R - Centro Restauro
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2 TEMARIO<br />
internazionale<br />
3 “ABUNA” MICHELE IN PALESTINA<br />
il profilo culturale di padre piccirillo<br />
SOM MARIO<br />
5 AREE ARCHEOLOGICHE E TEATRI ANTICHI<br />
Progetto Artea: un partenariato internazionale<br />
progetti<br />
6 SITI MADONITI<br />
per la mappatura del degrado entomologico<br />
dei manufatti di natura organica<br />
10 L’ABATELLIS TRA CONTINUITÀ<br />
E INTEGRAZIONE<br />
allestimento della galleria regionale<br />
dell’ala settecentesca<br />
laboriando<br />
12 IL MUSEO DEL CORALLO<br />
collezioni dell’ “Agostino Pepoli“<br />
13 LO SCRIGNO DEI RICORDI “SOFFICI”<br />
Fibre, tessuti, taglio e taglie sartoriali<br />
17 VIRGO LACTANS<br />
la madonna della Lavina di cerami<br />
dossier<br />
22 SPECIE LAPIDEE<br />
i marmi della villa del casale<br />
25 CAMPAGNE DI SCAVI<br />
Tra ricerche, archeologia e restauro<br />
29 LA SOLFATAZIONE DIFFUSA<br />
uniformità di un degrado chimico<br />
31 ALGHE E CIANOBATTERI<br />
prevenzione e controllo dei microrganismi<br />
fotosintetici<br />
32 TESSERE, MUSCHI E LICHENI<br />
colonizzazione lichenica e muscinale dei mosaici<br />
pavimentali e valutazione efficacia dei biocidi<br />
ricerche&contributi<br />
38 PUNTERUOLO ROSSO DELLE PALME<br />
biologia e mezzi di controllo<br />
41 PALME E PAESAGGIO<br />
l’abito urbano vegetativo<br />
43 I PORTALI DELLA CITTÀ<br />
architettura, trasformazioni e sovrapposizioni<br />
stilistiche nel centro storico di Palermo<br />
formazione<br />
45 PERCORSI FORMATIVI<br />
obiettivi di studio per un’idonea fruizione<br />
e conservazione delle opere d’arte<br />
47 TIROCINIO IN CHIESA<br />
L’ostensorio con gli Angeli del Carmine Maggiore<br />
incontri & dibattiti<br />
48 IL GRUPPO DEL COLORE<br />
società italiana di ottica e fotonica<br />
49 NEUTRONI E LASER<br />
per la ricerca di dipinti nascosti<br />
50 SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALI<br />
Il convegno AIAr a Palermo<br />
recensioni<br />
52 DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORI<br />
Un fondo bibliografico seicentesco<br />
54 I GIARDINI PERDUTI<br />
Comunicare con gli alberi per non appassire la mente<br />
35 NEWS<br />
55 RASSEGNA LIBRI<br />
1
C.R.PR.<br />
in<br />
forma<br />
on line ISSN 2035-8725<br />
www.centrorestauro.sicilia.it<br />
C.R.P.R in/forma<br />
n. 7/8 Giuno-Dicembre 2009<br />
Rivista semestrale del <strong>Centro</strong> regionale<br />
per la progettazione e il restauro e per le<br />
scienze naturali applicate ai Beni<br />
culturali<br />
ISSN 2035-8717<br />
Direzione scientifica<br />
Guido Meli<br />
Direttore responsabile<br />
Antonio Casano<br />
Comitato di redazione<br />
Antonio Casano<br />
Rita Di Natale<br />
Maria Di Ferro<br />
Roberto Garufi<br />
Elena Lentini<br />
Gioacchino Mangano<br />
Ferdinando Maurigi<br />
Guido Meli<br />
Giuseppa Maria Spanò<br />
Fotografie<br />
Gioacchino Mangano, Ugo Nizza,<br />
Fabiola Saitta, Licia Settineri<br />
Progetto grafico<br />
Gioacchino Mangano<br />
Immagine di copertina di Osama Hamdan<br />
Mosaico del VI° secolo dopo Cristo della<br />
Carta di Mabada - Mabada - (Giordania)<br />
Stampa<br />
Priulla s.r.l.<br />
via Ugo La Malfa, 6915 - 90134<br />
Palermo<br />
Sede di amministrazione, direzione<br />
redazione: Via Cristoforo Colombo, 52<br />
90142 Palermo<br />
Registrazione Tribunale di Palermo<br />
del 9.2.2006 n°3<br />
© Copyright 2007<br />
Regione Siciliana - Assessorato<br />
regionale dei Beni culturali ed<br />
ambientali e della Pubblica istruzione<br />
<strong>Centro</strong> regionale per la progettazione e<br />
il restauro e per le scienze naturali<br />
applicate ai Beni culturali<br />
TEMARIO<br />
L’apertura di questo numero è affidata ad Osama Hamdan, fraterno amico del compianto<br />
Michele Piccirillo –il Padre francescano scomparso poco più di un anno fa- nota e stimata alta<br />
figura intellettuale in Terra Santa, riconosciuta tale dalla comunità scientifica internazionale<br />
anche per aver saputo coniugare l’impegno spirituale e la ricerca archeologica con una<br />
Weltanschauung fondata sulla cultura come grimaldello per la coesistenza pacifica dei popoli,<br />
imperniata sulla tolleranza e il riconoscimento reciproco della diversità, sia pur disposta in<br />
un piano di contaminazione su cui edificare una nuova koinè multiculturale. Osama Hamdan,<br />
uno dei massimi esponenti dell’intellighenzia palestinese -docente presso l’Università Al<br />
Quds di Gerusalemme e direttore del Mosaic Centre di Gerico- dall’alto del legame di solidarietà<br />
umana ed affinità culturale ci detta un illuminate profilo che ci fa cogliere quale fosse<br />
la straordinaria rilevanza della presenza di Abuna Michele in Palestina per il riannodo del dialogo<br />
dal basso tra comunità divise dalle loro sovrastrutture ideologiche.<br />
Sulla Villa del Casale di Piazza Armerina è incentrato il dossier diagnostico: un resoconto<br />
sintetico delle analisi scientifiche eseguite in situ o rielaborate in laboratorio. Inoltre presentiamo<br />
parte di un più ampio studio, condotto da Lorenzo Lazzarini dell’Università IUAV di<br />
Venezia, sulle specie lapidee collocate nel sito romano. Patrizio Pensabene dell’Università<br />
“La Sapienza” completa le pagine del dossier con un articolo sulle indagini archeologiche:<br />
un escursus storico-stratigrafico degli scavi che hanno interessato le ricerche intrecciate con<br />
le opere di restauro.<br />
Nella sezione progetti è consultabile il lavoro sulla mappatura del degrado entomologico dei<br />
manufatti di origine organica, posto in essere in alcuni centri del distretto madonita, riguardante<br />
importanti presidi culturali –chiese, musei, biblioteche ed altre istituzioni- insediati<br />
all’interno della catena montuosa del palermitano. Mentre per le pagine della laboriando<br />
proponiamo due interventi di restauro riguardanti la Madonna della Lavina di Cerami e gli<br />
abiti del “Pepoli” -con un contributo di Maria Luisa Famà, direttrice del museo, sulla caratteristica<br />
espositiva principale dell’ente trapanese: i manufatti artistici in corallo. Da segnalare<br />
inoltre, fra gli incontri&dibattiti, l’ampia argomentazione sui temi trattati negli appuntamenti<br />
autunnali svoltisi a Palermo promossi dalla Società Italiana di Ottica e Fotonica (V<br />
Conferenza del Gruppo del Colore) e dalla Associazione Italiana di Archeometria<br />
(Convegno nazionale su Sistemi biologici e beni culturali)<br />
Infine si portano all’attenzione del lettore le pagine della ricerca che si avvalgono dei contributi<br />
di Stefano Colazza e Giuseppe Barbera della Facoltà di Agraria di Palermo, in merito<br />
alla vicenda del punteruolo rosso: il primo fa il punto sullo stadio raggiunto dalla sperimentazione<br />
biologica e sui i possibili mezzi di contrasto per il controllo del devastante fenomeno<br />
entomologico che continua a provocare la moria delle palme; il secondo ci conduce<br />
sulle tracce storiche del paesaggio urbano vegetativo, di cui la presenza della palma è un<br />
elemento imprescindibile nelle città siciliane. La tematica non è estranea all’interesse del<br />
CRPR, tanto che sull’argomento è in cantiere uno studio per definire un intervento specifico.<br />
Nella stessa sezione, in linea con la scelta editoriale della rivista di dare spazio a giovani<br />
ricercatori, ospitiamo il saggio di Lucia Carruba sui portali del centro storico di Palermo,<br />
nel quale vengono esaminati i processi di trasformazione e le sovrapposizioni stilistiche<br />
subiti nel tempo: un grido di allarme sul rischio di degrado a cui è sottoposto un “pezzo”<br />
fra i tanti del patrimonio storico architettonico.<br />
Chiudono, come di consueto, le recensioni e la rassegna libri. In particolare nella prima<br />
rubrica Carlo Pastena, fra note e repertori, ci descrive un fondo bibliografico seicentesco<br />
curato da Rita Di Natale e Gabriella Cannata, ma soprattutto ci introduce su un tema che va<br />
ben al di là dei tecnicismi per soli addetti ai lavori, facendoci comprendere la valenza essenziale<br />
della costituzione di tali fondi per gli studiosi nella ricerca delle fonti documentali.
“ABUNA”<br />
MICHELE IN PALESTINA<br />
IL PROFILO CULTURALE DI PADRE PICCIRILLO<br />
Abuna Michele, come ero abituato a chiamarlo e come<br />
era chiamato degli Arabi dei paesi di Bilad al Sham<br />
(Palestina, Libano, Giordania, Siria), me lo ricordo nella sua<br />
stanza, nello Studium Biblicum Franciscanum della<br />
Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, sempre immerso<br />
nei libri e con il profumo di caffé proveniente dalla macchinetta<br />
perennemente sul fornello elettrico, nel piccolo angolo<br />
cucina che peraltro lo avevo aiutato a sistemare.<br />
Padre Michele Piccirillo ci ha lasciato il 26 ottobre, all’età di<br />
64 anni. Era nato a Casanova di Cerinola, in provincia di<br />
Caserta, e si era unito all’ordine francescano da giovanissimo<br />
e trasferito a vivere in Medioriente dal 1960, dividendosi<br />
tra Gerusalemme, dove insegnava Storia e Geografia<br />
Biblica e dove curava come Direttore il Museo archeologico<br />
allo Studium Biblicum Francisanum nel Monastero della<br />
Flagellazione e il convento del Monte Nebo, in Giordania,<br />
dove svolgeva scavi archeologici durante l’estate.<br />
Come novizio aveva studiato allo Studium Biblicum<br />
Padre Michele Piccirillo con collaboratori in visita al Convento ortodosso di Ayn al Farah – Palestina<br />
Osama Hamdan<br />
Università Al Quds<br />
Gerusalemme<br />
IINTERNAZIONALE<br />
Franciscanum, aggiungendo agli studi teologici un dottorato<br />
in archeologia biblica all’Istituto di Studi del Vicino<br />
Oriente della Università La Sapienza di Roma. Aveva avviato<br />
i suoi primi lavori archeologici a fianco del suo maestro,<br />
padre Bellarmino Bagatti, e nel 1973 aveva diretto i lavori di<br />
conservazione del mosaico pavimentale del 536 d.C. nella<br />
chiesa dei Martiri Lot e Procopio, a Khirbet al-Mukhayyat,<br />
l’antico villaggio di Nebo, le cui rovine erano state esplorate<br />
dai Francescani della Custodia di Terra Santa nel 1935 e<br />
immediatamente coperte da una bella casa in muratura per<br />
proteggere e mostrare ai visitatori uno dei più bei mosaici di<br />
epoca bizantina mai ritrovati.<br />
Da allora aveva continuato a lavorare per la protezione dei<br />
mosaici dell’area, in particolare nella Chiesa del Memoriale<br />
di Mosè sempre a Monte Nebo, dove nel 1976, dopo aver<br />
distaccato i mosaici pavimentali del VI secolo della cappella<br />
del battistero per un intervento di emergenza, erano emersi<br />
i mosaici inferiori, realizzati dai mosaicisti Soel, Kaium e<br />
3
I<br />
4<br />
INTERNAZIONALE<br />
Elia, come si leggeva nelle due iscrizioni che accompagnavano<br />
lo splendido lavoro terminato nell’agosto del 530 d.C.<br />
al tempo del vescovo Elia di Madaba e dell’imperatore<br />
Giustiniano. I nomi arabi rimandavano a mosaicisti della<br />
vicina Madaba famoso centro dell’arte del mosaico nel VI<br />
secolo. Il pavimento di mosaico rappresentava una spettacolare<br />
combinazione di scene di caccia e pastorizia e animali<br />
esotici.<br />
Cercava sempre di utilizzare ogni suo cantiere di restauro<br />
per svolgere attività di formazione per i giovani locali fino a<br />
quando nel 1992 riuscì ad avviare, grazie ad un progetto di<br />
cooperazione italo-giordano, la Madaba Mosaic School che<br />
ancora oggi svolge attività di formazione come Madaba<br />
Institute for Mosaic Art and Restoration e nel 1999 il<br />
Jericho Workshop for Mosaic Restoration. Da alcuni anni<br />
aveva avviato contatti per la creazione di una istituzione<br />
simile anche in Siria.<br />
L’obiettivo di queste strutture nasceva dalla esigenza di formare<br />
giovani locali alla cura del patrimonio culturale in<br />
mosaici della regione. Le sue ricerche avevano reso evidente<br />
la storia comune del territorio e i problemi condivisi del<br />
patrimonio culturale e l’avevano spinto dal 2000 a dare il via<br />
ad un incontro annuale di giovani e tecnici dell’area del<br />
Levante, il corso di formazione Bilad Al Sham. Giovani tecnici<br />
ed esperti provenienti da enti governativi e non, si<br />
incontravano ogni anno per un periodo da uno a due mesi e<br />
partecipavano ai corsi di formazione e aggiornamento sulla<br />
conservazione dei siti archeologici con mosaici. Gli incontri,<br />
affiancati ad attività pratiche di conservazione, erano svolti<br />
in Siria, Giordania e Palestina ed avevano come finalità<br />
generale il sostegno ai giovani per renderli responsabili dell’attività<br />
di conservazione.<br />
Padre Michele l’archeologo, l’uomo, il prete, attento a quello<br />
che lo circondava, un archeologo di grande professionalità,<br />
ha trasformato anche lo scavo archeologico in un momento<br />
di incontro con la storia per i giovani che arrivavano da<br />
tutto il mondo. Soprattutto la sera era un momento di formazione<br />
per questi giovani volontari che si incontravano tutte le<br />
estati a Monte Nebo, dopo la fatica di una giornata di lavoro<br />
sotto il sole e la polvere delle rovine e le gioie dei ritrovamenti,<br />
si riunivano a cena e poi tutti a godere lo spettacolo<br />
dalla terrazza a guardare la Palestina, le stelle in cielo, e ad<br />
ascoltare le parole e i racconti di Abuna Michele.<br />
Padre Michele Piccirillo l’archeologo che ha continuato per<br />
tutti questi anni a far riemergere alcuni dei più bei siti antichi<br />
della Giordania, dopo Khirbet al Mukhayyat e Monte<br />
Nebo, nella città di Madaba, a Umm il Rasas, a Nitle e tanti<br />
altri con scoperte eccezionali e mosaici del periodo bizantino<br />
e primo islamico di tale bellezza ed importanza da farlo<br />
diventare lo studioso di mosaici più famoso del Medioriente.<br />
Recentemente alle scoperte in Giordania si erano aggiunti gli<br />
straordinari risultati dei lavori di pulizia e riabilitazione nella<br />
cittadina di Sabastiya, in Palestina.<br />
Il suo lavoro di archeologo non si è fermato alle scoperte, ma<br />
sin dagli anni 70 del secolo scorso si è affiancato ad una particolare<br />
attenzione alla conservazione e valorizzazione dei<br />
beni culturali. Abuna Michele seguiva personalmente i lavori<br />
di restauro, sempre affiancati ad attività di valorizzazione<br />
che comprendevano l’organizzazione di mostre e pubblica-<br />
zioni in varie lingue, prestigiose sia dal punto di vista dei<br />
contenuti che della forma. E’ stato uno dei primi e pochi studiosi<br />
a tradurre le sue ricerche e lavori anche in lingua araba.<br />
Abuna Michele non era solo un archeologo di profonda<br />
capacità professionale, ma anche un francescano di grande<br />
fede, semplice nella relazione con gli altri, umile nella sua<br />
conoscenza, attento ai problemi della gente e alle loro esigenze.<br />
Era consapevole del valore delle sue capacità scientifiche,<br />
dell’importanza delle sue scoperte nel riscrivere la storia<br />
del Medioriente e per la conservazione della memoria,<br />
mantenendo un profondo rispetto delle varie civilizzazioni e<br />
culture che si erano susseguite nel territorio, e tutto questo lo<br />
inseriva nel contesto, con una costante attenzione ai benefici<br />
che le popolazioni locali, in realtà così sofferenti, avrebbero<br />
potuto trarre dallo studio e dalla conservazione del<br />
patrimonio culturale, dal punto di vista sociale e soprattutto<br />
economico.<br />
Padre Piccirillo a Sabastiya - Palestina<br />
Abuna Michele il prete francescano, un uomo di pace, sensibile<br />
verso tutte le religioni, aveva rapporti calorosi con colleghi<br />
e amici di religione musulmana, ebraica e cristiana delle<br />
varie chiese, lavorava con comunità locali e in siti archeologici<br />
espressioni di diverse culture, era un vero ponte tra le<br />
varie religioni, e lo faceva con grande serietà in un’area geografica<br />
piena di odio e intolleranza. La sua azione scientifica<br />
e culturale non si staccava mai da una analisi schietta ed acuta<br />
della realtà. Negli ultimi tempi aveva più volte denunciato le<br />
azioni irresponsabili che stavano cambiando profondamente<br />
la natura del patrimonio culturale locale. La sua vibrata contrarietà<br />
alla costruzione del Muro, che aveva isolato<br />
Betlemme ignorando il suo legame storico con Gerusalemme<br />
e la denuncia della arrogante unilateralità degli scavi archeologici<br />
israeliani nella città vecchia di Gerusalemme avevano<br />
venato di amarezza i suoi ultimi scritti.
Aree Archeologiche<br />
e teatri antichi<br />
PROGETTO ARTEA<br />
UN PARTENARIATO INTERNAZIONALE<br />
Maria Elena Alfano<br />
Il 3 agosto, è stato presentato a Siracusa, il progetto ArTea<br />
-Teatri antichi ed aree archeologiche: conoscenza e valorizzazione.<br />
ArTea, di cui il CRPR è ente attuatore e coordinatore<br />
del partenariato costituito, con la Sicilia, dalle regioni<br />
Lazio e Calabria e dal governatorato di Jendouba per la<br />
Tunisia, è un segmento del progetto integrato DIARCHEO,<br />
afferente la Misura 2.04 - Dialogo e Cultura relativa al<br />
Programma di sostegno alla Cooperazione Regionale –<br />
Accordo Programma Quadro (APQ) Mediterraneo e<br />
Balcani, che si articola in sei sub progetti che interessano 4<br />
regioni di paesi transfrontalieri e 11 regioni italiane.<br />
Nell’ambito di tale progetto, la cui matrice è “La valorizzazione<br />
del patrimonio archeologico come veicolo per il dialogo<br />
interculturale” il sub-progetto ArTea affronta nello specifico<br />
il tema della conoscenza e valorizzazione dei teatri antichi,<br />
patrimonio comune a molti paesi del Mediterraneo.<br />
La presentazione di Siracusa fa seguito alla definizione, nel<br />
primo semestre del 2009, dell’iter burocratico di aggiornamento<br />
ed approvazione del progetto DIARCHEO avviato nel 2006. Vi<br />
hanno partecipato la regione Puglia, RUP del progetto, i partners<br />
italiani, l’Institut National du Patrimoine per la Tunisia e gli<br />
enti di tutela. Grazie alla disponibilità della Soprintendenza di<br />
Siracusa, e del comune di Palazzolo Acreide, che ha accolto i<br />
partners nel sito di Akrai, individuato per la realizzazione del<br />
progetto in Sicilia, sono state illustrate le attività progettuali, che<br />
impegneranno un finanziamento di circa 863.000 euro, costituito<br />
da fondi FAS e cofinaziamenti regionali.<br />
Parte del consistente budget assegnato alla Sicilia, pari a circa<br />
449.000 euro, sarà investito nel paese partner estero per realizzare,<br />
nel sito di Bulla Regia, le medesime attività previste<br />
dal CRPR in Sicilia, con l’obiettivo di generare, nel pieno<br />
spirito degli accordi di cooperazione, un proficuo scambio di<br />
esperienze ed una ricaduta nei territori interessati.<br />
Il progetto ArTea, costruito nel rispetto delle raccomandazioni<br />
espresse nella “Carta di Siracusa“, prevede in sintesi la:<br />
- Sistematizzazione e condivisione delle conoscenze e delle<br />
metodologie relative all’utilizzo dei teatri antichi<br />
- Valorizzazione dei siti attraverso la promozione di percorsi<br />
tematici relativi ai teatri<br />
- Realizzazione di un processo di integrazione culturale nel<br />
Mediterraneo attraverso il coinvolgimento delle scolaresche<br />
per rappresentazioni teatrali.<br />
- Costruzione di una banca dati dedicata ai siti con architetture<br />
teatrali antiche<br />
- Costruzione di una rete di attori istituzionali e culturali per<br />
una corretta gestione dei teatri<br />
- Definizione di modelli condivisi di fruizione sostenibile<br />
- Realizzazione di percorsi tematici e didattici sul tema dei<br />
teatri antichi<br />
Bulla Regia - Tunisia<br />
INTERNAZIONALEI<br />
Lo studio per la conservazione e l’uso dei teatri antichi è un<br />
obiettivo che il CRPR persegue da anni: si è concretizzato nel<br />
2004 con la realizzazione a Siracusa del convegno” Teatri<br />
antichi nell’area del mediterraneo” e con la redazione e condivisione<br />
della “Carta di Siracusa per la conservazione, fruizione<br />
e gestione delle architetture teatrali antiche”, significativo<br />
documento di indirizzo redatto sulla base delle indicazioni<br />
elaborate in quattro workshop tematici che hanno permesso il<br />
confronto della comunità scientifica internazionale .<br />
Già in quella sede era emersa la necessità, nei paesi che<br />
detengono teatri antichi utilizzabili, di valorizzare tale risorsa<br />
trovando un giusto equilibrio tra la fruizione pubblica di spettacoli<br />
e la dignitosa ed attenta conservazione della testimonianza<br />
archeologica e del suo valore identitario-culturale.<br />
Tematica attuale, comune a molti paesi, che vede la Sicilia<br />
direttamente coinvolta per il notevole numero di teatri destinati<br />
ad eventi nell’isola (Siracusa Taormina, Tindari, Segesta,<br />
Morgantina, Akrai, Catania,) e per la potenziale fruizione, di<br />
altri spazi teatrali antichi tra gli 11 portati in luce in Sicilia.<br />
Il progetto ArTea si fonda sulla consapevolezza, maturata<br />
dal confronto tra gli studiosi, che la problematica vada<br />
affrontata sulla base di criteri condivisi di studio e di valutazione<br />
dei rischi connessi alle possibili attività teatrali al fine<br />
di pervenire a protocolli per la conservazione integrata e una<br />
fruizione sostenibile di questo patrimonio, e sulla convinzione<br />
che i teatri, ancor oggi deputati ad assolvere la loro funzione<br />
originaria, debbano essere consapevolmente vissuti<br />
garantendone la salvaguardia.<br />
Quattro teatri, Akrai in Sicilia, Ferento in Lazio, Scolacium<br />
in Calabria e Bulla Regia in Tunisia saranno oggetto di studi<br />
condotti in sinergia, con percorsi metodologici condivisi ed<br />
uniformati; l’obiettivo è valorizzare i teatri ed il contesto<br />
archeologico di riferimento, regolamentarne l’uso e la<br />
gestione, divulgarne la conoscenza e costruire una rete di<br />
relazioni e di attività teatrali dedicate alle scolaresche che<br />
consenta ai giovani di riappropriarsi, col doveroso rispetto,<br />
di un patrimonio che diviene strumento di dialogo, risorsa<br />
generatrice di sviluppo, testimonianza attuale ed attualizzabile,<br />
a distanza di secoli, di una storia comune.<br />
Coordinamento del progetto a cura della Direzione CRPR<br />
Guido Meli - coordinamento generale<br />
Coordinamento tecnico-amministrativo<br />
M.P. Spano<br />
Elena Lentini<br />
Andrea Fasulo<br />
Referenti tecnico-scinetifici<br />
Milena Alfano UO X<br />
Roberto Garufi UO IX<br />
5
P PROGETTI<br />
SITI MADONITI<br />
6<br />
PER LA MAPPATURA DEL DEGRADO ENTOMOLOGICO<br />
DEI MANUFATTI DI NATURA ORGANICA<br />
Rosa Not<br />
PREMESSA<br />
I beni culturali soggetti a un degrado di natura entomologica<br />
sono essenzialmente tutti i manufatti di natura organica e,<br />
prevalentemente, quelli lignei e cartacei, in quanto fonte di<br />
nutrimento degli insetti xilofagi è la cellulosa, principale<br />
costituente dei suddetti materiali. Sulla base di questa preliminare<br />
considerazione è stato avviato dal Laboratorio di<br />
Indagini biologiche del CRPR il Progetto Mappatura del<br />
degrado entomologico dei manufatti di natura organica,<br />
nell’ambito del quale si inserisce lo studio realizzato nel territorio<br />
madonita, oggetto del nostro articolo. L’indagine è<br />
stata condotta da Eleonora Di Gangi, che ha collaborato con<br />
il Laboratorio del <strong>Centro</strong>.<br />
Finalità del lavoro era indagare le problematiche sulla conservazione<br />
di tutti quei manufatti che presentavano un degrado<br />
di natura entomologica; lo studio, oltre al suo significato<br />
di conoscenza e ricerca, ha avuto anche la finalità di segnalare<br />
lo stato di emergenza di alcuni beni ai fini di un eventuale<br />
loro recupero.<br />
Sono stati, dunque, ispezionati diversi ambienti, quali chiese,<br />
biblioteche, musei e quant’altro custodiva al suo interno<br />
beni di natura organica; in totale sono stati mappati 14 siti,<br />
raccolti un numero considerevole di campioni, caratterizzate<br />
sei specie di insetti. Lo studio è stato articolato secondo una<br />
metodologia di prassi che ha comportato numerosi sopralluoghi<br />
tecnici presso i siti, la raccolta di campioni biologici,<br />
la realizzazione di una documentazione fotografica delle<br />
alterazioni, gli esami di laboratorio, la preparazione e la successiva<br />
conservazione degli esemplari raccolti nelle scatole<br />
entomologiche.<br />
CAMPIONAMENTI E TECNICHE ADOPERATE<br />
Lo studio è stato condotto seguendo la metodologia<br />
qui di seguito descritta.<br />
ANALISI IN SITU- Nel corso dei sopralluoghi sono state<br />
osservate le caratteristiche dell’ambiente di conservazione<br />
dei manufatti indagati, quali igiene ambientale, eventuale<br />
presenza di umidità, aerazione, fonti di calore e sostanze<br />
chimiche repellenti.<br />
Successivamente si è passati ad un attento esame visivo, con<br />
lente da campo, degli oggetti lignei e cartacei, al fine di<br />
accertare la presenza di alterazioni di natura entomologica<br />
(fori di sfarfallamento e gallerie). Sono stati osservati i caratteri<br />
diagnostici delle alterazioni, quali forma e misura dei<br />
fori, l’andamento delle gallerie e la loro localizzazione sul<br />
manufatto; inoltre, allo scopo di facilitare l’ulteriore fuoriuscita<br />
di rosume dai fori, alcune opere lignee sono state percosse<br />
con martelletto, i libri battuti su un foglio di carta bianca,<br />
sempre per favorire la fuoriuscita di materiale biologico.<br />
Scheda 1<br />
Nicobium castaneum (Olivier)<br />
(Coleoptera, Anobidae)<br />
Morfologia: 4-6 mm, nero-bruno. Sulle elitre si<br />
osservano delle bande striate create dalla peluria<br />
che le ricopre. La peluria è di due tipi: un tipo è<br />
densa, giallastra, coricata e l’altro tipo è lunga,<br />
irta, più diradata. Le elitre sono ornate da grossi<br />
punti infossati, disposti lungo linee longitudinali<br />
regolari. Il pronoto, anch’esso pubescente, è largo<br />
quanto le elitre ed è diviso in due da un setto. Gli<br />
occhi neri sono pubescenti.<br />
Ecologia: attacca i libri e il legno lavorato di conifere<br />
e latifoglie, specialmente se umidi e attaccati<br />
da funghi.<br />
Fenomenologia del danno: fori circolari di 2-3<br />
mm di diametro; escrementi fusiformi molto<br />
allungati con una caratteristica<br />
carenatura; gallerie hanno andamento irregolare.<br />
Localizzazione: nella Civica Raccolta etno-antropologica<br />
(Geraci Siculo), nella Chiesa di<br />
Sant’Antonio Abate (Polizzi Generosa) e nella<br />
Chiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).
Scheda 2<br />
GERACI SICULO<br />
Tipologia dei manufatti: lignei e cartacei<br />
BIBLIOTECA PADRE CARAPEZZA DI GERACI<br />
La Biblioteca di Geraci siculo custodisce libri risalenti<br />
al 1500, la maggior parte dei quali provenienti<br />
dal convento dei Padri Cappuccini. Essi si<br />
trovano in una stanza al primo piano, all’interno di<br />
scaffalature metalliche munite di porte grigliate,<br />
dove dietro i libri è sta ritrovata naftalina, utilizzata<br />
come repellente per insetti. È stata, inoltre,<br />
riscontrata presenza di polvere nelle scaffalature e<br />
sui libri. Sono stati indagati, a campione, circa<br />
quindici volumi.<br />
Libri: fori di sfarfallamento circolari sulle copertine<br />
(1,5-2 mm) e fra le pagine dei libri (1-1,5 mm);<br />
gallerie che interessano buona parte dello spessore<br />
dei volumi, erosioni irregolari, presenza di gore.<br />
La maggior parte di queste alterazioni ha inizio<br />
dalla rilegatura dei volumi<br />
CIVICA RACCOLTA ETNO-ANTROPOLOGICA<br />
Ospitata al pianterreno del Convento dei Padri<br />
Cappuccini; si tratta di un ambiente molto umido,<br />
freddo e poco illuminato.<br />
Tavolo: numerosissimi fori di sfarfallamento<br />
(grandi anche 4 mm), circolari e ovali, con bordo<br />
regolare e irregolare, diverse gallerie colme di<br />
rosume di diverso colore e granulometria, molti<br />
insetti morti dentro e fuori le gallerie.<br />
Braciere: fori di sfarfallamento circolari di 1-1,5<br />
mm, rosume fine e n. 2 insetti morti.<br />
Telaio: fori di sfarfallamento circolari (1-1,5 mm)<br />
e alcuni insetti morti.<br />
Tavolo falegname ed oggetti poggiati sopra: diversi<br />
fori di sfarfallamento circolari (1,5-2 mm), rosume<br />
grossolano che fuoriesce dai fori ed insetti<br />
morti.<br />
Contenitore per la ricotta: fori di sfarfallamento<br />
(1- 2,5 mm) circolari, rosume di diversa granulometria<br />
e insetti morti.<br />
PROGETTIP<br />
Con l’aiuto di un pennellino sono stati raccolti rosume, insetti<br />
e altri residui presenti nel manufatto o nelle vicinanze, e<br />
conservati in provette codificate. Tutte le varie fasi delle<br />
analisi in situ sono state documentate fotograficamente<br />
ANALISI IN LABORATORIO- In laboratorio gli insetti<br />
ritrovati nei vari siti sono stati lavati ed idratati in camera<br />
umida per essere meglio osservati allo stereoscopio; successivamente<br />
sono stati analizzati, misurati, fotografati e<br />
descritti nei loro caratteri morfologici fondamentali (dimensioni,<br />
larghezza del pronoto, antenne, peluria).<br />
L’osservazione di questi caratteri, insieme all’analisi della<br />
morfologia dei fori di sfarfallamento e all’aiuto di una chiave<br />
analitica dicotomica (Lepesme, 1944), ha permesso l’identificazione<br />
di alcuni insetti, in particolare di quelli completi<br />
di caratteri diagnostici, che sono stati sistemati in una<br />
scatola entomologica. Infine, sono state compilate schede<br />
sulla biologia delle specie caratterizzate e sulla loro localizzazione<br />
nei vari siti.<br />
AREA DI STUDIO, SITI MONITORATI E MANU-<br />
FATTI INDAGATI: DESCRIZIONE DELLE ALTE-<br />
RAZIONI<br />
Le indagini entomologiche sono state condotte in 4 comuni<br />
delle alte Madonie (Castellana Sicula, Geraci Siculo,<br />
Petralia Sottana e Polizzi Generosa), all’interno dei quali<br />
sono stati ispezionati 14 ambienti contenenti beni di natura<br />
organica, in particolare lignei e cartacei, quali archivi,<br />
biblioteche, chiese e musei. Quasi tutti i siti sono stati indagati<br />
più di una volta nell’arco dell’anno. Il monitoraggio ha<br />
interessato indistintamente tutti i manufatti sia lignei che<br />
cartacei, di pregio e non, più facilmente raggiungibili; solo<br />
in un caso, nella Chiesa di San Giuseppe Nuova a Castellana<br />
Sicula, non sono stati riscontrati segni di degrado.<br />
RISULTATI E CONSIDERAZIONI<br />
In totale sono stati raccolti 70 insetti Coleoptera, il maggior<br />
numero dei quali rinvenuto soprattutto nei sopralluoghi<br />
effettuati tra maggio e ottobre, periodo di sfarfallamento<br />
degli insetti. Dalle analisi è emerso che su 70 esemplari, 65<br />
afferiscono alla fam. Anobidae, 3 alla fam. Dermestidae e 2<br />
alla fam. Curculionidae. La fam. Anobidae è maggiormente<br />
rappresentata dai generi: Nicobium con la specie N. castaneum<br />
(Olivier), Anobium con la specie A. punctatum (De<br />
Geer), Stegobium con la specie S. paniceum (L.) e<br />
Oligomerus con la specie O. ptilinoides (Wollaston).<br />
Per quanto riguarda la fam. Dermestidae sono state ritrovate<br />
due larve ed un insetto adulto, quale Anthrenus verbasci<br />
(L.); infine 2 esemplari della fam. Curculionidae non sono<br />
stati identificati per mancanza di parti anatomiche. Oltre ai<br />
7
P<br />
8<br />
PROGETTI<br />
70 insetti Coleotteri, sono stati rinvenuti esemplari di<br />
Psocotteri ed Imenotteri, anch’essi non identificati.<br />
Sui manufatti lignei sono stati rinvenuti insetti xilofagi<br />
Coleoptera (Anobidae, Curculionidae), ma la maggior parte<br />
delle alterazioni sono ascrivibili agli insetti Anobidii.<br />
Le alterazioni riscontrate, quali gallerie larvali e rosume,<br />
sono prodotte dallo stadio larvale di questi generi, in quanto<br />
le larve essendo dotate di un’endobiosi intestinale, riescono<br />
a digerire la cellulosa e dunque sono in grado di scavare tortuose<br />
gallerie all’interno del legno. Il risultato dell’erosione<br />
della larva nel legno è il rosume, costituito da escrementi e<br />
rosura, ovvero frammenti di legno. Il rosume è incoerente e<br />
granuloso, costituito da caratteristiche particelle fusiformi<br />
(Chiappini et al., 2001). Il foro di sfarfallamento circolare è,<br />
invece, praticato dalla fuoriuscita dell’insetto adulto e il suo<br />
diametro varia da 1 a 3 mm, a seconda della specie (Liotta e<br />
Leto Barone, 1990). Questi insetti praticano principalmente<br />
danni estetici, strutturali se l’attacco è di grosse dimensioni.<br />
Tuttavia, le diverse alterazioni riscontrate sono il risultato di<br />
attacchi pregressi, in quanto non è stato ritrovato rosume, la<br />
cui presenza, invece, attesta l’attività xilofaga delle larve.<br />
Anobium punctatum è la specie più diffusa, rinvenuta nella<br />
chiesa di Sant’Antonio Abate (Polizzi Generosa), nella<br />
Civica Raccolta etno-antropologica (Geraci Siculo), nella<br />
chiesa di San Francesco, nella chiesa di Maria SS. Assunta e<br />
nella chiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).<br />
L’infestazione, in queste ultime due chiese è in atto perché<br />
sono stati rinvenuti degli individui vivi e nuovi cumuli di<br />
rosume. Possiamo ipotizzare che anche nelle chiese di San<br />
Giuseppe e nella chiesa del SS. Crocifisso (Castellana<br />
Sicula) ci sia un attacco in atto per la continua fuoriuscita di<br />
rosume dai piccoli fori di sfarfallamento presenti sui manufatti.<br />
La specie Nicobium castaneum preferisce legni umidi e<br />
attaccati da funghi, ed è piuttosto diffusa perché gli edifici<br />
che ospitano le opere lignee analizzate sono particolarmente<br />
umidi. Numerosissimi individui di N.castaneum sono stati<br />
rinvenuti nella Civica Raccolta etno-antropologica (Geraci<br />
Siculo), altri nella Chiesa di Sant’Antonio Abate (Polizzi<br />
Generosa) e altri ancora nella Chiesa della SS. Trinità<br />
(Petralia Sottana). Tracce di un attacco di N. castaneum, cioè<br />
camere pupali ed escrementi fusiformi molto allungati con
una caratteristica carenatura, sono state ritrovate anche nelle<br />
opere presenti nelle altre due chiese di Petralia Sottana<br />
(Chiappini et al., 2001).<br />
Oligomerus ptilinoides, è stato rinvenuto solamente nella<br />
chiesa di Maria SS. Assunta (Petralia Sottana); Stegobium<br />
paniceum sul crocifisso ligneo della biblioteca di Polizzi<br />
Generosa.<br />
Gli insetti appartenenti alla famiglia Curculionidae, riconoscibili<br />
dal loro caratteristico rostro, erano presenti nella<br />
Civica raccolta etno-antropologica di Geraci Siculo, dove<br />
sono stati ritrovati su legni umidi e attaccati da muffe. Sia le<br />
larve che gli adulti sono xilofagi e praticano gallerie in tutte<br />
le direzioni (Chiappini et al., 2001).<br />
Il monitoraggio ha, inoltre, evidenziato, nella chiesa di S.<br />
Antonio (Polizzi Generosa) e della SS. Trinità (Petralia<br />
Sottana), oltre che nella Civica raccolta etno-antopologica<br />
(Geraci Siculo), un fenomeno di parassitismo a spese delle<br />
larve e delle uova dei Coleotteri da parte di insetti appartenenti<br />
agli ordini Hymenoptera e Coleoptera (Dermestidae).<br />
Il fenomeno, che ai fini del degrado non ha alcuna rilevanza<br />
perché non sono biodeteriogeni del legno, può tuttavia indicarci<br />
la presenza di larve all’interno delle gallerie (Contarini,<br />
2000).<br />
A Castellana, nella cappella della Madonna della Catena,<br />
alcuni insetti appartenenti all’ordine Hymenoptera hanno<br />
costruito all’interno delle travi del soffitto ligneo dei nidi<br />
pedotrofici.<br />
Per quanto riguarda i manufatti cartacei, negli ambienti<br />
archivistici la maggior parte delle alterazioni riscontrate<br />
sono pregresse ed ascrivibili ad insetti Coleoptera<br />
(Anobidae, Dermestidae) e Psocoptera.<br />
Sui volumi, le alterazioni più evidenti, come fori di sfarfallamento<br />
e gallerie larvali, sono state prodotte da Stegobium<br />
paniceum (Coleoptera, Anobidae) rinvenuti in quantità maggiore<br />
nella biblioteca di Polizzi Generosa. Si nutrono di<br />
amidi e zuccheri, oltre che di lignina e cellulosa, e solitamente<br />
il loro attacco sui libri parte dal dorso e dalle colle.<br />
(Gambetta et al., 2001)<br />
Due larve morte, appartenenti alla famiglia Dermestidae,<br />
sono state ritrovate nella biblioteca di Petralia Sottana. Esse<br />
si nutrono di sostanze organiche di origine animale (pelli,<br />
stoffe, pellicce, altri insetti morti) e possono danneggiare le<br />
pergamene, le copertine di pelle o le rilegature dei volumi<br />
(Caneva et al., 2002). Il rinvenimento di 2 singole larve<br />
morte non fa pensare ad un attacco in atto.<br />
Le erosioni irregolari riscontrate nelle pagine dei volumi<br />
possono essere state prodotte da Lepisma saccarina o da<br />
insetti appartenenti all’ordine Psocoptera. Quest’ultimi<br />
sono insetti di piccole dimensioni (max. 2 mm di lunghezza),<br />
si ritrovano in ambienti umidi ma a seconda<br />
della specie possono svilupparsi anche ad umidità relative<br />
del 60%. Si nutrono principalmente di residui di<br />
sostanze organiche vegetali o animali e di funghi, alghe,<br />
licheni. In ambiente archivistico attaccano inizialmente<br />
le rilegature (attratti dalle colle) e poi erodono anche le<br />
pagine (Cesareo et al., 2006). Sono stati rinvenuti nelle<br />
tre biblioteche.<br />
PROGETTIP<br />
Conclusioni<br />
Questi dati rilevati nell’arco di un anno, seppur insufficienti<br />
ai fini di una dettagliata conoscenza dello stato di conservazione<br />
dei Beni nel territorio in interesse, possono già consentire<br />
l’elaborazione di adeguati piani di intervento per mettere<br />
in salvo alcuni manufatti, in particolare si segnalano: il<br />
trittico di scuola siculo-marchigiana a Petralia Sottana, i<br />
volumi della biblioteca di Polizzi ed i manufatti della civica<br />
raccolta di Geraci Siculo, che versano in un avanzato stato di<br />
degrado. Tuttavia, per quanto riguarda gli altri manufatti<br />
indagati, bisognerebbe intervenire ugualmente per far si che<br />
non si arrivi a situazioni irreparabili. Infatti, solo intervenendo<br />
tempestivamente si può ridurre la gravità di un degrado e<br />
l’invasività di un eventuale intervento di restauro.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Caneva, Nugari, Salvadori 1994<br />
G. Caneva, M.P. Nugari, O. Salvadori, La biologia nel<br />
restauro, Firenze 1994.<br />
Cesareo et. al. 2006<br />
U. Cesareo, G. Marinucci, E. Veca, E Ruschioni, Il monitoraggio<br />
entomologico negli ambienti di conservazione<br />
dei beni archivistici, in “Bollettino ICR”, Nuova Serie,<br />
13.<br />
Chiappini et al. 2001<br />
E. Chiappini, G. Liotta, M.C.Reguzzi, A.Battisti, Insetti e<br />
restauro - legno, carta, tessuti, pellame e altri materiali,<br />
Bologna 2001.<br />
Contarini 2000<br />
E. Contarini., Invertebrati in case, cortili e giardini della<br />
pianura emiliano-romagnola, Ravenna 2000.<br />
Gambetta, De Capua, Ruschioni, 2001<br />
A. Gambetta, E.L. De Capua E. Ruschioni, Intervento di<br />
disinfestazione di manufatti cartacei., in “Bollettino<br />
ICR”, Nuova Serie, 2.<br />
Lepesme 1944<br />
D. Lepesme, 1944, Les Colèoptères des denrées alimentaires<br />
et des produits industriels entreposés,<br />
Encyclopèdie Entomologique, XXII, Paris 1944.<br />
Liotta, Leto Barone 1990<br />
G. Liotta, G. Leto Barone, Metodologie per la salvaguardia<br />
delle strutture lignee di interesse storico-artistico<br />
dagli attacchi degli insetti silofagi, in “Il restauro del<br />
legno”, II, a cura di G. Tampone, Firenze, pp. 215-233.<br />
Sparacio 1997<br />
I. Sparacio, Coleotteri di Sicilia, parte II, Palermo 1990.<br />
9
P PROGETTI<br />
L’ABATELLIS TRA CONTINUITÀ<br />
E INTEGRAZIONE<br />
10<br />
NUOVO ALLESTIMENTO DELL’ALA SETTECENTESCA<br />
DELLA GALLERIA REGIONALE<br />
Ermanno Cacciatore<br />
Dopo due anni di lavoro è stata restituita al pubblico la<br />
Galleria regionale. Nel corso della presentazione alla<br />
stampa dello scorso 11 novembre ampio spazio ha avuto l’illustrazione<br />
del nuovo allestimento dell’ala settecentesca.<br />
Progetto realizzato nel solco di quello redatto da Carlo<br />
Scarpa ed inaugurato nel 1954. Esso rappresenta ancora oggi<br />
uno dei capisaldi della moderna museografia.<br />
Com’è noto l’edificio, realizzato nella seconda metà del XV<br />
secolo da Matteo Carnilivari, è una delle massime espressioni<br />
del gotico catalano presenti in Sicilia. Il complesso architettonico<br />
ruota su due livelli attorno ad una grande corte centrale<br />
su cui si affaccia un elegante loggiato. La terrazza di<br />
copertura conclude il fabbricato.<br />
Una seconda corte interna, residuo del grande cortile del<br />
Convento della Pietà, disimpegna i nuovi locali della galleria.<br />
Si tratta di un corpo di fabbrica rettangolare su tre elevazioni<br />
prospiciente il vicolo della Salvezza che collega via<br />
Alloro con l’Oratorio dei Bianchi.<br />
Il primo livello ospita i laboratori di restauro della Galleria<br />
mentre gli altri due livelli ospiteranno la collezione cinque e<br />
seicentesca da sempre custodita nei depositi della Galleria.<br />
Si tratta di due grandi ambienti rettangolari, identici per<br />
dimensioni, lunghi 40 metri e larghi 8 metri ca. Una teoria di<br />
balconi prospicienti la corte interna illumina gli ambienti,<br />
mentre il fronte sul vicolo della Salvezza presenta al terzo<br />
livello un unico grande finestrone.<br />
Il nuovo progetto si pone come ampliamento ed integrazione<br />
della esistente Galleria. Pertanto, nel pieno rispetto dell’allestimento<br />
scarpiano dell’ala quattrocentesca, il museo è<br />
stato integrato da una serie di nuovi servizi.<br />
Primo fra tutti è stato realizzato un percorso alternativo per i<br />
portatori di handicap. Una rampa inclinata è stata posta nella<br />
seconda corte per superare il dislivello esistente tra il piano<br />
del giardino e il primo livello; da qui un ascensore (il museo<br />
ne era sprovvisto) consente di raggiungere agevolmente i<br />
due livelli dell’ala settecentesca e, a ritroso, raggiungere<br />
l’ala quattrocentesca dove poter ammirare i capolavori assoluti,<br />
posti al primo piano, quali l’Annunciata di Antonello da<br />
Messina o la visione spettacolare, dall’alto, del Trionfo della<br />
morte.<br />
Attorno all’ascensore panoramico si snoda il corpo scala che<br />
conduce alla terrazza dell’ala quattrocentesca, fino a ieri<br />
interdetta al pubblico, da cui si gode una visione meravigliosa<br />
della città e in particolare di Monte Pellegrino.<br />
Come è noto ai frequentatori di Palazzo Abatellis la Galleria<br />
era sprovvista di un impianto di illuminazione artificiale; in<br />
realtà Carla Scarpa fece realizzare dei prototipi di lampade<br />
di vetro soffiato da una vetreria veneziana (qualcuna ancora<br />
esistente in deposito) e ci ha lasciato una serie di schizzi pro-
gettuali su un’idea di impianto di illuminazione. Ma, per<br />
diverse ragioni, l’impianto non venne mai posto in opera.<br />
Con la consulenza di Pietro Castiglioni ed Emanuela<br />
Pulvirenti è stato realizzato un sistema di illuminazione<br />
compatibile con la costruzione quattrocentesca in coerenza<br />
col piano-Scarpa<br />
Un primo obiettivo che ci siamo posti è stato quello di realizzare<br />
un percorso museale che si integrasse “naturalmente”<br />
con il precedente. Pertanto dove finiva il percorso scarpiano,<br />
ovvero alla cosiddetta Wunderkammer da cui, percorrendo a<br />
ritroso lo scalone quattrocentesco, si tornava alla corte e quindi<br />
all’uscita del Museo, è stata riaperta una vecchia porta da<br />
cui si raggiunge la zona “filtro” dei collegamenti orizzontali<br />
e verticali con la nuova scala e l’ascensore vetrato. Da qui,<br />
facilmente, si raggiungono i servizi igienici a piano terra, la<br />
rampa per i portatori di handicap e, in alto, la terrazza.<br />
I materiali adoperati per la nuova ala sono volutamente differenti<br />
dai materiali usati da Carlo Scarpa, anche per identificare<br />
facilmente l’inizio del nuovo percorso.<br />
Dal “filtro” si entra attraverso una porta vetrata nel primo dei due<br />
grandi ambienti. Qui è ospitata la collezione cinquecentesca.<br />
Una prima difficoltà è stata rappresentata dalle dimensioni<br />
dei dipinti. Si tratta, per massima parte, di pale d’altare alte<br />
fino a 4 metri e larghe anche 3 metri. Appare evidente l’impossibilità<br />
di una corretta lettura delle opere da una distanza<br />
ravvicinata. Si è pertanto progettata una quinta spezzata che<br />
ha consentito la realizzazione di coni visuali ben più lunghi<br />
degli otto metri consentiti dalla larghezza dei vani espositivi.<br />
Il lungo serpentone ha inoltre consentito la creazione di<br />
singoli ambienti di dimensioni ridotte che, pur mantenendo<br />
un itinerario prettamente cronologico del progetto museologico,<br />
hanno permesso l’individuazione di momenti di sosta<br />
su opere che presentano particolari affinità (appartengono<br />
allo stesso artista, o alla stessa scuola o presentano temi su<br />
cui si è ritenuto di far sostare il visitatore).<br />
Anche il livello superiore presenta la stessa filosofia progettuale.<br />
Il lungo serpentone, interrotto qui e là per consentire<br />
percorsi personalizzati ogni volta differenti, si snoda lungo<br />
l’asse maggiore dell’ambiente, creando momenti di sosta sui<br />
singoli temi espositivi e consentendo la creazione, quasi<br />
occasionale ma in realtà attentamente studiata, di quegli<br />
scorci per la visione a distanza delle grandi opere.<br />
Una particolare attenzione è stata posta per la realizzazione<br />
della coloritura delle quinte. Sono stati scelti due colori (il<br />
verde al primo piano e il rosso al secondo) in qualche modo<br />
“estratti” dalle tavolozze dei pittori dell’epoca e su cui si stagliano<br />
perfettamente, senza fenomeni di sotto e sovraesposizione,<br />
le opere che finalmente potranno essere ammirate da<br />
un pubblico speriamo attento e numeroso.<br />
Progetto e direzione dei lavori a cura del CRPR<br />
Guido Meli<br />
Ermanno Cacciatore<br />
Roberto Garufi<br />
Collaboratori<br />
Antonino Caruso<br />
Salvatore Zappalà<br />
PROGETTIP<br />
11
L<br />
12<br />
LABORIANDO<br />
IL MUSEO DEL CORALLO<br />
COLLEZIONI DELL’“AGOSTINO PEPOLI”<br />
Maria Luisa Famà<br />
Direttrice Museo Pepoli<br />
Il Museo Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani ha sede<br />
nel trecentesco ex convento dei Padri Carmelitani, ampiamente<br />
rimaneggiato tra il Cinquecento ed il Settecento. Esso<br />
è contiguo all’importante Santuario dell’Annunziata, dove è<br />
conservata e venerata la statua in marmo della Madonna di<br />
Trapani, opera concordemente attribuita a Nino Pisano<br />
(1380 ca.).<br />
Il Museo illustra, insieme alle collezioni di pittura e di scultura,<br />
lo svolgimento delle arti figurative nel territorio trapanese<br />
con particolare riferimento alle arti decorative ed applicate,<br />
nelle quali Trapani primeggiò soprattutto per quanto<br />
riguarda le opere in corallo.<br />
Il nucleo fondamentale delle collezioni del Museo trae origine,<br />
nei primi del Novecento, dalla riunione in un unico istituto<br />
della quadreria donata alla città natale dal Generale<br />
Giovan Battista Fardella, Ministro a Napoli dei re Borboni,<br />
delle opere pervenute allo Stato a seguito della soppressione<br />
delle corporazioni religiose nonché delle raccolte artistiche<br />
private del conte Agostino Pepoli, ardente promotore della<br />
fondazione del Museo che proprio da lui prende nome. Si<br />
sarebbero poco più tardi aggiunti i reperti archeologici concessi<br />
dal Regio Museo di Palermo, i cimeli storici provenienti<br />
dalla Biblioteca Fardelliana di Trapani, i materiali artistici<br />
del locale Ospizio Marino “Sieri Pepoli” e nel 1922 i materiali<br />
del Museo Hernandez di Erice, assieme ad ulteriori<br />
incrementi dovuti ad acquisti da parte dello Stato o a doni e<br />
depositi da parte di enti e privati.<br />
La quadreria del Generale Fardella, è costituita principalmente<br />
da dipinti del Cinquecento e del Seicento, acquistati<br />
dal Fardella tra il 1825-30. Le collezioni del conte Pepoli<br />
sono invece eterogenee, includono infatti dipinti, gioielli,<br />
lapidi, bronzetti, riflettendo la cultura eclettica di stampo<br />
illuministico di questo straordinario intellettuale mecenate.<br />
In anni recenti Vincenzo Abbate, che ha diretto il museo per<br />
oltre un ventennio, ha acquisito numerose opere afferenti le<br />
arti decorative ed applicate, che hanno notevolmente accresciuto<br />
le collezioni del museo, in cui prevalgono i manufatti<br />
in corallo. L’attività espositiva dell’ultimo ventennio si è<br />
indirizzata principalmente verso questa particolare categoria<br />
artistica, offrendo all’attenzione del pubblico e degli studiosi<br />
opere che, se da un lato sono fortemente collegate al retroterra<br />
storico-culturale della città, dall’altro riflettono, attraverso<br />
numerosissime testimonianze, il percorso produttivo<br />
ed artistico della scultura “maggiore” dei grandi maestri.<br />
Al corallo è fortemente legata la stessa immagine del museo,<br />
che pur comprendendo collezioni diverse quali, pitture su<br />
tela e tavola, sculture, presepi, gioielli, paramenti sacri, arredi<br />
lignei e reperti archeologici, si contraddistingue per i suoi<br />
preziosi manufatti in corallo.<br />
Per brevità citeremo innanzitutto la Lampada, il Crocifisso<br />
ed il Calice di Fra’ Matteo Bavera, artista nato a Trapani<br />
probabilmente intorno al 1580-81, che in tarda età si era riti-<br />
rato come fratello laico nel convento di San Francesco<br />
d’Assisi, da cui provengono le opere citate.<br />
La Lampada, firmata e datata dal maestro al 1633, costituisce<br />
un caposaldo di importanza fondamentale per la determinazione<br />
cronologica delle opere di questa categoria artistica<br />
in corallo, rame dorato e smalti, proprio per la presenza della<br />
datazione, in genere infatti tali manufatti erano anonimi e<br />
solo raramente citati dalle fonti.<br />
Il Crocifisso, di grande potenza plastica ed espressiva per lo<br />
straordinario pathos del volto del Cristo, è una delle poche<br />
opere in corallo note sin dal Seicento, anche per le sue notevoli<br />
dimensioni (h. cm 64 x 28).<br />
Infine, il Calice, è stato giustamente considerato dalla critica<br />
una delle migliori opere in corallo della prima metà del<br />
XVIII secolo per la complessità ideativa e il suo particolare<br />
pregio estetico.<br />
Il Tesoro della Madonna di Trapani esposto in parte nel<br />
Museo Pepoli ed in parte conservato nel contiguo santuario,<br />
costituisce uno dei più importanti e significativi nuclei di<br />
oggetti preziosi di Sicilia e le oreficerie, in particolare, testimoniano<br />
la ricchezza ed il gusto, spesso molto ricercato, che<br />
le nobili trapanesi manifestavano negli ornamenti personali.<br />
Tra i gioielli del Tesoro, ex-voto per grazia ricevuta o semplicemente<br />
doni offerti alla Madonna di Trapani, figurano<br />
naturalmente numerosi monili in corallo, che spiccano fra i<br />
tanti per la loro particolare vivacità e luminosità. Gli orecchini<br />
e i pendenti, spesso recano miniaturistiche figure di<br />
santi, mentre raffinate scene mitologiche, riproducenti le<br />
fatiche di Ercole, compaiono su un preziosissimo Bracciale<br />
composto da dodici cammei ovali in corallo (forse opera di<br />
Matteo Bavera).
LO SCRIGNO DEI RICORDI<br />
FIBRE, TESSUTI, TAGLIO E TAGLIE SARTORIALI<br />
Roberta Civiletto/Caterina Dessy<br />
L<br />
’imminente apertura di una nuova sezione, all’interno<br />
del Museo “Agostino Pepoli” di Trapani, dedicata al<br />
costume aulico, che verrà inaugurata con la mostra dal titolo<br />
Preziosi abiti tra rococò e romanticismo, è stata l’occasione<br />
per sviluppare un lungo e complesso progetto di conservazione<br />
su alcuni abiti antichi, sinora custoditi nei depositi.<br />
Nella fase di ricerca e sperimentazione dell’intervento, avente<br />
carattere multidisciplinare, sono state coinvolte alcune<br />
professionalità altamente specializzate provenienti da Istituti<br />
esterni che, lavorando in perfetta sinergia con il team del<br />
laboratorio, hanno consentito di completare l’azione di recupero<br />
morfologico, seguendo un’attenta ricostruzione filologica.<br />
Inoltre con l’intento di ricreare una suggestiva ambientazione<br />
ed una fedele contestualizzazione storica, ottimizzando<br />
così le potenzialità comunicative degli abiti da esporre,<br />
sono stati ideati e realizzati, dagli allievi dell’Accademia<br />
di Belle Arti di Palermo, sotto la guida e la supervisione del<br />
Laboratorio di <strong>Restauro</strong> e dei docenti (il progetto didattico è<br />
stato condotto da Arianna Oddo affiancata da Alessandra<br />
Tavella) alcune acconciature e copricapi di completamento,<br />
utilizzando svariati materiali compatibili con le norme di<br />
conservazione. I complessi interventi di restauro, numerosi e<br />
diversificati, hanno comportato caso per caso la valutazione<br />
e la risoluzione delle singole problematiche conservative.<br />
Per consentire una più agile comprensione delle particolarità<br />
degli oggetti e delle azioni di risanamento apportate, si è<br />
scelto di illustrare sinteticamente ogni intervento sviluppato<br />
e di fornire alcune notizie storiche sulle opere trattate.<br />
IL RESTAURO DEL NUCLEO DI ABITI<br />
ED ACCESSORIO ANTICHI DEL MUSEO PEPOLI<br />
Caso n. 1- Abito da ricevimento, manifattura italiana<br />
(Sicilia) 1845-1848: abito in tre pezzi in tessuto pékin, fondo<br />
in taffetas di seta giallo oro con motivi a composizione floreale<br />
disposti su nastri trinati, lungo strisce orizzontali, creati<br />
da trame broccate e orditi supplementari (flotté). Bustino<br />
steccato, sagomato a punta davanti, chiuso posteriormente<br />
con ganci. Scollo a barca. Maniche lunghe a pagoda, drappeggiate<br />
sulla spalla, decorate da nastro frangiato con minuti<br />
disegni floreali e merletto blonde in seta écru, con motivi<br />
floreali. Gonna a campana con fitta arricciatura in vita ornata<br />
da due balze, rifinite da largo nastro frangiato con minuti<br />
disegni floreali. Fisciù triangolare chiuso sul davanti da<br />
ganci interni e decorato da nastro trinato e falsi bottoni rivestiti<br />
in seta. L’abito è appartenuto alla famiglia dei Baroni<br />
Curatolo di Trapani. La delicatezza del colore, la raffinatezza<br />
del tessuto, caratterizzato da decorazioni della seta tono<br />
su tono, fanno pensare ad una veste nuziale, particolarmente<br />
vicina ad un’altra della Galleria del costume di Palazzo Pitti.<br />
Carattere tipico dei primi anni quaranta dell’Ottocento è il<br />
modello con busto attillato dalle spalle calate, la gonna a<br />
LABORIANDOL<br />
campana, moderatamente ampia, ma arricchita da balze e<br />
l’uso di stoffe disposte a sbieco nel busto. L’accentuato<br />
degrado molecolare del tessuto e delle decorazioni a merletto,<br />
nonché la vistosa presenza di precedenti restauri, condotti<br />
in maniera impropria, ha indotto ad un intervento conservativo<br />
molto complesso. Dopo avere svolto le necessarie<br />
indagini diagnostiche, utili a valutare anche quali e quanti<br />
possibili stress meccanici avrebbe potuto sopportare l’opera<br />
durante il trattamento, e avere elaborato una minuziosa azione<br />
di rilevamento dati (rilievo fotografico e grafico dei danni<br />
e del taglio sartoriale), l’abito è stato parzialmente smontato.<br />
Successivamente alla pulitura ad aria, la vaporizzazione e la<br />
messa in posa dei singoli elementi, si è proceduto alla fase di<br />
consolidamento ad ago. Le ampie lacerazioni e le estese<br />
lacune, che occupavano la quasi totalità della veste, sono<br />
state integrate totalmente mediante l’applicazione, sul retro,<br />
di un supporto in organza di seta, tinta in laboratorio nel<br />
colore idoneo, utilizzando su ampie superfici la tecnica del<br />
punto postato. Per garantire la necessaria consistenza al tes-<br />
suto e al contempo proteggere la superficie, la fase di consolidamento<br />
è stata completata con la tecnica a sandwich,<br />
applicando a cucito, sul fronte dell’intera stoffa, un sottile<br />
velo di Lione, anch’esso tinto in laboratorio, con una batteria<br />
di filze scansionate (punto pioggia). Si è dunque proceduto<br />
alla delicata fase del riconfezionamento, seguendo<br />
come guida le tracce degli originari punti del cucito. A tal<br />
fine sono stati fondamentali il rilievo sartoriale e i numerosi<br />
riferimenti bibliografici.<br />
Caso n. 2 - Abito femminile Andrienne, manifattura italiana<br />
(Sicilia) 1775-1778 ca. abito del tipo Andrienne originaria-<br />
13
L<br />
14<br />
LABORIANDO<br />
mente composto da due pezzi: sopravveste (manteau) e sottanino<br />
(juppe) oggi mancante. Tessuto in pèkin, fondo raso,<br />
con ordito a disposizione in più colori; effetti creati da un<br />
ordito supplementare che descrive esili righe verticali in<br />
cannellè simpletè e da trame broccate policrome che disegnano<br />
minuti tralci fioriti ad andamento ondulante e sviluppo<br />
verticale, che si succedono orizzontalmente. Sopravveste<br />
aderente al busto con largo pannello posteriore che crea un<br />
leggero strascico, caratterizzato dalle tipiche pieghe a cannone.<br />
Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso, scende<br />
a punta stondata sul davanti ed è chiuso con allacciatura<br />
anteriore nascosta. Ampio scollo carré, decorato con applicazione<br />
di merletto ad ago, in seta avorio, con inserti di piccoli<br />
fiori artificiali policromi. Maniche a palloncino rifinite<br />
da delicato merletto ad ago. Lungo il bordo della sopravveste<br />
si sviluppa un ampio merletto ad ago, simile a quello che<br />
decora scollo e maniche, arricchito da applicazioni di ruches<br />
e torchons sempre in merletto, fiocchi e corolle floreali sintetiche<br />
in tessuto, distribuiti su fasce parallele e orizzontali.<br />
L’ampia veste in origine era sostenuta da panier à conde. L’<br />
abito appartenuto alla nobile famiglia Bulgarella – Ponte, di<br />
Trapani, risponde alla caratteristiche morfologiche citate in<br />
numerosi inventari nobiliari, dove, in corrispondenza dei<br />
beni mobili, sono minuziosamente descritti anche abiti ed<br />
accessori vestimentari. Il modello della veste mostra la sintesi<br />
del gusto francese e di quello esercitato dalla moda<br />
inglese; il primo individuabile nella presenza delle delicate<br />
decorazioni a merletto sui pannelli anteriori della sopravveste,<br />
su scollo e maniche, l’altro evidente nel taglio del corpetto<br />
unito, balenato, chiuso sul davanti. La confezione del<br />
capo, di ottima fattura, potrebbe essere ascritta ad un atelier<br />
siciliano, forse palermitano (secondo una consuetudine della<br />
nobiltà trapanese, già riscontrata dalla consultazione di<br />
documenti di archivio, di acquistare capi d’abbigliamento da<br />
sarti palermitani). L’intervento di restauro applicato sulla<br />
ricca sopravveste è consistito prevalentemente nel ripristino<br />
dell’originaria morfologia del capo e nel recupero dei delicati<br />
merletti che lo ornano, interessati da un accentuato degrado<br />
molecolare. A tale proposito, dopo aver svolto tutte le<br />
indagini diagnostiche preliminari agli interventi conservativi,<br />
e analizzato le qualità cromatiche del tessuto, mediante<br />
l’indagine colorimetrica, si è proceduto alle fasi di pulitura e<br />
messa in forma dell’opera. Un attento studio della foggia<br />
sartoriale, attraverso rilievo grafico, ha preceduto lo smontaggio,<br />
la pulitura, il consolidamento dei merletti e la loro<br />
ricollocazione secondo l’originario andamento sinuoso.<br />
Particolare attenzione è stata posta alla ridefinizione della<br />
volumetria del capo, raggiunta attraverso la messa in posa<br />
del tessuto su appositi supporti creati in laboratorio. Al fine<br />
di costituire una unità formale e visiva dell’abito, si sta procedendo<br />
alla realizzazione di una replica del sottanino, con<br />
un tessuto in raso di seta su cui sarà eseguita una stampa serigrafica<br />
che simulerà gli effetti decorativi e le cromie della<br />
stoffa originaria. Per raggiungere tale esito si è svolto un<br />
meticoloso studio delle decorazioni che caratterizzavano il<br />
ricco tessuto francese con il quale è stato realizzato il capo,<br />
attraverso l’analisi tecnica, merceologica e il rilievo grafico<br />
del modulo disegnativo. Per tale operazione si è rivelata di<br />
fondamentale utilità l’indagine colorimetrica precedente-<br />
mente svolta. La realizzazione della stampa sul tessuto e la<br />
confezione del sottanino è stata affidata a tecnici esperti del<br />
settore, docenti presso l’Istituto Statale d’Arte Filippo<br />
Juvara di San Cataldo (CL).<br />
Caso n. 3 - Abito femminile, Andrienne, manifattura italiana<br />
(Sicilia)1775-1778 ca.: abito del tipo Andrienne composto<br />
da due pezzi: sopravveste (manteau) e sottanino (juppe).<br />
Tessuto in gros de Tours avorio, liseré, broccato in sete policrome<br />
con motivo ad esili tralci e rametti fioriti disposti su<br />
file parallele verticali. Sopravveste aderente al busto con<br />
largo pannello posteriore, che crea un leggero strascico,<br />
caratterizzato dalle tipiche pieghe a cannone. Il sottanino si<br />
allunga fino alle caviglie per lasciare in vista le scarpette,<br />
che dovevano essere in tessuto di seta operato o ornate da<br />
ricami. Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso,<br />
scende a punta stondata sul davanti, ed è chiuso con allacciatura<br />
anteriore nascosta. Ampio scollo ovale. Maniche strette<br />
al gomito del tipo en sabo. L’ampia veste in origine era<br />
sostenuta da panier à conde. La veste, completa delle sue<br />
parti strutturali, ma giunta a noi priva degli éngageantes che<br />
originariamente ornavano gli orli delle maniche, apparteneva<br />
ai Baroni Curatolo di Trapani. Il delizioso capo, confezionato<br />
probabilmente in un atelier sartoriale siciliano, è realizzato<br />
con un tessuto francese di tipico gusto fine Rococò, le<br />
cui principali caratteristiche sono i colori, dalle delicate tinte<br />
pastello, una struttura tessile molto leggera e decorazioni
minute di tipologia floreale. L’Andrienne, con la sua particolare<br />
foggia connotata da larghe superfici, consentiva a chi la<br />
indossava di mostrare tutta la ricchezza del tessuto e dunque<br />
anche di esibire il proprio stato sociale. Come per l’altra<br />
Andrienne, gli interventi di restauro hanno seguito l’impostazione<br />
metodologica che, partendo dallo studio tecnico,<br />
storico e diagnostico, hanno condotto all’azione di risanamento.<br />
Il profondo degrado molecolare del tessuto, caratterizzato<br />
da fenomeni di polverizzazione, dalla presenza, su<br />
larga parte della superficie, di netti tagli longitudinali e lacune<br />
sfrangiate, ha comportato, dopo la necessaria pulitura e<br />
messa in forma dell’opera, l’applicazione di un consolidamento<br />
di tipo “totale”. La scelta del tessuto di supporto è<br />
stata oggetto di un’attenta riflessione: gli elementi sartoriali<br />
della veste, privi di fodera, consentivano di osservare agevolmente<br />
il rovescio della delicatissima stoffa operata a<br />
trame broccate. Questo aspetto costituisce un’importante<br />
caratteristica della foggia e al contempo un importantissimo<br />
dato tecnico per gli studiosi del settore e gli storici del tessuto<br />
o del costume. Era dunque necessario custodire l’istanza<br />
storica e tuttavia fornire al tessuto una valida struttura di<br />
base che gli restituisse la necessaria tenuta meccanica. Si è<br />
allora optato per un tessuto in organza di seta, tinto in laboratorio<br />
nella nuance idonea, con caratteristiche di compattezza<br />
e trasparenza, poi applicato ad ago (ago curvo di tipo chirurgico),<br />
mediante i punti “posato” e “pioggia”, con sottilis-<br />
LABORIANDOL<br />
simo filo di seta. Questo tipo di consolidamento, perfettamente<br />
reversibile, garantirà una facile ispezione del rovescio<br />
del tessuto nonchè una valida integrazione strutturale e visiva<br />
delle lacune. Infine, per restituire unità formale al modello<br />
sartoriale si sta procedendo alla realizzazione di repliche<br />
degli éngageantes, in organza di seta, da applicare in corrispondenza<br />
dei gomiti.<br />
Caso n. 4 - Livrea del Senato, manifattura italiana (Sicilia)<br />
inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana blu e fustagno<br />
color avorio, di linea leggermente svasata, con collo a fascetta<br />
verticale tagliato dritto, spalle rotonde e maniche aderenti<br />
con alti paramani in panno avorio ornati da gallone in velluto<br />
operato, cesellato a due corpi con motivi floreali. Mostre<br />
leggermente stondate, con quattro bottoni in metallo a motivi<br />
araldici, profilo segnato da un alto gallone in velluto uguale<br />
al precedente, chiusura interna con ganci. Tasche in panno<br />
avorio a patta sagomata a tre punte ornate di alto gallone in<br />
velluto operato, cesellato a due corpi, profilati da tre bottoni<br />
metallici. Falde larghe squadrate e leggermente svasate che<br />
si riuniscono posteriormente in doppi piegoni fermati da due<br />
bottoni metallici, con spacco centrale posteriore. Tutte le<br />
strutture interne del capo sono delimitate da un gallone<br />
uguale a quello che definisce le bordure esterne. Fodera in<br />
flanella di colore avorio. La veste mostra la tipica standardizzazione<br />
del modello, tramandandosi per lungo tempo<br />
senza grandi varianti nella foggia e nella gamma cromatica,<br />
riscontrabile in altri numerosi esemplari simili al nostro,<br />
ancora oggi custoditi presso collezioni pubbliche o private.<br />
Le caratteristiche formali della livrea, il colore blu del panno<br />
e la tipologia del gallone inducono a pensare che il capo<br />
fosse stato indossato dal personale del senato cittadino in<br />
occasione di cerimonie ufficiali. L’abito era interessato da<br />
un accentuato degrado di tipo fisico e molecolare, caratterizzato<br />
dalla presenza di parziali scoloriture delle tinte e dal<br />
deperimento della struttura tessile con conseguente formazione<br />
di locali buchi e lacune, insieme a fenomeni di polverizzazione.<br />
Dopo le opportune indagini, si è passati alle fasi<br />
di pulitura, messa in forma, integrazione di lacune e generale<br />
consolidamento. Vista la robustezza della originaria struttura<br />
tessile, per l’integrazione ad ago si sono individuati dei<br />
tessuti molto simili a quello originale, in fibra di natura animale,<br />
poi tinti in laboratorio per raggiungere le diverse cromie<br />
occorrenti.<br />
Caso n 5 - Livrea per la servitù., manifattura italiana<br />
(Sicilia) inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana rossa, di<br />
linea aderente, con collo a fascetta verticale tagliato alto e<br />
dritto, spalle rotonde e maniche aderenti con paramani ornati<br />
da gallone in velluto operato, cesellato a due corpi con<br />
motivi floreali. Mostre stondate, con otto bottoni fasciati e<br />
ricamati a motivi geometrici, profilo segnato da un alto gallone<br />
in velluto uguale al precedente ma all’interno del quale<br />
è incluso uno stemma (albero con leone rampante); chiusura<br />
interna con ganci. Tasche a patta sagomata a tre punte ornate<br />
di alto gallone in velluto operato, cesellato a due corpi e<br />
da bottoni. Falde squadrate e sfuggenti che si riuniscono<br />
posteriormente in doppi piegoni fermati da un bottone, con<br />
spacco centrale posteriore. Tutte le strutture interne del capo<br />
sono delimitate da un gallone uguale a quello che definisce<br />
le bordure esterne. Fodera in flanella di colore marrone bru-<br />
15
L<br />
16<br />
LABORIANDO<br />
ciato. La veste, caratterizzata da un taglio sartoriale che<br />
risponde ai dettami della moda maschile in auge, si distingue<br />
per fasto ed eleganza. Se questo genere di capo, destinato<br />
alla servitù di aristocratiche famiglie o ai dipendenti pubblici,<br />
subisce la standardizzazione del modello, tramandandosi<br />
poi immutato per lungo tempo nella foggia e nella gamma<br />
cromatica, il nostro esemplare è tuttavia l’esempio di come,<br />
a certi livelli, il prestigio e la ricchezza della nobiltà fossero<br />
esibiti in occasione delle pompe sociali, anche attraverso<br />
l’immagine esteriore del proprio personale di servizio.<br />
L’intervento di restauro ha seguito il consueto iter di pulitura,<br />
messa in forma, e consolidamento.<br />
Caso n. 6 – Ventaglio, manifattura francese, 1840-45: stecche<br />
(n. 16) in osso traforato, dorato, con doppia pagina in<br />
carta decorata a stampa, mediante tecnica litografica acquerellata<br />
e dorata, sul verso e sul recto, raffigurante su un lato,<br />
una idilliaca scena campestre e sull’altro una scena con<br />
costumi ottocenteschi. Coronamento realizzato con piume<br />
colorate e minute corolle artificiali. Decorazione con nappa<br />
pendente in fili di seta ritorta e filato in ciniglia. Autore della<br />
stampa litografica: Palamede De Viseontin. Il ventaglio, fondamentale<br />
accessorio dell’abbigliamento femminile, diviene<br />
nell’Ottocento oggetto anche di propaganda, divulgazione di<br />
temi storici, patriottici, letterari e musicali. La tipologia<br />
strutturale dell’oggetto, la tecnica di stampa utilizzata, le<br />
decorazioni ed i soggetti raffigurati consentono di datare l’opera<br />
alla prima metà dell’Ottocento. La pulitura della strut-<br />
Le attività di conservazione sono state<br />
condotte dai tecnici del laboratorio di<br />
restauro di manufatti di origine organica<br />
del CRPR<br />
tura in osso è stata eseguita ad aria e mediante l’uso di un<br />
tensioattivo (Tween 20). Le pagine, interessata da numerose<br />
lacune, sono state integrate con polpa di carta e alcune zone<br />
sono state riequilibrate nei toni ad acquarello. Il consolidamento<br />
è stato effettuato con nebulizzazione di CMC diluito<br />
con acqua deionizzata.<br />
Caso n. 7- Scarpe (un paio), manifattura italiana (Sicilia)<br />
prima metà del XIX secolo: scarpe femminili piane con<br />
tomaia in vitellino, tagliata in due pezzi, rifinita al bordo da<br />
fettuccia in taffetas di seta di colore marrone; fodera interna<br />
in pelle di capra allumata. Punta quadrata, lunghi lacci<br />
laterali in taffetas di seta, colore marrone. Fodera in pelle<br />
di capra allumata, suola in cuoio. La scarpa bassa iniziò ad<br />
essere usata durante il periodo impero, quando era abbinata<br />
ad abiti di gusto neoclassico. Il suo uso continuò tuttavia<br />
con lievi variazioni fino alla metà dell’Ottocento. Le nostre<br />
scarpette erano deformate, interessate da un marcato inaridimento<br />
del cuoio e da uno spesso strato di polvere grassa.<br />
I lacci si mostravano pieni di grinze e pieghe, mentre la<br />
struttura tessile presentava fragilità meccanica. Le calzature<br />
sono state ripulite mediante pulitura ad aria con micro<br />
aspiratore e pulitura meccanica attraverso l’uso di un tensioattivo<br />
(Tween 20). La morfologia delle scarpe è stata<br />
riacquistata mediante un’idratazione controllata e l’inserimento<br />
di sostegni flessibili in cartoncino a lunga conservazione.<br />
I lacci sono stati puliti, messi in forma e consolidati<br />
ad ago.
Cerami, Abbazia di San Benedetto. Madonna della Lavina, prima dell’intervento<br />
VIRGO LACTANS<br />
LA MADONNA DELLA LAVINA DI CERAMI<br />
Chiara Caldarella/Alessandra Longo<br />
LABORIANDOL<br />
La ricerca, condotta dall’Unità per i Beni Storico-artistici,<br />
iconografici ed etnoantropologici e pubblicata nel<br />
2006 in “U circu e a bannera. Le feste di San Sebastiano a<br />
Cerami” - “I quaderni di Palazzo Montalbo”, è stata l’occasione<br />
che ha spinto i tecnici del CRPR a prendersi cura di<br />
una tavola quattrocentesca raffigurante la Madonna della<br />
Lavina, custodita nella chiesa abbaziale di San Benedetto a<br />
Cerami in pessimo stato di conservazione. Il dipinto con la<br />
Vergine assisa in trono in atto di allattare il Bambino tra due<br />
angeli (Virgo Lactans) è un’opera poco conosciuta, che,<br />
come molte altre immagini sacre, ha svolto fin dall’antichità<br />
un ruolo molto importante nell’immaginario collettivo, conservando<br />
ancora oggi un inscindibile legame con la popolazione<br />
locale. La denominazione della Madonna della Lavina<br />
è infatti legata alla presenza di un piccolo torrente, in dialetto<br />
u lavinaru, che scorre nelle campagne attorno a Cerami,<br />
dove sorge una piccola chiesetta, anticamente una cappella<br />
annessa a un convento di suore benedettine, nella quale leggendariamente<br />
si trovava la tavola prima di essere trasportata<br />
nel monastero annesso all’abbazia di San Benedetto, dove<br />
oggi è conservata1 . La preziosità dell’opera e l’avanzato<br />
stato di degrado sono state le ragioni principali che hanno<br />
spinto i tecnici del CRPR alla progettazione di un intervento<br />
conservativo, che, giunto finalmente alla conclusione, grazie<br />
alla sinergia della ricerca di coloro che vi hanno collaborato,<br />
ha ridato splendore ad un’opera di sicuro pregio artistico. Per<br />
impostare correttamente l’intervento di restauro e di conservazione<br />
è stato necessario conoscere esattamente la tecnica<br />
artistica di esecuzione, definire i fenomeni del degrado e<br />
risalire alle loro cause. Per questo motivo il dipinto è stato<br />
sottoposto ad un approfondito studio interdisciplinare basato<br />
sulle indagini diagnostiche sistematiche e complete, che<br />
hanno permesso di individuare correttamente le linee guida<br />
per l’intervento e per la metodologia di conservazione.<br />
Gli accurati esami scientifici e lo studio sulla particolare tecnica<br />
di esecuzione del dipinto, realizzato a tempera con<br />
impiego di oro sulla tela, incorporata allo strato della preparazione<br />
della superficie pittorica, hanno aggiunto importanti<br />
notizie utili alla conoscenza dell’opera stessa e delle sue<br />
caratteristiche tecniche, sopperendo in qualche modo all’esiguità<br />
delle fonti documentarie. Il risultato delle indagini chimiche<br />
sulla tecnica ha infatti permesso di avanzare l’ipotesi<br />
di un intervento di un pittore esterno o di un pittore locale,<br />
condizionato da metodologie usate tradizionalmente in altri<br />
ambiti culturali 2<br />
. Contestualmente, attraverso l’analisi storico-artistica<br />
e filologica, si è cercato di ricostruire il clima<br />
culturale nel quale collocare l’opera, riconosciuta come un<br />
pregevole esemplare di quella corrente artistica, diffusa tra<br />
il XIV e il XV secolo nell’Italia meridionale, sulla quale, su<br />
una premessa di origine bizantina, si innestarono gli esiti<br />
della cultura occidentale con uno sguardo rivolto alla pittura<br />
senese, agli elementi veneto-marchigiani e al decorativi-<br />
17
L<br />
18<br />
LABORIANDO<br />
smo catalano 3 . La datazione dell’opera, basata principalmente<br />
sull’analisi stilistica, è stata supportata anche dai risultati<br />
dell’indagine dendrocronologica, che, attraverso il confronto<br />
delle varie sincronizzazioni, ha presumibilmente collocato<br />
l’età della tavola nel periodo compreso tra il 1433 e il<br />
1486, individuando l’autore in un artista attardato che sembra<br />
abbia riproposto i caratteri della cultura di inizio<br />
Trecento rinnovandoli, con un modellare più fluido, non solo<br />
nell’impostazione ma anche nell’adozione di un nuovo e originale<br />
partito decorativo.<br />
L’intervento sul dipinto ha avuto un notevole interesse<br />
anche ai fini della sperimentazione, che ha riguardato<br />
soprattutto le fasi del consolidamento e della pulitura dello<br />
strato pittorico, che si presentava molto lacunoso. L’attenta<br />
operazione di pulitura, che ha consentito di rimuovere le<br />
ridipinture estese riportando alla luce i colori originari, ha<br />
svelato elementi interessanti per quanto riguarda la tessitura<br />
cromatica del film pittorico realizzata con colori squillanti<br />
stesi con pennellate corpose, entro il segno grafico<br />
degli ornati e le linee spesse del contorno dei volti, delle<br />
mani, che rievocano tendenze stilistiche di matrice spagnola,<br />
rintracciabili ad esempio nel grande retablo del<br />
Maestro di Arguis, ora al Prado, realizzato tra la fine del<br />
XIV e l’inizio del XV secolo.<br />
Riguardo all’iconografia della Virgo lactans, raffigurata<br />
nella tavola, è generalmente accettata l’opinione che l’immagine<br />
della Vergine allattante sia derivata dalla antica rappresentazione<br />
di Iside che allatta il dio pagano Horus. Il tema<br />
cristianizzato della Madonna con Bambino, (avvenuto in<br />
Egitto e diffusosi dal 431, dopo il concilio di Efeso) 4 fu recuperato<br />
solo nel secolo XII e incontrò enorme successo a partire<br />
dal XIII secolo, stimolando una fiorente produzione<br />
d’immagini devozionali sia nella pittura che nella scultura,<br />
in coincidenza con la diffusione, promossa dai crociati, delle<br />
icone della Galactotrephousa, o Madonna allattante. Una<br />
tesi recente, formulata da Ludovico Rebaudo, riguardo all’origine<br />
dell’iconografia della Vergine allattante, sostiene,<br />
invece, l’esistenza di una tradizione iconografica occidentale<br />
dello stesso tema connesso ab origine ad un’antica rappresentazione<br />
dell’Adorazione dei Magi, che prescinde dalla<br />
raffigurazione di Iside e precede la Galaktrophoùsai copta di<br />
oltre un secolo 5 .<br />
Il soggetto di Maria che allatta, che esprime nella delicatezza<br />
dei tratti della figura della Madonna una connotazione<br />
realistica e affettiva, fu variamente riprodotto nel<br />
XIV secolo soprattutto nella pittura iberica e indubbiamente<br />
la circolazione dei modelli spagnoli nei territori<br />
siciliani del regno aragonese condizionò profondamente<br />
gli artisti ed in generale i gusti della committenza, che<br />
talora impose agli autori non solo scelte stilistiche ma<br />
anche iconografiche. Anche l’attardata impostazione<br />
tardo-gotica della composizione, in cui l’unico movimento<br />
della figura statica della Vergine è affidato alla banda<br />
dorata spiraliforme, che sottolinea l’orlo del mantello o<br />
maphorion indossato sopra la tunica, sembra riproporre<br />
modelli graditi a maestri catalani italianizzanti, quali il<br />
Maestro di S.Marco, il presunto Ramon Destorrents, o<br />
quello di Estopiñan, richiamati nella definizione dei tratti<br />
fisionomici del Bambino e degli angeli, nello ricerca di<br />
una espressività più calcata nello sguardo della Vergine e<br />
nell’ombreggiatura degli incarnati. Ad ogni modo la presenza<br />
di particolari caratteri arcaici della Vergine ( il<br />
taglio degli occhi, l’esile tratto delle sopracciglia, il naso<br />
affilato, l’inclinazione del volto, la lumeggiatura del viso<br />
e del collo, la posa del Bambino, la rigidità delle mani) si<br />
trova similmente anche in alcune opere di artisti siciliani,<br />
come il Maestro del Trittico di Santa Maria a Licata,<br />
vicino alla cerchia di Louis Borrasà, con un preciso rinvio<br />
alle opere degli spagnoli Ermanno e Pietro Serra, ben<br />
noti in Sicilia già alla fine del XIV secolo 6 . Anche nel<br />
tendaggio decorato a ramages, steso dietro le spalle della<br />
Vergine, o nel disegno del cuscino ai piedi, che consiste<br />
in un tracciato di forme regolari come in una stoffa a<br />
broccato si possono rintracciare le tendenze decorative di<br />
gusto valenzano che avvalorano l’ipotesi che gli aspetti<br />
caratterizzanti di questo dipinto risentano del gusto<br />
eclettico, rivestito di nuovo vigore, che circolava tra i<br />
possedimenti della corona aragonese.<br />
Particolare della Vergine durante l’intervento.
Nota di restauro<br />
L’opera è composta da un dipinto a tempera su tavola<br />
(cm166 x 63 e cm2, circa, di spessore) e da una cornice<br />
lignea dipinta e dorata (circa cm30 di larghezza)<br />
entrambi cuspidati sulla parte superiore.<br />
Su tutta la superficie del supporto ligneo si trova una<br />
preparazione bianca dove è stata applicata un’unica tela<br />
a trama fitta di colore chiaro; su di essa è stato steso un<br />
altro strato di preparazione uguale alla sottostante che<br />
accoglie la pellicola pittorica. La cornice è stata eseguita<br />
a foglia d’argento meccato sulle parti aggettanti e<br />
dipinta in verde sulle modanature interne.<br />
Il manufatto, prima dell’intervento, si presentava molto<br />
offuscato per la presenza di un film grigiastro, si notavano<br />
estese ridipinture e lacune della pellicola pittorica,<br />
della preparazione e della tavola ed erano presenti<br />
fori e chiodi fissati sulla superficie dovuti all’applicazione<br />
di oggetti devozionali e ornamentali in relazione<br />
al culto dell’effige. Anche sulla cornice vi erano delle<br />
ridipinture localizzate sulla zona inferiore e, diffusamente,<br />
erano presenti lacune e chiodi.<br />
La struttura lignea dell’opera si presentava in generale<br />
compatta, ad eccezione di alcune zone che si mostravano<br />
indebolite da una pregressa infestazione di insetti<br />
xilofagi, che era ancora in atto, sulla cornice, al momento<br />
dell’arrivo in laboratorio. Il metodo di disinfestazione<br />
scelto è stato quello delle atmosfere modificate per<br />
sottrazione di ossigeno, tramite sacchetti ermetici contenenti<br />
polvere di ferro; con questa operazione si è attivata<br />
una collaborazione con i tecnici della Galleria<br />
Regionale di Palazzo Abatellis Arabella Bombace,<br />
Tiziana Lorenzetti e Bianca Pastena, con le quali, per<br />
tutte le fasi successive, si è proceduto seguendo il principio<br />
del “minimo intervento”.<br />
Le indagini chimiche hanno permesso di individuare<br />
nella composizione dei due strati preparatori, insieme<br />
alla colla animale, l’inusuale presenza di gesso anidro,<br />
elemento molto solubile in acqua che ha determinato la<br />
fragilità del composto, che è da considerarsi tra le cause<br />
principali della caduta di colore.<br />
Una particolare attenzione, quindi, è stata rivolta al<br />
consolidamento della preparazione e della superficie<br />
pittorica, che ha rappresentato l’aspetto più importante<br />
e problematico di questo studio. Insieme al restauratore<br />
Alberto Finozzi (CESMAR7) sono state eseguite<br />
numerose misurazioni di forza su campioni precedentemente<br />
preparati con diversi consolidanti in diverse<br />
diluizioni. Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione,<br />
sulla base del principio del minimo intervento<br />
e secondo la “necessità”del manufatto, è stato<br />
scelto il consolidante da utilizzare ed in quale percen-<br />
LABORIANDOL<br />
tuale applicarlo.<br />
Per la scelta dell’intervento di reintegrazione pittorica<br />
ci si è avvalsi dell’elaborazione informatizzata di tavole<br />
virtuali su supporto digitale eseguite da M.Francesca<br />
Mulè e M.Rosalia Carotenuto. Al fine di una corretta<br />
lettura del dipinto si è preferito reintegrare pittoricamente<br />
le piccole lacune degli incarnati e trattare le<br />
grandi ed estese mancanze di colore con la tecnica della<br />
“tinta neutra” eseguita direttamente sulla tela.<br />
Tutte le operazioni sono state documentate con immagini<br />
fotografiche e sono state effettuate anche le mappature<br />
dello stato di conservazione, dei prelievi e dei<br />
punti di misura delle indagini scientifiche. L’opera<br />
infatti è stata sottoposta nei laboratori del <strong>Centro</strong> ad<br />
analisi chimiche, fisiche, microbiologiche, entomologiche,<br />
xilotomiche, dendrocronologiche e merceologiche<br />
per l’individuazione dei materiali costitutivi e sopramessi<br />
e per la ricerca delle cause di degrado. A tal proposito<br />
è stato eseguito il monitoraggio microclimatico<br />
all’interno della chiesa che ospita il dipinto.<br />
Fase del consolidamento dello strato pittorico<br />
Indirizzo metodologico fornito dal comitato scientifico all’uopo composto da Franco Fazzio, Antonio Rava, Lorella Pellegrino, Alberto Finozzi.<br />
<strong>Restauro</strong> della cornice laboratori di P. Abatellis. Si ringrazia la Dott.ssa Giulia Davì ed i tecnici del Gabinetto di <strong>Restauro</strong> della Galleria per la<br />
collaborazione al restauro del dipinto e della cornice. Le attività di restauro sono state condotte dai tecnici del laboratorio di restauro materiali<br />
di origine organica del CRPR - Gabinetto Tele e Tavole<br />
19
L<br />
20<br />
LABORIANDO<br />
Particolare del maphorion del mantello della Vergine durante la pulitura<br />
NOTE<br />
V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato<br />
da Gioacchino Di Marzo, 2 vol., Palermo 1855-1856, I, alla voce<br />
“Cerami”, pp. 319-320 “...[Cerami] II Monastero di monache è adorno del<br />
titolo di Santa Maria di Lavina, sotto gli istituti di San Benedetto; erano<br />
quelle un tempo fuori il paese; stanno oggi sotto il tempio principale e<br />
mostrano un’antichissima tavola di Madonna, illustre per meravigliosi prodigi.’’;<br />
G.Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1900, p.224. Il Pitrè<br />
riporta una notizia sulla tavola, collegata al cerimoniale della festa in suo<br />
onore a Cerami.<br />
Altri esempi di opere eseguite con la stessa tecnica sono: gli scomparti del<br />
retablo sottostante gli affreschi attribuiti al fiorentino Dello Delli nella cattedrale<br />
di Salamanca, la tavola con l’Ascensione (Palermo, Galleria<br />
Regionale “Palazzo Abatellis”) e la tavoletta con la Madonna e il Bambino<br />
(Alcamo, Chiesa dei SS. Paolo e Bartolomeo) .<br />
A. De Bosque, La pittura italiana in Spagna, 1968 p. 112, figg. 113-124; L.<br />
Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontri mediterranei, Palermo,<br />
Kalòs, 2008. Già dalla prima metà del Trecento erano giunti in Sicilia dalla<br />
Lombardia la Madonna dell’Umiltà di Bartolomeo da Camogli (1346) e alla<br />
fine del Trecento dalla Toscana opere di Antonio Veneziano, la Madonna<br />
col Bambino di Barnaba di Modena e altri dipinti della bottega di Nicolò da<br />
Veltri, Jacopo di Michele, Turino Vanni, Andrea Vanni e Taddeo di<br />
Bartolo.<br />
Le prime immagini di Maria “Galactotrephousa” o “Madonna allattante”<br />
(così era chiamata in Oriente, mentre in Occidente veniva appellata “Maria<br />
Lactans”) sono di origine copta e si trovano in una cella monastica di Banit<br />
in Egitto e in una caverna eremitica del Monte Latmos in Asia minore (risalenti<br />
ai secc. VI – VII) nonché a Roma in un frammento di scultura del sec.<br />
VI, rinvenuto nel Cimitero di San Sebastiano.<br />
L. Rebaudo, Fausta, Pietas e la Virgo Lactans: migrazione di un motivo, in<br />
Società e cultura in età tardoantica, Atti dell’incontro di studi (Udine 29-<br />
30 maggio 2003), Grassina (FI), 2004, p. 181-209.<br />
Tra le opere stilisticamente più vicine alla tavola di Cerami ed eseguite nella<br />
prima metà del XV secolo si citano anche la Madonna del Latte ( Siracusa,<br />
Galleria Regionale di Palazzo Bellomo), la Madonna in trono che allatta il<br />
Bambino (Siracusa, Arcivescovado), l’affresco con la Madonna delle<br />
Grazie (Palermo, Chiesa di Sant’Agata) o ancora la tavola con la Madonna<br />
in trono che allatta il Bambino (Santa Lucia del Mela (Messina), Chiesa<br />
dell’Annunziata).<br />
Bibliografia<br />
S. Sampere y Miguel, Los cuatrocentistas catalanes,<br />
Barcellona, 1906.<br />
L. Ozzola, L’arte spagnola nella pittura siciliana del<br />
secolo XV, in “Rassegna Nazionale”, gen. 1909.<br />
E. Mauceri, La pittura in Siracusa nel secolo XV, in<br />
“Rassegna d’Arte”, 1910.<br />
R. Longhi, Frammento siciliano, in ”Paragone”, 47, 1953.<br />
S. Bottari, La pittura del quattrocento in Sicilia,<br />
Messina-Firenze, 1954.<br />
S. Bottari, L’arte in Sicilia, Messina- Firenze 1962.<br />
M.G. Paolini, Ancora del Quattrocento siciliano in<br />
”Nuovi Quaderni del Meridione”, a. II, 1964.<br />
A. De Bosque, La pittura italiana in Spagna, Milano 1968<br />
G.Bresc Bautier, Artistes patriciens et confréries, production<br />
et consummation de l’oeuvre d’art à Palermo et<br />
en Sicile occidentale (1348-1460), Roma 1979.<br />
P. Santucci, La produzione figurativa in Sicilia dalla fine<br />
del XII alla metà del XV , in Storia della Sicilia, dir. da<br />
R. Romeo, V, Napoli-Palermo 1981, pp.<br />
E. Castelnuovo, Presenze straniere:viaggi di opere, itinerari<br />
di artisti nel Quattrocento, in La pittura in Italia.<br />
Il Quattrocento, II, Milano 1986-1987<br />
F. Campagna Cicala, Sicilia, in Dizionario della pittura<br />
e dei pittori, Torino 1994.<br />
F. Abbate, Storia dell’Arte nell’Italia meridionale. Il sud<br />
angioino e aragonese, Roma, 1998<br />
L. Rebaudo, Fausta, Pietas e la Virgo Lactans: migrazione<br />
di un motivo, in Società e cultura in età tardoantica,<br />
Atti dell’incontro di studi, Udine (29 - 30 maggio<br />
2003), Grassina (FI), 2004<br />
L. Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontri<br />
mediterranei, Palermo 2008.
DOSSIER<br />
ANALISI E INDAGINI<br />
DIAGNOSTICHE<br />
TRA ARCHEOLOGIA<br />
E RESTAURO<br />
DOCUMENTAZIONE DI ALCUNE FASI<br />
DELLO STUDIO SCIENTIFICO IN ATTUAZIONE<br />
DEL PROGETTO DI RECUPERO E DI CONSERVAZIONE<br />
DELLA VILLA ROMANA DEL CASALE<br />
DI PIAZZA ARMERINA<br />
21
DOSSIER<br />
22<br />
SPECIE LAPIDEE<br />
I MARMI DELLA VILLA DEL CASALE<br />
Lorenzo Lazzarini<br />
Università IUAV - Venezia<br />
I marmi della Villa del Casale di<br />
Piazza Armerina sono stati in passato<br />
oggetto di attenzione e indagine da<br />
parte di vari studiosi, a iniziare dagli<br />
scavatori (Carandini et al. 1982 ), che<br />
redassero un primo elenco, peraltro<br />
molto incompleto e con errori, delle<br />
specie lapidee presenti, e continuando<br />
con lo studio di Pensabene, anch’esso<br />
non esaustivo e con qualche imprecisione,<br />
per finire poi con i due lavori<br />
dello scrivente (Lazzarini 2003 e<br />
2007) che riguardarono solamente i<br />
marmi e le pietre ancora in posto, e si<br />
basarono solo su una identificazione<br />
autoptica delle varie specie lapidee.<br />
Una recentissima indagine, sempre di<br />
chi scrive, estesa alle diverse decine di<br />
cassette di frammenti marmorei raccolti<br />
nel corso dello scavo sia della<br />
Basilica che del resto della villa, e<br />
opportunamente integrata da indagini<br />
archeometriche di laboratorio eseguite<br />
su campioni prelevati principalmente<br />
dalla Basilica stessa, rende ora possibile<br />
la stesura di un elenco delle qualità<br />
di marmi presenti nell’edificio, che si<br />
ritiene pressoché definitivo almeno per<br />
quanto sinora messo in luce e studiato,<br />
e una prima serie di considerazioni sull’impiego<br />
dei materiali lapidei di<br />
importazione nella villa.<br />
L’elenco di quest’ultimi viene sintetizzato<br />
in tabelle suddivise per area geografica<br />
di provenienza (vedi pag. 24), e<br />
fornisce una valutazione semiquantitativa<br />
dei materiali e un’indicazione<br />
delle tipologie d’uso. Per valutare la<br />
quantità, ci si è basati sul numero di<br />
casse riempite per ciascuna specie, in<br />
particolare:<br />
da uno, sino a qualche decina di frammenti,<br />
presenza in tracce<br />
da una a tre casse, presente<br />
da tre sino a cinque casse, abbondante<br />
oltre cinque casse, molto abbondante.<br />
Circa la tipologia d’uso, si sono facilmente<br />
identificati gli elementi architettonici<br />
(principalmente cornici e loro<br />
frammenti, colonne e loro frammenti,<br />
capitelli e loro frammenti), nonché gli<br />
altri manufatti e loro frammenti (ad es.<br />
vasche), mentre si è assunto lo spessore<br />
delle lastre per distinguere i rivestimenti<br />
pavimentali (spessore > di 1 cm)<br />
da quelli parietali (spessore ≤ di 1 cm).<br />
L’identificazione dei marmi colorati,<br />
come si è detto sopra è stata largamente<br />
basata su un riconoscimento autoptico<br />
e per confronto con specifici atlanti<br />
fotografici (Mielsch 1985; Borghini<br />
1989; Dolci, Nista 1992; Pensabene,<br />
Bruno 1998) ma anche su studi minero-petrografici<br />
al microscopio polarizzatore<br />
di sezioni sottili di campioni<br />
delle specie lapidee di incerta provenienza,<br />
e di quelle sconosciute.<br />
L’identificazione dei marmi bianchi e<br />
bigi è invece da considerarsi ampiamente<br />
ipotetica perché basata sulle<br />
loro caratteristiche macroscopiche<br />
(dimensioni della grana, colore, brillanza,<br />
etc.), salvo che per un numero<br />
significativo di campioni, prelevati per<br />
litotipo e in modo rappresentativo, che<br />
sono stati identificati con una buona<br />
probabilità di esattezza del risultato<br />
mediante dettagliato esame petrografico<br />
in sezione sottile combinato ad analisi<br />
degli isotopi stabili del carbonio e<br />
dell’ossigeno, e tenendo conto della<br />
relativa banca dati più aggiornata tra<br />
quelle attualmente esistenti (Gorgoni<br />
et al. 2002).<br />
Sui dettagli di tali identificazioni di<br />
laboratorio, si rimanda allo specifico,<br />
recente rapporto scientifico redatto per<br />
la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di<br />
Enna (Lazzarini 2009).<br />
Per informazioni storico-archeologiche<br />
e archeometriche sulle varie specie<br />
lapidee identificate, si consiglia la consultazione<br />
delle pubblicazioni di Gnoli<br />
(1988); Borghini (1989), con relativa<br />
recensione di L.Lazzarini (1990); De<br />
Nuccio, Ungaro (2002); Lazzarini<br />
(2004 e 2007).<br />
Come si desume dalle tabelle, sono i<br />
marmi di origine ellenica che prevalgono<br />
su tutti gli altri. In particolare, si<br />
può senz’altro affermare che siano le<br />
due specie lapidee estratte dall’isola di<br />
Sciro (ora, Skyros), e cioè la breccia di<br />
settebasi e il marmo sciretico bianco, a<br />
predominare. Della prima sono le<br />
grandi colonne del peristilio prospiciente<br />
il mosaico della grande caccia, e<br />
molti riquadri e cornici dell’opus sectile<br />
della basilica; del secondo erano con<br />
ogni probabilità molti dei rivestimenti<br />
parietali e pavimentali, sia della basilica<br />
che di altri spazi della villa. Va<br />
anche notata la considerevole abbondanza<br />
del verde antico, il cui uso e diffusione<br />
è, come noto, da datare a dopo<br />
l’età adrianea, ma la cui massiccia presenza<br />
in contesti romani non è molto<br />
comune.<br />
Dei marmi microasiatici, l’africano<br />
appare il più usato, e solo per rivestimenti,<br />
mentre i graniti sono presenti<br />
specie in colonne. Di questi, il più<br />
abbondante è il misio, presente con
numerosi fusti nel peristilio, dove si<br />
alterna al marmo lesbio e al greco<br />
scritto, ma in origine anche in opera<br />
sottoforma di lastre pavimentali nella<br />
basilica. Meno usato è invece il granito<br />
della Troade, ma ciò è in linea con<br />
un progressivo sorpasso del granito<br />
pergameno su quello troadense avvenuto<br />
verso la fine dell’impero romano,<br />
sorpasso che sembra essersi consolidato<br />
all’inizio dell’era bizantina.<br />
Tra le poche specie litiche di provenienza<br />
africana presenti nella villa, è il<br />
marmo greco scritto che fa la parte del<br />
leone, sia per le colonne, sia in rivestimenti<br />
pavimentali e parietali (specialmente<br />
negli zoccoli alla base delle<br />
varie stanze della villa). Della sua origine,<br />
che nel caso specifico della basilica<br />
sembra essere proprio africana,<br />
non si può essere del tutto certi per<br />
tutte le lastre presenti anche negli altri<br />
ambienti (Antonelli et al., 2009), che<br />
potrebbero pure essere di provenienza<br />
microasiatica (proconnesia e/o efesina)<br />
vista l’ancora imperfetta conoscenza<br />
sia archeologica, sia archeometrica<br />
delle varie facies denominate “greco<br />
scritto”. Molto abbondante, per gli<br />
stessi usi del litotipo precedente, è il<br />
marmo numidico. Da notare anche la<br />
preferenza accordata alla sienite per le<br />
due grandi colonne d’ingresso alla<br />
basilica, ciò che è da collegare a un<br />
maggior prestigio mantenuto anche in<br />
età tardo-antica da questo granito<br />
rispetto a quelli microasiatici.<br />
Dei marmi di origine italica, infine non<br />
si può che osservarne l’esigua presenza,<br />
con la parziale esclusione del marmo<br />
lunense, molto usato per cornici e rivestimenti,<br />
a conferma di una persistenza<br />
dell’impiego di materiali lapidei esotici<br />
quali indicatori dell’elevato stato sociale<br />
del proprietario della villa.<br />
Un’ultima considerazione va fatta<br />
circa la presenza nella basilica, per<br />
quanto in pochissimi, addirittura singoli,<br />
frammenti di alcune pietre molto<br />
rare, come il granito verde fiorito di<br />
bigio, la breccia rossa appenninica, la<br />
breccia di Aleppo, il semesanto, tutte<br />
di grande pregio e caratterizzate da un<br />
impiego che solitamente arriva al massimo<br />
sino all’età flavia, ciò che farebbe<br />
supporre un reimpiego nei pavimenti<br />
e pareti della grande sala cerimoniale<br />
di materiali più antichi probabilmente<br />
portati a Filosofiana da altri<br />
centri romani dell’isola.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Antonelli et al. 2009 - F. Antonelli, L.Lazzarini., S. Cancelliere, D. Dessandier, Minero-petrographic and geochemical characterization<br />
of “Greco Scritto” marble from Cap de Garde near Hippo Regius (Annaba, Algeria), in “Archaeometry”, 51, 2009.<br />
Borghini 1989 - G. Borghini (a cura di), Marmi Antichi, Roma 1989.<br />
Pensabene, Bruno 1998 - P. Pensabene, M. Bruno, Il marmo e il colore, guida fotografica. I marmi della collezione Podesti,<br />
Roma 1998.<br />
Carandini et. al 1982 - A. Carandini , A. Ricci., M. De Vos, Filosofiana. La Villa di Piazza Armerina, Palermo 1982.<br />
Dolci, Nista 1992 - E. Dolci, L. Nista (a cura di), Marmi Antichi da Collezione, Carrara 1992.<br />
Gnoli 1988 - R. Gnoli, Marmora Romana, Roma 1988.<br />
Gorgoni et al. - C. Gorgoni., L. Lazzarini., P. Pallante, B. Turi B., 2002, An updated and detailed mineropetrographic and C-O<br />
stable isotopic reference database for the main Mediterranean marbles used in antiquity, in “ASMOSIA 5, Interdisciplinary<br />
Studies on Ancient Stone” (J.J.Herrmann, N.Herz, & R.Newton eds.), London 2002, pp. 115-131.<br />
Lazzarini 1990 - L..Lazzarini L., in “Bollettino d’Archeologia”, 5-6, 1990, pp. 255-268<br />
Lazzarini 2003 - L. Lazzarini, I materiali lapidei e vetrosi delle tessere musive delle terme di Villa del Casale (Piazza Armerina),<br />
in Atti del Primo Convegno Internazionale di Studi La materia e i segni della Storia, I, “Apparati musivi antichi nell’area del<br />
Mediterraneo”, I Quaderni di Palazzo Montalbo, Palermo 2003.<br />
Lazzarini 2004 - L. Lazzarini (a cura di), 2004, Pietre e marmi antichi: natura, caratterizzazione, origine, storia d’uso, diffusione,<br />
collezionismo, Castenaso (Bo), 2004.<br />
Lazzarini 2007 - L. Lazzarini, Poikiloi lithoi, versiculores maculae. I marmi colorati della Grecia antica, Roma-Pisa 2007.<br />
Lazzarini 2007a - L. Lazzarini, Caratterizzazione dei materiali lapidei e vetrosi, In Progetto di recupero e conservazione della<br />
Villa Romana del Casale di Piazza Armerina<br />
I RESTAURI IN CORSO ALLA VILLA DEL CASALE SONO DIRETTI DAL CRPR<br />
DIR. DEI LAVORI GUIDO MELI<br />
DIR. OPERATIVO PER IL SETTORE LAPIDEI<br />
RESTAURATRICE LORELLA PELLEGRINO<br />
23<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
24<br />
TABELLE COI RISULTATI OTTENUTI<br />
NOME ANTICO DEL MARMO, E PROVENIENZA ABBONDANZA<br />
TIPOLOGIA D’USO<br />
SINONIMI MODERNI<br />
RELATIVA<br />
Breccia di settebasi Isola di Skyros +++ RPAV, C, RPAR<br />
M. thessalicum, lapis atracius, verde antico Chasabali (Larisa) +++ RPAV<br />
Marmor lesbium, bigio antico Moria, Isola di Lesbo ++ RPAV, C<br />
Marmor scyreticum, marmo sciretico bianco Kolones, Isola di Skyros ++ RPAR, RPAV, CO<br />
Marmor chium, porta santa Latomi, Isola di Chio ++ RPAV<br />
Marmor charystium, marmor styrium, cipollino<br />
verde<br />
Karystos, Styra, Isola Eubea ++ RPAV, RPAR<br />
Rosso antico Penisola di Mani (Pelop.) ++ RPAV, RPAR, CO<br />
M. lacedaemonium, serpentino, porfido verde<br />
antico<br />
Stefanià (Peloponneso) + RPAV<br />
Marmor pentelicum Monte Penteli, Atene + RPAV, RPAR, CO<br />
Marmor Thasium (due varietà) Isola di Taso + RPAV, RPAR<br />
Marmor chalcidicum, fior di pesco Eretria, Isola Eubea ± RPAV, RPAR<br />
Semesanto Isola di Skyros ± RPAV<br />
Cipollino bigio Karystos, Isola Eubea ± RPAV<br />
Breccia di Aleppo Kariés, Isola di Chio ± V<br />
Marmi di origine ellenica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />
rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.<br />
NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA TIPOLOGIA<br />
RELATIVA D’USO<br />
Marmor lucullaeum, africano Sigacik, Izmir +++ RPAV, RPAR<br />
Marmor proconnesium. M. cyzicenum, m. greco<br />
fetido<br />
Saraylar, etc. , Isola di Marmara +++ RPAV, RPAR,<br />
C, CAP, CO<br />
Marmo misio, granito misio Kozak, Bergama +++ C, RPAV<br />
Marmor sagarium, breccia corallina, breccia Vezirhan, Bilecik +++ RPAV, RPAR<br />
nuvolata, brocatellone<br />
Marmor Carium, m.iassense, cipollino rosso,<br />
africanone<br />
Marmor phrygium, m.docimenum,<br />
m.synnadicum, pavonazzetto<br />
Kiykislacik, Mylasa + RPAV<br />
Iscehisar, Afyon + RPAV, RPAR<br />
Marmor troadense, granito violetto Cigri Dag, Ezine + C<br />
Bianco e nero tigrato ??, prob.prov. anatolica ± RPAV<br />
Alabastro fiorito ??, prob.prov. anatolica ± RPAV<br />
Marmi di origine microasiatica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />
rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.<br />
NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA<br />
RELATIVA<br />
TIPOLOGIA D’USO<br />
Marmor numidicum, giallo antico Chemtou, Tunisia +++ RPAV, RPAR<br />
Greco Scritto, anche brecciato Cap de Garde, Algeria; altre +++ RPAV, RPAR, C, CO<br />
Lapis porphyrites, porfido rosso antico<br />
provenienze ignote<br />
Gebel Dokhan, Deserto Orientale<br />
Egiziano<br />
+ RPAV, RPAR<br />
Alabastro a Pecorella Oran, Algeria + RPAV<br />
Granito verde fiorito di bigio Wadi Umm Balad, Deserto Orientale<br />
Egiz.<br />
± RPAR<br />
Lapis pyrrhopoecilus, lapis thebaicus, sienite Aswan, Egitto ± C<br />
Lapis alabastrites, alabastro cotognino Hatnub, etc. Egitto ± RPAV, RPAR<br />
Marmi di origine africana. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />
rivestimenti parietali; C, colonne; CAP, capitelli, CO, cornici;V, vasche.<br />
NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA TIPOLOGIA<br />
RELATIVA D’USO<br />
Marmor Lunense, marmo di Carrara (tutte le<br />
varietà)<br />
Alpi Apuane +++ RPAV,<br />
CO<br />
RPAR,<br />
Marmo rosso fiorito S.Marco d’Alunzio (Messina) + RPAV<br />
Alabastro (siciliano ??) + RPAV<br />
Breccia rossa appenninica Coregna, La Spezia ± RPAV<br />
Marmi di origine italica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />
rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.
CAMPAGNE DI SCAVI<br />
TRA RICERCHE, ARCHEOLOGIA E RESTAURO<br />
Patrizio Pensabene<br />
Università La Sapienza - Roma<br />
Particolare del mosaico parietale rinvenuto nel settembre 2009 nell’edificio termale fuori la villa difronte l’arco d’ingresso<br />
Premessa<br />
Negli ultimi anni si sono verificati<br />
due grandi eventi che hanno consentito<br />
di riprendere le ricerche sulla<br />
villa e gli immediati dintorni: il<br />
primo costituito dal finanziamento<br />
POR ottenuto dalla Soprintendenza<br />
di Enna per il 2004-2005, riguardante<br />
lo scavo della zona a sud della<br />
villa ritenuta sede della pars rustica;<br />
il secondo dal restauro intrapreso dal<br />
<strong>Centro</strong> Regionale per il <strong>Restauro</strong> di<br />
Palermo che riguarda sia i mosaici,<br />
sia le strutture di copertura, che ha<br />
comportato una nuova campagna di<br />
saggi di scavo durante il 2008 e 2009<br />
per tutto il perimetro della villa e in<br />
molte zone interne. A entrambe le<br />
imprese ha collaborato, per l’indagine<br />
archeologica l’Università di<br />
Roma “La Sapienza”. Sul campo<br />
erano presenti Enrico Gallocchio e<br />
Eleonora Gasparini che hanno seguito<br />
i saggi di scavo e stanno studiando<br />
i materiali<br />
Queste nuove indagini archeologiche<br />
sono state importanti perché gli scavi<br />
di Gino Vinicio Gentili negli anni<br />
‘50, pur nei risultati ottenuti, avevano<br />
lasciato alcune zone d’ombra<br />
nella comprensione storica della<br />
Villa del Casale: prima di tutto sull’impianto<br />
precedente alla Villa tardoromana,<br />
poi circa gli interventi di<br />
restauro e ricostruzione nella Villa<br />
durante il suo uso; erano rimaste nel<br />
complesso ignote anche le vicende<br />
che nel periodo altomedievale, prima<br />
bizantino e poi islamico, avevano<br />
investito il sito della Villa; da ultimo<br />
era limitata ai soli reperti ceramici la<br />
conoscenza di una fase arabo-normanna<br />
del sito in quanto le strutture<br />
murarie relative erano state del tutto<br />
distrutte o messe in pianta solo in<br />
misura ridotta.<br />
In seguito, con gli scavi di De Miro e<br />
di Guzzardi negli anni ’80 del XX<br />
secolo, si erano aggiunti tasselli di<br />
informazione riguardanti proprio le<br />
problematiche suddette anche se<br />
l’assenza o la concisione delle notizie<br />
pubblicate non aveva permesso di<br />
tenere conto del loro significato e ci<br />
ha costretti a riesaminare le strutture<br />
già scavate o a rimetterle in luce sia<br />
per metterle correttamente in pianta ,<br />
sia per sottoporle a nuovi esami alla<br />
luce di quanto da noi scavato successivamente.<br />
25<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
26<br />
Trincea XIII - Pozzo ad est della sala triabsidata - resti di uno scheletro umano<br />
Strutture tardoantiche di immagazzinamento<br />
e di servizi<br />
Tra i dati pubblicati degli scavi De<br />
Miro risultava la presenza di un<br />
grande ambiente sul lato ovest del<br />
piazzale d’ingresso, definito provvisoriamente<br />
stalla, e che in realtà si<br />
presentava come una grande sala tripartita<br />
da pilastri. Ma la revisione<br />
degli scavi, questa volta inediti, di<br />
De Miro ha poi portato all’individuazione<br />
di un secondo grande ambiente<br />
situato subito a sud di questa sala tripartita<br />
1 . I due grandi ambienti, coinvolti<br />
nel nuovo percorso di accesso<br />
alla villa che li attraverserà per poi<br />
piegare verso l’arco d’ingresso, si<br />
sono rivelati essere magazzini per i<br />
prodotti agricoli (noti nella loro tipologia<br />
dalla descrizione di Columella<br />
e da una Villa nel suburbio di Roma<br />
presso Tor Vergata 2 ), e hanno portato<br />
all’identificazione della parte<br />
rustica della Villa a sud della Villa:<br />
qui si può ipotizzare fossero collocati<br />
le cucine e gli impianti produttivi<br />
(torchi e depositi per olio e vino)<br />
Infine nella nostra campagna di<br />
scavo di questi ultimi due anni sono<br />
emerse, sempre a sud della villa (nel<br />
settore ovest dell’insediamento<br />
medievale da noi ora messo in luce:<br />
cfr. infra), strutture tardoantiche<br />
costituite da un vano absidato con<br />
vasca, che conserva anche la soglia e<br />
parte dell’intonaco di rivestimento, e<br />
da altri resti murari, tra cui una vasca<br />
con mosaico parietale, che sono da<br />
interpretare come parte di un piccolo<br />
stabilimento termale: esso pare<br />
orientato grossomodo con i magazzini<br />
sopradetti e ci consente di delinea-<br />
re un piazzale d’ingresso alla villa<br />
circondato da strutture di servizio.<br />
Possiamo ormai affermare anche per<br />
la Villa del Casale che non siamo di<br />
fronte ad una sorta di villa suburbana,<br />
a molti chilometri di distanza da<br />
grossi centri urbani, ma di un’unità<br />
residenziale, amministrativa e produttiva.<br />
Strutture tardo antiche di seconda<br />
fase e di epoca bizantina<br />
In precedenti pubblicazioni abbiamo<br />
rilevato come l’acquedotto est, a<br />
muro pieno, i tamponamenti delle<br />
arcate dell’acquedotto nord e gli speroni<br />
di contrafforte dell’abside della<br />
basilica potessero essere attribuiti ad<br />
una seconda fase della villa caratterizzata<br />
da opere di rinforzo delle<br />
strutture murarie, da recinzioni
difensive nelle quali erano inseriti gli<br />
acquedotti ( in un’arcata di quello<br />
nord venne inserito un portale d’accesso<br />
di cui restano i cardini delle<br />
valve) e da rifacimenti di alcune<br />
murature e di alcuni rivestimenti<br />
parietali (v. le vasche del frigidario<br />
delle terme e di alcuni ambienti dell’appartamento<br />
del Dominus) e pavimentali<br />
(v. il mosaico delle palestrite<br />
che si sovrappone a quello geometrico<br />
della fase originaria e i vari<br />
restauri dei mosaici nelle terme e<br />
altrove): inoltre tutto il perimetro<br />
esterno della villa, compresi gli speroni<br />
di sostegno dell’abside della<br />
basilica, viene intonacato e dipinto<br />
con motivi geometrici in rosso su<br />
fondo bianco, ma anche figurati.<br />
A questa fase, probabilmente ancora<br />
del IV secolo e forse da collocare in<br />
età teodosiana, è da attribuire l’aggiunta<br />
dello Xystus e della sala triabsidata<br />
al nucleo principale basilicagrande<br />
ambulacro-peristilio. Già in<br />
passato si era notato il collegamento<br />
poco organico tra i due complessi,<br />
ipotizzando fasi diverse 3 a cui ora<br />
aggiungiamo l’osservazione che i<br />
recenti scavi archeologici resisi<br />
necessari per le opere di restauro,<br />
hanno evidenziato una prima fase<br />
direttamente sotto il pavimento<br />
dell’Xystus e sul retro: essa attesta<br />
come in età precedente vi fossero<br />
strutture imperniate intorno ad una<br />
corte rettangolare e dalle quali provengono<br />
testimonianze monetarie<br />
costantiniane 4 . Ad una seconda fase<br />
costruttiva rinvia anche il mosaico<br />
geometrico dello spazio aperto dello<br />
xystus, che però si conserva in minima<br />
parte (46b 1 ).<br />
Per ciò che riguarda il primo periodo<br />
bizantino rileviamo che la continuità<br />
abitativa e l’esigenza di mantenere<br />
nella sua forma prestigiosa la villa sono<br />
provate dai continui restauri del mosaico<br />
in particolare nell’Ambulacro della<br />
Grande Caccia, nel braccio est del peristilio<br />
di fronte alle scale di accesso<br />
all’ambulacro (dove s’inserirono due<br />
fasce mosaicate con la probabile acclamazione<br />
di un auriga, Bonifacius) e<br />
nelle terme, anche se progressivamente<br />
si può parlare più di rappezzi che di<br />
integrazioni 5 . Si è anche proposto di<br />
mettere in relazione tale sforzo di mantenimento<br />
con un’eventuale appartenenza<br />
della villa, in questo periodo, ad<br />
un funzionario importante, richiamando<br />
il passo della Vita di S.Gregorio<br />
Agrigentino, redatta dal presbitero<br />
bizantino Leonzio, che menziona un<br />
esarca residente presso Filosofiana 6 ,<br />
dalla Cracco Ruggino però interpretato<br />
come allusione al pretore romano che<br />
avrebbe esercitato a Filosofiana la sua<br />
attività giudiziaria 7 .<br />
Certo, possiamo ora segnalare, in<br />
base ai saggi stratigrafici da noi eseguiti<br />
tra il 2008 e 2009 lungo il perimetro<br />
della villa, interventi di rafforzamento<br />
del muro perimetrale della<br />
villa, in quanto è ora possibile integrare<br />
in base a nuovi scavi nel settore<br />
subito a sud dello Xystus (Saggio<br />
XV) la ricostruzione proposta dal<br />
Gentili -che limitava solo a tre gli<br />
ambienti qui esistenti 8 - con due<br />
avancorpi posti ai lati di questi che<br />
ci restituirebbero l’immagine di un<br />
recinto munito della villa, in quanto<br />
dotato di piccole torri sporgenti in<br />
funzione difensiva. A questa fase ne<br />
segue una successiva in cui viene<br />
ricavato un vano stretto e lungo<br />
attraverso la costruzione di un nuovo<br />
muro gettato tra i due avancorpi, con<br />
muretti divisori che proseguono<br />
quelli già esistenti nord-sud tra i tre<br />
ambienti: data la strettezza del vano<br />
è possibile considerarlo l’alloggiamento<br />
per un terrapieno con lo scopo<br />
di irrobustire il recinto in funzione<br />
difensiva. Un breve tratto di un più<br />
robusto muro di recinzione è stato<br />
scoperto invece ancora più a sud ,<br />
con frammenti ceramici che lo situerebbero<br />
nel VI secolo. 9<br />
E’ probabile che, in analogia a quanto<br />
si verifica in Italia e in Africa<br />
durante il periodo bizantino, quando<br />
le attività produttive della campagna<br />
si spostano per motivi difensivi<br />
all’interno fortificato delle città ,<br />
anche nel caso della Villa del Casale<br />
ci si trovi di fronte ad un processo di<br />
spostamento di tali attività all’interno<br />
del suo perimetro. Infatti in un<br />
saggio (XIII) all’interno dello spazio<br />
di risulta tra l’angolo sudovest della<br />
Villa 10 e il ninfeo dello Xystus è<br />
emersa dal terreno la parte nord di un<br />
ambiente rettangolare che inquadra<br />
una struttura circolare, che era stata<br />
messa in luce dagli scavi di De Miro<br />
negli anni ‘80 11 e di cui si conserva<br />
solo il primo filare di una muratura a<br />
blocchetti irregolari tenuti insieme<br />
da malta terrosa e non da calce: poiché<br />
questa struttura riutilizza come<br />
limite ovest il muro di recinto del<br />
piazzale della villa, a cui si appoggia,<br />
ne abbiamo dedotto l’esistenza<br />
di una fase di occupazione degli<br />
spazi di risulta da ricollegare all’interno<br />
del periodo più tardo di vita<br />
della villa.<br />
Più chiara è la funzione della struttura<br />
venuta alla luce nel saggio (IX)<br />
del settore più a nord, denominato<br />
da Gentili “cucina”, perché lo scavo<br />
ha restituito un muro arcuato in ciotoloni<br />
e privo di calce che si ancora<br />
ad una piccola cisterna più a ovest,<br />
questa volta costruita in opera<br />
cementizia, foderata internamente<br />
con malta idraulica e provvista di<br />
due fori di adduzione e di scarico<br />
costituiti da fistole plumbee. È possibile<br />
che tale struttura sia collegabile<br />
con un ulteriore muro in blocchetti<br />
irregolari e senza calce da noi messo<br />
in luce sempre in quest’area, con<br />
andamento est ovest, che taglia la<br />
canaletta e che a sua volta è interrot-<br />
27<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
28<br />
to da una fossa di scarico medievale<br />
in cui è stato ritrovato il vago in oro<br />
di un orecchino. Saremmo di fronte<br />
nuovamente a approntamenti produttivi<br />
inseriti all’interno del perimetro<br />
della villa nel periodo bizantino,<br />
come già abbiamo visto a proposito<br />
del saggio XIII.<br />
Il grande abitato medievale<br />
Per ciò che riguarda l’organizzazione<br />
dell’abitato medievale arabo normanno<br />
che si sovrappose alla villa e in<br />
parte ne riutilizzò gli ambienti, abbiamo<br />
rilevato la forte possibilità che il<br />
suo centro, in cui dimorava la parte<br />
della popolazione più abbiente, sia da<br />
vedere nell’area corrispondente alla<br />
villa. Al momento in cui fu rioccupata<br />
dall’abitato nel tardo o alla fine del X<br />
secolo, la villa era per una buona parte,<br />
anche se non tutta, interrata 12 per cui<br />
molti degli ambienti medievali erano<br />
costruiti sugli interri che ne coprivano<br />
i resti murari: è inoltre in questa parte<br />
che si addensano i circa 30 pozzi<br />
medievali da noi ritrovati nei saggi di<br />
scavo che hanno accompagnato il controllo<br />
dell’umidità dei muri di fondazione<br />
della villa. Il numero dei pozzi<br />
sta ad indicare che ogni unità delle abitazioni<br />
(obliterate durante gli scavi<br />
degli anni ’50) ne era dotata di uno, al<br />
contrario del settore dell’insediamento<br />
da noi scoperto a sud della villa in<br />
occasione dell’intervento POR –precedente<br />
agli attuali restauri-, dove invece<br />
essi mancano.<br />
I pozzi hanno restituito un abbondantissimo<br />
materiale ceramico prevalentemente<br />
di X-XI secolo, oltre a scheletri<br />
di cavallo e umani.<br />
Si deve nuovamente sottolineare la<br />
presenza di una rocca e/o nucleo<br />
palaziale, con pavimento in mattoni,<br />
riconoscibile negli spessi muri a<br />
nordest dell’abside della Basilica, di<br />
cui erano riutilizzati i contrafforti<br />
come parte della muratura esterna.<br />
NOTE BIBLIOGRAFICHE<br />
1 C. Sfameni, L’insediamento medievale sulla villa del Casale: vecchi scavi,<br />
nuove considerazioni, in P.Pensabene, C.Bonanno, (a cura di),<br />
L’insediamento medievale sulla Villa del Casale di Piazza Armerina,<br />
Martina Franca 2008, pp 95-107.<br />
2 S. Musco, Intervento nell’area sud-ovest del suburbio di Roma in BCom,<br />
89, 1984, p.99, fig.42, dove è stato riconosciuto nella pars rustica un<br />
magazzino di ampie dimensioni con numerosi pithoi ricostruibile a perimetro<br />
rettangolare e con due file di pilastri (restano quelli iniziali) a dividerlo<br />
in tre navate; a sud di questo, separati tramite una corte basolata (con basoli<br />
di reimpiego) da altri ambienti più piccoli (nn.I, III, IV, V, VI, VIII, IX)<br />
destinati a magazzini per attrezzi agricoli, per derrate alimentari e forse stalle;<br />
nell’ambiente V sul pavimento costituito da un battuto di terriccio e<br />
frammenti di cappellaccio vi è una serie di fori per i sostegni del tetto<br />
3 G. Lugli, Contributo alla storia edilizia della villa romana di Piazza<br />
Armerina, in R.I.A., 1963<br />
4 E. De Miro, in AA.VV., La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina,<br />
Cronache d’Archeologia 1984<br />
5 A. Ricci, in Carandini Ricci, De Vos, Filosofiana. La Villa di Piazza<br />
Armerina, Palermo 1982, pp.376-377; Sfameni, in Pensabene Bonanno,<br />
2008, pp.96-97.<br />
6 Leonzio, Vita di San Gregorio Agrigentino, PG 98, col.649 58-59; cfr. A.<br />
Ragona Il proprietario della villa romana di Piazza Armerina, Caltagirone<br />
1962, p.23.<br />
7 L.Cracco Ruggini La Sicilia tra Roma e Bisanzio, in AA.VV., Storia della<br />
Sicilia, 3, Napoli, 1980, pp.66,85; Sfameni, in Pensabene Bonanno 2008,<br />
p.97.<br />
8 Sembrerebbe che al momento dello scavo il muro di fondo dei tre ambienti<br />
suddetti si conservasse soltanto tra cm 20 e 60 e, in quanto l’unico riconosciuto,<br />
sia stato ripreso per un’altezza di poco inferiore ai due metri: Lugli<br />
1963.<br />
9 Pensabene, in Pensabene Bonanno 2008, pp. 14, 21,22, figg.1, 10.<br />
10 L’angolo sud ovest della villa è costituito dall’estremità sud del muro che<br />
limita a est il piazzale antistante l’arco d’ingresso e dal tratto di muro appartenente<br />
al lato sud del recinto che doveva circondare tutta la villa.<br />
11 De Miro E., 1984, p. 61<br />
12 Soprattutto la zona orientale (eccetto il settore est e l’abside della basilica),<br />
meno la zona occidentale dove le terme e alcuni ambienti tardo antichi<br />
erano stati rioccupati al livello o poco sopra quello tardoantico: su un esame<br />
degli ambienti della villa riutilizzati nell’abitato medievale v. Sfameni, in<br />
Pensabene, Bonanno 2008, p.99 (negli ambienti 10, 13-13-15, 17, 18, 20, 23<br />
materiali arabo- normanni sono stati rinvenuti direttamente a contatto con i<br />
pavimenti, insieme a materiali tardoantichi; nell’ambiente 13 il mosaico è<br />
stato tagliato per inserire una fornace, nel 17 il mosaico è stato sostituito da<br />
un pavimento in pietre irregolari, mentre il 18 è stato diviso in due da un<br />
muro poggiante direttamente sul mosaico; altri ambienti sono stati riulizzati<br />
solo creando un pavimento sopraelevato.
LA SOLFATAZIONE DIFFUSA<br />
UNIFORMITÀ DI UN DEGRADO CHIMICO<br />
Cosimo Di Stefano<br />
Le indagini diagnostiche, avviate sin<br />
dal 2003, sono state effettuate in una<br />
prima fase nell’area delle terme della<br />
Villa ed, in particolare, nelle zone<br />
denominate:<br />
Preafurnia;<br />
Calidaria;<br />
Tepidarium;<br />
Sala delle riunioni;<br />
Frigidarium;<br />
Palestra.<br />
Nelle zone su indicate sono state prelevate,<br />
carote stratigrafiche costituite<br />
dalle malte di preparazione e dalle<br />
malte di allattamento delle tessere<br />
musive. Sono stati, inoltre, campionati<br />
le efflorescenze saline giacenti sulle<br />
tessere musive e sugli intonaci delle<br />
pareti, i residui dei fanghi dei condotti<br />
di deflusso delle acque e le acque di<br />
falda, ricadenti nella zona interessata<br />
dalla Villa.<br />
Le indagini eseguite sui campioni<br />
hanno evidenziato che il degrado chimico<br />
di tutti i materiali costitutivi è da<br />
addebitare alla diffusa solfatazione,<br />
come rilevata dalla diffrattometria<br />
XRD, eseguita sui cristalli delle efflorescenze<br />
saline, e dalla cromatografia<br />
ionica, effettuata sugli estratti acquosi<br />
delle malte e sui campioni di acqua di<br />
falda, responsabili della solfatazione<br />
(vedi tabella).<br />
I campionamenti sono stati eseguiti nei<br />
seguenti ambienti: il Calidarium, il<br />
Frigidarium, la Sala di Tito e Cassio,<br />
la Palestra, il Portico e il Triclinio. I<br />
risultati delle indagini condotte tramite<br />
la diffrattometria XRD, le osservazioni<br />
al microscopio ottico in luce riflessa,<br />
al microscopio polarizzatore in luce<br />
trasmessa su sezioni sottili e al microscopio<br />
a scansione elettronica (SEM)<br />
con microsonda EDS, offrono spunti<br />
di riflessione sulle eventuali errate<br />
metodologie di intervento, di conservazione<br />
e di ordinaria manutenzione<br />
attuate in passato e permettono, altresì,<br />
di programmare uno studio sistematico<br />
delle tecniche costruttive, dei materiali<br />
Alterazioni cromatiche ed efflorescenze saline<br />
Degrado delle tessere da solfatazione<br />
e del loro stato di conservazione.<br />
Successivamente, nel periodo<br />
luglio/novembre 2005, le indagini<br />
sono state estese a tutte le aree della<br />
Villa, utilizzando tecniche di spettroscopia<br />
XRF portatile, caratterizzazione<br />
dei sali solubili con cromatografia<br />
ionica ed elettrochimica, diffrattometria<br />
ai raggi X (XRD), spettrofotometria<br />
FTIR e spettrofotometria UV/VIS.<br />
Inoltre sono state effettuate analisi di<br />
caratterizzazione dei principali elementi<br />
chimici costitutenti i pigmenti<br />
dei dipinti murali, tramite spettrometria<br />
XRF portatile. Per tali indagini è<br />
stata scelta la “sala dell’eros”, rappresentativa<br />
di tutte le diverse cromie presenti<br />
nella villa.<br />
Dalle successive correlazioni ed interpretazioni<br />
spettrali è risultato che i pigmenti<br />
presenti sono caratterizzati<br />
essenzialmente da terre gialle, rosse e<br />
verdi in diverse tonalità a differenza<br />
dell’azzurro, anch’esso presente in<br />
diverse gradazioni, che è risultato<br />
essere costituito da rame, confermando<br />
il dato bibliografico che associa il pigmento<br />
al blu egizio (silicato di rame).<br />
Dato l’elevato contenuto dell’elemento<br />
calcio presente negli spettri XRF,<br />
appare chiaro, inoltre, che il legante<br />
dei pigmenti murali risulta essere derivato<br />
dal latte di calce.<br />
Dalle indagini chimiche effettuate successivamente<br />
in quasi tutte le aree<br />
della villa è emerso che esse presentano<br />
tutte la stessa tipologia di degrado<br />
chimico sulle malte, sugli intonaci e<br />
sulle tessere musive.<br />
E’ emerso, altresì, che nelle malte originarie<br />
e nelle malte cementizie successive<br />
sono presenti notevoli quantità<br />
di sali solubili con prevalenza di solfato<br />
sodico Na 2 SO 4 anidro (Thenardite)<br />
e quantità minime di solfato di calcio<br />
CaSO 4 (Gesso) evidenziati in tabella.<br />
Analisi sulle malte cementizie, provenienti<br />
dai precedenti restauri, hanno<br />
evidenziato la presenza di prodotti di<br />
degrado da attacco solfatico (Ettringite<br />
29<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
30<br />
e/o Taumasite).<br />
Dai ripetuti esami di campioni di<br />
acque di falda, insistenti nel sottosuolo<br />
dell’area del sito, è stata confermata<br />
l’abbondante presenza di ione solfato.<br />
I dissesti idrogeologici, con la conseguente<br />
inefficienza dei condotti dei<br />
deflussi delle acquee, hanno originato<br />
una consistente risalita capillare, favorendo<br />
il contatto chimico tra le acquee<br />
di falda solfatate e le strutture architettoniche,<br />
gli apparati musivi e decorativi<br />
della Villa. Quanto rilevato è stato<br />
ulteriormente aggravato dalla inidonea<br />
copertura capace di generare stressanti<br />
condizioni microclimatiche, trasformando<br />
il degrado chimico in fisico.<br />
Le indagini del Laboratorio di chimica,<br />
inoltre, hanno riguardato i materiali<br />
costitutivi della pavimentazione<br />
musiva, consentendo la lettura stratigrafica<br />
necessaria alla individuazione<br />
delle tecniche costruttive. Ciò ha permesso<br />
di inquadrare i meccanismi di<br />
degrado solfatico che hanno causato i<br />
fenomeni più volte riscontrati, ovvero i<br />
rigonfiamenti localizzati del rivestimento<br />
pavimentale con distacco di tessere<br />
(vulcanelli) ed esfoliazioni delle<br />
stesse come effetto dell’azione delle<br />
efflorescenze saline, nonché della diffusa<br />
formazione di patine bianche<br />
superficiali<br />
ANIONI E CATIONI CAROTATURA<br />
(gr/Kg)<br />
FLUORURI<br />
CLORURI<br />
NITRITI<br />
NITRATI<br />
SOLFATI<br />
SODIO<br />
AMMONIO<br />
POTASSIO<br />
MAGNESIO<br />
CALCIO<br />
0,08<br />
1,27<br />
0,13<br />
0,032<br />
1,1<br />
1<br />
0,47<br />
1,66<br />
0,35<br />
9,06<br />
Tabella: Caratterizzazione chimica dei sali solubili tramite cromatografia ionica<br />
Misura XRF portatile sul pigmento azzurro. Alterazione chimico fisica dei dipinti murali da umidità<br />
di risalita capillare<br />
Perdite di cromie causata dalla solfatazione.<br />
EFFLORESCENZE<br />
SALINE (gr/Kg)<br />
0,04<br />
3,33<br />
===<br />
0,52<br />
163,79<br />
67,28<br />
0,51<br />
1,2<br />
0,325<br />
10,34<br />
FANGHI<br />
(gr/Kg)<br />
0,05<br />
1,96<br />
===<br />
0,33<br />
9,46<br />
1,26<br />
0,95<br />
0,68<br />
0,48<br />
12,1<br />
ACQUA DI FALDA<br />
(gr/Kg)<br />
===<br />
66,97<br />
===<br />
2,47<br />
176,49<br />
49,26<br />
===<br />
10,07<br />
24,92<br />
110,14
ALGHE E CIANOBATTERI<br />
PREVENZIONE E CONTROLLO DEI MICRORGANISMI FOTOSINTETICI<br />
Giovanna Miceli<br />
Nel quadro degli interventi effettuati nel<br />
cantiere di restauro dei mosaici della<br />
Villa del Casale si inserisce la ricerca<br />
condotta dal Laboratorio di Indagini<br />
Microbiologiche del CRPR finalizzata<br />
alla definizione delle metodologie più<br />
idonee per la prevenzione ed il controllo<br />
dei microrganismi fotosintetici (cianobatteri<br />
ed alghe).<br />
I fenomeni di degrado che questi<br />
microrganismi hanno determinato sul<br />
pavimento musivo sono stati innescati<br />
dalle condizioni ambientali esistenti<br />
all’interno della Villa, in particolare dall’elevata<br />
umidità che rappresenta la<br />
principale causa di sviluppo microbico.<br />
Cianobatteri ed alghe sono i primi colonizzatori<br />
della pietra poiché necessitano<br />
solo di luce, acqua e pochi composti<br />
inorganici. Sono in grado di colonizzare<br />
i materiali lapidei esposti in ambienti<br />
esterni ed interni e la maggior parte di<br />
essi è incapace di crescere in assenza di<br />
luce. Alcune specie di cianobatteri tuttavia<br />
sono in grado di svilupparsi con<br />
valori di illuminamento molto bassi o<br />
addirittura in assenza di luce. A tal proposito<br />
va riferito che sotto il pavimento<br />
musivo sono state evidenziate patine di<br />
cianobatteri con una colorazione verde<br />
molto intensa. Questa fenomenologia di<br />
degrado si è riscontrata anche dopo il<br />
trattamento di disinfezione, e le analisi<br />
hanno evidenziato una particolare resistenza<br />
dei cianobatteri al disinfettante<br />
utilizzato anche dopo più applicazioni di<br />
impacchi.<br />
La ricerca si è basata su una sperimentazione<br />
in situ e in laboratorio in cui sono<br />
stati analizzati campioni trattati con i<br />
prodotti biocidi utilizzati nell’intervento<br />
di restauro (Preventol R80 e Biotin T<br />
soltanto in alcune zone).<br />
In fase preliminare è stata eseguita l’osservazione<br />
diretta, sulle aree trattate,<br />
delle modificazioni macroscopiche delle<br />
patine, quindi sono state effettuate altre<br />
analisi quali l’osservazione dei campioni<br />
al microscopio a fluorescenza e la<br />
determinazione della quantità di adenosintrifosfato<br />
(ATP) cellulare residuo.<br />
I risultati hanno dimostrato che, dopo<br />
l’applicazione del biocida, la patina presente<br />
sotto le tessere musive non era stata<br />
danneggiata, infatti appariva di colore<br />
verde intenso. Questi risultati sono congruenti<br />
con quanto osservato in fluorescenza,<br />
in quanto il prodotto sembra non<br />
agire con grande efficacia sulle cellule<br />
dei cianobatteri, che non perdono la fluorescenza<br />
rossa tipica delle cellule ancora<br />
vive e attive. Inoltre anche i valori di<br />
ATP hanno evidenziato presenza di attività<br />
microbica nei campioni esaminati.<br />
Nel corso del cantiere di restauro sono<br />
stati eseguiti diversi sopralluoghi e ulteriori<br />
controlli. In laboratorio sono stati<br />
inoltre operati altri test applicando ad<br />
impacco, sotto una tessera, il Biotin T in<br />
alcool etilico al 2%. Dopo l’applicazione<br />
del prodotto, trascorso il tempo di<br />
azione, si è osservato che la patina subiva<br />
una variazione drastica del colore,<br />
infatti da verde intenso assumeva una<br />
colorazione bruna e la fluorescenza<br />
appariva di un rosso attenuato.<br />
Le indagini svolte hanno consentito di<br />
stabilire che i test operati in laboratorio<br />
sono più efficaci, questo molto probabilmente<br />
perché in situ il trattamento sotto<br />
le tessere musive risulta difficile. Inoltre<br />
bisogna sottolineare che le condizioni<br />
ambientali durante l’intervento di disinfezione<br />
continuavano ad essere favorevoli<br />
allo sviluppo microbico.<br />
Alla luce di quanto è emerso durante<br />
l’intervento conservativo e sulla base<br />
dei risultati delle indagini è possibile<br />
affermare che la colonizzazione di cianobatteri<br />
presente sotto le tessere potrà<br />
essere controllata allorquando sarà limitata<br />
la presenza dell’acqua all’interno<br />
della Villa. Questo si attuerà con la realizzazione<br />
della copertura e degli<br />
impianti per la canalizzazione e lo smaltimento<br />
delle acque meteoriche.<br />
E’ necessario comunque sottolineare<br />
che, se le condizioni ambientali dovessero<br />
continuare ad essere favorevoli alla<br />
colonizzazione biologica, potrà essere<br />
effettuato un trattamento di disinfezione<br />
nella fase finale dell’intervento di<br />
restauro ed eventualmente si potranno<br />
prevedere applicazioni periodiche di<br />
biocidi ripetute a intervalli opportunamente<br />
stabiliti.<br />
Infine è fondamentale condurre il monitoraggio<br />
dello stato di conservazione<br />
delle superfici musive che consentirà di<br />
segnalare l’eventuale necessità di una<br />
manutenzione e permetterà di valutare<br />
la durabilità del trattamento.<br />
Patina sotto la tessera. Prima del trattamento.<br />
Dopo il trattamento con Biotin T.<br />
Bibliografia<br />
M. Bartolini, S. Ricci, Rilascio di<br />
pigmenti fotosintetici da biocenosi<br />
epilitiche trattate con biocidi,<br />
in “Kermes”, a. XVII,56<br />
Ottobre/Dicembre 2004.<br />
G. Caneva, M.P. Nugari, D. Pinna,<br />
O. Salvadori, Il controllo del<br />
degrado biologico, Firenze 1996.<br />
G. Caneva, M.P. Nugari, O.<br />
Salvadori, La Biologia Vegetale<br />
per i Beni Culturali, I,<br />
Biodeterioramento e Conservazione,<br />
Firenze 2005.<br />
M. Tretriach et al., Efficacy of<br />
biocide tested on selected lichens<br />
and its effects on their substrata,<br />
in “International Biodeterioration<br />
& Biodegradation”, 59,<br />
2007, pp. 44-54.<br />
31<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
32<br />
TESSERE, MUSCHI E LICHENI<br />
COLONIZZAZIONE LICHENICA E MUSCINALE DEI MOSAICI<br />
PAVIMENTALI E VALUTAZIONE EFFICACIA DEI BIOCIDI<br />
Rosa Not, Eloisa Guarneri, Enza Anna Passerini<br />
PREMESSA<br />
Le indagini biologiche condotte negli<br />
ultimi anni dal Laboratorio del CRPR<br />
sui mosaici della Villa avevano riguardato<br />
principalmente l’area delle<br />
Terme, individuata come area campione<br />
e comprendente ambienti sia interni<br />
che esterni. Tali indagini si riferivano<br />
essenzialmente alla caratterizzazione<br />
della florula lichenica, dominante sui<br />
pavimenti musivi all’aperto, ed in<br />
minor misura delle fanerogame e briofite.<br />
Dai risultati era emerso che le specie<br />
dirette colonizzatrici dei pavimenti<br />
musivi studiati erano: Aspicilia calcarea<br />
(L.) Mudd, Caloplaca aurantia<br />
(Pers.) Hellbome e Verrucaria nigrescens<br />
Pers. Le stesse, tuttavia, erano<br />
state ritrovate anche sui substrati artificiali<br />
(Not 2004). I muschi, invece,<br />
afferivano principalmente al genere<br />
Tortula.<br />
Nell’ ambito dei lavori di restauro<br />
avviati nel 2007 ed attualmente in<br />
corso, il personale del laboratorio ha<br />
condotto un’altra campagna d’ indagini,<br />
questa volta estesa a tutti gli ambienti<br />
della Villa, al fine di fornire ulteriori<br />
conoscenze sul degrado biologico dei<br />
mosaici e, contestualmente, di verificare<br />
l’efficacia del trattamento biocida<br />
attraverso osservazioni in campo, prelievi<br />
e test della fluorescenza. Inoltre,<br />
sono state date anche indicazioni per il<br />
diserbo delle piante superiori.<br />
Nel presente contributo si riferiscono<br />
pertanto i risultati relativi alle indagini<br />
effettuate.<br />
MATERIALI E METODI<br />
L’osservazione macroscopica in situ e<br />
le analisi di laboratorio, corredate da<br />
un’ampia documentazione fotografica,<br />
hanno consentito la determinazione dei<br />
taxa più rappresentativi; le colonizzazioni<br />
licheniche sono state osservate<br />
preliminarmente in situ con lente da<br />
campo e, successivamente, campionate<br />
con bisturi e conservate in apposite<br />
provette codificate. I muschi sono stati<br />
prelevati e conservati in bustine di<br />
carta. In laboratorio, talli lichenici e<br />
cuscinetti muscinali sono stati osservati<br />
e studiati al microscopio ottico e stereoscopico,<br />
pervenendo con l’ausilio<br />
di specifiche chiavi analitiche alla<br />
determinazione delle specie; in particolare<br />
per i licheni ci si è avvalsi dell’opera<br />
di Ozendà e Clauzade (1970),<br />
per i muschi di Cortini Pedrotti (2006).<br />
Infine, attraverso il test della fluorescenza<br />
è stata verificata l’efficacia del<br />
biocida applicato sui licheni.<br />
RISULTATI E CONSIDERAZIONI<br />
Dalle analisi condotte è risultato di<br />
particolare interesse osservare la crescita<br />
di alcune specie licheniche sulle<br />
tessere e di altre, invece, fra le tessere<br />
sulla malta. In totale sono stati determinati<br />
23 taxa di cui 18 licheni e 5<br />
muschi (v. elenco); in particolare,<br />
Caloplaca teicholyta (Ach.) Steiner è<br />
cresciuta esclusivamente fra le tessere<br />
del pavimento musivo del portico poligonale.<br />
Si tratta di un lichene nitrofilo,<br />
molto comune, cresce sui calcari e su<br />
tutti i substrati artificiali ed è particolarmente<br />
frequente in ambiente urbanizzato.<br />
Sempre negli interstizi fra le<br />
tessere sono stati ritrovati Toninia aromatica<br />
(Sm.) Massal. e Candelariella<br />
aurella (Hoffm.) Zahlbr che crescono<br />
comunemente sulle rocce calcaree<br />
arricchite di nutrienti, sulla malta e sui<br />
mattoni, in generale in zone urbane,<br />
piuttosto raramente in quelle rurali,<br />
(Dobson 1992).<br />
Per quanto riguarda, invece, le specie<br />
dirette colonizzatrici delle tessere, alle<br />
tre precedentemente ritrovate e citate<br />
in premessa, va aggiunta Caloplaca<br />
erythrocarpa (Pers.) Zw. anch’essa<br />
comunemente presente su diversi tipi<br />
di roccia calcarea, su superfici poco<br />
eutrofizzate e spesso associata ad<br />
Aspicilia calcarea (L.) Mudd della<br />
quale è parassita, (Nimis, Pinna,<br />
Salvadori 1992). Tranne Xanthoria<br />
parietina, Physcia sp. (Schreber)<br />
Michx. e Protoparmelia (cfr. badia,<br />
Hoffm.), licheni fogliosi ritrovati sulle<br />
ELENCO SPECIE CENSITE<br />
Licheni<br />
Aspicilia calcarea (L.) Mudd<br />
Caloplaca aurantia (Pers.) Hellbom<br />
C. erythrocarpa (Pers.) Zw.<br />
C. flavovirescens (Wulfen) DT. &<br />
Sarnth<br />
C. teicholyta (Ach.) Steiner<br />
Candelariella aurella (Hoffm.) Zahlbr.<br />
C. medians (Nyl.) A.L.Sm.<br />
Diploschistes interpedians (Norm.)<br />
Lecania turicensis (Hepp) Mull. Arg.<br />
Lecanora muralis (Schreb.) Rabenh.<br />
Physcia sp. (Schreber) Michx.<br />
Protoparmelia cfr. badia (Hoffm.)<br />
Rinodina subglaucescens ( Ach.)<br />
Rinodina tunicata (Ach.)<br />
Rinodina sp. ( Ach.) S.F.Gray<br />
Toninia aromatica (Sm.) Massal.<br />
Verrucaria nigrescens Pers.<br />
Xanthoria parietina ( L.) Th. Fr.<br />
Muschi<br />
Bryum capillare Hedw<br />
Gymnostomum calcareum Nees<br />
Tortula muralis Hedw.<br />
T. marginata Hedw.<br />
T. subulata Hedw<br />
colonne del giardino del Peristilio quadrangolare,<br />
per il resto le forme rinvenute<br />
sono di tipo crostoso - epilitiche.<br />
I muschi, invece, sono cresciuti esclusivamente<br />
fra le tessere, in terra, in<br />
zone molto umide in corrispondenza di<br />
percolazioni di acqua piovana.<br />
MONITORAGGIO DELL’ INTER-<br />
VENTO DI DISINFESTAZIONE<br />
I trattamenti di disinfestazione sui<br />
licheni, presenti quasi esclusivamente<br />
sui mosaici pavimentali esterni, in<br />
minor misura negli ambienti semi confinati,<br />
sono stati eseguiti con Preventol<br />
R80, la cui percentuale si è resa a volte<br />
anche necessaria al 4%, applicato a<br />
pennello, con nebulizzatore a bassa<br />
pressione e, in alcuni casi, ad impacco,<br />
secondo un calendario di interventi<br />
compreso tra marzo e maggio.
Il trattamento di disinfestazione è<br />
stato monitorato attraverso osservazioni<br />
in campo e prelievi di campioni<br />
di licheni, trattati e non trattati, al fine<br />
di valutare l’efficacia del biocida che,<br />
agendo a livello cellulare sul processo<br />
della fotosintesi clorofilliana, blocca<br />
tale attività e, conseguentemente,<br />
determina la devitalizzazione degli<br />
organismi.<br />
Preparati di sezioni sottili di talli di<br />
Caloplaca aurantia, Aspicilia calcarea<br />
e C. erytrocarpa, sui quali erano<br />
stati eseguiti n. 4 trattamenti con<br />
Preventol, sono stati osservati al<br />
microscopio a fluorescenza. Il test<br />
della fluorescenza, che si basa sulla<br />
capacità della clorofilla contenuta<br />
nelle cellule algali del lichene di fluorescere<br />
ad una determinata lunghezza<br />
d’onda (450 – 490 nm), ha rivelato<br />
che le alghe dei licheni trattati mostravano<br />
una fluorescenza rossa, cioè una<br />
forte vitalità e, dunque, una resistenza<br />
al biocida (Caneva, 2005). Pertanto si<br />
è ritenuto opportuno procedere con<br />
altre applicazioni fino alla perdita<br />
totale della fluorescenza algale. A<br />
quel punto sono state effettuate le operazioni<br />
di spazzolatura, rimozione e<br />
lavaggi con acqua deionizzata; inoltre,<br />
a scopo preventivo, è stato proposto di<br />
inoculare il biocida anche nelle risigillature<br />
del mosaico aggiungendolo all’<br />
acqua di scioglimento del legante.<br />
Infine, per le piante superiori, presenti<br />
nelle lacune, in terra e fra le sconnessione<br />
delle mura perimetrali, è stato<br />
utilizzato un erbicida di traslocazione<br />
a base di glyphosate, al 2-3 %, applicato<br />
a spruzzo sulla biomassa fogliare<br />
(Caneva 2005).<br />
SPERIMENTAZIONE CON BIOCIDI<br />
Il monitoraggio prosegue ancora,<br />
infatti, a più di un anno dagli interventi<br />
di disinfestazione sui mosaici pavimentali<br />
della Villa, è stata avviata una<br />
sperimentazione in campo (con la collaborazione<br />
del CTS che ha fornito i<br />
prodotti testati) finalizzata al monitoraggio<br />
post - emergenza del controllo<br />
della microflora lichenica. Si tratta di<br />
uno studio comparativo fra cinque biocidi<br />
al fine di individuare quale dei<br />
prodotti testati rallenti maggiormente,<br />
nel tempo, la ricrescita di questi organismi.<br />
L’area scelta è stata quella dei<br />
mosaici pavimentali del Portico poligonale,<br />
all’aperto, precedentemente<br />
ricoperta da una ricca colonizzazione<br />
lichenica. Su questi mosaici sono stati<br />
eseguiti 5 tasselli 20 x 20 riquadrati<br />
con scotch, contrassegnati dalle lettere<br />
33<br />
DOSSIER
DOSSIER<br />
GLI AUTORI di questo numero<br />
Maria Elena Alfano,<br />
Adalgisa Aloisi,<br />
Giuseppe Barbera,<br />
Maurizio Bombace,<br />
Ermanno Cacciatore,<br />
Chiara Caldarella,<br />
Lucia Carruba,<br />
Antonio Casano<br />
Giacomo Cinà,<br />
Roberta Civiletto,<br />
Stefano Colazza,<br />
Caterina Dessy,<br />
Cosimo Di Stefano,<br />
Maria Luisa Famà<br />
Teresa Ferlisi,<br />
Eloisa Guarneri,<br />
Donatella Gueli,<br />
Osama Hamdan,<br />
Daniela La Mattina<br />
Lorenzo Lazzarini,<br />
Alessandra Longo<br />
Provvidenza Lupo,<br />
Rosaria Merlino<br />
Giovanna Miceli,<br />
Rosa Not,<br />
Franco Palla,<br />
Enza Anna Passerini,<br />
Carlo Pastena<br />
Lorella Pellegrino,<br />
Patrizio Pensabene<br />
Fernanda Prestileo,<br />
Francesca Pulizzi<br />
Alessandro Rizzi,<br />
Antonino Vitelli<br />
34<br />
dell’alfabeto A-E, ciascuna corrispondente<br />
ad un biocida. Modalità di applicazione<br />
è stata a pennello. Fra i biocidi<br />
saggiati, quali Biotin T, Biotin R,<br />
New Des 50, Bioestel e Trigene<br />
Advance, quest’ultimo è un nanobiocida,<br />
già testato, che ha dato buoni risultati<br />
per l’eliminazione di microorganismi;<br />
non è ad oggi, invece, disponibile<br />
letteratura circa la sua attività nei confronti<br />
dei licheni. Le nanoparticelle, in<br />
quanto vettori di principi attivi, rilasciano<br />
il prodotto nelle microcavità,<br />
fessure o fenditure delle superfici dure,<br />
e migliorano l’efficacia dell’azione<br />
biocida. Pertanto, i nanobiocidi, e più<br />
in generale le nanotecnologie, rappresentano<br />
il futuro nel settore del restauro.<br />
Il monitoraggio, che avrà la durata<br />
di un anno, potrà offrire utili indicazioni<br />
nella scelta del prodotto che, eventualmente,<br />
andrà applicato, a scopo<br />
preventivo e nell’ambito di una manutenzione<br />
programmata, a tutti i mosaici<br />
pavimentali esterni.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
Dobson 1992<br />
F. S. Dobson, An illustrated guide to the British and Irish species.<br />
Richmond 1992.<br />
Caneva et al. 2005<br />
G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori, La Biologia vegetale per i Beni<br />
Culturali, I Biodeterioramento e conservazione, Firenze 2005.<br />
Cortini Pedrotti 2006<br />
C. Cortini Pedrotti, Flora dei Muschi d’Italia, Roma 2006.<br />
Nimis et al. 1992<br />
P.L. Nimis, D. Pinna, O. Salvadori, Licheni e Conservazione dei Monumenti,<br />
Bologna 1992.<br />
Not 2004<br />
R. Not, Le indagini scientifiche su alcuni mosaici pavimentali siciliani.<br />
Proposta di una metodologia di studio propedeutico all’ intervento di restauro,<br />
in Atti del I Convegno Internazionale di studi, La Materia e i Segni della<br />
storia. Apparati musivi antichi nell’area del mediterraneo (Piazza Armerina,<br />
9-13 aprile 2003), I Quaderni di Palazzo Montalbo 4, Palermo 2004.
MINIERE STORICHE IN<br />
SICILIA: SVILUPPI DEL-<br />
L’ATTIVITÀ DI RICERCA.<br />
MAPPATURA GEOREFE-<br />
RENZIATA PER LA CO-<br />
STRUZIONE DELLA CAR-<br />
TOGRAFIA TEMATICA<br />
Concretamente attivata nell’aprile<br />
scorso, la convenzione<br />
tra il CRPR ed il<br />
Corpo Regionale delle<br />
Miniere del Dipartimento<br />
Industria e Miniere. L’atto<br />
d’intesa, stipulato nell’ambito<br />
della ricerca scientifica<br />
sul patrimonio storico-minerario<br />
siciliano, riguarda lo<br />
svolgimento di un programma<br />
di lavoro volto al completo<br />
censimento delle<br />
miniere dismesse nel territorio<br />
regionale, all’accertamento<br />
dello stato giuridicoamministrativo<br />
e di conservazione<br />
dei vecchi siti di<br />
produzione, allo sviluppo di<br />
azioni congiunte, volte alla<br />
riqualificazione e valorizzazione<br />
degli impianti d’interessearcheologico-industriale.<br />
I primi dati sono stati acquisiti<br />
attraverso la consultazione<br />
di inventari, registri storici,<br />
decreti ministeriali relativi<br />
a concessioni e trasferimenti<br />
di miniere cave e torbiere<br />
alla Regione Siciliana.<br />
Tale attività ha restituito<br />
importanti informazioni<br />
soprattutto sulla distribuzione<br />
delle antiche zolfare e<br />
sulle condizioni di tutela<br />
discendenti da decreti emanati<br />
dall’Assessorato Regionale<br />
BB.CC.AA.. Altro<br />
aspetto della ricerca ha<br />
riguardato la ricognizione<br />
dell’iconografia storica di<br />
settore che, effettuata presso<br />
gli archivi fotografici di<br />
Istituzioni pubbliche o di<br />
Enti privati, ha già consenti-<br />
to il rinvenimento di preziosi<br />
documenti fotografici,<br />
molti dei quali inediti.<br />
I risultati ottenuti hanno<br />
notevolmente arricchito di<br />
informazioni la banca dati,<br />
strutturata e curata dall’Unità<br />
operativa per la Gestione<br />
di problematiche geologiche<br />
connesse alla conservazione<br />
del patrimonio monumentale<br />
della cavità ad uso antropico<br />
del CRPR. Prossimo obiettivo<br />
sarà quello di procedere<br />
alla mappatura georeferenziata<br />
di tutti i gruppi minerari<br />
riscontrati nelle province<br />
di Enna, Caltanissetta,<br />
Agrigento, per la costruzione<br />
di cartografia tematica<br />
che rappresenti, con completezza,<br />
l’effettiva consistenza<br />
del patrimonio storico-minerario<br />
della Sicilia.<br />
Donatella Gueli<br />
LA BIBLIOTECA TEMA-<br />
TICA DI CARTA DEL<br />
RISCHIO. UN NUOVO<br />
TIPO DI ACCESSO SE-<br />
MANTICO AL CATALO-<br />
GO MEDIANTE UN LIN-<br />
GUAGGIO DI INDICIZZA-<br />
ZIONE NATURALE<br />
La Biblioteca specializzata e<br />
l' Unità Operativa per i beni<br />
paesistici, naturali, naturalistici,<br />
architettonici ed urbanistici<br />
e della Carta del<br />
Rischio del CRPR hanno<br />
realizzato la Biblioteca<br />
Tematica di Carta del<br />
Rischio, nell'ambito del<br />
finanziamento europeo<br />
P.O.R. Sicilia 2000/2006<br />
Asse II-Misura 2.02 Azione<br />
B. I volumi, per complessive<br />
1060 unità, sono stati selezionati<br />
ed acquisiti in base a<br />
criteri di specificità ed attinenza<br />
agli argomenti oggetto<br />
di ricerca ed attività della<br />
Carta del Rischio. Le unità<br />
bibliografiche, oltre ad essere<br />
state sottoposte alle procedure<br />
di catalogazione<br />
informatizzata tradizionale,<br />
sia descrittiva che semantica,<br />
secondo standard nazionali<br />
ed internazionali, sono<br />
state anche “tematizzate”.<br />
Quest’ultima procedura,<br />
innovativa e sperimentale,<br />
ha avuto come obiettivo<br />
quello di creare un nuovo<br />
tipo di accesso semantico al<br />
catalogo mediante un linguaggio<br />
di indicizzazione<br />
naturale, avvalendosi di<br />
espressioni in uso e condivise<br />
nella comunità scientifica<br />
del settore della conservazione<br />
e del restauro del<br />
patrimonio culturale, senza<br />
quindi doversi piegare al<br />
rispetto dei rigidi canoni del<br />
soggettario di Firenze, limitato<br />
ed insufficiente ad<br />
esprimere taluni concetti<br />
moderni, i neologismi di settore,<br />
le categorie di pensiero<br />
degli addetti ai lavori, cioè le<br />
presumibili forme in cui la<br />
ricerca in un catalogo specialistico<br />
si può concretizzare.<br />
Parallelamente al lavoro di<br />
catalogazione, è stata effettuata<br />
la digitalizzazione<br />
delle parti identificative di<br />
ciascun volume: copertina,<br />
quarta di copertina, seconda<br />
e terza di copertina, se<br />
recanti informazioni utili,<br />
frontespizio, abstract, ove<br />
presenti nelle pagine interne<br />
del volume, e indice. Il catalogo<br />
consente di effettuare la<br />
ricerca bibliografica tramite<br />
i parametri: Titolo/Parola di<br />
titolo; Autore/Contributi e<br />
anche Tema/Sottotema. I<br />
risultati della ricerca sono<br />
stampabili. L'obiettivo è<br />
stato quello di fornire agli<br />
utenti del web, oltre ai dati<br />
catalografici, anche degli<br />
strumenti in più per valutare<br />
a distanza l'interesse e la<br />
pertinenza del testo allo<br />
scopo della propria ricerca.<br />
La possibilità di potere virtualmente<br />
prendere in mano<br />
il libro, scorrerne l'indice,<br />
cogliere la sintesi dell'abstract<br />
può fornire qualche<br />
dato in più per una valutazione<br />
esauriente del testo.<br />
Per accedere alla Biblioteca<br />
Tematica di Carta del<br />
Rischio ci si può collegare<br />
all' URL: HYPERLINK<br />
"http://www.cartadelrischio.sicilia.it/biblioteca"htt<br />
p://www.cartadelrischio.sici<br />
lia.it/biblioteca HYPER-<br />
LINK "http://www.cartadelrischio.sicilia.it/biblioteca/".<br />
G. Aloisi – T. Ferlisi<br />
SEMINARIO SU TECNO-<br />
LOGIE DI GESTIONE E<br />
FRUIZIONE DI DATI<br />
GEOGRAFICI E GEOSPA-<br />
ZIALI PER LE APPLICA-<br />
ZIONI PER L'AMBIENTE<br />
E IL TERRITORIO<br />
L’esigenza di rendere intelligibile<br />
e immediatamente utilizzabile<br />
una enorme mole<br />
di dati georeferenziati del<br />
patrimonio monumentale,<br />
archeologico, ambientale e<br />
paesaggistico della Sicilia,<br />
frutto di una moltitudine di<br />
progetti di catalogazione e<br />
schedatura dei Beni Culturali<br />
susseguitisi da venti<br />
anni a questa parte, rende<br />
altresì impellente l’apertura<br />
della Regione Siciliana a<br />
tecnologie avanzate in grado<br />
di aggiungere una nuova<br />
dimensione a questo patrimonio<br />
di conoscenze. In<br />
questa prospettiva, grande<br />
successo di pubblico ha registrato<br />
l’evento del 29 settembre<br />
2009, ospitato dal<br />
<strong>Centro</strong> Regionale Proget-<br />
NEWS<br />
35
NEWS<br />
36<br />
tazione e <strong>Restauro</strong>, avente<br />
per oggetto un seminario<br />
sulle applicazioni delle tecnologie<br />
geospaziali per il<br />
monitoraggio e la gestione<br />
degli incendi e delle emergenze<br />
alluvionali e per l’utilizzo<br />
dei database topografici.<br />
La manifestazione itinerante,<br />
promossa da Planetek<br />
Italia su scala nazionale, ha<br />
avuto Palermo come tappa<br />
iniziale e si concluderà a<br />
Milano il 2 Ottobre. Di grande<br />
interesse sono apparse le<br />
applicazioni, implementate<br />
nel software Erdas, per il rilevamento,<br />
praticamente in<br />
tempo reale, delle coperture in<br />
amianto attraverso l’interpretazione<br />
di immagini satellitari<br />
multispettrali e l’utilizzo delle<br />
stesse per l’aggiornamento<br />
della cartografia a grande<br />
scala. L’evento, che trova<br />
ancor più significatività se<br />
inquadrato in una moltitudine<br />
di iniziative e progetti recentemente<br />
promossi dal <strong>Centro</strong><br />
proprio nel settore dello studio,<br />
protezione e prevenzione<br />
del patrimonio dei Beni culturali<br />
ed ambientali, ha evidenziato<br />
l’enorme salto tecnologico<br />
a servizio del controllo<br />
del territorio ponendo l’accento<br />
sulle enormi possibilità di<br />
gestione e utilizzo integrato<br />
delle informazioni territoriali<br />
provenienti da sorgenti, sempre<br />
più accurate, di acquisizione<br />
di immagini della crosta<br />
terrestre. A partire da satelliti<br />
per l’osservazione dell’atmosfera<br />
sino a sensori ad elevata<br />
risoluzione in grado di monitorare<br />
il più piccolo cambiamento<br />
del tessuto urbanistico,<br />
in qualsiasi parte della Terra,<br />
enormi sono le potenzialità di<br />
ricognizione soprattutto in<br />
una prospettiva di prevenzione<br />
e protezione del nostro<br />
patrimonio culturale ed<br />
ambientale dalle catastrofi<br />
naturali o da interventi antropici.<br />
L’opportunità, adesso a<br />
costi ragionevolmente bassi,<br />
di dotarsi di una infrastruttura<br />
informatica in grado di gestire<br />
enormi quantità di dati tematici<br />
georeferenziati diventa elemento<br />
fondamentale non solo<br />
per una condivisione in tempo<br />
reale, da e verso strutture di<br />
controllo (Protezione civile,<br />
unità di crisi, università, popolazione<br />
locale, etc..), degli<br />
“oggetti” del territorio in trasformazione<br />
ma offre spunti<br />
di ricerca e implementazione<br />
difficilmente ottenibili con<br />
altri metodi.<br />
Maurizio Bombace<br />
SIMULACRI DA VESTI-<br />
RE. UN PATRIMONIO<br />
SICILIANO SCONOSCIU-<br />
TO – RECUPERO E CEN-<br />
SIMENTO DELLA TRA-<br />
DIZIONE DEVOZIONALE<br />
POPOLARE<br />
Presentato dall'unità per i<br />
beni storico-artistici, iconografici<br />
ed etnoantropologici,<br />
il progetto si propone di<br />
avviare nella prima fase uno<br />
studio analitico sulle statue<br />
di Madonne vestite, attraverso<br />
un censimento di rilevamento<br />
a livello regionale,<br />
con l'obiettivo di diffonderne<br />
la conoscenza, favorirne la<br />
valorizzazione, impedirne la<br />
scomparsa totale e recuperare<br />
al contempo la tradizione<br />
pluricentenaria di devozione<br />
popolare legata ad esse.<br />
La definizione “Madonne da<br />
vestire” si riferisce alla struttura<br />
dei simulacri vestiti, che<br />
poteva essere o rozzamente<br />
scolpita, ad eccezione di<br />
viso, mani e piedi che invece<br />
venivano rifiniti con cura, o<br />
completamente modellata<br />
con arti pieghevoli per age-<br />
volarne la vestizione o costituita<br />
da un corpo impagliato<br />
o integrato con legni, tessuti<br />
e cartapesta sul quale era<br />
montata la testa, oppure formata<br />
da un manichino completamente<br />
articolato in tutte<br />
le sue parti con una meccanica<br />
raffinatissima. Di solito<br />
le Madonne hanno lineamenti<br />
popolari di una bellezza<br />
tutta terrena, non idealizzata,<br />
il cui accentuato realismo<br />
è dato non solo dall’uso<br />
degli abiti sgargianti, realizzati<br />
con ricami e tessuti<br />
preziosi, a carattere profano,<br />
ma anche dalla cura dedicata<br />
all'espressività del viso ottenuta<br />
attraverso il colorito<br />
dell’incarnato, il verismo<br />
degli occhi in pasta vitrea, le<br />
fluenti parrucche di capelli<br />
veri. Tale genere di statuaria<br />
è in genere destinata all'uso<br />
processionale, perciò tra i<br />
maggiori committenti figurano<br />
le Confraternite, che<br />
ancora oggi fanno realizzare<br />
i simulacri soprattutto per<br />
fini processionali ed infatti il<br />
modello più diffuso è la statua<br />
dell’Addolorata, che<br />
sfila come protagonista<br />
assoluta nella processione<br />
del Venerdì Santo.<br />
La critica d'arte fino a qualche<br />
decennio addietro ha<br />
contribuito a screditare questo<br />
tipo di manufatto polimaterico,<br />
giudicandolo<br />
privo di valore artistico e<br />
classificandolo nell'ambito<br />
del folclore popolare, sottovalutando<br />
il crogiolo di attività<br />
artistico-artigianali che<br />
ruotavano attorno alla creazione<br />
di tali simulacri: la<br />
qualità dei tessuti e dei ricami,<br />
la manifattura degli<br />
abiti, gli addobbi di merletti<br />
e passamanerie, i gioielli e,<br />
per finire, l'effige dei volti<br />
intagliati talvolta anche da<br />
artisti famosi.<br />
Il tema dei simulacri “da<br />
vestire” investe, perciò,<br />
diversi ambiti di studio e prevede<br />
specifici approcci<br />
metodologici. Lo studio<br />
della matericità dei simulacri-manichini<br />
e dei loro corredi<br />
costituisce un immenso<br />
campo di ricerca, ma anche<br />
un'occasione per allinearsi<br />
alla tendenza, che in questi<br />
ultimi anni hanno manifestato<br />
numerose ricerche condotte<br />
su questo genere di statuaria<br />
presente sul territorio<br />
nazionale ed estero. In ambito<br />
nazionale, le testimonianze<br />
più considerevoli, reperite<br />
negli inventari delle chiese,<br />
risalgono al XV secolo, ma,<br />
in numero rilevante sono<br />
state trovate ampie documentazioni<br />
nel Cinquecento,<br />
nel Seicento, nel Settecento,<br />
per tutto l’Ottocento e parte<br />
del Novecento. Sul territorio<br />
siciliano questo tipo di ricerca<br />
archivistica non è ancora<br />
stata affrontata, se non per<br />
campionature esigue e per<br />
finalità diverse.<br />
Il progetto prevede, quindi,<br />
in una prima fase la ricognizione<br />
dei beni esistenti in<br />
Sicilia e degli eventuali<br />
interventi effettuati nell'ambito<br />
della conservazione e<br />
del restauro. Attraverso<br />
un’approfondita indagine sul<br />
campo si porterà alla luce<br />
quanto resta di un patrimonio<br />
per lungo tempo assoggettato<br />
a una sistematica<br />
distruzione. Dopo il censimento<br />
occorrerà incrociare i<br />
dati raccolti e metterli in<br />
relazione con quelli prodotti<br />
nel resto d'Italia, restituendo<br />
al fenomeno la sua dimensione<br />
nazionale e, successivamente,<br />
si avvieranno una<br />
serie di interventi per favorire<br />
il recupero di una tradi-
zione pluricentenaria a<br />
rischio di estinzione.<br />
Va sottolineato che non è possibile<br />
affrontare lo studio del<br />
patrimonio ecclesiastico se<br />
non partendo dai lavori di<br />
schedatura, condotti dalle<br />
Soprintendenze e dagli uffici<br />
beni culturali delle Curie con<br />
il coordinamento della CEI,<br />
che saranno completati e integrati<br />
attraverso le ricerche<br />
negli archivi di Stato, delle<br />
Curie e delle Parrocchie.<br />
Chiara Caldarella<br />
PROGETTO DIAGNOSTI-<br />
CO PRELIMINARE SUL<br />
ROSTRO BRONZEO DI<br />
EPOCA ROMANA RIN-<br />
VENUTO IN LOCALITÀ<br />
ACQUALADRONI<br />
A seguito dell’importante<br />
ritrovamento archeologico<br />
nello specchio di mare che<br />
fronteggia la località di<br />
Acqualadroni presso Messina,<br />
il Laboratorio di<br />
Chimica del <strong>Centro</strong> Regionale<br />
per la Progettazione e il<br />
<strong>Restauro</strong> è stato chiamato, su<br />
richiesta della Soprintendenza<br />
del Mare per la<br />
Sicilia, a condurre le analisi<br />
propedeutiche necessarie, al<br />
fine di elaborare il progetto<br />
diagnostico per il restauro del<br />
rostro bronzeo, arma strategica<br />
di cui erano dotate le navi<br />
da guerra di epoca romana.<br />
L'esame sistematico degli<br />
elementi costitutivi il manufatto<br />
e la relativa caratterizzazione<br />
consentiranno la<br />
valutazione scientifica dello<br />
stato di conservazione del<br />
reperto e, quindi, la pianificazione<br />
del conseguente<br />
intervento di restauro e del<br />
protocollo di manutenzione.<br />
La stesura del progetto diagnostico<br />
prevede l’esecuzione<br />
di indagini di laboratorio<br />
sia sulla parte metallica sia<br />
sulla componente lignea.<br />
Questa duplice composizione<br />
materica diversifica il<br />
rostro di Acqualadroni da<br />
tutti gli altri precedentemente<br />
rinvenuti: caratteristica<br />
che richiederà un intervento<br />
più complesso. Infatti per la<br />
prima volta si tenterà di stabilizzare<br />
due materiali conviventi<br />
ma che non hanno<br />
nessuna procedura conservativa<br />
omologa. Allo scopo,<br />
per lo sviluppo del progetto<br />
diagnostico, s’è ritenuto<br />
opportuno coinvolgere importanti<br />
istituti di ricerca.<br />
Specificamente sono stati<br />
interessati: l'Agenzia regionale<br />
per le Acque (ARPA), il<br />
Dipartimento di Chimica “F.<br />
Accascina” e il <strong>Centro</strong><br />
Grandi apparecchiature UNI<br />
NET Lab. dell'Università di<br />
Palermo, il Dipartimento di<br />
tecnologie, ingegneria,<br />
scienze dell'ambiente e delle<br />
foreste dell'Università della<br />
Tuscia di Viterbo.<br />
N. Vitelli / G. Cinà<br />
(1) INCONTRI TECNICI A<br />
PALAZZO MONTALBO.<br />
DISINFESTAZIONE<br />
ANOSSICA E ATMOSFE-<br />
RE CONTROLLATE<br />
Il 30 settembre 2009 si è svolto<br />
presso il CRPR un incontro<br />
tecnico sul tema disinfestazione<br />
anossica e atmosfere<br />
controllate, promosso in collaborazione<br />
con la CTS e la<br />
Isolcell. L'esigenza di realizzare<br />
questo incontro è nata<br />
allo scopo di fornire agli operatori<br />
del settore una migliore<br />
e corretta conoscenza della<br />
tecnica in questione, oltre che<br />
della sua utilizzazione. La<br />
giornata ha visto un numeroso<br />
pubblico di tecnici e<br />
restauratori, sia privati che<br />
della Amministrazione regionale,<br />
esperti nel campo dei<br />
Beni culturali, in particolare<br />
dei beni mobili; le tematiche<br />
trattate sono state quelle relative<br />
al ciclo vitale degli insetti<br />
xilofagi, principali biodeteriogeni<br />
dei manufatti di natura<br />
organica, ai trattamenti di<br />
disinfestazione classici e alla<br />
disinfestazione in atmosfera<br />
controllata e modificata con<br />
azoto, con dimostrazione pratica<br />
di quest'ultima. Il metodo,<br />
basato sul principio dell'anossia,<br />
è assolutamente innocuo<br />
sia agli operatori che al<br />
bene, e l'intervento può essere<br />
realizzato in situ. Si tratta di<br />
allestire con involucro plastico<br />
una bolla, di diversa grandezza<br />
a seconda degli oggetti<br />
da trattare, all'interno della<br />
quale verrà sottratto ossigeno<br />
ed immesso azoto. Il trattamento<br />
dura circa 21 gg.,<br />
durante i quali, all'interno<br />
della bolla, vengono continuamente<br />
controllati i parametri<br />
microclimatici, la quantità<br />
di ossigeno e di azoto.<br />
Trascorso il suddetto periodo,<br />
gli insetti in tutti i loro stadi<br />
vitali risulteranno morti a<br />
causa della mancanza di ossigeno.<br />
Presupposto imprescindibile<br />
per effettuare tale trattamento<br />
è che l'infestazione<br />
sia in atto.<br />
Rosa Not<br />
(2) INCONTRI TECNICI A<br />
PALAZZO MONTALBO.<br />
NUOVI MATERIALI PER<br />
IL RESTAURO DI CAR-<br />
TA E TESSUTI<br />
Lo scorso primo ottobre nel<br />
Salone delle Feste si è svolto<br />
un incontro tecnico sul tema<br />
relativo all’aggiornamento sui<br />
materiali da utilizzare per il<br />
restauro della carta e dei tessuti,<br />
organizzato in collabora-<br />
zione con la CTS di Altavilla<br />
Vicentina. L’importanza di<br />
conoscere e approfondire<br />
nuovi prodotti da utilizzare<br />
nel settore della conservazione<br />
riveste un grande interesse,<br />
in special modo oggi, dove la<br />
scelta dei materiali si orienta<br />
sempre più ad una riduzione<br />
dei rischi per le opere, per gli<br />
operatori e per l’ambiente.<br />
L’approfondimento ha<br />
riguardato nello specifico: gli<br />
addensanti, impiegati nella<br />
preparazione dei gel acquosi,<br />
da utilizzare nelle operazioni<br />
di pulitura delle superfici di<br />
opere d’arte; i protettivi e/o<br />
fissativi, fra i quali il ciclododecano,<br />
da utilizzare in alternativa<br />
alle tradizionali resine,<br />
la cui principale caratteristica<br />
è quella di sublimare (svanire)<br />
completamente non lasciando<br />
alcun residuo da dover rimuovere;<br />
e infine sono stati presentati<br />
dei nuovi polimeri per<br />
il consolidamento, come<br />
l’Aquazol, oggetto di sperimentazione<br />
e di particolare<br />
interesse per alcune qualità<br />
come, la termoplasticità, e<br />
l’assenza di lucidità delle<br />
superfici trattate.<br />
In considerazione che il<br />
buon esito di un restauro è<br />
legato anche all’uso mirato<br />
ed equilibrato dei materiali,<br />
appare sempre più utile e<br />
necessario interloquire con<br />
i produttori del ramo, al<br />
fine di socializzare le sperimentazioni<br />
effettuate, innescando<br />
così un processo<br />
virtuoso di interazione,<br />
mediante lo scambio dell’esperienza<br />
maturata dagli<br />
operatori del settore - in<br />
uno con la letteratura dei<br />
protocolli di restauro consolidati<br />
– utile allo sviluppo<br />
della ricerca per una mirata<br />
applicazione dei materiali<br />
sperimentati<br />
Caterina Dessy<br />
NEWS<br />
37
R RICERCHE &<br />
CONTRIBUTI<br />
PUNTERUOLO ROSSO DELLE PALME<br />
38<br />
BIOLOGIA E MEZZI DI CONTROLLO<br />
Stefano Colazza<br />
Facoltà di Agraria - Università di Palermo<br />
Il Punteruolo Rosso delle Palme, Rhyncophorus ferrugineaus,<br />
è un coleottero curculionide di origine asiatica,<br />
giunto nel bacino del Mediterraneo nei primi anni ’90. In<br />
Italia, le prime segnalazioni risalgono alla metà del 2004.<br />
Durante questi 4-5 anni, l’insetto si è diffuso pressoché in<br />
tutte le regioni italiane prospicienti il mare distruggendo<br />
migliaia di piante della specie Phoenix canariensis, la palma<br />
delle Canarie. In questi anni si sono osservate infestazioni<br />
anche a carico di altre specie di palme, ad esempio<br />
Washingtonia sp., P. dactyliphera, palma da dattero,<br />
Syargus romazoffiana, Jubaea chilensis e Livistona chinensis<br />
e Chamaerops humilis, palma nana del Mediterraneo, che<br />
rappresenta l’unica specie indigena per l’Italia.<br />
Gli adulti del Punteruolo sono di colore rosso-ferrugineo e<br />
sono lunghi circa 31-33 mm e larghi circa 10 mm. Il capo<br />
dell’insetto è caratterizzato dalla presenza del rostro, che nei<br />
maschi si presenta munito di una serie di fitte setole mentre<br />
nelle femmine si presenta glabro, più lungo ed arcuato. Le<br />
femmine depongono le uova alla base delle foglie o dei giovani<br />
germogli, preferendo le zone affette da ferite o cicatrici.<br />
Il numero di uova che una femmina può deporre varia da<br />
alcune decine a svariate centinaia. Dopo 3-6 giorni le uova si<br />
schiudono e le giovani larve penetrano all’interno della pianta<br />
per dare inizio alla fase endofita con la formazione nel<br />
tronco di gallerie e ampie cavità. Questo aspetto della biologia<br />
rende molto difficile effettuare la diagnosi dell’attacco<br />
precocemente, fenomeno che è reso più evidente quando ad<br />
essere colpite sono le palme delle Canarie. La pianta non<br />
presenta sintomi esterni evidenti della infestazione per mesi,<br />
in questo lasso di tempo si avvicendano più generazioni e<br />
centinaia di larve hanno modo di svilupparsi a carico del tessuto<br />
vegetale. Quando la sintomatologia dell’attacco appare<br />
evidente con le foglie apicali che si afflosciano su quelle<br />
inferiori, è spesso troppo tardi per poter intervenire efficacemente.<br />
I mezzi disponibili per contenere le popolazioni di questo<br />
insetto, che come abbiamo visto è per biologia e ruolo ecologico<br />
di difficile controllo, hanno, sino ad ora, evidenziato<br />
forse più i limiti che non le prospettive. Schematicamente i<br />
mezzi per il controllo del Punteruolo Rosso delle Palme possono<br />
essere raggruppati per comodità di esposizione in:<br />
legislativi, meccanici, biologici, biotecnici e chimici.<br />
Il mezzo legislativo, che, in ultima analisi, prevede il costante<br />
monitoraggio della diffusione del fitofago e la tempestiva<br />
eliminazione delle piante attaccate, è ragionevolmente il dispositivo<br />
che meglio di tutti ha frenato e potrà frenare lo sviluppo<br />
del Punteruolo rosso. Per il controllo delle infestazioni<br />
occorre fare riferimento alle “Disposizioni sulla lotta<br />
obbligatoria contro il Punteruolo Rosso delle palme R. ferrugineaus”<br />
della GURI del 13.02.08 che recepiscono la decisione<br />
della Commissione 2007/365/CE. Le regioni italiane<br />
interessate alle infestazioni del Punteruolo hanno emanato<br />
specifiche misure fitosanitarie; in particolare la Regione<br />
Campania con il Decreto del 31.01.06 n. 33 e la Regione<br />
Siciliana con il Decreto del 6.03.07 in forza al quale il<br />
Servizio Fitosanitario Regionale accerta e segnala l’ubicazione<br />
delle palme infestate all’Azienda Foreste Demaniali<br />
che provvede all’abbattimento a alla distruzione delle palme<br />
colpite seguendo adeguate procedure. Tuttavia, per zone in
cui la presenza dell’insetto è segnalata da oltre 3 anni, è<br />
tempo di rivedere le disposizioni legislative e procedere a<br />
dichiarare queste zone “zone di infestazione”. Negli ultimi<br />
anni è stato messo a punto un metodo di risanamento delle<br />
palme ai primi stadi di infestazione riadattando una tecnica<br />
comunemente utilizzata nelle isole Canarie per l’estrazione<br />
del guarapo, da cui si ricava il cosiddetto “miele di palma”.<br />
In pratica si tratta di asportare tutte le parti attaccate con<br />
l’ausilio di scalpelli ed altri attrezzi da potatura rimuovendo<br />
nel contempo anche tutti gli insetti presenti. Questa tecnica<br />
di dendrochirurgia è efficace solo quando i tessuti della pianta<br />
interessati dalla presenza del coleottero si trovano in una<br />
posizione più alta rispetto alla gemma, condizione che può<br />
essere verificata solo durante l’intervento. I costi onerosi di<br />
questi interventi e il fatto che molte delle piante “risanate”<br />
attraverso questa tecnica siano state re-infestate rendono<br />
questo metodo poco pratico nell’applicazione su larga scala.<br />
Tuttavia esso può avere una certa rilevanza nel risanare quelle<br />
palme dall’alto valore monumentale che si trovano in<br />
molti parchi e giardini italiani. Riguardo alla possibilità di<br />
usare nemici naturali del Punteruolo Rosso delle Palme, non<br />
RICERCHE & CONTRIBUTIR<br />
sono stati ancora individuati nemici naturali specifici che<br />
possano essere impiegati efficacemente. Infatti occasionale<br />
o di scarso rilievo è l’attività di predatori e parassitoidi nei<br />
confronti di R. ferrugineaus che si registra in campo. Tra i<br />
mezzi di lotta biologica, i risultati più promettenti derivano<br />
dall’impiego di formulati insetticidi a base di nematodi<br />
appartenenti al genere Steirernema. I nematodi aggrediscono<br />
attivamente le larve e, in misura minore, gli adulti dell’insetto<br />
nutrendosi e sviluppandosi internamente. Nel volgere di<br />
alcuni giorni l’insetto viene ucciso con la conseguente morte<br />
del punteruolo portandole a morte. In laboratorio i risultati<br />
osservati hanno registrato una mortalità prossima al 100%<br />
delle larve, in campo l’utilizzo di questi formulati ha determinato<br />
risultati meno buoni con una mortalità delle larve<br />
osservata che va dal 29% al 67%. L’importanza di questo<br />
mezzo di lotta biologico non va comunque sottovalutata,<br />
anche in funzione del basso impatto ambientale derivante<br />
dall’utilizzo di questi formulati. Tra i mezzi biotecnici per il<br />
controllo del Punteruolo si annovera il metodo della cattura<br />
massale. Questa tecnica prevede l’utilizzo di quantitativi<br />
consistenti di trappole innescate con esche di natura chimica<br />
39
R<br />
40<br />
RICERCHE & CONTRIBUTI<br />
al fine di catturare il maggior numero possibile di adulti<br />
della specie da combattere. Le esche chimiche utilizzate<br />
nelle trappole adoperate per il Punteruolo Rosso delle Palme<br />
attraggono l’insetto sia con stimoli sessuali (feromone di<br />
aggregazione, 4-metil-5 nonanolo) che alimentari (esteri che<br />
si sviluppano dalle palme in fermentazione, come acetato o<br />
propinato di etile). Tale tecnica è stata recentemente utilizzata<br />
nel corso di uno studio del Dipartimento S.En.Fi.Mi.Zo.<br />
dell’Università di Palermo nel comune di Marsala (TP) con<br />
risultati promettenti ed attualmente è stata ripetuta in scala<br />
più grande a Palermo. Nel capoluogo siciliano sono state<br />
poste 500 trappole sparse in tutta la città, ognuna delle quali<br />
cattura una media di due individui al giorno. Al giorno d’oggi<br />
questa biotecnologia entomologica si segnala tra le più<br />
promettenti nell’ambito del controllo del Punteruolo Rosso<br />
delle Palme. L’utilizzo di formulati insetticidi nei confronti<br />
del Punteruolo Rosso delle Palme è oggi al centro di dibattiti<br />
all’interno della comunità scientifica a causa delle ripercussioni<br />
che tale mezzo può avere negli ambienti urbani se<br />
applicato senza i dovuti accorgimenti. Il Ministero della<br />
Salute ha autorizzato, per la prima volta nel febbraio 2008 e<br />
successivamente con una deroga nel giugno 2009, per motivi<br />
eccezionali, l’impiego di alcuni principi attivi. Tuttavia il<br />
controllo e la prevenzione delle infestazioni del Punteruolo<br />
Rosso delle Palme con mezzi chimici non è di facile attuazione<br />
ed è importante che i trattamenti vengano effettuati da<br />
personale specializzato. Le difficoltà nella lotta chimica<br />
derivano sia dal comportamento del coleottero, le cui larve si<br />
sviluppano ben protette all’interno della porzione apicale<br />
delle palme, che dalla morfologia e fisiologia della palma<br />
stessa. Attualmente due sono i metodi di controllo chimico<br />
prevalentemente utilizzati: endoterapia e aspersione. Essi si<br />
differenziano sia per i principi attivi somministrati che le<br />
modalità di applicazione. L’endoterapia si avvale di insetticidi<br />
sistemici a base abamectina o imidacloprid. Questi principi<br />
attivi vengono applicati all’interno delle palme attraverso<br />
delle “iniezioni” nel tronco. Se da un lato tale metodo ha<br />
il vantaggio di avere un impatto ambientale relativamente<br />
ridotto, dall’altro spesso non ha mostrato un effetto tale da<br />
garantire la completa mortalità dell’insetto e il conseguente<br />
recupero della pianta infestata. Il metodo per “aspersione” si<br />
avvale di insetticidi di sintesi, come il chlorpyriphos, somministrati<br />
dall’esterno sulla chioma. Questa strategia sembra<br />
dare qualche risultato positivo se usata in via preventiva.<br />
Tuttavia la necessità di reiterare i trattamenti per tutto il<br />
periodo di diffusione degli adulti e soprattutto gli elevati<br />
effetti di inquinamento ambientale che comportano i trattamenti<br />
rendono questo metodo poco sostenibile. In sintesi una<br />
unica “soluzione” semplice ed economica per affrontare e<br />
risolvere i gravi problemi che hanno fatto seguito all’introduzione<br />
del Punteruolo Rosso delle Palme ancora non è stata<br />
messa a punto, pertanto la strada da percorrere è quella dell’uso<br />
integrato dei mezzi disponibili, adattando la strategia di<br />
volta in volta a seconda del contesto in cui si opera.
PALME E PAESAGGIO<br />
L’ABITO URBANO VEGETATIVO<br />
Giuseppe Barbera<br />
Facoltà di Agraria - Università di Palermo<br />
Gli ultimi dati parlano di 14.000 palme abbattute, ma la<br />
diffusa presenza di esemplari ancora in piedi, mortificati<br />
dal ciuffo appassito delle foglie, fa pensare che il numero<br />
sarà destinato a crescere fino a quando, finalmente, si capirà<br />
che non ci sono (o non sono sufficienti) scorciatoie chimiche<br />
o biologiche, trappole o repellenti, aspersioni o endoterapie<br />
fino in fondo efficaci e che la strada principale da percorrere<br />
in ambiente urbano è quella della estirpazione di tutti gli<br />
individui colpiti. Invece, in suoli pubblici o privati, lasciate<br />
come gli appestati a diffondere il male, gli stipiti delle palme<br />
continuano ad allevare nei loro tessuti centinaia di punteruoli<br />
pronti a completare l’opera distruttiva. Si prevede ormai<br />
che l’infestazione troverà un punto di equilibrio, quando solo<br />
poche saranno le palme delle Canarie ( la sola specie significativamente<br />
colpita oggi in Sicilia) sopravvissute, quando<br />
quindi il paesaggio urbano sarà stato fortemente modificato<br />
e quello delle ville storiche e delle piazze e alberature monumentali<br />
definitivamente compromesso. Non c’è ad oggi una<br />
diffusa consapevolezza sulle conseguenze dell’infestazione<br />
del punteruolo rosso e i singoli cittadini, proprietari di giardini<br />
o semplici amanti del verde, appaiono molto più preoccupati<br />
e addolorati dei decisori pubblici, indifferenti (come<br />
molti altri indizi concorrono a dire) alle sorti del giardino<br />
storico siciliano e al paesaggio culturale dell’isola.<br />
Comunque vada, il paesaggio delle città siciliane si avvia a<br />
cambiare sotto i nostri occhi. Dopo la cancellazione dei giardini<br />
di agrumi, degli orti e dei frutteti nelle cinte periurbane,<br />
dopo il degrado di tanta architettura antica e la proliferazione<br />
della sciatta edilizia contemporanea, un‘altra parte della<br />
identità paesaggistica siciliana, quella che la rendeva esotica,<br />
diversa e perciò appetibile ai viaggi e ai ricordi dei visitatori<br />
e al piacere e al rimpianto della memoria, scompare.<br />
Molte piazze e giardini sono ormai stravolte e solo fotografie<br />
ormai datate e vecchie cartoline ci rimandano al paesaggio<br />
scomparso: quello dei viaggiatori del Grand Tour che<br />
nell’immaginario rimane indimenticabile. Per limitarsi a<br />
Palermo, è il paesaggio del giovane architetto tedesco<br />
Hessemer che godeva la vista della “vallata…come di un<br />
paradiso terrestre; qua e là piccole case bianche affiancate da<br />
palme svettanti tra il verde intenso degli altri alberi?”, il paesaggio<br />
di Edmondo De Amicis che ammirava nella “stupenda<br />
e strana Città dei Vespri e di Santa Rosalia” una “vegetazione<br />
magnifica che vi circonda nei giardini e nei parchi cittadini,<br />
dove si incrociano i viali fiancheggiati di oleandri e di<br />
rose, e s’affollano le palme, i platani, gli eucalipti, le più preziose<br />
specie di tutte le flore”, quello dove Alexandre Dumas<br />
che scorgeva “le ville attorniate dai vigneti, i palazzi all’ombra<br />
dei palmizi: tutto questo spettacolo metteva la gioia nel<br />
cuore e l’ammirazione negli occhi… Fino a Monreale la<br />
strada è deliziosa; è quella che gli antichi chiamavano la<br />
Conca d’Oro, ossia un grande bacino di un bel verde smeraldo,<br />
variegato dai mille colori degli oleandri, mirti e aranceti,<br />
RICERCHE & CONTRIBUTI<br />
mentre, al di sopra di essi, s’innalza, a distanza irregolare,<br />
qualche palmizio e ondeggia con noncuranza un maestoso<br />
ciuffo africano”. Il paesaggio, per l’anarchico Elisee Reclus,<br />
delle “ville Belmonte e Pignatelli circondate da ameni giardini<br />
che sorridono…come dimore di fate. Fioriti gerani, allori,<br />
palme, cedri si imboscano intorno alle aiuole tortuose”. Il<br />
paesaggio dove per il poeta russo Andrei Belyj, “le rigide<br />
pale della palma danzano…nel vento ballerino”.<br />
Il rilievo delle palme nelle città e nei giardini siciliani può<br />
essere anche colto dal grande spazio che esse occupano nelle<br />
cartoline postali della fine dell’Ottocento e degli inizi del<br />
Novecento e che di fatto sintetizzano il fascino della “veduta”,<br />
spesso incorniciata dalla chioma elegante delle palme<br />
stesse. Alcune di queste foto ci rappresentano un “paesaggio”<br />
ormai connaturato con le nostre città, ma che i gravi<br />
danni apportati dal punteruolo hanno compromesso. Forse<br />
nessuna parola o immagine può valere a testimoniare l’importanza<br />
delle palme nel paesaggio siciliano quanto quelle<br />
dello zio del “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati che tornato<br />
a Catania ,dopo aver vissuto a lungo a Parigi e Barcellona<br />
esclama:“Come voglio bene a questa terra!...Che disgraziato<br />
rimanerne per vent’anni lontano!...Ecco qui la palma!...ecco<br />
la palma con cui avrei cambiato tutti i giardini di<br />
Versaglia…”<br />
Che fare allora nei giardini storici, nelle piazze, nelle alberature<br />
stradali una volta che la gran parte delle palme delle<br />
Canarie saranno scomparse? Bisognerà ricordarsi che solo<br />
dalla seconda metà del Ottocento (in Italia è presente dal<br />
1888) questa specie è diffusa nei nostri giardini e che molte<br />
altre specie – nei giardini storici siciliani ne sono state rinvenute<br />
ben 35 diverse- possono essere utilizzate al suo posto e<br />
che ad esse bisognerà rivolgersi se si vogliono restituire le<br />
stesse forme, le stesse strutture paesaggistiche oggi negate<br />
dal punteruolo. Naturalmente andranno evitate le specie che<br />
si sono mostrate sensibili agli attacchi e comunque paesaggisti<br />
e appassionati del verde dovranno ricorrere ad esse ben<br />
consci dei rischi che si corrono. Con molta prudenza, sulla<br />
base dei dati riportati dal rapporto su “La ricerca scientifica<br />
sul punteruolo rosso e gli altri fitofaghi delle palme in<br />
Sicilia” (a cura di S. Colazza, S. Longo, G. Filardo,<br />
Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana,<br />
2009) si dovrà ricorrere a Livistonia chinensis (1 caso segnalato<br />
a Palermo), Sabal sp. (3 piante in piena terra colpite in<br />
un vivaio a Catania), Syagrus romnzoffiana (3 casi a<br />
Catania), Jubaea chilensis (1 caso a Catania), Howea forsteriana<br />
(2 casi a Giarre). Anche altre specie, prime tra tutte<br />
l’autoctona palma nana e la palma da datteri sono state colpite,<br />
limitatamente ad alcuni esemplari, ma come rinunciare<br />
ad esse? Va ricordato in ogni caso che l’abito vegetativo,<br />
cespuglioso per la presenza e l’emissione continua di numerosi<br />
polloni, della palma nana riduce fortemente la possibilità<br />
che la pianta venga uccisa dall’insetto e anche la sua appa-<br />
R<br />
41
R<br />
42<br />
RICERCHE & CONTRIBUTI<br />
renza estetica non ne viene fortemente alterata. Anche la<br />
palma da datteri, colpita allo stipite e non nell’unica gemma<br />
apicale, si presta ad una ulteriore diffusione nel paesaggio.<br />
Pur essendo di origine esotica fa parte più di ogni altra palma<br />
del paesaggio tradizionale siciliano, non solo di quello urbano<br />
ma anche di quello rurale dove la forma slanciata e la<br />
chioma svettante segnano storicamente gli insediamenti dell’uomo.<br />
Con una certa cautela andrebbero invece diffuse le<br />
Washingtonie americane, molto apprezzate invece per la<br />
rapida crescita e fino ad oggi per una buona tolleranza al<br />
punteruolo (che ne ha pure colpito 8 esemplari), ma anche<br />
perché incongrue alla classicità del paesaggio mediterraneo<br />
che banalizzano in molti viali lungomare, in molti giardini<br />
partecipando ad un paesaggio globale che non ha qualità,<br />
distinzioni e confini.<br />
La scelta delle specie da diffondere al posto della palma<br />
delle Canarie segue però sempre l’eliminazione delle ceppaie<br />
delle palme uccise (che rimangono, si è visto in molte<br />
occasioni, rifugi per nuove generazioni di punteruoli) e la<br />
disponibilità di progetti di impianto che in linea, con la storia<br />
e il disegno dei giardini storici, diano corrette indicazioni.<br />
Si dovrebbero dotare i giardini siciliani – e non solo in<br />
ragione dei danni del punteruolo- di piani di gestione.<br />
Questi, predisposti da competenti, attenti alla storia dei singoli<br />
giardini, alle problematiche che derivano dai diversi<br />
ambienti colturali, all’assetto della vegetazione sono necessari<br />
a fornire indicazioni che non affidino solo al buon gusto<br />
del paesaggista o del giardiniere (figure professionali tra<br />
l’altro trascurate a vantaggio di competenti dell’ultima ora,<br />
spesso senza alcuna qualifica) le scelte tecniche di impianto<br />
e manutenzione e, con esse, le sorti dei giardini storici.<br />
Questi, ricordiamolo, sono “composizioni architettoniche e<br />
vegetali che, dal punto di vista della storia o dell’arte, presentano<br />
un interesse pubblico”, dice la Carta di Firenze che<br />
dovrebbe guidare anche in Sicilia ogni ragionevole intervento<br />
di restauro o recupero.
I PORTALI DELLA CITTÀ<br />
ARCHITETTURA, TRASFORMAZIONI E SOVRAPPOSIZIONI<br />
STILISTICHE NEL CENTRO STORICO DI PALERMO<br />
Lucia Carrubba<br />
Dottore di Ricerca<br />
Il centro storico di Palermo è caratterizzato da architetture<br />
che affondano le proprie radici in un passato millenario<br />
che ha visto sovrapporsi e mescolarsi tradizioni, tecniche<br />
costruttive e stili architettonici di diverse epoche.<br />
Camminarvi attraverso costituisce un vero e proprio viaggio<br />
nella storia, i cui segni sono impressi e leggibili già nei prospetti<br />
degli edifici. In particolare, uno degli elementi che<br />
consente l’immediata lettura del trascorso materiale, culturale<br />
ed artistico è il portale, significativo particolare architettonico<br />
che si presta a letture stilistiche, geometriche e tecnologiche.<br />
Considerato quale elemento di passaggio tra l’esterno e l’interno<br />
dell’edificio, il portale assurge ad una duplice funzione,<br />
quella decorativa del vano d’ingresso e quella emblematica<br />
dell’autorità e del prestigio della famiglia possidente.<br />
Per tali ragioni il portale ha da sempre rivestito un ruolo di<br />
primaria importanza, suscitando studi e riflessioni sulla relativa<br />
progettazione formale e decorativa.<br />
Tuttavia con l’evolversi dei secoli, tale ruolo è andato sempre<br />
più scemando, sino alla completa rimozione della figura<br />
emblematica del portale nell’architettura contemporanea. I<br />
moderni edifici il più delle volte presentano semplici aperture<br />
prive di ogni riferimento stilistico o ornamentale, in cui<br />
l’elemento predominante è raffigurato dalla pura esaltazione<br />
del contrasto tra pieno e vuoto attraverso l’esclusiva linearità<br />
dello schematismo formale dell’apertura. Questa nuova<br />
visione ha, dunque, determinato la progressiva scomparsa<br />
dei principi fondativi del portale, riscontrabili unicamente<br />
nelle numerose architetture storiche caratterizzanti vicoli e<br />
strade di molteplici centri urbani.<br />
Palermo, in quest’ottica, con i suoi quattro mandamenti, rappresenta<br />
un’importante documento architettonico, in cui i<br />
portali richiamano l’attenzione, anche dell’osservatore meno<br />
attento, inducendolo spesso a fermarsi e ad osservare l’edificio<br />
monumentale nel suo insieme. È dunque sembrato<br />
opportuno favorire la conoscenza di questo particolare architettonico,<br />
ormai esclusiva testimonianza del passato, attraverso<br />
una descrizione dei caratteri stilistici e formali e della<br />
relativa evoluzione nei secoli, ed alcuni rilievi dei più significativi<br />
portali del Mandamento Palazzo Reale di Palermo.<br />
Ciascun portale trasmette l’eredità storica che lo caratterizza,<br />
esprimendo in ogni epoca la somma di precise tradizioni<br />
stilistiche e tecniche costruttive. Ma rappresenta anche la<br />
sintesi di ulteriori fattori, connessi ad esempio al rapporto tra<br />
edificio e contesto o al grado di nobiltà del proprietario. Il<br />
primo fattore ha gradualmente rivoluzionato lo schematismo<br />
formale del portale, che da semplice varco è divenuto ele-<br />
RICERCHE & CONTRIBUTI<br />
mento di mediazione tra la strada ed il cortile, in una innovativa<br />
soluzione di continuità che vede l’edificio aprirsi<br />
verso l’esterno ed inglobare al suo interno lo spazio urbano.<br />
Pertanto nell’edificio arabo-normanno, sia esso castello o<br />
palazzo, si riscontrano nella corposa e pesante volumetria<br />
della muratura, semplici portali ad arco acuto, realizzati con<br />
conci di dimensioni regolari e privi di sporgenze o rincassi.<br />
La decorazione, a carattere quasi grafico, è generata dalla<br />
materia stessa mediante il colore delle pietre variamente disposte.<br />
Interessanti esempi, oltre al portale della chiesa di S.<br />
Giovanni degli Eremiti nel Mandamento Palazzo Reale,<br />
sono rappresentati dai portali della chiesa di S. Cataldo e<br />
della chiesa della Magione ubicati nel Mandamento<br />
Tribunali (fig. 1). Con l’affievolirsi di tale concezione,<br />
comincia a delinearsi e ad affermarsi nei secoli successivi<br />
una differente impostazione tipologica dell’edificio, che inizia<br />
ad essere maggiormente qualificato, nella propria individualità<br />
stilistica, proprio dalle aperture. La piena muratura,<br />
che rappresenta ancora elemento caratterizzante l’intera<br />
opera, è arricchita, nel XIII e XIV secolo, da portali medievali<br />
ad arco acuto dalle linee esaltate e maggiormente slanciate,<br />
sempre chiaroscurati attraverso il gioco degli accostamenti<br />
policromi delle pietre (come a palazzo Sclafani, a<br />
palazzo Chiaramonte e nelle chiese di S. Francesco d’Assisi<br />
e di S. Agostino). E per tutto il XV secolo da portali in cui<br />
emerge una maniera più raffinata fatta di trafori nella muratura,<br />
di archi ribassati o depressi dalle straordinarie curve -<br />
appena descritti da raggiere di conci e definiti da cornici - e<br />
di eleganti e piccoli elementi decorativi inquadrati nel paramento<br />
murario (chiesa S. Maria degli Angeli - Gancia,<br />
palazzo Ajutamicristo, palazzo Abatellis).<br />
Ed è sempre nel Quattrocento che il portale accresce il suo<br />
ruolo rappresentativo dello status sociale della famiglia proprietaria,<br />
fattore quest’ultimo che ha generato, nei secoli<br />
successivi soprattutto nel Seicento, magnifici portali intesi<br />
quali piccole sculture e vere e proprie opere d’arte.<br />
Attraverso geometrie e decori, gli artisti del tempo hanno<br />
dato lustro alla personale genialità spesso fondendo anche<br />
stili tra loro diversi.<br />
Il Cinquecento è caratterizzato nella prima metà del secolo<br />
dalla fusione tra elementi rinascimentali ed elementi gotici e<br />
mantiene l’impostazione quattrocentesca del portale con<br />
arco depresso, cornice gotica e peducci rinascimentali (fig. 2<br />
palazzo Filangeri). Successivamente, il linguaggio architettonico<br />
rinascimentale, e più specificamente manierista, prende<br />
il sopravvento e da qui l’impiego di colonne, capitelli,<br />
lesene, architravi, trabeazioni, timpani, tutti elementi dell’or-<br />
R<br />
43
R<br />
44<br />
RICERCHE & CONTRIBUTI<br />
Fig.1 Esempi di portali XI - XII secolo:<br />
Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti -<br />
Chiesa di S. Cataldo - Chiesa della<br />
Magione<br />
1 2 3 4<br />
Fig.2 Esempi di portali XVI secolo:<br />
Palazzo Filangeri - Palazzo Oneto -<br />
Palazzo Castrone di S. Ninfa<br />
dine classico che esaltano la simmetria e la purezza dei volumi.<br />
La particolare decorazione di questo periodo vede l’uso di<br />
trame a rilievo su grandi bugne poste a cornice dei portali e<br />
talvolta a marcapiano dei prospetti come nei rispettivi portali<br />
di palazzo Oneto e di palazzo Castrone di S. Ninfa (fig. 2).<br />
La ricercatezza formale si protrae per tutto il Seicento, e al<br />
gusto tardo rinascimentale si combina quello barocco siciliano<br />
ricco di decorazioni scultoree: il portale è caratterizzato<br />
da un partito architettonico cinquecentesco ispirato all’arte<br />
classica, con aggiunte alterazioni decorative barocche(fig. 3<br />
Palazzo Reale). L’arco poligonale sostituisce quello arcuato<br />
e nasce al contempo un nuovo tema figurativo che troverà<br />
piena affermazione nel secolo successivo. L’innovativo<br />
schema strutturale vede il legame tra il portale a piano terra<br />
ed il primo ordine soprastante: accanto al portone e sul balcone<br />
è l’ordine architettonico con l’uso di colonne libere o<br />
appoggiate o incastrate o di lesene, a risolvere sulla sua trabeazione<br />
il piano di affaccio, mentre la ricca mostra laterale<br />
si conclude nel timpano a reggere gli stemmi nobiliari. Tra i<br />
numerosi esempi riscontrabili all’interno dei quattro mandamenti<br />
si riportano i portali di palazzo Ugo delle Favare e di<br />
palazzo Alliata di Villafranca (fig. 3).<br />
Nell’ultimo trentennio del Settecento si avverte un’inversione<br />
di tendenza, un ritorno cioè a forme pure con elementi<br />
ripresi dall’architettura greca e romana, preludio delle tendenze<br />
stilistiche neoclassiche confermate nei primi anni<br />
dell’Ottocento, quando, con l’architetto Giovan Battista<br />
Fig.3 Esempi di portali XVII secolo:<br />
Palazzo Reale - Palazzo Ugo delle<br />
Favare - Palazzo Alliata di Villafranca<br />
Fig.4 Esempi di portali XIX - XX secolo:<br />
Palazzo Balsano di Daina - Palazzo<br />
Vaccarizzo - Palazzo Napolitano<br />
Filippo Basile nasce una nuova corrente stilistica che denota<br />
una ricerca formale centrata soprattutto sul disegno e sui dettagli<br />
ornamentali floreali (ghirlande, rami, foglie), il tutto<br />
rientrante tra lesene e capitelli classici, o marcatamente<br />
liberty. Ogni singolo dettaglio è precisato con la massima<br />
cura, dall’arrotondamento degli spigoli, alla disposizione dei<br />
conci di rivestimento esterno, alla filigrana in ferro che definisce<br />
tetti e guglie.<br />
La volontà di ostentazione mediante espressioni scenografiche<br />
esasperate, in nome della pura e sola rappresentazione<br />
del potere e della ricchezza nobiliare, genera, sino ai primi<br />
anni del Novecento, un intenso eclettismo rappresentato da<br />
una varietà stilistica di portali, localizzati nel centro storico<br />
prevalentemente lungo l’asse di Via Roma, che esprimono<br />
così i vari linguaggi correnti: neoclassico, neogotico, liberty,<br />
rispettivamente rappresentati dai portali di palazzo Balsano<br />
di Daina, palazzo Vaccarizzo e palazzo Napolitano (fig. 4).<br />
In conclusione, questa breve sintesi sull’evoluzione storicostilistica<br />
del portale nel centro storico di Palermo, se da un<br />
lato documenta il valore che ogni singolo elemento architettonico<br />
storico riveste all’interno di un più ampio patrimonio<br />
culturale, dall’altro vuol contribuire a stimolare le Autorità<br />
competenti verso la loro tutela. Gran parte di questi portali è<br />
infatti caratterizzata da un elevato stato di degrado, e talvolta<br />
anche di abbandono, che richiederebbe una azione di<br />
restauro tempestiva affinché questo esclusivo documento<br />
non vada perso nel tempo definitivamente.
PERCORSI FORMATIVI<br />
OBIETTIVI DI STUDIO PER UN’IDONEA FRUIZIONE<br />
E CONSERVAZIONE DELLE OPERE D’ARTE<br />
Francesca Pulizzi/Lorella Pellegrino<br />
Tutor didattici - CdL Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali<br />
Nel corso di questi anni il CRPR è stato più volte chiamato<br />
a eseguire interventi di restauro su opere di gallerie e<br />
musei della nostra regione, assumendo sempre più un<br />
ruolo di riferimento per la complessa attività di recupero e<br />
conservazione del patrimonio culturale, la quale richiede<br />
una pianificazione degli interventi sostenuta da studi<br />
approfonditi e progetti articolati sia in fase diagnostica che<br />
tecnica<br />
Appare chiaro che lungo i percorsi espositivi spesso ci si<br />
confronta con operazioni di salvaguardia su opere eterogenee,<br />
facenti parte della stessa collezione, che nel tempo<br />
hanno subito interventi quasi mai dettati da unitarietà e<br />
razionalità metodologica conservativa.<br />
I laboratori di restauro di manufatti di origine inorganica<br />
dell’Istituto, sono, da tempo, dedicati alla didattica tecnicopratica<br />
del Corso di Laurea interfacoltà di Conservazione e<br />
<strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali che afferisce alla Facoltà di<br />
Scienze Naturali e Naturalistiche dell’Università di Palermo<br />
e abilita alla professione di restauratore. Uno dei contenitori<br />
museali cui abbiamo fatto riferimento per la didattica durante<br />
l’anno accademico in corso - grazie alla sensibilità di<br />
Giulia Davì - è stato la Galleria Regionale di Palazzo<br />
Abatellis a Palermo; nel caso specifico sono state selezionate<br />
alcune delle opere marmoree esposte che presentavano<br />
tipologie di degrado rappresentative della problematica che<br />
con questo progetto intendiamo affrontare, anche per la redazione<br />
di tesi di Laurea Specialistica.<br />
É stata perciò possibile una proficua collaborazione di tutti i<br />
Docenti delle materie tecniche, scientifiche ed umanistiche,<br />
essenziale per affrontare la fase analitica preliminare agli<br />
interventi di restauro. Scopo di questo progetto è l’avvio di<br />
indagini estensive sulle singole opere scultoree custodite,<br />
per la messa a punto di protocolli d’intervento da eseguire<br />
con l’indispensabile contributo di tecnologie analitiche guidate<br />
da un criterio metodologico il più possibile unitario.<br />
Tale studio si configura quale campione pilota per redigere<br />
la Carta del Rischio degli ambienti confinati che il <strong>Centro</strong><br />
<strong>Restauro</strong> intende avviare.<br />
Il piano terra della Galleria è, quasi interamente, dedicato ai<br />
manufatti litici, un percorso museale ricco di sculture distribuite<br />
secondo un criterio storico cronologico, realizzate sia a<br />
basso rilievo che a tutto tondo, di epoca medievale e rinascimentale.<br />
Le opere, il cui materiale costitutivo è il marmo<br />
bianco microcristallino, sono caratterizzate da levigatissime<br />
superfici, che conservano ancora labili tracce di cromie e<br />
dorature a foglia; il cuore di questa sezione è costituito dalla<br />
sala dedicata ad “Eleonora D’Aragona”, insigne opera di<br />
Francesco Laurana i cui differenti equilibri cromatici e<br />
vibrazioni plastiche superficiali sono prodotti da singolari<br />
strumenti di lavorazione adottati per la differenziazione di<br />
trine e tessuti, e da residui di origine organica non più rimovibili.<br />
L’intervento mira a migliorare la fruibilità dei manu-<br />
FORMAZIONEF<br />
fatti scultorei esposti lungo il percorso museale, affinché il<br />
visitatore non solo guardi ma veda, per coinvolgerlo emotivamente<br />
e razionalmente<br />
È, quindi, indispensabile l’avvio di una campagna di indagini<br />
non invasive con l’ausilio di strumentazioni spettrofotometriche,<br />
multispettrali, in fluorescenza a raggi x, termografiche<br />
e microgeofisiche per l’analisi preliminare di tutte le<br />
opere scultoree, che prende le mosse dal rilevamento microclimatico<br />
e dal controllo del particellato ambientale, seguito<br />
da una campagna di microprelievi per la determinazione<br />
della natura della coprente coltre bruna, rilevata su tutte le<br />
superfici marmoree della collezione, e degli effetti deterioranti<br />
di questa sui manufatti.<br />
Inoltre, certi della presenza di differenti trattamenti superficiali,<br />
attribuibili agli stessi artisti che, originariamente, definivano<br />
la finitura di carnati e abbigliamenti o panneggi di<br />
un’opera, oltre che con stesure pigmentate anche con toni<br />
cromatici ottenuti con sostanze organiche di varia natura<br />
(oli, cere, vernici o collette animali), ci siamo prefissi con la<br />
45
F<br />
46<br />
FORMAZIONE<br />
fase diagnostica di tendere all’identificazione di tali diversi<br />
toni, oggi riconducibili a pallide diversificazioni, il più delle<br />
volte non facilmente rilevabili a una buona misura occhiometrica.<br />
Delicate superfici che hanno richiesto puliture selettive,<br />
pilotate da misure fisiche che garantiscono il controllo<br />
e la salvaguardia dei caratterizzanti valori cromatici, con<br />
grande padronanza e sicurezza anche su superfici che conservano<br />
sottilissime pellicole tonali, specie in campiture un<br />
tempo dedicate alla doratura a foglia o a pastiglia, oggi mancante.<br />
Su tali aree infatti, l’assottigliamento dei depositi consente<br />
di conservare anche solo la “memoria cromatica”, rarefatte<br />
valenze cromatiche, queste molto spesso sottovalutate e distrattamente<br />
affrontate fino a perderne totalmente la memoria.<br />
Tra le opere oggetto di restauro la testina di Dama, il Busto<br />
di Giovinetto e l’Eleonora D’Aragona di Francesco<br />
Laurana, la Natività e la Presentazione al Tempio di<br />
Costantino di autore ignoto esposte nella Sala del Laurana;<br />
la Madonna degli Anzaloni e la Madonna con Bambino di<br />
Antonello Gagini, i capitelli e le rispettive basi opera della<br />
bottega dei Gagini esposti nella Sala dei Capitelli. Lo Stage<br />
presso il Museo ha diverse valenze, innanzitutto didattiche<br />
ma anche di servizio verso una struttura della regione contenitore<br />
di opere di grande valore storico-artistico. L’obiettivo<br />
della didattica è di far comprendere il valore della manutenzione<br />
ordinaria e straordinaria, ma anche quello di mettere<br />
gli studenti a diretto contatto con opere preziose che esprimono<br />
i più grandi valori che l’essere umano è in grado di<br />
produrre e trasmettere a prescindere dal periodo o dal materiale.<br />
Dunque il rilievo, l’anamnesi del manufatto attraverso<br />
la diagnostica, la pulitura selettiva, il trattamento di protezione<br />
finale diventano per noi docenti, da un lato gli strumenti<br />
per raggiungere gli obiettivi didattici prefissati, dall’altro un<br />
momento fondamentale per ricerche che solo un’istituzione<br />
universitaria può garantire.
TIROCINIO IN CHIESA<br />
L’OSTENSORIO CON GLI ANGELI DEL CARMINE MAGGIORE<br />
Provvidenza Lupo<br />
Tutor didattico - CdL Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali<br />
N ell’ultimo anno accademico 2008/2009, fra le attività di<br />
formazione svolte presso il CRPR, nel quadro del programma<br />
del Corso di laurea in Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei<br />
Beni Culturali della Facoltà MM.FF.NN, è stato dedicato un<br />
tirocinio didattico al restauro dei manufatti in metallo e<br />
leghe, a cui hanno partecipato gli allievi del terzo anno.<br />
Le esercitazioni di restauro sono state eseguite sugli oggetti<br />
forniti dalla Chiesa del Carmine Maggiore, con la quale si è<br />
istaurato in questi anni un proficuo rapporto di collaborazione,<br />
essendo un vero e proprio ed inesauribile “contenitore”<br />
data la ricca gamma di beni posseduti che necessitano di<br />
interventi e che -di volta in volta- vengono proposti per lo<br />
svolgimento dei “cantieri didattici” (così come si configurano<br />
i vari tirocini di restauro), grazie ai quali è possibile recuperarli<br />
con azioni mirate. Come è noto la chiesa del Carmine<br />
sorge in uno dei più affollati e popolari rioni storici della<br />
città: l’antico mandamento dell’Albergheria. Essa è un<br />
autentico gioiello di storia e d’arte, nonché uno dei primi<br />
esempi di architettura barocca palermitana. Varie e complesse<br />
sono le vicende dei numerosi restauri a cui è stata sottoposta,<br />
un tema che meriterebbe senz’altro uno spazio più<br />
approfondito di queste brevi informazioni.<br />
Tra la varia e preziosa oggettistica liturgica selezionata è da<br />
segnalare il manufatto dell’argentiere palermitano Saverio<br />
Martinez: un bellissimo ostensorio, tra i più antichi rimasti,<br />
in argento massiccio dorato con fregi in rilievo e di stile<br />
rococò che sul piedistallo, decorato con foglie d’acanto e<br />
volute e grappoli d’uva, porta tre targhette decorative incise:<br />
una con lo stemma carmelitano di Sicilia; un’altra con la<br />
Luna (simbolo della Madonna); la terza, invece, riporta la<br />
data di fattura: fecit 1762. Sull’estremo lembo della base<br />
sono incise le lettere: “R.P.M.A.R.F, 1813”, iniziali di:<br />
“Rev. P. Maestro Antonino Ragusa fece restaurare nel<br />
1813”. Il fusto, riccamente ornato da piccole volute e foglie<br />
di vite e nella parte finale in alto da un delicato motivo a<br />
spiga di grano, sorregge la teca dell’ostia contornata da una<br />
ghirlanda formata da otto testine di puttini alati adagiati su<br />
nuvole lavorate a sbalzo -che viene riproposta anche nel<br />
tergo- e dalla quale si diparte la splendida raggiera dorata e<br />
argentata con in cima la croce.<br />
L’intervento di restauro conservativo eseguito dagli allievi<br />
del corso, sotto l’attenta guida della docente Ludovica<br />
Nicolai dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è stato<br />
preceduto da una approfondita analisi sullo stato di conservazione<br />
del manufatto che -nel caso in specie- presentava<br />
alterazioni dovute anche ad una non appropriata manutenzione,<br />
effettuata perlopiù con prodotti poco idonei, come<br />
purtroppo quasi sempre avviene nella custodia degli enti parrocchiali:<br />
spesso per la pulitura delle suppellettili liturgiche<br />
di uso quotidiano ci si affida alla collaborazione di sacristi o<br />
parrocchiane volenterose che, cimentandosi in operazioni di<br />
sola lucidatura, usano prodotti commerciali generici (in<br />
FORMAZIONEF<br />
genere paste abrasive) che nel tempo alterano e danneggiano<br />
la composizione materica degli oggetti (argento, ottone,<br />
bronzo, rame etc.). Inoltre si sono riscontrate delle patine<br />
nerastre e gocce di cera solidificate anche negli interstizi.<br />
L’intervento volto alla rimozione dei prodotti di alterazione<br />
si è articolato in varie fasi:<br />
- smontaggio dei singoli componenti,<br />
- pulitura con prodotti e attrezzature di laboratorio idonee,<br />
- protezione finale del manufatto con cere naturali.<br />
Infine, così come per tutti i reperti trattati nel corso del tirocinio,<br />
è stata redatta dagli allievi una scheda tecnica, corredata<br />
da documentazione grafica e fotografica dell’intero<br />
intervento, raccolta anche su supporto informatico in uno<br />
specifico power point, il quale è stato utilizzato a conclusione<br />
dell’attività didattica come strumento di discussione collettiva<br />
per la valutazione e le considerazioni finali dell’iter<br />
formativo.<br />
47
48<br />
INCONTRI & DIBATTITI<br />
IL GRUPPO DEL COLORE<br />
Società italiana di ottica e fotonica<br />
Fernanda Prestileo/Alessandro Rizzi*<br />
Il Gruppo del Colore (GdC) nasce nel 2004 come evoluzione<br />
del Gruppo di Lavoro in Colorimetria e<br />
Reflectoscopia, della Società Italiana di Ottica e<br />
Fotonica (SIOF). In occasione del VII Convegno annuale<br />
di Colorimetria, tenutosi presso l’Università degli<br />
Studi di Parma nel 2004, su iniziativa di Claudio Oleari<br />
e Alessandro Rizzi, viene deciso di ampliare il Gruppo<br />
di Lavoro in Colorimetria e Reflectoscopia a tutte le<br />
altre realtà che in Italia si occupano di colore, creando<br />
un punto di aggregazione che in campo nazionale mancava.<br />
Così come realtà analoghe esistenti in altri Paesi,<br />
il Gruppo ha l’obiettivo di favorire l’aggregazione<br />
multi- ed interdisciplinare di tutti coloro (pubblici e privati)<br />
che in Italia si occupano del colore e della luce da<br />
un punto di vista scientifico e/o professionale.<br />
A partire dalla sua creazione, il numero di esperti ed<br />
operatori del settore afferenti al gruppo è via via<br />
aumentato, così come le attività scientifiche ed i progetti<br />
nati dalla collaborazione degli iscritti.<br />
La 1 a Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore è<br />
stata ospitata nel 2005 a Pescara dall’Università “G.<br />
d’Annunzio”. A questo primo momento di scambio e<br />
confronto hanno fatto seguito gli appuntamenti annuali<br />
di: Milano, presso l’Università degli Studi di Milano<br />
Bicocca (2006); Torino, presso l’Istituto Nazionale di<br />
Ricerca Metrologica (2007); Como, presso il Politecnico<br />
di Milano (Polo di Como) (2008). Quest’anno la<br />
Conferenza, giunta alla sua 5 a edizione, è stata ospitata<br />
a Palermo dal 7 al 9 ottobre dal <strong>Centro</strong> Regionale per la<br />
Progettazione e il <strong>Restauro</strong>, attivo nel Gruppo del<br />
Colore fin dalla sua costituzione nel 2004.<br />
Gli aspetti tematici che il Gruppo considera e sviluppa,<br />
ispirandosi a quelli contemplati dalla Association<br />
Internationale de la Couleur (AIC), sono i seguenti:<br />
Cos’è il colore. La natura fisica e psicologica del colore,<br />
i meccanismi della visione nei loro aspetti fenomenologici<br />
e teorici.<br />
A cosa serve il colore. Ruolo del colore nell’industria,<br />
nella moda, nella cosmesi, nell’edilizia, nell’arte, nel<br />
restauro, nell’architettura, nell’ambiente, nella grafica,<br />
nella cultura, nelle codifiche, ecc...<br />
Come funziona il colore. Il colore in relazione alla illuminazione,<br />
ai meccanismi della visione a colori, alla<br />
fisiologia. Il colore in presenza di deficienze e anomalie,<br />
negli aspetti clinici e biologici. Il colore nei modelli<br />
computazionali e nella visione artificiale. Il colore nella<br />
costruzione di armonie, di illusioni, di preferenze, cromatiche,<br />
nella memoria, nel trattamento dell’informazione.<br />
Come si può controllare il colore. Colorimetria, fotometria,<br />
soglie di discriminazione dei colori, atlanti dei<br />
colori. Fenomeni dell’apparenza del colore, del metamerismo.<br />
Il colore nella sua riproduzione secondo le varie<br />
tecniche. Il colore digitale in relazione ai dispositivi per<br />
la sua gestione. Il colore nella comunicazione, nella<br />
visualizzazione, nella duplicazione, nella stampa. Il<br />
colore nell’arte, nell’architettura, nell’arredo, nel restauro,<br />
nell’archeometria. Il colore nell’industria.<br />
Come si può insegnare il colore. La didattica e gli ausili<br />
all’insegnamento del colore nelle scuole per la formazione<br />
industriale, terziaria e accademica. La storia della<br />
scienza e della pratica del colore.<br />
Le finalità del Gruppo del Colore consistono nel:<br />
- promuovere lo studio del colore in tutti i suoi aspetti,<br />
compresi quelli della visione ad esso collegati;<br />
- creare opportunità di incontro, divulgazione e scambio<br />
di idee tra persone collegate agli aspetti scientifici, industriali,<br />
estetici e didattici del colore;<br />
- favorire la formazione di standardizzazioni, specifiche,<br />
nomenclature e altri aspetti utili a favorire la ricerca nel<br />
campo del colore;<br />
- favorire la disseminazione dei risultati della ricerca sul<br />
colore ottenuti in Italia al resto del mondo e viceversa;<br />
- favorire la disseminazione della cultura del colore.<br />
Come da prassi consolidata, la Conferenza di Palermo è<br />
stata introdotta, durante la prima giornata, da un ospite<br />
internazionale e da tutorial tenuti da esperti dei vari<br />
campi d’interesse del Gruppo del Colore.<br />
Specificamente Stephen Westland (University of<br />
Leeds), nella sua relazione Color preference in context,<br />
ha trattato le problematiche correlate al color management.<br />
Claudio Oleari (Università degli Studi di Parma)<br />
ha presentato Il sistema OSA-UCS e le opponenze cromatiche.<br />
Nicola Ludwig (Università degli Studi di<br />
Milano) nel suo intervento Dalla spettrometria in riflettanza<br />
alla colorimetria ha illustrato gli sviluppi applicativi<br />
nell’ambito dei beni culturali. Di due casi significativi<br />
di Colorimetria nella conservazione dei beni culturali<br />
ha parlato Marisa Laurenzi Tabasso (Università<br />
degli Studi di Roma “La Sapienza”): gli affreschi di<br />
Michelangelo nella Cappella Sistina e le Thangka<br />
Tibetane della Collezione Tucci. Infine, Paolo De Rocco<br />
della Società Centrica di Firenze ha introdotto le Nuove<br />
tecniche di calibrazione colore di files RAW.<br />
Tali tutorial hanno rappresentato un momento di scambio<br />
di conoscenze ed hanno dato luogo ad un interessante<br />
dibattito, coinvolgendo tutti i partecipanti.<br />
I lavori nelle due giornate successive sono stati articolati<br />
nelle seguenti Sessioni: Percezione e Psicologia; Beni
Culturali: <strong>Restauro</strong> e Conservazione; Architettura e<br />
Urbanistica; Tinte/Pigmenti e Coloranti/ Superfici; Luce<br />
e Colore: misura ed elaborazione; Design e<br />
Comunicazione.<br />
In chiusura della Conferenza, nel corso della riunione<br />
annuale del Gruppo del Colore, Maurizio Rossi<br />
(Politecnico di Milano) è stato eletto Presidente del<br />
Gruppo per il prossimo biennio.<br />
(*) Dipartimento di tecnologie dell’informazione<br />
Università Studi di Milano<br />
NEUTRONI E LASER<br />
Per la ricerca di dipinti nascosti<br />
R. Merlino/D. La Mattina<br />
INCONTRI & DIBATTITI<br />
La giornata di studio organizzata il 21 Ottobre 2009 ha<br />
rappresentato un contributo del CRPR alla diffusione di<br />
tecniche diagnostiche innovative non invasive per la ricerca<br />
di dipinti nascosti. Le nuove tecniche sono state messe<br />
a punto dai centri di ricerca ENEA di Casaccia e di<br />
Frascati in collaborazione con il Center of<br />
Interdisciplinary Science for Art, Architecture and<br />
Archeology dell’Università di San Diego–California, l’<br />
University of Technology di Delft–Olanda e il National<br />
Institute of Information and Communications Technology<br />
–Tokyo.<br />
Antonino Cosentino, Visiting Scholar dell’Università di<br />
San Diego, ha aperto i lavori relazionando sulla tecnica<br />
NNA–Nanosecond Neutron Analysis. I neutroni, attraversando<br />
consistenti spessori di materiali che nascondono il<br />
campione da analizzare, interagiscono con gli elementi<br />
chimici (pigmenti pittorici) presenti nel campione e producono<br />
una radiazione gamma che, rivelata in tempi ristrettissimi<br />
(nanosecondi), permette di identificare gli stessi<br />
elementi chimici. Gli esperimenti condotti hanno qualificato<br />
la tecnica NNA per un suo futuro utilizzo nella localizzazione<br />
del materiale pittorico utilizzato da Leonardo<br />
da Vinci per la realizzazione del dipinto della Battaglia di<br />
Anghiari, oggetto di studio dal 1975 di Maurizio Seracini<br />
dell’Università di San Diego.<br />
La tecnica NBS–Neutron Back-Scattering è stata illustrata<br />
da Roberto Rosa, Primo Ricercatore del <strong>Centro</strong><br />
Ricerche ENEA Casaccia (Roma). La tecnica utilizza neutroni<br />
per la ricerca di dipinti occultati da muri. La collisione<br />
dei neutroni con elementi leggeri come l’idrogeno, presente<br />
nei materiali utilizzati per la preparazione dei dipinti<br />
ad olio, permette il ritorno (back-scattering) di una parte<br />
dei neutroni che possono essere rivelati da dispositivi in<br />
grado di localizzare le aree con maggiore concentrazione<br />
di materiale idrogenato. Partendo dalla ipotesi che la<br />
Battaglia di Anghiari di Leonardo, realizzata tra il 1505 e<br />
il 1506, possa essere stata dipinta sulla parete est del<br />
Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze e<br />
successivamente nascosta da un muro di mattoni eretto dal<br />
Vasari nel 1563 per l’esecuzione della sua opera, è stato<br />
realizzato, presso il <strong>Centro</strong> Ricerche ENEA Casaccia, un<br />
modello che riproduce le condizioni strutturali della suddetta<br />
parete sul quale è stata applicata la tecnica NBS.<br />
Giampiero Gallerano, Primo Ricercatore del <strong>Centro</strong><br />
Ricerche ENEA Frascati (Roma) ha infine relazionato<br />
sulla radiazione Terahertz e le sue applicazioni nella diagnostica<br />
non invasiva per i beni culturali. La tecnica di<br />
Thz-imaging consiste nell’acquisizione di immagini a frequenze<br />
del THz che consente di rivelare dipinti coperti da<br />
materiali come gesso, calce o intonaco. La spettroscopia<br />
THz viene utilizzata invece per analizzare la composizione<br />
dei pigmenti.<br />
49
50<br />
INCONTRI & DIBATTITI<br />
SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALI<br />
Il convegno AIAR a Palermo<br />
Franco Palla<br />
Facoltà di Scienze MM.FF.NN. - Università di Palermo<br />
N ella splendida cornice dell’Orto Botanico di Palermo, il<br />
6 e 7 ottobre 2009 presso l’Aula Domenico Lanza, si è<br />
svolto il Convegno Nazionale Sistemi Biologici e Beni<br />
Culturali, con un comitato scientifico composto da studiosi<br />
ed esperti provenienti da tutta Italia (Atenei di Palermo,<br />
Catania, Messina, Milano-Statale, Parma, Roma-Tor<br />
Vergata, Siena, oltre ad esperti del CNR-Firenze e della<br />
Soprintendenza Beni Archeologici della Liguria). Il<br />
Convegno, organizzato dall’Università degli Studi di<br />
Palermo (Dipartimento di Scienze Botaniche), dall’AIAr<br />
(Associazione Italiana di Archeometria), dal CRPR (<strong>Centro</strong><br />
Regionale per la Progettazione e il <strong>Restauro</strong>, Regione<br />
Siciliana) e con il concreto supporto della BioNat – Italia<br />
(Azienda di Ricerca e Sviluppo, Settore biotecnologie,<br />
Palermo) è stato rivolto a ricercatori, studiosi, restauratori e<br />
a tutti coloro che operano nel settore dei Beni Culturali. In<br />
particolare, ha proposto l’identificazione dei Sistemi Biologi<br />
come Beni Culturali (alberi monumentali, mummie moderne),<br />
come Causa di Degrado del patrimonio culturale (biodeterioramento)<br />
e come Fonte di Macromolecole utili per<br />
interventi di restauro (bio-pulitura); presentando innovazioni<br />
tecnologiche utili per uno studio integrale del bene culturale,<br />
per l’esatta caratterizzazione degli organismi che ne<br />
causano il deterioramento, per la realizzazione di un intervento<br />
di restauro conservativo, con un approccio multidisciplinare.<br />
Dopo la presentazione delle finalità e il saluto ai<br />
partecipanti, rappresentati dall’organizzatore Franco Palla,<br />
da Roberto Boscaino (Preside Facoltà Scienze<br />
MM.FF.NN.), da Mauro Bacci (Presidente AIAr-<br />
Associazione Italiana di Archeometria), da Guido Meli<br />
(Direttore CRPR-<strong>Centro</strong> Regionale<br />
Progettazione e <strong>Restauro</strong>–Regione<br />
Siciliana) e da Francesco Maria<br />
Raimondo (Direttore Dipartimento<br />
Scienze Botaniche-Orto Botanico), i<br />
lavori sono stati aperti dallo stesso<br />
con la comunicazione Invasività e<br />
ripercussioni su paesaggio e beni<br />
architettonici di Aailanthus altissima<br />
(Simaroubaceae).<br />
Nelle tre sessioni sono stati affrontati<br />
specifici casi studio, attuati sia in siti<br />
italiani sia all’estero, inerenti: La conservazione<br />
degli alberi monumentali<br />
in Sicilia, La Paleogenetica e i beni<br />
culturali, Il complesso delle Latomie<br />
a Siracusa, Il deterioramento indotto<br />
da cianobatteri del tempio di Orissa<br />
(India), La diversità microbica in<br />
Catacombe pre e post trattamento<br />
con biocidi, L’indagine fitosanitaria<br />
del soffitto ligneo della sala magna di<br />
Palazzo Steri di Palermo, Il degrado Flos tectorii delle<br />
malte da intonaco in Sicilia, La protezione della carta<br />
mediante trattamento antiossidante, La conservazione preventiva<br />
nel Museo Diocesano di Palermo.<br />
Inoltre, è stata proposta la realizzazione di un Museo d’Arte<br />
Cristiana dei Cappuccini di Palermo.<br />
L’innovazione tecnologica è stata sviluppata nelle comunicazioni<br />
relative a studi di Microbiologia, Biochimica e<br />
Biologia Molecolare, inerenti: Enzimi batterici utili per il<br />
restauro conservativo dei beni culturali lapidei, Enzimi<br />
proteolitici da organismi marini utili per la pulitura di<br />
manufatti, Riparazione di carta invecchiata artificialmente<br />
e fotodegradata, La precipitazione batterica di carbonato<br />
di calcio nella conservazione di substrati lapidei, La tecnologia<br />
del DNA-microarray per l’identificazione di specie<br />
microbiche su superfici e nell’aerosol di ambienti confinati;<br />
oltre all’Applicazione della TC spirale multidetettore<br />
allo studio di reperti scheletrici e corpi mummificati e alla<br />
Datazione EPR di conchiglie fossili.<br />
Il programma scientifico del convegno è stato arricchito<br />
dalla sessione poster, in cui sono stati presentati studi<br />
riguardanti: La dendrocronologia e giardini storici, dei parchi<br />
delle dimore reali di Racconigi e Monza, I beni naturali<br />
diventano beni culturali, 1793; L’identificazione del<br />
legno nelle opere policrome in Sicilia; Analisi biometrica,<br />
morfometrica e strumentale di un campione di crani umani;<br />
La componente vegetale di ville storiche genovesi, tra conservazione<br />
e lotta al biodegrado, Rivelazione e caratterizzazione<br />
di consorzi microbici in reperti lignei sommersi; La<br />
caratterizzazione della biodiversità della grotta dei Santi in<br />
Licodia Eubea (Catania); Le specie<br />
legnose coltivate e spontanee in rapporto<br />
alla conservazione nel cimitero<br />
monumentale di Staglieno (Genova);<br />
La Rettoria di Casa Professa di<br />
Palermo le termiti sugli arredi lignei<br />
della sacrestia; Prime indicazioni<br />
sulle biocenosi associate alle mummie<br />
delle catacombe dei Cappuccini<br />
di Palermo; La microscopia elettronica<br />
(SEM, CLSM) per l’analisi dei<br />
microsistemi biologici che colonizzano<br />
i beni culturali; I servizi innovativi<br />
del gruppo Biores per i beni culturali<br />
per la prevenzione e la cura dei danni<br />
da biodeterioramento di origine<br />
microbiologica: diagnosi, monitoraggi<br />
e sperimentazione sui materiali per<br />
il restauro, Nuovi dati e strategie di<br />
lotta su Gastrallus pubens<br />
(Coleoptera, Anobidae) rinvenuto nel<br />
fondo antico della Biblioteca
Regionale di Catania; Studio del biodeterioramento algale<br />
nel ginnasio romano di Siracusa; Analisi della comunità<br />
microbica intestinale di Reticulitermes lucifugus (Rossi)<br />
(Isoptera: Rhinotermitidae), Misura sperimentale della<br />
capacità antiossidante della lignina mediante voltammetria<br />
ciclica.<br />
Tra i fattori che hanno contribuito alla successo del<br />
Convegno è da annoverare l’Incontro tra Università-Centri<br />
di Ricerca-Imprese che operano, o intendono operare, nel<br />
campo della conservazione/restauro/fruizione dei Beni<br />
Culturali ospitato nel pomeriggio del 6 ottobre da Francesco<br />
Cascio, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana,<br />
presso la sala Gialla di Palazzo dei Normanni di Palermo.<br />
L’incontro, moderato da Ettore Artioli (Vice Presidente di<br />
Confindustria per il Mezzogiorno) ha visto la partecipazione<br />
di Roberto Lagalla (Magnifico Rettore dell’Università degli<br />
Studi di Palermo), di Rosario De Lisi (Presidente Corso di<br />
laurea in Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali -<br />
Università degli Studi di Palermo), di Davide Fais (Direttore<br />
IIRFRE, Istituto Italo Russo per la Formazione e le Ricerche<br />
Ecologiche) e dei già citati Mauro Bacci e Guido Meli, oltre<br />
a rappresentanti della BioNat-Italia di Palermo, della Algae<br />
di Roma e di altre realtà imprenditoriali. Questo incontro è<br />
stato anche l’occasione per la presentazione della Sezione<br />
siciliana della Società Italiana per il Progresso delle Scienze,<br />
che dal 5 ottobre ha sede a Palermo presso il Cerisdi. La<br />
SIPS, rappresentata in questa occasione da Salvatore<br />
Lorusso, fu fondata a Roma nel 1873 su proposta di<br />
Stanislao Cannizzaro e, come annunciato dal Presidente<br />
della sede palermitana Adelfio Elio Cardinale, proprio a questo<br />
grande scienziato sarà intitolata la Sezione Siciliana. La<br />
prima giornata del Convegno Sistemi Biologici e Beni<br />
Culturali si è splendidamente conclusa con la visita alla<br />
Cappella Palatina, a cura di Vlado Zoric v<br />
.<br />
L’Organizzazione del Convegno, facendo propria l’attenzione<br />
dell’AIAr per la crescita scientifica dei giovani, di concerto<br />
con il Comitato scientifico e grazie al sostegno della<br />
BioNat-Italia, ha avuto l’opportunità di premiare quattro<br />
comunicazioni presentate da ricercatori/operatori di età infe-<br />
INCONTRI & DIBATTITI<br />
riore a 35 anni. In particolare sono stati premiati: Valeria<br />
Gargano (La tecnologia del DNA-microarray per l’identificazione<br />
di specie microbiche su superfici e nell’aerosol di<br />
ambienti confinati), Rachele Lucido (La conservazione preventiva:<br />
il caso studio del Museo Diocesano di Palermo);<br />
Anna Pezzino (Studio del biodeterioramento algale nel ginnasio<br />
romano di Siracusa); Agnese Zuccarello (Datazione<br />
EPR di conchiglie fossili).<br />
Infine, a conclusione del convegno è stata presentata la proposta<br />
di formazione dell’area tematica Biologia e<br />
Biotecnologie all’interno dell’Associazione Italiana di<br />
Archeometria, accolta e sostenuta dai partecipanti al<br />
Convegno.<br />
51
52<br />
RECENSIONI<br />
DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORI<br />
UN FONDO BIBLIOGRAFICO SEICENTESCO<br />
Carlo Pastena<br />
Servizio Beni Bibliografici ed Archivistici<br />
Soprintendenza BB.CC.AA. Palermo<br />
Rita Di Natale, apprezzata<br />
autrice di numerose opere<br />
bibliografiche, dopo la pubblicazione<br />
di un primo<br />
volume relativo alle cinquecentine<br />
possedute dalla<br />
Biblioteca dell’Archivio di<br />
Stato di Palermo edito nel<br />
2003, continua, insieme a<br />
Gabriella Cannata, questa<br />
operazione di “recupero” e<br />
“fruizione” del fondo antico.<br />
Questo secondo tomo,<br />
dedicato alle edizione del<br />
XVII secolo, è integrato con<br />
una piccola appendice relativa<br />
alle cinquecentine<br />
recentemente ritrovate e<br />
promette a breve la pubblicazione<br />
di un terzo volume,<br />
relativo alle edizioni del<br />
XVIII secolo.<br />
L’opera raccoglie le descrizioni<br />
bibliografiche di 33<br />
cinquecentine e di 117<br />
opere edite nel XVII secolo<br />
in Europa; ogni esemplare è<br />
descritto con estrema cura<br />
ed attenzione. E’ inserito,<br />
dopo la descrizione dell’edizione<br />
(autore, titolo, note<br />
tipografiche, paginazione,<br />
ecc.), un ricco apparato di<br />
note sull’esemplare (presenza<br />
di note manoscritte,<br />
tipo di legatura, descrizione<br />
dei capitelli, presenza di ex<br />
libris, stato di conservazione<br />
dell’esemplare, provenienza,<br />
ecc.) seguito dall’elenco<br />
dei repertori bibliografici<br />
che citano altri<br />
esemplari dell’edizione. In<br />
appendice l’opera è arricchita<br />
da 10 indici, che<br />
impreziosiscono lo studio:<br />
indice degli autori o titoli,<br />
coautori e curatori, indice<br />
dei dedicanti e dedicatari,<br />
indice dei tipografi e degli<br />
editori, distinguendo tra<br />
edizioni del XVI ed edizioni<br />
del XVII secolo.<br />
Seguono infine l’indice<br />
topografico degli editori e<br />
l’indice cronologico delle<br />
edizioni, divisi anch’essi<br />
per secoli.<br />
Nel prendere in mano questo<br />
elegante libro una<br />
domanda sorge spontanea:<br />
“perché pubblicare a stampa<br />
un catalogo bibliografico,<br />
quando oggi esistono le<br />
banche dati informatizzate?”.<br />
In realtà, oltre l’indubbio<br />
piacere di potere sfogliare<br />
le pagine di un libro,<br />
la scelta di stampare il catalogo<br />
di un singolo fondo<br />
bibliografico risponde a<br />
precise esigenze scientifiche.<br />
Quando si affronta una<br />
ricerca in una specifica raccolta<br />
bibliografica, la consultazione<br />
di un catalogo<br />
cartaceo fornisce informazioni<br />
diverse da quelle che<br />
si hanno nel catalogo informatizzato,<br />
dove è necessario<br />
applicare numerosi filtri<br />
di ricerca, per identificare<br />
esclusivamente le opere<br />
provenienti da un unico<br />
fondo. Inoltre la consultazione<br />
di un volume a stampa<br />
è, a volte, più agevole di<br />
quella che si ha interrogando<br />
una banca dati informatizzata,<br />
specie quando si<br />
deve passare da una scheda<br />
all’altra, confrontando due<br />
o più descrizioni; a testimonianza<br />
di ciò, basti citare la<br />
presenza di un considerevole<br />
numero di cataloghi a<br />
stampa, che continuano ad<br />
essere pubblicati nel<br />
mondo. Nel caso specifico,<br />
questo catalogo ha anche<br />
altri due pregi: il primo è il<br />
ricco apparato d’indici, ed il<br />
secondo è la scelta dello<br />
standard descrittivo.<br />
Quest’ultimo, invece di<br />
adottare uno short title, che<br />
“accorcia” i titoli, descrive<br />
le opere secondo gli<br />
ISBD(A) per SBN, che prevedono<br />
una riproduzione<br />
fedele del frontespizio,<br />
senza però dare una descrizione<br />
di tipo “quasi facsimilare”.<br />
Così, se da un lato i<br />
ricchi indici non fanno sentire<br />
la mancanza di un catalogo<br />
informatizzato, dall’altro<br />
utilizzando questo standard<br />
catalografico si rende<br />
possibile il rapido inserimento<br />
di queste descrizioni<br />
bibliografiche in SBN. E<br />
tutto senza bisogno di<br />
riprendere i volumi in<br />
mano, realizzando un perfetto<br />
connubio tra la descrizione<br />
bibliografica del catalogo<br />
cartaceo e quella informatizzata.<br />
Proseguendo nella lettura di<br />
quest’opera, nella sua premessa<br />
Armida Batori ricorda<br />
come “I libri antichi,<br />
posseduti dagli Archivi di<br />
Stato, non provengono di<br />
solito da un fondo omogeneo<br />
[...] sono piuttosto legati<br />
a depositi di fondi archivistici<br />
diversi, ai quali si<br />
accompagnano spezzoni di<br />
biblioteche private o ecclesiastiche,<br />
più o meno<br />
casualmente uniti alle<br />
carte...”. Rita Di Natale ci<br />
introduce così in un universo<br />
diverso da quello che<br />
solitamente conosciamo,<br />
costituito da Biblioteche i<br />
cui libri sono stati raccolti<br />
in maniera più o meno organica<br />
nel corso del tempo, da<br />
una o più persone. I libri<br />
posseduti dagli Archivi di<br />
Stato, rappresentano un<br />
“elemento estraneo” alle<br />
collezioni di vecchie carte,<br />
circostanza questa, che<br />
porta al ritrovamento di<br />
opere ritenute scomparse, o<br />
vietate dall’Inquisizione.<br />
Queste ultime, conservate<br />
insieme ad atti amministrativi<br />
per varie circostanze,<br />
sfuggendo alle furie iconoclaste<br />
della censura che<br />
caratterizzano la storia dell’uomo,<br />
sono pervenute<br />
oggi a noi. Il fondo descritto<br />
in questo catalogo, non si<br />
sottrae a questa regola,<br />
come si può facilmente<br />
vedere anche da una lettura<br />
superficiale di questo libro.<br />
Tra le numerose edizioni<br />
ricche d’interesse, si possono<br />
citare, per le opere del<br />
XVII secolo, quella della<br />
Vindicata veritas panormitana,<br />
opera ritenuta rara dal<br />
bibliografo palermitano<br />
G.M. Mira, stampata a<br />
Venezia nel 1629. Inserita<br />
nell’Indice di libri proibiti,<br />
si conosceva solo un esemplare<br />
presso la Biblioteca
nazionale di Roma. E anche<br />
la Istoria della vita e morte<br />
di Santa Maria Maddalena,<br />
pubblicato a Napoli dal<br />
tipografo Andrea Colicchia<br />
nel 1679, di cui non si conoscono<br />
oggi altri esemplari.<br />
Sempre tra i libri editi nel<br />
XVII secolo, presenti in<br />
questo fondo bibliografico,<br />
si deve citare la Parte quinta<br />
del romanzo Della<br />
Cassandra originariamente<br />
in dieci volumi, scritta dal<br />
drammaturgo Gauthier de<br />
Costes de la Calprenède.<br />
Stampata a Venezia nel<br />
1679 da Biagio Maldura,<br />
non figura nei repertori<br />
bibliografici consultati. Tra<br />
le opere devozionali, va<br />
citato invece il volume<br />
Iconologia della gloriosa<br />
Vergine Madre di Dio<br />
Maria protettrice di<br />
Messina, del gesuita Placido<br />
Samperi, stampata a Messina<br />
nel 1644, che conserva<br />
quasi tutte le 70 carte di<br />
tavole incise, molto spesso<br />
mancanti negli esemplari<br />
che ci sono pervenuti.<br />
L’elenco delle rarità è lungo,<br />
e potrebbe continuare ancora,<br />
ma spostando l’attenzione<br />
sulle edizioni del XVI secolo,<br />
non inserite nel precedente<br />
volume, si deve citare la cinquecentina<br />
tedesca di S.<br />
Agostino, De Ebrietate vitanda.<br />
Stampata a Dillingen nel<br />
1560 dal tipografo Sebald<br />
RECENSIONI<br />
Mayer, questo esemplare<br />
non è presente nei repertori<br />
relativi alle edizioni pubblicate<br />
in Germania nel XVI<br />
secolo. Rita Di Natale, non<br />
si è però fermata ad un<br />
superficiale controllo, ed ha<br />
voluto indagare ancora più a<br />
fondo, confrontando questo<br />
volume con l’edizione del<br />
1559 conservato alla<br />
Biblioteca Vallicelliana. Ha<br />
così riscontrato nei due<br />
volumi una identica paginazione,<br />
segnatura dei fascicoli<br />
e impronta, ma notevoli<br />
differenze nei contenuti<br />
delle due edizioni prese in<br />
esame. La descrizione di<br />
questo esemplare è arricchita<br />
da una appendice di<br />
Gabriella Cannata sul tipografo<br />
tedesco Sebald<br />
Mayer, ricca di notizie sulla<br />
sua attività tipografica e<br />
dalla traduzione dal tedesco<br />
della stessa Cannata, di un<br />
lungo articolo tratto dalla<br />
Bibliographie der deutschen<br />
Drucke des XVI Jahrunderts,<br />
di Otto Bucher.<br />
Concludendo, questo volume<br />
risulta ricco di notizie e particolarmente<br />
completo nella<br />
descrizione degli esemplari,<br />
così oltre che per il recupero<br />
e la fruizione del fondo<br />
bibliografico dell’Archivio di<br />
Stato, può proficuamente<br />
essere impiegato come opera<br />
di riferimento e di esercizio<br />
per chi deve catalogare<br />
secondo lo standard descrittivo<br />
di ISBD(A) per SBN o più<br />
semplicemente catalogare un<br />
fondo antico.<br />
a cura di Rita Di Natale<br />
e Gabriella Cannata<br />
Le Seicentine della Biblioteca<br />
dell’Archivio di Stato di Palermo<br />
con un’aggiunta di Cinquecentine<br />
Palermo, 2009, pp.235<br />
53
54<br />
RECENSIONI<br />
I GIARDINI PERDUTI<br />
COMUNICARE CON GLI ALBERI PER NON APPASSIRE LA MENTE<br />
Antonio Casano<br />
Il libro di Barbera attraversa<br />
in lungo e in largo i campi<br />
del sapere, spaziando fra le<br />
scienze naturalistiche ed<br />
ambientali e gli ambiti del<br />
pensiero umanistico, nel<br />
reticolo dei vari campi e<br />
forme della sua partitura.<br />
L’abbraccio degli alberi si<br />
invoca allo scopo di definire<br />
la sostenibilità ecologica<br />
non solo dal punto di vista<br />
dell’arboricoltura e della selvicoltura<br />
(o della bellezza<br />
dei paesaggi), ma anche perché<br />
senza loro non sarebbero<br />
probabili le strategie sia pure<br />
abbozzate a livello planetario<br />
per intervenire sui grandi<br />
temi critici della modernità<br />
causati dalla società del<br />
rischio, categoria che<br />
mutuiamo dalla sociologia<br />
dell’ambiente: dall’effetto<br />
serra e quello della desertificazione<br />
-connessi all’anomalia<br />
temporale dei cambiamenti<br />
climatici- alla<br />
questione “alimentare” e<br />
“della sete”, vera emergenza<br />
e minaccia incombente<br />
sulla popolazione mondiale.<br />
“Piantarli e difenderli non è,<br />
quindi, solo affare degli arboricoltori,<br />
ma di chiunque<br />
abbia a cuore le sorti del pianeta<br />
e delle generazioni future.<br />
Tutte le risorse vanno<br />
messe in campo, non solo<br />
quelle della scienza e della<br />
tecnica, ma anche quelle della<br />
creatività. Valorizzare le<br />
diversità culturali e biologiche,<br />
approfittando di tutte le<br />
diverse funzioni che svolgono<br />
gli alberi, è la sola strada”.<br />
Nell’appassionante e documentato<br />
solco tracciato dal<br />
saggio, l’Autore riscopre<br />
quella fecondità dialettica<br />
che originariamente ammantava<br />
di sacralità il legame<br />
degli uomini con gli alberi,<br />
ovvero di quella dimensione<br />
religiosa e mitica elaborata<br />
nelle società premoderne,<br />
in cui la vitalità vegetale<br />
era parte costitutiva del<br />
piano di immanenza esistenziale<br />
comunitaria: è con<br />
la separazione spirituale del<br />
soggetto dal mondo e con<br />
l’affermazione della trascendentalità<br />
dell’Essere collocata<br />
fuori dallo spazio terreno<br />
che viene inoculata la<br />
cesura antropocentrica che<br />
degrada tutti gli essenti a<br />
mera effettualità oggettuale.<br />
Non è un caso il ricorso di<br />
Barbera all’autorevolezza di<br />
un grande pensatore –Lévi-<br />
Strauss, padre dell’antropologia<br />
culturale recentemente<br />
scomparso- per mettere<br />
in risalto la cesura tra uomo<br />
e natura: “L’umanità…da<br />
aperta che era un tempo…si<br />
è sempre più rinchiusa in se<br />
stessa. Tale antropocentrismo<br />
non riesce a vedere, al<br />
di fuori dell’uomo, altro che<br />
oggetti. La natura nel suo<br />
complesso ne risulta sminuita.<br />
Un tempo, in lei tutto era<br />
un segno, la natura stessa<br />
aveva un significato che<br />
ognuno…percepiva.<br />
Avendolo perso, l’uomo<br />
oggi la distrugge, e con ciò<br />
si condanna”.<br />
Sostanzialmente il Nostro<br />
assume il rapporto tra l’uomo<br />
e gli alberi come paradigma<br />
progettuale -al tempo<br />
stesso scientifico e sociale-,<br />
dentro cui l’umanità dovrà<br />
saper coniugare la cointeressenza<br />
del regno animale e<br />
mondo vegetale, consapevo-<br />
le del limite esistenziale<br />
transeunte e perciò stesso<br />
onerata non solo a conservare<br />
le condizioni della riproduzione<br />
per le nuove generazioni,<br />
ma a trovare ora, e<br />
non rinviando sine die, la<br />
chiave di riequilibrio che<br />
restituisca al regno vegetale<br />
la sacralità perduta:“abbiamo<br />
già tagliato almeno la<br />
metà delle foreste del pianeta,<br />
nonostante i loro alberi<br />
abbiano reso il suolo fertile e<br />
l’aria respirabile, mitigato<br />
gli eccessi del clima, fornito<br />
legna, frutti, ombra, bellezza<br />
per mille usi indispensabili e<br />
piacevoli”.<br />
Concludendo Barbera ci racconta<br />
degli alberi, del posto<br />
che di diritto “si sono conquistati<br />
nell’immaginario e nelle<br />
arti”. Certo essi hanno subito<br />
nei secoli un progressivo<br />
attacco dall’era dell’homo<br />
sapiens sino agli assalti frontali<br />
dell’homo tecnologicus<br />
del nostro tempo. Epperò,<br />
paradossalmente, è proprio<br />
quest’ultimo a cui ci si dovrà<br />
appellare per non sprofondare<br />
nell’aridità del deserto<br />
mondano, facendo ricorso sia<br />
alla ricerca scientifica sia al<br />
cambiamento degli stili di<br />
vita.<br />
GIUSEPPE BARBERA<br />
Abbracciare gli alberi. Mille<br />
buone ragioni per piantarli e<br />
difenderli<br />
Mondadori, Milano, 2009,<br />
pp.208
assegna libri<br />
curata da A. Casano<br />
LA COLLEZIONE COLLISANI E<br />
LA GROTTA DEL VECCHIUZZO<br />
Museo Civico “Antonio Collisani” di Petralia<br />
Sottana, 2008, pp. 119<br />
«Nella comunicazione su "La Sicilia e l'unità<br />
d'Italia" tenuta in occasione del "Congresso<br />
Internazionale di Studi Storici sul Risorgimento<br />
Italiano", mettevo in rilievo quello che a mio<br />
parere era l'episodio più significativo avvenuto<br />
nel periodo compreso tra gli anni Trenta-<br />
Quaranta del secolo scorso, e cioè la scoperta,<br />
nel maggio 1936, della Grotta c.d. dei<br />
"Vecchiuzzo" sita nelle Madonie, nel Comune di<br />
Petralia Sottana.<br />
La scoperta, ad opera di Antonio Collisani, un<br />
giovane poco più che ventenne, appassionato di<br />
arte e di storia, dava l'avvio ad un ricerca<br />
archeologica programmatica ed ufficiale che<br />
restituiva un ricchissimo giacimento preistorico<br />
particolarmente notevole, testimonianza di una<br />
presenza umana nel lungo periodo compreso tra<br />
il Neolitico e l'età del Bronzo.<br />
II giovane scopritore, nato a Petralia Sottana,<br />
era un esperto conoscitore della catena montuosa<br />
delle "sue" Madonie sia dal punto di vista geografico<br />
che speleologico ed anche dei suoi abitanti<br />
e frequentatori: contadini e pastori o proprietari<br />
di appezzamenti agricoli soliti a trascorrervi<br />
i mesi estivi nelle loro residenze di campagna.<br />
La passione del giovane Collisani era totale,<br />
volta alla bellezza di una natura selvaggia e<br />
maestosa ed al tempo stesso alla cultura ed alla<br />
creatività degli abitanti di questi luoghi; in questo<br />
ambiente egli cercava di raccogliere quante<br />
più testimonianze possibili in quanto per lui ogni<br />
oggetto costituiva il coronamento dell’intelligenza<br />
e della manualità dell'uomo.<br />
Sia pur da dilettante, ma dotato di una notevole<br />
predisposizione allo studio e alla ricerca in<br />
senso globale, aveva un profondo senso del<br />
valore scientifico della disciplina archeologica,<br />
tanto da affidarsi, spesso, a chi riconosceva più<br />
esperto di lui in quanto conoscitore di metodologie<br />
volte a distinguere il vero dal falso. Fu così<br />
che lo conobbi.<br />
Nel tempo, infatti, il suo interesse per gli oggetti<br />
e le opere d'arte del mondo classico era cresciuto<br />
notevolmente tanto da spingerlo a raccogliere<br />
e ad acquistare tutto quanto gli fosse possibile<br />
al fine di salvarlo dalla dispersione;<br />
temendo però di prendere qualche abbaglio collezionando<br />
dei falsi di nessun valore, era solito<br />
richiamare la mia attenzione su oggetti di vario<br />
tipo, fossero essi vasi o statuette, in genere prodotti<br />
della tecnica e della fantasia umana e come<br />
tali depositari di storia e cultura.<br />
Per lui ogni oggetto nasceva dall'idea di un artigiano<br />
o dalla visione di un artista di cui riusciva a<br />
cogliere le personalità e la differenza dell'uno o dell'altro.<br />
Ricordo con nostalgia le lunghe visite alla<br />
sua "Persiana", spesso in compagnia di mia moglie,<br />
e le lunghe conversazioni davanti ai quadri ed agli<br />
altri oggetti d'arte contemporanea esposti secondo<br />
un programma artistico personale ben definito e che<br />
da appassionato amatore offriva e sottoponeva con<br />
spirito critico alla osservazione di amici ed amatori<br />
dell'arte sollecitandone il loro giudizio.<br />
Il suo collezionismo appassionato, intelligente<br />
ed erudito tendeva a salvaguardare quanto riteneva<br />
prezioso per il suo valore estetico e formale<br />
pensando alla collettività che un giorno<br />
avrebbe potuto esserne partecipe» (p.13)<br />
(vincenzo tusa)<br />
Shara Pirrotti<br />
IL MONASTERO DI SAN FILIPPO DI<br />
FRAGALÀ<br />
(Secoli XI-XV). Organizzazione dello spazio,<br />
attività produttive, rapporti con il potere, cultura<br />
Officina di Studi Medievali, Palermo-2008,<br />
pp.418<br />
«Il monastero sorgeva in quel Val Demone, abitato<br />
da una popolazione prevalentemente greca<br />
e ortodossa come quella della quasi prospiciente<br />
Calabria. Proprio con quest'ultima, d'altra<br />
parte, il medesimo Val Demone era in rapporti<br />
intensi e continui fin dall'epoca bizantina, fin dal<br />
X-XI secolo, come si evince dai più recenti studi<br />
dedicati alla gelsicoltura e alla produzione e<br />
commercio della seta. Si tratta di quel Val<br />
Demone che, a detta di Goffredo Malaterra, storico<br />
delle epiche gesta dei due più ardimentosi e<br />
fortunati conquistatori normanni, il duca e il<br />
granconte, cioè i fratelli Roberto il Guiscardo e<br />
Ruggero d'Altavilla, aveva un'alta densità di<br />
abitanti cristiani anche sotto l'arabocrazia. E<br />
significativamente il monastero è posto sotto il<br />
vocabolo di San Filippo, il santo nativo della<br />
provincia di Tracia al quale era dedicato un<br />
monastero nei pressi di Enna, ad Agira. Si tratta<br />
di un santo che ben si presta ad essere considerato<br />
il protettore del monachesimo greco di<br />
Sicilia sotto la dominazione islamica. Tra IX e X<br />
secolo, infatti, il monastero di Agira aveva<br />
accolto e formato personaggi destinati a irradiare<br />
la spiritualità e l'ascesi monacali di matrice<br />
orientale e greca in direzione di Calabria,<br />
Basilicata e Campania fino a Roma (...).<br />
Il libro di Shara Pirrotti ha il pregio di utilizzare<br />
intelligentemente una cospicua messe di fonti,<br />
non poche ancora giacenti inedite negli archivi,<br />
e di valersi criticamente dell’amplissima bibliografia<br />
degli studi al riguardo. All’Autrice va<br />
riconosciuto il merito di far luce, in modo nuovo<br />
ed esauriente, su questo monastero in tutte le<br />
fasi della sua lunga storia e di offrire perciò<br />
all’attenzione degli studiosi o dei semplici lettori<br />
un’opera destinata a durare come strumento<br />
indispensabile alla ricerca e alla rivisitazione<br />
delle memorie del passato» (pp. XIX-XX)<br />
(filippo burgarella)<br />
Anita Crispino/Agostina Musumeci<br />
MUSEI NASCOSTI<br />
Collezioni e raccolte archeologiche a Siracusa<br />
dal XVIII al XX secolo, Electa, Napoli-2008,<br />
pp. 184<br />
«Nel corso del XVIII secolo lo studio delle antichità<br />
… si manifesta secondo principi e modalità<br />
paragonabili a quelli delle scienze naturali:<br />
l'obiettivo primo è la rappresentazione visiva<br />
degli oggetti di studio. Di qui il ruolo e l'importanza<br />
crescente nel lavoro degli eruditi, sia<br />
naturalisti che antiquari, dell'illustrazione, del<br />
catalogo e dell'uso delle copie. Grazie al collezionismo<br />
… e al metodo comparativo, si costituisce<br />
un immenso corpus di oggetti, una sorta di<br />
pre-museo immaginario che ingloba e censisce<br />
iconograficamente le iscrizioni, le monete, i<br />
sigilli, tutti gli accessori della vita quotidiana<br />
pubblica e privata e i grandi edifici religiosi o<br />
civili.<br />
Il trasformarsi e mutarsi nel tempo degli interessi<br />
collezionistici e del loro concretizzarsi museografico<br />
non sono dovuti solamente a fattori di<br />
gusto e di suggestione emotiva, ma sono la tangibile<br />
dimostrazione del modo di porsi, di studiare<br />
e di rintracciare l'antico, che corrisponde<br />
anche allo sviluppo della ricerca archeologica,<br />
intesa come disciplina autonoma, strumento di<br />
indagine storica.<br />
Nel XVIII secolo dunque, il progetto di democratizzazione<br />
del sapere investe anche<br />
l'Antichità e trasforma l'antiquariato nella<br />
nuova scienza dell'archeologia. L'origine<br />
individuale e privata del primo collezionismo<br />
si trasforma nel corso del Settecento, per la<br />
mediazione di Università e Accademie, in<br />
ruolo didattico attivo, legato all'insegnamento:<br />
il museo d'arte esce dall'universo privato<br />
per assumere un ruolo pubblico, ma ciò sarà<br />
effettivamente possibile solo dopo il travolgente<br />
passaggio della Rivoluzione Francese.<br />
Con il 1789, infatti, prende tumultuosamente<br />
avvio il più grande processo di appropriazione<br />
di beni, allora per la prima volta definiti<br />
ufficialmente «beni nazionali». Per assicurare<br />
la salvaguardia di tante ricchezze, la<br />
Rivoluzione saprà approfittare del museo,<br />
55
iscattandone l'origine aristocratica ed individuale,<br />
trasformandolo in uno spazio neutro<br />
capace di far dimenticare il significato originario<br />
degli oggetti (religioso, monarchico e<br />
feudale), con l'attribuzione del valore unico<br />
di Patrimonio. La stessa parola Patrimonio,<br />
adottata per la prima volta in senso pubblico,<br />
testimonia che il valore primario del tesoro<br />
toccato in sorte al popolo è in prima istanza,<br />
oltre che nazionale e quindi collettivo, anche<br />
economico, come una vera e propria eredità.<br />
L'istituzione del Museo, inteso come spazio di<br />
collettiva fruizione, non mette fine al fenomeno<br />
del collezionismo, che è continuato fino<br />
agli inizi del secolo scorso, con l'adornare i<br />
saloni delle case patrizie e della ricca borghesia,<br />
con l'esposizione di manufatti anche<br />
di rilevante valore storico-artistico, ma avulsi<br />
dal contesto d'origine, visti come oggetti di<br />
puro ornamento. Tutto ciò è stato possibile<br />
fino a quando non è intervenuta la legislazione<br />
a mettere ordine in merito. L'Italia affida,<br />
infatti, la protezione dei suoi beni ad una<br />
legge speciale, la 1089 del 1939, che stabilisce<br />
che tutte le cose, immobili e mobili, rinvenute<br />
nel suo territorio che presentano interesse<br />
artistico, storico, archeologico o etnografico,<br />
appartengono allo Stato» (p.14)<br />
(mariella muti)<br />
Aurelio Angelini (a cura di)<br />
IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA<br />
Beni comuni e cambiamenti climatici<br />
Edizioni Fotograf, Palermo-2008, pp.685<br />
«Il Rapporto Apat/OMS 2006 ha monitorato l'inquinamento<br />
in 13 città italiane. I risultati indicano<br />
che l'impatto sanitario è considerevole e si<br />
stima una media di 8.220 morti l'anno.<br />
I cambiamenti climatici rappresentano la punta<br />
dell’iceberg, hanno effetti quali malattie degenerative<br />
causate dall’inquinamento e pongono<br />
ulteriori limiti fisici alle risorse necessarie:<br />
acqua, riso, mais etc., in un contesto in cui la<br />
popolazione mondiale è in continua crescita e il<br />
progressivo impoverimento della biodiversità<br />
determina una sequenza a catena. (…) Il suolo<br />
svolge funzioni essenziali per garantire l'equilibrio<br />
degli ecosistemi. In particolare, esercita:<br />
una funzione produttiva; una funzione protettiva;<br />
una funzione regolatrice; una funzione naturalistica<br />
… conserva le testimonianze storiche e<br />
culturali dell'uomo negli immensi patrimoni<br />
monumentali e artistici dell'umanità .<br />
Il paesaggio, che rappresenta la ricchezza dei<br />
territori, oggi è sempre più compromesso dalla<br />
deturpazione e dall'invadenza degli ambienti<br />
antropizzati anche in considerazione che le città<br />
56<br />
rappresentano il luogo in cui è concentrato il<br />
maggiore consumo e la maggiore trasformazione<br />
delle risorse del pianeta.<br />
Questi problemi, - fra le tante questioni ambientali<br />
- ci pongono drammaticamente di fronte ad<br />
una realtà che richiede scelte difficili, che si<br />
riassumono nel cambiamento di stili di vita, nel<br />
ripensare l'uso dello risorse e dello spazio,<br />
riconsiderare il nostro impianto produttivo e<br />
procedere ad una sua trasformazione per arrestare<br />
la prospettiva minacciosa che abbiamo di<br />
fronte» (pp.10-11)<br />
(aurelio angelini)<br />
Rosalba Panvini/ Lavinia Sole<br />
LA SICILIA IN ETÀ ARCAICA<br />
Dalle apoikiai al 480 a. C. Contributi dalle<br />
recenti indagini archeologiche, CRICD,<br />
Palermo-2009. voll.2<br />
«“La Sicilia in età arcaica. Dalle apoikiai al<br />
480 a. C.” è il titolo della Mostra inaugurata a<br />
Catania (ottobre 2006-gennaio 2007) nei locali<br />
del Monastero dei Benedettini dell'Università di<br />
Catania, dopo il successo riportato nella precedente<br />
esposizione svoltasi negli spazi del nuovo<br />
Museo Archeologico di Caltanissetta (giugnoagosto<br />
2006). (…) Si è trattato di un evento<br />
dagli altissimi contenuti scientifici, per la prima<br />
volta organizzato a livello internazionale, che<br />
ha permesso di vedere esposti circa 600 oggetti<br />
tra elementi architettonici, sculture in marmo,<br />
ceroplastica, ceramiche, manufatti in metallo,<br />
monete (le prime emissioni delle colonie siceliote),<br />
iscrizioni, scelti tra gli oltre 1000 manufatti<br />
che sono stati analiticamente inseriti in questo<br />
catalogo stampato a cura del <strong>Centro</strong> Regionale<br />
Inventario, Catalogazione e Documentazione.<br />
(…) Il percorso espositivo è stato articolato in<br />
quattro sezioni dedicate rispettivamente all'VIII,<br />
al VII, al VI secolo e al tardoarcaismo, cioè a<br />
quella delicata fase di transizione dal periodo<br />
arcaico allo stile severo. Tale strutturazione<br />
espositiva ha permesso di cogliere la nascita, la<br />
maturazione e l'evoluzione dell'arte e dell'artigianato<br />
del periodo arcaico in Sicilia, unitamente<br />
alle innovazioni che caratterizzarono le manifestazioni<br />
artistiche siceliote rispetto a quelle<br />
della madrepatria.<br />
I contatti fra i primi coloni greci e gli Indigeni di<br />
Sicilia sono stati documentati dai manufatti<br />
esposti nell'ampia sala dedicata all’VIII secolo,<br />
comprendenti, oltre ad alcuni vasi della necropoli<br />
della valle del Marcellino, nel retroterra di<br />
Siracusa, anche le più antiche importazioni di<br />
ceramiche greche ritrovate in Sicilia, associate<br />
a ceramiche di produzioni indigena, nonché a<br />
manufatti ceramici e metallici prodotti da<br />
Sicani, Siculi ed Elimi, cioè le tre etnie indigene,<br />
con le quali i Greci si confrontarono nel<br />
momento del loro arrivo nell'Isola» (pp.52/53)<br />
(r. panvini / l. sole)<br />
Patrizia Li Vigni Tusa (a cura di)<br />
LE VIE DEL MARE. Catalogo della mostra itinerante<br />
nel mediterraneo, Ass.to Reg.le<br />
BB.CC.AA.e P.I.-Museo Storia Naturale e Mostra<br />
Permanente del Carretto Siciliano, Palermo-2008,<br />
pp.321<br />
«La Rete dei Musei del Mare è nata, dall'esigenza<br />
di approfondire la conoscenza del patrimonio<br />
inerente la cultura del mare sotto l'aspetto geologico,<br />
archeologico, naturalistico -evidenziandone<br />
la biodiversità- e antropologico, per documentare<br />
in particolare la cultura del mare e<br />
dare rilievo al patrimonio subacqueo -che soltanto<br />
attraverso un attività di tutela in Rete- può<br />
essere salvaguardato e studiato fornendo innumerevoli<br />
spunti di ricerca.<br />
Ogni Museo ha, quindi, arricchito i propri percorsi<br />
scegliendo i reperti dalle proprie collezioni,<br />
mantenendo inalterati sia il percorso museologico<br />
che gli aspetti scientifici legati ad esso.<br />
L'itinerario intrapreso ha rappresentato e rappresenta<br />
le fondamenta della cooperazione<br />
europea instaurata che è stata ed è in grado di<br />
avvicinare i musei alla cooperazione stabilendo<br />
l'ottimizzazione, secondo i nuovi concetti di<br />
museografia, dei percorsi espositivi e delle attività<br />
collaterali.<br />
La Mostra ha rappresentato questa RETE che<br />
metaforicamente racchiude nelle sue maglie i<br />
tesori più affascinanti, i racconti del mare, la<br />
simbologia delle decorazioni delle barche, la tradizione<br />
di un popolo che ha vissuto e vive<br />
bagnando la sua storia nel Mar Mediterraneo.<br />
Una rete che, attraverso i percorsi museali,<br />
lascia intravedere: reperti archeologici che testimoniano<br />
il commercio nelle varie epoche; reperti<br />
storico artistici che dimostrano come l'uomo,<br />
raccogliendo dal mare i suoi tesori, ha creato<br />
artefatti ed oggetti di inestimabile valore, in particolare<br />
dipinti e immagini apotropaiche, meravigliose<br />
opere d'arte in corallo, atte a scongiurare<br />
i pericoli del mare; documentazione delle<br />
prime forme di pianificazione per intraprendere<br />
il "viaggio" attraverso l'uso di carte nautiche<br />
riportanti rudimentali informazioni, descrizioni<br />
di carattere geopaleontologico e cartografie<br />
sulle profondità marine, sulle correnti, sulle<br />
coste; una raccolta diacronica di portolani che<br />
scorrono offrendo al visitatore un'informazione<br />
esaustiva di rotte, porti ed approdi» (p.29)<br />
(patrizia li vigni tusa)