso"<br />
ci riportano al principio stesso della vita, che è continuo<br />
mutamento, incessante farsi e disfarsi di forme, una dialettica<br />
eterna di nascita e morte. Il permanere del "flusso" oltre le cose<br />
che esso trascina con sè indica la presenza di un valore stabile, di<br />
una forza che è sempre presente e che sopravvive alle infinite<br />
morti che costellano la storia dell`umanità. L`accettazione qui<br />
diventa il "grande desiderio incestuoso" di lasciarsi andare alla<br />
corrente, di farsi trascinare da questa energia vitale. E questo farsi<br />
trascinare ha un riflesso, un simbolo, nel gusto milleriano per il<br />
magma verbale, per gli elenchi, per il flusso di immagini che<br />
sembrano sgorgare spontaneamente e senza possibilità di<br />
controllo. Scrivere significa correre dietro a questa "eruzione" di<br />
parole, e la penna diventa un tramite impotente tra le idee e la<br />
pagina, uno strumento per l'oggettivazione del flusso in immagini:<br />
"amo le parole degli isterici e le frasi che si<br />
riversano come dissenteria e rispecchiano tutte le<br />
immagini morbose dell'animo; amo tutti i grandi<br />
fiumi come il Rio delle Amazzoni e l'Orinoco [...]<br />
Amo tutto ciò che scorre [...] Amo gli scritti che<br />
scorrono, siano essi ieratici, esoterici, perversi,<br />
polimorfi, o unilaterali." 113<br />
Le parole sono come le acque di un fiume, scorrono<br />
incessantemente senza che il loro movimento possa essere<br />
frenato: all'artista resta l'umiltà di riconoscere questa forza e di<br />
farsene strumento.<br />
Qui ci sono diversi punti di contatto con Spengler: oltre all'idea<br />
dello stile come ispirazione, come parola che si trascrive sulla<br />
pagina, c'è in Miller come in Spengler l'idea di un ciclo eterno di<br />
morte e rinascita alla base della vita del cosmo, e c'è anche la<br />
fiducia in una forza, la vita, che permane oltre questo destino di<br />
morte. Spengler parla di divenire, Miller di scorrere, e il ricorso ad<br />
113 ibidem, p. 271. Per questa idea dello stile milleriano come "magma verbale"<br />
vedi Guido Almansi, "L'estetica dell'osceno", cit., p. 231.<br />
51
immagini simboliche affini tradisce una affinità concettuale di<br />
fondo. In Miller è il fiume (immagine eraclitea) che simboleggia un<br />
moto eterno. L'immagine del lento fluire della Senna chiude<br />
Tropico del Cancro, ad indicare che la vita continua oltre il<br />
Cancro, e che continuare a vivere significa accettare la vita nel<br />
mutare eterno delle sue forme:<br />
"Così quieta scorre la Senna che quasi non ti<br />
accorgi della sua presenza. E`sempre lì, tranquilla<br />
e discreta, come una grande arteria che scorre nel<br />
corpo dell`uomo [...]<br />
Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre<br />
dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima<br />
mutevole. Le colline gli fan dolce corona; il suo<br />
corso è stabilito." 114<br />
Le acque del fiume sono come il sangue che scorre inavvertito<br />
attraverso vene e arterie del corpo umano. E` un'immagine<br />
pressochè identica a quella che troviamo in Primavera nera:<br />
"il fiume che curva e serpeggia, la distesa dei colli<br />
che racchiudono la valle, il continuo mutamento<br />
del panorama e tuttavia la sua costanza, la varietà e<br />
il movimento della vita sotto il segno fisso del<br />
tricolore, tutto questo è la storia della Senna che<br />
mi scorre nel sangue e si riverserà nel sangue di<br />
quelli che verranno dopo di me" 115<br />
La Senna è la vita, ed anche Henry Miller si sente un organismo<br />
vitale ed una realtà che "scorre" 116: il movimento delle acque del<br />
fiume scorre parallelo a quello della sua bicicletta, i due moti si<br />
compenetrano e si fanno immagine del vitalismo della natura.<br />
Uomo e natura ritrovano il loro legame: il simbolismo della Senna<br />
li unisce nel flusso comune della vita.<br />
114 ibidem, p. 333.<br />
115 H. Miller, Primavera nera, cit., p. 681.<br />
116 Norman Mailer usa questa immagine per descrivere Miller: Hemingway è<br />
colui che pianta la tenda accanto al fiume e lo osserva, Miller "è" il fiume.<br />
52
In Spengler ritroviamo accenti analoghi. Sempre una immagine<br />
eraclitea (il fuoco), sempre l'idea di un moto eterno ed incessante,<br />
una combustione perenne. Alla base della sua filosofia della<br />
storia, come dell'opera di Miller, sta un fondamento stabile, che<br />
spiega le dinamiche della realtà e che costituisce una garanzia sul<br />
futuro dell'uomo. Questo fondamento, abbiamo visto, è la vita,<br />
intesa come forza originaria e come potenza creatrice eterna.<br />
III. 6. 3. I simboli della vita<br />
Ora abbiamo una chiave interpretativa per scorgere il significato<br />
delle immagini di Tropico del Cancro. Uno dei primi simboli che<br />
incontriamo è quello del cibo: "Mangiare è una delle cose che mi<br />
piacciono enormemente" 117. Più avanti si legge:<br />
"- La vita - dice Emerson - è fatta di ciò che<br />
l'uomo pensa tutto il giorno - Se è così, allora la<br />
mia vita non è altro che un enorme intestino. Tutto<br />
il giorno io non penso ad altro che al cibo; non<br />
solo : me lo sogno di notte. " 118<br />
Il cibo è un elemento primario, un'esigenza "naturale" dell'uomo: è<br />
l'alimento del corpo, è ciò che sostiene la carne e la materia stessa<br />
dell`uomo. E` l`immagine della vita perchè è ciò che la perpetua, e<br />
perchè ne rappresenta la ricchezza e pienezza. E` un simbolo che<br />
ricorre spesso nei romanzi di Miller: vi ritroviamo quel gusto per il<br />
magma verbale che abbiamo precedentemente osservato 119.<br />
L'immagine del cibo presenta una complessa articolazione di<br />
significati: indica una fame di vita, di autenticità, ma anche il<br />
117 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 8.<br />
118 ibidem, p. 77.<br />
119 "Elsa telefona ancora, ha dimenticato di ordinare un pezzo di pancetta: -Si, un<br />
bel pezzo di pancetta, non troppo grassa - dice...Zut alors ! Mettici anche<br />
qualche animella, mettici coglioni di toro e, pssst, dei mitili ! Mettici anche un pò<br />
di leberwurst fritto, già che ci sei; sarei capace di ingozzarmi tutte le mille e<br />
cinquecento commedie di Lope de Vega in una volta sola" ibidem, p. 36.<br />
53
desiderio di immettere linfa nuova e reale nell`arte, di ridonarle<br />
energia stante l'aridità e l'intellettualismo della sua storia presente:<br />
"Bisogna intrufolarsi nella vita per metter su carne.<br />
Il mondo deve diventare carne; l'anima ha sete. Su<br />
qualunque crosta mi si fermi l'occhio, io voglio<br />
piombarci sopra, e divorare. [...] Erompe l'alba su<br />
un mondo nuovo, una giungla in cui gli spiriti<br />
magri vagano con artigli aguzzi. Se io sono una<br />
iena, sono una iena magra e affamata: vado a<br />
ingrassarmi." 120<br />
Abbandonarsi all'illusione di onnipotenza dell'intelletto significa<br />
perdere il contatto con la vita, con l'origine, con ciò che salva nei<br />
momenti di crisi. Perdere il contatto con la vita significa<br />
abbandonarsi ad una decadenza perenne e senza uscita. Ma se si<br />
riesce a ridare spazio alla "voce della carne", allora possono<br />
aprirsi spazi all'azione:<br />
"Le idee devono sposarsi all'azione; se in loro non<br />
vi è sesso, non vita, non c`è azione. Le idee non<br />
possono esistere da sole nel vuoto del pensiero.<br />
Le idee sono in rapporto con la vita: idee di fegato,<br />
idee di reni, idee interstiziali ecc... [...] L'estetica<br />
dell'idea produce vasi di fiori e i vasi di fiori si<br />
mettono alla finestra. Ma se non c`è nè pioggia nè<br />
sole a che serve mettere i fiori fuori dalla finestra<br />
?" 121<br />
Le idee non crescono nel vuoto, sono concrezioni del sangue,<br />
della bile, dei succhi gastrici; hanno bisogno di acqua e sole per<br />
maturare. Sono organismi che vogliono vivere, vogliono agire:<br />
altrimenti appassiranno come fiori senza pioggia.<br />
L'accento sull'agire, l'ostilità alle idee astratte e senza<br />
concretezza, l'attacco al pensiero intellettualizzato e senza radici:<br />
sono tutti elementi che troviamo anche in Spengler. Allo stallo<br />
120 ibidem, p. 108.<br />
121 ibidem, p. 255.<br />
54
della civiltà cittadina, dominata dalla figura dell`intellettuale da<br />
metropoli, si reagisce col ritorno alla radice del senso della vita,<br />
col ritorno alla terra, al sangue, alla razza ed alla storia, o, nei<br />
termini milleriani, alla carne ed al sesso.<br />
Possiamo cogliere questa dinamica attraverso le evoluzioni che<br />
Miller fa compiere all'immagine dell"oro" 122. Dapprima esso sta<br />
ad indicare un parametro di giudizio della civiltà contemporanea: la<br />
letteratura ha sempre "base aurea", si fonda cioè su idee astratte e<br />
lontane dalla realtà. Superare questa base significherà "raffigurare<br />
un essere presocratico", "erigere un mondo basato sull'omphalos,<br />
non un`idea astratta inchiodata a una croce". A questo punto,<br />
l'immagine da puramente negativa si rovescia e l'oro diventa<br />
nuovamente simbolo della ricchezza, ma non quella fondata sul<br />
denaro, bensì la ricchezza di una natura pienamente umana.<br />
Scoprire l`oro significa così ritrovare nelle visceri dell`uomo la<br />
radice di ogni simbolismo, di ogni senso della vita:<br />
"Bisognerà riscavare tutto l`oro sepolto nelle<br />
tasche della terra; e tutto questo simbolismo<br />
bisognerà di nuovo tirarlo fuori dalle viscere<br />
dell'uomo." 123<br />
L'oro sarà allora una vita che riacquista significato a partire dalla<br />
sua realtà più viscerale, più concreta e profonda.<br />
I più importanti simboli della vita sono il sesso e l'immagine che<br />
tradizionalmente più lo incarna, la donna. Questo tema, che è il<br />
leitmotiv dell'intera produzione milleriana, si connette così al<br />
motivo del fluire e dello scorrere, e con la sua ricca articolazione<br />
ci consente di farci una idea più chiara di concetti come "vita",<br />
"flusso" e "divenire".<br />
Il sesso è una forza creatrice: crea un proprio mondo, fissa<br />
rapporti e legami che annientano ogni ordine precedente. E' un<br />
potere eversivo che supera le distinzioni operate dalla storia, dalla<br />
società, da tutte le impalcature costruite dall'intelletto umano;<br />
122 ibidem, p. 256-7.<br />
123 ibidem, p. 257.<br />
55
portando con sè tutta l'energia della vita, è la forza che può<br />
salvare dalla decadenza. Di fronte al sesso l'uomo torna ad una<br />
nudità che non è solo corporea ma anche ideale, torna alla propria<br />
primitività e riscopre ciò che lo rende uomo, la sua essenza<br />
profonda nascosta dalle sovrastrutture che lui stesso ha costruito.<br />
Si spiega allora il significato dell"osceno" in Miller: l'osceno è<br />
una violazione dell`ordine sociale, la sua sostituzione con un<br />
ordine più antico, quello della natura. Tramite l'osceno, l'arte<br />
rappresenta l'uomo nella sua condizione originaria, "presocratica",<br />
cioè precedente alle distinzioni operate dalla ragione:<br />
"La violenza, negli atti o nelle parole, è una forma<br />
invertita di preghiera. [...] Qualunque cosa richieda<br />
un trattamento radicale richiede Dio, e sempre<br />
attraverso qualche forma di morte o<br />
annientamento. Ogni qualvolta affiora l'osceno, si<br />
sente l'odore della morte imminente di una<br />
forma." 124<br />
"Se c'è qualcosa che merita di essere chiamato<br />
'osceno' è quest'obliquo, indiretto confronto coi<br />
misteri, questa passeggiata fino al ciglio<br />
dell'abisso" 125<br />
L'osceno è la sacralità dell'uomo, lo richiama all'abisso della sua<br />
essenza, al mistero della vita. Esso si lega alla violenza, quella<br />
violenza che abbiamo trovato spesso in Miller, e che qui mostra il<br />
proprio significato: essa è una preghiera, è l'annullamento radicale,<br />
la morte che preclude ad una nuova vita. La violenza non ammette<br />
sfumature: o vita o morte, le posizioni sono radicali. La violenza e<br />
l'oscenità del sesso milleriano precludono alla nascita di una<br />
nuova forma di eros, un eros "totale", senza esclusioni, un eros<br />
come completa accettazione della pienezza della vita.<br />
124 H. Miller, Ricordati di ricordare, Torino, Einaudi, 1979, p.251.<br />
125 ibidem, p. 252.<br />
56
Ma il sesso può anche essere l'esperienza più avvilente per<br />
l'uomo. E' il sesso dei Boris e dei Van Norden, la copula<br />
meccanica e disanimata: l'eros diventa il corrispettivo organico del<br />
meccanicismo della società tecnologica 126. Il sesso diventa così<br />
l'immagine del mondo della tecnica, il suo simbolo più evidente.<br />
La macchina sottrae all'uomo la sua essenza e lo allontana dalla<br />
vita ottundendolo con la ripetitività dei comportamenti che<br />
impone. Allora il sesso mostra tutta la sua negatività: la<br />
monotonia, la volontà di sopraffazione, il vuoto di significato, la<br />
brutalità, la violenza. Diventa una macchina cui manca la mano del<br />
meccanico:<br />
"Poichè manca quella scintilla di passione, non c'è<br />
significato umano nell'accoppiamento. E' meglio<br />
guardare una macchina. E questi due sono come<br />
una macchina con gli ingranaggi slogati. Ci vuole il<br />
tocco dell'uomo per rimetterla in sesto. Ci vuole il<br />
meccanico." 127<br />
I termini che descrivono questa sessualità inorganica<br />
appartengono al mondo della guerra (trincea, fucili, coltelli, strage)<br />
o a quello delle macchine (motore, ingranaggio, interrutore,<br />
corrente elettrica). E' la mistificazione del sesso e la perdita del<br />
suo mistero. Lo svuotamento di senso della civiltà si riflette nel<br />
vuoto dell'atto sessuale, che, venuta meno la "scintilla", si affida<br />
ad uno schema ripetitivo per nascondere il proprio distacco dalla<br />
vita.<br />
Il "mondo del sesso" deve essere invece immagine della sacralità<br />
dell'eros. Il sesso ha bisogno di un motivo, fosse anche una<br />
voglia animale e carnale: anche una sessualità dettata<br />
esclusivamente da un'attrazione animale è meglio del sesso<br />
meccanizzato. Quando l'eros è così attivato, allora la "morte<br />
126 Questa era la critica che Ernst Junger muoveva a Miller: "il sesso viene<br />
contrapposto alla tecnica. [...]" ma in realtà "in sesso non contrasta con i processi<br />
tecnici, è anzi il loro corrispettivo nell'ambito organico". Vedi Ernst Junger-Martin<br />
Heidegger, Oltre la linea, Milano, Adelphi, 1989, p. 97.<br />
127 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 154.<br />
57
dell'automa" è sancita ed il sesso diventa un'esperienza di<br />
liberazione, la rivelazione del potere cosmogonico dell'unione tra<br />
uomo e donna. L'eros crea un ordine ed un proprio mondo oltre<br />
quello delle regole sociali, scrive una storia diversa e sempre<br />
nuova. Spezza i legami creati dall'uomo e ristabilisce il dominio<br />
delle leggi che regolano la vita della natura e degli organismi<br />
viventi 128. Esso attinge la propria forza dal contatto diretto con il<br />
mistero della vita.<br />
Tropico del Cancro voleva attuare una "liberazione": la<br />
liberazione dal mondo artificiale dell'uomo. Paradossalmente, egli<br />
deve morire al mondo per giungere alla vita. L'epoca vuole<br />
soluzioni violente, dinamitarde, esplosioni: ed allora il torpore<br />
dell'uomo potrà essere scosso solo dal sapore forte del sesso.<br />
Forte perchè è l'aroma della nascita, di quanto di più denso possa<br />
esistere. Il sesso diventa lo strumento, dell'uomo come dell'artista,<br />
per liberarsi dal giogo della "macina da mulino" e per tornare alle<br />
fonti di senso, per restaurare il legame tra l'uomo e il mondo. Il<br />
sesso non è più genitale ma metafora di una condizione<br />
esistenziale di primitività, di naturalità, di recupero dell'infanzia e<br />
dell'innocenza perduta. Se il mondo è una serie di cassetti, come<br />
nell'immagine di Moldorf, dove ogni cosa è etichettata con nome,<br />
luogo e data, il sesso rimane il terreno del mistero: mistero,<br />
perchè non comprensibile dalla ragione, mistero perchè ha sempre<br />
in sè energie e potenzialità da esplorare, perchè è la speranza del<br />
futuro.<br />
Quando l'eros è passione autentica, ogni copula è diversa<br />
dall'altra, ogni copula è reinvenzione del mondo. L'atto sessuale<br />
non ripete mai sè stesso, ma reinventa continuamente le sue<br />
forme, come la vita. Nella raffigurazione artistica, ogni copula<br />
diventa l'attivazione di un senso nascosto dell'esistenza. Ecco<br />
allora la metafora della penetrazione come attraversamento di una<br />
città:<br />
128 Qui il discorso procede sulla falsariga di quello di D.H.Lawrence, che è uno<br />
degli scrittori più amati da Miller. Il suo primo libro doveva essere, infatti, un<br />
lungo saggio sullo scrittore inglese, saggio mai concluso e pubblicato postumo.<br />
Vedi H. Miller, The world of Lawrence, California, Capra Press, 1980.<br />
58
"Quando sventolava la bandiera, era rossa giù fino<br />
in fondo, fino in gola. Entravi da boulevard Jules<br />
Ferry e uscivi da porte de la Villette." 129<br />
Qui la penetrazione viene assimilata ad un viaggio, ad un percorso<br />
di conoscenza. L'utero dilata le sue dimensioni a quelle di una città<br />
e di un mondo che è infinito da esplorare. Altrove, ecco la<br />
prostituta Germaine che diventa immagine della corrente della vita:<br />
"Tutti gli uomini con cui è stata e ora tu, proprio<br />
tu, e le chiatte che passano, alberi e scafi, tutta la<br />
maledetta corrente della vita che fluisce in te, in lei,<br />
in tutti quelli che ci son stati prima di te, dopo di<br />
te, i fiori e gli uccelli e il sole che inonda e la sua<br />
fragranza che ti soffoca, ti annulla." 130<br />
L'utero è come uno zero, ma<br />
"non lo zero su cui Van Norden volse la sua luce,<br />
non il cretto vuoto dell'uomo prematuramente<br />
disilluso, ma piuttosto uno zero arabico, il segno<br />
da cui balzano interminabili mondi matematici, il<br />
fulcro che tiene in equilibrio le stelle e i sogni<br />
leggeri e le macchine più leggere dell'aria e le<br />
membra leggere e gli esplosivi che le han<br />
prodotte." 131<br />
Il sesso è scaturigine dell'infinità dei mondi possibili, è la chiave<br />
per giungere alla verità che l'uomo ha dentro di sè. Se qualcuno<br />
osasse portare alla luce questa verità, cadrebbe ogni<br />
"sovrastruttura", che è sempre "menzogna" fondata su "una paura<br />
trepidante" 132. Il mondo si regge su forme decrepite, e basterebbe<br />
un solo sguardo al mistero del sesso o dell"osceno" per farlo<br />
129 H. Miller, Tropico del Cancro, cit., p. 12.<br />
130 ibidem, p. 50-1.<br />
131 ibidem, p. 261.<br />
132 ibidem, p. 261-2.<br />
59
crollare. La copula, e quindi la sua raffigurazione artistica (qui<br />
Miller difende la propria "estetica dell'osceno"), scuotono l'uomo<br />
perchè l'artista sa dove collegarsi per trovare la corrente elettrica<br />
del sesso. La presa è nella parti basse, nelle interiora, nelle visceri<br />
dell'uomo, nella sua parte più carnale e più vicina alla propria<br />
ancestrale animalità:<br />
"egli mette il filo con la corrente lì tra le gambe;<br />
colpisce sotto la cintura, brucia le interiora. [...]<br />
Innesta la sua dinamo alle parti più tenere: anche se<br />
ne esce solo sangue e pus, è già qualcosa. [...] Se<br />
rimane solo una ferita aperta, deve sgorgare, anche<br />
per non produrre altro che blatte e pipistrelli e<br />
omuncoli." 133<br />
Questo contatto con la vita ha salvato Miller dal seguire la sorte<br />
dei "facchini il livree di gesso che aprono le mascelle dell'inferno",<br />
lo ha salvato dalle "fauci zannute delle macchine" e<br />
della metropoli:<br />
"Io ero un uomo con corpo e anima, avevo un<br />
cuore non protetto da una volta d'acciaio. Avevo<br />
momenti di estasi e facevo faville, quando cantavo.<br />
Cantavo dell'Equatore, delle gambe di lei dalle<br />
piume rosse e delle isole che scompaiono alla<br />
vista" 134<br />
L'immagine della donna, simbolo della vita, trasforma l'immagine<br />
del mondo: esso diventa un grande organismo vivente, un<br />
"enorme utero" in continua germinazione. E' una produzione<br />
incessante di forme, piante, animali, uomini, civiltà. Un mondo<br />
animato in ogni sua parte dal pulsare della vita, che lo attraversa<br />
come la corrente della Senna attraversa la città, scorrendo per i<br />
secoli e attraverso il sangue e il cuore di ognuno.<br />
133 ibidem, p. 263.<br />
134 ibidem, p. 264.<br />
60
Il futuro è nelle mani di chi mantiene il contatto con l'origine. Il<br />
futuro è di Matisse e della sua arte nella quale "erompe il colore<br />
della vita, in canto e in poesia"; con Matisse si ha la sensazione<br />
"di essere immerso nel plesso medesimo della vita", di scorgere<br />
"dietro le quisquilie, il caos, la beffa della vita" il "modulo<br />
invisibile", il "pigmento metafisico" della realtà. Anche in un<br />
mondo che va a pezzi "c'è un uomo che rimane al nocciolo", e<br />
questo nocciolo ha connotati sessuali, "vibra di chiari, ansanti<br />
orgasmi" ed è "denso di sperma stagnante" 135.<br />
Il futuro è dell'Oriente, dell'India 136 che deve lottare contro il<br />
virus diffuso dall'America, "l'ossessione del tempo, la marcia<br />
inarrestabile dell'orologio"; l'Oriente è il simbolo di una intatta<br />
purezza spirituale che non deve cedere al modello di progresso<br />
offerto, o meglio imposto, dall'Occidente 137.<br />
Il futuro, soprattutto, è della donna:<br />
"I have a strange feeling that the next great<br />
impersonation of the future will be a woman. [...]<br />
The masculine power is over. Men have lost touch<br />
with the earth; they are clinging to the windowpanes<br />
of their unreal superstructures" 138<br />
135 Vedi la digressione su Matisse (p. 173-177). Era un pezzo cui Miller teneva<br />
molto (lo mantenne nell`edizione definitiva del romanzo nonostante le insistenze<br />
degli amici perchè lo togliesse), come simbolo positivo per il futuro del mondo e<br />
per le possibilità dell'arte. Scrive infatti Erica Jong: "Da cima a fondo Tropico del<br />
Cancro è una digressione contro il potere della morte. Gli artisti che Miller<br />
ammira - Matisse, Proust - sono anche quelli in cui scorge un grande spirito<br />
antimorte." E. Jong, Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993, p. 117.<br />
136 Vedi H. Miller, Conversazioni a Pacific Palisades, Parma, Guanda, 1992: "In<br />
India, mi sembra che non si sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito:<br />
sono sempre stati legati tra loro, e come in Grecia fanno tutt'uno." p. 81. Da<br />
notare che la Grecia cui si riferisce è, esplicitamente, quella spengleriana, dove<br />
tutto è corpo, e dove il cosmo stesso è un grande corpo con l`uomo come centro<br />
assoluto.<br />
137 Vedi H. Miller, 'Of art and the future', cit., p. 154: "The clash of East and<br />
West will be like a marriage of the waters; when the new dry land eventually<br />
appears the old and the new will be indistinguishable. The human fundament is in<br />
the East." Il pensiero orientale domina nella seconda parte della produzione<br />
milleriana, dopo i romanzi del periodo parigino.<br />
138 ibidem, p. 160.<br />
61
La donna è il simbolo del sesso e della forza della natura: sotto le<br />
sue molteplici incarnazioni (Mona, Una Gifford, Germaine, Llona,<br />
Irene, Claude) resta l'archetipo della Donna Madre, culto di<br />
popoli primitivi. E` la donna depositaria del mistero della nascita,<br />
donna come valore eterno e come garanzia del perpetuarsi della<br />
legge del divenire. E' lei ad alimentare il flusso della vita. E' da<br />
notare qui la sintonia con Spengler quando scrive:<br />
"L'uomo vive il destino e capisce la causalità, la<br />
logica del divenuto, basata su causa ed effetto.<br />
Invece la donna è destino, è tempo, è la logica<br />
organica dello stesso divenire. [...] La donna [...] è<br />
il futuro, [...] è la storia." 139<br />
La donna è il simbolo della legge naturale dell'eterna rigenerazione,<br />
mostra nella sua azione creatrice il ciclo di nascita, morte e<br />
rinascita che regola la vita del cosmo. L'uomo osserva questa<br />
corrente vitale, la donna lo è. L'uomo "fa" la storia, costruisce le<br />
forme, i "microcosmi" che proteggono la corrente e la fanno<br />
defluire liberamente, la donna è la storia che non cambia mai, e<br />
che sottostà alle "storie" create dagli uomini. E' "la storia senza<br />
civiltà della mera successione delle generazioni".<br />
Il rapporto tra Miller e Spengler si era aperto all'insegna della<br />
catastrofe: li univa una comune profezia di sventura e la fama di<br />
"menegrami" e pessimisti. Ma i simboli del "tramonto" e del<br />
"cancro" celavano anche una positività che andava mostrata, in<br />
quanto essa forma la sostanza stessa di quelle immagini e del<br />
pensiero che a partire da quelle si costruisce. Scandagliare gli<br />
abissi, gli "acquai putridi delle civiltà" significava portare a morte<br />
naturale una forma in decomposizione ed al contempo rintracciare<br />
la forza che ne avrebbe generata una nuova. La decadenza<br />
dell'occidente chiude una storia ma ne apre anche un'altra:<br />
l'accostamento di Henry Miller e Oswald Spengler si chiude su<br />
questa immagine solare della donna come vita. Da qui partiranno<br />
139 O. Spengler, Il tramonto dell'occidente, cit., p. 1131-2.<br />
62
due percorsi che saranno spesso divergenti, ma che comunque<br />
procedono da uno stesso fondamento positivo.<br />
APPENDICE<br />
Per il libro su D.H. Lawrence, Miller aveva preparato una grande<br />
quantità di appunti, di indici, di schemi e diagrammi. Centinaia di<br />
pagine contenute in diversi quaderni manoscritti, che testimoniano<br />
il suo impegno nella comprensione dell'universo lawrenciano, ed<br />
al contempo la difficoltà e le incertezze di questo percorso. L'uso<br />
di mappe esplicative, di diagrammi o di rappresentazioni figurative<br />
era molto comune in Miller, che ne tappezzava la scrivania e<br />
spesso anche le pareti di casa. Identico procedimento ritroviamo<br />
negli appunti per Plexus 140: lì il disegno è quello di un sole, dove<br />
Rensen Street è il fulcro circolare dal quale partono i raggi, cioè le<br />
vicende e i personaggi che si sprigionano, quasi per evocazione,<br />
dal nome della strada newyorkese. Questo procedimento, se può<br />
essere fatto rientrare in quella tendenza alla raffigurazione visiva<br />
testimoniata dalla passione per l'acquarello 141, ci mostra però<br />
anche la fascinazione milleriana per le rappresentazioni<br />
140 Vedi l'illustrazione n. 2, riprodotta in (a cura di) Thomas H. Moore, Writing,<br />
cit., p. 168..<br />
141 Henry Miller cominciò negli anni Trenta a coltivare questa passione, che per<br />
un breve periodo divenne dominante. In alcuni casi la vendita di acquarelli lo aiutò<br />
a sopravvivere. Raggiunta la celebrità fece anche delle mostre dei suoi lavori, ed<br />
alcuni sono raccolti in H. Miller, L'angelo è la mia filigrana, Milano, il Saggiatore,<br />
1961. Leggendo il suo programma di lavoro degli anni 1932-1933, troviamo,<br />
accanto ai piani di scrittura, anche un "painting program".<br />
63
simboliche. Il senso di questa passione è il tentativo costante di<br />
una rappresentazione onnicomprensiva della realtà, lo sforzo di<br />
comprendere l'esistenza e le sue contraddizioni in una immagine<br />
complessiva, dominabile con un solo sguardo. Ed è lo stesso<br />
sentimento, per inciso, che anima un filosofo come Spengler,<br />
quando parla della storia come forma osservata dalla "prospettiva<br />
dell'aquila". Espressioni entrambe di un pensiero che si fonda più<br />
sulle capacità d'intuizione di una immagine che sulla<br />
consequenzialità rigorosa dei concetti.<br />
L'illustrazione n. 1 riproduce un disegno approntato da Miller<br />
durante la stesura di The world of Lawrence 142. Attraverso il<br />
simbolo dell'albero 143, che è qui "albero della vita", lo scrittore<br />
americano sintetizza la propria visione del mondo, sulla scorta<br />
della lettura di Lawrence.<br />
L'albero rappresenta, nella forma e nella fisiologia, il movimento<br />
della vita. Alla radice c'è la madre terra ("mother earth"), l'utero<br />
("womb"), che è origine ma anche fine ("grave", tomba) di ogni<br />
cosa. E' l'humus da cui comincia la vita ed a cui la vita ritorna,<br />
con la morte. Da questo seme partono le radici, che sono il flusso<br />
vitale ("life stream"), e che generano il microcosmo, cioè l'uomo.<br />
Al suo opposto, in alto, stà il macrocosmo, il clima mentale<br />
("mental climate"), l'ideologia come "restaurazione di una unità<br />
perduta", "quella del sè con il cosmo" ("restauration of a lost<br />
unity" "of the self with the cosmos"), come raggiungimento<br />
dell'armonia tra l'uomo e la sua essenza spirituale. La stessa<br />
polarità tra microcosmo e macrocosmo fonda la struttura portante<br />
del Tramonto. Altra polarità è quella tra forma ("form") e mondo<br />
142 L'illustrazione è riprodotta in H. Miller, The world of Lawrence, cit., p. 2.<br />
143 Questa immagine, ricorrente in quasi tutte le mitologie, compare anche in una<br />
lettera del marzo 1933 ad Anais Nin. Parlando dell'artista, Miller scrive: "L'autore<br />
è come un albero, nel corso delle sue creazioni: le sue creazioni sono l'atmosfera<br />
nella quale si immerge; crescendo egli affonda radici e dalle radici cresce l'albero<br />
futuro, non dai fiori e dalle ghiande." Vedi H. Miller, Lettere ad Anais Nin, cit., p.<br />
167. L'artista compie lo stesso percorso del flusso vitale, che fa crescere la pianta<br />
e germogliare i frutti, e che al contempo torna alle radici fertilizzando il terreno per<br />
nuove creazioni. Si ripropone il tema milleriano dell'identificazione arte-vita.<br />
64
("world"), tra le strutture create dall'uomo ed il flusso della vita<br />
del cosmo, che non si lascia congelare in forme morte. Anche qui<br />
abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra forme al<br />
tramonto e forme vitali, tra "zivilisation" e "kultur", tra le<br />
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come<br />
spengleriano è quel richiamo al destino ed alla storia della razza<br />
("History of race. The time spirit. Destiny"), che nella figura<br />
compare in basso a destra.<br />
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che<br />
costruisce l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che<br />
simboleggia la fede religiosa ("religious faith"), fede nella realtà<br />
spirituale dell'uomo e nell'essenza metafisica della realtà. Essa<br />
permette la crescita dell'istinto vitale ("vital instinct of life"), che si<br />
concretizza nel "sacred body", nel corpo sacralizzato: lo spirito<br />
non è qualcosa di separato dal corpo, ma proprio nella<br />
dimensione del corpo trova la propria manifestazione più viva. Ed<br />
è proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale<br />
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla<br />
ideologia ed ai cieli del macrocosmo. La scoperta dello spirito<br />
passa attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami<br />
dell'albero, verso il mondo delle idee (a destra) e verso il mondo<br />
dell'arte (a sinistra).<br />
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza<br />
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della<br />
vita. La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il<br />
basso: è il concetto di morte creativa ("creative death").<br />
Osserviamo la parte sinistra del disegno, poco sopra il livello del<br />
suolo: "the whole form of our world mustys", cioè l'intera forma<br />
del nostro mondo avvizzisce. Questo sentenzia il "Profeta del<br />
Fato" ("Prophet of the Doom"), probabilmente lo stesso<br />
Spengler. La morte delle vecchie forme è però creativa, e nel<br />
disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare via i rami<br />
secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere di<br />
nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita<br />
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre<br />
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento<br />
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E'<br />
65
l'ennesima immagine del monismo milleriano, che fa sì che<br />
opposti quali vita e morte, creazione e distruzione possano<br />
coesistere in una immagine ciclica del movimento della vita; ed<br />
anche qui la vicinanza alla filosofia di Spengler, allo svolgersi della<br />
storia secondo lo schema di una ciclicità naturale, appare<br />
evidente.<br />
In conclusione, l'immagine che il disegno ci offre, attraverso la<br />
simbologia dell'albero della vita, è quella di una realtà naturale<br />
fondata su opposti o quantomeno su realtà parallele, sincroniche:<br />
microcosmo e macrocosmo, utero e cieli, forma e mondo, realtà e<br />
metafisica, nascita e morte, morte creativa e morte non-creativa.<br />
Le opposte polarità però li tengono uniti, in un serrato rapporto<br />
dialettico che forma la realtà. Ecco allora la raffigurazione<br />
sintetica, l'immagine simbolica della pianta, che, pur diramandosi<br />
in ogni direzione, trova un elemento originario di coesione<br />
nell'essere attraversata senza soluzione di continuità dalle linee del<br />
flusso vitale, veri e propri canali linfatici dell'organismo<br />
macrocosmico.<br />
66
ILLUSTRAZIONE N. 1<br />
67
ILLUSTRAZIONE N. 2<br />
68
IV<br />
ESTETICHE A CONFRONTO<br />
Il presente capitolo è dedicato all'analisi ed al confronto critico delle<br />
posizioni assunte da Henry Miller e Oswald Spengler nell'ambito della<br />
riflessione estetica. Gli spunti che si possono ricavare dall'opera del<br />
primo sono ovviamente notevoli, anche per la presenza cospicua di<br />
una serie di considerazioni sull'arte e sui suoi procedimenti: Miller<br />
sente fortemente l'esigenza di una fondazione epistemologica del fare<br />
arte, sia perché è la chiave di volta che consente la comprensione di<br />
una dimensione "spirituale" del reale cui tiene molto, sia perché<br />
rappresenta un baluardo argomentativo che sostiene e giustifica il<br />
carattere sperimentale e trasgressivo dei suoi romanzi, sia perché<br />
risponde ad esigenze di autoanalisi e di introspezione. Oltre agli spunti<br />
che incidentalmente compaiono nei romanzi, ci rifaremo quindi ad un<br />
corpus, che vedremo sostanzioso, di scritti critici nei quali si affronta il<br />
problema di una definizione dell'arte.<br />
Diverso è il discorso per quanto riguarda Spengler: il filosofo<br />
tedesco ha affrontato il problema mantenendosi sempre strettamente<br />
legato all'orizzonte del proprio sistema di filosofia della storia. L'arte<br />
definisce e viene definita dall'organicità della filosofia spengleriana, al<br />
di fuori della quale perde fondamento: è parte di una totalità al di fuori<br />
della quale rimane ingiustificata, ed in forza della quale attinge la<br />
propria validità come forma di conoscenza e la propria capacità di<br />
espressione simbolica del reale e dei suoi conflitti. Va anche detto,<br />
però, e questo è forse l'aspetto più interessante, che la dimensione<br />
estetica informa di sé tutto il pensiero spengleriano: la sua presenza si<br />
avverte non tanto come riflessione "sull"'arte, quanto come indagine<br />
"attraverso" le categorie dell'arte. Il punto decisivo è che queste non<br />
sono tanto un oggetto d'analisi (anche se la riflessione sull'arte ha un<br />
certo peso nell'economia generale de Il Tramonto dell'Occidente),<br />
quanto piuttosto uno strumento gnoseologico privilegiato, che<br />
dispiega ne Il Tramonto dell'Occidente tutte le sue potenzialità.<br />
Il capitolo si articolerà fondamentalmente in due grandi parti, la prima<br />
dedicata alla presenza dell'estetico e della riflessione sull'arte nella<br />
123
filosofia spengleriana, la seconda volta a fissare quei concetti<br />
fondamentali che ci consentono di parlare, pur tra le contraddizioni di<br />
un pensiero che ovviamente non è sempre rigoroso, di una "estetica<br />
milleriana". Si è scelto di trattare qui separatamente i due autori<br />
fondamentalmente per due motivi: innanzitutto perché il senso di una<br />
ricerca sull'estetica di Miller e di Spengler non si esaurisce nel<br />
rintracciare punti comuni e prospettive di fondo analoghe. Queste<br />
convergenze, più o meno spiccate, sono presenti, e certamente,<br />
quando si presenteranno, verranno rimarcate. Tuttavia, l'accostamento<br />
non va forzato nella ricerca di un parallelismo ad oltranza e<br />
nell'esasperazione delle analogie presenti, con un procedimento<br />
meccanico di corrispondenza per cui ogni elemento comune venga<br />
enfatizzato, ma va lasciato aperto e problematico, così da permettere<br />
di seguire i due percorsi nel loro intrecciarsi ma anche nel loro<br />
reciproco differenziarsi.<br />
Limitarci ai tratti comuni tra i due ci avrebbe portato ad un quadro<br />
parziale, difficilmente comprensibile e tutto sommato di scarsa utilità:<br />
prolungare la trattazione, nei due sensi, oltre i presupposti comuni ci<br />
consente di avere una visione chiara e completa del senso dell'arte e<br />
della sua storia, sia in Miller che in Spengler. E questo è di grande<br />
importanza per chiarire alcuni punti decisivi: nel caso di Miller, ci<br />
consentirà di fissare preliminarmente alcuni concetti ed alcuni<br />
procedimenti, che vedremo all'opera nel quinto capitolo, dedicato<br />
all'analisi del suo romanzo più celebre e significativo. Avremo così un<br />
quadro chiaro dell'idea di arte che ha prodotto Tropico del Cancro.<br />
Quanto a Spengler, l'insistenza sul motivo dell'estetica obbedisce a<br />
diverse esigenze: sottolineare la centralità della riflessione estetica e<br />
delle sue categorie ne Il Tramonto dell'Occidente, rivendicare il valore<br />
gnoseologico dell'arte, in linea qui con Miller, il suo significato<br />
simbolico di espressione della storia del proprio tempo, ed infine<br />
fornire le basi concettuali, i presupposti estetici e metodologici alla<br />
lettura di Tropico del Cancro, che è romanzo "spengleriano" non solo<br />
per i contenuti ma anche per l'idea di arte che ne è alla base.<br />
Questi in sintesi i motivi che hanno concorso a dare a questo<br />
capitolo il suo senso e la sua forma. Accostare l'opera di due<br />
intellettuali così distanti tra loro significava fissare un piano comune<br />
sul quale le diverse posizioni si confrontassero e si chiarissero<br />
124
vicendevolmente, quasi mostrando da sé i momenti di rottura e di<br />
riavvicinamento. Questo piano comune, trattandosi di Spengler e di un<br />
protagonista della letteratura del Novecento, non poteva che essere il<br />
luogo della riflessione sull'arte.<br />
IV. 1. Un'estetica della storia<br />
La filosofia della storia di Spengler si fonda su alcune categorie<br />
essenziali. Fra queste, due soprattutto ci consentono di mettere in luce<br />
gli aspetti che polarizzano la dimensione dell'estetico ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente: "azione" e "destino". Nel loro intrecciarsi prende forma<br />
il significato dell'arte nelle sue due componenti di passività e attività.<br />
Il destino è l'insieme delle possibilità insite in una forma. Una civiltà,<br />
forma per eccellenza, è la concretizzazione di una essenza: essa va<br />
condotta sino alle estreme conseguenze e quindi lasciata al proprio<br />
naturale compimento. Il destino manifesta un tratto necessitante, un<br />
impulso ad agire che non può essere eluso: l'uomo faustiano ha come<br />
destino l'azione, perché l'azione è la forma della propria civiltà, che si<br />
costruisce attraverso la continua tensione verso l'ulteriore, verso<br />
l'infinito, in uno "Streben" mai appagato e mai appagabile. L'uomo<br />
può scegliere se seguire o meno questo destino, se esserne il soggetto<br />
(ed allora cade buona parte del peso della necessità, quando essa<br />
diventa scelta) oppure l'oggetto, condannandosi così a subire una<br />
forza che non può controllare. In ogni caso, ciò che decide è il<br />
rapporto col destino: "ducunt fata volentem, nolentem trahunt" è il<br />
motto che chiude Il Tramonto dell'Occidente.<br />
Tuttavia, il richiamo alla possibilità di accettare il destino e di farsene<br />
soggetto apre la possibilità all'azione, e dischiude all'uomo della<br />
civilizzazione faustiana la prospettiva di una concreta partecipazione<br />
alle dinamiche della storia. Il destino si rovescia così, almeno nelle<br />
intenzioni di Spengler, in un percorso d'azione, in un incitamento ad<br />
agire e ad intervenire fattivamente nella storia: questo vale per l'uomo<br />
politico, che assume, alla fine dell'era faustiana, il tratto del Cesare,<br />
125
cioè del condottiero, dell'uomo d'azione per eccellenza; ma vale anche<br />
per il filosofo e per l'artista 1, e qui arriviamo al punto che ci interessa.<br />
La realtà, come aggregato di fatti naturali e di eventi storici, non ha<br />
alcun significato: per dare ad essa un senso, per comprenderne il<br />
destino e quindi l'intima essenza, occorre coglierne la dimensione<br />
simbolica. In sostanza, occorre rendere "espressiva" la storia,<br />
togliendola con un atto creativo dal terreno del determinismo<br />
scientifico e dell'insignificanza per l'uomo. La storia rivela la propria<br />
natura solo ad una lettura estetica, cioè solo se si scorge nella storia<br />
una successione di forme che descrivono simbolicamente l'interazione<br />
tra l'uomo e il mondo che lo circonda. In questa prospettiva le<br />
immagini del filosofo e dell'artista si sovrappongono:<br />
"Poesia e storia sono affini [...]. L'artista, il vero<br />
storico, vede le cose in divenire. Egli rivive il divenire<br />
nei tratti di tutto ciò che egli studia." (Tramonto, p.<br />
167)<br />
Il problema è sempre quello di sfuggire ad una determinazione<br />
causalistica, meccanicistica della realtà storica, prospettiva che è<br />
propria della scienza: contro una immagine statica della realtà, che<br />
coglie solo il divenuto e mai il concreto movimento del divenire, si<br />
erge una "visione" che "vivifica" e che "ordina il particolare in una<br />
unità viva intimamente sentita" (ibidem, pp. 166-7). All'origine di<br />
questa forma di sapere simbolico sta sempre il verso del Faust di<br />
Goethe, "tutto ciò che passa non è che un simbolo": il divenuto, la<br />
realtà, la storia, diventa comprensibile solo nella prospettiva estetica,<br />
cioè solo attraverso quella forma di significazione del reale che è il<br />
linguaggio artistico. Per questo Spengler insiste tanto sull'affinità tra<br />
storia e arte 2, perché esse comprendono la realtà attraverso un identico<br />
1 - Questo può spiegare alcune affermazioni che sembrerebbero in contraddizione con<br />
una valorizzazione della dimensione estetica. Scrive Spengler in 'Pessimismus?': "si<br />
sopravvaluta il significato storico dell'arte e del pensiero astratto. Per essenziali che<br />
siano stati nelle epoche del loro splendore, si è sempre avuto qualcosa di più<br />
essenziale" (Scritti, p. 54). L'arte rientra nella categoria dell'azione solo come<br />
"conoscenza" della storia, e non come "creatrice" di storia: l'arte mostra il divenire, non<br />
lo determina.<br />
2 - "La natura va trattata scientificamente, la storia poeticamente" (Tramonto, p. 157).<br />
126
atto creativo, cioè attraverso l'individuazione delle espressioni<br />
simboliche del diverso rapporto che l'uomo di volta in volta stabilisce<br />
con la natura, con i propri simili, con le macrostrutture sociali,<br />
politiche, culturali. La storia è insomma un repertorio dei modi con cui<br />
l'uomo dà un significato alla realtà: questa è la prospettiva messa in atto<br />
dai concetti spengleriani di simbolo ed espressione.<br />
Vedere la storia attraverso una prospettiva estetica ha il senso, ne Il<br />
Tramonto dell'Occidente, di donare alla scienza storiografica il<br />
carattere di esperienza concreta del divenire. Siccome il simbolo è una<br />
concreta espressione dei bisogni e delle paure dell'uomo, in una parola<br />
della sua "anima", fare della storia un repertorio di simboli significa<br />
trasformarla da scienza morta del divenuto ad esperienza vissuta del<br />
divenire: allo schema si sostituisce il concreto movimento della realtà<br />
nella sua metamorfosi di forme, all'astrattezza dei fatti e delle leggi<br />
scientifiche si sostituisce la comprensione dell'anima della storia, della<br />
traiettoria del suo destino espressa dalle forme del simbolo. Vedere la<br />
realtà esteticamente è l'unico modo per comprenderne l'essenza<br />
profonda, vale a dire il destino:<br />
"La natura del causale la si può chiarire mediante [...]<br />
numeri, mediante l'analisi concettuale. L'idea di<br />
destino la si può invece comunicare solo come<br />
artista, mediante una pittura, mediante una tragedia,<br />
mediante la musica. L'una cosa richiede una<br />
separazione, quindi una distruzione, l'altra è in tutto e<br />
per tutto creazione." (ibidem, pp. 185-6)<br />
Ogni tentativo di comprensione scientifica della storia manca<br />
sistematicamente il bersaglio, perché non ne intravede il centro, l'idea<br />
destinale della storia. La scienza è inadeguata a comprenderla e ad<br />
esprimerla, in quanto le sue categorie sono statiche, non riescono a<br />
tenere il passo delle metamorfosi continue del divenire e si<br />
sovrappongono alla realtà, fornendone un'immagine astratta e<br />
sostanzialmente falsata. Occorrono le categorie dell'estetico, il<br />
linguaggio delle forme dell'arte:<br />
"A ciò che Dante vide con il suo occhio spirituale<br />
come destino dei mondi, egli non avrebbe mai potuto<br />
dare forma scientifica, e nemmeno Goethe avrebbe<br />
127
potuto dare tale forma a quel che egli percepì nei<br />
grandi momenti dell'abbozzo del suo Faust [...]."<br />
(ibidem, p. 156)<br />
La lettura estetica del reale comporta una azione plasmatrice da parte<br />
dello storico, del filosofo (ne Il Tramonto dell'Occidente le due figure<br />
coincidono 3) che si configura come una vera e propria donazione di<br />
senso. Questa funzione "creativa" avvicina le costruzioni storicofilosofiche<br />
più all'arte che non ai prodotti del sapere sistematico o<br />
delle scienze naturali. Spengler richiama spesso il carattere relativo<br />
della propria filosofia, ed allo stesso modo sottolinea la relatività e<br />
"soggettività" delle ricostruzioni degli storici; ogni prospettiva storica<br />
si distingue dall'altra:<br />
"una storia studiata non è il divenire puro; essa è una<br />
immagine, una forma del mondo proiettata dall'essere<br />
desto dello storico [...]. Dinanzi allo stesso oggetto,<br />
alla stessa materia dei fatti ogni storico, a seconda<br />
delle sue disposizioni, ha una diversa impressione<br />
complessiva" (ibidem, p. 156)<br />
Tuttavia, il carattere relativo è costitutivo di qualsiasi forma di<br />
conoscenza e non ne inficia la validità. Spengler non crede nel sapere<br />
scientifico che coglie verità oggettive e valori assoluti. La verità è<br />
sempre funzione del mondo che l'ha prodotta: allora, il valore di una<br />
filosofia non starà nell'individuare delle leggi eterne, quanto nella<br />
capacità di portare alla luce, attraverso un percorso individuale, un<br />
aspetto sconosciuto della realtà e che ci consente di comprendere più<br />
chiaramente il senso delle vicende umane. L'opera dello storico (del<br />
filosofo) testimonia una verità che comunemente viene riferita all'opera<br />
dell'artista: la storia dell'arte non mostra progressi, perché i prodotti<br />
del passato non vengono superati, e mantengono intatta la loro validità<br />
(leggi capacità espressiva) come esperienze personali del reale, ognuna<br />
delle quali ci dice qualcosa di più sul mondo quale noi lo conosciamo.<br />
Una struttura aperta, quindi, che procede non sistematicamente (come<br />
3 - "Ogni vera storiografia è vera filosofia; altrimenti è davvero un lavoro da formiche."<br />
(Tramonto, p. 73).<br />
128
le scienze fisiche e matematiche) ma attraverso intuizioni, visioni che si<br />
accumulano e si sovrappongono senza annullarsi.<br />
IV. 1. 1. Forma, Simbolo, Espressione<br />
Le categorie che, ne Il Tramonto dell'Occidente, definiscono il senso<br />
della storia sono tutte categorie dell'estetico. Alcune le abbiamo già<br />
intraviste, soprattutto quella di simbolo, del quale era importante<br />
mostrare subito il nesso con il concetto centrale di destino. Attorno ad<br />
essa si muove tutta una costellazione di significati tratti dal linguaggio<br />
dell'arte.<br />
Il simbolo è la realtà che assume un significato: osservare la storia dal<br />
punto di vista del simbolo significa testimoniare ciò che la realtà<br />
significa per l'uomo, perché il simbolo è il gesto con il quale egli dà un<br />
senso a ciò che lo circonda. È l'arte a possedere le chiavi di questa<br />
linguaggio: attraverso le proprie forme, essa parla il linguaggio<br />
dell'anima, testimonia il modo di essere di una civiltà. A questo aspetto<br />
"attivo", creativo, del simbolo si unisce quello passivo, in quanto il<br />
simbolo è sempre tale non per propria volontà, ma per un potere di<br />
significazione del reale che risiede altrove, nell'artista, nel poeta o nello<br />
storico. Il simbolo e il suo creatore diventano di volta in volta<br />
posizioni delle due forze in gioco, creazione ed espressione: l'artistafilosofo<br />
crea un senso per la storia in quanto ne mostra il significato<br />
simbolico, ma in questa attività di significazione c'è anche un aspetto<br />
passivo, in quanto portando alla luce il simbolo, egli si fa strumento,<br />
attuazione di una possibilità insita nell'essenza del reale, possibilità che<br />
si fa realtà attraverso di lui. Il simbolo, d'altra parte, è creazione, come<br />
donazione di senso agli eventi della realtà, ma è anche espressione,<br />
testimonianza inconscia e involontaria di un destino, che esso<br />
rispecchia nella sua forma. Il creatore sceglie ma è anche scelto dai<br />
simboli, strumento ed allo stesso tempo condizione necessaria per la<br />
realizzazione del possibile.<br />
All'origine di ogni civiltà c'è quello che Spengler definisce "simbolo<br />
primario" e del quale dice: "la scelta del simbolo primo [...] è ciò che<br />
tutto decide" (ibidem, p. 276). Questo esprime l'intima essenza della<br />
civiltà, è ciò che "decide" della sua natura, del suo destino e quindi del<br />
129
suo futuro. Il simbolo primo della civiltà è l'"estensione": ogni civiltà ha<br />
avuto una diversa concezione dell'esteso, ognuna delle quali<br />
costituisce la realizzazione e l'espressione di una delle infinite<br />
possibilità del rapporto tra microcosmo e macrocosmo. Spengler<br />
scrive:<br />
"Ogni parola base, come massa, materia, corpo,<br />
estensione [...] sono segni incontrovertibili determinati<br />
dal destino che fissano, in nome di una data civiltà,<br />
quella tra le infinite possibilità cosmiche che ha un<br />
significato per essa e che quindi è necessaria."<br />
(ibidem, p. 276)<br />
Così, l'estensione diventa per l'antichità classica il corpo presente e<br />
vicino, tangibile e concluso, per il mondo faustiano lo spazio infinito,<br />
per l'anima araba l'universo come cavità. All'interno della privilegiata<br />
espressività del simbolo primario si misurano le differenze tra i diversi<br />
modi dell'essere nel mondo e quindi si definiscono i tratti essenziali<br />
della civiltà: ad esempio, ai concetti apollinei di "materia" e "forma" si<br />
sostituiscono, nella civiltà faustiana, quelli astratti di "forza" e "massa",<br />
simboli di un uomo che vuole trascendere i limiti spazio-temporali.<br />
Il simbolo primario testimonia con particolare evidenza una verità<br />
essenziale, cioè che una lettura simbolica della storia è l'unico<br />
approccio che consenta di render conto delle differenze concrete ed<br />
essenziali tra le Weltanschauung sottese alle diverse civiltà. La realtà<br />
non è un valore fissato una volta per sempre, ma la continua<br />
rigenerazione del senso umano dell'essere nel mondo. Il destino e il<br />
futuro della filosofia stanno nella consapevolezza o meno di questa<br />
verità:<br />
"Per il pensiero passato la realtà esterna era un<br />
prodotto del conoscere e un oggetto di valutazioni<br />
etiche; per quello futuro essa sarà soprattutto<br />
espressione e simbolo. La morfologia della storia<br />
mondiale diverrà necessariamente una simbolica<br />
universale." (ibidem, p. 81)<br />
Non ha senso una morfologia della storia, qual'è quella tentata ne Il<br />
Tramonto dell'Occidente, se non si riesce a rendere la storia<br />
espressiva, cioè a fare delle sue forme delle realtà significative: il<br />
130
simbolo è l'elemento che, come testimonia la sua etimologia, "mette<br />
insieme", cioè riesce a tenere unita la cosa al proprio significato. In<br />
questo modo, il simbolo rende conto della storia senza astrarsene, in<br />
quanto non si impone alla realtà provenendo dall'alto, ma prende forma<br />
dal basso, dalle concrete metamorfosi del divenire.<br />
IV. 1. 2. Stile e ritmo<br />
Un altro concetto che Spengler trapianta dal mondo dell'estetico alla<br />
filosofia della storia è quello di "stile". Lo stile è la testimonianza di un<br />
unico dominio di forme, di un'anima sottesa alla molteplicità dei<br />
fenomeni. In questo modo vengono scardinate le tradizionali categorie<br />
della storia:<br />
"nell'immagine storica complessiva di una data civiltà<br />
può trovarsi soltanto uno stile, che è lo stile di quella<br />
civiltà. È stato un errore considerare delle semplici<br />
fasi di uno stile, quali il romanico, il gotico, il barocco,<br />
il rococò, l'Impero, come stili a sé [...]. Gotico e<br />
barocco: sono la gioventù e la vecchiaia di uno stesso<br />
dominio di forme, sono la fase di crescenza e quella<br />
di maturità dello stile dell'Occidente." (ibidem, p.<br />
312)<br />
Lo stile è il modo di rappresentarsi di una civiltà, il suo canale<br />
espressivo necessario, alle leggi del quale deve attenersi la creazione<br />
delle forme. C'è una scelta originaria di linguaggio, di forme, di idee e<br />
concetti. Si sceglie la colonna dorica piuttosto che la voluta barocca,<br />
l'idea della forza piuttosto che quella della massa per definire<br />
l'estensione; l'immagine statica del mondo classico, basata su una<br />
fisica dello spazio concreto e presente, cede il posto all'azione in uno<br />
spazio che l'uomo faustiano vede, e non potrebbe non vedere, come<br />
infinito, estensione che si fa illimitata perché così vuole la brama di<br />
dominio della sua volontà di potenza. Uno sguardo alle forme, una<br />
filosofia morfologica può cogliere nei tratti del volto di una civiltà,<br />
come nei lineamenti di un volto, l'operare di un identico stile, la<br />
presenza di una medesima anima. Tutte le forme di una civiltà sono<br />
espressione di un identico stile: lo slancio verticale delle cattedrali<br />
131
gotiche, l'enfasi, in fisica, sull'idea di forza, la forma politica<br />
dell'imperialismo, la trascendenza della musica sacra, la scelta per la<br />
scrittura piuttosto che per l'eloquenza oratoria come forma di<br />
comunicazione spirituale, queste sono tutte forme che allo sguardo<br />
morfologico (estetico) testimoniano una identica struttura stilistica, la<br />
comune vocazione all'azione e all'oltrepassamento dei limiti in nome<br />
della volontà di potenza. Questo è lo stile dell'azione, questo è lo stile<br />
della civiltà faustiana.<br />
Non a caso, lo stile è anche una spia del destino della civiltà: simbolo<br />
del destino non solo perché testimonia dell'anima di cui è<br />
necessariamente espressione, ma anche perché mostra, nel suo interno<br />
sviluppo, la parabola della storia della civiltà, e rappresenta la spia del<br />
continuo mutare del rapporto tra l'uomo e le forme della propria<br />
Kultur. Quando una civiltà è espressiva, quando ha uno stile unitario e<br />
chiaramente decifrabile, allora si è nel rigoglio delle sue possibilità.<br />
Quando una civiltà perde la propria capacità espressiva e recede dalla<br />
propria attività di simbolizzazione, allora scompare anche il grande<br />
stile, l'organicità del rapporto tra l'uomo e le proprie forme, culturali,<br />
politiche, sociali, viene meno, e si assiste al tramonto dell'anima.<br />
La presenza o meno dello stile determina, per lo sguardo dello<br />
storico, la mappa del percorso della civiltà. Un altro concetto utile in<br />
riguardo è quello di "ritmo" o "durata". Scrive Spengler:<br />
"nell'ambito degli organismi di un dato gruppo rientra<br />
anche una data durata e un dato ritmo dello<br />
sviluppo: concetti, questi, che non vanno trascurati in<br />
una teoria della struttura della storia." (ibidem, p.<br />
178)<br />
Ogni civiltà ha un percorso di sviluppo, dalla nascita al tramonto,<br />
articolato in fasi che si ripetono sempre identiche, e che rappresentano<br />
una durata "che è sempre la stessa e che sempre ricorre con<br />
l'insistenza di un simbolo" (ibidem, p. 179). Spengler non insiste<br />
troppo sul significato della loro durata 4, ma si sofferma piuttosto sul<br />
concetto di "ritmo" ad esse connesso. Il ritmo, come lo stile, è una<br />
categoria estetica che ci permette di individuare un dominio di forme:<br />
4 - "Nel presente libro bisognerà rinunciare a penetrare cotesto mondo di misteriosissimi<br />
rapporti" (ibidem, p. 179).<br />
132
in questo senso, il ritmo che ha attraversato la civiltà faustiana è<br />
diverso da quello dell'uomo arabo o dell'uomo cinese. Spengler<br />
utilizza due espressioni del lessico musicologico:<br />
"Il ritmo della vita antica fu diverso da quello della<br />
vita egiziana o araba. Si può parlare di un 'andante'<br />
dello spirito greco-romano e di un 'allegro con brio'<br />
di quello faustiano." (ibidem, p. 178)<br />
Il ritmo è come lo stile, è un modo espressivo che l'uomo della civiltà<br />
ha dentro di sé, e che pulsa inconsciamente dentro di lui. È un modo<br />
di affrontare la storia, una cadenza che non si apprende ma si "sente".<br />
Il ritmo è una "necessità" radicata nei precordi della razza. Scrive<br />
Spengler:<br />
"il Cinese sente tutta la musica occidentale senza<br />
eccezione come una marcia: cosa che rende<br />
ottimamente l'impressione che il dinamismo ritmico<br />
della nostra vita deve produrre sul tao dell'anima<br />
cinese senza ritmo. È in tal guisa che lo straniero<br />
sente tutta la nostra civiltà [...]. Noi abbiamo questo<br />
ritmo nel sangue e perciò non lo avvertiamo affatto."<br />
(ibidem, p. 344)<br />
Il cinese avrà come ritmo della vita l'assenza di ritmo, il greco aveva<br />
come ritmo la cadenza dell'andante. Ancora una volta, un concetto<br />
estetico ci conduce dalla visione del fenomeno (dalla superficie) alla<br />
comprensione dell'essenza della vita delle civiltà.<br />
Le categorie del simbolo, della forma, dell'espressione, dello stile e<br />
del ritmo fanno della storia un volto, un'immagine, o un "fenomeno"<br />
nel senso goethiano del termine. Tutta la teoria è già nel fenomeno,<br />
dice Spengler citando Goethe 5: la prospettiva de Il Tramonto<br />
dell'Occidente si mantiene sempre su questo piano, proponendo una<br />
forma di conoscenza che si fonda su una dinamica estetica. La storia è<br />
una realtà viva solo se le sue forme rimangono tali: l'occhio dell'artista<br />
e del filosofo mantiene l'organicità e quindi la pienezza del simbolo,<br />
perché non scinde il fenomeno dal suo significato, al contrario dello<br />
5 - "Goethe disse una volta: 'Non si cerchi nulla dietro ai fenomeni; essi stessi sono la<br />
dottrina'" (ibidem, p. 243).<br />
133
scienziato che, affondandovi il bisturi dell'analisi, toglie al fenomeno il<br />
suo senso e lo snatura. Vedere la storia come una successione di<br />
forme è l'indice di una giusta distanza nel rapporto conoscitivo tra<br />
l'uomo e il mondo. Vedere la storia come una serie di fatti dominati dal<br />
principio di causa effetto significa vedere qualcosa di<br />
"qualitativamente" diverso dalla realtà viva.<br />
IV. 2. Arte come linguaggio dell'anima<br />
Non sono solo le categorie dell'arte ad avere, ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, una posizione privilegiata. Anche l'ambito più<br />
tradizionalmente inteso come "estetico", quello della storia dell'arte,<br />
ricopre un ruolo privilegiato all'interno del progetto filosofico di<br />
Spengler. La comprensione simbolica della storia trae dalle forme<br />
dell'arte un appoggio insostituibile e quasi preliminare ad ogni ipotesi<br />
di riflessione:<br />
"Utilizzare la lingua delle forme delle arti per<br />
penetrare la psiche di intere civiltà in una<br />
comprensione fisiognomica e simbolica di esse è una<br />
impresa finora appena tentata, e tentata con risultati<br />
indiscutibilmente meschini.[...] La storia delle<br />
colonne deve essere ancora scritta. Non si ha<br />
nessuna idea della profondità del simbolismo dei<br />
mezzi e degli strumenti delle arti." (ibidem, p. 326)<br />
Se il destino della filosofia è una morfologia della storia, questa<br />
morfologia trae fondamento dalle categorie estetiche e dalle forme<br />
simboliche elaborate dall'arte; arte che rappresenta un dominio di<br />
forme privilegiato per la comprensione dell'anima delle civiltà: è da qui<br />
che deve ripartire la filosofia, da una fisionomia degli "stili" dell'arte,<br />
delle tecniche, dei materiali e degli strumenti, di tutti quei fattori,<br />
insomma, che differenziano le epoche tra loro e che lasciano<br />
intravedere, nel mutare degli stili, un legame profondo tra la civiltà e le<br />
proprie forme di rappresentazione artistica.<br />
L'arte è una forma espressiva particolare, privilegiata. Ha una<br />
capacità di espressione simbolica che, certo, condivide con le altre<br />
forme della civiltà, come l'economia, la religione, la politica, ma che nel<br />
134
suo caso assume una particolare pregnanza: ce ne accorgiamo<br />
soprattutto nella prima parte de Il Tramonto dell'Occidente, dove la<br />
comprensione della storia procede in larga parte dalla morfologia delle<br />
forme artistiche. Sono i simboli dell'arte a dominare: le forme<br />
architettoniche, le forme di raffigurazione dell'uomo e della natura, le<br />
scelte linguistiche hanno una priorità decisiva, innanzitutto perché sono<br />
le categorie dell'estetico a rendere possibile una filosofia morfologica,<br />
e in secondo luogo perché l'arte è il linguaggio dell'anima, la sua forma<br />
di espressione più immediata, più profonda ed efficace.<br />
Scrive Spengler che "ogni arte è una lingua dell'espressione"<br />
(ibidem, p. 290). Questo ci rimanda alla distinzione tra "lingue di<br />
espressione" e "lingue di comunicazione", tra il linguaggio della<br />
religione e dell'arte e quello della comunicazione:<br />
"Le prime presuppongono soltanto un essere desto,<br />
le altre presuppongono anche una relazione fra esseri<br />
desti. [...] La lingua di espressione dinanzi a testimoni<br />
prova soltanto la presenza di un 'Io'. La lingua di<br />
comunicazione pone un 'tu'." (ibidem, p. 814)<br />
Esiste una lingua "tecnica", "utile", funzionale all'esigenza della<br />
comunicazione tra persone e gruppi diversi; ed esiste una lingua<br />
"espressiva", che per definizione non comunica: essa conosce solo<br />
l'Io, scrive Spengler, e ciò significa che è una lingua che ci dice<br />
qualcosa di chi la parla. Il suo ritmo, i suoi concetti, la scelta delle<br />
parole, l'inflessione del suo stile, non sono uno strumento di lavoro,<br />
non comunicano ma "esprimono", cioè manifestano l'anima di chi sta<br />
parlando. La lingua dell'espressione definisce l'identità, e quindi è un<br />
codice espressivo innato: l'arte è la lingua dell'espressione per<br />
eccellenza ed è all'opposto della lingua come comunicazione 6:<br />
"Le discussioni circa il fine dell'arte procedono dal<br />
postulato che una lingua artistica di espressione non<br />
deve essere una lingua di comunicazione, e l'apparire<br />
6 - Non a caso, il passaggio dalla "Kultur" alla "Zivilisation" è segnato, nell'arte, dal<br />
superamento di questa distinzione, per cui nell'artista intellettualizzato della metropoli<br />
"l'impulso ad esprimere viene sopraffatto dall'impulso e comunicare. Da qui nasce<br />
quell'arte a tesi, che vuol istruire, convertire e dimostrare in sede politico sociale o<br />
morale" (ibidem, p. 1415, nota 28).<br />
135
delle caste sacerdotali ha per base il convincimento<br />
che esse sole conoscono la lingua con cui l'uomo può<br />
comunicare con Dio." (ibidem, p. 815)<br />
Il riferimento al senso delle caste di sacerdoti è fondamentale: il<br />
linguaggio dell'arte è l'espressione silenziosa di un segreto, in cui è<br />
racchiuso ciò che è più proprio di una civiltà, la sua identità e quindi<br />
ciò che più gelosamente va custodito.<br />
La definizione dell'arte prende forma, con una tecnica ricorrente in<br />
Spengler, attraverso una serie di antinomie, che procedendo per<br />
eliminazione ne restringono e precisano progressivamente il significato.<br />
La prima antinomia è quella, vista poc'anzi, tra lingua d'espressione e<br />
lingua di comunicazione. Altra antinomia è quella tra "lingua" e<br />
"parlare", che compare poco dopo:<br />
"si dovrebbe distinguere fra lingua e parlare. La prima<br />
è un fondo morto di segni, il secondo è un'attività che<br />
si effettua per mezzo dei segni." (ibidem, p. 817)<br />
La ricerca costante di un radicamento essenziale delle forme umane<br />
nella concretezza della vita porta Spengler all'idea che la lingua, anche<br />
se d'espressione, sia tuttavia anch'essa qualcosa di limitato, che non<br />
può riprodurre che parzialmente la concretezza dei gesti, dei toni, delle<br />
cadenze che caratterizzano la lingua viva del parlato. L'arte acquista<br />
valore simbolico perché rappresenta ciò che rimane di quello che era il<br />
linguaggio vivo di una civiltà.<br />
Un'altra coppia di opposti è "ornamento" e "imitazione", che<br />
descrivono due possibili destini dell'attività creatrice. L'imitazione è<br />
qualcosa di vitale, pulsione animale, mentre l'ornamento è una realtà<br />
artificiale, esclusivamente umana. L'imitazione nasce "dal ritmo occulto<br />
di tutto ciò che è cosmico" (ibidem, p. 290), mentre l'ornamento non<br />
segue la vita, ma le si oppone in nome della stabilità e della fissità dello<br />
schema. Scrive Spengler:<br />
"appare in tutta la sua portata l'antitesi esistente fra i<br />
due aspetti di ogni arte: l'imitazione che anima e<br />
vivifica, l'ornamento che incanta e uccide. L'una<br />
'diviene', l'altro 'è'." (ibidem, p. 295)<br />
136
Qui l'antitesi è interna all'arte. L'accento positivo cade sul concetto di<br />
imitazione, ma anche l'ornamento ha un proprio significato ed una<br />
propria importanza. L'imitazione è l'immediatezza e la vitalità del<br />
divenire, mentre l'ornamento è il simbolo, ciò che ha significato e che<br />
trasmette, nella forma il meno possibile mediata, l'irripetibilità<br />
dell'esperienza concreta. Ogni arte è imitazione e ornamento.<br />
Quest'antitesi riproduce in forme visibili le due grandi pulsioni che<br />
animano la vita dell'arte: l'angoscia e il desiderio. È un punto decisivo:<br />
angoscia e desiderio sono i centri nevralgici della creatività, le due<br />
anime dell'arte. Così scrive Spengler:<br />
"In ogni opera che esprima l'uomo intero, l'intero<br />
senso dell'esistenza, angoscia e desiderio, pur<br />
essendo contessuti, restano distinti. All'angoscia, al<br />
causale va riferito tutto il lato 'tabù' dell'arte: la<br />
ricchezza dei suoi motivi elaborata in scuole severe,<br />
[...] tutto ciò che è intelligibile, apprendibile [...]. [...]<br />
l'altro elemento (il desiderio) si manifesta nel 'genio',<br />
cioè nella personalissima forza formatrice, nella<br />
passione creativa, nella profondità e nella pienezza di<br />
singoli artisti [...], nell'impulso della razza" (ibidem,<br />
pp. 201-2)<br />
L'arte tiene insieme i due istinti fondamentali dell'uomo, il desiderio,<br />
come slancio vitale, proiezione al di fuori del sé, attrazione verso il<br />
mondo, e l'angoscia, il timore della perdita, la ricerca di valori e di<br />
realtà stabili, eterne, estranee alle metamorfosi del divenire. E così<br />
l'arte è al contempo disciplina severa, capacità tecnica, padronanza di<br />
mezzi e materiali, ma anche creazione e capacità di invenzione<br />
simbolica. Come le due anime di Faust 7, angoscia e desiderio non<br />
vanno separate: con il prevalere di un principio sull'altro verrebbe<br />
meno il senso della loro coesistenza in un totale, e al posto di un<br />
organismo vivo ci troveremmo di fronte a due parti irriconducibili alla<br />
totalità originaria. L'arte allora non sarebbe più l'espressione di forze<br />
elementari: il pericolo è soprattutto quello della tecnicizzazione e<br />
dell'intellettualizzazione (l'arte come mestiere), che farebbe dell'arte uno<br />
7 - In Faust convive la volontà di potenza con il rispetto per le leggi del macrocosmo, il<br />
sentimento di onnipotenza con la consapevolezza della fragilità e della precarietà<br />
dell'uomo.<br />
137
strumento dell'angoscia per occultare la complessità dolorosa del reale.<br />
Ma anche il versante del desiderio non può fare a meno del sentimento<br />
dell'angoscia, che ipostatizza le forme dell'esistenza ma le rende anche<br />
comunicabili, espressive; la loro simbiosi permette la cristallizzazione<br />
del divenire nei simboli.<br />
IV. 2. 1. La tipicità dell'artista<br />
L'ancoramento dell'arte alla dimensione essenziale della civiltà, e la<br />
sua definizione come linguaggio privilegiato dell'anima aprono il<br />
campo alla definitiva messa fuori gioco di ogni possibile soggettività<br />
dell'espressione artistica. La dimensione "tipica" dell'artista è il<br />
passaggio che sancisce il radicamento delle forme dell'arte e del creare<br />
ad un piano di oggettività. Ne Il Tramonto dell'Occidente leggiamo:<br />
"Gli stili [...] non hanno nulla a che fare con la<br />
personalità di singoli artisti, con la loro volontà, con la<br />
loro coscienza. Al contrario, è lo stile che crea il tipo<br />
dell'artista. Come la civiltà, lo stile è un fenomeno<br />
rigorosamente goethiano" (ibidem, p. 312)<br />
Il tentativo di una fondazione "ontologica" dell'arte è evidente. Questo<br />
è possibile solo se si riesce a mettere fuori gioco ogni idea di arte<br />
basata sul capriccio e sull'arbitrarietà. L'arte parla la lingua<br />
dell'espressione, e il linguaggio espressivo è sempre una realtà fondata.<br />
L'arte è "necessità": è un percorso obbligato, un destino, che costringe<br />
il singolo artista a confrontarsi con un vocabolario già deciso, con<br />
mezzi e strumenti destinalmente prefissati.<br />
Con l'accento sulla mistificazione dell'arte che comporterebbe l'idea<br />
di creazione come arbitrarietà, Spengler da una parte vuole aprire una<br />
forte polemica nei confronti dell'arte contemporanea, che a suo parere<br />
ha perso capacità espressiva e valore conoscitivo, dall'altra cerca di<br />
dare uno statuto epistemologico alla creazione artistica, facendone una<br />
forma di conoscenza privilegiata. Tutto ciò è possibile a patto che non<br />
venga mai meno il rapporto immediato e viscerale tra l'anima della<br />
civiltà e le forme della sua arte, tra il destino e lo stile di una Kultur.<br />
Allora, se l'arte riproduce il destino e quindi lo stile di una civiltà, essa<br />
138
non potrà che essere un fenomeno unitario, omogeneo: per l'anima<br />
occidentale solo un'arte è possibile, solo uno stile, e questo stile<br />
"decide" l'artista, lo informa di sé.<br />
L'artista diventa un "tipo", ovverosia un modello che si riproduce<br />
sempre identico all'interno di uno stesso dominio di forme. Se l'arte<br />
esprime l'essenza di una civiltà, allora ogni artista non potrà che<br />
esprimere sempre e soltanto quest'anima; la forma imposta dall'anima è<br />
un destino cui egli non può sfuggire. Il fondamento del suo valore starà<br />
nella capacità di farsi strumento, veicolo del significato dell'anima. La<br />
sua dignità è la dignità di chi sa piegarsi, cosicché la gerarchia tra artisti<br />
si viene a determinare non in base alle capacità tecniche o alle personali<br />
doti di fantasia (elementi che schiaccerebbero l'arte o nel dominio del<br />
meccanicismo o in quello del futile, del non necessario), ma a seconda<br />
della maggiore o minore capacità di espressione dell'unico stile.<br />
Il concetto di "tipo" consente a Spengler di avere un principio<br />
unitario sia sul piano della creazione delle forme, sia su quello della<br />
comprensione del loro significato: da una parte il "destino" e l'"anima",<br />
dall'altra lo "stile". Anima e destino rappresentano una comune origine<br />
che genera i simboli dell'arte e che è sottesa alla loro apparente varietà.<br />
Lo stile è invece il principio unitario in sede comprensione estetica,<br />
principio che ci consente di riunire diverse forme sotto un unico<br />
dominio espressivo.<br />
La tipicità dell'artista ha un'ulteriore sfumatura di significato. Scrive<br />
Spengler:<br />
"Si può chiamar viva la lingua delle forme di un'arte<br />
solo quando una collettività di artisti la usa come la<br />
sua lingua materna senza nemmeno pensare alla<br />
struttura che essa ha." (ibidem, p. 819)<br />
Lo stile di una civiltà informa l'artista, ma inconsciamente. Il<br />
radicamento all'anima, e quindi all'oggettività dell'espressione, non<br />
avviene come "progetto", ma come adesione immediata, non ragionata<br />
ma sentita. Per Spengler, romanticamente, l'opera d'arte non appartiene<br />
all'artista; piuttosto è vero il contrario. È l'artista che si fa strumento<br />
per la realizzazione di una possibilità del mondo. Egli è un semplice<br />
tramite, che agisce sostanzialmente senza sapere ciò che fa. Questo<br />
139
carattere di passività e di inconsapevolezza è messo bene in evidenza<br />
in questo passo dalle 'Riflessioni sul lirismo':<br />
"Solo per pochi uomini, e per brevi momenti, il<br />
linguaggio si svela, e ciò che allora accade è<br />
indescrivibile. Il linguaggio si tramuta in daimon:<br />
prende l'uomo in pugno, lo atterra. Gli offre il ritmo e<br />
il suono, le sue vocali e le sue sillabe corpose, [...] e<br />
tutto il tesoro millenario di significati ormai scomparsi"<br />
(Scritti, p. 30)<br />
D'altra parte, questa forma di tirannia che passivizza il creatore di<br />
forme è anche la condizione necessaria perché ci siano dei prodotti<br />
artistici: la consapevolezza sposterebbe le sue forze al ripiegamento<br />
verso l'interiorità e alla dec ostruzione del proprio anelito creativo.<br />
Questo è esattamente il destino testimoniato dall'arte moderna:<br />
l'espressione cessa di essere una realtà naturale e diventa una<br />
macrostruttura intellettuale. Si consuma così il dramma della civiltà<br />
occidentale, minata dal paradosso inestricabile per cui l'uomo è<br />
consapevole di aver perso la propria naturalità, ma il suo tentativo di<br />
recuperarla si svolge proprio attraverso quelle forme razionali ed<br />
artificiali che sono all'origine della scissione. In questo modo, ogni<br />
riconciliazione diventa impossibile.<br />
IV. 3. Arte come mestiere: la condanna spengleriana della<br />
modernità<br />
Passando dal piano della teorizzazione a quello dell'analisi storica, ci<br />
rendiamo conto di come quelle premesse estetiche conducano ad una<br />
condanna pressoché totale dell'arte contemporanea. Le forme dell'arte<br />
moderna testimoniano la crisi della civiltà occidentale riproducendone i<br />
caratteri di impersonalità, massificazione, incapacità d'espressione,<br />
sterilità creativa. Il linguaggio dell'arte è linguaggio del simbolo,<br />
simbiosi che, se spezzata, conduce anche l'arte a perdere di<br />
significato 8. Essa cessa di rappresentare il destino di una civiltà e si<br />
8 - Vedi in merito l'introduzione di Stefano Zecchi a Il Tramonto dell'Occidente:<br />
"Possiamo allora [...] stabilire questa equivalenza: una civiltà è l'insieme di espressioni<br />
140
limita a mostrarne la decadenza nelle proprie forme sfatte e sterile,<br />
testimone dei tempi proprio attraverso questa perdita di significato e<br />
questo sopraggiunto nichilismo espressivo. L'arte diventa<br />
"Un crepuscoleggiare di forme vuote,<br />
tradizionalistiche, momentaneamente rianimate<br />
arcaisticamente o ecletticamente, segna la fine. Un<br />
lungo giocare con forme morte, con cui si vorrebbe<br />
perpetuare l'illusione di un'arte vivente" (Tramonto,<br />
p. 316)<br />
Diagnosi del tramonto e condanna dell'arte contemporanea si<br />
sostengono vicendevolmente: la scomparsa della "grande arte" 9<br />
supporta l'interpretazione storica dell'Occidente come civilizzazione,<br />
prospettiva che, a sua volta, costituisce il quadro complessivo che<br />
connette la perdita di significato dell'arte ad un più vasto e profondo<br />
processo di decadenza spirituale.<br />
La "grande arte" del passato si fondava su un carattere di necessità.<br />
L'arte contemporanea, invece, è l'espressione del capriccio e della<br />
casualità, dell'arbitrarietà che erge la moda a criterio di giudizio: questa<br />
assoluta libertà delle forme dell'arte non testimonia un'emancipazione<br />
dello spirito umano, ma, al contrario, un venir meno del senso<br />
profondo delle sue creazioni. Dietro l'arbitrarietà dell'atto creativo si<br />
scorge l'assenza di un'anima e di un destino che rendano necessarie<br />
quelle forme. Coltivando l'illusione di una totale libertà, l'arte<br />
contemporanea si condanna all'insignificanza, e si estranea dalle<br />
dinamiche che determinano la storia della civiltà 10.<br />
simboliche divenute arte, scienza, linguaggio: il suo tramonto è il tramonto della capacità<br />
di espressione simbolica" (Tramonto, p. XX).<br />
9 - "L'uomo euro-occidentale non dovrà più attendersi una grande pittura e una grande<br />
musica" (Tramonto, p. 71), per cui "se per effetto di questo libro uomini della nuova<br />
generazione si dedicheranno alla tecnica invece che alla lirica [...] essi faranno proprio<br />
ciò che io desidero, né si potrebbe desiderare per essi nulla di meglio." (ibidem, p. 72).<br />
10 - Qui Spengler porta a compimento una tradizione di pensiero che parte da Hegel,<br />
dalla "morte dell'arte" e dalla sua definizione come "domenica della vita", e che giunge<br />
sino a Nietzsche, dove all'arte dell"epoca del lavoro" viene negata ogni valore che non<br />
sia quello della "ricreazione". Anche Miller sottolinea più volte l'estraneità dell'artista<br />
rispetto alla società, estraneità che è il simbolo dell'alienazione dell'anima in un mondo<br />
meccanizzato: "Ad onta di tutta la sua potenza, la società non può sostenere l'artista, se<br />
141
Scrive Spengler:<br />
"Manca una necessità interna. Non vi è più una<br />
'scuola', perché ognuno sceglie i motivi come e dove<br />
vuole. L'arte diviene mestiere." (ibidem, p. 300)<br />
L'arte moderna è l'arte delle metropoli, artificiale, intellettualistica, priva<br />
di afflato simbolico:<br />
"La cultura si trasforma nello spirito delle grandi città,<br />
che ora dominano il paesaggio e essa intellettualizza<br />
lo stesso stile. Ogni sublime simbolismo si sbiadisce;<br />
l'impeto di forze sovrumane declina [...]. Appare<br />
l'artista. Egli ora 'progetta' ciò che prima nasceva<br />
dal suolo." (ibidem, p. 314)<br />
La condanna è totale: l'impressionismo è pura soggettività, rifugio<br />
dell'interiorità, espressione di un'arte fredda e malata che fa dell'artista<br />
un operaio, un abile artigiano e nulla più; l'espressionismo è una<br />
"sfrontata farsa" (ibidem, p. 444) tenuta in piedi dalle esigenze del<br />
commercio artistico; con il Tristano di Wagner muore infine anche la<br />
musica, ultima espressione artistica dell'anima faustiana. Con essa si<br />
chiude il tempo dell'arte e l'era della cultura 11.<br />
Alla condanna storica fa seguita una disamina dei caratteri che<br />
definiscono la decadenza nell'arte: disarmonia, tendenza all'informe ed<br />
allo sproporzionato, cerebralità ma soprattutto arbitrarietà e artificialità.<br />
L'anima faustiana ha già percorso tutto l'arco della sua parabola, e si<br />
avvia al naturale compimento: l'arte recide il cordone ombelicale che la<br />
legava ad essa e, abbandonata a sé stessa, staziona ai margini del<br />
vivere sociale. All'identificazione libertà-necessità si sostituisce quella<br />
tra libertà e "mancanza di disciplina":<br />
è impenetrabile alla visione dell'artista. Da tempo ormai la nostra società è del tutto<br />
indifferente al messaggio dell'artista. La voce che trascorre negletta alla fine si riduce al<br />
silenzio." (Rimbaud, p. 99).<br />
11 - Nel saggio 'Of art and the future' Miller riprenderà quest'espressione: "Il mondo<br />
culturale nel quale galleggiamo [...] sta rapidamente scomparendo. L'era della cultura<br />
europea, includendo con questo l'America, è finita. La prossima epoca appartiene ai<br />
tecnici." ["The cultural world in which we swam [...] is fast disappearing. The cultural<br />
era of Europe, and that includes America, is finished. The next era belongs to the<br />
technician"] (Art, p. 148).<br />
142
"Il segno di ogni arte vivente, cioè la pura armonia tra<br />
volontà, interna necessità e capacità, la naturalezza del<br />
fine, l'inconscio della realizzazione, l'unità di arte e<br />
civiltà - tutto ciò è finito." (ibidem, p. 440)<br />
L'arte contemporanea è un "frastuono", un "ciarlare in fatto di teorie",<br />
il perpetuarsi della falsità sotto la maschera dell'espressione spirituale:<br />
quello che era il linguaggio dell'anima è divenuto "lingua morta, come il<br />
sanscrito e il latino ecclesiastico" (ibidem, p. 444). La polemica si fa<br />
serrata, i toni si fanno sempre più aspri, in un crescendo di durezza<br />
che si conclude con la provocazione estrema:<br />
"Una cosa è certa: oggi si potrebbero chiudere tutti<br />
gli studi artistici senza che l'arte ne risenta in un<br />
qualche modo" (ibidem, p. 443) 12<br />
Su questa nota risoluta si chiude, ne Il Tramonto dell'Occidente, la<br />
riflessione sull'arte contemporanea. Essa procede sulla falsariga della<br />
filosofia della storia tracciata dai concetti di destino, anima, civiltà e<br />
simbolo, e non si fa scrupolo di giudizi decisi e brutali: ci vuole un ben<br />
coraggio, dice Miller, per parlare del Rinascimento come di un<br />
episodio, di un incidente di percorso 13. Questo gusto del sentenzioso,<br />
tuttavia, obbediva ad una logica di interpretazione della storia che, per<br />
essere valida, doveva avere carattere totalizzante e la priorità su<br />
qualsiasi altro criterio di lettura. Se Spengler non si vieta di parlare di<br />
Michelangelo come di un "contrattempo", non ci dovremo stupire<br />
dell'indiscriminata condanna dell'arte contemporanea: tutto è compreso<br />
in un fascio, dall'impressionismo all'espressionismo.<br />
L'interesse di Spengler per l'arte si ferma, storicamente, al volgere<br />
del secolo. Tutti quei fenomeni che accompagnano la grande rottura<br />
dell'arte del Novecento, l'apertura verso forme inedite di<br />
rappresentazione, la spinta delle avanguardie storiche, la diffusione di<br />
12 - Giudizio ribadito nelle confessioni del suo diario: "Tutto il mondo intellettuale<br />
contemporaneo mi fa l'effetto di un uggioso paesaggio decembrino, sporcizia, nebbia,<br />
freddo, qualche cornacchia svogliata su rami spogli." (Eauton, pp. 36-7).<br />
13 - "Chi altro se non Spengler [...] avrebbe osato parlare del glorioso Rinascimento<br />
come di un 'contrattempo' ?" (Plexus, p. 739).<br />
143
massa dell'arte attraverso la riproduzione in serie, l'estetica dei<br />
manifesti e dei gesti trasgressivi, estremisti, tutto ciò ripugnava ad un<br />
filosofo che aveva dell'arte un'immagine formatasi sui modelli classici,<br />
e che non oltrepassava il tardo romanticismo ottocentesco.<br />
Scrive infatti in 'Pessimismus?':<br />
"Io considero Bach e Mozart al di sopra di tutti; ma<br />
non ne deriva affatto che si debba necessariamente<br />
riconoscere a migliaia di abitanti delle nostre<br />
metropoli che scrivono, dipingono, meditano<br />
sull'universo, la qualità di artisti e di pensatori<br />
autentici. [...] L'espressionismo, moda di ieri, non ha<br />
lasciato dietro di sé né una personalità né un'opera di<br />
qualche valore." (Scritti, p. 55)<br />
Ai movimenti dell'arte contemporanea egli nega proprio quel carattere<br />
di "necessità" che fonda il valore storico dell'arte. Per questo li<br />
definisce "inutili", "effeminati", mera "pubblicità artistica" (ibidem, p.<br />
56). Questa condanna è funzionale al suo disegno storico, ed in quel<br />
contesto ha una certa coerenza; tuttavia, il valore delle esperienze<br />
portate avanti dalle avanguardie del Novecento deve condurci a<br />
riflettere, ed a portare alla luce quei fraintendimenti che infirmano la<br />
validità del giudizio spengleriano. È un chiarimento che si impone,<br />
perché altrimenti verrebbe a mancare il terreno stesso per una lettura<br />
spengleriana di Tropico del Cancro.<br />
Innanzitutto, la storia dell'arte occidentale nel ventesimo secolo è lì a<br />
dimostrare che la profezia di Spengler non ha avuto seguito 14: non c'è<br />
stata una morte dell'arte ma solo una ridefinizione dei suoi compiti.<br />
Ridefinizione che ha comportato un mutamento radicale, certamente:<br />
ma questa rivoluzione non è avvenuta a caso, e Spengler avrebbe<br />
dovuto saperlo bene. La si può spiegare come il tentativo, da parte<br />
dell'artista contemporaneo, di tenere il passo coi tempi, di mantenere<br />
una funzione espressiva all'interno della propria civiltà. Se l'arte, nel<br />
14 - È quello che Anais Nin, in una lettera dell'agosto '32 ad Henry Miller,<br />
rimproverava a Spengler: "Non ti accorgi di un inizio ? Mentre Spengler intona<br />
pessimistici requiem, io odo i vigorosi palpiti natali di Picasso, della psicoanalisi, delle<br />
nuove scienze mistiche, dell'anima negra che compenetra la magnitudine d'acciaio<br />
dell'America, [...] e non capisco perché dovremmo smettere di dipingere, costruire<br />
case, scrivere." (Nin-Miller, p. 116).<br />
144
volgere di pochi decenni, cambia radicalmente le proprie forme, è<br />
proprio perché segue i ritmi incalzanti delle innovazioni tecnologiche e<br />
dei mutamenti politici che hanno cambiato il volto del mondo. L'arte<br />
contemporanea diventa incomprensibile a chi le applica gli schemi<br />
chiusi dell'estetica tradizionale: la realtà si ridefinisce, l'arte e l'estetica si<br />
ridefiniscono con essa. Il rapido succedersi di esperienze e di stili è la<br />
testimonianza dell'avvenuta accelerazione dei processi storici, ai quali<br />
l'arte dimostra in questo modo di essere ancora legata.<br />
Il legame tra arte e società mantiene una validità che rende necessarie,<br />
significative e non arbitrarie le creazioni dell'arte novecentesca.<br />
Paradossalmente, questo possiamo comprenderlo grazie a Spengler,<br />
ed alla sua insistenza sul legame tra forme artistiche e destino della<br />
civiltà. Non è un caso, ad esempio, che il disfacimento delle forme di<br />
rappresentazione tradizionali, avviato dall'impressionismo, coincida<br />
con l'avvento della fotografia e dei mezzi di riproduzione di massa, che<br />
sottraggono all'arte un compito tradizionale, quello della testimonianza<br />
storica, e che la costringono a cercarsi una forma espressiva che non<br />
coincide più con la mimesi, con la "copia" della realtà. Anche<br />
l'espressionismo tedesco, con il suo uso esasperato del colore e con<br />
la sua violenza formale e cromatica, il cubismo con le sue immagini<br />
sintetiche, geometriche, il futurismo, la poesia di Eliot e Pound, la<br />
scrittura di Joyce, tutte queste esperienze che caratterizzano l'arte della<br />
prima metà del secolo hanno una propria interna necessità, in questa<br />
prospettiva; l'arte ricerca nuove forme d'espressione confrontandosi<br />
con un realtà che cambia vorticosamente.<br />
Nel suo complesso, il giudizio di Spengler appare ingeneroso e<br />
troppo sommario, minato da un originario fraintendimento e<br />
dall'incapacità di stare al passo con l'inedita rapidità di mutamento delle<br />
forme e del senso della creazione artistica; ma è anche vero che esso<br />
ha il grande merito di indicare quello che è "il" pericolo per l'arte<br />
contemporanea, cioè un'emarginazione dalle dinamiche sociali, che<br />
comporti la sua esclusione da ogni dimensione necessaria ed<br />
essenziale dell'esistenza. Inoltre, ci sono alcuni elementi individuati da<br />
Spengler che, liberati dal peso di una caratterizzazione unilateralmente<br />
negativa, possono essere di grande aiuto per la comprensione dell'arte<br />
contemporanea. L'intellettualismo può diventare allora la spia della<br />
tendenza alla concettualizzazione ed alla riflessione sui propri mezzi<br />
145
espressivi e sul loro valore nell'era tecnologica. L'informe e l'arbitrario<br />
si fanno testimonianza dell'erosione interna delle forme di<br />
rappresentazione tradizionali, il soggettivismo mette in scena il disagio<br />
esistenziale dell'artista che si sente inutile nella società, emarginato in<br />
quanto incapace di intervenirvi attivamente, e che conseguentemente<br />
ripiega nell'indagine interiore. Tutti questi elementi saranno di grande<br />
utilità per la comprensione della poetica di Henry Miller.<br />
IV. 4. L'estetica di Henry Miller<br />
Gli elementi per la ricostruzione di una estetica milleriana non<br />
mancano: agli spunti che costellano i suoi romanzi, e che vanno<br />
enucleati ed interpretati, si aggiunge una nutrita produzione saggistica<br />
che, in varie forme, si interroga sui problemi dell'arte. Come è ovvio<br />
quando si confronta la sistematicità di un filosofo con le intuizioni di<br />
un artista, sempre secondarie rispetto alla creazione vera e propria, il<br />
percorso attraverso questi sparsi elementi ricostruirà un'estetica molto<br />
diversa, nell'impostazione, da quella di Spengler: meno sistematica,<br />
appunto, più frammentaria, più intuitiva, e sostanzialmente meno<br />
articolata. Tre sono i concetti che ci faranno da guida nell'universo<br />
milleriano, coagulando attorno a sé tutta la gamma di significati della<br />
riflessione sull'arte.<br />
IV. 4. 1. L'annullamento della volontà<br />
La spersonalizzazione dell'artista è il carattere che emerge con più<br />
insistenza anche da una prima, superficiale ricognizione.<br />
L'annullamento della volontà è il tratto saliente dell'artista; è un<br />
concetto che troviamo ribadito più volte, innanzitutto ne Il Tempo<br />
degli Assassini. Saggio critico su Rimbaud, dove si legge:<br />
"Un artista si procura il diritto di chiamarsi un<br />
creatore, solo quando ammette con sé stesso di non<br />
essere che uno strumento. [...] Tutto è creato, tutto è<br />
146
stato predesignato...e nondimeno c'è libertà. Libertà<br />
di cantare le lodi di Dio. [...] Dio ha composto la<br />
partitura, Dio dirige l'orchestra. Compito dell'uomo è<br />
di eseguire la musica con la propria persona."<br />
(Rimbaud, p. 103)<br />
La creazione si configura come un atto di passività: l'artista rinuncia<br />
alla propria volontà e svuota sé stesso da ogni ambizione egoistica,<br />
liberando lo spazio che viene colmato dalla "rivelazione". È con<br />
questa terminologia profetica che Miller parla della creazione: essa non<br />
è costruzione, manifestazione della soggettività, bensì intuizione di<br />
qualcosa che trascende l'ego, qualcosa di superiore, di "ulteriore", che<br />
fonda la dignità dell'uomo -artista e della sua creazione 15. La creazione<br />
non avrebbe valore se fosse l'espressione di opinioni personali e non<br />
fosse radicata profondamente nell'anima dell'uomo, radicamento che la<br />
prospettiva di Miller tende a garantire. L'arte ha significato perché il<br />
suo valore è oggettivo, in quanto emanazione diretta della legge del<br />
cosmo.<br />
Qui siamo sullo stesso piano di Spengler, quando, ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, cercava di fondare oggettivamente l'espressione<br />
estetica attraverso l'idea di uno "stile" della civiltà. Anche lì, l'artista<br />
riproduceva solo un "tipo", cioè metteva in scena una verità che<br />
proveniva dall'esterno, archetipica, e della quale egli era un semplice<br />
strumento. Sul concetto di rivelazione si misura, però, anche la<br />
distanza tra i due. Per Spengler, fedelmente al quadro della propria<br />
filosofia della storia, l'arte è rivelazione, di volta in volta, dell'anima<br />
peculiare di una civiltà. Questo carattere relativo è pressoché<br />
inesistente in Miller, dove la prospettiva è metastorica: l'arte è la<br />
rivelazione di un sostrato metafisico della realtà che si sovrappone alle<br />
distinzioni sancite dalla storia. In questo senso, l'arte si configura<br />
come la rivelazione di una verità metafisica, laddove ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente il creatore era sempre "funzione" della propria civiltà,<br />
con particolare insistenza sul suo carattere storico-relativo. Spengler<br />
vede distinzioni dove Miller scorge un eterno processo di<br />
disvelamento della dimensione metafisica e metastorica del reale.<br />
15 - Senso dell'ulteriore per il quale Miller utilizza l'espressione "l'angelo è la mia<br />
filigrana", che dà il titolo ad uno dei racconti di Primavera Nera (vedi Primavera, pp.<br />
701-719).<br />
147
Ne Il Tempo degli assassini c'è un altro elemento che ci riporta in<br />
qualche modo a Il Tramonto dell'Occidente: il "simbolo". Scrive infatti<br />
Miller:<br />
E ancora:<br />
"Il linguaggio del poeta è asintotico; corre parallelo<br />
all'intima voce quando questa si avvicina all'infinità<br />
dello spirito. [...] È il suo uso senza uguali del<br />
simbolo a garantirci il suo genio. Una tale simbologia<br />
venne forgiata nel sangue e nello strazio." (ibidem,<br />
p. 53)<br />
"ha detto Rimbaud - verrà il giorno del linguaggio<br />
universale...Questo linguaggio [...] parlerà da anima<br />
ad anima, riassumendo in sé tutti i profumi, i suoni, i<br />
colori, collegando tutti i pensieri. - La chiave di<br />
questo linguaggio, va da sé, è il simbolo, che solo il<br />
Creatore possiede. È l'alfabeto dell'anima, primevo e<br />
indistruttibile. In virtù di questo, il poeta, che è il<br />
Signore dell'immaginazione e il disconosciuto<br />
reggitore del mondo, comunica, mantiene i rapporti<br />
col suo prossimo" (ibidem, pp. 75-6)<br />
Ne Il Tramonto dell'Occidente, il simbolo era una categoria estetica<br />
applicata alla storia, e non un'esclusiva dell'artista, come sembra<br />
intendere Miller. Lo storico, ad esempio, è colui che legge<br />
simbolicamente la storia, che scorge nei fatti dei simboli. Per Miller,<br />
invece, il simbolo costituisce un linguaggio privilegiato accessibile solo<br />
al poeta, un elemento di connessione tra l'arte e le profondità del senso<br />
della vita. Anche qui però, come in Spengler, l'oggettività e il valore<br />
dell'atto creativo sono esterni all'artista: il simbolo si forgia al di fuori<br />
dell'immaginazione individuale (il simbolo è esclusivo del Creatore, il<br />
poeta si limita ad usarlo), come un codice espressivo prefissato, forma<br />
con la quale lo spirito comunica con l'uomo; l'artista funge da<br />
mediatore tra Dio e l'umanità.<br />
La dinamica essenziale della creazione simbolica è identica in Miller e<br />
in Spengler. Il simbolo è una forma di linguaggio diversa dalla<br />
comunicazione: di Spengler si è già visto come distingua tra lingue<br />
d'espressione e lingue di comunicazione; quanto a Miller, parlando di<br />
148
Rimbaud definisce la sua poesia come "una protesta e una manovra<br />
contro lo squallido diffondersi della scienza che minacciava si<br />
soffocare la sorgente dello spirito" (ibidem, p. 53). "Linguaggio<br />
dell'anima" per Spengler, "alfabeto dell'anima" per Miller: anche le<br />
espressioni linguistiche sono simili.<br />
Al fondo di questa prospettiva giace, neppure tanto nascosta,<br />
l'influenza del pensiero romantico 16: ne Il Tramonto dell'Occidente,<br />
questo è evidente quando Spengler afferma che non è l'artista a creare<br />
lo stile, ma lo stile a creare il tipo dell'artista, calco fedele del topos<br />
romantico per cui non è l'opera che appartiene all'artista, ma viceversa.<br />
In Miller, questa ascendenza è ancora più scoperta, quando ne Il<br />
Tempo degli assassini parla del poeta come "disconosciuto reggitore<br />
del mondo", ricalcando così fedelmente l'espressione del romantico<br />
Shelley, per il quale i poeti erano i "misconosciuti legislatori del<br />
mondo". In entrambi, l'eteronomia dell'artista risponde all'esigenza di<br />
fornire uno statuto epistemologico ed una validità oggettiva al<br />
fenomeno estetico, ed il simbolo è il medium che consente di passare<br />
transitivamente dall'oggettività dello spirito alla soggettività dell'artista,<br />
senza che in questo la necessità della creazione artistica venga meno.<br />
Una lunga digressione sull'arte compare in Sexus, quasi che Miller<br />
abbia voluto preliminarmente chiarire i termini nei quali inquadrare la<br />
sua opera: Sexus, infatti, è il primo romanzo della 'Crocefissione in<br />
rosa', trilogia che conta quasi duemila pagine e che caratterizza tutta la<br />
seconda fase della sua produzione. Due sono i caratteri che emergono<br />
con maggiore insistenza: la dimensione estatica della creazione ed il<br />
suo rapporto con la vita. Ascensione, infinità, "andare al di là di sé<br />
stessi", possessione: questi i termini che informano il discorso<br />
16 - Questo elemento è stato più volte richiamato nella critica milleriana. Già<br />
Montgomery Belgion, in quella che è una delle prime recensioni a Tropico del Cancro,<br />
scriveva che Miller portava all'estremo un'idea romantica, quella del genio-scrittore<br />
come uomo dotato di una sensibilità e di una conoscenza superiore (M.Belgion, 'French<br />
Chronicle', in Criterion, XV, 86, Ott. 1935, p. 87). Ma è stato soprattutto William A.<br />
Gordon (in W.A.G., The mind and art of H.Miller, Baton Rouge, Lousiana State U.P.,<br />
1967) a sostenere questa tesi, sottolineando come i temi milleriani fondamentali siano<br />
riconducibili a concetti propri del romanticismo: la ricerca del sè e del legame tra uomo<br />
e natura, l'identificazione arte-vita, la polemica antiintellettualistica nell'arte come riflesso<br />
di una più ampia critica alle macrostrutture prodotte dalla società.<br />
149
(Sexus, pp. 288-291). A conferma dell'influenza romantica, Miller cita<br />
qui Novalis ("Prendere possesso del proprio io trascendentale",<br />
ibidem, p. 288). Lo scrittore "aumenta" la vita, così si esprime Miller,<br />
e la arricchisce nel senso che le dona una dimensione simbolica. Miller<br />
ripete continuamente che c'è qualcosa "di più" nei fenomeni<br />
dell'esistenza, e che tuttavia questo "di più" non è un'aggiunta<br />
dell'artista, ma qualcosa di preesistente, e che si tratta solo di portare<br />
alla luce. L'arte è un percorso di scoperta, che si conclude con la<br />
constatazione che la realtà non è solo ciò che appare, e che c'è<br />
qualcosa di più profondo, un valore che l'artista trasforma in<br />
rivelazione quando accetta di farsene strumento.<br />
In Miller, il principio dell'annullamento della volontà rappresenta<br />
anche il risultato di un'auto-osservazione riguardo ai processi<br />
concernenti la scrittura. Così scrive in Nexus:<br />
"Una vera disciplina, far gocciolare le parole senza<br />
sventagliarle con una piuma o mescolarle con un<br />
cucchiaio d'argento. Imparare ad aspettare, aspettare<br />
pazientemente, come un uccello da preda [...].<br />
All'uomo non sono mai mancate le parole. La<br />
difficoltà sorse quando l'uomo costrinse le parole a<br />
fare la sua volontà." (Nexus, p. 333)<br />
La creazione è una sorta di dettatura, la trascrizione nel linguaggio di<br />
una verità che detta il proprio contenuto e le proprie forme<br />
d'espressione. È la verità che sceglie luoghi e tempi, che forgia e piega<br />
le regole del discorso ai suoi fini: l'artista è solo un medium, un canale<br />
di comunicazione. Non a caso Alfred Perlès, scrittore ed amico di<br />
Miller, scrive: "credo che l'ispirazione di Henry venga dritta dalla<br />
sorgente, ma lui non fa nulla per raffinarla: è petrolio grezzo"<br />
(Oltraggio, p. 64).<br />
C'è un'altra osservazione da fare riguardo al brano sopracitato. Il<br />
rapporto fondamentale dell'artista è quello con la necessità: la<br />
creazione artistica è sempre necessitata; come direbbe Spengler, non<br />
c'è capriccio o moda che tenga. Se l'arte vuole mantenere un<br />
significato all'interno della società, se vuole avere un senso che la renda<br />
indispensabile, deve mettere in chiaro il delicato equilibrio tra libertà e<br />
necessità sul quale si muove. L'arte è libera di decidere se essere<br />
150
espressiva o meno, non è libera invece di esprimere ciò che vuole.<br />
L'arte non è mai "intenzionale". Scrive ancora Perlès: "L'intenzione<br />
sminuisce l'artista. Il genio non è intenzionale. Il sole non intende<br />
irradiare calore, lo irradia." (ibidem, p. 21).<br />
C'è, in Nexus, un altro passo interessante. Pensando all'arte indiana,<br />
Miller scrive:<br />
"Amavo l'aspetto anonimo delle sue sbalorditive<br />
creazioni. Com'era consolante e rassicurante essere<br />
un umile, sconosciuto operaio, un artigiano e non un<br />
genio ! Uno tra migliaia, che partecipava alla<br />
creazione di ciò che apparteneva a tutti." (Nexus, p.<br />
364)<br />
Ecco un altro aspetto importante dell'arte: il suo carattere anonimo 17.<br />
L'artista si perde di fronte alla creazione, che è ciò che ha importanza.<br />
Non c'è un nome che imprime il sigillo dell'ego sull'opera creata, la<br />
quale diventa l'emanazione della totalità di un popolo. L'arte,<br />
letteralmente, non ha soggetto, o quantomeno non ha un soggetto<br />
umano, singolo 18. Qui l'anonimità serve a Miller per sottolineare quel<br />
carattere oggettivo dell'arte che Spengler aveva cercato di evidenziare<br />
con i concetti di "stile" e "tipo dell'artista": l'obiettivo è sempre quello<br />
di sottrarre l'arte alla dimensione del futile, del frivolo, dell'inessenziale.<br />
Il tema dell'annullamento della volontà è un filo conduttore che<br />
attraversa, con accenti pressoché analoghi, tutta l'opera milleriana, da<br />
Sexus a The Wisdom of the Heart, da Arte e oltraggio a Il Tempo<br />
degli Assassini. In Sexus, soprattutto, anima il dialogo tra Mac Gregor<br />
e Ulrich sul ruolo dell'arte. Mac Gregor ha appena sostenuto una teoria<br />
"egoistica" dell'arte: "Se avessi delle idee belle, ricche, succose, vorrei<br />
goderle tutte per me; non tenterei di ficcarle nella gola degli altri"<br />
17 - : "Siamo arrivati al punto in cui non desideriamo più di sapere chi è l'autore di<br />
un'opera, a chi appartiene il suggello che vi è impresso [...]: quel che desideriamo [...]<br />
sono capolavori individui, che trionfino in modo tale da subordinare interamente i<br />
casuali artisti che ne sono autori." (Max, p. 1096).<br />
18 - "Non desideriamo più di sapere chi è l'autore di un'opera, a chi appartiene il<br />
suggello che vi è impresso, a chi il timbro appostovi; quel che desideriamo e che siamo<br />
finalmente sul punto di ottenere, sono capolavori individui, che trionfino in modo tale da<br />
subordinare interamente i casuali artisti che ne sono autori." (Max, p. 1096).<br />
151
(Sexus, p. 192). A questa cinica mistificazione Ulrich insorge, quasi<br />
con le stesse parole de Il Tempo degli Assassini:<br />
"È tutto l'opposto. [...] è quasi una pura impossibilità<br />
astenersi dal dare espressione ad un grande pensiero.<br />
Noi siamo soltanto strumenti di una forza più grande.<br />
Siamo creatori per consenso, per grazia, si potrebbe<br />
dire. Nessuno crea solo, di per sé. L'artista è uno<br />
strumento che registra qualcosa di già esistente,<br />
qualcosa che appartiene al mondo intero e che<br />
l'uomo, se si tratta di un vero artista, è costretto a<br />
restituire al mondo." (ibidem, p. 193)<br />
La creazione è rivelazione, e la rivelazione non si esaurisce nel<br />
soggetto, ma diventa espressione per tutti gli uomini. Romanticamente,<br />
non c'è nessuna appartenenza dell'opera d'arte all'artista; l'arte è<br />
sempre un'esperienza collettiva, sia in sede di creazione che nella fase<br />
di ricezione. Espressione necessaria, come ricorda Ulrich, perché<br />
l'artista è "costretto" a fare ciò che fa. Questo fonda una poetica della<br />
generosità e della fecondità, dove l'artista, che cattura la ricchezza del<br />
mondo, la ridona attraverso i suoi simboli in tutta la sua pienezza.<br />
Ulrich conclude il suo discorso dicendo a Mac Gregor:<br />
"invidio l'uomo il quale ha il coraggio di essere un<br />
artista...lo invidio perché so che è più ricco [...]. Lei<br />
non potrebbe mai essere un artista [...]. Non<br />
potrebbe mai avere idee splendide, perché le uccide<br />
in anticipo. Nega tutto quello che occorre per fare la<br />
bellezza, vale a dire l'amore, l'amore della vita stessa,<br />
l'amore della vita di per sé." (ibidem, p. 195)<br />
L'artista è il primo simbolo della vita: è ricchezza e donazione,<br />
creazione e distruzione, angoscia e desiderio, eterno movimento, il<br />
tutto sotto il segno dell'"accettazione" come sentimento che non nega<br />
nulla della pienezza antinomica dell'esistenza. Come la vita dona sé<br />
stessa senza chiedere nulla in cambio, così l'artista non tratiene nulla<br />
presso di sé ma dona ogni sua intuizione al mondo, rendendolo più<br />
ricco; non è l'uomo che ha scelto l'arte per esprimere sé stesso, ma è<br />
l'arte che l'ha scelto per esprimere la verità. A guardare bene, questo è<br />
il paradosso estremo per uno scrittore come Miller, autore di romanzi<br />
152
dichiaratamente autobiografici e fortemente egocentrici, e che tuttavia<br />
indica ai propri lettori come questo autobiografismo non abbia senso<br />
solo per sé, ma abbia, principio primo dell'arte, un valore "esemplare"<br />
come riproduzione di un archetipo, come ennesima incarnazione della<br />
verità.<br />
IV. 4. 2. L'identificazione arte-vita<br />
Tutti quei passi di Miller che ci hanno consentito di ricostruire un<br />
abbozzo di estetica della spersonalizzazione si riferiscono ad una fase<br />
matura della sua esperienza di scrittore, appartengono a quella che si è<br />
soliti indicare come la seconda fase della sua produzione, dopo i<br />
romanzi parigini e dopo la svolta operata da Il colosso di Maroussi<br />
(1941). Se passiamo ad analizzare le opere precedenti (Tropico del<br />
Cancro, Tropico del Capricorno, Primavera Nera e Max e i fagociti<br />
bianchi) ci accorgiamo di come l'accento cada, piuttosto che sulla<br />
dimensione metafisica, sull'aspetto attivo e concreto dell'opera<br />
artistica. L'enfasi viene posta sull'"azione", sul piglio deciso visto<br />
come l'unica soluzione per il superamento della decadenza: questo<br />
accade soprattutto in Tropico del Cancro, dove stile e concetti sono<br />
molto aggressivi, e tradiscono tutta l'impazienza di uno scrittore al<br />
primo romanzo (benché Miller avesse già più di quarant'anni). I<br />
caratteri che definiscono l'arte in questa fase sono l'oltraggio, la<br />
violenza, la carnalità, la trasgressione, il rovesciamento dei valori. C'è<br />
una grande voglia di azione, e di intervenire fattivamente, con una<br />
decisione che spesso diventa violenza e brutalità, nel dominio<br />
sclerotizzato dell'arte occidentale. Miller vuole l'azione, innanzitutto<br />
come appello alle forze vitali perché si spezzi il circolo vizioso della<br />
decadenza, poi come richiamo al legame necessario tra l'arte e la vita.<br />
L'estetica milleriana si fonda sulla distinzione tra arte e "letteratura". Il<br />
secondo termine è sovrapponibile al concetto spengleriano dell"arte<br />
come mestiere", e sta ad indicare l'intellettualizzazione, la rarefazione<br />
dell'arte nell'astrattezza e nell'asetticità dell'idea. "Tutto quel che era<br />
letteratura, mi è cascata di dosso." (Cancro, p. 6), scrive Miller in<br />
Tropico del Cancro, dove leggiamo anche:<br />
"Fino a oggi, per quanto mi riguarda, ho avuto idea di<br />
abbandonare la base aurea in letteratura. La mia<br />
153
idea, in breve, è [...] raffigurare un essere<br />
presocratico, in parte capra in parte Titano."<br />
(ibidem, p. 256)<br />
Una definizione precisa, in negativo, della "letteratura" compare in<br />
exergo e poi nell'incipit di Primavera Nera: "Ciò che non è in mezzo<br />
alla strada è falso, derivato, vale a dire: letteratura." (Primavera, p.<br />
651) 19. La "letteratura" è l'arte che si fa tecnica, è il virtuosismo fine a<br />
sé stesso, che copre una generale mancanza di significato; è l'arte che,<br />
intellettualizzandosi, si frappone come un ostacolo tra l'uomo e la vita,<br />
e, perdendo il senso delle proprie creazioni, cerca di darsi una dignità<br />
ed una funzione sociale facendosi "mestiere".<br />
Il valore che può ridare vita all'arte è l'azione. È una dichiarazione di<br />
principio che fonda un'intera estetica:<br />
"Le idee debbono sposarsi all'azione; se in loro non<br />
vi è sesso, non vita, non c'è azione. Le idee non<br />
possono esistere da sole nel vuote del pensiero. [...]<br />
L'estetica dell'idea produce vasi di fiori e i vasi di fiori<br />
si mettono alla finestra. Ma se non c'è né pioggia né<br />
sole a che serve mettere i fiori fuori della finestra ?"<br />
(Cancro, p. 255)<br />
Tropico del Cancro è attraversato da una grande energia repressa che<br />
vuole continuamente erompere. "Il secolo vuole violenza" (ibidem, p.<br />
16), commenta Miller, e certo il suo romanzo è un fenomeno che si<br />
inquadra perfettamente nel clima surriscaldato del primo dopoguerra. Il<br />
pensiero corre spontaneamente a Spengler, all'enfasi sulla figura<br />
dell'uomo d'azione, dell'uomo d'acciaio, del Cesare che è il destino<br />
dell'Occidente. Non bisogna dimenticare che tutta la filosofia<br />
spengleriana è caratterizzata dall'idea della storia come serie di<br />
catastrofi: la storia non è un lento processo graduale, né tantomeno<br />
meno un percorso progressivo verso il meglio; nascita e morte<br />
scandiscono il destino delle civiltà, e nascita e morte sono realtà senza<br />
19 - Il carattere antiletterario dell'opera milleriana viene frequentemente sottolineato<br />
nella critica. Mauriac annovera Miller nella sua "alittèrature contemporaine", Hassan lo<br />
associa a Beckett come campione dell"antiletteratura" o "letteratura del silenzio". Vedi<br />
C. Mauriac, L'alittèrature contemporaine, Albin, Michel, Paris, 1958, e Ihab Hassan,<br />
The Literature of Silence, New York, Knopf, 1967.<br />
154
sfumature. Non ci sono piccoli miglioramenti progressivi, non c'è un<br />
accumulo di esperienze: ogni volta che una civiltà si es tingue, si riparte<br />
per così dire da zero. Non c'è possibilità di porre rimedi al tramonto<br />
dell'Occidente: occorre ricominciare da capo, perché un nuovo<br />
mondo si costruisce con uomini nuovi e nuovi valori.<br />
Il legame con l'azione chiarisce tutta una serie di significati corollari<br />
dell'arte. L'arte è "oltraggio", perché rifiuta gli ideali devitalizzati nei<br />
quali si cerca di ingabbiarla: non crede nella Bellezza, non crede<br />
nell'Arte, non crede nell'Amore e nell'Uomo, quando queste<br />
espressioni non siano connesse ad un concreto sentimento. È un<br />
oltraggio continuo perché ogni volta muta le proprie regole alla ricerca<br />
dell'espressione, e quindi infrange programmaticamente i codici ed i<br />
valori riconosciuti.<br />
L'arte è "violenza", perché è espressione della verità, e la verità non<br />
conosce mezze misure. L'arte è una fede, una passione che impedisce<br />
all'artista di scendere a compromessi e che lo conduce inesorabilmente<br />
a confrontarsi o a servirsi della distruzione, premessa necessaria alla<br />
creazione.<br />
L'arte, soprattutto, non è un prodotto dell'intelletto. Qui ricompare il<br />
tema dell'antintellettualismo, che abbiamo già richiamato in riferimento<br />
a Spengler. L'arte viene sempre mantenuta legata alla concretezza, alla<br />
"razza" ed al "sangue" in Spengler, alla "Vita" in Miller. Le categorie<br />
dell'intelletto, invece, si frappongono tra l'uomo e la vita, che<br />
pretendono di fargli pervenire filtrata dai propri schemi. Ecco perché,<br />
secondo Miller, l'arte suscita riprovazione, sdegno, ecco perché<br />
oltraggia: non per il gusto di trasgredire, ma perché è l'espressione di<br />
una forza primordiale, originaria, che non sopporta le distinzioni<br />
operate dalla razionalità umana e che erompe come una "eruzione" 20<br />
attraverso la creatività dell'artista.<br />
In Miller l'arte come liberazione di impulsi primitivi si costituisce in<br />
opposizione alla società:<br />
"La funzione che l'artista compie nelle società è di far<br />
rivivere i primitivi istinti anarchici che furono sacrificati<br />
20 - Scrive Alfred Perlès: "il genio è essenzialmente innocente, anche - forse soprattutto<br />
- quando è offensivo; innocente come un terremoto o come un vulcano in eruzione"<br />
(Oltraggio, p. 12).<br />
155
per l'illusione di vivere confortevolmente." (Max, p.<br />
1103)<br />
È interessante osservare come questa prospettiva riproponga<br />
sostanzialmente la tesi centrale di Freud e del suo Il disagio della civiltà<br />
(1929),uno dei testi fondamentali di quel filone di critica alla civiltà che,<br />
nel periodo tra le due guerre, ha prodotto opere come La crisi della<br />
civiltà di Huizinga, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia<br />
trascendentale di Husserl, e ovviamente Il Tramonto dell'Occidente di<br />
Spengler. In quel breve ma denso scritto freudiano si riconduceva la<br />
crisi della società occidentale al sovrapporsi delle sovrastrutture<br />
intellettuali, politiche e sociali proprie della civiltà, sulle pulsioni volte al<br />
soddisfacimento di impulsi primari 21. È la lotta tra l'energia dell'Eros e<br />
quella della Morte, che vuole sterilizzare la prima e reprimerne l'energia<br />
per incanalarla verso per i propri scopi. Per questo l'Eros ha una forza<br />
tanto dirompente, per questo la sua evocazione suscita<br />
immancabilmente fastidio, ostilità, se non odio. E' l'inquietudine di<br />
fronte ad una energia incontrollabile, primordiale, non raffinabile: l'eros<br />
è una forza d'eversione rispetto a tutti quei valori che costruiscono il<br />
vivere sociale e civilizzato. In Miller ritroviamo le stesse<br />
argomentazioni e soprattutto un'identica connessione tra repressione<br />
pulsionale e disumanizzazione della società. L'eros si configura<br />
insomma come una realtà originaria, radicata nell'uomo e precedente<br />
ogni razionalità: è la prima forma, e la più potente, con cui l'uomo<br />
abbatte le barriere del proprio io e si pone in rapporto con l'altro da<br />
sé, aprendo la strada all'instaurarsi della socialità come accettazione<br />
degli altri e come confronto. Ed è ovvio che la logica dell'eros non<br />
possa convivere con la logica della società civilizzata: il loro rapporto<br />
non potrà mai essere di compresenza e si risolverà sempre in conflitto,<br />
dove prevarrà di volta in volta l'uno o l'altro degli antagonisti. In Freud<br />
questa conflittualità non si risolve con la presa di posizione per una<br />
delle forze in conflitto. Miller va oltre: l'Eros è il "valore" che relega il<br />
suo opposto, qui la società, ad una caratterizzazione radicalmente<br />
21 - "è impossibile ignorare in quale misura la civiltà sia costruita sulla rinuncia pulsionale,<br />
quanto abbia come presupposto il non soddisfacimento (repressione, rimozione o che<br />
altro?) di potenti pulsioni. Questa 'frustrazione civile' domina il vasto campo delle<br />
relazioni sociali." (S.Freud, 'Il disagio della civiltà' in Opere, vol. X, Torino, Bollati<br />
Boringhieri, p. 587).<br />
156
negativa. La rinuncia agli istinti pulsionali è una perdita, una scissione,<br />
direbbe Lawrence, di quella totalità organica dell'individuo che<br />
comporta in egual misura razionalità e passionalità, ordine e anarchia,<br />
Apollo e Dioniso. L'accostamento a Freud non è stato casuale: esso<br />
mira a mettere in luce un comune orientamento in alcuni protagonisti<br />
della cultura occidentale negli anni venti-trenta. Ciò che accomuna<br />
Lawrence, Miller, Spengler, Freud, non è tanto, o non solo, la<br />
consapevolezza di una crisi, quanto piuttosto il collegarla alla<br />
progressiva soppressione di una originaria istintualità umana. Lo sforzo<br />
di scrittori come Lawrence e Miller, e di filosofi come Spengler, sta<br />
proprio nel tentativo di recuperare questa energia sepolta nell'anima<br />
umana come ciò che può salvare dalla decadenza.<br />
Questa prospettiva vitalistica, che diventa una forza d'azione<br />
rivoluzionaria all'interno della società, parte, in Miller, da un<br />
rinnovamento estetico: è dall'arte che deve partire la presa di coscienza<br />
della natura pulsionale dell'uomo e della forza dell'eros. L'arte deve<br />
farsi "carnale" 22, deve essere fatta da "mani forti, spiriti disposti a<br />
piantarla con i fantasmi e a metter su carne..." (Cancro, p.33). Anche<br />
le idee, simbolo dell'astratto, si fanno materia, concretezza, anch'esse<br />
mettono su carne, diventano "idee di reni", "idee di fegato" (ibidem, p.<br />
255). L'arte deve essere tutto ciò che è la vita, cioè movimento, infinita<br />
varietà, caos, casualità: le metafore milleriane seguono questa dinamica<br />
metamorfica nel segno di una scrittura improntata all'iperbolico,<br />
all'esagerazione, all'eccesso, a dimostrazione di una volontà di<br />
effusione vitale che non si risparmia nulla pur di testimoniare, nelle sue<br />
forme, l'infinita e multiforme ricchezza della vita, anche a costo di<br />
produrre opere esteticamente imperfette. D'altra parte, Miller non ha<br />
mai fatto mistero della convinzione che l'arte, quale noi la intendiamo,<br />
fosse solo una fase passeggera nella storia dello spirito umano.<br />
Vedremo come la preoccupazione di recuperare all'arte la concretezza<br />
della vita sfocierà in una completa identificazione tra l'arte e l'esistenza,<br />
dove sarà il secondo termine a prevalere sul primo, e ad assumere su<br />
di sé il suo ruolo.<br />
22 - È di Guido Almansi la definizione di Miller come scrittore "carnalista". Vedi<br />
G.Almansi, L'estetica dell'osceno, Torino, Einaudi, 1994 (prima edizione 1974), pp.<br />
223-250.<br />
157
IV. 4. 3. L'arte del futuro<br />
"Io non cerco l'arte nell'arte, allo stesso modo che non cerco Dio<br />
nella religione" (Oltraggio, p. 85): il punto di partenza è una sorta di<br />
epochè con la quale mettere da parte ogni definizione tradizionale<br />
dell'arte. L'arte non è "artistica", non è "estetica" e non si risolve in una<br />
collezione di manufatti 23 oggetto della devozione collettiva per il<br />
"genio". In questo modo Miller mostra subito l'intenzione di<br />
distinguere tra un piano più tradizionalmente estetico (la storia dell'arte)<br />
e la più ampia dimensione della creatività umana.<br />
L'arte non consiste in un accrescimento di significato della realtà, in<br />
un abbellimento o in una poeticizzazione degli oggetti e delle situazioni.<br />
L'arte è l'espressione della verità, dell'essenza profonda del reale, ci fa<br />
scorgere la realtà nella sua natura essenziale, come lo sguardo<br />
assuefatto ed apatico dell'uomo civilizzato non è più in grado di fare.<br />
L'arte non fa che mettere sotto gli occhi dell'uomo la vera natura di ciò<br />
che gli sta intorno; in questo senso, essa è un tramite tra l'uomo e la<br />
verità, tra l'individuo e il senso dell'esistenza; ma è un tramite che non<br />
effettua mediazioni, che non occulta o deforma la verità, ma che la<br />
comunica transitivamente. Arte uguale verità, questa è l'idea<br />
fondamentale. Miller la chiarisce prendendo ad esempio un'immagine<br />
del celebre fotografo Brassai, che ritrae una sedia metallica ai margini<br />
di un viale parigino. La seggiola non viene deformata da una<br />
volontà di espressione soggettiva, ma è presentata nella sua<br />
semplicità di oggetto:<br />
"Brassai scelse precisamente questa seggiola<br />
insignificante e, cogliendola dove la trovò, mise in<br />
luce quel che in essa vi era di dignità e veracità:<br />
QUESTA E' UNA SEGGIOLA. Niente di più."<br />
(Max, p. 1097)<br />
L'arte non ha bisogno di donare significato alla realtà, che ha in sé tutta<br />
la ricchezza possibile: all'artista non rimane che prenderne atto e<br />
comunicarla all'umanità (ecco di nuovo l'elemento passivo e<br />
23 - "invece d'una visione veramente personale, veramente creativa, delle cose,<br />
abbiamo un modo di vedere meramente 'estetico'. Vuoti come siamo, ci è impossibile<br />
guardare un oggetto senza aggregarlo alla nostra collezione." (Max, p. 1096).<br />
158
necessitante che ritorna). L'artista ha ciò che Miller chiama "occhio<br />
cosmologico", che "persiste attraverso la distruzione e il fato,<br />
impervio, originario, 'che vede soltanto quello che è'" (ibidem, p.<br />
1092). Esso coglie gli archetipi della realtà, l'idea dell'oggetto come ciò<br />
che ne fonda l'unicità: così, la sedia di Brassai diventa la sedia<br />
"prima", la seggiola ridotta alla sua dimensione essenziale, a ciò che la<br />
rende tale e che non coincide con una sedia contingente, pur<br />
essendone la condizione necessaria. L'idea della creazione come<br />
annullamento della volontà e come rivelazione, con la conseguente<br />
strumentalità e passività dell'artista, il concetto di arte "anonima" e<br />
impersonale, l'enfasi sul suo carattere di liberazione degli impulsi<br />
primordiali, e quindi il radicamento ad una realtà spontanea, immediata,<br />
naturale dell'uomo, infine l'immagine dell'arte come espressione degli<br />
archetipi della realtà, nel senso prima indicato: tutto ciò risponde<br />
all'esigenza primaria di fondare un'oggettività e necessità dell'arte, di<br />
dare ad essa un significato autonomo, una funzione attiva ed una<br />
dignità privilegiata nel campo della conoscenza, di radicarla ad una<br />
dimensione naturale, primordiale. Tutti gli elementi elencati trovano<br />
una puntuale corrispondenza nella riflessione estetica de Il Tramonto<br />
dell'Occidente.<br />
Se già in Max e i fagociti bianchi, che si può dire concluda la fase<br />
parigina, l'arte si era venuta configurando come una realtà sempre<br />
meno coincidente con il piano estetico, nella riflessione posteriore<br />
questa scissione di consuma pienamente e conduce all'identificazione<br />
totale tra arte e vita. Il passo da compiere era breve, e Miller non ha<br />
esitato a compierlo: la svolta può essere efficacemente illustrata se<br />
prendiamo in esame il saggio 'Of art and the future', all'interno della<br />
raccolta Sunday after the war 24.<br />
Miller procede inquadrando il problema dell'arte dell'avvenire nel<br />
contesto della crisi dell'occidente. Siamo nel 1944: la guerra diventa un<br />
simbolo della fine del mondo euro-americano e dell'imminente avvento<br />
di una nuova era nella storia dell'uomo. Nel caos che accompagna<br />
questa rivoluzione, si chiede Miller, quale sarà il ruolo e la fisionomia<br />
dell'arte ? Manterrà le sue forme tradizionali, o esse sono destinate a<br />
24 - Da segnalare che il saggio non compare nell'edizione italiana.<br />
159
scomparire come tutto ciò che è occidentale ? Questa è la sua<br />
risposta:<br />
"in primo luogo, credo che ciò che noi abbiamo<br />
conosciuto sinora come arte non esisterà più. Oh<br />
certo, avremo ancora romanzi e dipinti e sinfonie e<br />
statue, avremo ancora versi, senza dubbio. Ma tutto<br />
ciò sarà [...] la continuazione di un brutto sogno che<br />
finirà solo con un pieno risveglio. L'era delle culture è<br />
passata. La nuova civiltà [...] non sarà propriamente<br />
un'altra civiltà - sarà la realizzazione, non sappiamo in<br />
quanto tempo, di tutto ciò cui aspirarono le civiltà del<br />
passato." (Art, pp. 154-155) 25<br />
Nell'era post-occidentale, le forme tradizionali dell'arte perderanno il<br />
loro significato, e rimarranno degli involucri vuoti privi di pregnanza e<br />
di necessità. Le potenzialità espressive e formative dell'arte muteranno<br />
la loro destinazione. Scrive Miller:<br />
"l'arte è solo un momento di passaggio verso la realtà;<br />
è il vestibolo nel quale subiamo i rituali di iniziazione.<br />
Il compito dell'uomo è di fare di sé stesso un'opera<br />
d'arte. Le creazioni dell'uomo non hanno valore in sé;<br />
servono a far prendere coscienza, tutto qui." (Art,<br />
p. 155) 26<br />
Il percorso di scissione tra artista e dimensione estetica è condotto alle<br />
estreme conseguenze. L'arte, che fino agli anni di Max e i fagociti<br />
bianchi era la chiave per la comprensione della realtà, diventa una fase<br />
di passaggio, un'espressione imperfetta dello spirito, una forma di<br />
conoscenza inferiore ed incompleta, forma vicaria e mediata che va<br />
25 - "in the first place, it seems to me that what we have hitherto known as art will be<br />
non-existent. Oh yes, we will continue to have novels and paintings and symphonies and<br />
statues, we will even have verse, no doubt about it. But all this will be [...] a<br />
continuation of a bad dream which ends only with a full awakening. The cultural era is<br />
past. The new civilization [...] will be the open stretch of realization which all the past<br />
civilizations have pointed to."<br />
26 - "art is only a stepping stone to reality [...]. Man's task is to mafe of himself a work<br />
of art. The creations which man makes manifest have no validity in themselves; they<br />
serve to awaken, that is all." Vedi anche Max e i fagociti bianchi: "L'arte è soltanto uno<br />
dei modi di manifestarsi dello spirito creativo" (Max. p. 1115).<br />
160
superata da un approccio diretto alla realtà 27. L'arte del futuro consiste<br />
proprio nel superamento dell'arte 28. Il valore della creatività viene<br />
svincolato dai suoi prodotti: non è il fenomeno estetico a valere in sé,<br />
non è l'opera quanto il processo creativo e la presa di coscienza che<br />
ne è all'origine. L'arte retrocede ad un rango strumentale, come una<br />
scossa salutare che risvegli lo spirito e lo avvii alle sua realizzazioni<br />
superiori.<br />
Le forme storiche dell'arte hanno la funzione di aprire il campo alla<br />
sua realizzazione suprema, che è il suo inveramento come "vita" ma<br />
anche la sua scomparsa come realtà onto logicamente autonoma.<br />
L'estetico si risolve definitivamente nell'etico 29, cosicché "la vita<br />
stessa diventerà non 'un'arte', ma l'arte" (ibidem, p. 110) 30:<br />
"Penso che, inconsciamente, ogni grande artista tenti<br />
con tutta la sua forza di distruggere l'arte. Voglio dire<br />
che egli lotta disperatamente per infrangere il muro<br />
tra sé e il resto dell'umanità [...] nella speranza di<br />
sboccare in qualche più rapido e vivido regno di<br />
esperienza umana." (Max, p. 1114)<br />
27 - "l'arte [...] è solo un sostituto, un linguaggio di simboli, per qualcosa che può essere<br />
colto direttamente" ("art [...] is only a substitute, a symbol-language, for something<br />
which can be siezed directly."), The Wisdom of the Heart, citato in Writing, p. 110.<br />
28 - Vedi Alan Friedman in Henry Miller: Three Decades of Criticism, N.Y., N.Y.<br />
University Press, 1971, p. 138: "L'arte, ora, diventa non-arte, perchè [...] essa serve<br />
all'artista non per il suo risultato finale in sè ma come transizione verso la vita." ("Art,<br />
then, becomes non-art, for it [...] serves for the artist not as an end in itself but as a<br />
means to life.").<br />
29 - Antoine Denat colloca Miller in una tradizione di scrittori moralisti, che va da<br />
Montaigne a Sartre, "per la quale conta anzitutto l'uomo" (A.Denat, 'H.Miller clown,<br />
barocco, mistico e vincitore', introduzione a H.Miller, Il meglio di H.Miller, Milano,<br />
Longanesi, 1961, p. 53). Herbert Read vede fuse in Miller le due anime, quella estetica<br />
e quella profetica (H.Read, 'Estetica e profezia', in Valerio Riva [a cura di], H.Miller, il<br />
sesso, la censura e il Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967, pp. 98-102). Lo<br />
stretto legame tra artista e profeta-visionario è sottolineato anche in quello che è il<br />
maggior contributo sull"estetica" di Miller: E.B.Mitchell, 'Artists and Artists; The<br />
Aesthetics of Henry Miller', in E.Mitchell (edited by), H.Miller: Three Decades of<br />
Criticism, cit., pp. 155-172.<br />
30 - "life itself will become not 'an art', but art".<br />
161
L'identificazione arte-vita procede dalle premesse teoriche fissate nel<br />
periodo parigino. Tuttavia, se ci fermiamo ad osservare il percorso sin<br />
qui compiuto, non possiamo non accorgerci di come non tutto sia<br />
conseguente e come vi siano piuttosto alcune evidenti contraddizioni<br />
nel discorso di Miller, anche se avevamo premesso che non ci si<br />
doveva attendere una rigorosa coerenza concettuale nella teorizzazione<br />
di un artista. La prima e più evidente emerge dalla biografia di Miller:<br />
sarà anche vero che l'arte tradizionale è destinata a sparire e che la vita<br />
stessa diventerà un'opera d'arte, ma ciò non toglie che Miller, dopo il<br />
1944, abbia continuato a scrivere romanzi, saggi, opere teatrali, con<br />
una prolificità che non è mai venuta meno. Lo scrittore americano ha<br />
sempre sostenuto che nelle sue opere egli non inventava né deformava<br />
nulla, che lui e la sua opera erano una cosa sola: a parte la provata<br />
falsità di questa affermazione (gli eventi della sua biografia, nella<br />
trasposizione romanzesca, sono stati ampiamente rimaneggiati), ciò<br />
non toglie che Miller abbia continuato a manifestare la propria creatività<br />
attraverso le forme dell'espressione artistica tradizionale. E' vero, come<br />
scrisse Anais Nin in una prefazione a Tropico del Cancro, che "il<br />
poetico si scopre togliendo i paludamenti dell'arte, scendendo a [...] la<br />
solida ossatura della forma" 31, ma da questa immersione in profondità<br />
occorre risalire per rianimare le forme dell'arte che si trovano in<br />
superficie. Poco importa poi che Miller attribuisse più importanza al<br />
piano esistenziale rispetto a quello artistico: ciò non toglie che sia<br />
giudicato e stimato in base ai suoi prodotti artistici, e che questi siano<br />
tutto ciò che ci rimane e che ci può rimanere della sua creatività.<br />
Una seconda e più grave contraddizione emerge se confrontiamo il<br />
momento finale del percorso milleriano con le esigenze dal quale era<br />
partito. Miller cercava di fondare oggettivamente la validità dell'arte, la<br />
sua autonomia come forma di conoscenza, attraverso un legame il più<br />
stretto ed immediato possibile con la vita. Tuttavia, l'identificazione<br />
arte-vita che doveva essere il compimento di questo processo ne<br />
rappresenta invece la totale negazione: l'arte in questo modo perde<br />
completamente la propria autonomia. Miller è molto chiaro ed<br />
esplicito, e non lascia spazio a dubbi: le creazioni dell'arte non hanno<br />
valore in sé, la vera arte è la vita, ed in essa converge la creatività che<br />
31 - Citato in Valerio Riva (a cura di), H.Miller, il sesso..., cit., p. 98.<br />
162
animava le forme tradizionali dell'arte. L'arte diventa una fase<br />
transitoria e non più un valore fondante, perché perde l'esclusiva del<br />
concetto di creatività. Se all'arte si toglie la sua essenza creativa e la si<br />
ripone nella soggettività umana, viene meno non solo la sua oggettività,<br />
ma la sua stessa ragion d'essere, e l'arte finisce per dissolversi<br />
misticamente nell'identificazione con la vita.<br />
C'è da dire che queste affermazioni convivono con quelle che<br />
sottolineano il valore e l'autonomia della sfera estetica. Si è fatto<br />
riferimento a Sexus, a Nexus, a Il Tempo degli Assassini: tutte queste<br />
opere sono cronologicamente contemporanee o di poco successive a<br />
'Of Art and the Future' e The Wisdom of the Heart, dove<br />
l'identificazione arte-vita è enunciata e portata alle estreme<br />
conseguenze. Questa contraddizione non viene risolta da Miller, e può<br />
restare come testimonianza di un intimo dissidio tra la volontà di<br />
affermazione dell'arte e la necessità di farne uno strumento di<br />
rigenerazione spirituale, di inquadrarla in un più ampio progetto di<br />
palingenesi dell'umanità (con la naturale conseguenza che, una volta<br />
che abbia forgiato la nuova forma del mondo, l'arte diventa inutile:<br />
collocando il proprio fine in un obiettivo localizzabile e raggiungibile,<br />
l'arte estranea la propria essenza e rinuncia così ad ogni possibile<br />
autonomia di significato).<br />
Quanto al rapporto di queste posizioni con Spengler, un'apparente<br />
affinità nasconde una profonda divergenza. E' evidente come l'accento<br />
sull'imminente e radicale trasformazione della forma del mondo, e<br />
conseguentemente dell'arte, trovi corrispondenza con il sentimento che<br />
anima Il Tramonto dell'Occidente. Anche Spengler richiamava<br />
l'attenzione sul fatto che l'arte dell'avvenire sarebbe stata molto diversa<br />
dalla sua immagine tradizionale. Il futuro non attendeva un nuovo<br />
Goethe, bensì un nuovo Cesare: la nuova poesia sarebbe stata forgiata<br />
nel cemento e nell'acciaio, con la risolutezza del dominatore e la<br />
tempra dell'animale da preda 32. La nuova Era del Cesarismo non era<br />
destinata ad una "grande arte" 33, anche se ciò non significa che essa<br />
non avesse una sua propria grandezza, per nulla inferiore a quelle<br />
civiltà, come quella greca, che una grande arte l'avevano prodotta. Qui<br />
32 - Vedi 'Riflessioni sul lirismo' (in Scritti, p. 57).<br />
33 - "L'uomo euro-occidentale non dovrà più attendersi una grande pittura e una grande<br />
musica" (Tramonto, p. 71).<br />
163
le posizioni di Miller e Spengler possono essere interpretate come due<br />
diverse declinazioni del concetto nietzscheano di "oltreuomo".<br />
Nietzsche è una presenza forte la cui influenza è da entrambi dichiarata,<br />
e, nel caso di Spengler, programmaticamente rivendicata. Il Tramonto<br />
dell'Occidente accentua il carattere di durezza dell'uomo nuovo, la<br />
durezza dell'oltreuomo che sa affrontare la vita guardandola negli<br />
occhi, senza lo schermo rassicurante degli schemi dell'intelletto o della<br />
fede religiosa: l'oltreuomo è l'uomo che supera ogni distinzione<br />
secondaria e giunge alla pura essenza dell'umano. Questo aspetto<br />
atemporale e metafisico è accentuato in Miller, dove l'uomo<br />
dell'avvenire si configura come colui che distrugge il ciclo delle culture<br />
e pone fine alla storia, portando a compimento il millenario percorso<br />
dell'umanità verso la propria purificazione e perfezione. Inoltre,<br />
l'immagine dell'oltreuomo si può applicare anche al piglio con cui<br />
Spengler affronta la storia, prendendo sulle spalle il destino di darle un<br />
senso, e al carattere di iniziazione dei romanzi di Miller, che vengono a<br />
costituire altrettante tappe della purificazione spirituale dell'uomo,<br />
dall'inferno parigino al paradiso greco de Il colosso di Maroussi.<br />
L'affinità tuttavia si ferma qui. Miller e Spengler sono divisi dal senso<br />
del tramonto della civiltà occidentale: per Spengler essa rappresenta un<br />
fenomeno naturale ricorrente nella storia, che si caratterizza per questa<br />
dinamica ciclica cui non si sfugge. Miller è esattamente all'opposto:<br />
l'arte che si fa vita è il simbolo di una rivoluzione che spezza la ciclicità<br />
delle culture e che pone fine alla storia 34. Ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente la catastrofe dell'Occidente si inquadra in una storia che<br />
ha nel proprio futuro la ripetizione di un modulo sempre identico. In<br />
Miller, lo stesso evento diventa l'avvio di una rigenerazione spirituale<br />
che si pone come obiettivo il raggiungimento di una condizione eterna,<br />
metastorica, finale ed immutabile. In Spengler il valore dell'arte rimane<br />
costante, pur nel mutare delle civiltà: in Miller esso è storicamente<br />
subordinato all'instaurazione dell'"Era dello Spirito Umano", e con<br />
34 - "Io non credo che questo circolo di insanità che viene chiamato<br />
storia continuerà per sempre. Penso che vi si aprirà un grande<br />
varco" ("Io do not believe that this repetitious cycle of insanity<br />
which is called history will continue forever. I believe there will be a<br />
great break-through") (Art, pp. 157-8).<br />
164
l'avvento di quest'era che chiude la storia anche l'arte perde il proprio<br />
significato e si stempera nella totalità indistinta della vita.<br />
165
V<br />
UNA LETTURA SPENGLERIANA DI "TROPICO DEL<br />
CANCRO"<br />
V. 1. La fase Bergson-Spengler<br />
Esaminare gli interventi su Spengler e su Il Tramonto dell'Occidente<br />
ci ha condotti a mettere in rilievo diversi elementi comuni, o<br />
quantomeno a delineare con precisione, all'interno delle tematiche di<br />
Miller, i contorni di una dichiarata eredità di pensiero spengleriana. Il<br />
debito da parte di Miller nei confronti della Weltanschauung<br />
spengleriana è indubbio né è stato mai negato. Ma per ora siamo<br />
rimasti alle dichiarazioni programmatiche, per così dire, alle premesse<br />
del prodotto artistico: per entrare in un ambito più strettamente<br />
estetico, occorrerà procedere all'esame dell'opera più propriamente<br />
"artistica" di Miller. Infatti, se il legame tra i due intellettuali può già<br />
dirsi fondato in base ai testi sinora esaminati, esso si rivelerà ancora<br />
più pregnante una volta che se ne saranno mostrati i riscontri "sul<br />
campo"; d'altra parte, tale legame perderebbe il suo significato se non<br />
incidesse sull'estetica e sull'arte stessa di Miller. La critica alla civiltà<br />
occidentale ed ai suoi simboli, la lettura della modernità come<br />
decadenza, con la conseguente denuncia di una perdita di contatto<br />
dalla "Vita": tutto questo non avrebbe il peso che ha se non si<br />
riflettesse sull'opera artistica, informandola di sé e fornendogli una<br />
visione storica e un repertorio di simboli.<br />
La produzione letteraria di Miller copre un arco di più di mezzo<br />
secolo: dai primi fallimentari tentativi alla metà degli anni venti fino ai<br />
libri di ricordi, i Book of Friends scritti pochi anni prima della morte<br />
nel 1980. Come si vede, è un periodo di tempo molto lungo, durante il<br />
quale le posizioni di Miller sono cambiate o hanno subito delle<br />
evoluzioni. Evoluzioni che sono riscontrabili soprattutto<br />
nell'orientamento di pensiero, che subisce attorno al 1939 una svolta<br />
significativa 1. Gli anni trenta per Miller erano stati segnati<br />
1 - Questa è la data che secondo Jay Martin, biografo di Miller, fa da spartiacque tra il<br />
periodo parigino e la "fase orientale" o zen. Vedi J. Martin, Always Merry and Bright:<br />
166
dall'esperienza parigina, dalla fine del tormentato rapporto con la<br />
moglie June (che compare come "Mona" in quasi tutti i suoi romanzi),<br />
ma anche dalla certezza di aver trovato la propria vocazione nella<br />
scrittura: non a caso, gli anni fra il '31 e il '38 rappresentano il suo<br />
periodo più intenso e fecondo, e vedono la nascita dei suoi romanzi<br />
più celebri e riusciti.<br />
Alla fine degli anni trenta, come detto, si verifica una cesura: a<br />
Lawrence, Spengler, Bergson e Nietzsche subentra il pensiero<br />
orientale, il misticismo indiano, la saggezza cinese dei Tao, dei Ching e<br />
soprattutto dello Zen. Miller, che era sempre rimasto affascinato da<br />
figure profetiche e visionarie come Lawrence, Whitman o Nietzsche,<br />
accentua ora l'aspetto mistico della sua scrittura attraverso un<br />
avvicinamento alla cultura dell'Oriente. Così scriverà a Lawrence<br />
Durrell, alcuni anni dopo:<br />
"Non è che io ponga il santo o il saggio un gradino al<br />
di sopra dell'artista. È piuttosto che voglio vedere<br />
affermarsi l'artista della vita'. [...] Ciò si lega al<br />
passaggio, che tu evidenzi, da una fase Bergson-<br />
Spengler a una Cinese-Induista. Penso di aver<br />
passato anche quella, ormai." 2<br />
Ciò che è interessante sono le definizioni delle due fasi; il passaggio da<br />
l'una all'altra qui trova una conferma, ma la conferma maggiore viene<br />
sempre dal riscontro nelle opere, ed è indubbio che dalla fine degli<br />
anni Trenta si registri una evoluzione in Miller, testimoniata da Il<br />
Colosso di Maroussi.<br />
Il Colosso di Maroussi è un diario di impressioni, ricavato dal<br />
viaggio in Grecia compiuto a cavallo dello scoppio della seconda<br />
guerra mondiale, e prima di essere costretto a reimbarcarsi per gli Stati<br />
Uniti, causa l'imminente invasione della Grecia da parte delle forze<br />
dell'Asse. È la scoperta di una dimensione spirituale: dopo aver<br />
mostrato la corruzione della decadenza, dopo aver esplorato il "ventre<br />
the Life of Henry Miller, cit.. Critici e biografi sono tutti pressoché concordi su questa<br />
periodizzazione.<br />
2 - L. Durrell-H.Miller, I fuorilegge della parola, cit., p. 190.<br />
167
della balena" ed essere disceso negli "inferi" 3 del nichilismo<br />
occidentale, Miller trova nella Grecia, nel suo passato classico ma<br />
anche nella sua realtà naturale, selvaggia ed incontaminata, una<br />
dimensione eterna dello spirito. Sin dalle prime pagine si percepisce il<br />
senso di un distacco dal passato, e lo stupore dell'ingresso in una<br />
realtà nuova:<br />
"Mi piegai all'indietro e guardai il cielo. Non avevo<br />
mai visto prima d'ora un cielo così bello. Era<br />
veramente magnifico. Mi sentii completamente<br />
staccato dall'Europa. Ero entrato in un regno nuovo,<br />
come un uomo libero" (Colosso, p. 23)<br />
La Grecia assurge a valore eterno: come l'Europa era diventata, nella<br />
lettura milleriana, il simbolo della creatività dell'Occidente ed il<br />
baluardo dello creatività artistica, così la Grecia, antica e moderna, si<br />
trasfigura a simbolo dello spirito, simbolo di una materia sacralizzata<br />
dalla presenza visibile del potere della Creazione. Essa "resta ancora<br />
sotto la protezione del Creatore", terra dove "l'incanto di Dio è ancora<br />
operante", "sacro recinto" (ibidem, pp. 24-5), testimonianza, con il<br />
proprio passato, di una straordinaria capacità formativa, ed immagine,<br />
con il proprio presente, di quel radicamento alla natura che diventa<br />
l'unica speranza per la redenzione del mondo:<br />
"La Grecia non ha bisogno di archeologi; ma di<br />
rimboschitori, d'arboricoltura. Una Grecia<br />
verdeggiante può dare speranza a un mondo oggi<br />
corroso dalla putredine. [...] la Grecia non è un<br />
piccolo paese: è straordinariamente vasta [...] la<br />
Grecia è infinitamente più vasta degli Stati Uniti. La<br />
Grecia potrebbe assorbire gli Stati Uniti e l'Europa<br />
insieme. La Grecia è piccola come la Cina o l'India."<br />
(ibidem, pp. 66-7)<br />
3 - "Scende all'inferno come Dante e poi ascende la montagna per trovare le porte del<br />
paradiso in Grecia. New York è l'ingresso agli inferi, Parigi l'ingresso al purgatorio, la<br />
Grecia l'ingresso al paradiso." (Erica Jong, Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993,<br />
p. 157).<br />
168
Per Miller è un paradiso in terra, l'espressione tangibile di una<br />
dimensione spirituale che appare senza tempo, un panorama naturale<br />
incontaminato dove corpo e spirito sono in armonia e dove l'uomo<br />
non è più estraneo alla creazione, ma parte integrante di essa. L'uomo<br />
ritrova la propria dimensione all'interno del cosmo accettandone i ritmi<br />
e le leggi:<br />
"La strada per Epidauro è come la via della<br />
creazione. Si desiste dal cercare. Si diventa muti,<br />
immobilizzati dal silenzio dei misteriosi inizi. [...] Il<br />
paesaggio non indietreggia, si stabilisce negli aperti<br />
spazi del cuore; si addensa, s'accalca, vi spossessa.<br />
Non correte più attraverso qualche cosa - chiamatela<br />
Natura, se vi garba - ma partecipate ad una disfatta,<br />
la disfatta delle forze della cupidigia, della malizia,<br />
dell'invidia, dell'egoismo" (ibidem, p. 102)<br />
La Grecia si fa trasfigurazione simbolica della Vita e della sua<br />
capacità di rigenerare e rigenerarsi oltre le costruzioni effimere<br />
dell'umanità. Il viaggio attraverso i luoghi della classicità da Atene ad<br />
Epidauro, da Erakleion a Cnosso, Tebe, Micene, diventa un percorso<br />
a ritroso verso l'origine della civiltà, e verso l'origine della vita. Questo<br />
"ritorno all'utero", come Miller ama definirlo, ha il senso di una presa<br />
di coscienza da parte dell'uomo del proprio ruolo nella creazione: il<br />
suo posto non è tanto "nella natura", quanto tra la natura e il divino,<br />
ponte non simbolico ma concreto tra la materia e quella dimensione<br />
spirituale che le dà un senso, e che dà un senso all'esistenza.<br />
L'intonazione metafisica e l'enfasi sulla dimensione spirituale<br />
sottolineano il cambiamento in atto, cambiamento di cui lo scrittore<br />
americano è pienamente consapevole e che anzi rivendica<br />
insistentemente:<br />
"Questo è il primo giorno della mia vita, dissi a me<br />
stesso, in cui ho incluso ognuno e ogni cosa sulla<br />
terra in un solo pensiero. Benedico il mondo, ne<br />
benedico ogni centimetro, ogni atomo vivente e tutto<br />
è vivo, respirante come me e pienamente conscio"<br />
(ibidem, p. 197)<br />
169
Con il viaggio in Grecia si apre un nuovo capitolo della vita di Miller:<br />
è da qui che comincia il suo interesse per la filosofia Zen. Il pensiero<br />
dell'"accettazione", l'idea che l'uomo debba lasciarsi fluire nella<br />
corrente della Vita, accettando la legge del divenire, tutto ciò trovava<br />
corrispondenza nel pensiero dei grandi saggi orientali, e<br />
nell'intonazione mistica della loro filosofia; l'aspetto profetico, già<br />
presente in Miller, si accentua. La prospettiva spengleriana è data<br />
come assorbita e, per così dire, consumata 4, mentre è la saggezza<br />
orientale ora a fornire gli strumenti concettuali per la comprensione del<br />
presente. L'elemento sapienziale si fa più forte, dominante 5, tant'è che<br />
sarà proprio questa prospettiva a caratterizzare la figura di Miller<br />
nell'immediato dopoguerra: la sua popolarità presso gli scrittori<br />
americani della "beat-generation" sarà legata ad un'immagine da "guru",<br />
da santone, pensatore mistico ed apostolo del sesso come espressione<br />
di liberazione spirituale 6.<br />
Abbiamo situato più o meno attorno al 1939 una cesura<br />
fondamentale: da una parte il Miller della trilogia parigina, dall'altra il<br />
Miller "orientale" di Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch e della<br />
4 - Il Tramonto dell'Occidente cede il passo alle nuove letture, ma non sparisce del<br />
tutto. Ne Il Colosso di Maroussi la prospettiva sulla Grecia risente dell'interpretazione<br />
spengleriana: "C.B. [l'intervistatore Christian de Bartillat, N.d.C.] - Spengler diceva che<br />
in Grecia tutto è corpo, che l'architettura è in realtà scultura, e che il cosmo stesso è un<br />
grande corpo di cui l'uomo è il centro assoluto. H.M. - In India, mi sembra che non si<br />
sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito: sono sempre stati legati tra loro, e<br />
come in Grecia fanno tutt'uno." (Conversazioni, p. 81). Si vedano anche alcuni passi de<br />
Il Colosso di Maroussi: "Siamo diventati dei nomadi spirituali" (Colosso, p. 155), "La<br />
più antica costruzione di Erakleion sopravviverà alla più moderna costruzione<br />
americana. Gli organismi muoiono, la cellula continua a vivere. La vita è nelle radici"<br />
(ibidem, p. 179).<br />
5 - "D' un tratto le lunghe frasi tortuose di Tropico del Cancro e Tropico del<br />
Capricorno, piene di oltraggiose e surreali contraddizioni, sono diventate brevi, chiare,<br />
rilucenti in Il Colosso di Maroussi. Lo scrittore si è sublimato in veggente" (Erica Jong,<br />
Il diavolo fra noi, cit., p. 156). Poco più avanti si legge: "Fu in Grecia che trovò la sua<br />
vera vocazione di autore/saggio" (ibidem, p. 157).<br />
6 - Questa è anche l'immagine che emerge da buona parte della critica milleriana.<br />
L'esempio più eclatante è quello di K. Shapiro, che parla di Miller come di uno<br />
"scrittore sapienziale", un "santo", un "Gandhi col pene", "scrittore di Saggezza,<br />
intendendo per letteratura di Saggezza un tipo di letteratura che sta tra la letteratura e le<br />
Scritture" (K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente' in Riva Valerio (a cura di),<br />
H.Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 41-61).<br />
170
trilogia americana. Questa distinzione ci consente di non indugiare sulle<br />
opere del secondo periodo: come abbiamo visto, esso procede sotto<br />
l'influenza di sistemi di pensiero lontani da Il Tramonto dell'Occidente,<br />
e, se è vero che proprio in Plexus (1953) troviamo il contributo più<br />
corposo su Spengler, non dobbiamo dimenticare che esso avviene<br />
retrospettivamente, collocandosi nel quadro di una rievocazione degli<br />
anni della Grande Depressione negli Stati Uniti. D'altra parte, quel<br />
fondo di temi spengleriani che attraversa tutta l'opera di Miller si<br />
trovano, con bel altro peso e come assi portanti, nella produzione<br />
parigina e specificatamente nel primo e più celebre romanzo.<br />
La lettura spengleriana si concentrerà quindi su Tropico del Cancro:<br />
è solo lì che gli sparsi elementi spengleriani trovano la ricomposizione<br />
in un tutto organico. Ne emerge una visione della contemporaneità,<br />
un'immagine della storia e del divenire, una teoria della vita e dell'arte<br />
che mostrano la loro vicinanza alle posizioni spengleriane, e dove i<br />
simboli della decadenza, come quelli del riscatto, procedono sulla<br />
falsariga della filosofia de Il Tramonto dell'Occidente.<br />
Il periodo che va dalla seconda metà degli anni venti fino al 1934,<br />
anno della pubblicazione di Tropico del Cancro, è il più intenso per la<br />
formazione di Miller: accanto a Joyce, Proust, Nietzsche, Spengler vi<br />
occupa un posto di primo piano. Il peso della sua presenza lo si<br />
avverte scorrendo l'epistolario Miller-Nin. Anais Nin, scrittrice e per<br />
breve tempo amante di Miller, fu soprattutto un'amica che lo<br />
incoraggiò come scrittore e lo sostenne economicamente,<br />
finanziandogli la pubblicazione del primo romanzo; inoltre, si dimostrò<br />
un'interlocutrice acuta e sensibile.<br />
Scorrendo l'indice analitico alla fine delle Lettere ad Anais Nin e di<br />
Storia di una passione. Lettere 1932-1953 7, ci si rende conto che<br />
Spengler è l'intellettuale più citato dopo D.H. Lawrence. Se<br />
controlliamo le citazioni, vedremo che il suo nome compare<br />
prevalentemente nel periodo tra il febbraio del '32 (Miller e la Nin si<br />
conoscono alla fine del '31) e la fine del '33: esattamente gli anni della<br />
stesura definitiva di Tropico del Cancro, di Tropico del Capricorno e<br />
dell'inizio di Primavera Nera. È Miller che fa conoscere il filosofo<br />
tedesco alla Nin:<br />
7 - Lettere ad Anais Nin copre un arco di tempo dal 1931 al 1946. Le due raccolte<br />
presentano, tranne in rari casi, lettere diverse.<br />
171
"Sto leggendo Spengler e ne sono entusiasta. Non<br />
mi sarei mai aspettata di provare un tale senso di<br />
meraviglia, vastità e ricchezza. Mi piacerebbe poterne<br />
parlare con te. Non voglio leggere altro." (Nin-<br />
Miller, p. 95; lettera del 22 luglio 1932)<br />
Il nome di Spengler compare molto spesso nelle lettere tra i due: a<br />
volte viene citato solo il nome, a volte una breve citazione, altre volte<br />
ancora compaiono giudizi e scambi di opinioni su Il Tramonto<br />
dell'Occidente 8. Ci sono due passi particolarmente significativi,<br />
innanzitutto perché asseriscono esplicitamente il legame fra Tropico<br />
del Cancro e Il Tramonto dell'Occidente 9, e poi perché mettono in<br />
rilievo i due aspetti del rapporto tra Miller e Spengler, la condanna<br />
della decadenza occidentale e l'adesione al culto della Vita. La prima<br />
citazione è del 2 Agosto 1932, ed è una lettera di Anais Nin:<br />
"Le ultime pagine di Tropico del Cancro sono<br />
magnifiche. Non potrebbe esserci finale migliore. [...]<br />
Spengler dice che tutto ciò cui appiccichiamo parole,<br />
in un certo senso lo conquistiamo, e questo, dal<br />
momento che le parole non sono appiccicate a<br />
niente, siccome è puro delirio, rivela quello che vuoi<br />
dire: sconfitta. Indubbiamente, se il mondo sta<br />
andando a pezzi (e non lo credo) tu sei<br />
l'arcidistruttore. Queste pagine lo provano senza<br />
ombra di dubbio. Lo testimonia tutto ciò che scrivi.<br />
8 - In una lettera del febbraio 1932 Miller ad esempio scrive, riferendosi alla sua<br />
esperienza di insegnante al Liceo Carnot di Digione: "Ho contagiato i surveillants con il<br />
virus di Spengler" (Nin, p. 64). Il nome di Spengler ricompare nell'ottobre 1932:<br />
"Devo, ad esempio, dare un'occhiata [...] al primo volume di Spengler (per il<br />
Rinascimento)" (ibidem, p. 141). In una lettera del marzo 1933 si legge che "quella di<br />
Spengler è stata la descrizione del corso sismografico dell'uomo che vive nelle Civiltà."<br />
(ibidem, p. 159). E le citazioni proseguono con questa cadenza fino alla fine del 1933;<br />
da qui diventano sempre più rare fino a sparire.<br />
9 - J. Martin, nella sua biografia, riferendosi alla genesi del romanzo scrive: "Furono<br />
inseriti i dipinti di George Grosz's, e le idee di Grosz e Spengler riguardo all'uomo della<br />
cosmopoli'" ("George Grosz's paintings, as well as Grosz's and Spengler's ideas about<br />
'the late-city man', were inserted", J. Martin, Always Merry and Bright, cit., p. 251).<br />
Vedi anche gli appunti di Miller con il piano di lavoro degli anni 1932-'33 (Writing, p.<br />
161).<br />
172
Sono le profezie di Spengler che tu materializzi, a<br />
ogni tuo romanzo." (ibidem, p. 113)<br />
Il rapporto che qui si intreccia è basato sull'interpretazione della<br />
modernità come decadenza. È l'aspetto "negativo", l'indagine sulla<br />
polarità della morte. In questo senso Tropico del Cancro proverebbe,<br />
con l'efficacia delle sue immagini, la tragica attualità delle previsioni di<br />
Spengler. Ma, all'estremo della morte, rimane per entrambi una forza<br />
che salva, la Vita. Così scrive Miller il 7 marzo 1933:<br />
"'La paura e il terrore del mondo', dice Spengler, le<br />
tragiche sorgenti della vita, secondo il punto di vista<br />
nietzscheano. In ogni caso, la vita ridotta ai suoi<br />
terrori fondamentali, [...] alla sua assurdità, alla sua<br />
sublimità. Ma comunque la Vita... anche se la via<br />
passa attraverso la morte. E pertanto [...] il modo<br />
giusto di guardare attraverso il telescopio è dalla<br />
Vita. La morte è un punto di partenza, un incrocio dal<br />
quale partono infinite possibilità. Ma tutte le possibilità<br />
devono essere vissute nella Vita." (Nin, pp. 164-5)<br />
Qui egli mette bene a fuoco l'altro aspetto della filosofia spengleriana,<br />
e, di riflesso, della propria lettura della modernità: al di là della denuncia<br />
del tramonto c'è anche la fiducia nel divenire della storia, o, in termini<br />
milleriani, nel "flusso della Vita". Dall'indagine sugli aspetti distruttivi<br />
della morte si passa senza soluzione di continuità alla prospettiva della<br />
vita. Morte e vita si configurano come i due poli della riflessione; tutta<br />
l'analisi di Tropico del Cancro si svolgerà sulla falsariga di questa<br />
impostazione dialettica.<br />
V. 2. Miller e "Tropico del Cancro" simboli del proprio tempo<br />
La prima stesura di Tropico del Cancro è del 1931, l'edizione<br />
definitiva è di tre anni posteriore. Il romanzo venne pubblicato da una<br />
piccola casa editrice parigina di lingua inglese, la Obelisk Press di Jack<br />
Kahane. L'editore aveva preso tutte le precauzioni per evitare problemi<br />
con la censura francese: tiratura limitata, prezzo proibitivo e divieto di<br />
esporre il libro in vetrina. Ciononostante, il libro fece scandalo ed<br />
173
ottenne anche un clamoroso successo, tanto che ne fu stampata subito<br />
una seconda edizione. La diffusione in Europa e poi nel mondo fu<br />
immediata, con l'eccezione dei paesi di lingua inglese, dove Tropico<br />
del Cancro e buona parte della produzione successiva di Miller furono<br />
banditi come "osceni", in ciò seguendo una tradizione illustre di<br />
censurati, da L'amante di Lady Chatterley a Ulisse di Joyce. Il<br />
romanzo tuttavia circolò, clandestinamente, anche negli Stati Uniti.<br />
Il "Cancro" del titolo è simbolico, ed in più sensi. Cancro è<br />
innanzitutto una malattia, un tumore maligno che divora la civiltà<br />
occidentale dal suo interno. Ma non solo:<br />
"Il titolo [...] è un titolo simbolico. Tropico del<br />
Cancro è il nome che nei libri scolastici si dà alla zona<br />
temperata posta al di sopra dell'equatore. Al di sotto<br />
dell'Equatore si trova il Tropico del Capricorno che è<br />
la zona temperata del Sud. Il libro, naturalmente, non<br />
ha nulla a vedere neanche con le condizioni<br />
climatiche, a meno che non sia una specie di clima<br />
mentale. Cancro è un nome che mi ha sempre<br />
incuriosito [...]. Etimologicamente, viene da chancre,<br />
che significa gambero. [...] Il gambero è il solo essere<br />
vivente che può camminare all'indietro, in avanti e di<br />
lato con eguale facilità. [...] Tra parentesi, il libro è<br />
stato pubblicato a Parigi è troppo osceno per<br />
l'Inghilterra o per l'America. C'è troppo cancro, non<br />
so se mi capite..." (Max, p. 1070)<br />
Il "Tropico del Cancro", per mantenere la metafora medica, è al<br />
contempo prognosi e diagnosi. La coordinata geografica richiama<br />
l'attenzione su un punto dove i sintomi della metastasi dell'Occidente<br />
sono più evidenti, mostra il punto finale di un percorso storico,<br />
l'impasse di una civiltà giunta al punto estremo di realizzazione lungo<br />
un cammino sbagliato. Allo stesso tempo, il cancro è prognosi, figura<br />
simbolica che mostra il destino dell'Occidente e il tragitto che resta da<br />
percorrere affinché questo destino si compia pienamente.<br />
Il Cancro implica un giudizio sul mondo contemporaneo.<br />
L'immagine è indubitabilmente negativa e nel corso del romanzo<br />
assume tratti addirittura apocalittici:<br />
174
"Boris mi ha fornito poco fa un compendio di come la<br />
vede. È un profeta del tempo. Farà brutto ancora,<br />
dice. Ci saranno ancora calamità, ancora morte,<br />
disperazione. Non c'è il minimo indizio di<br />
cambiamento. Il cancro del tempo ci divora. I nostri<br />
eroi si sono uccisi, o s'uccidono. Protagonista,<br />
dunque, non è il Tempo, ma l'Atemporalità.<br />
Dobbiamo metterci al passo, passo serrato verso la<br />
prigione della morte. Non c'è scampo. Non cambierà<br />
stagione." (Cancro, p. 5)<br />
Questa è l'atmosfera che aleggia nel Tropico del Cancro: la sensazione<br />
di una fine imminente, la consapevolezza di un mondo destinato a<br />
spegnersi in un tramonto sanguinoso e violento. Certamente, nel<br />
romanzo si riversano molti rancori e molte frustrazioni personali di<br />
Miller, ma questo non deve portare ad ingabbiare l'opera nei parametri<br />
di uno sfogo soggettivo. Tropico del Cancro ha un valore soprattutto<br />
come opera simbolo del proprio tempo. C'è un'identificazione che è<br />
triplice e che procede secondo un movimento circolare che collega<br />
ogni termine agli altri due: il tramonto dell'occidente è il Cancro, che è<br />
Miller 10, che è a sua volta simbolo, come uomo e come artista, della<br />
propria epoca. Un simbolo che mostra l'azione delle leggi eterne della<br />
storia:<br />
"Non riesco a dimenticare che sto facendo storia, una<br />
storia che, come un sifiloma, divorerà l'altra storia<br />
insignificante. Io non mi considero un libro, un<br />
documento, una testimonianza, ma una storia del<br />
nostro tempo - una storia di ogni tempo."<br />
(Primavera, p. 669)<br />
Proprio prendendo per buone le indicazioni di Spengler riguardo al<br />
concetto di "simbolo" applicato alla storia possiamo procedere oltre le<br />
affinità più evidenti tra Miller e il filosofo tedesco, e ricercare su un<br />
altro piano, più profondo, le analogie. Applichiamo una metodologia<br />
spengleriana, utilizziamo l'apparato concettuale de Il Tramonto<br />
10 - "Sono Cancro, il granchio, che si muove di lato e in avanti e all'indietro, a volontà.<br />
Agisco in tropici strani e tratto in esplosivi potenti, liquidi per imbalsamare, diaspro,<br />
mirra, smeraldi, moccio sottile e ditini di porcospino." (Primavera, p. 674).<br />
175
dell'Occidente per leggere l'opera di Miller, i suoi simboli e la sua<br />
stessa figura di artista; in sostanza, cerchiamo di scorgere il volto di<br />
un'epoca attraverso il senso delle sue forme. I grandi movimenti della<br />
vita del macrocosmo acquisteranno così una visibilità concreta e<br />
sintetica nella dimensione estetica del simbolo.<br />
Nello scrivere Tropico del Cancro, Miller partiva da un progetto<br />
titanico: mettere in un libro tutto, tutto il proprio mondo, tutto sé<br />
stesso, tutto ciò che sapeva. L'impresa era assurda, e se ne accorse<br />
subito:<br />
"Il manoscritto era enorme, e l'ho notevolmente<br />
ridotto con l'aiuto di Perlès. Tutto era superfluo, ci<br />
avevo voluto metter dentro tutto. Lo dicevo, persino:<br />
'Tutto quello che so, voglio metterlo in questo libro'."<br />
(Conversazioni, p. 56)<br />
È però un'intenzione che ci illumina sul significato del romanzo: c'è alla<br />
base la volontà di trasferire la vita stessa dalla realtà alla pagina scritta,<br />
e l'idea che sia la realtà stessa, coerentemente con un'estetica che vede<br />
nell'artista uno strumento passivo soggetto a forze impersonali che lo<br />
sovrastano e lo dominano 11. È anche vero che questo carattere<br />
"passivo" dell'arte lega inestricabilmente Miller e Spengler attraverso il<br />
concetto di "simbolo". Proviamo a utilizzare le categorie de Il<br />
Tramonto dell'Occidente; nella prefazione all'edizione definitiva,<br />
Spengler scrive:<br />
"Un pensatore è un uomo chiamato a esprimere<br />
simbolicamente il suo tempo mediante il suo potere di<br />
visione e di comprensione. A lui non è dato di<br />
scegliere. [...] Solo questo elemento simbolico,<br />
ricettacolo ed espressione di umana storia, ha<br />
carattere di necessità." (Tramonto, pp. 3-4)<br />
Il simbolo è espressione del destino, e il destino è ciò che ha necessità,<br />
l'essenziale. L'arte diventa necessaria in quanto Spengler legge<br />
11 - Vedi Capitolo IV.4.1, pp. 146-152.<br />
176
nell'artista il simbolo prescelto per esprimere una storia, che sarà<br />
necessariamente la storia sua e dei suoi tempi. I concetti spengleriani di<br />
"simbolo" e "destino" ci consentono una lettura di Miller come<br />
espressione dei tempi, lettura la cui plausibilità è rafforzata da alcune<br />
sue affermazioni:<br />
"Per strada io mi espongo agli elementi distruttori<br />
e disintegratori che mi circondano. Lascio che ogni<br />
cosa mi sconquassi. Mi chino a spiare i processi<br />
segreti, a obbedire piuttosto che comandare"<br />
(Primavera, p. 673)<br />
Spengler usa parole molto simili quando scrive:<br />
"Un pensiero avente storica necessità, un pensiero<br />
che, dunque, non cade semplicemente in un'epoca,<br />
ma che fa un'epoca, è solo in un senso assai limitato<br />
proprietà di colui cui capita di esprimerlo. Esso<br />
appartiene piuttosto a tutta l'epoca; esso agisce<br />
inconsciamente nello spirito di tutti" (Tramonto, p. 7)<br />
È a questo punto che ci scontriamo con una singolare ambiguità: fare<br />
di Miller un simbolo del proprio tempo significa anche fargli carico di<br />
un giudizio di valore che in Spengler è inequivocabilmente negativo.<br />
L'arte della modernità, come arte della civilizzazione, è radicalmente<br />
condannata 12, le sue forme denunciate come insignificanti, inespressive<br />
e non necessarie, e l'ambiguità si fa ancora più problematica quando ci<br />
rendiamo conto che questa condanna è in larga parte condivisa da<br />
Miller 13. Inoltre, le ragioni della condanna spengleriana prefigurano<br />
quelle che saranno poi impostazioni critiche molto diffuse di fronte<br />
all'opera di Miller, e, fatto significativo, saranno le stesse ragioni che<br />
spingeranno Julius Evola, traduttore de Il Tramonto dell'occidente e<br />
studioso di Spengler, ad occuparsi del "fenomeno" Miller 14.<br />
12 - Vedi Capitolo IV.3., pp. 140-145.<br />
13 - Si pensi alla dicotomia arte/letteratura e alla condanna dell'arte intellettualizzata<br />
(Capitolo IV.4.2., pp. 153-157).<br />
14 - Evola sottolinea positivamente la critica alla civiltà moderna e americana in<br />
particolare, la denuncia del declino dell'Occidente, mentre si dichiara infastidito dal tono<br />
177
Stile informe e barocco, disarmonico e frammentario, linguaggio<br />
crudo e osceno a testimonianza di una predilizione per tutto quanto è<br />
sordido e degradante: queste sono le definizioni, ora in positivo ora in<br />
negativo, che la critica ha di volta in volta attribuito all'opera di Miller.<br />
Anche la sua figura sociale di artista trova riscontro nella descrizione<br />
di Spengler:<br />
"Per le possibilità che un'epoca concede all'arte è<br />
significativo considerare che genere di persone sente<br />
la "vocazione" dell'arte. In passato era l'élite, oggi gli<br />
scarti" (Eauton, p. 68)<br />
"Ci sono poeti che in una mansarda con la stufa<br />
fredda e il soffitto che gocciola potrebbero sentirsi<br />
dei re [...]. Non intendo contestare che tutto ciò si<br />
possa accordare con un grande talento, ma contesto<br />
l'idea che questa 'interiorità' (secondo l'opinione<br />
corrente) caratterizzi i grandi uomini.Goethe ad<br />
esempio si sarebbe inaridito" (ibidem, p. 91)<br />
Miller sembra rientrare pienamente in questo ritratto: nato e vissuto a<br />
New York, emigra nel 1929 a Parigi, dove vive di stenti riuscendo a<br />
sopravvivere solo grazie all'aiuto economico di alcuni amici. La<br />
descrizione è calzante: intellettuale metropolitano, "nomade<br />
intellettuale" sradicato dalla propria terra ed in cerca di un'identità,<br />
vagabondo che occupa i gradini più bassi della scala sociale. Inoltre,<br />
lo stile violento ed osceno di Miller offriva il fianco all'accusa di<br />
ricercare scandalo e clamore, inseguendo una notorietà legata alla<br />
moda del momento. Egli è realmente un simbolo del proprio tempo,<br />
simbolo di un'epoca di crisi e di disagio, testimone di una civiltà allo<br />
sfacelo 15 che egli esprime in tutta la sua contraddittoria complessità: è<br />
pessimista sul destino dell'occidente ma ottimista sul futuro dell'uomo,<br />
critico implacabile dell'America come civiltà decadente ed esaltatore<br />
discordante e disarmonico della narrazione, dal linguaggio triviale, dalla superficialità dei<br />
riferimenti culturali, dalla ingenuità delle soluzioni utopistiche, per poi concludere: "Nel<br />
complesso [...] nulla acquista una forma precisa". (Julius Evola, 'Il fenomeno Henry<br />
Miller', in J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Roma, Edizioni Mediterranee,<br />
1974, pp. 173-177).<br />
15 - Vedi Mario Praz, 'Civiltà in sfacelo' in Valerio Riva (a cura di), Henry Miller, il<br />
sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 108-111.<br />
178
ammirato della millenaria cultura europea, artista dalla scrittura cruda e<br />
fortemente espressiva ed al contempo visionario e metafisico, carnale<br />
ma anche fortemente intellettuale (pochi scrittori hanno citato tanto altri<br />
artisti quanto Miller), un uomo che è perfettamente consapevole del<br />
precipitare della situazione in Europa ma che dall'alto delle profezie sul<br />
tramonto della civiltà rifiuta ogni intervento attivo, nella convinzione<br />
che sia inutile cercare di accelerare o frenare una fine ormai<br />
imminente 16. Artista che esprime tutte le lacerazioni del proprio tempo,<br />
dal disagio sociale dell'artista al contrasto tra i successi della tecnica e<br />
la disperazione della condizione umana, dall'odio per la macchina,<br />
forma simbolo del mondo tecnologico, alla tensione verso una perduta<br />
purezza che si risolve nell'abbandono della volontà allo scorrere della<br />
Vita, con tutte le disillusioni e le ingenuità che questo comporta.<br />
Molti di questi elementi erano stati indicati da Spengler, che d'altra<br />
parte non aveva negato il valore simbolico e rappresentativo di questa<br />
figura di artista: nella sua negatività essa costituisce l'immagine più<br />
efficace del tramonto dell'occidente. Tuttavia, non c'è solo un aspetto<br />
passivo e necessitante in Miller: la simbolicità, che finora abbiamo<br />
visto applicata alla sua immagine di artista, va applicata anche alla sua<br />
opera, e poi alle forme che la costruiscono. Tropico del Cancro ha<br />
questa simbolicità, ma non in senso negativo. Occorre svuotare il<br />
concetto di simbolo dalla negatività che assume nel pensiero<br />
spengleriano quando viene applicato all'interpretazione dell'arte<br />
contemporanea. Il filosofo tedesco non riesce a scorgere che, dietro<br />
l'apparente caos delle forme espressive dell'avanguardia, si cela in<br />
realtà una grande elaborazione simbolica, e che quello che può apparire<br />
caos testimonia certo della frammentarietà del reale, ma nella forma<br />
mediata dell'espressione estetica 17.<br />
Se ritorciamo su Spengler i suoi stessi principi, vediamo come anche<br />
la sua figura presenti una certa ambiguità. Anche Spengler ha tutti i<br />
caratteri per essere un simbolo del proprio tempo, con quella duplicità<br />
di aspetti passivi e attivi che abbiamo riscontrato in Miller. Costruisce<br />
16 - Questo diceva ad Orwell, che si accingeva a partire per la guerra civile spagnola.<br />
Vedi George Orwell, 'Il ventre della balena', prefazione a Cancro, pp. V-LI. Anche in<br />
Valerio Riva (a cura di), H. Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp.<br />
62-97. Vedi più avanti Capitolo V.6.2., pp. 199-205.<br />
17 - Vedi in merito anche il Capitolo IV.3., pp. 140-145.<br />
179
una serie di forme simboliche con le quali spiega la modernità, e nella<br />
quale anch'egli rientra di diritto, simbolo dell'epoca con tutti i pregi e<br />
con tutti quei limiti e difetti che proprio la sua opera ha contribuito ad<br />
illuminare 18. D'altra parte Spengler non ha mai nascosto questo<br />
carattere relativo e simbolico de Il Tramonto dell'Occidente 19,<br />
sorvolando, però, sul portato negativo del concetto di simbolo<br />
quando applicato alle forme della civilizzazione.<br />
Per Spengler l'arte moderna non ha più portata simbolica ed è<br />
l'immagine della morte di un'anima: ma, se Il Tramonto dell'occidente<br />
pone l'arte su un terreno dove non si intravede la possibilità di un<br />
futuro, Tropico del Cancro rappresenta una risposta su questo stesso<br />
terreno, quasi a significare che anche nel deserto di una metropoli<br />
possono crescere i simboli della cultura. Sembra quasi che Miller<br />
accetti integralmente le regole del gioco stabilite da Spengler, per<br />
dimostrare che nonostante tutto l'artista riesce ancora a ritagliarsi un<br />
spazio proprio ed espressivo. Ed è così che Tropico del Cancro<br />
assume quasi il sapore di una scommessa vinta.<br />
V. 3. "Tropico del Cancro" e la crisi della civiltà<br />
La genesi di Tropico del Cancro risale ai primissimi anni trenta, la<br />
pubblicazione è del settembre 1934. Possiamo seguirne la gestazione<br />
passo dopo passo grazie alla testimonianza di "Boris", alias Michael<br />
Fraenkel, libraio e scrittore americano, grande amico di Miller che<br />
aiuterà economicamente ospitandolo per alcuni mesi nel suo<br />
appartamento a Ville Seurat.<br />
18 - Theodor W. Adorno mette bene in rilievo questo aspetto: "A voler applicare allo<br />
stesso Spengler il linguaggio delle forme della civilizzazione da lui denunziata e nei modi<br />
a lui propri, non si potrebbe che paragonare 'Il tramonto dell'occidente` ad un gran<br />
magazzino dove sono offerti in vendita i frutti secchi delle letture che il gerente<br />
intellettuale ha arraffato a basso prezzo nella massa fallimentare della cultura. " T. W.<br />
Adorno, 'Spengler dopo il tramonto', in Prismi, Torino, Einaudi, 1972, p. 52.<br />
19 - "la mia stessa filosofia non esprime e non riflette che l'anima occidentale, [...] e, a<br />
dire il vero, essa la esprime solo nel suo attuale stadio di civilizzazione. Così resta<br />
fissato il suo contenuto quale visione del mondo, la sua portata pratica e l'ambito della<br />
sua validità." (Tramonto, p. 81).<br />
180
Siamo nel 1930-'31: gli Stati Uniti subiscono i postumi della grave<br />
crisi economica del '29, l'Italia è da un decennio sotto il regime<br />
fascista, la Germania assiste all'ascesa di Hitler ed al crollo della<br />
repubblica di Weimar, mentre in Spagna nasce quella Repubblica che<br />
di lì a poco sarebbe stata teatro di una sanguinosa guerra civile,<br />
nell'indifferenza delle democrazie occidentali. Si andava sgretolando<br />
l'ordine europeo sancito a Versailles alla fine della prima guerra<br />
mondiale:<br />
"Dovunque, incertezza, timore, confusione. La<br />
incomprensione totale. Un'altra crisi, diceva la<br />
gente.<br />
E le crisi si avvicendavano, crisi d'ogni genere,<br />
politiche, economiche, sociali [...] Era un banco di<br />
nebbia, una foschia, una condizione atmosferica: l'aria<br />
era pesante. [...]<br />
Nessuno sapeva quel che c'era dietro questa crisi,<br />
quel che c'era sotto questa muffa, sotto questa<br />
ruggine: si ignorava il marciume sotterraneo, che<br />
seguitava ad aprirsi la sua strada" 20<br />
C'era in molti intellettuali del tempo la sensazione diffusa che si fosse<br />
alla fine di un'epoca. Scrive ancora Fraenkel:<br />
"Eravamo alla fine di un'era, di una civiltà; un modo di<br />
vivere, un passato si andavano esaurendo: eravamo<br />
iscritti in un processo ciclico, organico. Ora,<br />
qualunque processo si esaurisce, si conclude, finisce<br />
si risolve. Si trattava semplicemente di fronteggiare<br />
e di accettare la Morte, con energia e risolutezza, di<br />
assumerla, per così dire, in sé stessi [...] e di<br />
sorpassarla." 21<br />
La diagnosi combacia con quella di Spengler fin nei dettagli: la<br />
consapevolezza della crisi, una ciclicità organica che spiega il<br />
tramonto, e la fiducia nella possibilità di superare questa impasse<br />
vivendo sino in fondo l'esperienza di morte, o, nella terminologia<br />
20 - Michael Fraenkel, 'Genesi del Tropico del Cancro', in Valerio Riva (a cura di),<br />
Miller, il sesso, la censura e Tropico del Cancro, cit., pp. 112-113.<br />
21 - ibidem, p. 115.<br />
181
spengleriana, accettando il proprio destino. Questa lettura della<br />
modernità aveva fatto la fortuna di Spengler, ma ne aveva anche<br />
decretato il successivo, rapido oblio (in quanto pensatore dilettante e<br />
reazionario); tuttavia, attorno agli anni venti tutti leggevano Il Tramonto<br />
dell'Occidente 22, e Spengler era diventato il filosofo del momento.<br />
Il tema della decadenza permeava tutta la cultura occidentale fra le due<br />
guerre. Basta passare in rassegna qualche titolo per rendersene conto:<br />
Il disagio della civiltà di Freud è del 1929, La crisi della civiltà di<br />
Huizinga (che ha come riferimento polemico proprio Spengler) è del<br />
1935, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale<br />
di Husserl del 1936, La situazione spirituale del nostro tempo di<br />
Jaspers del 1931. Quanto alla letteratura, si possono ricordare opere<br />
come La montagna incantata di Mann (1924), L'uomo senza qualità di<br />
Musil (1930-33), Terra desolata di Eliot (1922) oppure i Cantos di<br />
Ezra Pound (pubblicati a partire dal 1925). La crisi dell'occidente<br />
portava con sé tutta una serie di approfondimenti sulla problematicità<br />
del mondo moderno e sulle sue prospettive: ne è un esempio la grande<br />
riflessione sulla tecnica e sul rapporto tra l'uomo e la moderna realtà<br />
tecnologica, riflessione che vede in quegli anni i contributi di<br />
Heidegger, Husserl, Junger, Spengler. Questo per dire come la<br />
questione sollevata da quest'ultimo avesse colto nel segno.<br />
In questa storia una parte importante è quella di Tropico del Cancro,<br />
in cui Michael Fraenkel vede uno specchio dei tempi:<br />
"In principio era Henry Miller e in principio era il<br />
caos...[...] Essendo la sua vita caos, e caos il mondo,<br />
rispecchierà il caos della sua vita e quello del mondo.<br />
Era preparato per questo compito. Era maturo per<br />
'Tropico del Cancro'." 23<br />
22 - In un articolo, risalente al tempo della pubblicazione de Il Tramonto dell'Occidente,<br />
si legge: "D'improvviso, tutti lo leggevano: i professori a lezione facevano mostra di<br />
modernità citandolo, le riviste pubblicavano lunghi articoli elogiativi, mai un'opera<br />
filosofica di quelle dimensioni aveva goduto di un simile successo presso tutte le fasce di<br />
lettori." citato in Giovanni Gurisatti, 'Fisionomia di un ripudiato', postfazione a Eauton,<br />
p. 114.<br />
23 - M. Fraenkel, 'Genesi di Tropico del Cancro', cit., pp. 122-3.<br />
182
Se ci soffermiamo ad osservare il tono complessivo del romanzo, ci<br />
accorgiamo che l'atteggiamento non è quello di chi si accinga ad<br />
esaminare il problema isolandone minuziosamente gli elementi positivi<br />
da quelli negativi; è piuttosto un rifiuto radicale e violento, che non fa<br />
distinzioni né vuole farle, che non tollera sottigliezze e sordine: "Ora<br />
avremo un recipiente in cui versare il liquido vitale, una bomba che, a<br />
gettarla, sconvolgerà il mondo." (Cancro, p. 31). Nella metafora<br />
anarchica del libro come esplosivo scorgiamo l'intento di mettere una<br />
pietra sul passato: la storia dell'occidente è la storia di un errore di<br />
percorso, una deviazione dal senso autentico dell'esistenza.<br />
La negazione dell'occidente coinvolge quindi non solo le forme<br />
estreme della sua decadenza, ma anche e soprattutto i suoi<br />
principi fondanti. Ogni valore viene rifiutato:<br />
"Questo non è un libro. [...] No, questo è un insulto<br />
prolungato, uno scaracchio in faccia all'Arte, un<br />
calcio alla Divinità, all'Uomo, al Destino, al Tempo,<br />
all'Amore, alla Bellezza... a quel che vi pare."<br />
(ibidem, p. 6)<br />
Il mondo è un cancro che divora sé stesso. In Miller non ci sono<br />
sfumature: tutta la storia dell'Occidente è un percorso sbagliato. Ecco<br />
perché ora ci si trova di fronte ad un impasse, ecco perché sgomenta<br />
la sensazione di trovarsi di fronte ad un muro che chiude ogni<br />
prospettiva per l'avvenire. È qui che nasce il "Cancro", questa figura<br />
simbolica che racchiude in sé il senso della disgregazione e<br />
l'indicazione che ogni via è aperta, che indica il destino e mette l'uomo<br />
di fronte alla scelta se andare avanti, indietro o di lato. È il momento<br />
della decisione e della responsabilità, e nella dissoluzione si apre la<br />
speranza, la prospettiva di un superamento:<br />
"Non io, è il mondo che muore, che depone la pelle<br />
temporale. Ma io ancora vivo, ancora ti scalcio in<br />
grembo, sono ancora una realtà di cui si possa<br />
scrivere" (ibidem, pp. 6-7)<br />
Il futuro dell'uomo sta in un cambiamento totale, e nella costruzione di<br />
un mondo radicalmente nuovo, ricostruito dalle fondamenta. Ma<br />
questo comporta una preliminare distruzione del vecchio mondo, e<br />
183
sulla necessità di un annullamento preventivo Miller non ha dubbi; ecco<br />
perché con Tropico del Cancro non vuole scrivere della "letteratura",<br />
ma "il Libro", non un prodotto da museo, ma un testo sacro:<br />
"Sarà una nuova Bibbia, L'ultimo libro. Tutti quelli<br />
che han qualcosa da dire la diranno, là dentro,<br />
anonima. Daremo fondo alla nostra epoca. Dopo di<br />
noi non più libri, almeno per una generazione."<br />
(ibidem, p. 31)<br />
Il Libro sarà al contempo un colpo di grazia per la contemporaneità ed<br />
un serbatoio di storie e di miti per gli uomini della<br />
prossima generazione:<br />
"Vi saranno oceani di spazio in cui muoversi,<br />
deambulare, cantare, ballare, arrampicarsi, nuotare,<br />
far salti mortali, gemere, violentare, assassinare. Una<br />
cattedrale, una cattedrale vera e propria [...] Si potrà<br />
entrare coi cavalli al galoppo per le navate" (ibidem,<br />
p. 32)<br />
Tropico del Cancro e Il Tramonto dell'Occidente si presentano<br />
come opere definitive, destinali, sigilli di un'epoca posti a conclusione<br />
della storia. In Spengler si compie l'atto estremo della storia della<br />
filosofia che giunge al proprio compimento come morfologia della<br />
storia, ultima filosofia possibile dell'occidente e sua forma<br />
necessaria 24. Identica è l'ambizione di Tropico del Cancro: chiudere i<br />
conti con millenni di storia. Ma per far questo occorre una<br />
deflagrazione, un'azione decisa e violenta, e non a caso la metafora<br />
della bomba, che abbiamo visto riferita al proprio libro, Miller la<br />
proietta su Il Tramonto dell'Occidente, "una bomba che non era<br />
scoppiata perché un'altra bomba (la prima guerra mondiale) aveva<br />
fatto scoppiare la valvola (Plexus, p. 738).<br />
V. 4. Le figure della crisi<br />
24 - "'Tutto ciò che è caduco è solo un simbolo'. Partendo da questa verità si possono<br />
raggiungere soluzioni e prospettive finora nemmeno sospettate. [...] La fisiognomica<br />
dell'avvenire mondiale sarà l'ultima filosofia faustiana" (Tramonto, p. 249).<br />
184
La trama di Tropico del Cancro è estremamente esile e povera<br />
d`azione: è la storia di un breve periodo della vita parigina di Miller,<br />
quando, venuto meno il sostegno economico di alcuni ricchi amici, è<br />
costretto ad accettare prima il lavoro di correttore di bozze in un<br />
quotidiano, e poi quello di professore d`inglese in un collegio di<br />
Digione, che lascerà dopo poche settimane per tornare a Parigi. Lo<br />
spirito del romanzo non si lascia catturare da queste scarne indicazioni:<br />
la vera struttura è quella creata dalle riflessioni, dalla frammentarietà dei<br />
sogni, dei ricordi e dei deliri, dall'escatologia del protagonista<br />
autobiografico, Henry. Attorno a lui ruota tutta una galassia di<br />
personaggi, gli amici Carl, Van Norden, Boris, Cronstadt, Fillmore, i<br />
coniugi Wren, Germaine, Tania, Llona, Irene e tutte le altre prostitute<br />
dei sobborghi parigini, Mona la donna amata, e tanti altri.<br />
Il primo simbolo che si incontra nel romanzo, fin dal titolo e<br />
ripetutamente nelle prime pagine, è il "Cancro". La sua figura sintetizza<br />
tutta la gamma di significati che il romanzo cerca di esprimere, "fase<br />
distruttiva" e "costruttiva" al contempo. Le figure del degrado e le<br />
forze che sostengono la speranza convivono nella sua articolata<br />
simbologia.<br />
I sintomi del malessere dominano complessivamente il romanzo: nel<br />
formulare una diagnosi la più precisa possibile consiste il primo passo<br />
per ogni futura guarigione 25. La civiltà è trattata come un essere<br />
vivente, come una realtà organica: si ammala, viene divorata da un<br />
cancro, contrae infezioni ed epidemie ed emana cattivi odori. È la<br />
stessa prospettiva organicista che informa la simbologia del<br />
"tramonto". In Miller questo stesso organicismo si esprime attraverso<br />
la presenza di simboli come la malattia, il tumore, la carne e il sangue,<br />
la morte, tutte espressioni di una realtà vivente e, in Tropico del<br />
Cancro come ne Il Tramonto dell'Occidente, morente. Sarà proprio<br />
questa prospettiva ad aprire la possibilità di un destino oltre la crisi:<br />
all'orizzonte del tramonto si scorgono già le prime luci di una nuova<br />
alba.<br />
25 - "Per scandagliare la nuova realtà è anzitutto necessario smantellare gli scoli,<br />
spalancare i dotti incancreniti che compongono il sistema genito-urinario che fornisce<br />
l`escremento dell'arte." (Cancro, p. 176).<br />
185
L'attacco del romanzo è segnato dalle profezie di Boris: se il mondo<br />
è un "cancro che si divora", se l'uomo viene divorato dal "cancro del<br />
tempo", ciò che segue sarà una celebrazione del potere della morte. I<br />
suoi simboli dominano e sono visibili ovunque, nei tratti degli uomini e<br />
sul volto della città: ovunque si vada tutto è "cancro e sifilide".<br />
Accelerare il decorso della malattia e lasciare che il destino si compia,<br />
questo è il compito dell'artista. Miller è convinto che si debba<br />
accettare il destino di morte e viverlo fino in fondo, per portarlo a<br />
compimento e ricominciare da capo una nuova vita. La sua vuole<br />
essere una "danza della morte", un rituale macabro che "chiama" la<br />
morte come unica soluzione per affrettare l`avvento di una nuova era:<br />
"Chiamo sciagure e ancora sciagure, calamità più<br />
grandi, più grandioso sfacelo. Voglio che tutto il<br />
mondo vada fuori sesto, che tutti si grattino a morte."<br />
(ibidem, p. 17)<br />
Tutto il libro è articolato su queste presenze: il cancro, la fine, il caos.<br />
Il motivo si ripete con l'insistenza di un memento mori:<br />
"Il mondo intorno a noi si dissolve, lasciando qua e là<br />
chiazze di tempo. [...] E quando tutto si sarà ritratto in<br />
grembo al tempo, tornerà il caos, e il caos è la<br />
partitura su cui è scritta la realtà" (ibidem, p. 6)<br />
"Sempre più il mondo assomiglia al sogno di un<br />
entomologo. La terra è uscita di orbita, l'asse si è<br />
spostato [...] Sopravviene una nuova età glaciale, si<br />
chiudono le suture traverse e dovunque, per tutta la<br />
cintura fertile, il mondo fetale muore" (ibidem, p.<br />
175)<br />
"I cieli sono stati esplorati, e sono vuoti. E quel che<br />
sta sotto la terra è pure vuoto, pieno di ossa e di<br />
ombre. State sulla terra e nuotate per qualche altro<br />
centinaio di migliaia d'anni." (ibidem, p. 259)<br />
Le immagini della morte e della malattia si susseguono in un flusso<br />
narrativo surrealista e grottesco. L'atmosfera è quella di una<br />
186
apocalisse biblica che distrugge ogni ordine ed unisce<br />
indiscriminatamente le immagini della morte a quelle della vita:<br />
"La città era un carnaio; cadaveri dai norcini e<br />
denudati dai rapinatori, spesseggiavano nelle strade<br />
[...] intanto la danza macabra turbinava tra le tombe<br />
del cimitero." (ibidem, p. 47)<br />
"A ogni stazione della metropolitana ci son teschi<br />
ghignanti che ti avvisano: 'Dèfendez-vous contre la<br />
syphilis !' Ovunque siano muri, là sono lucidi tossici<br />
granchi che annunziano l'avvicinarsi del cancro.<br />
Dovunque tu vada, qualunque cosa tu tocchi, è<br />
cancro e sifilide." (ibidem, p. 197)<br />
La danza dei simboli della morte ricorda l'avvicinarsi della fine dei<br />
tempi, contiene un monito e un giudizio. La danza è movimento del<br />
corpo, esplosione di vita come il riso, e nel suo accostamento<br />
straniante alle maschere della morte fissa l'immagine di un mondo che<br />
si avvia alla fine con colpevole inconsapevolezza:<br />
"Dietro le mie parole ci son tutti quei teschi ghignanti,<br />
irridenti, grotteschi, alcuni morti e ghignanti da tempo,<br />
altri ghignanti come se avessero il tetano, altri<br />
ghignanti con quella smorfia di ghigno, preannuncio e<br />
conseguenza di quello che sempre accade." (ibidem,<br />
pp. 267-8)<br />
L'attacco di Miller investe direttamente la realtà. La sua brutalità si<br />
ritorce su di essa, attraverso la mediazione dell'arte che si fa<br />
espressione di quella violenza. La violenza "del" mondo diventa,<br />
nell'opera di Miller, violenza "sul" mondo, ideale contrappasso: "Se<br />
son disumano" scrive "è perché il mio mondo ha traboccato fuori di<br />
ogni costrizione umana" (ibidem, p. 269). L'epoca esplosiva richiede<br />
soluzioni esplosive:<br />
"Soltanto gli assassini paiono trarre dalla vita una<br />
soddisfacente contropartita per ciò che vi mettono di<br />
loro. Il secolo vuole violenza, ma abbiamo soltanto<br />
esplosioni mancate." (ibidem, p. 16)<br />
187
È così che nasce lo stile ruvido, violento, osceno di Miller, dalla<br />
volontà sistematica di non tralasciare nulla 26: uno specchio che non si<br />
cura di quanto sia scomodo o rivoltante ciò che riflette, ma che si<br />
limita a rispecchiarlo fedelmente. La mancanza di pietà per il degrado<br />
forma la violenza del linguaggio milleriano:<br />
"Dalle parti di Aubervilliers ci ficchiamo in una<br />
tana da pochi soldi e immediatamente ne abbiamo<br />
intorno un branco. Passa qualche minuto, e lui già<br />
balla con una puttana nuda, una bionda grossa con le<br />
guance rugose. Le vedo il culo riflesso dieci volte<br />
negli specchi allineati al muro - e quelle sue dita<br />
scure, ossute, che aggrinfiano tenacemente. [...] Le<br />
ragazze disoccupate siedono tranquillamente sulle<br />
panche di pelle, e si grattano in santa pace come una<br />
famiglia di scimpanzé." (ibidem, p. 104)<br />
La descrizione procede attraverso una parcellizzazione (quasi una<br />
autopsia) del corpo femminile, dalla quale risulta l'immagine di un<br />
animale ("branco", "scimpanzé") in stato decadente ("bionda grossa",<br />
"guance rugose") quando non già cadaverico ("dita scure, ossute che<br />
aggrinfiano tenacemente" come per aggrapparsi ad una vita che<br />
sfugge). Qui c'è la disperazione del sesso prostituito, che con una<br />
falsa frenesia nasconde l'assenza di passione e l'incombere della fine.<br />
La violenza dello stile è la violenza degli uomini e del loro mondo.<br />
Osserviamo Van Norden alle prese con una prostituta: qui<br />
l'accoppiamento si spoglia di ogni componente emozionale e diventa<br />
una vera e propria azione di guerra. La polarità dei sessi si perde e<br />
uomo e donna diventano semplici posizioni di una "volontà di<br />
distruzione":<br />
"È proprio come la guerra, non riesco a levarmelo di<br />
capo. [...] è come l'uomo in trincea: non sa più per<br />
che cosa dovrebbe continuare a vivere, perché se<br />
scampa ora, ci rimane poi, ma lui continua lo stesso,<br />
26 - Questo fa dire a Van Norden: "Un giorno scriverò un libro su di me, sui miei<br />
pensieri. Non voglio dire un saggio di analisi introspettiva...Voglio dire che mi stenderò<br />
sul tavolo operatorio e metterò in mostra le budella, ogni cosa, accidenti." (ibidem, pp.<br />
141-2).<br />
188
e anche se ha l'anima di uno scarafaggio, e se n'è<br />
magari accorto, dategli un fucile, un coltello, ma<br />
anche le unghie e basta, e lui continuerà la strage [...]"<br />
(ibidem, pp. 152-3)<br />
Il loro accoppiamento non è neppure bestiale, perché nelle bestie la<br />
scintilla dell'attrazione carnale dà un senso all'amplesso e gli dona la<br />
purezza di un rapporto originario e primitivo: qui l'accoppiamento è<br />
quello di due macchine, e l'immagine è quella di un ingranaggio che<br />
ripete indefinitamente e ottusamente il proprio movimento. La<br />
meccanicità e la monotonia delle azioni riempiono un vuoto,<br />
nascondono l'horror vacui con il quale l'uomo non osa più<br />
confrontarsi: basterebbe fermarsi un attimo a riflettere, scrive Miller, e<br />
la forza di un solo "perché" manderebbe in frantumi questa realtà<br />
artificiale e disumana. La mistificazione spoglia il sesso del suo mistero<br />
e del fascino della sua forza generatrice, e lo immette nel circuito del<br />
denaro. Il criterio di giudizio avverrà in termini di utile ricavato e di<br />
investimento ben riuscito: i quindici franchi dati alla prostituta sono<br />
stati spesi bene o male, il tempo non è stato sprecato. Lo spettacolo è<br />
quello di un motore che gira a vuoto:<br />
"A guardare Van Norden che la monta, mi sembra di<br />
contemplare una macchina con gli ingranaggi slogati.<br />
Lasciati a se stessi, potrebbero anche continuare in<br />
eterno, a macinare a vuoto e a slittare, senza che<br />
però succedesse nulla." (ibidem, p. 153)<br />
All'ingranaggio manca la scintilla della passione, la mano del<br />
meccanico, il tocco umano. Cedere a questa immagine meccanizzata<br />
dei rapporti umani significa rassegnarsi alla perdita del senso della vita.<br />
L'accoppiamento di Van Norden è simbolo di un mondo che<br />
nell'ottundimento di un ritmo frenetico nasconde l'angoscia della<br />
morte e la consapevolezza stessa della propria mortalità, il che è come<br />
a dire della propria natura. Nessun sentimento entra più in gioco, e<br />
l'atto sessuale, origine della vita e immagine del suo mistero, diventa<br />
uno spettacolo senza senso:<br />
"Lo spettacolo di loro due accoppiati come una<br />
coppia di capre, senza la minima scintilla di passione,<br />
189
che macinano e macinano senz'altro motivo che i<br />
quindici franchi, dilava ogni sentimento che io ho,<br />
tranne quello disumano di soddisfare la mia curiosità."<br />
(ibidem, pp. 153-4)<br />
La brutalità di linguaggio diventa l'unico specchio che possa riflettere<br />
pienamente la brutalità della vita. Ecco allora i leitmotiv del romanzo, il<br />
"cancro", la "peste", la "sifilide", l'"odore fetido", i "pidocchi". È<br />
proprio con dei pidocchi che si apre il romanzo: "Ieri sera Boris si è<br />
accorto di avere i pidocchi. Gli ho dovuto radere le ascelle, ma il<br />
prurito non ha smesso. [...]" (ibidem, p. 5). Essi si accalcano sul<br />
corpo di Boris come i vermi su un cadavere in decomposizione; quel<br />
Boris che è una figura spettrale, senza corpo né sangue, l'emblema<br />
stesso del tramonto della civiltà e dell'intellettuale decadente, tutto idee<br />
e niente carne, che abbiamo già trovato in Spengler.<br />
La stessa brutalità informa i termini che descrivono l'unione sessuale:<br />
non "amore" o "amplesso", ma "chiavare", non donna ma "puttana".<br />
Tutto si riduce ad una questione di "mortaio e pestello", da cui nasce<br />
la violenza di scene come questa:<br />
"Mi inginocchio dietro Van Norden per guardare più<br />
attentamente il meccanismo. La ragazza volge il capo<br />
da un lato e mi lancia uno sguardo di disperazione.<br />
'Non serve' dice 'È impossibile'. E allora Van<br />
Norden riattacca il lavoro con rinnovata energia,<br />
come un vecchio caprone. [...] E ora si arrabbia<br />
perché io gli faccio il solletico sul sedere.<br />
'Per l'amor di Dio, Joe, piantala ! L'ammazzi quella<br />
povera ragazza.'<br />
'Lasciami stare' brontola 'Glielo avevo quasi infilato' "<br />
(ibidem, pp. 154-5)<br />
Caduta ogni remora, le immagini di Miller mostreranno la stessa<br />
impassibilità e precisione delle osservazioni di un "entomologo":<br />
"In mezzo al cortile c'è un grappolo di costruzioni<br />
decrepite marcite al punto di crollare l'una sull'altra e<br />
di formare una sorta di abbraccio intestinale. Il<br />
terreno è disuguale, il selciato scivoloso di melma.<br />
Una sorta di discarica umana colma di ceneri e di<br />
spazzatura risecchita." (ibidem, pp. 46-7)<br />
190
Su un mondo del genere, anche il sole "tramonta in fretta". I colori<br />
muoiono, bambini pallidi e ossuti strillano, c'è un odore fetido che<br />
trasuda dai muri, l'odore di un millennio di storia dell'Europa, creatura<br />
"medievale, grottesca, mostruosa sinfonia in si bemolle" (ibidem, p.<br />
47). I simboli della vita, la luce, il colore, la gioia di un bambino,<br />
sbiadiscono e scompaiono. Accanto alla disperazione, le immagini<br />
brillanti di un cinema, che proietta 'Metropolis' per la sua "distinta<br />
clientela". Il degrado delle piccole viuzze parigine è dietro l'angolo<br />
delle luci delle avenués e dei Boulevard. La morte, sembra indicare<br />
Miller, è al lavoro dietro di esse.<br />
V. 5. Parigi come "ultima città"<br />
Il Cancro ha il suo Tropico, ha una coordinata spaziale e temporale:<br />
Parigi. La metropoli francese non è un luogo indifferente, ma un punto<br />
di osservazione privilegiato, il cuore stesso del cancro, l'epicentro<br />
della crisi. Lì è possibile seguire l'evolversi della malattia, vivendola<br />
nella propria esperienza.<br />
La città è una protagonista del racconto, la sua presenza è costante e<br />
filtra attraverso i discorsi, i pensieri, le azioni. Parigi era un topos<br />
dell'immaginario americano: era il cuore della vecchia Europa e ne<br />
rappresentava lo spirito, città degli artisti (se ne contavano trentamila<br />
nel 1929) e dei geni incompresi, retaggio di una cultura millenaria.<br />
Parigi è carica di significati anche per Miller: è la fuga dalla "macina da<br />
mulino" americana e la realizzazione come scrittore. La trasposizione<br />
dalla storia personale alla dimensione simbolica è immediata:<br />
"Non è il caso che scaraventa a Parigi persone come<br />
noi. Parigi è soltanto un palcoscenico artificiale, un<br />
palcoscenico rotante che permette allo spettatore di<br />
cogliere ogni fase del conflitto. [...] Parigi è solamente<br />
il forcipe ostetrico che strappa dall'utero l'embrione<br />
vivo e lo mette nell'incubatrice. Parigi è la culla delle<br />
nascite artificiali." (ibidem, p. 34)<br />
191
Parigi è stata la levatrice di Tropico del Cancro perché ha<br />
rappresentato il distacco dal mondo americano e dai "valori borghesi"<br />
della famiglia e del lavoro. È una città carica di fascino dove persino i<br />
nomi delle vie sono evocativi ed ispirano la fantasia di un'artista; è un<br />
carnevale perpetuo, quella che Hemingway chiamerà "festa mobile", un<br />
palcoscenico dove Miller ha la parte dell'attore e dello spettatore.<br />
Attore, perché mette in scena il proprio dramma personale, compie<br />
quella metamorfosi che lo porta ad abbandonare ogni incertezza ed a<br />
scegliere la propria vocazione di artista: nascono così Tropico del<br />
Cancro, Tropico del Capricorno e Primavera Nera. Spettatore, perché<br />
Parigi è un palcoscenico dove l'Occidente mette in scena il proprio<br />
tramonto. Il palcoscenico ruota e mostra tutte le fasi del conflitto, ogni<br />
sfaccettatura; è una terra di nessuno, un palcoscenico artificiale che,<br />
proprio per la sua neutralità, costituisce lo sfondo ideale per i drammi<br />
di tutti, un'incubatrice di feti giunti da ogni parte del mondo. Parigi è la<br />
metropoli dell'era della civilizzazione, l"ultima città" per usare un<br />
termine spengleriano ripreso da Miller 27:<br />
"Città eterna, Parigi ! Più eterna di Roma, più<br />
splendida di Ninive. Ombelico del mondo [...] È<br />
come un sughero trascinato a finire nel centro morto<br />
dell'oceano, qui si galleggia sulla feccia e sulle alghe<br />
dell'oceano, sbadato, disperato [...] Le culle della<br />
civiltà sono gli acquai putridi del mondo, i colombari a<br />
cui uteri fetenti affidano i loro sanguinolenti pacchi di<br />
carne e ossa." (ibidem, p. 194)<br />
Parigi è come Roma, come Ninive, città simbolo di una civiltà. Roma,<br />
Ninive, Parigi sono i simboli della decadenza: le "culle della civiltà"<br />
mostrano nella loro immagine il cancro del declino. Qui c'è tutta la<br />
simbologia negativa di Parigi come realtà devitalizzata, ma anche tutto il<br />
suo fascino di città decadente, che libera le ultime forze della civiltà nel<br />
celebrare la propria fine. È una Parigi che bisogna vivere, perché<br />
l'esperienza del tramonto va vissuta fino in fondo, sino al suo pieno<br />
compimento. Se il destino è il tramonto, direbbe Spengler, occorre<br />
tramontare:<br />
27 - Vedi Capricorno, p. 490.<br />
192
"È una Parigi che bisogna vivere, che bisogna<br />
provare giorno per giorno in mille diverse forme di<br />
tortura, una Parigi che ti cresce dentro come un<br />
cancro e cresce finché non ti ha divorato." (ibidem,<br />
p. 191)<br />
Entrare nella modernità significa attraversare l'inferno del nichilismo e<br />
superare l'esperienza della distruzione. Parigi è una "tortura", un<br />
"cancro" che divora, una malattia il cui corso va portato sino in fondo.<br />
È qui che "il mondo si rivela per quel folle carnaio che è", cosicché<br />
non sembra esserci altra scelta che la morte, la morte dell'occidente<br />
dove "la ruota che fanno girare gli schiavi si estende all'infinito" e dove<br />
"la logica corre sfrenata" (ibidem, p. 193). Parigi appare in perenne e<br />
tragico movimento, dove la frenesia non riesce a nascondere una<br />
generale perdita di significato dell'esistenza; è la celebrazione del<br />
trionfo della morte. La sua frenesia si trasforma inevitabilmente in follia<br />
schizofrenica quando la si osservi da un punto di vista oggettivo.<br />
Questa insensatezza il protagonista Henry la trova simbolicamente<br />
espressa nel suo mestiere di tipografo: il mondo crolla e tutto ciò che<br />
importa è che punti e virgole siano al posto giusto, che il disastro non<br />
trasgredisca le regole logiche della grammatica e della sintassi.<br />
L'accostamento tra la futilità dei problemi ortografici e la tragedia del<br />
tramonto dell'Occidente genera un effetto straniante:<br />
"Mi mettono il mondo sotto il naso e tutto quello che<br />
mi chiedono è di mettere la punteggiatura alle<br />
disgrazie. [...] Quando scoppierà il mondo [...] i<br />
correttori di bozze tranquillamente raccoglieranno<br />
tutte le virgole, i punti e virgola, le lineette, gli<br />
asterischi, le virgolette, le parentesi, i punti esclamativi<br />
ecc..., e li metteranno in una cassettina, sopra la sedia<br />
del direttore. Comme ca, tout est réglé..." (ibidem,<br />
pp. 156-7)<br />
C'è un'altra immagine che viene associata a Parigi: la "pancia della<br />
balena", le "visceri stesse della terra" (ibidem, p. 193). Ne Il mondo<br />
del sesso Miller parlerà di "tipica atmosfera uterina, satura di tutti i<br />
193
abilonici lussi della decadenza" 28. Vivere Parigi significa immergersi<br />
nelle visceri della terra, là dove si svolgono i movimenti fondamentali:<br />
l'atteggiamento di Miller è identico a quello del naturalista che osservi<br />
con distacco e con una certa curiosità lo svolgersi di eventi fisici. Le<br />
visceri sono l'origine della vita, e stesso significato ha l'utero: Miller<br />
ripete spesso il suo desiderio di "tornare nell'utero", volendo intendere<br />
il ritorno alla fonte stessa della vita: nell'utero si svolgono i processi<br />
essenziali. È questo accostamento che dona a Parigi il suo fascino e la<br />
sua "positività"; qui si svolgono processi mortali ma anche vitali nella<br />
loro distruttività, si assiste alla morte ma anche ai primi sintomi della<br />
vita. Nella metropoli c'è tutto lo sfascio della civiltà ma anche tutta la<br />
forza della Vita. Non tutte le energie liberate nella decadenza sono<br />
negative; così, Miller entra spontaneamente nel ventre della balena per<br />
registrarne i movimenti segreti e studiarne flora e fauna 29.<br />
A Parigi, "palcoscenico rotante", ognuno mette in scena, nel dramma<br />
della propria esperienza, il disagio della modernità. La "fauna" parigina<br />
in questo senso è ricca di attori. Il primo che incontriamo è Boris, il<br />
profeta di sciagure perso nell'autocompiacimento per la propria<br />
disperazione, modello dell'intellettuale decadente che vede tutto<br />
attraverso il filtro delle idee, del "suo" Platone, del "suo" Spinoza, e<br />
che parla in una lingua che è "una specie di matematica superiore" nella<br />
quale non può entrare nulla di vivo, né carne, né sangue; tutto è<br />
"astrazione fantastica, spettrale, vampiresca" (Cancro, pp. 179-180).<br />
Ecco di nuovo l'immagine della morte, dell'uomo come cadavere<br />
vivente, come scheletro abbandonato dalla carne, cioè dalla vita. Boris<br />
e l'amico Cronstadt sono spiriti esangui, e nella distanza tra loro e<br />
Miller sta tutta la differenza che corre tra un pessimismo compiaciuto<br />
ed una autentica disperazione: Boris e Cronstadt vedono il crollo della<br />
civiltà come realtà intellettuale, le loro morti sono "astratte", "agonie<br />
senza sangue". Non si fanno carico del dramma che una<br />
consapevolezza di questo genere comporta, ed è così che rifiutano<br />
ogni tentativo di superamento; vivendo la morte in astratto, possono<br />
28 - The World of Sex, Chicago, Argus Book Shop, 1941. Ediz. italiana consultata Il<br />
mondo del sesso, Milano, Mondadori, 1992, p. 15.<br />
29 - 'Nel ventre della balena' è anche il titolo di un celebre saggio di G. Orwell su Miller.<br />
Vedi più avanti, Capitolo V.6.2, pp. 199-205.<br />
194
evitarne il dolore e godere pienamente il fascino della decadenza.<br />
Hanno perduto il contatto con il senso positivo della vita; Miller invece<br />
questo contatto cerca di non perderlo mai, perché su questo si basa la<br />
possibilità di scorgere un futuro oltre la disperazione del presente del<br />
presente.<br />
Altro attore è Van Norden, il grande mistificatore del sesso, cinico e<br />
spregiudicato. La sua brutalità ed il suo nichilismo fanno dell'amplesso<br />
il movimento di una macchina e del mistero della creazione un segreto<br />
anatomico da svelare illuminando con una torcia elettrica l'utero di una<br />
prostituta 30. Van Norden in certo senso è l'opposto di Boris e<br />
Cronstadt: là, astrazione e intellettualismo come mediazioni che<br />
allontanano dalla vita, qui il medesimo effetto attraverso una totale<br />
assenza di significato della vita stessa, privata di sentimenti umani e<br />
ridotta ad ingranaggio. Il mondo perde di significato e la vita diventa il<br />
pretesto per un lamento continuo:<br />
"Qualunque cosa faccia, dovunque vada, mai una<br />
cosa che gli vada dritta. O è il paese del cazzo, o il<br />
lavoro del cazzo [...] 'Ho i denti tutti guasti' dice,<br />
mentre fa i gargarismi. 'È questo pane del cazzo che<br />
ti fan mangiare qui'." (ibidem, p. 110)<br />
Tutta la serie di personaggi che popolano il romanzo oscilla tra questi<br />
due estremi, secondo diverse gradazioni. C`è lo spiritualista Kruger, il<br />
tipo "ascetico" e cultore dell'esoterico, che parla di karma ed anima<br />
cosmica "e che un bel giorno è capace di far ingoiare i denti a<br />
qualcuno e senza scrupolo" (ibidem, p. 203). C'è Moldorf, che è<br />
"ubriaco di parole", che non ha sangue, muscoli, vene, ma<br />
"cassetti, e nei cassetti ci sono tante etichette scritte a inchiostro<br />
bianco, inchiostro marrone, inchiostro rosso..." (ibidem, p. 9). C'è<br />
Fillmore, che è incapace di agire e che per questo si crea<br />
ostacoli insormontabili, tanto da dover lasciare la Francia per<br />
sfuggire ad una donna. Ci sono Nanantee e il russo Serge, che in<br />
cambio di una miserabile ospitalità in letti pieni di cimici fanno di<br />
Henry uno schiavo abbrutito dal lavoro. E c'è poi tutto il<br />
30 - "Tutto questo mistero del sesso, e poi ti accorgi che è nulla, un vuoto e basta. Non<br />
sarebbe divertente trovarci dentro un'armonica...oppure un calendario ? Invece non c'è<br />
nulla...nulla di nulla. È schifoso" (Cancro, p. 150).<br />
195
caleidoscopio delle prostitute, Germaine, Tania, Irene, Llona, che<br />
nella visione di Miller rappresentano il rifugio estremo della vita,<br />
le custodi di un senso sacrale del sesso come passione e come<br />
forza che supera e sradica i limiti delle convenzioni.<br />
V. 6. I simboli del riscatto<br />
V. 6. 1. La Vita<br />
Un'epoca di civilizzazione sprigiona, secondo Spengler, forze<br />
estreme: si liberano le energie residue e, in quel breve intervallo di<br />
tempo tra la fine di una civiltà e l'inizio di un'altra, si rende possibile<br />
una visione complessiva della storia, una immagine organica del<br />
passato 31.<br />
C'è però una forza che trascende il succedersi delle epoche, che è<br />
"prima" di ogni civiltà e che ne rappresenta il principio formatore:<br />
questa forza è la "vita". La vita è un "fenomeno originario", un'idea<br />
concretizzatasi, una sorta di entelechia che genera continuamente<br />
forme sempre diverse. La vita è l'essenza stessa della realtà e si<br />
sostanzia seguendo le leggi immutabili della natura: "procreazione,<br />
nascita, crescere, appassire, svanire" (Urfragen, p. 43). La vita è<br />
l'eterno divenire, il moto generato dal continuo nascere e morire di<br />
forme organiche; essa connette ogni organismo in un movimento che<br />
ha ritmi e cadenze comuni. Spengler riprende l'immagine eraclitea del<br />
fuoco come simbolo del divenire: la fiamma è "un simbolo originario,<br />
un fenomeno primordiale" (ibidem, p. 54) che spiega la realtà, "il<br />
simbolo della vita che divora e consuma" (ibidem, p. 56). La vita<br />
stessa "è" fiamma perché è continuo movimento, un incessante<br />
31 - "se la cultura è alla fine e inizia la civiltà-in-declino ['Zivilisation', N.d.C.], allora<br />
cessa il pensiero creatore e ha inizio la rimasticazione del passato [...]. Tra i due periodi<br />
esiste però un momento, durante il quale agli uomini profondi è concessa una visione<br />
più libera; e questo è un breve periodo, nel quale è possibile formulare grandi pensieri<br />
sulla storia." (Urfragen, pp. 493-4).<br />
196
accendersi e spegnersi, nascere e morire di forme. Nasce così quel<br />
ricco repertorio spengleriano di immagini organiche: la civilizzazione<br />
diventa "senilità", "ceneri che si spengono lentamente", l'amore è la<br />
"fiamma" mentre l'odio è il "freddo", la procreazione è un "momento<br />
di calore", l'accendersi della scintilla che sprigiona la forza del fuoco.<br />
È il "magico fascino del rosso di sera, del fuoco che arde nel<br />
camino..." (ibidem, p. 55). La fiamma "è" il tempo, il divenire con la<br />
sua imprevedibilità e mutevolezza, è la combustione, l'eterna<br />
trasformazione, ma più corretto sarebbe dire che la fiamma "non è ma<br />
diviene" (ibidem, p. 56).<br />
Questa visione "vitalistica" spiega i fenomeni della storia ma<br />
soprattutto rassicura sul destino dell'uomo. Tutta la realtà si definisce<br />
non in base a categorie statiche ma secondo la sua evoluzione ed il suo<br />
continuo ridefinirsi nel tempo. In questo modo la decadenza viene fatta<br />
rientrare nella normale fisiologia di un organismo vivente, figura<br />
simbolica di una ciclicità naturale. La "vita" rimane un mistero<br />
insondabile, ma la sua presenza è certa: la vita è una fiamma che arde<br />
sempre, che trova sempre nuovo materiale da combustione, lo<br />
consuma e si volge altrove per ardere di nuovo. La vita sfugge agli<br />
"oggetti" che crea perché "non è alcunché di oggettivo ma puro<br />
movimento" (ibidem, p. 51) 32. La fine di una civiltà non coincide con la<br />
fine della vita: essa cambia solo la forma del suo manifestarsi, alla luce<br />
di nuovi bisogni e nuovi interrogativi.<br />
La positività del richiamo al concetto di "vita" è presente ne Il<br />
Tramonto dell'Occidente, ma emerge ancora più chiaramente in<br />
Urfragen. Essere umano e destino, la grande opera "metafisica" in<br />
frammenti e aforismi che rappresenta lo sbocco naturale del percorso<br />
tracciato nel primo trattato. Scrive Spengler:<br />
"Dopo aver trattato ne Il Tramonto dell'Occidente la<br />
morfologia delle più alte civiltà e della civiltà in<br />
declino, ho voluto dedicarmi alla ricerca sulle loro<br />
premesse storiche, e allo studio delle forme e dei<br />
gradi di civiltà più primitivi, fino al primissimo<br />
embrione di esse." 33<br />
32 - Per tutta la spiegazione del "divenire" e della "vita"come "fiamma", vedi Urfragen,<br />
pp. 43-91 (tutto il capitolo dal titolo 'Fiamma').<br />
33 - Citato nell'introduzione a Urfragen, p. 12.<br />
197
Con Urfragen. Essere umano e destino Spengler vuole andare a fondo<br />
fino a scoprire quell'elemento originario delle civiltà della storia, e a<br />
delineare quei tratti metastorici, antropologici dell'umanità, che<br />
testimonino la presenza di un "fondamentale, omogeneo fluire di una<br />
sola civiltà" 34. E' un'opera che testimonia l'affermarsi di una<br />
prospettiva, che già ne Il Tramonto dell'Occidente aveva trovato modo<br />
di esprimersi, ma alla quale non era stata data la dovuta importanza,<br />
perché l'accento sulle immagini del declino dell'Occidente e<br />
sull'aspetto catastrofico della fine della "Zivilisation" l'avevano posta in<br />
secondo piano.<br />
Questo è l'aspetto "positivo" di Spengler, il suo sostrato costruttivo,<br />
reso evidente dalla simbologia organica delle immagini del "tramonto"<br />
e della "fiamma"; una identica positività informa le figure del romanzo<br />
di Miller. Se il Cancro indica un malessere, esso intravede anche un<br />
percorso e quindi una nuova prospettiva. Come Spengler, anche Miller<br />
ha dovuto fare i conti con l'accusa di essere un "menagramo", accusa<br />
che gli ha permesso di chiarire definitivamente i termini del suo<br />
concetto di decadenza:<br />
"Sono stato spesso criticato e messo in ridicolo come<br />
profeta di sventura. [...] Di tanto in tanto, come i<br />
profeti dell'antichità, sono arrivato al punto di esultare<br />
per la catastrofe imminente. Però non era l'uomo che<br />
io condannavo, bensì il suo modo di vivere. Infatti,<br />
se c'è un potere che l'uomo senza dubbio possiede<br />
[...] è il potere di cambiare il suo modo di vivere."<br />
(Come il colibrì, cit., p. 22)<br />
Ciò che si consuma a Parigi non sono "gli ultimi giorni dell'umanità",<br />
ma gli ultimi giorni dell'occidente. La distinzione è indispensabile per<br />
comprendere i percorsi di Miller e di Spengler e per individuarne i<br />
punti di contatto.<br />
Un sentimento domina Tropico del Cancro: l'"accettazione". Tutta la<br />
critica concorda nell'attribuire a questo sentimento un ruolo centrale<br />
nell'opera di Miller. Innanzitutto, "accettazione" significa accogliere il<br />
34 - ibidem, p. 20.<br />
198
lato negativo della realtà come momento necessario, come esperienza<br />
che va portata sino in fondo:<br />
"Credo che il compito del futuro sia di esplorare il<br />
dominio del male fin tanto che non rimanga nemmeno<br />
più una briciola di mistero. Dobbiamo scoprire le<br />
amare radici della bellezza, accettare radice e fiore,<br />
foglia e germoglio. Non possiamo più resistere al<br />
male; ci tocca accettare." (Rimbaud, p. 38)<br />
È questo, afferma Miller, ciò che Rimbaud vuol dire quando scrive:<br />
"Una sera, ho preso la bellezza sulle mie ginocchia - E l'ho trovata<br />
amara - E l'ho ingiuriata.". La vita va gustata, anche quando il sapore è<br />
amaro e provoca disgusto; occorre attraversare il "dominio del male"<br />
senza tirarsi indietro. Accettare significa accogliere su di sé il cancro<br />
del presente, nutrirne i germi fino a quella esplosione della malattia che<br />
è anche l'inizio della guarigione. In questo senso, il messaggio è<br />
identico a quel "Ducunt fata volentem, nolentem trahunt" che chiude Il<br />
Tramonto dell'Occidente: al destino non si deve resistere, perché è una<br />
realtà che va accettata con piena consapevolezza e cognizione: il<br />
percorso è già stabilito.<br />
V. 6. 2. La critica di Orwell e il senso dell'accettazione<br />
Come Spengler è stato sempre tacciato di pessimismo, così Miller<br />
ha dovuto spesso far fronte all'accusa di "passività". Il primo a<br />
muovere questa critica fu George Orwell, in un celebre saggio del 1940<br />
dal titolo 'Nel ventre della balena'. Uno sguardo a quelle pagine ci<br />
consentirà di delineare con più precisione il senso della "accettazione",<br />
e di sfatare così tutta una letteratura critica che tende ad ingabbiare la<br />
figura di Miller nel cliché dell'artista della decadenza.<br />
Quello di Orwell è uno dei primi e più interessanti contributi critici di<br />
una certa lunghezza sull'opera di Miller, scrittore allora pressoché<br />
sconosciuto. La posizione dello scrittore inglese non è totalmente<br />
critica, ma forse proprio per questo è ancora più insidiosa. Le doti di<br />
scrittura di Miller non vengono negate, anzi sottolineate con vigore:<br />
"La prosa è sbalorditiva e, in certe parti di<br />
Primavera Nera, ancor meglio. [...] Ma procuratevi<br />
199
Tropico del Cancro, procuratevi Primavera Nera e<br />
leggete specialmente le prime cento pagine. Vi<br />
daranno un'idea di quello che si può ancora fare ai<br />
nostri tempi con la prosa inglese. L'inglese vi è usato<br />
come una lingua parlata, ma parlata senza paura,<br />
cioè senza paura della retorica o dell'inusitato o del<br />
termine poetico." 35<br />
Questo per poi concludere:<br />
"Secondo me, con Miller abbiamo l'unico<br />
romanziere con un minimo di valore che sia apparso<br />
tra i popoli di lingua inglese da parecchi anni a questa<br />
parte." 36<br />
La critica di Orwell non si muove verso una messa in discussione della<br />
resa artistica dell'opera, quanto piuttosto contro quello che è il<br />
presupposto etico ed estetico di Tropico del Cancro, l'accettazione; il<br />
punto di forza dell'opera milleriana tradirebbe anche il difetto che ne è<br />
all'origine.<br />
La tesi dello scrittore inglese è fondata sull'identificazione di<br />
accettazione e passività: è proprio questa passività, questa capacità<br />
ricettiva a fare di Tropico del Cancro un'opera importante, o, per<br />
usare il termine orwelliano, "emblematica". L'estetica di Miller sarebbe<br />
fondata, a parere di Orwell, su un'idea della letteratura come<br />
riproduzione del caos, registrazione del venir meno dei vincoli di senso<br />
della realtà: la disgregazione del presente viene fatta defluire<br />
direttamente sulla pagina, attraverso una narrazione sconnessa,<br />
frammentaria, a tratti impossibile da decifrare se non volutamente priva<br />
di senso. L'opera, in questo caso Tropico del Cancro, presenterebbe<br />
insomma tutti i connotati della realtà di cui parla, e proprio in questo<br />
starebbe la sintomaticità (o simbolicità) di Miller:<br />
"Appunto perché è passivo all'esperienza, Miller può<br />
avvicinarsi maggiormente all'uomo comune di quanto<br />
non siano in grado di fare scrittori con più definite<br />
35 - 'Inside the Whale', in G. Orwell, England Your England, London, 1954. Ediz.<br />
italiana consultata 'Nel ventre della balena', p. XI, introduzione a Cancro.<br />
36 - ibid., p. LI.<br />
200
intenzioni. Perché anche l'uomo comune è passivo.<br />
[...] È una voce della folla, del popolo minuto, una<br />
voce che viene dal vagone di terza classe, dall'uomo<br />
comune, dall'apolitico, amorale uomo passivo." 37<br />
Come si vede, l'elogio di Orwell nascondeva una profonda insidia:<br />
identificando l'accettazione con la passività come adesione<br />
indiscriminata al presente veniva a crollare il fondamento stesso della<br />
positività di Tropico del Cancro, che, come abbiamo visto, fa da<br />
contraltare al tema della decadenza e riscatta il libro dall'accusa di<br />
pessimismo e di nichilismo. L'idea milleriana dell'"accettazione" del<br />
flusso della "Vita" mostra il fianco a diverse critiche, prima fra tutte<br />
quella di semplicismo e di ingenuità; se ne possono mostrare i lati<br />
deboli e le contraddizioni. Ciò che non si può fare è travisarne il<br />
senso, attribuendole un valore simbolico di segno opposto a quello<br />
delle intenzioni dell'autore e del risultato estetico dell'opera. Quest'idea<br />
di una fusione panteistica col fluire della vita, pur con tutte le sue<br />
ingenuità, ha tuttavia il senso di un rifiuto della decadenza: ignorarlo<br />
significa mutilare la costruzione milleriana, che proprio sulla dialettica<br />
degli opposti (qui, distruzione e costruzione) è fondata.<br />
Orwell ha il grande merito di mettere in rilievo la simbolicità di<br />
Tropico del Cancro come romanzo della decadenza, e non solo. Altro<br />
merito è l'aver saputo indicare e dimostrare il profondo legame tra<br />
l'opera di Miller e il proprio tempo: il romanzo mette in scena<br />
l'inquietudine di quegli anni, la diffusa consapevolezza, tra i ceti<br />
intellettuali, dell'impasse della civiltà, la sfiducia nei miti del progresso e<br />
della democrazia, fino a testimoniare di atteggiamenti molto in voga in<br />
quegli anni, come la posa del "cinico" e dell'intellettuale "disincantato".<br />
Ma queste immagini diventano per Orwell un segnale d'assenso, quasi<br />
che la loro scelta indichi una condivisione da parte dell'autore.<br />
Mostrare significa allora condividere, esprimere la decadenza diventa<br />
accettarla:<br />
37 - ibid., p. XVII.<br />
"Accettare la civiltà così com'è significa praticamente<br />
accettare la decadenza. Ha cessato di essere un<br />
atteggiamento intrepido ed è divenuto un<br />
201
atteggiamento passivo: anzi 'decadente', ammesso<br />
che questa parola significhi qualcosa" 38<br />
Orwell coglie il valore simbolico di Tropico del Cancro, ma ne<br />
fraintende il segno, e muta da positivo a negativo il significato<br />
dell'accettazione: essa è si emblematica dei tempi, ma non nel senso di<br />
una decadente adesione alla civiltà, e nel conseguente disimpegno<br />
dell'intellettuale, quanto piuttosto in una positiva ricerca di alternative.<br />
Si accetta la vita e le sue contraddizioni, non le aberrazioni della civiltà<br />
La "accettazione" è la proposta, forse ingenua, di una generazione che<br />
cercava, nell'adesione al flusso vitale e ad uno "spirito della storia", un<br />
percorso "oltre" la decadenza. In questo senso essa si colloca accanto<br />
ad altri fenomeni, come ad esempio la ricerca di primitivismo nelle arti<br />
figurative, quale simbolo di un'epoca che delineava il futuro come<br />
ritorno alla natura, ricerca di ritmi e forme immediate ed elementari,<br />
originarie, archetipiche.<br />
L'identificazione dell'accettazione con la decadenza porta al<br />
fraintendimento della complessità dell'opera milleriana 39. Accettare la<br />
paradossale coesistenza di opposti della realtà significa solo<br />
riconoscere una struttura dialettica evidente nell'esperienza: per Miller<br />
accettare significa allargare gli orizzonti, o, più precisamente, far<br />
entrare la materialità, la fisicità dell'uomo, la sua parte carnale e<br />
"naturale" nel mondo del pensiero, donare dignità di rappresentazione<br />
alla parte corporea dell'individuo ed alla sua componente animale,<br />
dionisiaca.<br />
Accettazione significa ammettere la complessità e la contraddittorietà<br />
del reale:<br />
38 - ibid., p. XVI.<br />
39 - Lo stesso appunto venne mosso ad Orwell da Karl Shapiro: "Orwell ha scritto uno<br />
dei più bei saggi su Miller, nonostante la prospettiva tendenzialmente sociologica e il<br />
suo tentativo di codificare Miller tra gli scrittori della Depressione o qualcosa del<br />
genere." Shapiro sottolinea come questo errore di prospettiva derivi proprio dall'aver<br />
frainteso il senso dell'accettazione milleriana: "Orwell definisce il libro di Céline [Viaggio<br />
al termine della notte, n.d.r.] un grido di insopportabile disgusto [...] E si stupisce che il<br />
Tropico del Cancro sia quasi esattamente il contrario ! [...] è un peccato che Orwell<br />
non abbia saputo vedere al di là della situazione sociologica di Whitman e di Miller." (K.<br />
Shapiro, 'The greatest living author' in Defense of Ignorance, New York, 1960, pp.<br />
313-338; ediz. italiana K. Shapiro, 'Il più grande autore vivente', in Valerio Riva [a<br />
cura di], H. Miller, il sesso, la censura e il Tropico del Cancro, cit., p. 46.).<br />
202
"Questa dottrina dell'accettazione, la più difficile<br />
eppure la più semplice tra tutte le idee radicali [...]<br />
incarna il concetto che [...] bene e male coesistono,<br />
anche se l'uno non è che l'ombra dell'altro, e che il<br />
mondo, con tutti i suoi mali e i suoi difetti, fu creato<br />
per la nostra gioia." (Come il colibrì, cit., p. 41)<br />
È un dualismo che vuole farsi monismo: il lato spirituale e il lato<br />
materiale, lo spirito e la carne, le digressioni metafisiche e le descrizioni<br />
degli accoppiamenti sessuali, tutto rientra nella realtà. L`opposta<br />
polarità dei fenomeni non porta all'esclusione, perché tutto rientra con<br />
uguali diritti nel mondo, l'angelo come il demonio. Ecco perché Miller<br />
non si sente in contraddizione quando, dopo essersi definito un<br />
"capricorno", un essere bestiale metà uomo e metà caprone, parla<br />
dell"angelo come filigrana", della purezza spirituale come sostanza<br />
metafisica della sua vita e della sua scrittura; tra i due momenti non<br />
vede cesure: le vette dello spirito non sono che gli abissi della carne<br />
rovesciati, e viceversa. Occorre guardare in faccia le cose ed accettarle<br />
per ciò che sono:<br />
"Voglio un mondo [...] che abbia paura e rispetto per<br />
le sue origini animali. [...] Voglio in una purezza<br />
classica, in cui le feci siano feci e gli angeli siano<br />
angeli." (Primavera, p. 693)<br />
La polarità del reale fa sì che il materiale e lo spirituale convivano<br />
senza escludersi ma anzi completandosi. In questo modo lo spirituale<br />
viene condotto a riacquistare contatto con la materia del mondo, con<br />
la concretezza della carne e dei suoi bisogni, ed in questo modo<br />
ritrova il proprio senso come "filigrana" del reale, come ciò che dà un<br />
senso agli eventi della vita. Quanto al materiale, esso conquista una<br />
pari dignità di rappresentazione: anche la carne, il corpo e le visceri<br />
vengono riconosciuti ed acquistano uno spazio espressivo.<br />
Di fronte ad una realtà di questo tipo, due sono le reazioni possibili: la<br />
prima è il rifiuto, l`esclusione dalla immagine del mondo di aspetti<br />
considerati triviali, osceni, degradanti. La seconda, ed è la reazione di<br />
Miller, è l'accettazione totale; essa rappresenta un cedere al mondo<br />
così com'è, un lasciarsi andare alla corrente della vita con i suoi alti e<br />
203
assi, senza trovare in questo contraddizione. La complessità<br />
dell'esistenza trascende le possibilità umane di racchiuderla in una<br />
definizione o in un'immagine onnicomprensiva. L'esperienza è fatta di<br />
razionalità e di caos: vedere in essa solo una serie ordinata e sensata di<br />
fenomeni significa occultare la verità, costruire una immagine del<br />
mondo funzionale ai propri desideri ma falsa in quanto unilaterale,<br />
proiezione della volontà di potenza della ragione. Gli sforzi<br />
dell'intelletto per comprendere la realtà nelle proprie categorie, per<br />
Miller, non cancellano quelle zone oscure che sfuggono ai tentativi<br />
dell'uomo di stabilire un ordine e una logica. Di fronte al mondo,<br />
allora,<br />
"non dobbiamo fermarci a riflettere, confrontare,<br />
analizzare, possedere, ma fluire, fluire senza fine,<br />
come la musica. Questa è la virtù di chi si arrende" 40<br />
Il sentimento dell'accettazione ci porta al grande tema milleriano della<br />
"fluidità delle cose". Così scrive in Tropico del Cancro:<br />
"Sì, dicevo a me stesso, anch`io amo tutto ciò che<br />
scorre: fiumi, fogne, lava, sperma, sangue, bile,<br />
parole, frasi. [...] Amo tutto ciò che scorre, tutto ciò<br />
che ha in sé tempo e divenire, che ci riporta al<br />
principio dove non c`è mai fine: la violenza dei<br />
profeti, l'oscenità che è estasi, la saggezza del fanatico<br />
[...] Il grande desiderio incestuoso è scorrere<br />
all`unisono col tempo [...] Un desiderio fatuo,<br />
suicida, reso stitico dalle parole e paralizzato dal<br />
pensiero" (Cancro, p. 271)<br />
La realtà è un continuo divenire, come lo scorrere di un fiume. Le<br />
acque portate dal movimento cambiano, ma il movimento del loro<br />
fluire è sempre lo stesso e permane oltre il loro mutamento. La legge di<br />
un eterno farsi e disfarsi delle cose regola la vita del cosmo, secondo<br />
Miller: tutto passa, tutto scorre, i fiumi, il sangue, così come le parole<br />
40 - H. Miller, The Smile at the Foot of the Ladder, New York, Duell, Sloane &<br />
Pearce, 1948 (ediz. italiana consultata Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli,<br />
1992 [quarta edizione], pp. 76-7).<br />
204
e le civiltà. Tutta la realtà è animata dal principio vitalistico del divenire:<br />
le immagini del "flusso" ci riportano al principio stesso della vita, che è<br />
la dialettica eterna di nascita e morte. Il permanere del "flusso" oltre le<br />
cose che esso trascina con sé indica la presenza di un valore stabile, di<br />
una forza che è sempre presente e che sopravvive alle infinite morti<br />
che costellano la storia dell`umanità. L'accettazione qui diventa il<br />
"grande desiderio incestuoso" di lasciarsi andare alla corrente, di farsi<br />
trascinare da questa energia vitale. Questo farsi trascinare ha un<br />
riflesso, un simbolo, nel gusto milleriano per il magma verbale, per gli<br />
elenchi, per il flusso di immagini che sembrano sgorgare<br />
spontaneamente e senza possibilità di controllo. Scrivere significa<br />
correre dietro a questa "eruzione" di parole, e la penna diventa un<br />
tramite impotente tra le idee e la pagina, strumento per l'oggettivazione<br />
del flusso in immagini:<br />
"amo le parole degli isterici e le frasi che si riversano<br />
come dissenteria e rispecchiano tutte le immagini<br />
morbose dell'animo; amo tutti i grandi fiumi come il<br />
Rio delle Amazzoni e l'Orinoco [...] Amo tutto ciò<br />
che scorre [...] Amo gli scritti che scorrono, siano<br />
essi ieratici, esoterici, perversi, polimorfi, o<br />
unilaterali." (ibidem, p. 271) 41<br />
Le parole sono come le acque di un fiume, e scorrono<br />
incessantemente senza che il loro movimento possa essere frenato:<br />
all'artista resta l'umiltà di riconoscere questa forza e di farsene<br />
strumento.<br />
Qui ci sono diversi punti di contatto con Spengler: oltre all'idea dello<br />
stile come ispirazione, come parola che si trascrive sulla pagina, c'è in<br />
Miller come in Spengler l'idea di un ciclo eterno di morte e rinascita<br />
alla base della vita del cosmo, e c'è anche la fiducia in una forza, la<br />
"vita", che permane oltre questo destino di morte. Spengler parla di<br />
"divenire", Miller di "scorrere", e il ricorso ad immagini simboliche<br />
analoghe tradisce una affinità concettuale di fondo. In Miller è il fiume<br />
(immagine eraclitea) che simboleggia un moto eterno. L'immagine del<br />
41 - Per questa idea dello stile milleriano come "magma verbale" vedi Guido Almansi,<br />
L'estetica dell'osceno, cit., p. 231.<br />
205
lento fluire della Senna chiude Tropico del Cancro ad indicare che la<br />
vita continua oltre il Cancro:<br />
"Così quieta scorre la Senna che quasi non ti accorgi<br />
della sua presenza. È sempre lì, tranquilla e discreta,<br />
come una grande arteria che scorre nel corpo<br />
dell`uomo [...]<br />
Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre<br />
dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima<br />
mutevole. Le colline gli fan dolce corona; il suo corso<br />
è stabilito." (ibidem, p. 333)<br />
Le acque del fiume sono come il sangue che scorre inavvertito<br />
attraverso vene e arterie del corpo umano. È un'immagine pressoché<br />
identica a quella che troviamo in Primavera nera:<br />
"il fiume che curva e serpeggia, la distesa dei colli che<br />
racchiudono la valle, il continuo mutamento del<br />
panorama e tuttavia la sua costanza, la varietà e il<br />
movimento della vita sotto il segno fisso del tricolore,<br />
tutto questo è la storia della Senna che mi scorre nel<br />
sangue e si riverserà nel sangue di quelli che verranno<br />
dopo di me" (Primavera, p. 681)<br />
La Senna è la vita, ed anche Miller si sente un organismo vitale ed una<br />
realtà che "scorre": il movimento delle acque del fiume scorre parallelo<br />
a quello della sua bicicletta, i due moti si compenetrano e si fanno<br />
immagine del vitalismo della natura. Uomo e natura ritrovano il loro<br />
legame nel momento in cui il simbolismo della Senna li unisce nel<br />
flusso comune della vita.<br />
In Spengler ritroviamo accenti analoghi. Sempre un'immagine<br />
eraclitea (il fuoco), sempre l'idea di un moto eterno ed incessante,<br />
come una combustione perenne. Alla base della sua filosofia della<br />
storia, come dell'opera di Miller, sta un fondamento stabile, la "vita"<br />
appunto, che spiega le dinamiche della realtà e che costituisce una<br />
garanzia sul futuro dell'uomo.<br />
206
V. 6. 3. I simboli della vita<br />
Ora abbiamo una chiave interpretativa per scorgere il significato delle<br />
immagini di Tropico del Cancro. Uno dei primi simboli che<br />
incontriamo è quello del cibo: "Mangiare è una delle cose che mi<br />
piacciono enormemente" (Cancro, p. 8). Più avanti si legge:<br />
"- La vita - dice Emerson - è fatta di ciò che l'uomo<br />
pensa tutto il giorno - Se è così, allora la mia vita<br />
non è altro che un enorme intestino. Tutto il giorno io<br />
non penso ad altro che al cibo; non solo: me lo sogno<br />
di notte. " (ibidem, p. 77)<br />
Il cibo è un elemento primario, un'esigenza "naturale" dell'uomo: è<br />
l'alimento del corpo, è ciò che sostiene la carne e la materia stessa<br />
dell`uomo, immagine della vita perché è ciò che la perpetua e ne<br />
rappresenta la ricchezza e pienezza. È un simbolo che ricorre spesso<br />
nei romanzi di Miller e dove possiamo ritrovare un'ulteriore<br />
testimonianza del suo gusto per il magma verbale 42. L'immagine del<br />
cibo presenta una complessa articolazione di significati: indica una<br />
fame di vita, di autenticità, ma anche il desiderio di immettere linfa<br />
nuova e reale nell`arte, di ridonarle energia stante l'aridità e<br />
l'intellettualismo della "letteratura" contemporanea:<br />
"Bisogna intrufolarsi nella vita per metter su carne. Il<br />
mondo deve diventare carne; l'anima ha sete. Su<br />
qualunque crosta mi si fermi l'occhio, io voglio<br />
piombarci sopra, e divorare. [...] Erompe l'alba su un<br />
mondo nuovo, una giungla in cui gli spiriti magri<br />
vagano con artigli aguzzi. Se io sono una iena, sono<br />
una iena magra e affamata: vado a ingrassarmi."<br />
(ibidem, p. 108)<br />
Abbandonarsi all'illusione di onnipotenza dell'intelletto significa<br />
perdere il contatto con la vita, con l'origine e abbandonarsi ad una<br />
42 - "Elsa telefona ancora, ha dimenticato di ordinare un pezzo di pancetta: -Si, un bel<br />
pezzo di pancetta, non troppo grassa - dice...Zut alors ! Mettici anche qualche animella,<br />
mettici coglioni di toro e, pssst, dei mitili ! Mettici anche un po' di leberwurst fritto, già<br />
che ci sei; sarei capace di ingozzarmi tutte le mille e cinquecento commedie di Lope de<br />
Vega in una volta sola" (ibidem, p. 36).<br />
207
decadenza perenne e senza uscita. Ma se si riesce a ridare spazio alla<br />
"voce della carne", allora possono aprirsi spazi all'azione:<br />
"Le idee devono sposarsi all'azione; se in loro non vi<br />
è sesso, non vita, non c`è azione. Le idee non<br />
possono esistere da sole nel vuoto del pensiero. Le<br />
idee sono in rapporto con la vita: idee di fegato, idee<br />
di reni, idee interstiziali ecc... [...] L'estetica dell'idea<br />
produce vasi di fiori e i vasi di fiori si mettono alla<br />
finestra. Ma se non c`è né pioggia né sole a che serve<br />
mettere i fiori fuori dalla finestra ?" (ibidem, p. 255)<br />
Le idee non crescono nel vuoto, sono concrezioni del sangue, della<br />
bile, dei succhi gastrici, hanno bisogno di acqua e sole per maturare.<br />
Sono organismi che vogliono vivere, vogliono agire, altrimenti<br />
appassiranno come fiori senza pioggia.<br />
L'accento sull'agire, l'ostilità alle idee astratte e senza concretezza,<br />
l'attacco al pensiero intellettualizzato e senza radici, sono tutti elementi<br />
che troviamo anche in Spengler. Allo stallo della civiltà cittadina,<br />
dominata dalla figura dell`intellettuale da metropoli, si reagisce col<br />
ritorno alla radice del senso della vita, col ritorno alla terra, al sangue,<br />
alla razza ed alla storia, o, nei termini milleriani, alla carne ed al sesso.<br />
Possiamo cogliere questa dinamica attraverso le evoluzioni che Miller<br />
fa compiere all'immagine dell"oro" (ibidem, pp. 256-7). Dapprima<br />
esso sta ad indicare un parametro di giudizio della civiltà<br />
contemporanea: la letteratura ha sempre "base aurea", si fonda cioè su<br />
idee astratte e lontane dalla realtà. Superare questa base significherà<br />
"raffigurare un essere presocratico", "erigere un mondo basato<br />
sull'omphalos, non un`idea astratta inchiodata a una croce" (ibidem, p.<br />
256). A questo punto, l'immagine da puramente negativa si rovescia e<br />
l'oro diventa nuovamente simbolo della ricchezza, ma non quella<br />
fondata sul denaro, bensì la ricchezza di una natura pienamente<br />
umana. Scoprire l`oro significa così ritrovare nelle visceri dell'uomo la<br />
radice di ogni simbolismo insito nelle forme create dall'uomo:<br />
"Bisognerà riscavare tutto l'oro sepolto nelle tasche<br />
della terra; e tutto questo simbolismo bisognerà di<br />
nuovo tirarlo fuori dalle viscere dell'uomo." (ibidem,<br />
p. 257)<br />
208
L'oro diverrà allora una vita che riacquista significato a partire dalla sua<br />
realtà più viscerale, più concreta e profonda.<br />
I più importanti simboli della vita sono il "sesso" e l'immagine che<br />
tradizionalmente più lo incarna, la "donna". Questo tema, che è il<br />
Leitmotiv dell'intera produzione milleriana, si connette al motivo del<br />
fluire e dello scorrere, e con la sua ricca articolazione ci consente di<br />
farci una idea più chiara di concetti come "vita", "flusso" e "divenire".<br />
Il sesso è una forza creatrice: crea un proprio mondo, fissa rapporti e<br />
legami che annientano ogni ordine precedente. È un potere eversivo<br />
che supera le distinzioni operate dalla storia perché il suo linguaggio ha<br />
radici anteriori a quelle; costruisce dalla fondamenta, è il fondamento<br />
dell'esistenza come riproduzione della specie ma soprattutto come<br />
creazione del legame tra sé e l'altro. Di fronte al sesso l'uomo torna ad<br />
una nudità che non è solo corporea ma anche ideale, torna alla propria<br />
primitività e riscopre la sua essenza profonda occultata dalle<br />
sovrastrutture intellettuali.<br />
Alla nudità si connette il significato dell"osceno" in Miller: l'osceno è<br />
una violazione dell`ordine sociale, la sua sostituzione con un ordine<br />
più antico, quel macrocosmo naturale. Tramite l'osceno, l'arte<br />
rappresenta l'uomo nella sua condizione originaria, "presocratica",<br />
precedente ad ogni ulteriore distinzione operata dalla ragione:<br />
"La violenza, negli atti o nelle parole, è una forma<br />
invertita di preghiera. [...] Qualunque cosa richieda<br />
un trattamento radicale richiede Dio, e sempre<br />
attraverso qualche forma di morte o annientamento.<br />
Ogni qualvolta affiora l'osceno, si sente l'odore della<br />
morte imminente di una forma." (Ricordati di<br />
ricordare, cit., p. 251)<br />
"Se c'è qualcosa che merita di essere chiamato<br />
'osceno' è quest'obliquo, indiretto confronto coi<br />
misteri, questa passeggiata fino al ciglio dell'abisso"<br />
(ibidem, p. 252)<br />
L'osceno è la sacralità dell'uomo, lo richiama all'abisso della sua<br />
essenza ed al mistero della vita; si lega alla violenza, quella violenza che<br />
abbiamo trovato spesso in Miller, e che qui mostra il proprio<br />
209
significato: essa è una preghiera, è l'annullamento radicale, la morte che<br />
preclude ad una nuova vita. La violenza non ammette sfumature: o vita<br />
o morte, le posizioni sono radicali. La violenza e l'oscenità del sesso<br />
milleriano precludono alla nascita di una nuova forma di eros, un eros<br />
"totale", senza esclusioni, un eros come completa accettazione della<br />
pienezza della Vita.<br />
Questo senso dell'eros fa luce su un altro aspetto decisivo dell'idea<br />
milleriana del sesso: il suo potere spersonalizzante, la sua capacità di<br />
trasformare due polarità distinte in pedine di un flusso vitale che le<br />
sovrasta, le domina, le piega alle proprie leggi. In Il mondo del sesso si<br />
legge:<br />
"L'amore è il dramma del completamento,<br />
dell'unificazione. Personale e illimitato, conduce alla<br />
liberazione dalla tirannia dell'ego. Il sesso è<br />
impersonale" (Il mondo del sesso, cit., p. 53)<br />
Uomo e donna diventano strumenti di un'energia che li attraversa e li<br />
muove, senza che essi possano farsene soggetti. L'immagine dell'eros<br />
milleriano ricalca quella dell'arte perché mostra un'identica<br />
spersonalizzazione volta a garantire un fondamento oggettivo ed<br />
essenziale, qui al significato della sessualità, là al valore delle forme<br />
artistiche; strappando l'eros alla soggettività lo si sottrae al pericolo<br />
dell'arbitrario, del non-necessario, e lo si fonda come manifestazione<br />
primordiale della natura umana. Nell'eros uomo e donna si fondono in<br />
una totalità organica e creano una nuova realtà, un nuovo modo di<br />
essere nel mondo: il sesso diventa una vera e propria potenza<br />
cosmogonica, dove l'infinita varietà dei rapporti soggiace ad una<br />
medesima legge primordiale.<br />
Ma il sesso può anche essere l'esperienza più avvilente per l'uomo. È<br />
il sesso dei Boris e dei Van Norden, la copula meccanica e disanimata<br />
dove l'eros rappresenta il corrispettivo organico del meccanicismo<br />
della società tecnologica 43. Il sesso diventa così l'immagine del mondo<br />
della tecnica, il suo simbolo più evidente. La macchina sottrae<br />
43 - Questa era la critica che Ernst Junger muoveva a Miller: "il sesso viene<br />
contrapposto alla tecnica. [...]" ma in realtà "in sesso non contrasta con i processi<br />
tecnici, è anzi il loro corrispettivo nell'ambito organico" (Ernst Junger-Martin Heidegger,<br />
Oltre la linea, Milano, Adelphi, 1989, p. 97).<br />
210
all'uomo la sua essenza e lo allontana dalla vita ottundendolo con la<br />
ripetitività dei comportamenti che impone. È qui che il sesso mostra<br />
tutta la sua negatività, la monotonia, la volontà di sopraffazione, il<br />
vuoto di significato, la brutalità, la violenza; diventa una macchina cui<br />
manca la mano del meccanico:<br />
"Poiché manca quella scintilla di passione, non c'è<br />
significato umano nell'accoppiamento. È meglio<br />
guardare una macchina. E questi due sono come una<br />
macchina con gli ingranaggi slogati. Ci vuole il tocco<br />
dell'uomo per rimetterla in sesto. Ci vuole il<br />
meccanico." (Cancro, p. 154)<br />
I termini guerreschi e meccanici che descrivono questa sessualità<br />
inorganica mostrano la completa mistificazione dell'eros e la perdita<br />
del suo mistero. Lo svuotamento di senso della civiltà si riflette nel<br />
vuoto dell'atto sessuale, che, venuta meno la "scintilla", si affida ad<br />
uno schema ripetitivo per nascondere la perdita di contatto dalla vita.<br />
Il "mondo del sesso" deve essere invece immagine della sacralità<br />
dell'eros. Il sesso ha bisogno di un motivo, fosse anche una voglia<br />
animale e carnale; anche una sessualità dettata esclusivamente da<br />
un'attrazione animale è meglio del sesso meccanizzato. Quando l'eros<br />
è così attivato, allora la "morte dell'automa" è sancita ed il sesso<br />
diventa un'esperienza di liberazione, la rivelazione del potere<br />
cosmogonico dell'unione tra uomo e donna.<br />
Tropico del Cancro voleva attuare una "liberazione" dal mondo<br />
artificiale dell'uomo. Paradossalmente, l'uomo deve morire al mondo<br />
per giungere alla vita. L'epoca vuole soluzioni violente, dinamitarde,<br />
esplosioni; il torpore dell'uomo potrà essere scosso solo dal sapore<br />
forte del sesso. Forte perché è l'aroma della nascita, di quanto di più<br />
denso possa esistere. Il sesso diventa lo strumento, dell'uomo come<br />
dell'artista, per liberarsi dal giogo della "macina da mulino" e per<br />
tornare alle fonti di senso, per restaurare il legame tra l'uomo e il<br />
mondo. Il sesso non è più genitale ma metafora di una condizione<br />
esistenziale di primitività, di naturalità, di recupero dell'infanzia e<br />
dell'innocenza perduta. Se il mondo è una serie di cassetti, come<br />
nell'immagine di Moldorf, dove ogni cosa è etichettata con nome,<br />
luogo e data, il sesso rimane il terreno del mistero: mistero, perché<br />
211
non comprensibile dalla ragione, mistero perché racchiude in sé<br />
energie e potenzialità da esplorare.<br />
Quando l'eros è passione autentica, ogni copula è diversa dall'altra,<br />
ogni copula è reinvenzione del mondo. L'atto sessuale non ripete mai<br />
sé stesso, ma reinventa continuamente le sue forme, come la Vita.<br />
Nella raffigurazione artistica, ogni copula diventa l'attivazione di un<br />
senso nascosto dell'esistenza. Ecco allora la metafora della<br />
penetrazione come attraversamento di una città:<br />
"Quando sventolava la bandiera, era rossa giù fino in<br />
fondo, fino in gola. Entravi da boulevard Jules Ferry<br />
e uscivi da porte de la Villette." (ibidem, p. 12)<br />
Qui la penetrazione viene assimilata ad un viaggio, ad un percorso di<br />
conoscenza; l'utero dilata le sue dimensioni a quelle di una città e di un<br />
mondo che è infinito da esplorare. Altrove, la figura di una prostituta,<br />
Germaine, diventa immagine della corrente della Vita:<br />
"Tutti gli uomini con cui è stata e ora tu, proprio tu, e<br />
le chiatte che passano, alberi e scafi, tutta la<br />
maledetta corrente della vita che fluisce in te, in lei, in<br />
tutti quelli che ci son stati prima di te, dopo di te, i<br />
fiori e gli uccelli e il sole che inonda e la sua fragranza<br />
che ti soffoca, ti annulla." (ibidem, pp. 50-1)<br />
L'utero è un punto di partenza ma anche un punto d'arrivo, secondo il<br />
movimento circolare della Vita che ritorna sempre alle proprie origini<br />
per perpetuarsi; è il perno immobile di questo movimento. L'utero è<br />
come uno zero, ma<br />
"non lo zero su cui Van Norden volse la sua luce, non<br />
il cretto vuoto dell'uomo prematuramente disilluso,<br />
ma piuttosto uno zero arabico, il segno da cui<br />
balzano interminabili mondi matematici, il fulcro che<br />
tiene in equilibrio le stelle e i sogni leggeri e le<br />
macchine più leggere dell'aria e le membra leggere e<br />
gli esplosivi che le han prodotte." (ibidem, p. 261)<br />
Il sesso è scaturigine dell'infinità dei mondi possibili, come una chiave<br />
che consenta di penetrare in un mondo di verità che l'uomo ha dentro<br />
212
di sé. Se qualcuno osasse portare alla luce questa realtà, cadrebbe ogni<br />
"sovrastruttura", che è sempre "menzogna" fondata su "una paura<br />
trepidante" (ibidem, pp. 261-2). Il mondo si regge su forme decrepite,<br />
e basterebbe un solo sguardo al mistero del sesso o dell"osceno" per<br />
farlo crollare. Fondando una vera e propria "estetica dell'osceno",<br />
Miller indica nella copula e nella sua raffigurazione artistica l'elemento<br />
che può scuotere l'uomo, perché l'artista sa dove collegarsi per trovare<br />
la corrente elettrica del sesso. La presa è nelle interiora, nelle viscere<br />
dell'uomo, nella sua parte più carnale e più prossima alla sua ancestrale<br />
animalità:<br />
"egli mette il filo con la corrente lì tra le gambe;<br />
colpisce sotto la cintura, brucia le interiora. [...]<br />
Innesta la sua dinamo alle parti più tenere: anche se<br />
ne esce solo sangue e pus, è già qualcosa. [...] Se<br />
rimane solo una ferita aperta, deve sgorgare, anche<br />
per non produrre altro che blatte e pipistrelli e<br />
omuncoli." (ibidem, p. 263)<br />
Questo contatto con la vita ha salvato Miller dal seguire la sorte dei<br />
"facchini in livree di gesso che aprono le mascelle dell'inferno", lo ha<br />
salvato dalle "fauci zannute delle macchine" e della metropoli:<br />
"Io ero un uomo con corpo e anima, avevo un cuore<br />
non protetto da una volta d'acciaio. Avevo momenti<br />
di estasi e facevo faville, quando cantavo. Cantavo<br />
dell'Equatore, delle gambe di lei dalle piume rosse e<br />
delle isole che scompaiono alla vista" (ibidem, p.<br />
264)<br />
L'immagine della donna, simbolo della vita, trasforma l'immagine del<br />
mondo: esso diventa un grande organismo vivente, un "enorme utero"<br />
in continua germinazione. E' una produzione incessante di forme,<br />
piante, animali, uomini, civiltà, un mondo animato in ogni sua parte dal<br />
pulsare della Vita, che lo attraversa come la corrente della Senna<br />
attraversa la città, scorrendo attraverso i secoli e nel sangue di ognuno.<br />
Il futuro è nelle mani di chi mantiene il contatto con l'origine. Il futuro<br />
è di Matisse e della sua arte nella quale "erompe il colore della vita, in<br />
canto e in poesia"; con Matisse si ha la sensazione "di essere immerso<br />
nel plesso medesimo della vita", di scorgere "dietro le quisquilie, il<br />
213
caos, la beffa della vita" il "modulo invisibile", il "pigmento<br />
metafisico" della realtà. Anche in un mondo che va a pezzi "c'è un<br />
uomo che rimane al nocciolo", e questo nocciolo ha connotati<br />
sessuali, "vibra di chiari, ansanti orgasmi" ed è "denso di sperma<br />
stagnante" (ibidem, pp. 173-177) 44. La ricchezza cromatica e la ricerca<br />
formale di Matisse diventano i simboli di un'arte che non si nega nulla<br />
della ricchezza dell'esistenza perché mira a rappresentarla<br />
integralmente, come totalità.<br />
Il futuro è dell'Oriente, dell'India 45 che deve lottare contro il virus<br />
diffuso dall'America, "l'ossessione del tempo, la marcia inarrestabile<br />
dell'orologio" (ibidem, p. 103); l'Oriente è il simbolo di una intatta<br />
purezza spirituale che deve resistere al modello di progresso offerto, o<br />
meglio imposto, dall'Occidente 46, rappresentato dall'America,<br />
"incarnazione medesima della dannazione" (ibidem, p. 103).<br />
Il futuro, soprattutto, è della donna, accostata da Miller all'Oriente<br />
come simbolo di una natura umana intatta 47. La donna è il simbolo del<br />
sesso e della forza della natura: sotto le sue molteplici incarnazioni<br />
(Mona, Una Gifford, Germaine, Llona, Irene, Claude) resta l'archetipo<br />
della Donna Madre, culto di popoli primitivi. E' la donna depositaria<br />
del mistero della nascita, donna come valore eterno e come garanzia<br />
44 - In Tropico del Cancro la digressione su Matisse occupava diverse pagine (Cancro,<br />
pp. 173-177). Era un pezzo cui Miller teneva molto (lo mantenne nell`edizione definitiva<br />
del romanzo nonostante le insistenze degli amici perché lo togliesse), come simbolo di<br />
speranza per il futuro del mondo e per le possibilità dell'arte. Scrive infatti Erica Jong:<br />
"Da cima a fondo Tropico del Cancro è una digressione contro il potere della morte.<br />
Gli artisti che Miller ammira - Matisse, Proust - sono anche quelli in cui scorge un<br />
grande spirito antimorte." (E. Jong, Il diavolo fra noi, cit., p. 117.)<br />
45 - "In India, mi sembra che non si sia mai stabilita una divisione tra il corpo e lo spirito:<br />
sono sempre stati legati tra loro, e come in Grecia fanno tutt'uno." (Conversazioni, p.<br />
81). Da notare che la Grecia cui si riferisce è, esplicitamente, quella spengleriana, dove<br />
tutto è corpo, e dove il cosmo stesso è un grande corpo con l`uomo come centro<br />
assoluto.<br />
46 - Vedi anche il saggio 'Of art and the future': "Lo scontro tra Oriente e Occidente<br />
sarà come un matrimonio delle acque; quando infine la nuova terra apparirà, vecchia e<br />
nuova terra saranno indistinguibili. Il fondamento dell'umanità è in Oriente." ("The clash<br />
of East and West will be like a marriage of the waters; when the new dry land<br />
eventually appears the old and the new will be indistinguishable. The human fundament<br />
is in the East.", Art, p. 154).<br />
47 - Vedi Capitolo III.6., pp. 113-118.<br />
214
del perpetuarsi della legge del divenire; è lei ad alimentare il flusso della<br />
vita.<br />
Riconducendo il simbolo della donna all'elemento del "divenire", il<br />
legame con Spengler diventa evidente, e conferma quell'affinità che era<br />
già emersa esplicitamente in The World of Lawrence 48, non a caso<br />
contemporaneo alla stesura di Tropico del Cancro. Germaine è la<br />
dinamicità dell'esistenza, la corrente del divenire che, come una forza<br />
impersonale e irrefrenabile, travolge ogni difesa dell'individuo e lo<br />
trascina nel suo flusso. Le successive identificazioni tra l'eros e la<br />
donna, tra questa e la corrente della Senna e tra il fiume e il flusso<br />
vitale, connettono la donna al principio della Vita e ne fanno il simbolo<br />
più espressivo. Lo stesso senso emerge, ne Il Tramonto<br />
dell'Occidente, dall'identificazione tra donna e storia: l'uomo "fa" la<br />
storia, la donna "è" la storia, "la storia eterna, materna, vegetale [...] la<br />
storia senza civiltà della mera successione delle generazioni"<br />
(Tramonto, p. 1132).<br />
Il rapporto tra Miller e Spengler si era aperto all'insegna della<br />
catastrofe: li univa una comune profezia di sventura ed una sinistra<br />
fama di "pessimisti", e nel caso di Spengler si era parlato anche di<br />
"menagramo". Il rischio più grande nel tratteggiare i contorni delle<br />
affinità tra i due era l'appiattimento sul versante della decadenza,<br />
suggestivo e importante ma parziale. I simboli del "tramonto" e del<br />
"cancro", infatti, celavano anche una positività che andava mostrata, in<br />
quanto forma la sostanza stessa di quelle immagini e del pensiero che a<br />
partire da quelle si costruisce. Scandagliare gli abissi, gli "acquai<br />
putridi delle civiltà" significava portare a compimento un destino e<br />
contemporaneamente aprirne uno nuovo. Il procedimento di Miller e<br />
Spengler non è un'anarchica e nichilistica distruzione dei valori del<br />
mondo, quanto una presa di posizione etica, volta a rifondare la civiltà<br />
sulla base dei suoi fondamenti naturali e più elementari; la decadenza<br />
dell'occidente chiude una storia ma ne apre anche un'altra, alla luce,<br />
soprattutto, di una storia più grande che attraversa le forme di civiltà<br />
costruite dall'uomo. L'accostamento di Henry Miller e Oswald<br />
Spengler si chiude su questa immagine solare della donna come Vita.<br />
48 - Vedi Capitolo III.6., pp. 113-118.<br />
215
Si può vedere in questo simbolo l'origine di due percorsi che saranno<br />
spesso divergenti, ma che comunque procedono da uno stesso<br />
fondamento positivo.<br />
CONCLUSIONI<br />
APPENDICE<br />
Per il libro su D.H. Lawrence, Miller aveva preparato una grande<br />
quantità di appunti, di indici, di schemi e diagrammi. Centinaia di<br />
pagine contenute in diversi quaderni manoscritti, che testimoniano il<br />
suo impegno nella comprensione dell'universo lawrenciano, ed al<br />
contempo la difficoltà e le incertezze di questo percorso. L'uso di<br />
mappe esplicative, di diagrammi o di rappresentazioni figurative era<br />
molto comune in Miller, che ne tappezzava la scrivania e le pareti dello<br />
studio. Identico procedimento ritroviamo negli appunti per Plexus 1 : lì<br />
il disegno è quello di un sole, dove Rensen Street è il fulcro circolare<br />
1 - Vedi l'illustrazione n. 2, riprodotta in Writing, p. 168..<br />
216
dal quale partono i raggi, cioè le vicende e i personaggi che si<br />
sprigionano, quasi per evocazione, dal nome della strada newyorkese.<br />
Questo procedimento, se può essere fatto rientrare in quella tendenza<br />
alla raffigurazione visiva testimoniata dalla passione per l'acquarello 2 ,<br />
ci mostra però anche la fascinazione milleriana per le rappresentazioni<br />
simboliche. Il senso di questa passione è il tentativo costante di una<br />
rappresentazione onnicomprensiva della realtà, lo sforzo di<br />
comprendere l'esistenza e le sue contraddizioni in una immagine<br />
complessiva, dominabile con un solo sguardo. Sentimento, per inciso,<br />
che ritroviamo anche nella "prospettiva dell'aquila" di Spengler.<br />
Espressioni entrambe di un pensiero che si fonda più sulle capacità<br />
d'intuizione di una immagine che sulla consequenzialità rigorosa dei<br />
concetti.<br />
L'illustrazione n. 1 riproduce un disegno approntato da Miller durante<br />
la stesura di The World of Lawrence 3. Attraverso il simbolo<br />
dell'albero 4 , che è qui "albero della vita", lo scrittore americano<br />
sintetizza la propria visione del mondo, sulla scorta della lettura di<br />
Lawrence.<br />
L'albero rappresenta, nella forma e nella fisiologia, il movimento della<br />
vita. Alla radice c'è la madre terra ("mother earth"), l'utero ("womb"),<br />
che è origine ma anche fine ("grave", tomba) di ogni cosa. E' l'humus<br />
da cui comincia la vita ed a cui la vita ritorna, con la morte. Da questo<br />
seme partono le radici, che sono il flusso vitale ("life stream"), e che<br />
generano il microcosmo, cioè l'uomo. Al suo opposto, in alto, stà il<br />
macrocosmo, il clima mentale ("mental climate"), l'ideologia come<br />
"restaurazione di una unità perduta", "quella del sé con il cosmo"<br />
("restauration of a lost unity" "of the self with the cosmos"), come<br />
raggiungimento dell'armonia tra l'uomo e la sua essenza spirituale. La<br />
stessa polarità tra microcosmo e macrocosmo fonda la struttura<br />
2 - Henry Miller cominciò negli anni Trenta a coltivare questa passione, che per un<br />
breve periodo divenne dominante. In alcuni casi la vendita di acquarelli lo aiutò a<br />
sopravvivere. Raggiunta la celebrità fece anche delle mostre dei suoi lavori, ed alcuni<br />
sono raccolti in H. Miller, L'angelo è la mia filigrana, Milano, il Saggiatore, 1961.<br />
Leggendo il suo programma di lavoro degli anni 1932-1933, troviamo, accanto ai piani<br />
di scrittura, anche un "painting program", un programma di pittura.<br />
3 - L'illustrazione è riprodotta in Lawrence, p. 2.<br />
4 - Questa immagine, presente in quasi tutte le mitologie, ricorre spesso in Miller.<br />
217
portante de Il Tramonto dell'Occidente. Altra polarità è quella tra<br />
forma ("form") e mondo ("world"), tra le strutture create dall'uomo ed<br />
il flusso della vita del cosmo, che non si lascia congelare in schemi.<br />
Anche qui abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra<br />
forme al tramonto e forme vitali, tra "Zivilisation" e "Kultur", tra le<br />
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come spengleriano<br />
è quel richiamo al destino ed alla storia della razza ("History of race.<br />
The time spirit. Destiny"), che nella figura compare in basso a destra.<br />
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che costruisce<br />
l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che simboleggia la fede<br />
religiosa ("religious faith"), fede nella realtà spirituale dell'uomo e<br />
nell'essenza metafisica della realtà. Essa permette la crescita dell'istinto<br />
vitale ("vital instinct of life"), che si concretizza nel "sacred body", nel<br />
corpo sacralizzato: lo spirito non è qualcosa di separato dal corpo, ma<br />
proprio nella dimensione del corpo trova il proprio inveramento. Ed è<br />
proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale<br />
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla<br />
ideologia ed ai cieli del macrocosmo: la scoperta dello spirito passa<br />
attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami dell'albero, verso il<br />
mondo delle idee (a destra) e verso il mondo dell'arte (a sinistra).<br />
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza<br />
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della vita.<br />
La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il basso: è il<br />
concetto di morte creativa ("creative death"). Osserviamo la parte<br />
sinistra del disegno, poco sopra il livello del suolo: "the whole form of<br />
our world mustys", cioè l'intera forma del nostro mondo avvizzisce.<br />
Questo sentenzia il "Profeta del Fato" ("Prophet of the Doom"),<br />
probabilmente lo stesso Spengler. La morte delle vecchie forme è però<br />
creativa, e nel disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare<br />
via i rami secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere<br />
di nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita<br />
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre<br />
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento<br />
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E' l'ennesima<br />
immagine del monismo milleriano, che fa sì che opposti quali vita e<br />
morte, creazione e distruzione possano coesistere in una immagine<br />
ciclica del movimento della vita; ed anche qui la vicinanza alla filosofia<br />
218
di Spengler, allo svolgersi della storia secondo lo schema di una<br />
ciclicità naturale, appare evidente.<br />
In conclusione, l'immagine che il disegno ci offre, attraverso la<br />
simbologia dell'albero della vita, è quella di una realtà naturale fondata<br />
su opposti o quantomeno su realtà parallele, sincroniche: microcosmo<br />
e macrocosmo, utero e cieli, forma e mondo, realtà e metafisica,<br />
nascita e morte, morte creativa e morte non-creativa. Le opposte<br />
polarità però li tengono uniti, in un serrato rapporto dialettico che<br />
forma la realtà. Ecco allora la raffigurazione sintetica, l'immagine<br />
simbolica della pianta, che, pur diramandosi in ogni direzione, trova un<br />
elemento originario di coesione nell'essere attraversata senza soluzione<br />
di continuità dalle linee del flusso vitale, veri e propri canali linfatici<br />
dell'organismo macrocosmico.<br />
ILLUSTRAZIONE N. 1<br />
219
ILLUSTRAZIONE N. 2<br />
220
CONCLUSIONI<br />
La ricerca di affinità e di prospettive comuni tra Miller e Spengler era<br />
partita da un serie di difficoltà oggettive: nessun precedente nella<br />
bibliografia critica, scarsità di riferimenti diretti dell'uno all'altro, il<br />
tutto complicato dalla direzione univoca della riflessione (da Miller a<br />
Spengler e non viceversa). Uno sguardo superficiale ai testi, poi,<br />
poteva lasciare l'impressione che una certa affinità fosse pur presente,<br />
ma che si mantenesse sostanzialmente su un piano di assoluta<br />
genericità: la polemica nei confronti della civiltà occidentale, così<br />
come la riflessione critica sui disagi del mondo tecnologizzato e<br />
sull'alienazione dell'uomo metropolitano non sono certamente una<br />
caratteristica esclusiva di Miller e di Spengler, e la sintonia tra i due,<br />
che pare evidente nell'accostamento di immagini come il "cancro" e il<br />
"tramonto", poteva risultare vaga oppure casuale, sporadica.<br />
A questo andavano aggiunte le difficoltà dovute al fatto che Miller,<br />
da scrittore preoccupato in primo luogo della resa artistica della sua<br />
opera, non sviluppa una riflessione articolata e puntuale sul testo<br />
spengleriano. Ci sono frequenti riferimenti a Il Tramonto<br />
dell'Occidente nel panorama cospicuo della sua produzione, ma<br />
Miller non si dilunga mai molto in merito, e mostra di dare come per<br />
scontata l'importanza di Spengler e la sua influenza sul proprio lavoro<br />
e sulla propria visione del mondo. Eppure, nonostante la laconicità<br />
dei riferimenti diretti, il nome del filosofo tedesco compare<br />
costantemente tra gli autori che Miller indica come decisivi per la<br />
propria formazione; e questo anche quando la lettura de Il Tramonto<br />
dell'Occidente è cronologicamente e idealmente lontana, e l'orizzonte<br />
dei suoi interessi si è spostato verso forme di pensiero estranee alla<br />
tradizione occidentale.<br />
La prima conseguenza di questo atteggiamento è che i riferimenti a<br />
Spengler sono talvolta deformati e velati da un'enfasi retorica che<br />
rende difficile una valutazione oggettiva. Ciò può rendere complessa<br />
la lettura milleriana de Il Tramonto dell'Occidente, ma è anche vero<br />
che questo entusiasmo va letto come una conferma del grande<br />
interesse per l'opera spengleriana e come testimonianza di un'affinità<br />
profondamente sentita; anche le espressioni di ammirazione e la<br />
216
forma degli elogi tributati possono rivestire una certa importanza nel<br />
determinare i contorni dell'approccio milleriano.<br />
E' proprio partendo dagli aspetti "marginali" che sono venuti<br />
rivelandosi i contorni di una sintonia profonda tra i due intellettuali,<br />
puntuale nell'indirizzo generale della riflessione e nelle sue<br />
articolazioni, anche le più specifiche e particolari; una sintonia che si<br />
riscontra già nell'impostazione del discorso e che si mantiene costante<br />
nel suo sviluppo e, fondamentalmente, anche nelle conclusioni.<br />
Il primo e più immediato elemento di raccordo è stato rilevato in una<br />
certa affinità di stile e di tono: la riflessione di Miller e di Spengler<br />
procede con disinvoltura e a grandi balzi, stabilisce nessi ed analogie<br />
tra fenomeni distanti nel tempo e nello spazio, sovrappone le<br />
immagini di un quadro di Rembrandt con l'architettura musicale di<br />
un'opera wagneriana, salta con disinvoltura dall'ellenismo alla<br />
rivoluzione industriale, da Cesare a Napoleone, da Buddha al<br />
socialismo, da Boccaccio a Whitman. Anche lo stile, pur con le<br />
dovute differenze, presenta tratti comuni, nella plasticità della parola,<br />
nel tono lapidario e apodittico, nel gusto per le immagini evocative e<br />
per una simbologia capace di creare suggestioni.<br />
Parlando de Il Tramonto dell'Occidente, Miller usa espressioni<br />
come "stupendo poema sinfonico morfologico, o fenomenologico",<br />
"poema del mondo", "elisir di vita", "opera immensa in cui si svolge<br />
il panorama del destino umano". Il tono di queste definizioni non<br />
lascia dubbi sul fatto che la lettura milleriana del testo non sia<br />
rigorosamente ortodossa, e venga a tratti offuscata dall'ammirazione<br />
per il filosofo dallo stile brillante e dall'intelligenza tagliente; se questo<br />
approccio comporta il rischio di degenerare in un misticismo<br />
visionario che dissolve la complessità della storia senza risolverla,<br />
tuttavia esso ci mostra come Miller abbia intuito il senso profondo<br />
dell'opera spengleriana.<br />
Questa acuta comprensione ha la sua testimonianza più espressiva<br />
nel fatto che Miller non si ferma all'immagine più evidente e popolare<br />
de Il Tramonto dell'Occidente, cioè al suo aspetto critico e<br />
"negativo". Il tema della decadenza è certamente uno snodo<br />
importante del pensiero spengleriano e rappresenta un punto<br />
d'incontro con la prospettiva milleriana: la sintonia qui è profonda, e<br />
tradisce non solo una comune Weltanschauung, ma anche una<br />
217
puntuale analogia nelle sue articolazioni più particolari: è su questa<br />
traccia che prendono corpo temi come la "macchina", la "metropoli",<br />
la "tecnica", l'"antintellettualismo" e la figura dell'uomo come<br />
"nomade intellettuale"; questi sono i cardini del pensiero di Miller, ed<br />
il percorso di citazioni dell'ultimo capitolo di Plexus ne ha messo<br />
bene in rilievo la derivazione spengleriana. Tuttavia, risolvere il<br />
rapporto tra i due in un confronto sul tema della decadenza<br />
significava appiattire la riflessione e travisarne il senso.<br />
E' quando Miller coglie e mette in luce l'aspetto "positivo",<br />
"affermativo" de Il Tramonto dell'Occidente che emerge con<br />
chiarezza la sua comprensione del senso della riflessione<br />
spengleriana, e si delinea una nuova prospettiva comune, meno<br />
scontata, meno evidente dell'altra ma egualmente importante e<br />
fondata. Immediatamente dopo l'uscita della sua prima opera e in<br />
conseguenza dello straordinario successo editoriale che questa aveva<br />
avuto, Spengler aveva dovuto fare i conti con un coro di accuse, tra<br />
le quali spiccava quella di "pessimismo": ad essa rispose con un<br />
saggio dal titolo significativo, 'Pessimismus?', in cui si sottolineava<br />
come la polemica fosse scaturita dal fraintendimento del significato<br />
della parola "tramonto". Semanticamente, l'immagine che emergeva<br />
con maggiore evidenza era quella negativa, per cui il tramonto veniva<br />
ad essere identificato con la morte e con la fine del mondo. La realtà<br />
sulla quale Spengler voleva fare luce era in realtà più complessa e<br />
sfaccettata: il senso autentico del tramonto è il "compimento", parola<br />
goethiana che sta ad indicare la compresenza, nella metafora organica<br />
del declino del sole, del momento negativo (la fine del giorno) e di<br />
quello positivo (la certezza di nuova alba).<br />
L'ambivalenza della simbologia rispecchiava una struttura<br />
concettuale fondamentalmente dicotomica: tutta la filosofia di<br />
Spengler si costruisce sulla polarità tra "civiltà" e "civilizzazione",<br />
"natura" e "storia", "vivere" e "conoscere", "anima" e "conoscenza",<br />
dove i due termini non si eliminano reciprocamente, ma si<br />
completano. La "civilizzazione", ad esempio, possiede certamente<br />
una forte caratterizzazione negativa che si ripercuote sul destino<br />
dell'Occidente, che vive appunto la sua fase di Zivilisation. La<br />
civilizzazione è il crepuscolo della civiltà, la forma di un'anima che<br />
non ha più nulla da esprimere. Tuttavia anch'essa ha una sua necessità<br />
218
in quanto, come la Kultur, è una fase naturale e necessaria della vita<br />
dell'organismo-civiltà.<br />
Miller mostra di avere piena consapevolezza di questa dicotomia<br />
essenziale quando richiama, in The World of Lawrence, il saggio<br />
sopracitato di Spengler. La comprensione della prospettiva<br />
spengleriana gli proviene dall'essere questa profondamente in sintonia<br />
con un concetto che per Miller è di fondamentale importanza: l'idea<br />
della "morte vitale". La morte e la distruzione, intese come fase finale<br />
della storia di una civiltà, vengono ricondotte ad una fondamentale<br />
positività, in quanto premesse necessarie per il sorgere di nuove realtà<br />
e per il ricominciamento della storia. L'immagine ossimorica della<br />
"morte vitale" si fonda sull'idea che la storia segua i ritmi della<br />
fisiologia naturale, quelle fasi di nascita, maturazione, senescenza e<br />
morte che ne Il Tramonto dell'Occidente cadenzavano il destino delle<br />
civiltà. Questo, se da una parte comporta l'impossibilità da parte<br />
dell'uomo di sfuggire ai limiti sanciti dalle leggi di natura, dall'altra<br />
sancisce la presenza di un valore stabile e positivo oltre il destino di<br />
morte delle forme umane.<br />
E' questo valore che, presente in Miller come in Spengler, mette<br />
fuori gioco ogni lettura pessimistica de Il Tramonto dell'Occidente e<br />
di Tropico del Cancro. Perché c'è anche questa coincidenza, per cui<br />
entrambi hanno dovuto subire accuse di ciarlataneria e di pessimismo<br />
compiaciuto: Spengler per le profezie sul destino del mondo eurooccidentale,<br />
Miller per la brutalità e la schiettezza del suo linguaggio,<br />
giudicato e condannato come rappresentazione falsa e parziale della<br />
realtà, fondata solo su una personale e sinistra predilizione per gli<br />
aspetti più sordidi dell'esistenza. In realtà anche il simbolo del<br />
"cancro" ha l'ambivalenza del "tramonto": il cancro è l'animale che<br />
può camminare in ogni direzione con uguale facilità, e questo significa<br />
che il luogo del cancro, il suo "tropico", non è solo un dominio della<br />
morte, ma anche il momento di una ritrovata libertà d'azione per cui<br />
ogni via è aperta e si rende possibile, anzi necessaria, la scelta di un<br />
nuovo percorso.<br />
I due aspetti, positivo e negativo, costruiscono insieme un pensiero<br />
che è più complesso di quanto l'immediata evidenza di alcune<br />
immagini potrebbe far credere. La filosofia di Spengler non è<br />
pessimista tout court né nichilista: non si ferma al momento negativo<br />
219
della denuncia della decadenza, ma indica concrete possibilità<br />
d'azione per l'uomo dell'avvenire. Pessimismo è la rinuncia ad agire,<br />
la mancanza di obiettivi; "al contrario," scrive Spengler, "io ne vedo<br />
tanti ancora non raggiunti, che temo ci mancheranno il tempo e gli<br />
uomini per conseguirli.". Si può dire che il momento positivo<br />
scaturisca necessariamente dall'azione preliminare di distruzione: se<br />
già ne Il Tramonto dell'Occidente la polarità positiva era comunque<br />
presente, in Urfragen. Essere umano e destino essa prende il<br />
sopravvento; la ricerca sulle forme della storia diventa la ricerca<br />
sull'arché, sul principio primo della creazione, il "primissimo<br />
embrione" delle civiltà.<br />
La stessa dinamica è riscontrabile in Miller: in Tropico del Cancro<br />
alle figure della crisi (la metropoli, la macchina, l'intellettuale incapace<br />
di vivere) si affiancano, fino a prevalere nella seconda parte del<br />
romanzo, i simboli del riscatto, come l'immagine del flusso eterno<br />
della Vita, il sesso come esperienza di liberazione e la donna come<br />
immagine della potenza cosmogonica dell'eros. Dicotomia che è<br />
pervasiva e che si riscontra anche ad un altro livello, qui<br />
particolarmente importante, e cioè sul piano delle forme dello stile;<br />
qui, a momenti di violento realismo si alternano slanci lirici e<br />
"intermezzi metafisici", in una struttura a contrappunto che cerca di<br />
riprodurre la realtà nei suoi aspetti contraddittori.<br />
220
APPENDICE<br />
Per il libro su D.H. Lawrence, Miller aveva preparato una grande<br />
quantità di appunti, di indici, di schemi e diagrammi. Centinaia di<br />
pagine contenute in diversi quaderni manoscritti, che testimoniano il<br />
suo impegno nella comprensione dell'universo lawrenciano, ed al<br />
contempo la difficoltà e le incertezze di questo percorso. L'uso di<br />
mappe esplicative, di diagrammi o di rappresentazioni figurative era<br />
molto comune in Miller, che ne tappezzava la scrivania e le pareti dello<br />
studio. Identico procedimento ritroviamo negli appunti per Plexus 1 : lì<br />
il disegno è quello di un sole, dove Rensen Street è il fulcro circolare<br />
dal quale partono i raggi, cioè le vicende e i personaggi che si<br />
sprigionano, quasi per evocazione, dal nome della strada newyorkese.<br />
Questo procedimento, se può essere fatto rientrare in quella tendenza<br />
alla raffigurazione visiva testimoniata dalla passione per l'acquarello 2 ,<br />
ci mostra però anche la fascinazione milleriana per le rappresentazioni<br />
simboliche. Il senso di questa passione è il tentativo costante di una<br />
rappresentazione onnicomprensiva della realtà, lo sforzo di<br />
comprendere l'esistenza e le sue contraddizioni in una immagine<br />
complessiva, dominabile con un solo sguardo. Sentimento, per inciso,<br />
che ritroviamo anche nella "prospettiva dell'aquila" di Spengler.<br />
Espressioni entrambe di un pensiero che si fonda più sulle capacità<br />
d'intuizione di una immagine che sulla consequenzialità rigorosa dei<br />
concetti.<br />
L'illustrazione n. 1 riproduce un disegno approntato da Miller durante<br />
la stesura di The World of Lawrence 3. Attraverso il simbolo<br />
dell'albero 4 , che è qui "albero della vita", lo scrittore americano<br />
1 - Vedi l'illustrazione n. 2, riprodotta in Writing, p. 168..<br />
2 - Henry Miller cominciò negli anni trenta a coltivare questa passione, che per un breve<br />
periodo divenne dominante. In alcuni casi la vendita di acquarelli lo aiutò a<br />
sopravvivere. Raggiunta la celebrità fece anche delle mostre dei suoi lavori, ed alcuni<br />
sono raccolti in H. Miller, L'angelo è la mia filigrana, Milano, il Saggiatore, 1961.<br />
Leggendo il suo programma di lavoro degli anni 1932-1933, troviamo, accanto ai piani<br />
di scrittura, anche un "painting program", un programma di pittura.<br />
3 - L'illustrazione è riprodotta in Lawrence, p. 2.<br />
4 - Questa immagine, presente in quasi tutte le mitologie, ricorre spesso in Miller.<br />
171
sintetizza la propria visione del mondo, sulla scorta della lettura di<br />
Lawrence.<br />
L'albero rappresenta, nella forma e nella fisiologia, il movimento della<br />
vita. Alla radice c'è la madre terra ("mother earth"), l'utero ("womb"),<br />
che è origine ma anche fine ("grave", tomba) di ogni cosa. E' l'humus<br />
da cui comincia la vita ed a cui la vita ritorna, con la morte. Da questo<br />
seme partono le radici, che sono il flusso vitale ("life stream"), e che<br />
generano il microcosmo, cioè l'uomo. Al suo opposto, in alto, stà il<br />
macrocosmo, il clima mentale ("mental climate"), l'ideologia come<br />
"restaurazione di una unità perduta", "quella del sé con il cosmo"<br />
("restauration of a lost unity" "of the self with the cosmos"), come<br />
raggiungimento dell'armonia tra l'uomo e la sua essenza spirituale. La<br />
stessa polarità tra microcosmo e macrocosmo fonda la struttura<br />
portante de Il Tramonto dell'Occidente. Altra polarità è quella tra<br />
forma ("form") e mondo ("world"), tra le strutture create dall'uomo ed<br />
il flusso della vita del cosmo, che non si lascia congelare in schemi.<br />
Anche qui abbiamo l'eco di una distinzione spengleriana, quella tra<br />
forme al tramonto e forme vitali, tra "Zivilisation" e "Kultur", tra le<br />
astrazioni dell'intelletto ed il pulsare della vita. Così come spengleriano<br />
è quel richiamo al destino ed alla storia della razza ("History of race.<br />
The time spirit. Destiny"), che nella figura compare in basso a destra.<br />
Dal microcosmo e dalle radici parte quel flusso vitale che costruisce<br />
l'albero. Ciò che lo tiene insieme è il fusto, che simboleggia la fede<br />
religiosa ("religious faith"), fede nella realtà spirituale dell'uomo e<br />
nell'essenza metafisica della realtà. Essa permette la crescita dell'istinto<br />
vitale ("vital instinct of life"), che si concretizza nel "sacred body", nel<br />
corpo sacralizzato: lo spirito non è qualcosa di separato dal corpo, ma<br />
proprio nella dimensione del corpo trova il proprio inveramento. Ed è<br />
proprio dal passaggio attraverso una fase dionisiaca, passionale<br />
("dionysian type" e "passionate experience"), che si arriva alla<br />
ideologia ed ai cieli del macrocosmo: la scoperta dello spirito passa<br />
attraverso la realtà del corpo. Da qui partono i rami dell'albero, verso il<br />
mondo delle idee (a destra) e verso il mondo dell'arte (a sinistra).<br />
Il flusso vitale, come nutre, ascendendo lungo il tronco, l'essenza<br />
spirituale dell'uomo, così rigenera continuamente le sorgenti della vita.<br />
La sua energia si spinge verso l'alto e poi defluisce verso il basso: è il<br />
concetto di morte creativa ("creative death"). Osserviamo la parte<br />
172
sinistra del disegno, poco sopra il livello del suolo: "the whole form of<br />
our world mustys", cioè l'intera forma del nostro mondo avvizzisce.<br />
Questo sentenzia il "Profeta del Fato" ("Prophet of the Doom"),<br />
probabilmente lo stesso Spengler. La morte delle vecchie forme è però<br />
creativa, e nel disegno è connessa con la crescita ("growth"): spazzare<br />
via i rami secchi significa aprire spazi per altre creazioni e per il sorgere<br />
di nuovi germogli. In questo senso la morte creativa riporta la vita<br />
al'origine, al suolo, e con essa lo nutre. Il flusso vitale scorre<br />
incessantemente verso l'alto e verso il basso, ed il suo movimento<br />
consente a microcosmo e macrocosmo di perpetuarsi. E' l'ennesima<br />
immagine del monismo milleriano, che fa sì che opposti quali vita e<br />
morte, creazione e distruzione possano coesistere in una immagine<br />
ciclica del movimento della vita; ed anche qui la vicinanza alla filosofia<br />
di Spengler, allo svolgersi della storia secondo lo schema di una<br />
ciclicità naturale, appare evidente.<br />
In conclusione, l'immagine che il disegno ci offre, attraverso la<br />
simbologia dell'albero della vita, è quella di una realtà naturale fondata<br />
su opposti o quantomeno su realtà parallele, sincroniche: microcosmo<br />
e macrocosmo, utero e cieli, forma e mondo, realtà e metafisica,<br />
nascita e morte, morte creativa e morte non-creativa. Le opposte<br />
polarità però li tengono uniti, in un serrato rapporto dialettico che<br />
forma la realtà. Ecco allora la raffigurazione sintetica, l'immagine<br />
simbolica della pianta, che, pur diramandosi in ogni direzione, trova un<br />
elemento originario di coesione nell'essere attraversata senza soluzione<br />
di continuità dalle linee del flusso vitale, veri e propri canali linfatici<br />
dell'organismo macrocosmico.<br />
173
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Henry Miller<br />
(AVVERTENZA: la bibliografia milleriana è estremamente vasta ed<br />
intricata, comprende molti opuscoli pubblicati da piccole case editrici,<br />
che poi ricompaiono più volte in raccolte diverse. Qui si forniscono le<br />
opere maggiori nonchè quelle minori di cui esista una traduzione<br />
italiana, le principali raccolte, una scelta del vasto epistolario ed i<br />
repertori bibliografici, a cui si rimanda per la bibliografia completa.)<br />
Opere<br />
- Tropic of Cancer, Paris, Obelisk Press, 1934.<br />
Ediz. ital. Tropico del Cancro, Milano, Mondadori, 1993. (I ediz.<br />
Feltrinelli, 1962).<br />
- Black Spring, Paris, Obelisk Press, 1936.<br />
Ediz. ital. Primavera nera, Milano, Mondadori, 1992 (in Opere, vol.<br />
1). (I ediz. Milano, Feltrinelli, 1968).<br />
- Max and the White Phagocytes, Paris, Obelisk Press, 1938.<br />
Ediz. ital. Max e i fagociti bianchi, Milano, Mondadori, 1992 (I<br />
ediz. 1949).<br />
- Tropic of Capricorn, Paris, Obelisk Press, 1939.<br />
Ediz. ital. Tropico del Capricorno, Milano, Mondadori, 1992 (in<br />
Opere, vol. 1). (I ediz. Milano, Feltrinelli, 1962).<br />
- The Colossus of Maroussi, California, Colt Press, 1941.<br />
Ediz. ital. Il colosso di Maroussi, Milano, Mondadori, 1948.<br />
- The World of Sex, Chicago, Argus Book Shop, 1941.<br />
Ediz. ital. Il mondo del sesso, Milano, Mondadori, 1992 (I ediz.<br />
Milano, Feltrinelli, 1962).<br />
- Remember to Remember, New York, New Directions, 1941.<br />
226
Ediz. ital. Ricordati di ricordare, Torino, Einaudi, 1979 (I ediz.<br />
1965).<br />
- The Wisdom of the Heart, New York, New Directions, 1941.<br />
- Sunday After the War, New York, New Directions, 1944.<br />
Ediz. ital. Domenica dopo la guerra, Milano, Mondadori, 1948.<br />
- The Angel Is My Watermark, Fullerton, Holve-Barrows, 1944.<br />
Ediz. ital. L'angelo è la mia filigrana, Milano, Il Saggiatore, 1961.<br />
- The Air-Conditioned Nightmare, New York, New Directions, 1945.<br />
Ediz. ital. L'incubo ad aria condizionata, Torino, Einaudi, 1979.<br />
- The Time of the Assassins: A Study of Rimbaud, New York, New<br />
Directions, 1946.<br />
Ediz. ital. Il Tempo degli Assassini. Saggio critico su Rimbaud,<br />
Milano, Sugarco, 1966.<br />
- The Smile at the Foot of the Ladder, New York, Duell, Sloane &<br />
Pearce, 1948.<br />
Ediz. ital. Il sorriso ai piedi della scala, Milano, Feltrinelli, 1992 (I<br />
ediz. 1963).<br />
- Sexus, The Rosy Crucifixion, Book One, Paris, Obelisk<br />
Press/Editions du Chène, 1949.<br />
Ediz. ital. Sexus, Milano, Longanesi, 1970 (I ediz. 1962).<br />
- The Books of My Life, New York, New Directions, 1952.<br />
Ediz. ital. I libri della mia vita, Torino, Einaudi, 1976.<br />
- Plexus, The Rosy Crucifixion, Paris, Olympia Press, 1953.<br />
Ediz. ital. Plexus, Milano, Longanesi, 1960.<br />
- Quiet Days in Clichy, Paris, Olympia Press, 1956.<br />
Ediz. ital. I giorni di Clichy, Milano, Mondadori, 1992 (I ediz.<br />
Milano, Longanesi, 1970).<br />
- Big Sur and the Oranges of Hieronymus Bosch, New York, New<br />
Directions, 1957.<br />
227
Ediz. ital. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Torino,<br />
Einaudi, 1979 (I ediz. 1978).<br />
- Nexus, Paris, Obelisk Press, 1960.<br />
Ediz. ital. Nexus, Milano, Mondadori, 1993 (I ediz. Milano,<br />
Longanesi, 1961).<br />
- Stand Still Like the Hummigbird, New York, New Directions, 1962.<br />
Ediz. ital. Come il colibrì , Milano, Rizzoli, 1970.<br />
- Just Wild About Harry: A Mel-Melo in Seven Scenes, New York,<br />
New Directions, 1963.<br />
Ediz. ital. Proprio pazza per Harry, Torino, Einaudi, 1964.<br />
- My Life and Times, London, Pall Mall Press, 1972.<br />
- The World of Lawrence, California, Capra Press, 1980.<br />
- Opus Pistorum, New York, Grove Press, 1983.<br />
Ediz. ital. Opus pistorum, Milano, Feltrinelli, 1984.<br />
- The Hamlet Letters, California, Capra Press, 1988.<br />
Ediz. ital. Lettere su Amleto, Milano, Mondadori, 1992 (in Opere,<br />
vol. 1).<br />
- Flash-back. Entretiens à Pacific Palisades avec Christian de Bartillat<br />
suivi de 'Le prophete di Millerium' par C. de Bartillat, C.de Bartillat<br />
editeur, 1990.<br />
Ediz. ital. Conversazioni a Pacific Palisades, Parma, Guanda,<br />
1992.<br />
- Crazy Cock, New York, Grove Press, 1991.<br />
Ediz. ital. Uccello pazzo, Milano, Mondadori, 1992.<br />
- Moloch, or This Gentile World, copyright 1992.<br />
Ediz. ital. Moloch, Milano, Mondadori, 1993.<br />
Epistolario<br />
- To Paint Is to Love Again, California, Cambria Books, 1960.<br />
Ediz. ital. Dipingere è amare ancora, Milano, Feltrinelli, 1963.<br />
228
- Art and Outrage: Lawrence Durrell and Alfred Perlès, New York,<br />
Dutton, 1961.<br />
Ediz. Ital. Arte e oltraggio, Milano, Feltrinelli, 1961.<br />
- H. Miller: Letters to Anais Nin, edited by Gunther Stuhlmann,<br />
G.P.Putnam's Sons, 1965.<br />
Ediz. ital. Lettere ad Anais Nin, Milano, Longanesi, 1987 (I ediz.<br />
1971).<br />
- Letters of H. Miller and Wallace Fowlie. 1943-72, New York, Grove<br />
Press, 1975.<br />
- H. Miller: Years of Trial and Triumph, 1962-1964: The<br />
Correspondence of H.M. and Elmer Gertz, edited by Elmer Geltz and<br />
Felice Flanery Lewis, Southern Illinois University Press, 1978.<br />
- Letters from H. Miller to Hoki Tokuda Miller, edited by Joyce<br />
Howard Miller, New York, Freundlich Books, 1986.<br />
Ediz. ital. Misteriosa cantabile. Lettere a Hoki Tokuda, Milano,<br />
Bompiani, 1988.<br />
- H.M./Anais Nin, A Literate Passion: Letters of Anais Nin and H.<br />
Miller, 1932-1953, edited by Gunther Stuhlmann, New York, Harcourt<br />
Brace Jovanovich, 1987.<br />
Ediz. ital. Storia di una passione. Lettere 1932-53, Milano,<br />
Bompiani, 1989.<br />
- Dear, Dear Brenda: The Love Letters of H. Miller to Brenda Venus,<br />
edited by Gerald Seth Sindell, New York, 1987.<br />
Ediz. ital. Cara, cara Brenda, Milano, Feltrinelli, 1988.<br />
- Letters to Emil, edited by George Wickes, New York, New<br />
Directions, 1989, oppure Manchester, Carcanet, 1990.<br />
- H.M./Lawrence Durrell, The Durrell-Miller Letters, 1935-80,<br />
copyright 1988.<br />
Ediz. ital. I fuorilegge della parola. Lettere 1935-80, Milano,<br />
Rosellina Archinto, 1991.<br />
229
Raccolte<br />
- H. Miller Miscellanea, edited by Bern Porter, Berkeley, California,<br />
1945.<br />
- Nights of Love and Laughter, New York, Signet (New American<br />
Library), 1955.<br />
Ediz. ital. Rictus, Milano, Rizzoli, 1982 (I ediz. Milano, 1959).<br />
- The H. Miller Reader, edited by Lawrence Durrell, New York, New<br />
Directions, 1959.<br />
Ediz. ital. Il meglio di H. Miller, Milano, Longanesi, 1961.<br />
- Henry Miller On Writing, edited by Thomas H. Moore, New York,<br />
New Directions, 1984.<br />
- Opere. vol. 1, Milano, Mondadori, 1992. Comprende Tropico del<br />
Cancro, Primavera nera, Tropico del Capricorno, Max e i fagociti<br />
bianchi, Lettere su Amleto e il racconto breve Bertha.<br />
Critica<br />
(AVVERTENZA: nella bibliografia che segue sono stati riportati, dei<br />
molti articoli usciti su quotidiani, riviste e periodici, solo quelli più<br />
importanti. Quanto agli articoli ripubblicati in opere critiche si fa<br />
riferimento a queste ultime. Per un elenco completo vedi la bibliografia<br />
di Mitchell Edward (edited by), H. Miller: Three Decades of Criticism,<br />
cit.)<br />
- ALMANSI GUIDO, L'estetica dell'osceno, Torino, Einaudi, 1994 (I<br />
ediz. 1974; il saggio su Miller ha subito alcune modifiche nella versione<br />
più recente).<br />
- ARBASINO ALBERTO, Parigi O Cara, Milano, Adelphi, 1995, pp.<br />
212-219.<br />
- BARTILLAT CHRISTIAN DE, 'Le prophete du Millerium' in H.<br />
Miller, Flash-back, cit.<br />
230
Ediz. ital. 'Il profeta del millennio' in H. Miller, Conversazioni a<br />
Pacific Palisades, cit.<br />
- BAXTER ANNE, H. Miller: Expatriate, Pittsburgh U. P. , 1961.<br />
- BERTRAND M., Orpheus in Brooklyn: Orphism, Rimbaud and H.<br />
Miller, Atlantic Highlands (N.J.), Humanities, 1977.<br />
- BELGION MONTGOMERY, 'French Chronicle' in The Criterion,<br />
XV, 86, oct. 1935.<br />
- BLOCKER GUNTHER, Die Neuen Wirklichkeiten, Berlin, 1957.<br />
- BRANDISKY OSCAR (edited by), Of, By and About H, Miller,<br />
Alicat Bookshop Press, Yonkers, New York, 1947.<br />
- DEARBORN MARY V., The Happiest Man Alive: A Biography of<br />
H. Miller, London, Harper Collins, 1991.<br />
- DENAT ANTOINE, 'H. Miller clown, barocco, mistico e vincitore',<br />
introduzione a H. Miller, Il meglio di H. Miller, cit.<br />
- DE PETRIS CARLA, 'Henry Miller' in Letteratura americana. I<br />
contemporanei, Roma, Lucarini Editore, 1982, vol I/2.<br />
- DICK KENNETH C., Henry Miller: Colossus of One, Sittard,<br />
Alberts, 1967.<br />
- DURRELL LAWRENCE, 'Introduction' a H.Miller, The H. Miller<br />
Reader, cit.<br />
Ediz. ital. 'Introduzione' a H. Miller, Il meglio di H. Miller, cit.<br />
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U.S.A., N.Y., Columbia U.P., 1988.<br />
Ediz. ital. Storia della civiltà letteraria degli Stati Uniti, Torino, Utet,<br />
1990, Vol. 2, pp. 749-762. Vedi anche il Dizionario alla voce Miller<br />
Henry.<br />
- EVOLA JULIUS, 'Il fenomeno H. Miller' in Ricognizioni. Uomini e<br />
problemi, Roma, Edizioni Mediterranee, 1974.<br />
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1993.<br />
Ediz. ital. Il diavolo fra noi, Milano, Bompiani, 1993.<br />
- LUZI MARIO, Aspetti della generazione napoleonica e altri saggi di<br />
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Ediz. ital. Il prigioniero del sesso, Milano, Mondadori, 1971.<br />
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H. Miller, New York, Grove Press, 1976.<br />
- MANNING HUGO, The It and the Odissey of H. Miller, London,<br />
Enitharmon, 1972.<br />
- MARTIN JAY, Always Merry and Bright: The life of H. Miller, Santa<br />
Barbara, Capra Press, 1978.<br />
- MAURIAC CLAUDE, L'alittèrature contemporaine, Paris, Albin,<br />
Michel, 1958, p. 49.<br />
- MAZZANTI CRISTIANO, L'incubo, la navigazione, l'urlo, Empoli,<br />
Ibiskos, 1991.<br />
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1970.<br />
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Criticism, Ney York University Press, 1971. Saggi di G. Orwell 'Inside<br />
the Whale', Phillip Rahv 'Henry Miller: Image and Idea', Wallace<br />
Fowlie 'Shadow of Doom: An Essay on Henry Miller', Frederick J.<br />
Hoffman 'Further Interpretations', Aldous Huxley 'Death and the<br />
Baroque', Alwyn Lee 'H. Miller - The Pathology of Isolation', Karl<br />
Shapiro 'The Greatest Living Author', Frank Fermode 'H. Miller and J.<br />
Betjeman: Puzzles and Epiphanies', David Littlejohn 'The Tropics of<br />
Miller', Kingsley Widmer 'The legacy of H. Miller', Sidney Finkelstein<br />
'Alienation and Rebellion to Nowhere: Existentialism and Alienation in<br />
American Literature', Aland Friedman 'The Pitching of Love's<br />
Mansion in the Tropics of H. Miller', Edward B. Mitchell 'Artists and<br />
Artists: The Aesthetics of H. Miller', William Gordon 'The Art of<br />
Miller'.<br />
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and Other Essays, London, 1954.<br />
- PARDO MICHELE, 'H. Miller', in I protagonisti della Storia<br />
Universale. Il mondo contemporaneo. XIII Il ricatto atomico, Milano,<br />
Copyright 1971, pp. 421-448.<br />
- PELTZER KARL, Das Treffende Zitat, Ott, Thun, 1957.<br />
- PÈRLES ALFRED, My Friend H. Miller: An Intimate Biography,<br />
London, Spearman, 1955.<br />
- PERNIOLA MARIO, Il metaromanzo, Milano, Silva, 1966.<br />
- PICCA GIUSEPPE, Introduzione alla lettura di H. Miller, Milano,<br />
Mursia, 1976.<br />
- PIVANO FERNANDA, Amici scrittori: quarant'anni di incontri e<br />
scoperte con gli autori americani, Milano, Mondadori, 1995.<br />
- " " ", 'Lo scandaloso Miller è puro' in Corriere della Sera,<br />
24/4/1979.<br />
- " " ", 'H. Miller, amore fino in fondo' in Corriere della Sera,<br />
9/6/1980.<br />
- PORTER BERN, The Happy Rock, Berkeley, California, 1945.<br />
- RIVA VALERIO (a cura di), H. Miller, il sesso, la censura e il<br />
Tropico del Cancro, Milano, Feltrinelli, 1967. Già pubblicato come<br />
Prefazione ai Tropici, 1962. Saggi di Donovan Bess 'Cronaca di un<br />
processo', Karl Shapiro 'Il più grande autore vivente', G. Orwell 'Nel<br />
ventre della balena', Herbert Read 'Estetica e profezia', Paul Rosenfeld<br />
'Miller e la tradizione', Mario Praz 'Civiltà in sfracelo', Michael Fraenkel<br />
'Genesi di Tropico del Cancro', Kenneth Rexroth 'La realtà di H.<br />
Miller', Edoardo Sanguineti 'Miller: una poetica barocca', oltre a tre<br />
testi di H. Miller, La mia vita come un eco, L'oscenità e la legge di<br />
riflessione, Il mondo del sesso.<br />
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- ROSSANI WOLFANGO, 'La contestazione di H. Miller' in<br />
Patriarchi del Novecento, Milano, Pan Editrice, 1974.<br />
- SCHMIELE WALTER (a cura di), H. Miller in Selbstzeugnissen und<br />
Bilddokumenten, Hamburg, Rowohly, 1961.<br />
Ediz. ital. H. Miller attraverso autotestimonianze e documenti<br />
fotografici, Milano, Longanesi, 1963.<br />
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Illinois University Press, 1963. Saggi di Alfred Perlès 'My Friend H.<br />
Miller', Samuel Putnam 'H. Miller in Montparnasse', Walter Lowenfels<br />
'A Note on Tropic of Cancer', Frederick J. Hoffman 'The Booster',<br />
Blaise Cendrars 'Un ècrivain amèricain nous est nè', Edmund Wilson<br />
'Twilight of the Expatriates, G. Orwell 'Inside the Whale', Herbert J.<br />
Muller 'The World of H. Miller', Lawrence Clark Powell 'The Miller of<br />
Big Sur', Walker Winslow 'H. Miller: Bigotry's Whipping Boy', Philiph<br />
Rahv 'Sketches in Criticism', Lawrence Durrell 'Studies in Genius' con<br />
una lettera di Miller a Durrell, H. Read 'H. Miller', K. Rexroth 'The<br />
Reality of H. Miller', Kingley Widmer 'The Rebel-buffoon: H. Miller's<br />
Legacy, Marry T. Moore 'From Under the Counter to Front Shelf',<br />
Stanley Kauffmann 'An Old Shocker Comes Home', 'Commonwealth<br />
of Massachusetts vs., witness Mark Schorer, witness Harry Levin',<br />
Aldous Huxley 'Statement for the Los Angeles Trial', Elmer Gertz 'H.<br />
Miller and the Law', più un testo di Miller, Draconian Postscript.<br />
- " " ", H. Miller down and out in Paris, London, Village Press,<br />
1974.<br />
- WIDMER K., H. Miller, New York, Twayne Publishers, 1963.<br />
235
Repertori bibliografici<br />
- JONG ERICA, 'Bibliografia ragionata' in E.J., Il diavolo fra noi, cit.<br />
- MOORE THOMAS H., Bibliography of H. Miller, Minneapolis, The<br />
H. Miller Literary So., 1961.<br />
- RILEY E. L., H. Miller: An Informal Bibliography, 1924-1960, Hays,<br />
Kansas, 1961.<br />
- RENKEN M., A Bibliography of H. Miller, 1945-1961, Denver,<br />
1962.<br />
- SHIFREEN L. J., H. Miller: A Bibliography of Secoundary Sources,<br />
Metuchen (NJ), Scarecrow 1979.<br />
- 'Selected Checklist' in MITCHELL EDWARD (a cura di), H. Miller:<br />
Three Decades of Criticism, cit.<br />
Opere<br />
Oswald Spengler<br />
(AVVERTENZA: vengono qui citate solo le opere principali di<br />
Spengler, e quelle minori quando tradotte in italiano. Per una<br />
bibliografia completa delle opere di e su Spengler, vedi O. Spengler, Il<br />
Tramonto dell'Occidente, Parma, Guanda, 1991)<br />
- Heraklit. Eine Studie uber den energetischen Grundgedanken seiner<br />
Philosophie, Halle, 1904.<br />
Ediz. ital. Eraclito, Roma, s.d., 1989.<br />
- Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der<br />
Weltgeschichte, vol. 1, Gestalt und wirklichkeicht, Munchen, 1918;<br />
vol. 2, Welthistorische Perspektive, Munchen, 1922.<br />
Ediz. ital. Il Tramonto dell'Occidente, Parma, Guanda, 1991 (I<br />
ediz. Milano, Longanesi, 1957).<br />
236
- Preussentum und Sozialismus, Munchen, 1919.<br />
Ediz. ital. (parziale) Il socialismo prussiano, Parma, 1980.<br />
- 'Pessimismus?', Berlin, 1921.<br />
Ediz. ital. 'Pessimismus?', in "Trasgressioni", 2 (1986). Ora in Scritti<br />
e pensieri, Milano, Sugarco, 1993.<br />
- Der Mensch und die Technik. Beitrag zu einer Philosophie des<br />
Lebens, Munchen, 1931.<br />
Ediz. ital. L'uomo e la tecnica, Parma, Guanda, 1992 (I ediz. come<br />
L'uomo e la macchina, Milano, 1931).<br />
- Jahre der Entscheidung, parte I, Deutschland und die<br />
wletgeschichtliche Entwicklung, Munchen, 1933.<br />
Ediz. ital. Anni decisivi, Milano, Bompiani, 1934 (ultima ried.<br />
Roma, 1983).<br />
- Reden und Aufsatze, Munchen, 1937.<br />
Ediz. ital. Scritti e pensieri, Milano, Sugarco, 1993. Comprende<br />
'Riflessioni sul lirismo', 'Pessimismo?', 'La missione della nobiltà',<br />
'Progetto di un nuovo atlante dell'antichità', 'L'Asia antica',<br />
'Nietzsche e il suo secolo', 'Sul carattere del popolo tedesco' e 'L'età<br />
delle culture americane'.<br />
- Urfragen. Fragmente aus dem Nachlass, Munchen, 1965.<br />
Ediz. ital. Urfragen. Essere umano e destino, Milano, Longanesi,<br />
1971.<br />
- Fruhzeit der Weltgeschichte. Fragmente aus dem Nachlass,<br />
Munchen, C.H. Beck, 1966.<br />
Ediz. ital. (parziale) 'Gli albori della storia mondiale' in Stefano<br />
Zecchi (a cura di), Estetica 1991. Sul destino, Bologna, Il Mulino,<br />
1991.<br />
- A me stesso, Milano, Adelphi, 1993. Già parzialmente pubblicato con<br />
il titolo originale Eis Heautòn in Stefano Zecchi (a cura di) Estetica<br />
1991. Sul destino, cit..<br />
Altri testi<br />
237
- ADORNO T.W., Prismen. Kulturkritik und Gesellschaft, Frankfurt<br />
am Main, Suhrkamp Verlag, 1955.<br />
Ediz. ital. Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Torino, Einaudi,<br />
1972.<br />
- BROCH HERMANN, Philosophische Schriften I. Kritik e Schriften<br />
zur Literatur 2. Theorie, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 1975 e<br />
1977.<br />
Ediz. ital. Il kitsch, Torino, Einaudi, 1990.<br />
- FREUD SIGMUND, Das Unbehagen in der Kultur, Wien,<br />
Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1930.<br />
Ediz. ital. Il disagio della civiltà, Torino, Bollati Boringhieri, 1978.<br />
- GOETHE J.W., Faust, Milano, Feltrinelli, 1991.<br />
- JUNGER ERNST, Uber die Linie, Stuttgart, Ernst Klett, 1980.<br />
Ediz. ital. Junger E.-Heidegger M., Oltre la linea, Milano, Adelphi,<br />
1989.<br />
- LAWRENCE D.H., Apocalypse, 1932.<br />
Ediz. ital. consultata Apocalisse, Roma, Newton Compton, 1995.<br />
- " " ", 'The crown' in Reflections on the Death of a Porcuspine,<br />
and Other Essays, Philadelphia, 1925.<br />
Ediz. ital. La corona, Milano, SE, 1985.<br />
- ZECCHI STEFANO (a cura di) Estetica 1991. Sul destino, con saggi<br />
di F. Volpi ('Heidegger lettore edito e inedito di Spengler'), D. Felken<br />
('S. e il nazionalsocialismo'), M. Staglieno ('S., Thomas Mann, Carl<br />
Schmitt'), G. Moretti ('Unter-Gehen. Considerazioni su S. e il<br />
romanticismo'), G. Gurisatti ('Il tramonto dell'espressione. S. e la<br />
fisiognomica'), cit.<br />
238
Desidero ringraziare il dott. Claudio<br />
Italia per l'assistenza nel lavoro di<br />
elaborazione e revisione di questa<br />
tesi.<br />
239