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R - Centro Restauro

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2 TEMARIO<br />

internazionale<br />

3 “ABUNA” MICHELE IN PALESTINA<br />

il profilo culturale di padre piccirillo<br />

SOM MARIO<br />

5 AREE ARCHEOLOGICHE E TEATRI ANTICHI<br />

Progetto Artea: un partenariato internazionale<br />

progetti<br />

6 SITI MADONITI<br />

per la mappatura del degrado entomologico<br />

dei manufatti di natura organica<br />

10 L’ABATELLIS TRA CONTINUITÀ<br />

E INTEGRAZIONE<br />

allestimento della galleria regionale<br />

dell’ala settecentesca<br />

laboriando<br />

12 IL MUSEO DEL CORALLO<br />

collezioni dell’ “Agostino Pepoli“<br />

13 LO SCRIGNO DEI RICORDI “SOFFICI”<br />

Fibre, tessuti, taglio e taglie sartoriali<br />

17 VIRGO LACTANS<br />

la madonna della Lavina di cerami<br />

dossier<br />

22 SPECIE LAPIDEE<br />

i marmi della villa del casale<br />

25 CAMPAGNE DI SCAVI<br />

Tra ricerche, archeologia e restauro<br />

29 LA SOLFATAZIONE DIFFUSA<br />

uniformità di un degrado chimico<br />

31 ALGHE E CIANOBATTERI<br />

prevenzione e controllo dei microrganismi<br />

fotosintetici<br />

32 TESSERE, MUSCHI E LICHENI<br />

colonizzazione lichenica e muscinale dei mosaici<br />

pavimentali e valutazione efficacia dei biocidi<br />

ricerche&contributi<br />

38 PUNTERUOLO ROSSO DELLE PALME<br />

biologia e mezzi di controllo<br />

41 PALME E PAESAGGIO<br />

l’abito urbano vegetativo<br />

43 I PORTALI DELLA CITTÀ<br />

architettura, trasformazioni e sovrapposizioni<br />

stilistiche nel centro storico di Palermo<br />

formazione<br />

45 PERCORSI FORMATIVI<br />

obiettivi di studio per un’idonea fruizione<br />

e conservazione delle opere d’arte<br />

47 TIROCINIO IN CHIESA<br />

L’ostensorio con gli Angeli del Carmine Maggiore<br />

incontri & dibattiti<br />

48 IL GRUPPO DEL COLORE<br />

società italiana di ottica e fotonica<br />

49 NEUTRONI E LASER<br />

per la ricerca di dipinti nascosti<br />

50 SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALI<br />

Il convegno AIAr a Palermo<br />

recensioni<br />

52 DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORI<br />

Un fondo bibliografico seicentesco<br />

54 I GIARDINI PERDUTI<br />

Comunicare con gli alberi per non appassire la mente<br />

35 NEWS<br />

55 RASSEGNA LIBRI<br />

1


C.R.PR.<br />

in<br />

forma<br />

on line ISSN 2035-8725<br />

www.centrorestauro.sicilia.it<br />

C.R.P.R in/forma<br />

n. 7/8 Giuno-Dicembre 2009<br />

Rivista semestrale del <strong>Centro</strong> regionale<br />

per la progettazione e il restauro e per le<br />

scienze naturali applicate ai Beni<br />

culturali<br />

ISSN 2035-8717<br />

Direzione scientifica<br />

Guido Meli<br />

Direttore responsabile<br />

Antonio Casano<br />

Comitato di redazione<br />

Antonio Casano<br />

Rita Di Natale<br />

Maria Di Ferro<br />

Roberto Garufi<br />

Elena Lentini<br />

Gioacchino Mangano<br />

Ferdinando Maurigi<br />

Guido Meli<br />

Giuseppa Maria Spanò<br />

Fotografie<br />

Gioacchino Mangano, Ugo Nizza,<br />

Fabiola Saitta, Licia Settineri<br />

Progetto grafico<br />

Gioacchino Mangano<br />

Immagine di copertina di Osama Hamdan<br />

Mosaico del VI° secolo dopo Cristo della<br />

Carta di Mabada - Mabada - (Giordania)<br />

Stampa<br />

Priulla s.r.l.<br />

via Ugo La Malfa, 6915 - 90134<br />

Palermo<br />

Sede di amministrazione, direzione<br />

redazione: Via Cristoforo Colombo, 52<br />

90142 Palermo<br />

Registrazione Tribunale di Palermo<br />

del 9.2.2006 n°3<br />

© Copyright 2007<br />

Regione Siciliana - Assessorato<br />

regionale dei Beni culturali ed<br />

ambientali e della Pubblica istruzione<br />

<strong>Centro</strong> regionale per la progettazione e<br />

il restauro e per le scienze naturali<br />

applicate ai Beni culturali<br />

TEMARIO<br />

L’apertura di questo numero è affidata ad Osama Hamdan, fraterno amico del compianto<br />

Michele Piccirillo –il Padre francescano scomparso poco più di un anno fa- nota e stimata alta<br />

figura intellettuale in Terra Santa, riconosciuta tale dalla comunità scientifica internazionale<br />

anche per aver saputo coniugare l’impegno spirituale e la ricerca archeologica con una<br />

Weltanschauung fondata sulla cultura come grimaldello per la coesistenza pacifica dei popoli,<br />

imperniata sulla tolleranza e il riconoscimento reciproco della diversità, sia pur disposta in<br />

un piano di contaminazione su cui edificare una nuova koinè multiculturale. Osama Hamdan,<br />

uno dei massimi esponenti dell’intellighenzia palestinese -docente presso l’Università Al<br />

Quds di Gerusalemme e direttore del Mosaic Centre di Gerico- dall’alto del legame di solidarietà<br />

umana ed affinità culturale ci detta un illuminate profilo che ci fa cogliere quale fosse<br />

la straordinaria rilevanza della presenza di Abuna Michele in Palestina per il riannodo del dialogo<br />

dal basso tra comunità divise dalle loro sovrastrutture ideologiche.<br />

Sulla Villa del Casale di Piazza Armerina è incentrato il dossier diagnostico: un resoconto<br />

sintetico delle analisi scientifiche eseguite in situ o rielaborate in laboratorio. Inoltre presentiamo<br />

parte di un più ampio studio, condotto da Lorenzo Lazzarini dell’Università IUAV di<br />

Venezia, sulle specie lapidee collocate nel sito romano. Patrizio Pensabene dell’Università<br />

“La Sapienza” completa le pagine del dossier con un articolo sulle indagini archeologiche:<br />

un escursus storico-stratigrafico degli scavi che hanno interessato le ricerche intrecciate con<br />

le opere di restauro.<br />

Nella sezione progetti è consultabile il lavoro sulla mappatura del degrado entomologico dei<br />

manufatti di origine organica, posto in essere in alcuni centri del distretto madonita, riguardante<br />

importanti presidi culturali –chiese, musei, biblioteche ed altre istituzioni- insediati<br />

all’interno della catena montuosa del palermitano. Mentre per le pagine della laboriando<br />

proponiamo due interventi di restauro riguardanti la Madonna della Lavina di Cerami e gli<br />

abiti del “Pepoli” -con un contributo di Maria Luisa Famà, direttrice del museo, sulla caratteristica<br />

espositiva principale dell’ente trapanese: i manufatti artistici in corallo. Da segnalare<br />

inoltre, fra gli incontri&dibattiti, l’ampia argomentazione sui temi trattati negli appuntamenti<br />

autunnali svoltisi a Palermo promossi dalla Società Italiana di Ottica e Fotonica (V<br />

Conferenza del Gruppo del Colore) e dalla Associazione Italiana di Archeometria<br />

(Convegno nazionale su Sistemi biologici e beni culturali)<br />

Infine si portano all’attenzione del lettore le pagine della ricerca che si avvalgono dei contributi<br />

di Stefano Colazza e Giuseppe Barbera della Facoltà di Agraria di Palermo, in merito<br />

alla vicenda del punteruolo rosso: il primo fa il punto sullo stadio raggiunto dalla sperimentazione<br />

biologica e sui i possibili mezzi di contrasto per il controllo del devastante fenomeno<br />

entomologico che continua a provocare la moria delle palme; il secondo ci conduce<br />

sulle tracce storiche del paesaggio urbano vegetativo, di cui la presenza della palma è un<br />

elemento imprescindibile nelle città siciliane. La tematica non è estranea all’interesse del<br />

CRPR, tanto che sull’argomento è in cantiere uno studio per definire un intervento specifico.<br />

Nella stessa sezione, in linea con la scelta editoriale della rivista di dare spazio a giovani<br />

ricercatori, ospitiamo il saggio di Lucia Carruba sui portali del centro storico di Palermo,<br />

nel quale vengono esaminati i processi di trasformazione e le sovrapposizioni stilistiche<br />

subiti nel tempo: un grido di allarme sul rischio di degrado a cui è sottoposto un “pezzo”<br />

fra i tanti del patrimonio storico architettonico.<br />

Chiudono, come di consueto, le recensioni e la rassegna libri. In particolare nella prima<br />

rubrica Carlo Pastena, fra note e repertori, ci descrive un fondo bibliografico seicentesco<br />

curato da Rita Di Natale e Gabriella Cannata, ma soprattutto ci introduce su un tema che va<br />

ben al di là dei tecnicismi per soli addetti ai lavori, facendoci comprendere la valenza essenziale<br />

della costituzione di tali fondi per gli studiosi nella ricerca delle fonti documentali.


“ABUNA”<br />

MICHELE IN PALESTINA<br />

IL PROFILO CULTURALE DI PADRE PICCIRILLO<br />

Abuna Michele, come ero abituato a chiamarlo e come<br />

era chiamato degli Arabi dei paesi di Bilad al Sham<br />

(Palestina, Libano, Giordania, Siria), me lo ricordo nella sua<br />

stanza, nello Studium Biblicum Franciscanum della<br />

Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, sempre immerso<br />

nei libri e con il profumo di caffé proveniente dalla macchinetta<br />

perennemente sul fornello elettrico, nel piccolo angolo<br />

cucina che peraltro lo avevo aiutato a sistemare.<br />

Padre Michele Piccirillo ci ha lasciato il 26 ottobre, all’età di<br />

64 anni. Era nato a Casanova di Cerinola, in provincia di<br />

Caserta, e si era unito all’ordine francescano da giovanissimo<br />

e trasferito a vivere in Medioriente dal 1960, dividendosi<br />

tra Gerusalemme, dove insegnava Storia e Geografia<br />

Biblica e dove curava come Direttore il Museo archeologico<br />

allo Studium Biblicum Francisanum nel Monastero della<br />

Flagellazione e il convento del Monte Nebo, in Giordania,<br />

dove svolgeva scavi archeologici durante l’estate.<br />

Come novizio aveva studiato allo Studium Biblicum<br />

Padre Michele Piccirillo con collaboratori in visita al Convento ortodosso di Ayn al Farah – Palestina<br />

Osama Hamdan<br />

Università Al Quds<br />

Gerusalemme<br />

IINTERNAZIONALE<br />

Franciscanum, aggiungendo agli studi teologici un dottorato<br />

in archeologia biblica all’Istituto di Studi del Vicino<br />

Oriente della Università La Sapienza di Roma. Aveva avviato<br />

i suoi primi lavori archeologici a fianco del suo maestro,<br />

padre Bellarmino Bagatti, e nel 1973 aveva diretto i lavori di<br />

conservazione del mosaico pavimentale del 536 d.C. nella<br />

chiesa dei Martiri Lot e Procopio, a Khirbet al-Mukhayyat,<br />

l’antico villaggio di Nebo, le cui rovine erano state esplorate<br />

dai Francescani della Custodia di Terra Santa nel 1935 e<br />

immediatamente coperte da una bella casa in muratura per<br />

proteggere e mostrare ai visitatori uno dei più bei mosaici di<br />

epoca bizantina mai ritrovati.<br />

Da allora aveva continuato a lavorare per la protezione dei<br />

mosaici dell’area, in particolare nella Chiesa del Memoriale<br />

di Mosè sempre a Monte Nebo, dove nel 1976, dopo aver<br />

distaccato i mosaici pavimentali del VI secolo della cappella<br />

del battistero per un intervento di emergenza, erano emersi<br />

i mosaici inferiori, realizzati dai mosaicisti Soel, Kaium e<br />

3


I<br />

4<br />

INTERNAZIONALE<br />

Elia, come si leggeva nelle due iscrizioni che accompagnavano<br />

lo splendido lavoro terminato nell’agosto del 530 d.C.<br />

al tempo del vescovo Elia di Madaba e dell’imperatore<br />

Giustiniano. I nomi arabi rimandavano a mosaicisti della<br />

vicina Madaba famoso centro dell’arte del mosaico nel VI<br />

secolo. Il pavimento di mosaico rappresentava una spettacolare<br />

combinazione di scene di caccia e pastorizia e animali<br />

esotici.<br />

Cercava sempre di utilizzare ogni suo cantiere di restauro<br />

per svolgere attività di formazione per i giovani locali fino a<br />

quando nel 1992 riuscì ad avviare, grazie ad un progetto di<br />

cooperazione italo-giordano, la Madaba Mosaic School che<br />

ancora oggi svolge attività di formazione come Madaba<br />

Institute for Mosaic Art and Restoration e nel 1999 il<br />

Jericho Workshop for Mosaic Restoration. Da alcuni anni<br />

aveva avviato contatti per la creazione di una istituzione<br />

simile anche in Siria.<br />

L’obiettivo di queste strutture nasceva dalla esigenza di formare<br />

giovani locali alla cura del patrimonio culturale in<br />

mosaici della regione. Le sue ricerche avevano reso evidente<br />

la storia comune del territorio e i problemi condivisi del<br />

patrimonio culturale e l’avevano spinto dal 2000 a dare il via<br />

ad un incontro annuale di giovani e tecnici dell’area del<br />

Levante, il corso di formazione Bilad Al Sham. Giovani tecnici<br />

ed esperti provenienti da enti governativi e non, si<br />

incontravano ogni anno per un periodo da uno a due mesi e<br />

partecipavano ai corsi di formazione e aggiornamento sulla<br />

conservazione dei siti archeologici con mosaici. Gli incontri,<br />

affiancati ad attività pratiche di conservazione, erano svolti<br />

in Siria, Giordania e Palestina ed avevano come finalità<br />

generale il sostegno ai giovani per renderli responsabili dell’attività<br />

di conservazione.<br />

Padre Michele l’archeologo, l’uomo, il prete, attento a quello<br />

che lo circondava, un archeologo di grande professionalità,<br />

ha trasformato anche lo scavo archeologico in un momento<br />

di incontro con la storia per i giovani che arrivavano da<br />

tutto il mondo. Soprattutto la sera era un momento di formazione<br />

per questi giovani volontari che si incontravano tutte le<br />

estati a Monte Nebo, dopo la fatica di una giornata di lavoro<br />

sotto il sole e la polvere delle rovine e le gioie dei ritrovamenti,<br />

si riunivano a cena e poi tutti a godere lo spettacolo<br />

dalla terrazza a guardare la Palestina, le stelle in cielo, e ad<br />

ascoltare le parole e i racconti di Abuna Michele.<br />

Padre Michele Piccirillo l’archeologo che ha continuato per<br />

tutti questi anni a far riemergere alcuni dei più bei siti antichi<br />

della Giordania, dopo Khirbet al Mukhayyat e Monte<br />

Nebo, nella città di Madaba, a Umm il Rasas, a Nitle e tanti<br />

altri con scoperte eccezionali e mosaici del periodo bizantino<br />

e primo islamico di tale bellezza ed importanza da farlo<br />

diventare lo studioso di mosaici più famoso del Medioriente.<br />

Recentemente alle scoperte in Giordania si erano aggiunti gli<br />

straordinari risultati dei lavori di pulizia e riabilitazione nella<br />

cittadina di Sabastiya, in Palestina.<br />

Il suo lavoro di archeologo non si è fermato alle scoperte, ma<br />

sin dagli anni 70 del secolo scorso si è affiancato ad una particolare<br />

attenzione alla conservazione e valorizzazione dei<br />

beni culturali. Abuna Michele seguiva personalmente i lavori<br />

di restauro, sempre affiancati ad attività di valorizzazione<br />

che comprendevano l’organizzazione di mostre e pubblica-<br />

zioni in varie lingue, prestigiose sia dal punto di vista dei<br />

contenuti che della forma. E’ stato uno dei primi e pochi studiosi<br />

a tradurre le sue ricerche e lavori anche in lingua araba.<br />

Abuna Michele non era solo un archeologo di profonda<br />

capacità professionale, ma anche un francescano di grande<br />

fede, semplice nella relazione con gli altri, umile nella sua<br />

conoscenza, attento ai problemi della gente e alle loro esigenze.<br />

Era consapevole del valore delle sue capacità scientifiche,<br />

dell’importanza delle sue scoperte nel riscrivere la storia<br />

del Medioriente e per la conservazione della memoria,<br />

mantenendo un profondo rispetto delle varie civilizzazioni e<br />

culture che si erano susseguite nel territorio, e tutto questo lo<br />

inseriva nel contesto, con una costante attenzione ai benefici<br />

che le popolazioni locali, in realtà così sofferenti, avrebbero<br />

potuto trarre dallo studio e dalla conservazione del<br />

patrimonio culturale, dal punto di vista sociale e soprattutto<br />

economico.<br />

Padre Piccirillo a Sabastiya - Palestina<br />

Abuna Michele il prete francescano, un uomo di pace, sensibile<br />

verso tutte le religioni, aveva rapporti calorosi con colleghi<br />

e amici di religione musulmana, ebraica e cristiana delle<br />

varie chiese, lavorava con comunità locali e in siti archeologici<br />

espressioni di diverse culture, era un vero ponte tra le<br />

varie religioni, e lo faceva con grande serietà in un’area geografica<br />

piena di odio e intolleranza. La sua azione scientifica<br />

e culturale non si staccava mai da una analisi schietta ed acuta<br />

della realtà. Negli ultimi tempi aveva più volte denunciato le<br />

azioni irresponsabili che stavano cambiando profondamente<br />

la natura del patrimonio culturale locale. La sua vibrata contrarietà<br />

alla costruzione del Muro, che aveva isolato<br />

Betlemme ignorando il suo legame storico con Gerusalemme<br />

e la denuncia della arrogante unilateralità degli scavi archeologici<br />

israeliani nella città vecchia di Gerusalemme avevano<br />

venato di amarezza i suoi ultimi scritti.


Aree Archeologiche<br />

e teatri antichi<br />

PROGETTO ARTEA<br />

UN PARTENARIATO INTERNAZIONALE<br />

Maria Elena Alfano<br />

Il 3 agosto, è stato presentato a Siracusa, il progetto ArTea<br />

-Teatri antichi ed aree archeologiche: conoscenza e valorizzazione.<br />

ArTea, di cui il CRPR è ente attuatore e coordinatore<br />

del partenariato costituito, con la Sicilia, dalle regioni<br />

Lazio e Calabria e dal governatorato di Jendouba per la<br />

Tunisia, è un segmento del progetto integrato DIARCHEO,<br />

afferente la Misura 2.04 - Dialogo e Cultura relativa al<br />

Programma di sostegno alla Cooperazione Regionale –<br />

Accordo Programma Quadro (APQ) Mediterraneo e<br />

Balcani, che si articola in sei sub progetti che interessano 4<br />

regioni di paesi transfrontalieri e 11 regioni italiane.<br />

Nell’ambito di tale progetto, la cui matrice è “La valorizzazione<br />

del patrimonio archeologico come veicolo per il dialogo<br />

interculturale” il sub-progetto ArTea affronta nello specifico<br />

il tema della conoscenza e valorizzazione dei teatri antichi,<br />

patrimonio comune a molti paesi del Mediterraneo.<br />

La presentazione di Siracusa fa seguito alla definizione, nel<br />

primo semestre del 2009, dell’iter burocratico di aggiornamento<br />

ed approvazione del progetto DIARCHEO avviato nel 2006. Vi<br />

hanno partecipato la regione Puglia, RUP del progetto, i partners<br />

italiani, l’Institut National du Patrimoine per la Tunisia e gli<br />

enti di tutela. Grazie alla disponibilità della Soprintendenza di<br />

Siracusa, e del comune di Palazzolo Acreide, che ha accolto i<br />

partners nel sito di Akrai, individuato per la realizzazione del<br />

progetto in Sicilia, sono state illustrate le attività progettuali, che<br />

impegneranno un finanziamento di circa 863.000 euro, costituito<br />

da fondi FAS e cofinaziamenti regionali.<br />

Parte del consistente budget assegnato alla Sicilia, pari a circa<br />

449.000 euro, sarà investito nel paese partner estero per realizzare,<br />

nel sito di Bulla Regia, le medesime attività previste<br />

dal CRPR in Sicilia, con l’obiettivo di generare, nel pieno<br />

spirito degli accordi di cooperazione, un proficuo scambio di<br />

esperienze ed una ricaduta nei territori interessati.<br />

Il progetto ArTea, costruito nel rispetto delle raccomandazioni<br />

espresse nella “Carta di Siracusa“, prevede in sintesi la:<br />

- Sistematizzazione e condivisione delle conoscenze e delle<br />

metodologie relative all’utilizzo dei teatri antichi<br />

- Valorizzazione dei siti attraverso la promozione di percorsi<br />

tematici relativi ai teatri<br />

- Realizzazione di un processo di integrazione culturale nel<br />

Mediterraneo attraverso il coinvolgimento delle scolaresche<br />

per rappresentazioni teatrali.<br />

- Costruzione di una banca dati dedicata ai siti con architetture<br />

teatrali antiche<br />

- Costruzione di una rete di attori istituzionali e culturali per<br />

una corretta gestione dei teatri<br />

- Definizione di modelli condivisi di fruizione sostenibile<br />

- Realizzazione di percorsi tematici e didattici sul tema dei<br />

teatri antichi<br />

Bulla Regia - Tunisia<br />

INTERNAZIONALEI<br />

Lo studio per la conservazione e l’uso dei teatri antichi è un<br />

obiettivo che il CRPR persegue da anni: si è concretizzato nel<br />

2004 con la realizzazione a Siracusa del convegno” Teatri<br />

antichi nell’area del mediterraneo” e con la redazione e condivisione<br />

della “Carta di Siracusa per la conservazione, fruizione<br />

e gestione delle architetture teatrali antiche”, significativo<br />

documento di indirizzo redatto sulla base delle indicazioni<br />

elaborate in quattro workshop tematici che hanno permesso il<br />

confronto della comunità scientifica internazionale .<br />

Già in quella sede era emersa la necessità, nei paesi che<br />

detengono teatri antichi utilizzabili, di valorizzare tale risorsa<br />

trovando un giusto equilibrio tra la fruizione pubblica di spettacoli<br />

e la dignitosa ed attenta conservazione della testimonianza<br />

archeologica e del suo valore identitario-culturale.<br />

Tematica attuale, comune a molti paesi, che vede la Sicilia<br />

direttamente coinvolta per il notevole numero di teatri destinati<br />

ad eventi nell’isola (Siracusa Taormina, Tindari, Segesta,<br />

Morgantina, Akrai, Catania,) e per la potenziale fruizione, di<br />

altri spazi teatrali antichi tra gli 11 portati in luce in Sicilia.<br />

Il progetto ArTea si fonda sulla consapevolezza, maturata<br />

dal confronto tra gli studiosi, che la problematica vada<br />

affrontata sulla base di criteri condivisi di studio e di valutazione<br />

dei rischi connessi alle possibili attività teatrali al fine<br />

di pervenire a protocolli per la conservazione integrata e una<br />

fruizione sostenibile di questo patrimonio, e sulla convinzione<br />

che i teatri, ancor oggi deputati ad assolvere la loro funzione<br />

originaria, debbano essere consapevolmente vissuti<br />

garantendone la salvaguardia.<br />

Quattro teatri, Akrai in Sicilia, Ferento in Lazio, Scolacium<br />

in Calabria e Bulla Regia in Tunisia saranno oggetto di studi<br />

condotti in sinergia, con percorsi metodologici condivisi ed<br />

uniformati; l’obiettivo è valorizzare i teatri ed il contesto<br />

archeologico di riferimento, regolamentarne l’uso e la<br />

gestione, divulgarne la conoscenza e costruire una rete di<br />

relazioni e di attività teatrali dedicate alle scolaresche che<br />

consenta ai giovani di riappropriarsi, col doveroso rispetto,<br />

di un patrimonio che diviene strumento di dialogo, risorsa<br />

generatrice di sviluppo, testimonianza attuale ed attualizzabile,<br />

a distanza di secoli, di una storia comune.<br />

Coordinamento del progetto a cura della Direzione CRPR<br />

Guido Meli - coordinamento generale<br />

Coordinamento tecnico-amministrativo<br />

M.P. Spano<br />

Elena Lentini<br />

Andrea Fasulo<br />

Referenti tecnico-scinetifici<br />

Milena Alfano UO X<br />

Roberto Garufi UO IX<br />

5


P PROGETTI<br />

SITI MADONITI<br />

6<br />

PER LA MAPPATURA DEL DEGRADO ENTOMOLOGICO<br />

DEI MANUFATTI DI NATURA ORGANICA<br />

Rosa Not<br />

PREMESSA<br />

I beni culturali soggetti a un degrado di natura entomologica<br />

sono essenzialmente tutti i manufatti di natura organica e,<br />

prevalentemente, quelli lignei e cartacei, in quanto fonte di<br />

nutrimento degli insetti xilofagi è la cellulosa, principale<br />

costituente dei suddetti materiali. Sulla base di questa preliminare<br />

considerazione è stato avviato dal Laboratorio di<br />

Indagini biologiche del CRPR il Progetto Mappatura del<br />

degrado entomologico dei manufatti di natura organica,<br />

nell’ambito del quale si inserisce lo studio realizzato nel territorio<br />

madonita, oggetto del nostro articolo. L’indagine è<br />

stata condotta da Eleonora Di Gangi, che ha collaborato con<br />

il Laboratorio del <strong>Centro</strong>.<br />

Finalità del lavoro era indagare le problematiche sulla conservazione<br />

di tutti quei manufatti che presentavano un degrado<br />

di natura entomologica; lo studio, oltre al suo significato<br />

di conoscenza e ricerca, ha avuto anche la finalità di segnalare<br />

lo stato di emergenza di alcuni beni ai fini di un eventuale<br />

loro recupero.<br />

Sono stati, dunque, ispezionati diversi ambienti, quali chiese,<br />

biblioteche, musei e quant’altro custodiva al suo interno<br />

beni di natura organica; in totale sono stati mappati 14 siti,<br />

raccolti un numero considerevole di campioni, caratterizzate<br />

sei specie di insetti. Lo studio è stato articolato secondo una<br />

metodologia di prassi che ha comportato numerosi sopralluoghi<br />

tecnici presso i siti, la raccolta di campioni biologici,<br />

la realizzazione di una documentazione fotografica delle<br />

alterazioni, gli esami di laboratorio, la preparazione e la successiva<br />

conservazione degli esemplari raccolti nelle scatole<br />

entomologiche.<br />

CAMPIONAMENTI E TECNICHE ADOPERATE<br />

Lo studio è stato condotto seguendo la metodologia<br />

qui di seguito descritta.<br />

ANALISI IN SITU- Nel corso dei sopralluoghi sono state<br />

osservate le caratteristiche dell’ambiente di conservazione<br />

dei manufatti indagati, quali igiene ambientale, eventuale<br />

presenza di umidità, aerazione, fonti di calore e sostanze<br />

chimiche repellenti.<br />

Successivamente si è passati ad un attento esame visivo, con<br />

lente da campo, degli oggetti lignei e cartacei, al fine di<br />

accertare la presenza di alterazioni di natura entomologica<br />

(fori di sfarfallamento e gallerie). Sono stati osservati i caratteri<br />

diagnostici delle alterazioni, quali forma e misura dei<br />

fori, l’andamento delle gallerie e la loro localizzazione sul<br />

manufatto; inoltre, allo scopo di facilitare l’ulteriore fuoriuscita<br />

di rosume dai fori, alcune opere lignee sono state percosse<br />

con martelletto, i libri battuti su un foglio di carta bianca,<br />

sempre per favorire la fuoriuscita di materiale biologico.<br />

Scheda 1<br />

Nicobium castaneum (Olivier)<br />

(Coleoptera, Anobidae)<br />

Morfologia: 4-6 mm, nero-bruno. Sulle elitre si<br />

osservano delle bande striate create dalla peluria<br />

che le ricopre. La peluria è di due tipi: un tipo è<br />

densa, giallastra, coricata e l’altro tipo è lunga,<br />

irta, più diradata. Le elitre sono ornate da grossi<br />

punti infossati, disposti lungo linee longitudinali<br />

regolari. Il pronoto, anch’esso pubescente, è largo<br />

quanto le elitre ed è diviso in due da un setto. Gli<br />

occhi neri sono pubescenti.<br />

Ecologia: attacca i libri e il legno lavorato di conifere<br />

e latifoglie, specialmente se umidi e attaccati<br />

da funghi.<br />

Fenomenologia del danno: fori circolari di 2-3<br />

mm di diametro; escrementi fusiformi molto<br />

allungati con una caratteristica<br />

carenatura; gallerie hanno andamento irregolare.<br />

Localizzazione: nella Civica Raccolta etno-antropologica<br />

(Geraci Siculo), nella Chiesa di<br />

Sant’Antonio Abate (Polizzi Generosa) e nella<br />

Chiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).


Scheda 2<br />

GERACI SICULO<br />

Tipologia dei manufatti: lignei e cartacei<br />

BIBLIOTECA PADRE CARAPEZZA DI GERACI<br />

La Biblioteca di Geraci siculo custodisce libri risalenti<br />

al 1500, la maggior parte dei quali provenienti<br />

dal convento dei Padri Cappuccini. Essi si<br />

trovano in una stanza al primo piano, all’interno di<br />

scaffalature metalliche munite di porte grigliate,<br />

dove dietro i libri è sta ritrovata naftalina, utilizzata<br />

come repellente per insetti. È stata, inoltre,<br />

riscontrata presenza di polvere nelle scaffalature e<br />

sui libri. Sono stati indagati, a campione, circa<br />

quindici volumi.<br />

Libri: fori di sfarfallamento circolari sulle copertine<br />

(1,5-2 mm) e fra le pagine dei libri (1-1,5 mm);<br />

gallerie che interessano buona parte dello spessore<br />

dei volumi, erosioni irregolari, presenza di gore.<br />

La maggior parte di queste alterazioni ha inizio<br />

dalla rilegatura dei volumi<br />

CIVICA RACCOLTA ETNO-ANTROPOLOGICA<br />

Ospitata al pianterreno del Convento dei Padri<br />

Cappuccini; si tratta di un ambiente molto umido,<br />

freddo e poco illuminato.<br />

Tavolo: numerosissimi fori di sfarfallamento<br />

(grandi anche 4 mm), circolari e ovali, con bordo<br />

regolare e irregolare, diverse gallerie colme di<br />

rosume di diverso colore e granulometria, molti<br />

insetti morti dentro e fuori le gallerie.<br />

Braciere: fori di sfarfallamento circolari di 1-1,5<br />

mm, rosume fine e n. 2 insetti morti.<br />

Telaio: fori di sfarfallamento circolari (1-1,5 mm)<br />

e alcuni insetti morti.<br />

Tavolo falegname ed oggetti poggiati sopra: diversi<br />

fori di sfarfallamento circolari (1,5-2 mm), rosume<br />

grossolano che fuoriesce dai fori ed insetti<br />

morti.<br />

Contenitore per la ricotta: fori di sfarfallamento<br />

(1- 2,5 mm) circolari, rosume di diversa granulometria<br />

e insetti morti.<br />

PROGETTIP<br />

Con l’aiuto di un pennellino sono stati raccolti rosume, insetti<br />

e altri residui presenti nel manufatto o nelle vicinanze, e<br />

conservati in provette codificate. Tutte le varie fasi delle<br />

analisi in situ sono state documentate fotograficamente<br />

ANALISI IN LABORATORIO- In laboratorio gli insetti<br />

ritrovati nei vari siti sono stati lavati ed idratati in camera<br />

umida per essere meglio osservati allo stereoscopio; successivamente<br />

sono stati analizzati, misurati, fotografati e<br />

descritti nei loro caratteri morfologici fondamentali (dimensioni,<br />

larghezza del pronoto, antenne, peluria).<br />

L’osservazione di questi caratteri, insieme all’analisi della<br />

morfologia dei fori di sfarfallamento e all’aiuto di una chiave<br />

analitica dicotomica (Lepesme, 1944), ha permesso l’identificazione<br />

di alcuni insetti, in particolare di quelli completi<br />

di caratteri diagnostici, che sono stati sistemati in una<br />

scatola entomologica. Infine, sono state compilate schede<br />

sulla biologia delle specie caratterizzate e sulla loro localizzazione<br />

nei vari siti.<br />

AREA DI STUDIO, SITI MONITORATI E MANU-<br />

FATTI INDAGATI: DESCRIZIONE DELLE ALTE-<br />

RAZIONI<br />

Le indagini entomologiche sono state condotte in 4 comuni<br />

delle alte Madonie (Castellana Sicula, Geraci Siculo,<br />

Petralia Sottana e Polizzi Generosa), all’interno dei quali<br />

sono stati ispezionati 14 ambienti contenenti beni di natura<br />

organica, in particolare lignei e cartacei, quali archivi,<br />

biblioteche, chiese e musei. Quasi tutti i siti sono stati indagati<br />

più di una volta nell’arco dell’anno. Il monitoraggio ha<br />

interessato indistintamente tutti i manufatti sia lignei che<br />

cartacei, di pregio e non, più facilmente raggiungibili; solo<br />

in un caso, nella Chiesa di San Giuseppe Nuova a Castellana<br />

Sicula, non sono stati riscontrati segni di degrado.<br />

RISULTATI E CONSIDERAZIONI<br />

In totale sono stati raccolti 70 insetti Coleoptera, il maggior<br />

numero dei quali rinvenuto soprattutto nei sopralluoghi<br />

effettuati tra maggio e ottobre, periodo di sfarfallamento<br />

degli insetti. Dalle analisi è emerso che su 70 esemplari, 65<br />

afferiscono alla fam. Anobidae, 3 alla fam. Dermestidae e 2<br />

alla fam. Curculionidae. La fam. Anobidae è maggiormente<br />

rappresentata dai generi: Nicobium con la specie N. castaneum<br />

(Olivier), Anobium con la specie A. punctatum (De<br />

Geer), Stegobium con la specie S. paniceum (L.) e<br />

Oligomerus con la specie O. ptilinoides (Wollaston).<br />

Per quanto riguarda la fam. Dermestidae sono state ritrovate<br />

due larve ed un insetto adulto, quale Anthrenus verbasci<br />

(L.); infine 2 esemplari della fam. Curculionidae non sono<br />

stati identificati per mancanza di parti anatomiche. Oltre ai<br />

7


P<br />

8<br />

PROGETTI<br />

70 insetti Coleotteri, sono stati rinvenuti esemplari di<br />

Psocotteri ed Imenotteri, anch’essi non identificati.<br />

Sui manufatti lignei sono stati rinvenuti insetti xilofagi<br />

Coleoptera (Anobidae, Curculionidae), ma la maggior parte<br />

delle alterazioni sono ascrivibili agli insetti Anobidii.<br />

Le alterazioni riscontrate, quali gallerie larvali e rosume,<br />

sono prodotte dallo stadio larvale di questi generi, in quanto<br />

le larve essendo dotate di un’endobiosi intestinale, riescono<br />

a digerire la cellulosa e dunque sono in grado di scavare tortuose<br />

gallerie all’interno del legno. Il risultato dell’erosione<br />

della larva nel legno è il rosume, costituito da escrementi e<br />

rosura, ovvero frammenti di legno. Il rosume è incoerente e<br />

granuloso, costituito da caratteristiche particelle fusiformi<br />

(Chiappini et al., 2001). Il foro di sfarfallamento circolare è,<br />

invece, praticato dalla fuoriuscita dell’insetto adulto e il suo<br />

diametro varia da 1 a 3 mm, a seconda della specie (Liotta e<br />

Leto Barone, 1990). Questi insetti praticano principalmente<br />

danni estetici, strutturali se l’attacco è di grosse dimensioni.<br />

Tuttavia, le diverse alterazioni riscontrate sono il risultato di<br />

attacchi pregressi, in quanto non è stato ritrovato rosume, la<br />

cui presenza, invece, attesta l’attività xilofaga delle larve.<br />

Anobium punctatum è la specie più diffusa, rinvenuta nella<br />

chiesa di Sant’Antonio Abate (Polizzi Generosa), nella<br />

Civica Raccolta etno-antropologica (Geraci Siculo), nella<br />

chiesa di San Francesco, nella chiesa di Maria SS. Assunta e<br />

nella chiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).<br />

L’infestazione, in queste ultime due chiese è in atto perché<br />

sono stati rinvenuti degli individui vivi e nuovi cumuli di<br />

rosume. Possiamo ipotizzare che anche nelle chiese di San<br />

Giuseppe e nella chiesa del SS. Crocifisso (Castellana<br />

Sicula) ci sia un attacco in atto per la continua fuoriuscita di<br />

rosume dai piccoli fori di sfarfallamento presenti sui manufatti.<br />

La specie Nicobium castaneum preferisce legni umidi e<br />

attaccati da funghi, ed è piuttosto diffusa perché gli edifici<br />

che ospitano le opere lignee analizzate sono particolarmente<br />

umidi. Numerosissimi individui di N.castaneum sono stati<br />

rinvenuti nella Civica Raccolta etno-antropologica (Geraci<br />

Siculo), altri nella Chiesa di Sant’Antonio Abate (Polizzi<br />

Generosa) e altri ancora nella Chiesa della SS. Trinità<br />

(Petralia Sottana). Tracce di un attacco di N. castaneum, cioè<br />

camere pupali ed escrementi fusiformi molto allungati con


una caratteristica carenatura, sono state ritrovate anche nelle<br />

opere presenti nelle altre due chiese di Petralia Sottana<br />

(Chiappini et al., 2001).<br />

Oligomerus ptilinoides, è stato rinvenuto solamente nella<br />

chiesa di Maria SS. Assunta (Petralia Sottana); Stegobium<br />

paniceum sul crocifisso ligneo della biblioteca di Polizzi<br />

Generosa.<br />

Gli insetti appartenenti alla famiglia Curculionidae, riconoscibili<br />

dal loro caratteristico rostro, erano presenti nella<br />

Civica raccolta etno-antropologica di Geraci Siculo, dove<br />

sono stati ritrovati su legni umidi e attaccati da muffe. Sia le<br />

larve che gli adulti sono xilofagi e praticano gallerie in tutte<br />

le direzioni (Chiappini et al., 2001).<br />

Il monitoraggio ha, inoltre, evidenziato, nella chiesa di S.<br />

Antonio (Polizzi Generosa) e della SS. Trinità (Petralia<br />

Sottana), oltre che nella Civica raccolta etno-antopologica<br />

(Geraci Siculo), un fenomeno di parassitismo a spese delle<br />

larve e delle uova dei Coleotteri da parte di insetti appartenenti<br />

agli ordini Hymenoptera e Coleoptera (Dermestidae).<br />

Il fenomeno, che ai fini del degrado non ha alcuna rilevanza<br />

perché non sono biodeteriogeni del legno, può tuttavia indicarci<br />

la presenza di larve all’interno delle gallerie (Contarini,<br />

2000).<br />

A Castellana, nella cappella della Madonna della Catena,<br />

alcuni insetti appartenenti all’ordine Hymenoptera hanno<br />

costruito all’interno delle travi del soffitto ligneo dei nidi<br />

pedotrofici.<br />

Per quanto riguarda i manufatti cartacei, negli ambienti<br />

archivistici la maggior parte delle alterazioni riscontrate<br />

sono pregresse ed ascrivibili ad insetti Coleoptera<br />

(Anobidae, Dermestidae) e Psocoptera.<br />

Sui volumi, le alterazioni più evidenti, come fori di sfarfallamento<br />

e gallerie larvali, sono state prodotte da Stegobium<br />

paniceum (Coleoptera, Anobidae) rinvenuti in quantità maggiore<br />

nella biblioteca di Polizzi Generosa. Si nutrono di<br />

amidi e zuccheri, oltre che di lignina e cellulosa, e solitamente<br />

il loro attacco sui libri parte dal dorso e dalle colle.<br />

(Gambetta et al., 2001)<br />

Due larve morte, appartenenti alla famiglia Dermestidae,<br />

sono state ritrovate nella biblioteca di Petralia Sottana. Esse<br />

si nutrono di sostanze organiche di origine animale (pelli,<br />

stoffe, pellicce, altri insetti morti) e possono danneggiare le<br />

pergamene, le copertine di pelle o le rilegature dei volumi<br />

(Caneva et al., 2002). Il rinvenimento di 2 singole larve<br />

morte non fa pensare ad un attacco in atto.<br />

Le erosioni irregolari riscontrate nelle pagine dei volumi<br />

possono essere state prodotte da Lepisma saccarina o da<br />

insetti appartenenti all’ordine Psocoptera. Quest’ultimi<br />

sono insetti di piccole dimensioni (max. 2 mm di lunghezza),<br />

si ritrovano in ambienti umidi ma a seconda<br />

della specie possono svilupparsi anche ad umidità relative<br />

del 60%. Si nutrono principalmente di residui di<br />

sostanze organiche vegetali o animali e di funghi, alghe,<br />

licheni. In ambiente archivistico attaccano inizialmente<br />

le rilegature (attratti dalle colle) e poi erodono anche le<br />

pagine (Cesareo et al., 2006). Sono stati rinvenuti nelle<br />

tre biblioteche.<br />

PROGETTIP<br />

Conclusioni<br />

Questi dati rilevati nell’arco di un anno, seppur insufficienti<br />

ai fini di una dettagliata conoscenza dello stato di conservazione<br />

dei Beni nel territorio in interesse, possono già consentire<br />

l’elaborazione di adeguati piani di intervento per mettere<br />

in salvo alcuni manufatti, in particolare si segnalano: il<br />

trittico di scuola siculo-marchigiana a Petralia Sottana, i<br />

volumi della biblioteca di Polizzi ed i manufatti della civica<br />

raccolta di Geraci Siculo, che versano in un avanzato stato di<br />

degrado. Tuttavia, per quanto riguarda gli altri manufatti<br />

indagati, bisognerebbe intervenire ugualmente per far si che<br />

non si arrivi a situazioni irreparabili. Infatti, solo intervenendo<br />

tempestivamente si può ridurre la gravità di un degrado e<br />

l’invasività di un eventuale intervento di restauro.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Caneva, Nugari, Salvadori 1994<br />

G. Caneva, M.P. Nugari, O. Salvadori, La biologia nel<br />

restauro, Firenze 1994.<br />

Cesareo et. al. 2006<br />

U. Cesareo, G. Marinucci, E. Veca, E Ruschioni, Il monitoraggio<br />

entomologico negli ambienti di conservazione<br />

dei beni archivistici, in “Bollettino ICR”, Nuova Serie,<br />

13.<br />

Chiappini et al. 2001<br />

E. Chiappini, G. Liotta, M.C.Reguzzi, A.Battisti, Insetti e<br />

restauro - legno, carta, tessuti, pellame e altri materiali,<br />

Bologna 2001.<br />

Contarini 2000<br />

E. Contarini., Invertebrati in case, cortili e giardini della<br />

pianura emiliano-romagnola, Ravenna 2000.<br />

Gambetta, De Capua, Ruschioni, 2001<br />

A. Gambetta, E.L. De Capua E. Ruschioni, Intervento di<br />

disinfestazione di manufatti cartacei., in “Bollettino<br />

ICR”, Nuova Serie, 2.<br />

Lepesme 1944<br />

D. Lepesme, 1944, Les Colèoptères des denrées alimentaires<br />

et des produits industriels entreposés,<br />

Encyclopèdie Entomologique, XXII, Paris 1944.<br />

Liotta, Leto Barone 1990<br />

G. Liotta, G. Leto Barone, Metodologie per la salvaguardia<br />

delle strutture lignee di interesse storico-artistico<br />

dagli attacchi degli insetti silofagi, in “Il restauro del<br />

legno”, II, a cura di G. Tampone, Firenze, pp. 215-233.<br />

Sparacio 1997<br />

I. Sparacio, Coleotteri di Sicilia, parte II, Palermo 1990.<br />

9


P PROGETTI<br />

L’ABATELLIS TRA CONTINUITÀ<br />

E INTEGRAZIONE<br />

10<br />

NUOVO ALLESTIMENTO DELL’ALA SETTECENTESCA<br />

DELLA GALLERIA REGIONALE<br />

Ermanno Cacciatore<br />

Dopo due anni di lavoro è stata restituita al pubblico la<br />

Galleria regionale. Nel corso della presentazione alla<br />

stampa dello scorso 11 novembre ampio spazio ha avuto l’illustrazione<br />

del nuovo allestimento dell’ala settecentesca.<br />

Progetto realizzato nel solco di quello redatto da Carlo<br />

Scarpa ed inaugurato nel 1954. Esso rappresenta ancora oggi<br />

uno dei capisaldi della moderna museografia.<br />

Com’è noto l’edificio, realizzato nella seconda metà del XV<br />

secolo da Matteo Carnilivari, è una delle massime espressioni<br />

del gotico catalano presenti in Sicilia. Il complesso architettonico<br />

ruota su due livelli attorno ad una grande corte centrale<br />

su cui si affaccia un elegante loggiato. La terrazza di<br />

copertura conclude il fabbricato.<br />

Una seconda corte interna, residuo del grande cortile del<br />

Convento della Pietà, disimpegna i nuovi locali della galleria.<br />

Si tratta di un corpo di fabbrica rettangolare su tre elevazioni<br />

prospiciente il vicolo della Salvezza che collega via<br />

Alloro con l’Oratorio dei Bianchi.<br />

Il primo livello ospita i laboratori di restauro della Galleria<br />

mentre gli altri due livelli ospiteranno la collezione cinque e<br />

seicentesca da sempre custodita nei depositi della Galleria.<br />

Si tratta di due grandi ambienti rettangolari, identici per<br />

dimensioni, lunghi 40 metri e larghi 8 metri ca. Una teoria di<br />

balconi prospicienti la corte interna illumina gli ambienti,<br />

mentre il fronte sul vicolo della Salvezza presenta al terzo<br />

livello un unico grande finestrone.<br />

Il nuovo progetto si pone come ampliamento ed integrazione<br />

della esistente Galleria. Pertanto, nel pieno rispetto dell’allestimento<br />

scarpiano dell’ala quattrocentesca, il museo è<br />

stato integrato da una serie di nuovi servizi.<br />

Primo fra tutti è stato realizzato un percorso alternativo per i<br />

portatori di handicap. Una rampa inclinata è stata posta nella<br />

seconda corte per superare il dislivello esistente tra il piano<br />

del giardino e il primo livello; da qui un ascensore (il museo<br />

ne era sprovvisto) consente di raggiungere agevolmente i<br />

due livelli dell’ala settecentesca e, a ritroso, raggiungere<br />

l’ala quattrocentesca dove poter ammirare i capolavori assoluti,<br />

posti al primo piano, quali l’Annunciata di Antonello da<br />

Messina o la visione spettacolare, dall’alto, del Trionfo della<br />

morte.<br />

Attorno all’ascensore panoramico si snoda il corpo scala che<br />

conduce alla terrazza dell’ala quattrocentesca, fino a ieri<br />

interdetta al pubblico, da cui si gode una visione meravigliosa<br />

della città e in particolare di Monte Pellegrino.<br />

Come è noto ai frequentatori di Palazzo Abatellis la Galleria<br />

era sprovvista di un impianto di illuminazione artificiale; in<br />

realtà Carla Scarpa fece realizzare dei prototipi di lampade<br />

di vetro soffiato da una vetreria veneziana (qualcuna ancora<br />

esistente in deposito) e ci ha lasciato una serie di schizzi pro-


gettuali su un’idea di impianto di illuminazione. Ma, per<br />

diverse ragioni, l’impianto non venne mai posto in opera.<br />

Con la consulenza di Pietro Castiglioni ed Emanuela<br />

Pulvirenti è stato realizzato un sistema di illuminazione<br />

compatibile con la costruzione quattrocentesca in coerenza<br />

col piano-Scarpa<br />

Un primo obiettivo che ci siamo posti è stato quello di realizzare<br />

un percorso museale che si integrasse “naturalmente”<br />

con il precedente. Pertanto dove finiva il percorso scarpiano,<br />

ovvero alla cosiddetta Wunderkammer da cui, percorrendo a<br />

ritroso lo scalone quattrocentesco, si tornava alla corte e quindi<br />

all’uscita del Museo, è stata riaperta una vecchia porta da<br />

cui si raggiunge la zona “filtro” dei collegamenti orizzontali<br />

e verticali con la nuova scala e l’ascensore vetrato. Da qui,<br />

facilmente, si raggiungono i servizi igienici a piano terra, la<br />

rampa per i portatori di handicap e, in alto, la terrazza.<br />

I materiali adoperati per la nuova ala sono volutamente differenti<br />

dai materiali usati da Carlo Scarpa, anche per identificare<br />

facilmente l’inizio del nuovo percorso.<br />

Dal “filtro” si entra attraverso una porta vetrata nel primo dei due<br />

grandi ambienti. Qui è ospitata la collezione cinquecentesca.<br />

Una prima difficoltà è stata rappresentata dalle dimensioni<br />

dei dipinti. Si tratta, per massima parte, di pale d’altare alte<br />

fino a 4 metri e larghe anche 3 metri. Appare evidente l’impossibilità<br />

di una corretta lettura delle opere da una distanza<br />

ravvicinata. Si è pertanto progettata una quinta spezzata che<br />

ha consentito la realizzazione di coni visuali ben più lunghi<br />

degli otto metri consentiti dalla larghezza dei vani espositivi.<br />

Il lungo serpentone ha inoltre consentito la creazione di<br />

singoli ambienti di dimensioni ridotte che, pur mantenendo<br />

un itinerario prettamente cronologico del progetto museologico,<br />

hanno permesso l’individuazione di momenti di sosta<br />

su opere che presentano particolari affinità (appartengono<br />

allo stesso artista, o alla stessa scuola o presentano temi su<br />

cui si è ritenuto di far sostare il visitatore).<br />

Anche il livello superiore presenta la stessa filosofia progettuale.<br />

Il lungo serpentone, interrotto qui e là per consentire<br />

percorsi personalizzati ogni volta differenti, si snoda lungo<br />

l’asse maggiore dell’ambiente, creando momenti di sosta sui<br />

singoli temi espositivi e consentendo la creazione, quasi<br />

occasionale ma in realtà attentamente studiata, di quegli<br />

scorci per la visione a distanza delle grandi opere.<br />

Una particolare attenzione è stata posta per la realizzazione<br />

della coloritura delle quinte. Sono stati scelti due colori (il<br />

verde al primo piano e il rosso al secondo) in qualche modo<br />

“estratti” dalle tavolozze dei pittori dell’epoca e su cui si stagliano<br />

perfettamente, senza fenomeni di sotto e sovraesposizione,<br />

le opere che finalmente potranno essere ammirate da<br />

un pubblico speriamo attento e numeroso.<br />

Progetto e direzione dei lavori a cura del CRPR<br />

Guido Meli<br />

Ermanno Cacciatore<br />

Roberto Garufi<br />

Collaboratori<br />

Antonino Caruso<br />

Salvatore Zappalà<br />

PROGETTIP<br />

11


L<br />

12<br />

LABORIANDO<br />

IL MUSEO DEL CORALLO<br />

COLLEZIONI DELL’“AGOSTINO PEPOLI”<br />

Maria Luisa Famà<br />

Direttrice Museo Pepoli<br />

Il Museo Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani ha sede<br />

nel trecentesco ex convento dei Padri Carmelitani, ampiamente<br />

rimaneggiato tra il Cinquecento ed il Settecento. Esso<br />

è contiguo all’importante Santuario dell’Annunziata, dove è<br />

conservata e venerata la statua in marmo della Madonna di<br />

Trapani, opera concordemente attribuita a Nino Pisano<br />

(1380 ca.).<br />

Il Museo illustra, insieme alle collezioni di pittura e di scultura,<br />

lo svolgimento delle arti figurative nel territorio trapanese<br />

con particolare riferimento alle arti decorative ed applicate,<br />

nelle quali Trapani primeggiò soprattutto per quanto<br />

riguarda le opere in corallo.<br />

Il nucleo fondamentale delle collezioni del Museo trae origine,<br />

nei primi del Novecento, dalla riunione in un unico istituto<br />

della quadreria donata alla città natale dal Generale<br />

Giovan Battista Fardella, Ministro a Napoli dei re Borboni,<br />

delle opere pervenute allo Stato a seguito della soppressione<br />

delle corporazioni religiose nonché delle raccolte artistiche<br />

private del conte Agostino Pepoli, ardente promotore della<br />

fondazione del Museo che proprio da lui prende nome. Si<br />

sarebbero poco più tardi aggiunti i reperti archeologici concessi<br />

dal Regio Museo di Palermo, i cimeli storici provenienti<br />

dalla Biblioteca Fardelliana di Trapani, i materiali artistici<br />

del locale Ospizio Marino “Sieri Pepoli” e nel 1922 i materiali<br />

del Museo Hernandez di Erice, assieme ad ulteriori<br />

incrementi dovuti ad acquisti da parte dello Stato o a doni e<br />

depositi da parte di enti e privati.<br />

La quadreria del Generale Fardella, è costituita principalmente<br />

da dipinti del Cinquecento e del Seicento, acquistati<br />

dal Fardella tra il 1825-30. Le collezioni del conte Pepoli<br />

sono invece eterogenee, includono infatti dipinti, gioielli,<br />

lapidi, bronzetti, riflettendo la cultura eclettica di stampo<br />

illuministico di questo straordinario intellettuale mecenate.<br />

In anni recenti Vincenzo Abbate, che ha diretto il museo per<br />

oltre un ventennio, ha acquisito numerose opere afferenti le<br />

arti decorative ed applicate, che hanno notevolmente accresciuto<br />

le collezioni del museo, in cui prevalgono i manufatti<br />

in corallo. L’attività espositiva dell’ultimo ventennio si è<br />

indirizzata principalmente verso questa particolare categoria<br />

artistica, offrendo all’attenzione del pubblico e degli studiosi<br />

opere che, se da un lato sono fortemente collegate al retroterra<br />

storico-culturale della città, dall’altro riflettono, attraverso<br />

numerosissime testimonianze, il percorso produttivo<br />

ed artistico della scultura “maggiore” dei grandi maestri.<br />

Al corallo è fortemente legata la stessa immagine del museo,<br />

che pur comprendendo collezioni diverse quali, pitture su<br />

tela e tavola, sculture, presepi, gioielli, paramenti sacri, arredi<br />

lignei e reperti archeologici, si contraddistingue per i suoi<br />

preziosi manufatti in corallo.<br />

Per brevità citeremo innanzitutto la Lampada, il Crocifisso<br />

ed il Calice di Fra’ Matteo Bavera, artista nato a Trapani<br />

probabilmente intorno al 1580-81, che in tarda età si era riti-<br />

rato come fratello laico nel convento di San Francesco<br />

d’Assisi, da cui provengono le opere citate.<br />

La Lampada, firmata e datata dal maestro al 1633, costituisce<br />

un caposaldo di importanza fondamentale per la determinazione<br />

cronologica delle opere di questa categoria artistica<br />

in corallo, rame dorato e smalti, proprio per la presenza della<br />

datazione, in genere infatti tali manufatti erano anonimi e<br />

solo raramente citati dalle fonti.<br />

Il Crocifisso, di grande potenza plastica ed espressiva per lo<br />

straordinario pathos del volto del Cristo, è una delle poche<br />

opere in corallo note sin dal Seicento, anche per le sue notevoli<br />

dimensioni (h. cm 64 x 28).<br />

Infine, il Calice, è stato giustamente considerato dalla critica<br />

una delle migliori opere in corallo della prima metà del<br />

XVIII secolo per la complessità ideativa e il suo particolare<br />

pregio estetico.<br />

Il Tesoro della Madonna di Trapani esposto in parte nel<br />

Museo Pepoli ed in parte conservato nel contiguo santuario,<br />

costituisce uno dei più importanti e significativi nuclei di<br />

oggetti preziosi di Sicilia e le oreficerie, in particolare, testimoniano<br />

la ricchezza ed il gusto, spesso molto ricercato, che<br />

le nobili trapanesi manifestavano negli ornamenti personali.<br />

Tra i gioielli del Tesoro, ex-voto per grazia ricevuta o semplicemente<br />

doni offerti alla Madonna di Trapani, figurano<br />

naturalmente numerosi monili in corallo, che spiccano fra i<br />

tanti per la loro particolare vivacità e luminosità. Gli orecchini<br />

e i pendenti, spesso recano miniaturistiche figure di<br />

santi, mentre raffinate scene mitologiche, riproducenti le<br />

fatiche di Ercole, compaiono su un preziosissimo Bracciale<br />

composto da dodici cammei ovali in corallo (forse opera di<br />

Matteo Bavera).


LO SCRIGNO DEI RICORDI<br />

FIBRE, TESSUTI, TAGLIO E TAGLIE SARTORIALI<br />

Roberta Civiletto/Caterina Dessy<br />

L<br />

’imminente apertura di una nuova sezione, all’interno<br />

del Museo “Agostino Pepoli” di Trapani, dedicata al<br />

costume aulico, che verrà inaugurata con la mostra dal titolo<br />

Preziosi abiti tra rococò e romanticismo, è stata l’occasione<br />

per sviluppare un lungo e complesso progetto di conservazione<br />

su alcuni abiti antichi, sinora custoditi nei depositi.<br />

Nella fase di ricerca e sperimentazione dell’intervento, avente<br />

carattere multidisciplinare, sono state coinvolte alcune<br />

professionalità altamente specializzate provenienti da Istituti<br />

esterni che, lavorando in perfetta sinergia con il team del<br />

laboratorio, hanno consentito di completare l’azione di recupero<br />

morfologico, seguendo un’attenta ricostruzione filologica.<br />

Inoltre con l’intento di ricreare una suggestiva ambientazione<br />

ed una fedele contestualizzazione storica, ottimizzando<br />

così le potenzialità comunicative degli abiti da esporre,<br />

sono stati ideati e realizzati, dagli allievi dell’Accademia<br />

di Belle Arti di Palermo, sotto la guida e la supervisione del<br />

Laboratorio di <strong>Restauro</strong> e dei docenti (il progetto didattico è<br />

stato condotto da Arianna Oddo affiancata da Alessandra<br />

Tavella) alcune acconciature e copricapi di completamento,<br />

utilizzando svariati materiali compatibili con le norme di<br />

conservazione. I complessi interventi di restauro, numerosi e<br />

diversificati, hanno comportato caso per caso la valutazione<br />

e la risoluzione delle singole problematiche conservative.<br />

Per consentire una più agile comprensione delle particolarità<br />

degli oggetti e delle azioni di risanamento apportate, si è<br />

scelto di illustrare sinteticamente ogni intervento sviluppato<br />

e di fornire alcune notizie storiche sulle opere trattate.<br />

IL RESTAURO DEL NUCLEO DI ABITI<br />

ED ACCESSORIO ANTICHI DEL MUSEO PEPOLI<br />

Caso n. 1- Abito da ricevimento, manifattura italiana<br />

(Sicilia) 1845-1848: abito in tre pezzi in tessuto pékin, fondo<br />

in taffetas di seta giallo oro con motivi a composizione floreale<br />

disposti su nastri trinati, lungo strisce orizzontali, creati<br />

da trame broccate e orditi supplementari (flotté). Bustino<br />

steccato, sagomato a punta davanti, chiuso posteriormente<br />

con ganci. Scollo a barca. Maniche lunghe a pagoda, drappeggiate<br />

sulla spalla, decorate da nastro frangiato con minuti<br />

disegni floreali e merletto blonde in seta écru, con motivi<br />

floreali. Gonna a campana con fitta arricciatura in vita ornata<br />

da due balze, rifinite da largo nastro frangiato con minuti<br />

disegni floreali. Fisciù triangolare chiuso sul davanti da<br />

ganci interni e decorato da nastro trinato e falsi bottoni rivestiti<br />

in seta. L’abito è appartenuto alla famiglia dei Baroni<br />

Curatolo di Trapani. La delicatezza del colore, la raffinatezza<br />

del tessuto, caratterizzato da decorazioni della seta tono<br />

su tono, fanno pensare ad una veste nuziale, particolarmente<br />

vicina ad un’altra della Galleria del costume di Palazzo Pitti.<br />

Carattere tipico dei primi anni quaranta dell’Ottocento è il<br />

modello con busto attillato dalle spalle calate, la gonna a<br />

LABORIANDOL<br />

campana, moderatamente ampia, ma arricchita da balze e<br />

l’uso di stoffe disposte a sbieco nel busto. L’accentuato<br />

degrado molecolare del tessuto e delle decorazioni a merletto,<br />

nonché la vistosa presenza di precedenti restauri, condotti<br />

in maniera impropria, ha indotto ad un intervento conservativo<br />

molto complesso. Dopo avere svolto le necessarie<br />

indagini diagnostiche, utili a valutare anche quali e quanti<br />

possibili stress meccanici avrebbe potuto sopportare l’opera<br />

durante il trattamento, e avere elaborato una minuziosa azione<br />

di rilevamento dati (rilievo fotografico e grafico dei danni<br />

e del taglio sartoriale), l’abito è stato parzialmente smontato.<br />

Successivamente alla pulitura ad aria, la vaporizzazione e la<br />

messa in posa dei singoli elementi, si è proceduto alla fase di<br />

consolidamento ad ago. Le ampie lacerazioni e le estese<br />

lacune, che occupavano la quasi totalità della veste, sono<br />

state integrate totalmente mediante l’applicazione, sul retro,<br />

di un supporto in organza di seta, tinta in laboratorio nel<br />

colore idoneo, utilizzando su ampie superfici la tecnica del<br />

punto postato. Per garantire la necessaria consistenza al tes-<br />

suto e al contempo proteggere la superficie, la fase di consolidamento<br />

è stata completata con la tecnica a sandwich,<br />

applicando a cucito, sul fronte dell’intera stoffa, un sottile<br />

velo di Lione, anch’esso tinto in laboratorio, con una batteria<br />

di filze scansionate (punto pioggia). Si è dunque proceduto<br />

alla delicata fase del riconfezionamento, seguendo<br />

come guida le tracce degli originari punti del cucito. A tal<br />

fine sono stati fondamentali il rilievo sartoriale e i numerosi<br />

riferimenti bibliografici.<br />

Caso n. 2 - Abito femminile Andrienne, manifattura italiana<br />

(Sicilia) 1775-1778 ca. abito del tipo Andrienne originaria-<br />

13


L<br />

14<br />

LABORIANDO<br />

mente composto da due pezzi: sopravveste (manteau) e sottanino<br />

(juppe) oggi mancante. Tessuto in pèkin, fondo raso,<br />

con ordito a disposizione in più colori; effetti creati da un<br />

ordito supplementare che descrive esili righe verticali in<br />

cannellè simpletè e da trame broccate policrome che disegnano<br />

minuti tralci fioriti ad andamento ondulante e sviluppo<br />

verticale, che si succedono orizzontalmente. Sopravveste<br />

aderente al busto con largo pannello posteriore che crea un<br />

leggero strascico, caratterizzato dalle tipiche pieghe a cannone.<br />

Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso, scende<br />

a punta stondata sul davanti ed è chiuso con allacciatura<br />

anteriore nascosta. Ampio scollo carré, decorato con applicazione<br />

di merletto ad ago, in seta avorio, con inserti di piccoli<br />

fiori artificiali policromi. Maniche a palloncino rifinite<br />

da delicato merletto ad ago. Lungo il bordo della sopravveste<br />

si sviluppa un ampio merletto ad ago, simile a quello che<br />

decora scollo e maniche, arricchito da applicazioni di ruches<br />

e torchons sempre in merletto, fiocchi e corolle floreali sintetiche<br />

in tessuto, distribuiti su fasce parallele e orizzontali.<br />

L’ampia veste in origine era sostenuta da panier à conde. L’<br />

abito appartenuto alla nobile famiglia Bulgarella – Ponte, di<br />

Trapani, risponde alla caratteristiche morfologiche citate in<br />

numerosi inventari nobiliari, dove, in corrispondenza dei<br />

beni mobili, sono minuziosamente descritti anche abiti ed<br />

accessori vestimentari. Il modello della veste mostra la sintesi<br />

del gusto francese e di quello esercitato dalla moda<br />

inglese; il primo individuabile nella presenza delle delicate<br />

decorazioni a merletto sui pannelli anteriori della sopravveste,<br />

su scollo e maniche, l’altro evidente nel taglio del corpetto<br />

unito, balenato, chiuso sul davanti. La confezione del<br />

capo, di ottima fattura, potrebbe essere ascritta ad un atelier<br />

siciliano, forse palermitano (secondo una consuetudine della<br />

nobiltà trapanese, già riscontrata dalla consultazione di<br />

documenti di archivio, di acquistare capi d’abbigliamento da<br />

sarti palermitani). L’intervento di restauro applicato sulla<br />

ricca sopravveste è consistito prevalentemente nel ripristino<br />

dell’originaria morfologia del capo e nel recupero dei delicati<br />

merletti che lo ornano, interessati da un accentuato degrado<br />

molecolare. A tale proposito, dopo aver svolto tutte le<br />

indagini diagnostiche preliminari agli interventi conservativi,<br />

e analizzato le qualità cromatiche del tessuto, mediante<br />

l’indagine colorimetrica, si è proceduto alle fasi di pulitura e<br />

messa in forma dell’opera. Un attento studio della foggia<br />

sartoriale, attraverso rilievo grafico, ha preceduto lo smontaggio,<br />

la pulitura, il consolidamento dei merletti e la loro<br />

ricollocazione secondo l’originario andamento sinuoso.<br />

Particolare attenzione è stata posta alla ridefinizione della<br />

volumetria del capo, raggiunta attraverso la messa in posa<br />

del tessuto su appositi supporti creati in laboratorio. Al fine<br />

di costituire una unità formale e visiva dell’abito, si sta procedendo<br />

alla realizzazione di una replica del sottanino, con<br />

un tessuto in raso di seta su cui sarà eseguita una stampa serigrafica<br />

che simulerà gli effetti decorativi e le cromie della<br />

stoffa originaria. Per raggiungere tale esito si è svolto un<br />

meticoloso studio delle decorazioni che caratterizzavano il<br />

ricco tessuto francese con il quale è stato realizzato il capo,<br />

attraverso l’analisi tecnica, merceologica e il rilievo grafico<br />

del modulo disegnativo. Per tale operazione si è rivelata di<br />

fondamentale utilità l’indagine colorimetrica precedente-<br />

mente svolta. La realizzazione della stampa sul tessuto e la<br />

confezione del sottanino è stata affidata a tecnici esperti del<br />

settore, docenti presso l’Istituto Statale d’Arte Filippo<br />

Juvara di San Cataldo (CL).<br />

Caso n. 3 - Abito femminile, Andrienne, manifattura italiana<br />

(Sicilia)1775-1778 ca.: abito del tipo Andrienne composto<br />

da due pezzi: sopravveste (manteau) e sottanino (juppe).<br />

Tessuto in gros de Tours avorio, liseré, broccato in sete policrome<br />

con motivo ad esili tralci e rametti fioriti disposti su<br />

file parallele verticali. Sopravveste aderente al busto con<br />

largo pannello posteriore, che crea un leggero strascico,<br />

caratterizzato dalle tipiche pieghe a cannone. Il sottanino si<br />

allunga fino alle caviglie per lasciare in vista le scarpette,<br />

che dovevano essere in tessuto di seta operato o ornate da<br />

ricami. Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso,<br />

scende a punta stondata sul davanti, ed è chiuso con allacciatura<br />

anteriore nascosta. Ampio scollo ovale. Maniche strette<br />

al gomito del tipo en sabo. L’ampia veste in origine era<br />

sostenuta da panier à conde. La veste, completa delle sue<br />

parti strutturali, ma giunta a noi priva degli éngageantes che<br />

originariamente ornavano gli orli delle maniche, apparteneva<br />

ai Baroni Curatolo di Trapani. Il delizioso capo, confezionato<br />

probabilmente in un atelier sartoriale siciliano, è realizzato<br />

con un tessuto francese di tipico gusto fine Rococò, le<br />

cui principali caratteristiche sono i colori, dalle delicate tinte<br />

pastello, una struttura tessile molto leggera e decorazioni


minute di tipologia floreale. L’Andrienne, con la sua particolare<br />

foggia connotata da larghe superfici, consentiva a chi la<br />

indossava di mostrare tutta la ricchezza del tessuto e dunque<br />

anche di esibire il proprio stato sociale. Come per l’altra<br />

Andrienne, gli interventi di restauro hanno seguito l’impostazione<br />

metodologica che, partendo dallo studio tecnico,<br />

storico e diagnostico, hanno condotto all’azione di risanamento.<br />

Il profondo degrado molecolare del tessuto, caratterizzato<br />

da fenomeni di polverizzazione, dalla presenza, su<br />

larga parte della superficie, di netti tagli longitudinali e lacune<br />

sfrangiate, ha comportato, dopo la necessaria pulitura e<br />

messa in forma dell’opera, l’applicazione di un consolidamento<br />

di tipo “totale”. La scelta del tessuto di supporto è<br />

stata oggetto di un’attenta riflessione: gli elementi sartoriali<br />

della veste, privi di fodera, consentivano di osservare agevolmente<br />

il rovescio della delicatissima stoffa operata a<br />

trame broccate. Questo aspetto costituisce un’importante<br />

caratteristica della foggia e al contempo un importantissimo<br />

dato tecnico per gli studiosi del settore e gli storici del tessuto<br />

o del costume. Era dunque necessario custodire l’istanza<br />

storica e tuttavia fornire al tessuto una valida struttura di<br />

base che gli restituisse la necessaria tenuta meccanica. Si è<br />

allora optato per un tessuto in organza di seta, tinto in laboratorio<br />

nella nuance idonea, con caratteristiche di compattezza<br />

e trasparenza, poi applicato ad ago (ago curvo di tipo chirurgico),<br />

mediante i punti “posato” e “pioggia”, con sottilis-<br />

LABORIANDOL<br />

simo filo di seta. Questo tipo di consolidamento, perfettamente<br />

reversibile, garantirà una facile ispezione del rovescio<br />

del tessuto nonchè una valida integrazione strutturale e visiva<br />

delle lacune. Infine, per restituire unità formale al modello<br />

sartoriale si sta procedendo alla realizzazione di repliche<br />

degli éngageantes, in organza di seta, da applicare in corrispondenza<br />

dei gomiti.<br />

Caso n. 4 - Livrea del Senato, manifattura italiana (Sicilia)<br />

inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana blu e fustagno<br />

color avorio, di linea leggermente svasata, con collo a fascetta<br />

verticale tagliato dritto, spalle rotonde e maniche aderenti<br />

con alti paramani in panno avorio ornati da gallone in velluto<br />

operato, cesellato a due corpi con motivi floreali. Mostre<br />

leggermente stondate, con quattro bottoni in metallo a motivi<br />

araldici, profilo segnato da un alto gallone in velluto uguale<br />

al precedente, chiusura interna con ganci. Tasche in panno<br />

avorio a patta sagomata a tre punte ornate di alto gallone in<br />

velluto operato, cesellato a due corpi, profilati da tre bottoni<br />

metallici. Falde larghe squadrate e leggermente svasate che<br />

si riuniscono posteriormente in doppi piegoni fermati da due<br />

bottoni metallici, con spacco centrale posteriore. Tutte le<br />

strutture interne del capo sono delimitate da un gallone<br />

uguale a quello che definisce le bordure esterne. Fodera in<br />

flanella di colore avorio. La veste mostra la tipica standardizzazione<br />

del modello, tramandandosi per lungo tempo<br />

senza grandi varianti nella foggia e nella gamma cromatica,<br />

riscontrabile in altri numerosi esemplari simili al nostro,<br />

ancora oggi custoditi presso collezioni pubbliche o private.<br />

Le caratteristiche formali della livrea, il colore blu del panno<br />

e la tipologia del gallone inducono a pensare che il capo<br />

fosse stato indossato dal personale del senato cittadino in<br />

occasione di cerimonie ufficiali. L’abito era interessato da<br />

un accentuato degrado di tipo fisico e molecolare, caratterizzato<br />

dalla presenza di parziali scoloriture delle tinte e dal<br />

deperimento della struttura tessile con conseguente formazione<br />

di locali buchi e lacune, insieme a fenomeni di polverizzazione.<br />

Dopo le opportune indagini, si è passati alle fasi<br />

di pulitura, messa in forma, integrazione di lacune e generale<br />

consolidamento. Vista la robustezza della originaria struttura<br />

tessile, per l’integrazione ad ago si sono individuati dei<br />

tessuti molto simili a quello originale, in fibra di natura animale,<br />

poi tinti in laboratorio per raggiungere le diverse cromie<br />

occorrenti.<br />

Caso n 5 - Livrea per la servitù., manifattura italiana<br />

(Sicilia) inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana rossa, di<br />

linea aderente, con collo a fascetta verticale tagliato alto e<br />

dritto, spalle rotonde e maniche aderenti con paramani ornati<br />

da gallone in velluto operato, cesellato a due corpi con<br />

motivi floreali. Mostre stondate, con otto bottoni fasciati e<br />

ricamati a motivi geometrici, profilo segnato da un alto gallone<br />

in velluto uguale al precedente ma all’interno del quale<br />

è incluso uno stemma (albero con leone rampante); chiusura<br />

interna con ganci. Tasche a patta sagomata a tre punte ornate<br />

di alto gallone in velluto operato, cesellato a due corpi e<br />

da bottoni. Falde squadrate e sfuggenti che si riuniscono<br />

posteriormente in doppi piegoni fermati da un bottone, con<br />

spacco centrale posteriore. Tutte le strutture interne del capo<br />

sono delimitate da un gallone uguale a quello che definisce<br />

le bordure esterne. Fodera in flanella di colore marrone bru-<br />

15


L<br />

16<br />

LABORIANDO<br />

ciato. La veste, caratterizzata da un taglio sartoriale che<br />

risponde ai dettami della moda maschile in auge, si distingue<br />

per fasto ed eleganza. Se questo genere di capo, destinato<br />

alla servitù di aristocratiche famiglie o ai dipendenti pubblici,<br />

subisce la standardizzazione del modello, tramandandosi<br />

poi immutato per lungo tempo nella foggia e nella gamma<br />

cromatica, il nostro esemplare è tuttavia l’esempio di come,<br />

a certi livelli, il prestigio e la ricchezza della nobiltà fossero<br />

esibiti in occasione delle pompe sociali, anche attraverso<br />

l’immagine esteriore del proprio personale di servizio.<br />

L’intervento di restauro ha seguito il consueto iter di pulitura,<br />

messa in forma, e consolidamento.<br />

Caso n. 6 – Ventaglio, manifattura francese, 1840-45: stecche<br />

(n. 16) in osso traforato, dorato, con doppia pagina in<br />

carta decorata a stampa, mediante tecnica litografica acquerellata<br />

e dorata, sul verso e sul recto, raffigurante su un lato,<br />

una idilliaca scena campestre e sull’altro una scena con<br />

costumi ottocenteschi. Coronamento realizzato con piume<br />

colorate e minute corolle artificiali. Decorazione con nappa<br />

pendente in fili di seta ritorta e filato in ciniglia. Autore della<br />

stampa litografica: Palamede De Viseontin. Il ventaglio, fondamentale<br />

accessorio dell’abbigliamento femminile, diviene<br />

nell’Ottocento oggetto anche di propaganda, divulgazione di<br />

temi storici, patriottici, letterari e musicali. La tipologia<br />

strutturale dell’oggetto, la tecnica di stampa utilizzata, le<br />

decorazioni ed i soggetti raffigurati consentono di datare l’opera<br />

alla prima metà dell’Ottocento. La pulitura della strut-<br />

Le attività di conservazione sono state<br />

condotte dai tecnici del laboratorio di<br />

restauro di manufatti di origine organica<br />

del CRPR<br />

tura in osso è stata eseguita ad aria e mediante l’uso di un<br />

tensioattivo (Tween 20). Le pagine, interessata da numerose<br />

lacune, sono state integrate con polpa di carta e alcune zone<br />

sono state riequilibrate nei toni ad acquarello. Il consolidamento<br />

è stato effettuato con nebulizzazione di CMC diluito<br />

con acqua deionizzata.<br />

Caso n. 7- Scarpe (un paio), manifattura italiana (Sicilia)<br />

prima metà del XIX secolo: scarpe femminili piane con<br />

tomaia in vitellino, tagliata in due pezzi, rifinita al bordo da<br />

fettuccia in taffetas di seta di colore marrone; fodera interna<br />

in pelle di capra allumata. Punta quadrata, lunghi lacci<br />

laterali in taffetas di seta, colore marrone. Fodera in pelle<br />

di capra allumata, suola in cuoio. La scarpa bassa iniziò ad<br />

essere usata durante il periodo impero, quando era abbinata<br />

ad abiti di gusto neoclassico. Il suo uso continuò tuttavia<br />

con lievi variazioni fino alla metà dell’Ottocento. Le nostre<br />

scarpette erano deformate, interessate da un marcato inaridimento<br />

del cuoio e da uno spesso strato di polvere grassa.<br />

I lacci si mostravano pieni di grinze e pieghe, mentre la<br />

struttura tessile presentava fragilità meccanica. Le calzature<br />

sono state ripulite mediante pulitura ad aria con micro<br />

aspiratore e pulitura meccanica attraverso l’uso di un tensioattivo<br />

(Tween 20). La morfologia delle scarpe è stata<br />

riacquistata mediante un’idratazione controllata e l’inserimento<br />

di sostegni flessibili in cartoncino a lunga conservazione.<br />

I lacci sono stati puliti, messi in forma e consolidati<br />

ad ago.


Cerami, Abbazia di San Benedetto. Madonna della Lavina, prima dell’intervento<br />

VIRGO LACTANS<br />

LA MADONNA DELLA LAVINA DI CERAMI<br />

Chiara Caldarella/Alessandra Longo<br />

LABORIANDOL<br />

La ricerca, condotta dall’Unità per i Beni Storico-artistici,<br />

iconografici ed etnoantropologici e pubblicata nel<br />

2006 in “U circu e a bannera. Le feste di San Sebastiano a<br />

Cerami” - “I quaderni di Palazzo Montalbo”, è stata l’occasione<br />

che ha spinto i tecnici del CRPR a prendersi cura di<br />

una tavola quattrocentesca raffigurante la Madonna della<br />

Lavina, custodita nella chiesa abbaziale di San Benedetto a<br />

Cerami in pessimo stato di conservazione. Il dipinto con la<br />

Vergine assisa in trono in atto di allattare il Bambino tra due<br />

angeli (Virgo Lactans) è un’opera poco conosciuta, che,<br />

come molte altre immagini sacre, ha svolto fin dall’antichità<br />

un ruolo molto importante nell’immaginario collettivo, conservando<br />

ancora oggi un inscindibile legame con la popolazione<br />

locale. La denominazione della Madonna della Lavina<br />

è infatti legata alla presenza di un piccolo torrente, in dialetto<br />

u lavinaru, che scorre nelle campagne attorno a Cerami,<br />

dove sorge una piccola chiesetta, anticamente una cappella<br />

annessa a un convento di suore benedettine, nella quale leggendariamente<br />

si trovava la tavola prima di essere trasportata<br />

nel monastero annesso all’abbazia di San Benedetto, dove<br />

oggi è conservata1 . La preziosità dell’opera e l’avanzato<br />

stato di degrado sono state le ragioni principali che hanno<br />

spinto i tecnici del CRPR alla progettazione di un intervento<br />

conservativo, che, giunto finalmente alla conclusione, grazie<br />

alla sinergia della ricerca di coloro che vi hanno collaborato,<br />

ha ridato splendore ad un’opera di sicuro pregio artistico. Per<br />

impostare correttamente l’intervento di restauro e di conservazione<br />

è stato necessario conoscere esattamente la tecnica<br />

artistica di esecuzione, definire i fenomeni del degrado e<br />

risalire alle loro cause. Per questo motivo il dipinto è stato<br />

sottoposto ad un approfondito studio interdisciplinare basato<br />

sulle indagini diagnostiche sistematiche e complete, che<br />

hanno permesso di individuare correttamente le linee guida<br />

per l’intervento e per la metodologia di conservazione.<br />

Gli accurati esami scientifici e lo studio sulla particolare tecnica<br />

di esecuzione del dipinto, realizzato a tempera con<br />

impiego di oro sulla tela, incorporata allo strato della preparazione<br />

della superficie pittorica, hanno aggiunto importanti<br />

notizie utili alla conoscenza dell’opera stessa e delle sue<br />

caratteristiche tecniche, sopperendo in qualche modo all’esiguità<br />

delle fonti documentarie. Il risultato delle indagini chimiche<br />

sulla tecnica ha infatti permesso di avanzare l’ipotesi<br />

di un intervento di un pittore esterno o di un pittore locale,<br />

condizionato da metodologie usate tradizionalmente in altri<br />

ambiti culturali 2<br />

. Contestualmente, attraverso l’analisi storico-artistica<br />

e filologica, si è cercato di ricostruire il clima<br />

culturale nel quale collocare l’opera, riconosciuta come un<br />

pregevole esemplare di quella corrente artistica, diffusa tra<br />

il XIV e il XV secolo nell’Italia meridionale, sulla quale, su<br />

una premessa di origine bizantina, si innestarono gli esiti<br />

della cultura occidentale con uno sguardo rivolto alla pittura<br />

senese, agli elementi veneto-marchigiani e al decorativi-<br />

17


L<br />

18<br />

LABORIANDO<br />

smo catalano 3 . La datazione dell’opera, basata principalmente<br />

sull’analisi stilistica, è stata supportata anche dai risultati<br />

dell’indagine dendrocronologica, che, attraverso il confronto<br />

delle varie sincronizzazioni, ha presumibilmente collocato<br />

l’età della tavola nel periodo compreso tra il 1433 e il<br />

1486, individuando l’autore in un artista attardato che sembra<br />

abbia riproposto i caratteri della cultura di inizio<br />

Trecento rinnovandoli, con un modellare più fluido, non solo<br />

nell’impostazione ma anche nell’adozione di un nuovo e originale<br />

partito decorativo.<br />

L’intervento sul dipinto ha avuto un notevole interesse<br />

anche ai fini della sperimentazione, che ha riguardato<br />

soprattutto le fasi del consolidamento e della pulitura dello<br />

strato pittorico, che si presentava molto lacunoso. L’attenta<br />

operazione di pulitura, che ha consentito di rimuovere le<br />

ridipinture estese riportando alla luce i colori originari, ha<br />

svelato elementi interessanti per quanto riguarda la tessitura<br />

cromatica del film pittorico realizzata con colori squillanti<br />

stesi con pennellate corpose, entro il segno grafico<br />

degli ornati e le linee spesse del contorno dei volti, delle<br />

mani, che rievocano tendenze stilistiche di matrice spagnola,<br />

rintracciabili ad esempio nel grande retablo del<br />

Maestro di Arguis, ora al Prado, realizzato tra la fine del<br />

XIV e l’inizio del XV secolo.<br />

Riguardo all’iconografia della Virgo lactans, raffigurata<br />

nella tavola, è generalmente accettata l’opinione che l’immagine<br />

della Vergine allattante sia derivata dalla antica rappresentazione<br />

di Iside che allatta il dio pagano Horus. Il tema<br />

cristianizzato della Madonna con Bambino, (avvenuto in<br />

Egitto e diffusosi dal 431, dopo il concilio di Efeso) 4 fu recuperato<br />

solo nel secolo XII e incontrò enorme successo a partire<br />

dal XIII secolo, stimolando una fiorente produzione<br />

d’immagini devozionali sia nella pittura che nella scultura,<br />

in coincidenza con la diffusione, promossa dai crociati, delle<br />

icone della Galactotrephousa, o Madonna allattante. Una<br />

tesi recente, formulata da Ludovico Rebaudo, riguardo all’origine<br />

dell’iconografia della Vergine allattante, sostiene,<br />

invece, l’esistenza di una tradizione iconografica occidentale<br />

dello stesso tema connesso ab origine ad un’antica rappresentazione<br />

dell’Adorazione dei Magi, che prescinde dalla<br />

raffigurazione di Iside e precede la Galaktrophoùsai copta di<br />

oltre un secolo 5 .<br />

Il soggetto di Maria che allatta, che esprime nella delicatezza<br />

dei tratti della figura della Madonna una connotazione<br />

realistica e affettiva, fu variamente riprodotto nel<br />

XIV secolo soprattutto nella pittura iberica e indubbiamente<br />

la circolazione dei modelli spagnoli nei territori<br />

siciliani del regno aragonese condizionò profondamente<br />

gli artisti ed in generale i gusti della committenza, che<br />

talora impose agli autori non solo scelte stilistiche ma<br />

anche iconografiche. Anche l’attardata impostazione<br />

tardo-gotica della composizione, in cui l’unico movimento<br />

della figura statica della Vergine è affidato alla banda<br />

dorata spiraliforme, che sottolinea l’orlo del mantello o<br />

maphorion indossato sopra la tunica, sembra riproporre<br />

modelli graditi a maestri catalani italianizzanti, quali il<br />

Maestro di S.Marco, il presunto Ramon Destorrents, o<br />

quello di Estopiñan, richiamati nella definizione dei tratti<br />

fisionomici del Bambino e degli angeli, nello ricerca di<br />

una espressività più calcata nello sguardo della Vergine e<br />

nell’ombreggiatura degli incarnati. Ad ogni modo la presenza<br />

di particolari caratteri arcaici della Vergine ( il<br />

taglio degli occhi, l’esile tratto delle sopracciglia, il naso<br />

affilato, l’inclinazione del volto, la lumeggiatura del viso<br />

e del collo, la posa del Bambino, la rigidità delle mani) si<br />

trova similmente anche in alcune opere di artisti siciliani,<br />

come il Maestro del Trittico di Santa Maria a Licata,<br />

vicino alla cerchia di Louis Borrasà, con un preciso rinvio<br />

alle opere degli spagnoli Ermanno e Pietro Serra, ben<br />

noti in Sicilia già alla fine del XIV secolo 6 . Anche nel<br />

tendaggio decorato a ramages, steso dietro le spalle della<br />

Vergine, o nel disegno del cuscino ai piedi, che consiste<br />

in un tracciato di forme regolari come in una stoffa a<br />

broccato si possono rintracciare le tendenze decorative di<br />

gusto valenzano che avvalorano l’ipotesi che gli aspetti<br />

caratterizzanti di questo dipinto risentano del gusto<br />

eclettico, rivestito di nuovo vigore, che circolava tra i<br />

possedimenti della corona aragonese.<br />

Particolare della Vergine durante l’intervento.


Nota di restauro<br />

L’opera è composta da un dipinto a tempera su tavola<br />

(cm166 x 63 e cm2, circa, di spessore) e da una cornice<br />

lignea dipinta e dorata (circa cm30 di larghezza)<br />

entrambi cuspidati sulla parte superiore.<br />

Su tutta la superficie del supporto ligneo si trova una<br />

preparazione bianca dove è stata applicata un’unica tela<br />

a trama fitta di colore chiaro; su di essa è stato steso un<br />

altro strato di preparazione uguale alla sottostante che<br />

accoglie la pellicola pittorica. La cornice è stata eseguita<br />

a foglia d’argento meccato sulle parti aggettanti e<br />

dipinta in verde sulle modanature interne.<br />

Il manufatto, prima dell’intervento, si presentava molto<br />

offuscato per la presenza di un film grigiastro, si notavano<br />

estese ridipinture e lacune della pellicola pittorica,<br />

della preparazione e della tavola ed erano presenti<br />

fori e chiodi fissati sulla superficie dovuti all’applicazione<br />

di oggetti devozionali e ornamentali in relazione<br />

al culto dell’effige. Anche sulla cornice vi erano delle<br />

ridipinture localizzate sulla zona inferiore e, diffusamente,<br />

erano presenti lacune e chiodi.<br />

La struttura lignea dell’opera si presentava in generale<br />

compatta, ad eccezione di alcune zone che si mostravano<br />

indebolite da una pregressa infestazione di insetti<br />

xilofagi, che era ancora in atto, sulla cornice, al momento<br />

dell’arrivo in laboratorio. Il metodo di disinfestazione<br />

scelto è stato quello delle atmosfere modificate per<br />

sottrazione di ossigeno, tramite sacchetti ermetici contenenti<br />

polvere di ferro; con questa operazione si è attivata<br />

una collaborazione con i tecnici della Galleria<br />

Regionale di Palazzo Abatellis Arabella Bombace,<br />

Tiziana Lorenzetti e Bianca Pastena, con le quali, per<br />

tutte le fasi successive, si è proceduto seguendo il principio<br />

del “minimo intervento”.<br />

Le indagini chimiche hanno permesso di individuare<br />

nella composizione dei due strati preparatori, insieme<br />

alla colla animale, l’inusuale presenza di gesso anidro,<br />

elemento molto solubile in acqua che ha determinato la<br />

fragilità del composto, che è da considerarsi tra le cause<br />

principali della caduta di colore.<br />

Una particolare attenzione, quindi, è stata rivolta al<br />

consolidamento della preparazione e della superficie<br />

pittorica, che ha rappresentato l’aspetto più importante<br />

e problematico di questo studio. Insieme al restauratore<br />

Alberto Finozzi (CESMAR7) sono state eseguite<br />

numerose misurazioni di forza su campioni precedentemente<br />

preparati con diversi consolidanti in diverse<br />

diluizioni. Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione,<br />

sulla base del principio del minimo intervento<br />

e secondo la “necessità”del manufatto, è stato<br />

scelto il consolidante da utilizzare ed in quale percen-<br />

LABORIANDOL<br />

tuale applicarlo.<br />

Per la scelta dell’intervento di reintegrazione pittorica<br />

ci si è avvalsi dell’elaborazione informatizzata di tavole<br />

virtuali su supporto digitale eseguite da M.Francesca<br />

Mulè e M.Rosalia Carotenuto. Al fine di una corretta<br />

lettura del dipinto si è preferito reintegrare pittoricamente<br />

le piccole lacune degli incarnati e trattare le<br />

grandi ed estese mancanze di colore con la tecnica della<br />

“tinta neutra” eseguita direttamente sulla tela.<br />

Tutte le operazioni sono state documentate con immagini<br />

fotografiche e sono state effettuate anche le mappature<br />

dello stato di conservazione, dei prelievi e dei<br />

punti di misura delle indagini scientifiche. L’opera<br />

infatti è stata sottoposta nei laboratori del <strong>Centro</strong> ad<br />

analisi chimiche, fisiche, microbiologiche, entomologiche,<br />

xilotomiche, dendrocronologiche e merceologiche<br />

per l’individuazione dei materiali costitutivi e sopramessi<br />

e per la ricerca delle cause di degrado. A tal proposito<br />

è stato eseguito il monitoraggio microclimatico<br />

all’interno della chiesa che ospita il dipinto.<br />

Fase del consolidamento dello strato pittorico<br />

Indirizzo metodologico fornito dal comitato scientifico all’uopo composto da Franco Fazzio, Antonio Rava, Lorella Pellegrino, Alberto Finozzi.<br />

<strong>Restauro</strong> della cornice laboratori di P. Abatellis. Si ringrazia la Dott.ssa Giulia Davì ed i tecnici del Gabinetto di <strong>Restauro</strong> della Galleria per la<br />

collaborazione al restauro del dipinto e della cornice. Le attività di restauro sono state condotte dai tecnici del laboratorio di restauro materiali<br />

di origine organica del CRPR - Gabinetto Tele e Tavole<br />

19


L<br />

20<br />

LABORIANDO<br />

Particolare del maphorion del mantello della Vergine durante la pulitura<br />

NOTE<br />

V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato<br />

da Gioacchino Di Marzo, 2 vol., Palermo 1855-1856, I, alla voce<br />

“Cerami”, pp. 319-320 “...[Cerami] II Monastero di monache è adorno del<br />

titolo di Santa Maria di Lavina, sotto gli istituti di San Benedetto; erano<br />

quelle un tempo fuori il paese; stanno oggi sotto il tempio principale e<br />

mostrano un’antichissima tavola di Madonna, illustre per meravigliosi prodigi.’’;<br />

G.Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1900, p.224. Il Pitrè<br />

riporta una notizia sulla tavola, collegata al cerimoniale della festa in suo<br />

onore a Cerami.<br />

Altri esempi di opere eseguite con la stessa tecnica sono: gli scomparti del<br />

retablo sottostante gli affreschi attribuiti al fiorentino Dello Delli nella cattedrale<br />

di Salamanca, la tavola con l’Ascensione (Palermo, Galleria<br />

Regionale “Palazzo Abatellis”) e la tavoletta con la Madonna e il Bambino<br />

(Alcamo, Chiesa dei SS. Paolo e Bartolomeo) .<br />

A. De Bosque, La pittura italiana in Spagna, 1968 p. 112, figg. 113-124; L.<br />

Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontri mediterranei, Palermo,<br />

Kalòs, 2008. Già dalla prima metà del Trecento erano giunti in Sicilia dalla<br />

Lombardia la Madonna dell’Umiltà di Bartolomeo da Camogli (1346) e alla<br />

fine del Trecento dalla Toscana opere di Antonio Veneziano, la Madonna<br />

col Bambino di Barnaba di Modena e altri dipinti della bottega di Nicolò da<br />

Veltri, Jacopo di Michele, Turino Vanni, Andrea Vanni e Taddeo di<br />

Bartolo.<br />

Le prime immagini di Maria “Galactotrephousa” o “Madonna allattante”<br />

(così era chiamata in Oriente, mentre in Occidente veniva appellata “Maria<br />

Lactans”) sono di origine copta e si trovano in una cella monastica di Banit<br />

in Egitto e in una caverna eremitica del Monte Latmos in Asia minore (risalenti<br />

ai secc. VI – VII) nonché a Roma in un frammento di scultura del sec.<br />

VI, rinvenuto nel Cimitero di San Sebastiano.<br />

L. Rebaudo, Fausta, Pietas e la Virgo Lactans: migrazione di un motivo, in<br />

Società e cultura in età tardoantica, Atti dell’incontro di studi (Udine 29-<br />

30 maggio 2003), Grassina (FI), 2004, p. 181-209.<br />

Tra le opere stilisticamente più vicine alla tavola di Cerami ed eseguite nella<br />

prima metà del XV secolo si citano anche la Madonna del Latte ( Siracusa,<br />

Galleria Regionale di Palazzo Bellomo), la Madonna in trono che allatta il<br />

Bambino (Siracusa, Arcivescovado), l’affresco con la Madonna delle<br />

Grazie (Palermo, Chiesa di Sant’Agata) o ancora la tavola con la Madonna<br />

in trono che allatta il Bambino (Santa Lucia del Mela (Messina), Chiesa<br />

dell’Annunziata).<br />

Bibliografia<br />

S. Sampere y Miguel, Los cuatrocentistas catalanes,<br />

Barcellona, 1906.<br />

L. Ozzola, L’arte spagnola nella pittura siciliana del<br />

secolo XV, in “Rassegna Nazionale”, gen. 1909.<br />

E. Mauceri, La pittura in Siracusa nel secolo XV, in<br />

“Rassegna d’Arte”, 1910.<br />

R. Longhi, Frammento siciliano, in ”Paragone”, 47, 1953.<br />

S. Bottari, La pittura del quattrocento in Sicilia,<br />

Messina-Firenze, 1954.<br />

S. Bottari, L’arte in Sicilia, Messina- Firenze 1962.<br />

M.G. Paolini, Ancora del Quattrocento siciliano in<br />

”Nuovi Quaderni del Meridione”, a. II, 1964.<br />

A. De Bosque, La pittura italiana in Spagna, Milano 1968<br />

G.Bresc Bautier, Artistes patriciens et confréries, production<br />

et consummation de l’oeuvre d’art à Palermo et<br />

en Sicile occidentale (1348-1460), Roma 1979.<br />

P. Santucci, La produzione figurativa in Sicilia dalla fine<br />

del XII alla metà del XV , in Storia della Sicilia, dir. da<br />

R. Romeo, V, Napoli-Palermo 1981, pp.<br />

E. Castelnuovo, Presenze straniere:viaggi di opere, itinerari<br />

di artisti nel Quattrocento, in La pittura in Italia.<br />

Il Quattrocento, II, Milano 1986-1987<br />

F. Campagna Cicala, Sicilia, in Dizionario della pittura<br />

e dei pittori, Torino 1994.<br />

F. Abbate, Storia dell’Arte nell’Italia meridionale. Il sud<br />

angioino e aragonese, Roma, 1998<br />

L. Rebaudo, Fausta, Pietas e la Virgo Lactans: migrazione<br />

di un motivo, in Società e cultura in età tardoantica,<br />

Atti dell’incontro di studi, Udine (29 - 30 maggio<br />

2003), Grassina (FI), 2004<br />

L. Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontri<br />

mediterranei, Palermo 2008.


DOSSIER<br />

ANALISI E INDAGINI<br />

DIAGNOSTICHE<br />

TRA ARCHEOLOGIA<br />

E RESTAURO<br />

DOCUMENTAZIONE DI ALCUNE FASI<br />

DELLO STUDIO SCIENTIFICO IN ATTUAZIONE<br />

DEL PROGETTO DI RECUPERO E DI CONSERVAZIONE<br />

DELLA VILLA ROMANA DEL CASALE<br />

DI PIAZZA ARMERINA<br />

21


DOSSIER<br />

22<br />

SPECIE LAPIDEE<br />

I MARMI DELLA VILLA DEL CASALE<br />

Lorenzo Lazzarini<br />

Università IUAV - Venezia<br />

I marmi della Villa del Casale di<br />

Piazza Armerina sono stati in passato<br />

oggetto di attenzione e indagine da<br />

parte di vari studiosi, a iniziare dagli<br />

scavatori (Carandini et al. 1982 ), che<br />

redassero un primo elenco, peraltro<br />

molto incompleto e con errori, delle<br />

specie lapidee presenti, e continuando<br />

con lo studio di Pensabene, anch’esso<br />

non esaustivo e con qualche imprecisione,<br />

per finire poi con i due lavori<br />

dello scrivente (Lazzarini 2003 e<br />

2007) che riguardarono solamente i<br />

marmi e le pietre ancora in posto, e si<br />

basarono solo su una identificazione<br />

autoptica delle varie specie lapidee.<br />

Una recentissima indagine, sempre di<br />

chi scrive, estesa alle diverse decine di<br />

cassette di frammenti marmorei raccolti<br />

nel corso dello scavo sia della<br />

Basilica che del resto della villa, e<br />

opportunamente integrata da indagini<br />

archeometriche di laboratorio eseguite<br />

su campioni prelevati principalmente<br />

dalla Basilica stessa, rende ora possibile<br />

la stesura di un elenco delle qualità<br />

di marmi presenti nell’edificio, che si<br />

ritiene pressoché definitivo almeno per<br />

quanto sinora messo in luce e studiato,<br />

e una prima serie di considerazioni sull’impiego<br />

dei materiali lapidei di<br />

importazione nella villa.<br />

L’elenco di quest’ultimi viene sintetizzato<br />

in tabelle suddivise per area geografica<br />

di provenienza (vedi pag. 24), e<br />

fornisce una valutazione semiquantitativa<br />

dei materiali e un’indicazione<br />

delle tipologie d’uso. Per valutare la<br />

quantità, ci si è basati sul numero di<br />

casse riempite per ciascuna specie, in<br />

particolare:<br />

da uno, sino a qualche decina di frammenti,<br />

presenza in tracce<br />

da una a tre casse, presente<br />

da tre sino a cinque casse, abbondante<br />

oltre cinque casse, molto abbondante.<br />

Circa la tipologia d’uso, si sono facilmente<br />

identificati gli elementi architettonici<br />

(principalmente cornici e loro<br />

frammenti, colonne e loro frammenti,<br />

capitelli e loro frammenti), nonché gli<br />

altri manufatti e loro frammenti (ad es.<br />

vasche), mentre si è assunto lo spessore<br />

delle lastre per distinguere i rivestimenti<br />

pavimentali (spessore > di 1 cm)<br />

da quelli parietali (spessore ≤ di 1 cm).<br />

L’identificazione dei marmi colorati,<br />

come si è detto sopra è stata largamente<br />

basata su un riconoscimento autoptico<br />

e per confronto con specifici atlanti<br />

fotografici (Mielsch 1985; Borghini<br />

1989; Dolci, Nista 1992; Pensabene,<br />

Bruno 1998) ma anche su studi minero-petrografici<br />

al microscopio polarizzatore<br />

di sezioni sottili di campioni<br />

delle specie lapidee di incerta provenienza,<br />

e di quelle sconosciute.<br />

L’identificazione dei marmi bianchi e<br />

bigi è invece da considerarsi ampiamente<br />

ipotetica perché basata sulle<br />

loro caratteristiche macroscopiche<br />

(dimensioni della grana, colore, brillanza,<br />

etc.), salvo che per un numero<br />

significativo di campioni, prelevati per<br />

litotipo e in modo rappresentativo, che<br />

sono stati identificati con una buona<br />

probabilità di esattezza del risultato<br />

mediante dettagliato esame petrografico<br />

in sezione sottile combinato ad analisi<br />

degli isotopi stabili del carbonio e<br />

dell’ossigeno, e tenendo conto della<br />

relativa banca dati più aggiornata tra<br />

quelle attualmente esistenti (Gorgoni<br />

et al. 2002).<br />

Sui dettagli di tali identificazioni di<br />

laboratorio, si rimanda allo specifico,<br />

recente rapporto scientifico redatto per<br />

la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di<br />

Enna (Lazzarini 2009).<br />

Per informazioni storico-archeologiche<br />

e archeometriche sulle varie specie<br />

lapidee identificate, si consiglia la consultazione<br />

delle pubblicazioni di Gnoli<br />

(1988); Borghini (1989), con relativa<br />

recensione di L.Lazzarini (1990); De<br />

Nuccio, Ungaro (2002); Lazzarini<br />

(2004 e 2007).<br />

Come si desume dalle tabelle, sono i<br />

marmi di origine ellenica che prevalgono<br />

su tutti gli altri. In particolare, si<br />

può senz’altro affermare che siano le<br />

due specie lapidee estratte dall’isola di<br />

Sciro (ora, Skyros), e cioè la breccia di<br />

settebasi e il marmo sciretico bianco, a<br />

predominare. Della prima sono le<br />

grandi colonne del peristilio prospiciente<br />

il mosaico della grande caccia, e<br />

molti riquadri e cornici dell’opus sectile<br />

della basilica; del secondo erano con<br />

ogni probabilità molti dei rivestimenti<br />

parietali e pavimentali, sia della basilica<br />

che di altri spazi della villa. Va<br />

anche notata la considerevole abbondanza<br />

del verde antico, il cui uso e diffusione<br />

è, come noto, da datare a dopo<br />

l’età adrianea, ma la cui massiccia presenza<br />

in contesti romani non è molto<br />

comune.<br />

Dei marmi microasiatici, l’africano<br />

appare il più usato, e solo per rivestimenti,<br />

mentre i graniti sono presenti<br />

specie in colonne. Di questi, il più<br />

abbondante è il misio, presente con


numerosi fusti nel peristilio, dove si<br />

alterna al marmo lesbio e al greco<br />

scritto, ma in origine anche in opera<br />

sottoforma di lastre pavimentali nella<br />

basilica. Meno usato è invece il granito<br />

della Troade, ma ciò è in linea con<br />

un progressivo sorpasso del granito<br />

pergameno su quello troadense avvenuto<br />

verso la fine dell’impero romano,<br />

sorpasso che sembra essersi consolidato<br />

all’inizio dell’era bizantina.<br />

Tra le poche specie litiche di provenienza<br />

africana presenti nella villa, è il<br />

marmo greco scritto che fa la parte del<br />

leone, sia per le colonne, sia in rivestimenti<br />

pavimentali e parietali (specialmente<br />

negli zoccoli alla base delle<br />

varie stanze della villa). Della sua origine,<br />

che nel caso specifico della basilica<br />

sembra essere proprio africana,<br />

non si può essere del tutto certi per<br />

tutte le lastre presenti anche negli altri<br />

ambienti (Antonelli et al., 2009), che<br />

potrebbero pure essere di provenienza<br />

microasiatica (proconnesia e/o efesina)<br />

vista l’ancora imperfetta conoscenza<br />

sia archeologica, sia archeometrica<br />

delle varie facies denominate “greco<br />

scritto”. Molto abbondante, per gli<br />

stessi usi del litotipo precedente, è il<br />

marmo numidico. Da notare anche la<br />

preferenza accordata alla sienite per le<br />

due grandi colonne d’ingresso alla<br />

basilica, ciò che è da collegare a un<br />

maggior prestigio mantenuto anche in<br />

età tardo-antica da questo granito<br />

rispetto a quelli microasiatici.<br />

Dei marmi di origine italica, infine non<br />

si può che osservarne l’esigua presenza,<br />

con la parziale esclusione del marmo<br />

lunense, molto usato per cornici e rivestimenti,<br />

a conferma di una persistenza<br />

dell’impiego di materiali lapidei esotici<br />

quali indicatori dell’elevato stato sociale<br />

del proprietario della villa.<br />

Un’ultima considerazione va fatta<br />

circa la presenza nella basilica, per<br />

quanto in pochissimi, addirittura singoli,<br />

frammenti di alcune pietre molto<br />

rare, come il granito verde fiorito di<br />

bigio, la breccia rossa appenninica, la<br />

breccia di Aleppo, il semesanto, tutte<br />

di grande pregio e caratterizzate da un<br />

impiego che solitamente arriva al massimo<br />

sino all’età flavia, ciò che farebbe<br />

supporre un reimpiego nei pavimenti<br />

e pareti della grande sala cerimoniale<br />

di materiali più antichi probabilmente<br />

portati a Filosofiana da altri<br />

centri romani dell’isola.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Antonelli et al. 2009 - F. Antonelli, L.Lazzarini., S. Cancelliere, D. Dessandier, Minero-petrographic and geochemical characterization<br />

of “Greco Scritto” marble from Cap de Garde near Hippo Regius (Annaba, Algeria), in “Archaeometry”, 51, 2009.<br />

Borghini 1989 - G. Borghini (a cura di), Marmi Antichi, Roma 1989.<br />

Pensabene, Bruno 1998 - P. Pensabene, M. Bruno, Il marmo e il colore, guida fotografica. I marmi della collezione Podesti,<br />

Roma 1998.<br />

Carandini et. al 1982 - A. Carandini , A. Ricci., M. De Vos, Filosofiana. La Villa di Piazza Armerina, Palermo 1982.<br />

Dolci, Nista 1992 - E. Dolci, L. Nista (a cura di), Marmi Antichi da Collezione, Carrara 1992.<br />

Gnoli 1988 - R. Gnoli, Marmora Romana, Roma 1988.<br />

Gorgoni et al. - C. Gorgoni., L. Lazzarini., P. Pallante, B. Turi B., 2002, An updated and detailed mineropetrographic and C-O<br />

stable isotopic reference database for the main Mediterranean marbles used in antiquity, in “ASMOSIA 5, Interdisciplinary<br />

Studies on Ancient Stone” (J.J.Herrmann, N.Herz, & R.Newton eds.), London 2002, pp. 115-131.<br />

Lazzarini 1990 - L..Lazzarini L., in “Bollettino d’Archeologia”, 5-6, 1990, pp. 255-268<br />

Lazzarini 2003 - L. Lazzarini, I materiali lapidei e vetrosi delle tessere musive delle terme di Villa del Casale (Piazza Armerina),<br />

in Atti del Primo Convegno Internazionale di Studi La materia e i segni della Storia, I, “Apparati musivi antichi nell’area del<br />

Mediterraneo”, I Quaderni di Palazzo Montalbo, Palermo 2003.<br />

Lazzarini 2004 - L. Lazzarini (a cura di), 2004, Pietre e marmi antichi: natura, caratterizzazione, origine, storia d’uso, diffusione,<br />

collezionismo, Castenaso (Bo), 2004.<br />

Lazzarini 2007 - L. Lazzarini, Poikiloi lithoi, versiculores maculae. I marmi colorati della Grecia antica, Roma-Pisa 2007.<br />

Lazzarini 2007a - L. Lazzarini, Caratterizzazione dei materiali lapidei e vetrosi, In Progetto di recupero e conservazione della<br />

Villa Romana del Casale di Piazza Armerina<br />

I RESTAURI IN CORSO ALLA VILLA DEL CASALE SONO DIRETTI DAL CRPR<br />

DIR. DEI LAVORI GUIDO MELI<br />

DIR. OPERATIVO PER IL SETTORE LAPIDEI<br />

RESTAURATRICE LORELLA PELLEGRINO<br />

23<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

24<br />

TABELLE COI RISULTATI OTTENUTI<br />

NOME ANTICO DEL MARMO, E PROVENIENZA ABBONDANZA<br />

TIPOLOGIA D’USO<br />

SINONIMI MODERNI<br />

RELATIVA<br />

Breccia di settebasi Isola di Skyros +++ RPAV, C, RPAR<br />

M. thessalicum, lapis atracius, verde antico Chasabali (Larisa) +++ RPAV<br />

Marmor lesbium, bigio antico Moria, Isola di Lesbo ++ RPAV, C<br />

Marmor scyreticum, marmo sciretico bianco Kolones, Isola di Skyros ++ RPAR, RPAV, CO<br />

Marmor chium, porta santa Latomi, Isola di Chio ++ RPAV<br />

Marmor charystium, marmor styrium, cipollino<br />

verde<br />

Karystos, Styra, Isola Eubea ++ RPAV, RPAR<br />

Rosso antico Penisola di Mani (Pelop.) ++ RPAV, RPAR, CO<br />

M. lacedaemonium, serpentino, porfido verde<br />

antico<br />

Stefanià (Peloponneso) + RPAV<br />

Marmor pentelicum Monte Penteli, Atene + RPAV, RPAR, CO<br />

Marmor Thasium (due varietà) Isola di Taso + RPAV, RPAR<br />

Marmor chalcidicum, fior di pesco Eretria, Isola Eubea ± RPAV, RPAR<br />

Semesanto Isola di Skyros ± RPAV<br />

Cipollino bigio Karystos, Isola Eubea ± RPAV<br />

Breccia di Aleppo Kariés, Isola di Chio ± V<br />

Marmi di origine ellenica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />

rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.<br />

NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA TIPOLOGIA<br />

RELATIVA D’USO<br />

Marmor lucullaeum, africano Sigacik, Izmir +++ RPAV, RPAR<br />

Marmor proconnesium. M. cyzicenum, m. greco<br />

fetido<br />

Saraylar, etc. , Isola di Marmara +++ RPAV, RPAR,<br />

C, CAP, CO<br />

Marmo misio, granito misio Kozak, Bergama +++ C, RPAV<br />

Marmor sagarium, breccia corallina, breccia Vezirhan, Bilecik +++ RPAV, RPAR<br />

nuvolata, brocatellone<br />

Marmor Carium, m.iassense, cipollino rosso,<br />

africanone<br />

Marmor phrygium, m.docimenum,<br />

m.synnadicum, pavonazzetto<br />

Kiykislacik, Mylasa + RPAV<br />

Iscehisar, Afyon + RPAV, RPAR<br />

Marmor troadense, granito violetto Cigri Dag, Ezine + C<br />

Bianco e nero tigrato ??, prob.prov. anatolica ± RPAV<br />

Alabastro fiorito ??, prob.prov. anatolica ± RPAV<br />

Marmi di origine microasiatica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />

rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.<br />

NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA<br />

RELATIVA<br />

TIPOLOGIA D’USO<br />

Marmor numidicum, giallo antico Chemtou, Tunisia +++ RPAV, RPAR<br />

Greco Scritto, anche brecciato Cap de Garde, Algeria; altre +++ RPAV, RPAR, C, CO<br />

Lapis porphyrites, porfido rosso antico<br />

provenienze ignote<br />

Gebel Dokhan, Deserto Orientale<br />

Egiziano<br />

+ RPAV, RPAR<br />

Alabastro a Pecorella Oran, Algeria + RPAV<br />

Granito verde fiorito di bigio Wadi Umm Balad, Deserto Orientale<br />

Egiz.<br />

± RPAR<br />

Lapis pyrrhopoecilus, lapis thebaicus, sienite Aswan, Egitto ± C<br />

Lapis alabastrites, alabastro cotognino Hatnub, etc. Egitto ± RPAV, RPAR<br />

Marmi di origine africana. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />

rivestimenti parietali; C, colonne; CAP, capitelli, CO, cornici;V, vasche.<br />

NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA TIPOLOGIA<br />

RELATIVA D’USO<br />

Marmor Lunense, marmo di Carrara (tutte le<br />

varietà)<br />

Alpi Apuane +++ RPAV,<br />

CO<br />

RPAR,<br />

Marmo rosso fiorito S.Marco d’Alunzio (Messina) + RPAV<br />

Alabastro (siciliano ??) + RPAV<br />

Breccia rossa appenninica Coregna, La Spezia ± RPAV<br />

Marmi di origine italica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,<br />

rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.


CAMPAGNE DI SCAVI<br />

TRA RICERCHE, ARCHEOLOGIA E RESTAURO<br />

Patrizio Pensabene<br />

Università La Sapienza - Roma<br />

Particolare del mosaico parietale rinvenuto nel settembre 2009 nell’edificio termale fuori la villa difronte l’arco d’ingresso<br />

Premessa<br />

Negli ultimi anni si sono verificati<br />

due grandi eventi che hanno consentito<br />

di riprendere le ricerche sulla<br />

villa e gli immediati dintorni: il<br />

primo costituito dal finanziamento<br />

POR ottenuto dalla Soprintendenza<br />

di Enna per il 2004-2005, riguardante<br />

lo scavo della zona a sud della<br />

villa ritenuta sede della pars rustica;<br />

il secondo dal restauro intrapreso dal<br />

<strong>Centro</strong> Regionale per il <strong>Restauro</strong> di<br />

Palermo che riguarda sia i mosaici,<br />

sia le strutture di copertura, che ha<br />

comportato una nuova campagna di<br />

saggi di scavo durante il 2008 e 2009<br />

per tutto il perimetro della villa e in<br />

molte zone interne. A entrambe le<br />

imprese ha collaborato, per l’indagine<br />

archeologica l’Università di<br />

Roma “La Sapienza”. Sul campo<br />

erano presenti Enrico Gallocchio e<br />

Eleonora Gasparini che hanno seguito<br />

i saggi di scavo e stanno studiando<br />

i materiali<br />

Queste nuove indagini archeologiche<br />

sono state importanti perché gli scavi<br />

di Gino Vinicio Gentili negli anni<br />

‘50, pur nei risultati ottenuti, avevano<br />

lasciato alcune zone d’ombra<br />

nella comprensione storica della<br />

Villa del Casale: prima di tutto sull’impianto<br />

precedente alla Villa tardoromana,<br />

poi circa gli interventi di<br />

restauro e ricostruzione nella Villa<br />

durante il suo uso; erano rimaste nel<br />

complesso ignote anche le vicende<br />

che nel periodo altomedievale, prima<br />

bizantino e poi islamico, avevano<br />

investito il sito della Villa; da ultimo<br />

era limitata ai soli reperti ceramici la<br />

conoscenza di una fase arabo-normanna<br />

del sito in quanto le strutture<br />

murarie relative erano state del tutto<br />

distrutte o messe in pianta solo in<br />

misura ridotta.<br />

In seguito, con gli scavi di De Miro e<br />

di Guzzardi negli anni ’80 del XX<br />

secolo, si erano aggiunti tasselli di<br />

informazione riguardanti proprio le<br />

problematiche suddette anche se<br />

l’assenza o la concisione delle notizie<br />

pubblicate non aveva permesso di<br />

tenere conto del loro significato e ci<br />

ha costretti a riesaminare le strutture<br />

già scavate o a rimetterle in luce sia<br />

per metterle correttamente in pianta ,<br />

sia per sottoporle a nuovi esami alla<br />

luce di quanto da noi scavato successivamente.<br />

25<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

26<br />

Trincea XIII - Pozzo ad est della sala triabsidata - resti di uno scheletro umano<br />

Strutture tardoantiche di immagazzinamento<br />

e di servizi<br />

Tra i dati pubblicati degli scavi De<br />

Miro risultava la presenza di un<br />

grande ambiente sul lato ovest del<br />

piazzale d’ingresso, definito provvisoriamente<br />

stalla, e che in realtà si<br />

presentava come una grande sala tripartita<br />

da pilastri. Ma la revisione<br />

degli scavi, questa volta inediti, di<br />

De Miro ha poi portato all’individuazione<br />

di un secondo grande ambiente<br />

situato subito a sud di questa sala tripartita<br />

1 . I due grandi ambienti, coinvolti<br />

nel nuovo percorso di accesso<br />

alla villa che li attraverserà per poi<br />

piegare verso l’arco d’ingresso, si<br />

sono rivelati essere magazzini per i<br />

prodotti agricoli (noti nella loro tipologia<br />

dalla descrizione di Columella<br />

e da una Villa nel suburbio di Roma<br />

presso Tor Vergata 2 ), e hanno portato<br />

all’identificazione della parte<br />

rustica della Villa a sud della Villa:<br />

qui si può ipotizzare fossero collocati<br />

le cucine e gli impianti produttivi<br />

(torchi e depositi per olio e vino)<br />

Infine nella nostra campagna di<br />

scavo di questi ultimi due anni sono<br />

emerse, sempre a sud della villa (nel<br />

settore ovest dell’insediamento<br />

medievale da noi ora messo in luce:<br />

cfr. infra), strutture tardoantiche<br />

costituite da un vano absidato con<br />

vasca, che conserva anche la soglia e<br />

parte dell’intonaco di rivestimento, e<br />

da altri resti murari, tra cui una vasca<br />

con mosaico parietale, che sono da<br />

interpretare come parte di un piccolo<br />

stabilimento termale: esso pare<br />

orientato grossomodo con i magazzini<br />

sopradetti e ci consente di delinea-<br />

re un piazzale d’ingresso alla villa<br />

circondato da strutture di servizio.<br />

Possiamo ormai affermare anche per<br />

la Villa del Casale che non siamo di<br />

fronte ad una sorta di villa suburbana,<br />

a molti chilometri di distanza da<br />

grossi centri urbani, ma di un’unità<br />

residenziale, amministrativa e produttiva.<br />

Strutture tardo antiche di seconda<br />

fase e di epoca bizantina<br />

In precedenti pubblicazioni abbiamo<br />

rilevato come l’acquedotto est, a<br />

muro pieno, i tamponamenti delle<br />

arcate dell’acquedotto nord e gli speroni<br />

di contrafforte dell’abside della<br />

basilica potessero essere attribuiti ad<br />

una seconda fase della villa caratterizzata<br />

da opere di rinforzo delle<br />

strutture murarie, da recinzioni


difensive nelle quali erano inseriti gli<br />

acquedotti ( in un’arcata di quello<br />

nord venne inserito un portale d’accesso<br />

di cui restano i cardini delle<br />

valve) e da rifacimenti di alcune<br />

murature e di alcuni rivestimenti<br />

parietali (v. le vasche del frigidario<br />

delle terme e di alcuni ambienti dell’appartamento<br />

del Dominus) e pavimentali<br />

(v. il mosaico delle palestrite<br />

che si sovrappone a quello geometrico<br />

della fase originaria e i vari<br />

restauri dei mosaici nelle terme e<br />

altrove): inoltre tutto il perimetro<br />

esterno della villa, compresi gli speroni<br />

di sostegno dell’abside della<br />

basilica, viene intonacato e dipinto<br />

con motivi geometrici in rosso su<br />

fondo bianco, ma anche figurati.<br />

A questa fase, probabilmente ancora<br />

del IV secolo e forse da collocare in<br />

età teodosiana, è da attribuire l’aggiunta<br />

dello Xystus e della sala triabsidata<br />

al nucleo principale basilicagrande<br />

ambulacro-peristilio. Già in<br />

passato si era notato il collegamento<br />

poco organico tra i due complessi,<br />

ipotizzando fasi diverse 3 a cui ora<br />

aggiungiamo l’osservazione che i<br />

recenti scavi archeologici resisi<br />

necessari per le opere di restauro,<br />

hanno evidenziato una prima fase<br />

direttamente sotto il pavimento<br />

dell’Xystus e sul retro: essa attesta<br />

come in età precedente vi fossero<br />

strutture imperniate intorno ad una<br />

corte rettangolare e dalle quali provengono<br />

testimonianze monetarie<br />

costantiniane 4 . Ad una seconda fase<br />

costruttiva rinvia anche il mosaico<br />

geometrico dello spazio aperto dello<br />

xystus, che però si conserva in minima<br />

parte (46b 1 ).<br />

Per ciò che riguarda il primo periodo<br />

bizantino rileviamo che la continuità<br />

abitativa e l’esigenza di mantenere<br />

nella sua forma prestigiosa la villa sono<br />

provate dai continui restauri del mosaico<br />

in particolare nell’Ambulacro della<br />

Grande Caccia, nel braccio est del peristilio<br />

di fronte alle scale di accesso<br />

all’ambulacro (dove s’inserirono due<br />

fasce mosaicate con la probabile acclamazione<br />

di un auriga, Bonifacius) e<br />

nelle terme, anche se progressivamente<br />

si può parlare più di rappezzi che di<br />

integrazioni 5 . Si è anche proposto di<br />

mettere in relazione tale sforzo di mantenimento<br />

con un’eventuale appartenenza<br />

della villa, in questo periodo, ad<br />

un funzionario importante, richiamando<br />

il passo della Vita di S.Gregorio<br />

Agrigentino, redatta dal presbitero<br />

bizantino Leonzio, che menziona un<br />

esarca residente presso Filosofiana 6 ,<br />

dalla Cracco Ruggino però interpretato<br />

come allusione al pretore romano che<br />

avrebbe esercitato a Filosofiana la sua<br />

attività giudiziaria 7 .<br />

Certo, possiamo ora segnalare, in<br />

base ai saggi stratigrafici da noi eseguiti<br />

tra il 2008 e 2009 lungo il perimetro<br />

della villa, interventi di rafforzamento<br />

del muro perimetrale della<br />

villa, in quanto è ora possibile integrare<br />

in base a nuovi scavi nel settore<br />

subito a sud dello Xystus (Saggio<br />

XV) la ricostruzione proposta dal<br />

Gentili -che limitava solo a tre gli<br />

ambienti qui esistenti 8 - con due<br />

avancorpi posti ai lati di questi che<br />

ci restituirebbero l’immagine di un<br />

recinto munito della villa, in quanto<br />

dotato di piccole torri sporgenti in<br />

funzione difensiva. A questa fase ne<br />

segue una successiva in cui viene<br />

ricavato un vano stretto e lungo<br />

attraverso la costruzione di un nuovo<br />

muro gettato tra i due avancorpi, con<br />

muretti divisori che proseguono<br />

quelli già esistenti nord-sud tra i tre<br />

ambienti: data la strettezza del vano<br />

è possibile considerarlo l’alloggiamento<br />

per un terrapieno con lo scopo<br />

di irrobustire il recinto in funzione<br />

difensiva. Un breve tratto di un più<br />

robusto muro di recinzione è stato<br />

scoperto invece ancora più a sud ,<br />

con frammenti ceramici che lo situerebbero<br />

nel VI secolo. 9<br />

E’ probabile che, in analogia a quanto<br />

si verifica in Italia e in Africa<br />

durante il periodo bizantino, quando<br />

le attività produttive della campagna<br />

si spostano per motivi difensivi<br />

all’interno fortificato delle città ,<br />

anche nel caso della Villa del Casale<br />

ci si trovi di fronte ad un processo di<br />

spostamento di tali attività all’interno<br />

del suo perimetro. Infatti in un<br />

saggio (XIII) all’interno dello spazio<br />

di risulta tra l’angolo sudovest della<br />

Villa 10 e il ninfeo dello Xystus è<br />

emersa dal terreno la parte nord di un<br />

ambiente rettangolare che inquadra<br />

una struttura circolare, che era stata<br />

messa in luce dagli scavi di De Miro<br />

negli anni ‘80 11 e di cui si conserva<br />

solo il primo filare di una muratura a<br />

blocchetti irregolari tenuti insieme<br />

da malta terrosa e non da calce: poiché<br />

questa struttura riutilizza come<br />

limite ovest il muro di recinto del<br />

piazzale della villa, a cui si appoggia,<br />

ne abbiamo dedotto l’esistenza<br />

di una fase di occupazione degli<br />

spazi di risulta da ricollegare all’interno<br />

del periodo più tardo di vita<br />

della villa.<br />

Più chiara è la funzione della struttura<br />

venuta alla luce nel saggio (IX)<br />

del settore più a nord, denominato<br />

da Gentili “cucina”, perché lo scavo<br />

ha restituito un muro arcuato in ciotoloni<br />

e privo di calce che si ancora<br />

ad una piccola cisterna più a ovest,<br />

questa volta costruita in opera<br />

cementizia, foderata internamente<br />

con malta idraulica e provvista di<br />

due fori di adduzione e di scarico<br />

costituiti da fistole plumbee. È possibile<br />

che tale struttura sia collegabile<br />

con un ulteriore muro in blocchetti<br />

irregolari e senza calce da noi messo<br />

in luce sempre in quest’area, con<br />

andamento est ovest, che taglia la<br />

canaletta e che a sua volta è interrot-<br />

27<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

28<br />

to da una fossa di scarico medievale<br />

in cui è stato ritrovato il vago in oro<br />

di un orecchino. Saremmo di fronte<br />

nuovamente a approntamenti produttivi<br />

inseriti all’interno del perimetro<br />

della villa nel periodo bizantino,<br />

come già abbiamo visto a proposito<br />

del saggio XIII.<br />

Il grande abitato medievale<br />

Per ciò che riguarda l’organizzazione<br />

dell’abitato medievale arabo normanno<br />

che si sovrappose alla villa e in<br />

parte ne riutilizzò gli ambienti, abbiamo<br />

rilevato la forte possibilità che il<br />

suo centro, in cui dimorava la parte<br />

della popolazione più abbiente, sia da<br />

vedere nell’area corrispondente alla<br />

villa. Al momento in cui fu rioccupata<br />

dall’abitato nel tardo o alla fine del X<br />

secolo, la villa era per una buona parte,<br />

anche se non tutta, interrata 12 per cui<br />

molti degli ambienti medievali erano<br />

costruiti sugli interri che ne coprivano<br />

i resti murari: è inoltre in questa parte<br />

che si addensano i circa 30 pozzi<br />

medievali da noi ritrovati nei saggi di<br />

scavo che hanno accompagnato il controllo<br />

dell’umidità dei muri di fondazione<br />

della villa. Il numero dei pozzi<br />

sta ad indicare che ogni unità delle abitazioni<br />

(obliterate durante gli scavi<br />

degli anni ’50) ne era dotata di uno, al<br />

contrario del settore dell’insediamento<br />

da noi scoperto a sud della villa in<br />

occasione dell’intervento POR –precedente<br />

agli attuali restauri-, dove invece<br />

essi mancano.<br />

I pozzi hanno restituito un abbondantissimo<br />

materiale ceramico prevalentemente<br />

di X-XI secolo, oltre a scheletri<br />

di cavallo e umani.<br />

Si deve nuovamente sottolineare la<br />

presenza di una rocca e/o nucleo<br />

palaziale, con pavimento in mattoni,<br />

riconoscibile negli spessi muri a<br />

nordest dell’abside della Basilica, di<br />

cui erano riutilizzati i contrafforti<br />

come parte della muratura esterna.<br />

NOTE BIBLIOGRAFICHE<br />

1 C. Sfameni, L’insediamento medievale sulla villa del Casale: vecchi scavi,<br />

nuove considerazioni, in P.Pensabene, C.Bonanno, (a cura di),<br />

L’insediamento medievale sulla Villa del Casale di Piazza Armerina,<br />

Martina Franca 2008, pp 95-107.<br />

2 S. Musco, Intervento nell’area sud-ovest del suburbio di Roma in BCom,<br />

89, 1984, p.99, fig.42, dove è stato riconosciuto nella pars rustica un<br />

magazzino di ampie dimensioni con numerosi pithoi ricostruibile a perimetro<br />

rettangolare e con due file di pilastri (restano quelli iniziali) a dividerlo<br />

in tre navate; a sud di questo, separati tramite una corte basolata (con basoli<br />

di reimpiego) da altri ambienti più piccoli (nn.I, III, IV, V, VI, VIII, IX)<br />

destinati a magazzini per attrezzi agricoli, per derrate alimentari e forse stalle;<br />

nell’ambiente V sul pavimento costituito da un battuto di terriccio e<br />

frammenti di cappellaccio vi è una serie di fori per i sostegni del tetto<br />

3 G. Lugli, Contributo alla storia edilizia della villa romana di Piazza<br />

Armerina, in R.I.A., 1963<br />

4 E. De Miro, in AA.VV., La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina,<br />

Cronache d’Archeologia 1984<br />

5 A. Ricci, in Carandini Ricci, De Vos, Filosofiana. La Villa di Piazza<br />

Armerina, Palermo 1982, pp.376-377; Sfameni, in Pensabene Bonanno,<br />

2008, pp.96-97.<br />

6 Leonzio, Vita di San Gregorio Agrigentino, PG 98, col.649 58-59; cfr. A.<br />

Ragona Il proprietario della villa romana di Piazza Armerina, Caltagirone<br />

1962, p.23.<br />

7 L.Cracco Ruggini La Sicilia tra Roma e Bisanzio, in AA.VV., Storia della<br />

Sicilia, 3, Napoli, 1980, pp.66,85; Sfameni, in Pensabene Bonanno 2008,<br />

p.97.<br />

8 Sembrerebbe che al momento dello scavo il muro di fondo dei tre ambienti<br />

suddetti si conservasse soltanto tra cm 20 e 60 e, in quanto l’unico riconosciuto,<br />

sia stato ripreso per un’altezza di poco inferiore ai due metri: Lugli<br />

1963.<br />

9 Pensabene, in Pensabene Bonanno 2008, pp. 14, 21,22, figg.1, 10.<br />

10 L’angolo sud ovest della villa è costituito dall’estremità sud del muro che<br />

limita a est il piazzale antistante l’arco d’ingresso e dal tratto di muro appartenente<br />

al lato sud del recinto che doveva circondare tutta la villa.<br />

11 De Miro E., 1984, p. 61<br />

12 Soprattutto la zona orientale (eccetto il settore est e l’abside della basilica),<br />

meno la zona occidentale dove le terme e alcuni ambienti tardo antichi<br />

erano stati rioccupati al livello o poco sopra quello tardoantico: su un esame<br />

degli ambienti della villa riutilizzati nell’abitato medievale v. Sfameni, in<br />

Pensabene, Bonanno 2008, p.99 (negli ambienti 10, 13-13-15, 17, 18, 20, 23<br />

materiali arabo- normanni sono stati rinvenuti direttamente a contatto con i<br />

pavimenti, insieme a materiali tardoantichi; nell’ambiente 13 il mosaico è<br />

stato tagliato per inserire una fornace, nel 17 il mosaico è stato sostituito da<br />

un pavimento in pietre irregolari, mentre il 18 è stato diviso in due da un<br />

muro poggiante direttamente sul mosaico; altri ambienti sono stati riulizzati<br />

solo creando un pavimento sopraelevato.


LA SOLFATAZIONE DIFFUSA<br />

UNIFORMITÀ DI UN DEGRADO CHIMICO<br />

Cosimo Di Stefano<br />

Le indagini diagnostiche, avviate sin<br />

dal 2003, sono state effettuate in una<br />

prima fase nell’area delle terme della<br />

Villa ed, in particolare, nelle zone<br />

denominate:<br />

Preafurnia;<br />

Calidaria;<br />

Tepidarium;<br />

Sala delle riunioni;<br />

Frigidarium;<br />

Palestra.<br />

Nelle zone su indicate sono state prelevate,<br />

carote stratigrafiche costituite<br />

dalle malte di preparazione e dalle<br />

malte di allattamento delle tessere<br />

musive. Sono stati, inoltre, campionati<br />

le efflorescenze saline giacenti sulle<br />

tessere musive e sugli intonaci delle<br />

pareti, i residui dei fanghi dei condotti<br />

di deflusso delle acque e le acque di<br />

falda, ricadenti nella zona interessata<br />

dalla Villa.<br />

Le indagini eseguite sui campioni<br />

hanno evidenziato che il degrado chimico<br />

di tutti i materiali costitutivi è da<br />

addebitare alla diffusa solfatazione,<br />

come rilevata dalla diffrattometria<br />

XRD, eseguita sui cristalli delle efflorescenze<br />

saline, e dalla cromatografia<br />

ionica, effettuata sugli estratti acquosi<br />

delle malte e sui campioni di acqua di<br />

falda, responsabili della solfatazione<br />

(vedi tabella).<br />

I campionamenti sono stati eseguiti nei<br />

seguenti ambienti: il Calidarium, il<br />

Frigidarium, la Sala di Tito e Cassio,<br />

la Palestra, il Portico e il Triclinio. I<br />

risultati delle indagini condotte tramite<br />

la diffrattometria XRD, le osservazioni<br />

al microscopio ottico in luce riflessa,<br />

al microscopio polarizzatore in luce<br />

trasmessa su sezioni sottili e al microscopio<br />

a scansione elettronica (SEM)<br />

con microsonda EDS, offrono spunti<br />

di riflessione sulle eventuali errate<br />

metodologie di intervento, di conservazione<br />

e di ordinaria manutenzione<br />

attuate in passato e permettono, altresì,<br />

di programmare uno studio sistematico<br />

delle tecniche costruttive, dei materiali<br />

Alterazioni cromatiche ed efflorescenze saline<br />

Degrado delle tessere da solfatazione<br />

e del loro stato di conservazione.<br />

Successivamente, nel periodo<br />

luglio/novembre 2005, le indagini<br />

sono state estese a tutte le aree della<br />

Villa, utilizzando tecniche di spettroscopia<br />

XRF portatile, caratterizzazione<br />

dei sali solubili con cromatografia<br />

ionica ed elettrochimica, diffrattometria<br />

ai raggi X (XRD), spettrofotometria<br />

FTIR e spettrofotometria UV/VIS.<br />

Inoltre sono state effettuate analisi di<br />

caratterizzazione dei principali elementi<br />

chimici costitutenti i pigmenti<br />

dei dipinti murali, tramite spettrometria<br />

XRF portatile. Per tali indagini è<br />

stata scelta la “sala dell’eros”, rappresentativa<br />

di tutte le diverse cromie presenti<br />

nella villa.<br />

Dalle successive correlazioni ed interpretazioni<br />

spettrali è risultato che i pigmenti<br />

presenti sono caratterizzati<br />

essenzialmente da terre gialle, rosse e<br />

verdi in diverse tonalità a differenza<br />

dell’azzurro, anch’esso presente in<br />

diverse gradazioni, che è risultato<br />

essere costituito da rame, confermando<br />

il dato bibliografico che associa il pigmento<br />

al blu egizio (silicato di rame).<br />

Dato l’elevato contenuto dell’elemento<br />

calcio presente negli spettri XRF,<br />

appare chiaro, inoltre, che il legante<br />

dei pigmenti murali risulta essere derivato<br />

dal latte di calce.<br />

Dalle indagini chimiche effettuate successivamente<br />

in quasi tutte le aree<br />

della villa è emerso che esse presentano<br />

tutte la stessa tipologia di degrado<br />

chimico sulle malte, sugli intonaci e<br />

sulle tessere musive.<br />

E’ emerso, altresì, che nelle malte originarie<br />

e nelle malte cementizie successive<br />

sono presenti notevoli quantità<br />

di sali solubili con prevalenza di solfato<br />

sodico Na 2 SO 4 anidro (Thenardite)<br />

e quantità minime di solfato di calcio<br />

CaSO 4 (Gesso) evidenziati in tabella.<br />

Analisi sulle malte cementizie, provenienti<br />

dai precedenti restauri, hanno<br />

evidenziato la presenza di prodotti di<br />

degrado da attacco solfatico (Ettringite<br />

29<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

30<br />

e/o Taumasite).<br />

Dai ripetuti esami di campioni di<br />

acque di falda, insistenti nel sottosuolo<br />

dell’area del sito, è stata confermata<br />

l’abbondante presenza di ione solfato.<br />

I dissesti idrogeologici, con la conseguente<br />

inefficienza dei condotti dei<br />

deflussi delle acquee, hanno originato<br />

una consistente risalita capillare, favorendo<br />

il contatto chimico tra le acquee<br />

di falda solfatate e le strutture architettoniche,<br />

gli apparati musivi e decorativi<br />

della Villa. Quanto rilevato è stato<br />

ulteriormente aggravato dalla inidonea<br />

copertura capace di generare stressanti<br />

condizioni microclimatiche, trasformando<br />

il degrado chimico in fisico.<br />

Le indagini del Laboratorio di chimica,<br />

inoltre, hanno riguardato i materiali<br />

costitutivi della pavimentazione<br />

musiva, consentendo la lettura stratigrafica<br />

necessaria alla individuazione<br />

delle tecniche costruttive. Ciò ha permesso<br />

di inquadrare i meccanismi di<br />

degrado solfatico che hanno causato i<br />

fenomeni più volte riscontrati, ovvero i<br />

rigonfiamenti localizzati del rivestimento<br />

pavimentale con distacco di tessere<br />

(vulcanelli) ed esfoliazioni delle<br />

stesse come effetto dell’azione delle<br />

efflorescenze saline, nonché della diffusa<br />

formazione di patine bianche<br />

superficiali<br />

ANIONI E CATIONI CAROTATURA<br />

(gr/Kg)<br />

FLUORURI<br />

CLORURI<br />

NITRITI<br />

NITRATI<br />

SOLFATI<br />

SODIO<br />

AMMONIO<br />

POTASSIO<br />

MAGNESIO<br />

CALCIO<br />

0,08<br />

1,27<br />

0,13<br />

0,032<br />

1,1<br />

1<br />

0,47<br />

1,66<br />

0,35<br />

9,06<br />

Tabella: Caratterizzazione chimica dei sali solubili tramite cromatografia ionica<br />

Misura XRF portatile sul pigmento azzurro. Alterazione chimico fisica dei dipinti murali da umidità<br />

di risalita capillare<br />

Perdite di cromie causata dalla solfatazione.<br />

EFFLORESCENZE<br />

SALINE (gr/Kg)<br />

0,04<br />

3,33<br />

===<br />

0,52<br />

163,79<br />

67,28<br />

0,51<br />

1,2<br />

0,325<br />

10,34<br />

FANGHI<br />

(gr/Kg)<br />

0,05<br />

1,96<br />

===<br />

0,33<br />

9,46<br />

1,26<br />

0,95<br />

0,68<br />

0,48<br />

12,1<br />

ACQUA DI FALDA<br />

(gr/Kg)<br />

===<br />

66,97<br />

===<br />

2,47<br />

176,49<br />

49,26<br />

===<br />

10,07<br />

24,92<br />

110,14


ALGHE E CIANOBATTERI<br />

PREVENZIONE E CONTROLLO DEI MICRORGANISMI FOTOSINTETICI<br />

Giovanna Miceli<br />

Nel quadro degli interventi effettuati nel<br />

cantiere di restauro dei mosaici della<br />

Villa del Casale si inserisce la ricerca<br />

condotta dal Laboratorio di Indagini<br />

Microbiologiche del CRPR finalizzata<br />

alla definizione delle metodologie più<br />

idonee per la prevenzione ed il controllo<br />

dei microrganismi fotosintetici (cianobatteri<br />

ed alghe).<br />

I fenomeni di degrado che questi<br />

microrganismi hanno determinato sul<br />

pavimento musivo sono stati innescati<br />

dalle condizioni ambientali esistenti<br />

all’interno della Villa, in particolare dall’elevata<br />

umidità che rappresenta la<br />

principale causa di sviluppo microbico.<br />

Cianobatteri ed alghe sono i primi colonizzatori<br />

della pietra poiché necessitano<br />

solo di luce, acqua e pochi composti<br />

inorganici. Sono in grado di colonizzare<br />

i materiali lapidei esposti in ambienti<br />

esterni ed interni e la maggior parte di<br />

essi è incapace di crescere in assenza di<br />

luce. Alcune specie di cianobatteri tuttavia<br />

sono in grado di svilupparsi con<br />

valori di illuminamento molto bassi o<br />

addirittura in assenza di luce. A tal proposito<br />

va riferito che sotto il pavimento<br />

musivo sono state evidenziate patine di<br />

cianobatteri con una colorazione verde<br />

molto intensa. Questa fenomenologia di<br />

degrado si è riscontrata anche dopo il<br />

trattamento di disinfezione, e le analisi<br />

hanno evidenziato una particolare resistenza<br />

dei cianobatteri al disinfettante<br />

utilizzato anche dopo più applicazioni di<br />

impacchi.<br />

La ricerca si è basata su una sperimentazione<br />

in situ e in laboratorio in cui sono<br />

stati analizzati campioni trattati con i<br />

prodotti biocidi utilizzati nell’intervento<br />

di restauro (Preventol R80 e Biotin T<br />

soltanto in alcune zone).<br />

In fase preliminare è stata eseguita l’osservazione<br />

diretta, sulle aree trattate,<br />

delle modificazioni macroscopiche delle<br />

patine, quindi sono state effettuate altre<br />

analisi quali l’osservazione dei campioni<br />

al microscopio a fluorescenza e la<br />

determinazione della quantità di adenosintrifosfato<br />

(ATP) cellulare residuo.<br />

I risultati hanno dimostrato che, dopo<br />

l’applicazione del biocida, la patina presente<br />

sotto le tessere musive non era stata<br />

danneggiata, infatti appariva di colore<br />

verde intenso. Questi risultati sono congruenti<br />

con quanto osservato in fluorescenza,<br />

in quanto il prodotto sembra non<br />

agire con grande efficacia sulle cellule<br />

dei cianobatteri, che non perdono la fluorescenza<br />

rossa tipica delle cellule ancora<br />

vive e attive. Inoltre anche i valori di<br />

ATP hanno evidenziato presenza di attività<br />

microbica nei campioni esaminati.<br />

Nel corso del cantiere di restauro sono<br />

stati eseguiti diversi sopralluoghi e ulteriori<br />

controlli. In laboratorio sono stati<br />

inoltre operati altri test applicando ad<br />

impacco, sotto una tessera, il Biotin T in<br />

alcool etilico al 2%. Dopo l’applicazione<br />

del prodotto, trascorso il tempo di<br />

azione, si è osservato che la patina subiva<br />

una variazione drastica del colore,<br />

infatti da verde intenso assumeva una<br />

colorazione bruna e la fluorescenza<br />

appariva di un rosso attenuato.<br />

Le indagini svolte hanno consentito di<br />

stabilire che i test operati in laboratorio<br />

sono più efficaci, questo molto probabilmente<br />

perché in situ il trattamento sotto<br />

le tessere musive risulta difficile. Inoltre<br />

bisogna sottolineare che le condizioni<br />

ambientali durante l’intervento di disinfezione<br />

continuavano ad essere favorevoli<br />

allo sviluppo microbico.<br />

Alla luce di quanto è emerso durante<br />

l’intervento conservativo e sulla base<br />

dei risultati delle indagini è possibile<br />

affermare che la colonizzazione di cianobatteri<br />

presente sotto le tessere potrà<br />

essere controllata allorquando sarà limitata<br />

la presenza dell’acqua all’interno<br />

della Villa. Questo si attuerà con la realizzazione<br />

della copertura e degli<br />

impianti per la canalizzazione e lo smaltimento<br />

delle acque meteoriche.<br />

E’ necessario comunque sottolineare<br />

che, se le condizioni ambientali dovessero<br />

continuare ad essere favorevoli alla<br />

colonizzazione biologica, potrà essere<br />

effettuato un trattamento di disinfezione<br />

nella fase finale dell’intervento di<br />

restauro ed eventualmente si potranno<br />

prevedere applicazioni periodiche di<br />

biocidi ripetute a intervalli opportunamente<br />

stabiliti.<br />

Infine è fondamentale condurre il monitoraggio<br />

dello stato di conservazione<br />

delle superfici musive che consentirà di<br />

segnalare l’eventuale necessità di una<br />

manutenzione e permetterà di valutare<br />

la durabilità del trattamento.<br />

Patina sotto la tessera. Prima del trattamento.<br />

Dopo il trattamento con Biotin T.<br />

Bibliografia<br />

M. Bartolini, S. Ricci, Rilascio di<br />

pigmenti fotosintetici da biocenosi<br />

epilitiche trattate con biocidi,<br />

in “Kermes”, a. XVII,56<br />

Ottobre/Dicembre 2004.<br />

G. Caneva, M.P. Nugari, D. Pinna,<br />

O. Salvadori, Il controllo del<br />

degrado biologico, Firenze 1996.<br />

G. Caneva, M.P. Nugari, O.<br />

Salvadori, La Biologia Vegetale<br />

per i Beni Culturali, I,<br />

Biodeterioramento e Conservazione,<br />

Firenze 2005.<br />

M. Tretriach et al., Efficacy of<br />

biocide tested on selected lichens<br />

and its effects on their substrata,<br />

in “International Biodeterioration<br />

& Biodegradation”, 59,<br />

2007, pp. 44-54.<br />

31<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

32<br />

TESSERE, MUSCHI E LICHENI<br />

COLONIZZAZIONE LICHENICA E MUSCINALE DEI MOSAICI<br />

PAVIMENTALI E VALUTAZIONE EFFICACIA DEI BIOCIDI<br />

Rosa Not, Eloisa Guarneri, Enza Anna Passerini<br />

PREMESSA<br />

Le indagini biologiche condotte negli<br />

ultimi anni dal Laboratorio del CRPR<br />

sui mosaici della Villa avevano riguardato<br />

principalmente l’area delle<br />

Terme, individuata come area campione<br />

e comprendente ambienti sia interni<br />

che esterni. Tali indagini si riferivano<br />

essenzialmente alla caratterizzazione<br />

della florula lichenica, dominante sui<br />

pavimenti musivi all’aperto, ed in<br />

minor misura delle fanerogame e briofite.<br />

Dai risultati era emerso che le specie<br />

dirette colonizzatrici dei pavimenti<br />

musivi studiati erano: Aspicilia calcarea<br />

(L.) Mudd, Caloplaca aurantia<br />

(Pers.) Hellbome e Verrucaria nigrescens<br />

Pers. Le stesse, tuttavia, erano<br />

state ritrovate anche sui substrati artificiali<br />

(Not 2004). I muschi, invece,<br />

afferivano principalmente al genere<br />

Tortula.<br />

Nell’ ambito dei lavori di restauro<br />

avviati nel 2007 ed attualmente in<br />

corso, il personale del laboratorio ha<br />

condotto un’altra campagna d’ indagini,<br />

questa volta estesa a tutti gli ambienti<br />

della Villa, al fine di fornire ulteriori<br />

conoscenze sul degrado biologico dei<br />

mosaici e, contestualmente, di verificare<br />

l’efficacia del trattamento biocida<br />

attraverso osservazioni in campo, prelievi<br />

e test della fluorescenza. Inoltre,<br />

sono state date anche indicazioni per il<br />

diserbo delle piante superiori.<br />

Nel presente contributo si riferiscono<br />

pertanto i risultati relativi alle indagini<br />

effettuate.<br />

MATERIALI E METODI<br />

L’osservazione macroscopica in situ e<br />

le analisi di laboratorio, corredate da<br />

un’ampia documentazione fotografica,<br />

hanno consentito la determinazione dei<br />

taxa più rappresentativi; le colonizzazioni<br />

licheniche sono state osservate<br />

preliminarmente in situ con lente da<br />

campo e, successivamente, campionate<br />

con bisturi e conservate in apposite<br />

provette codificate. I muschi sono stati<br />

prelevati e conservati in bustine di<br />

carta. In laboratorio, talli lichenici e<br />

cuscinetti muscinali sono stati osservati<br />

e studiati al microscopio ottico e stereoscopico,<br />

pervenendo con l’ausilio<br />

di specifiche chiavi analitiche alla<br />

determinazione delle specie; in particolare<br />

per i licheni ci si è avvalsi dell’opera<br />

di Ozendà e Clauzade (1970),<br />

per i muschi di Cortini Pedrotti (2006).<br />

Infine, attraverso il test della fluorescenza<br />

è stata verificata l’efficacia del<br />

biocida applicato sui licheni.<br />

RISULTATI E CONSIDERAZIONI<br />

Dalle analisi condotte è risultato di<br />

particolare interesse osservare la crescita<br />

di alcune specie licheniche sulle<br />

tessere e di altre, invece, fra le tessere<br />

sulla malta. In totale sono stati determinati<br />

23 taxa di cui 18 licheni e 5<br />

muschi (v. elenco); in particolare,<br />

Caloplaca teicholyta (Ach.) Steiner è<br />

cresciuta esclusivamente fra le tessere<br />

del pavimento musivo del portico poligonale.<br />

Si tratta di un lichene nitrofilo,<br />

molto comune, cresce sui calcari e su<br />

tutti i substrati artificiali ed è particolarmente<br />

frequente in ambiente urbanizzato.<br />

Sempre negli interstizi fra le<br />

tessere sono stati ritrovati Toninia aromatica<br />

(Sm.) Massal. e Candelariella<br />

aurella (Hoffm.) Zahlbr che crescono<br />

comunemente sulle rocce calcaree<br />

arricchite di nutrienti, sulla malta e sui<br />

mattoni, in generale in zone urbane,<br />

piuttosto raramente in quelle rurali,<br />

(Dobson 1992).<br />

Per quanto riguarda, invece, le specie<br />

dirette colonizzatrici delle tessere, alle<br />

tre precedentemente ritrovate e citate<br />

in premessa, va aggiunta Caloplaca<br />

erythrocarpa (Pers.) Zw. anch’essa<br />

comunemente presente su diversi tipi<br />

di roccia calcarea, su superfici poco<br />

eutrofizzate e spesso associata ad<br />

Aspicilia calcarea (L.) Mudd della<br />

quale è parassita, (Nimis, Pinna,<br />

Salvadori 1992). Tranne Xanthoria<br />

parietina, Physcia sp. (Schreber)<br />

Michx. e Protoparmelia (cfr. badia,<br />

Hoffm.), licheni fogliosi ritrovati sulle<br />

ELENCO SPECIE CENSITE<br />

Licheni<br />

Aspicilia calcarea (L.) Mudd<br />

Caloplaca aurantia (Pers.) Hellbom<br />

C. erythrocarpa (Pers.) Zw.<br />

C. flavovirescens (Wulfen) DT. &<br />

Sarnth<br />

C. teicholyta (Ach.) Steiner<br />

Candelariella aurella (Hoffm.) Zahlbr.<br />

C. medians (Nyl.) A.L.Sm.<br />

Diploschistes interpedians (Norm.)<br />

Lecania turicensis (Hepp) Mull. Arg.<br />

Lecanora muralis (Schreb.) Rabenh.<br />

Physcia sp. (Schreber) Michx.<br />

Protoparmelia cfr. badia (Hoffm.)<br />

Rinodina subglaucescens ( Ach.)<br />

Rinodina tunicata (Ach.)<br />

Rinodina sp. ( Ach.) S.F.Gray<br />

Toninia aromatica (Sm.) Massal.<br />

Verrucaria nigrescens Pers.<br />

Xanthoria parietina ( L.) Th. Fr.<br />

Muschi<br />

Bryum capillare Hedw<br />

Gymnostomum calcareum Nees<br />

Tortula muralis Hedw.<br />

T. marginata Hedw.<br />

T. subulata Hedw<br />

colonne del giardino del Peristilio quadrangolare,<br />

per il resto le forme rinvenute<br />

sono di tipo crostoso - epilitiche.<br />

I muschi, invece, sono cresciuti esclusivamente<br />

fra le tessere, in terra, in<br />

zone molto umide in corrispondenza di<br />

percolazioni di acqua piovana.<br />

MONITORAGGIO DELL’ INTER-<br />

VENTO DI DISINFESTAZIONE<br />

I trattamenti di disinfestazione sui<br />

licheni, presenti quasi esclusivamente<br />

sui mosaici pavimentali esterni, in<br />

minor misura negli ambienti semi confinati,<br />

sono stati eseguiti con Preventol<br />

R80, la cui percentuale si è resa a volte<br />

anche necessaria al 4%, applicato a<br />

pennello, con nebulizzatore a bassa<br />

pressione e, in alcuni casi, ad impacco,<br />

secondo un calendario di interventi<br />

compreso tra marzo e maggio.


Il trattamento di disinfestazione è<br />

stato monitorato attraverso osservazioni<br />

in campo e prelievi di campioni<br />

di licheni, trattati e non trattati, al fine<br />

di valutare l’efficacia del biocida che,<br />

agendo a livello cellulare sul processo<br />

della fotosintesi clorofilliana, blocca<br />

tale attività e, conseguentemente,<br />

determina la devitalizzazione degli<br />

organismi.<br />

Preparati di sezioni sottili di talli di<br />

Caloplaca aurantia, Aspicilia calcarea<br />

e C. erytrocarpa, sui quali erano<br />

stati eseguiti n. 4 trattamenti con<br />

Preventol, sono stati osservati al<br />

microscopio a fluorescenza. Il test<br />

della fluorescenza, che si basa sulla<br />

capacità della clorofilla contenuta<br />

nelle cellule algali del lichene di fluorescere<br />

ad una determinata lunghezza<br />

d’onda (450 – 490 nm), ha rivelato<br />

che le alghe dei licheni trattati mostravano<br />

una fluorescenza rossa, cioè una<br />

forte vitalità e, dunque, una resistenza<br />

al biocida (Caneva, 2005). Pertanto si<br />

è ritenuto opportuno procedere con<br />

altre applicazioni fino alla perdita<br />

totale della fluorescenza algale. A<br />

quel punto sono state effettuate le operazioni<br />

di spazzolatura, rimozione e<br />

lavaggi con acqua deionizzata; inoltre,<br />

a scopo preventivo, è stato proposto di<br />

inoculare il biocida anche nelle risigillature<br />

del mosaico aggiungendolo all’<br />

acqua di scioglimento del legante.<br />

Infine, per le piante superiori, presenti<br />

nelle lacune, in terra e fra le sconnessione<br />

delle mura perimetrali, è stato<br />

utilizzato un erbicida di traslocazione<br />

a base di glyphosate, al 2-3 %, applicato<br />

a spruzzo sulla biomassa fogliare<br />

(Caneva 2005).<br />

SPERIMENTAZIONE CON BIOCIDI<br />

Il monitoraggio prosegue ancora,<br />

infatti, a più di un anno dagli interventi<br />

di disinfestazione sui mosaici pavimentali<br />

della Villa, è stata avviata una<br />

sperimentazione in campo (con la collaborazione<br />

del CTS che ha fornito i<br />

prodotti testati) finalizzata al monitoraggio<br />

post - emergenza del controllo<br />

della microflora lichenica. Si tratta di<br />

uno studio comparativo fra cinque biocidi<br />

al fine di individuare quale dei<br />

prodotti testati rallenti maggiormente,<br />

nel tempo, la ricrescita di questi organismi.<br />

L’area scelta è stata quella dei<br />

mosaici pavimentali del Portico poligonale,<br />

all’aperto, precedentemente<br />

ricoperta da una ricca colonizzazione<br />

lichenica. Su questi mosaici sono stati<br />

eseguiti 5 tasselli 20 x 20 riquadrati<br />

con scotch, contrassegnati dalle lettere<br />

33<br />

DOSSIER


DOSSIER<br />

GLI AUTORI di questo numero<br />

Maria Elena Alfano,<br />

Adalgisa Aloisi,<br />

Giuseppe Barbera,<br />

Maurizio Bombace,<br />

Ermanno Cacciatore,<br />

Chiara Caldarella,<br />

Lucia Carruba,<br />

Antonio Casano<br />

Giacomo Cinà,<br />

Roberta Civiletto,<br />

Stefano Colazza,<br />

Caterina Dessy,<br />

Cosimo Di Stefano,<br />

Maria Luisa Famà<br />

Teresa Ferlisi,<br />

Eloisa Guarneri,<br />

Donatella Gueli,<br />

Osama Hamdan,<br />

Daniela La Mattina<br />

Lorenzo Lazzarini,<br />

Alessandra Longo<br />

Provvidenza Lupo,<br />

Rosaria Merlino<br />

Giovanna Miceli,<br />

Rosa Not,<br />

Franco Palla,<br />

Enza Anna Passerini,<br />

Carlo Pastena<br />

Lorella Pellegrino,<br />

Patrizio Pensabene<br />

Fernanda Prestileo,<br />

Francesca Pulizzi<br />

Alessandro Rizzi,<br />

Antonino Vitelli<br />

34<br />

dell’alfabeto A-E, ciascuna corrispondente<br />

ad un biocida. Modalità di applicazione<br />

è stata a pennello. Fra i biocidi<br />

saggiati, quali Biotin T, Biotin R,<br />

New Des 50, Bioestel e Trigene<br />

Advance, quest’ultimo è un nanobiocida,<br />

già testato, che ha dato buoni risultati<br />

per l’eliminazione di microorganismi;<br />

non è ad oggi, invece, disponibile<br />

letteratura circa la sua attività nei confronti<br />

dei licheni. Le nanoparticelle, in<br />

quanto vettori di principi attivi, rilasciano<br />

il prodotto nelle microcavità,<br />

fessure o fenditure delle superfici dure,<br />

e migliorano l’efficacia dell’azione<br />

biocida. Pertanto, i nanobiocidi, e più<br />

in generale le nanotecnologie, rappresentano<br />

il futuro nel settore del restauro.<br />

Il monitoraggio, che avrà la durata<br />

di un anno, potrà offrire utili indicazioni<br />

nella scelta del prodotto che, eventualmente,<br />

andrà applicato, a scopo<br />

preventivo e nell’ambito di una manutenzione<br />

programmata, a tutti i mosaici<br />

pavimentali esterni.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

Dobson 1992<br />

F. S. Dobson, An illustrated guide to the British and Irish species.<br />

Richmond 1992.<br />

Caneva et al. 2005<br />

G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori, La Biologia vegetale per i Beni<br />

Culturali, I Biodeterioramento e conservazione, Firenze 2005.<br />

Cortini Pedrotti 2006<br />

C. Cortini Pedrotti, Flora dei Muschi d’Italia, Roma 2006.<br />

Nimis et al. 1992<br />

P.L. Nimis, D. Pinna, O. Salvadori, Licheni e Conservazione dei Monumenti,<br />

Bologna 1992.<br />

Not 2004<br />

R. Not, Le indagini scientifiche su alcuni mosaici pavimentali siciliani.<br />

Proposta di una metodologia di studio propedeutico all’ intervento di restauro,<br />

in Atti del I Convegno Internazionale di studi, La Materia e i Segni della<br />

storia. Apparati musivi antichi nell’area del mediterraneo (Piazza Armerina,<br />

9-13 aprile 2003), I Quaderni di Palazzo Montalbo 4, Palermo 2004.


MINIERE STORICHE IN<br />

SICILIA: SVILUPPI DEL-<br />

L’ATTIVITÀ DI RICERCA.<br />

MAPPATURA GEOREFE-<br />

RENZIATA PER LA CO-<br />

STRUZIONE DELLA CAR-<br />

TOGRAFIA TEMATICA<br />

Concretamente attivata nell’aprile<br />

scorso, la convenzione<br />

tra il CRPR ed il<br />

Corpo Regionale delle<br />

Miniere del Dipartimento<br />

Industria e Miniere. L’atto<br />

d’intesa, stipulato nell’ambito<br />

della ricerca scientifica<br />

sul patrimonio storico-minerario<br />

siciliano, riguarda lo<br />

svolgimento di un programma<br />

di lavoro volto al completo<br />

censimento delle<br />

miniere dismesse nel territorio<br />

regionale, all’accertamento<br />

dello stato giuridicoamministrativo<br />

e di conservazione<br />

dei vecchi siti di<br />

produzione, allo sviluppo di<br />

azioni congiunte, volte alla<br />

riqualificazione e valorizzazione<br />

degli impianti d’interessearcheologico-industriale.<br />

I primi dati sono stati acquisiti<br />

attraverso la consultazione<br />

di inventari, registri storici,<br />

decreti ministeriali relativi<br />

a concessioni e trasferimenti<br />

di miniere cave e torbiere<br />

alla Regione Siciliana.<br />

Tale attività ha restituito<br />

importanti informazioni<br />

soprattutto sulla distribuzione<br />

delle antiche zolfare e<br />

sulle condizioni di tutela<br />

discendenti da decreti emanati<br />

dall’Assessorato Regionale<br />

BB.CC.AA.. Altro<br />

aspetto della ricerca ha<br />

riguardato la ricognizione<br />

dell’iconografia storica di<br />

settore che, effettuata presso<br />

gli archivi fotografici di<br />

Istituzioni pubbliche o di<br />

Enti privati, ha già consenti-<br />

to il rinvenimento di preziosi<br />

documenti fotografici,<br />

molti dei quali inediti.<br />

I risultati ottenuti hanno<br />

notevolmente arricchito di<br />

informazioni la banca dati,<br />

strutturata e curata dall’Unità<br />

operativa per la Gestione<br />

di problematiche geologiche<br />

connesse alla conservazione<br />

del patrimonio monumentale<br />

della cavità ad uso antropico<br />

del CRPR. Prossimo obiettivo<br />

sarà quello di procedere<br />

alla mappatura georeferenziata<br />

di tutti i gruppi minerari<br />

riscontrati nelle province<br />

di Enna, Caltanissetta,<br />

Agrigento, per la costruzione<br />

di cartografia tematica<br />

che rappresenti, con completezza,<br />

l’effettiva consistenza<br />

del patrimonio storico-minerario<br />

della Sicilia.<br />

Donatella Gueli<br />

LA BIBLIOTECA TEMA-<br />

TICA DI CARTA DEL<br />

RISCHIO. UN NUOVO<br />

TIPO DI ACCESSO SE-<br />

MANTICO AL CATALO-<br />

GO MEDIANTE UN LIN-<br />

GUAGGIO DI INDICIZZA-<br />

ZIONE NATURALE<br />

La Biblioteca specializzata e<br />

l' Unità Operativa per i beni<br />

paesistici, naturali, naturalistici,<br />

architettonici ed urbanistici<br />

e della Carta del<br />

Rischio del CRPR hanno<br />

realizzato la Biblioteca<br />

Tematica di Carta del<br />

Rischio, nell'ambito del<br />

finanziamento europeo<br />

P.O.R. Sicilia 2000/2006<br />

Asse II-Misura 2.02 Azione<br />

B. I volumi, per complessive<br />

1060 unità, sono stati selezionati<br />

ed acquisiti in base a<br />

criteri di specificità ed attinenza<br />

agli argomenti oggetto<br />

di ricerca ed attività della<br />

Carta del Rischio. Le unità<br />

bibliografiche, oltre ad essere<br />

state sottoposte alle procedure<br />

di catalogazione<br />

informatizzata tradizionale,<br />

sia descrittiva che semantica,<br />

secondo standard nazionali<br />

ed internazionali, sono<br />

state anche “tematizzate”.<br />

Quest’ultima procedura,<br />

innovativa e sperimentale,<br />

ha avuto come obiettivo<br />

quello di creare un nuovo<br />

tipo di accesso semantico al<br />

catalogo mediante un linguaggio<br />

di indicizzazione<br />

naturale, avvalendosi di<br />

espressioni in uso e condivise<br />

nella comunità scientifica<br />

del settore della conservazione<br />

e del restauro del<br />

patrimonio culturale, senza<br />

quindi doversi piegare al<br />

rispetto dei rigidi canoni del<br />

soggettario di Firenze, limitato<br />

ed insufficiente ad<br />

esprimere taluni concetti<br />

moderni, i neologismi di settore,<br />

le categorie di pensiero<br />

degli addetti ai lavori, cioè le<br />

presumibili forme in cui la<br />

ricerca in un catalogo specialistico<br />

si può concretizzare.<br />

Parallelamente al lavoro di<br />

catalogazione, è stata effettuata<br />

la digitalizzazione<br />

delle parti identificative di<br />

ciascun volume: copertina,<br />

quarta di copertina, seconda<br />

e terza di copertina, se<br />

recanti informazioni utili,<br />

frontespizio, abstract, ove<br />

presenti nelle pagine interne<br />

del volume, e indice. Il catalogo<br />

consente di effettuare la<br />

ricerca bibliografica tramite<br />

i parametri: Titolo/Parola di<br />

titolo; Autore/Contributi e<br />

anche Tema/Sottotema. I<br />

risultati della ricerca sono<br />

stampabili. L'obiettivo è<br />

stato quello di fornire agli<br />

utenti del web, oltre ai dati<br />

catalografici, anche degli<br />

strumenti in più per valutare<br />

a distanza l'interesse e la<br />

pertinenza del testo allo<br />

scopo della propria ricerca.<br />

La possibilità di potere virtualmente<br />

prendere in mano<br />

il libro, scorrerne l'indice,<br />

cogliere la sintesi dell'abstract<br />

può fornire qualche<br />

dato in più per una valutazione<br />

esauriente del testo.<br />

Per accedere alla Biblioteca<br />

Tematica di Carta del<br />

Rischio ci si può collegare<br />

all' URL: HYPERLINK<br />

"http://www.cartadelrischio.sicilia.it/biblioteca"htt<br />

p://www.cartadelrischio.sici<br />

lia.it/biblioteca HYPER-<br />

LINK "http://www.cartadelrischio.sicilia.it/biblioteca/".<br />

G. Aloisi – T. Ferlisi<br />

SEMINARIO SU TECNO-<br />

LOGIE DI GESTIONE E<br />

FRUIZIONE DI DATI<br />

GEOGRAFICI E GEOSPA-<br />

ZIALI PER LE APPLICA-<br />

ZIONI PER L'AMBIENTE<br />

E IL TERRITORIO<br />

L’esigenza di rendere intelligibile<br />

e immediatamente utilizzabile<br />

una enorme mole<br />

di dati georeferenziati del<br />

patrimonio monumentale,<br />

archeologico, ambientale e<br />

paesaggistico della Sicilia,<br />

frutto di una moltitudine di<br />

progetti di catalogazione e<br />

schedatura dei Beni Culturali<br />

susseguitisi da venti<br />

anni a questa parte, rende<br />

altresì impellente l’apertura<br />

della Regione Siciliana a<br />

tecnologie avanzate in grado<br />

di aggiungere una nuova<br />

dimensione a questo patrimonio<br />

di conoscenze. In<br />

questa prospettiva, grande<br />

successo di pubblico ha registrato<br />

l’evento del 29 settembre<br />

2009, ospitato dal<br />

<strong>Centro</strong> Regionale Proget-<br />

NEWS<br />

35


NEWS<br />

36<br />

tazione e <strong>Restauro</strong>, avente<br />

per oggetto un seminario<br />

sulle applicazioni delle tecnologie<br />

geospaziali per il<br />

monitoraggio e la gestione<br />

degli incendi e delle emergenze<br />

alluvionali e per l’utilizzo<br />

dei database topografici.<br />

La manifestazione itinerante,<br />

promossa da Planetek<br />

Italia su scala nazionale, ha<br />

avuto Palermo come tappa<br />

iniziale e si concluderà a<br />

Milano il 2 Ottobre. Di grande<br />

interesse sono apparse le<br />

applicazioni, implementate<br />

nel software Erdas, per il rilevamento,<br />

praticamente in<br />

tempo reale, delle coperture in<br />

amianto attraverso l’interpretazione<br />

di immagini satellitari<br />

multispettrali e l’utilizzo delle<br />

stesse per l’aggiornamento<br />

della cartografia a grande<br />

scala. L’evento, che trova<br />

ancor più significatività se<br />

inquadrato in una moltitudine<br />

di iniziative e progetti recentemente<br />

promossi dal <strong>Centro</strong><br />

proprio nel settore dello studio,<br />

protezione e prevenzione<br />

del patrimonio dei Beni culturali<br />

ed ambientali, ha evidenziato<br />

l’enorme salto tecnologico<br />

a servizio del controllo<br />

del territorio ponendo l’accento<br />

sulle enormi possibilità di<br />

gestione e utilizzo integrato<br />

delle informazioni territoriali<br />

provenienti da sorgenti, sempre<br />

più accurate, di acquisizione<br />

di immagini della crosta<br />

terrestre. A partire da satelliti<br />

per l’osservazione dell’atmosfera<br />

sino a sensori ad elevata<br />

risoluzione in grado di monitorare<br />

il più piccolo cambiamento<br />

del tessuto urbanistico,<br />

in qualsiasi parte della Terra,<br />

enormi sono le potenzialità di<br />

ricognizione soprattutto in<br />

una prospettiva di prevenzione<br />

e protezione del nostro<br />

patrimonio culturale ed<br />

ambientale dalle catastrofi<br />

naturali o da interventi antropici.<br />

L’opportunità, adesso a<br />

costi ragionevolmente bassi,<br />

di dotarsi di una infrastruttura<br />

informatica in grado di gestire<br />

enormi quantità di dati tematici<br />

georeferenziati diventa elemento<br />

fondamentale non solo<br />

per una condivisione in tempo<br />

reale, da e verso strutture di<br />

controllo (Protezione civile,<br />

unità di crisi, università, popolazione<br />

locale, etc..), degli<br />

“oggetti” del territorio in trasformazione<br />

ma offre spunti<br />

di ricerca e implementazione<br />

difficilmente ottenibili con<br />

altri metodi.<br />

Maurizio Bombace<br />

SIMULACRI DA VESTI-<br />

RE. UN PATRIMONIO<br />

SICILIANO SCONOSCIU-<br />

TO – RECUPERO E CEN-<br />

SIMENTO DELLA TRA-<br />

DIZIONE DEVOZIONALE<br />

POPOLARE<br />

Presentato dall'unità per i<br />

beni storico-artistici, iconografici<br />

ed etnoantropologici,<br />

il progetto si propone di<br />

avviare nella prima fase uno<br />

studio analitico sulle statue<br />

di Madonne vestite, attraverso<br />

un censimento di rilevamento<br />

a livello regionale,<br />

con l'obiettivo di diffonderne<br />

la conoscenza, favorirne la<br />

valorizzazione, impedirne la<br />

scomparsa totale e recuperare<br />

al contempo la tradizione<br />

pluricentenaria di devozione<br />

popolare legata ad esse.<br />

La definizione “Madonne da<br />

vestire” si riferisce alla struttura<br />

dei simulacri vestiti, che<br />

poteva essere o rozzamente<br />

scolpita, ad eccezione di<br />

viso, mani e piedi che invece<br />

venivano rifiniti con cura, o<br />

completamente modellata<br />

con arti pieghevoli per age-<br />

volarne la vestizione o costituita<br />

da un corpo impagliato<br />

o integrato con legni, tessuti<br />

e cartapesta sul quale era<br />

montata la testa, oppure formata<br />

da un manichino completamente<br />

articolato in tutte<br />

le sue parti con una meccanica<br />

raffinatissima. Di solito<br />

le Madonne hanno lineamenti<br />

popolari di una bellezza<br />

tutta terrena, non idealizzata,<br />

il cui accentuato realismo<br />

è dato non solo dall’uso<br />

degli abiti sgargianti, realizzati<br />

con ricami e tessuti<br />

preziosi, a carattere profano,<br />

ma anche dalla cura dedicata<br />

all'espressività del viso ottenuta<br />

attraverso il colorito<br />

dell’incarnato, il verismo<br />

degli occhi in pasta vitrea, le<br />

fluenti parrucche di capelli<br />

veri. Tale genere di statuaria<br />

è in genere destinata all'uso<br />

processionale, perciò tra i<br />

maggiori committenti figurano<br />

le Confraternite, che<br />

ancora oggi fanno realizzare<br />

i simulacri soprattutto per<br />

fini processionali ed infatti il<br />

modello più diffuso è la statua<br />

dell’Addolorata, che<br />

sfila come protagonista<br />

assoluta nella processione<br />

del Venerdì Santo.<br />

La critica d'arte fino a qualche<br />

decennio addietro ha<br />

contribuito a screditare questo<br />

tipo di manufatto polimaterico,<br />

giudicandolo<br />

privo di valore artistico e<br />

classificandolo nell'ambito<br />

del folclore popolare, sottovalutando<br />

il crogiolo di attività<br />

artistico-artigianali che<br />

ruotavano attorno alla creazione<br />

di tali simulacri: la<br />

qualità dei tessuti e dei ricami,<br />

la manifattura degli<br />

abiti, gli addobbi di merletti<br />

e passamanerie, i gioielli e,<br />

per finire, l'effige dei volti<br />

intagliati talvolta anche da<br />

artisti famosi.<br />

Il tema dei simulacri “da<br />

vestire” investe, perciò,<br />

diversi ambiti di studio e prevede<br />

specifici approcci<br />

metodologici. Lo studio<br />

della matericità dei simulacri-manichini<br />

e dei loro corredi<br />

costituisce un immenso<br />

campo di ricerca, ma anche<br />

un'occasione per allinearsi<br />

alla tendenza, che in questi<br />

ultimi anni hanno manifestato<br />

numerose ricerche condotte<br />

su questo genere di statuaria<br />

presente sul territorio<br />

nazionale ed estero. In ambito<br />

nazionale, le testimonianze<br />

più considerevoli, reperite<br />

negli inventari delle chiese,<br />

risalgono al XV secolo, ma,<br />

in numero rilevante sono<br />

state trovate ampie documentazioni<br />

nel Cinquecento,<br />

nel Seicento, nel Settecento,<br />

per tutto l’Ottocento e parte<br />

del Novecento. Sul territorio<br />

siciliano questo tipo di ricerca<br />

archivistica non è ancora<br />

stata affrontata, se non per<br />

campionature esigue e per<br />

finalità diverse.<br />

Il progetto prevede, quindi,<br />

in una prima fase la ricognizione<br />

dei beni esistenti in<br />

Sicilia e degli eventuali<br />

interventi effettuati nell'ambito<br />

della conservazione e<br />

del restauro. Attraverso<br />

un’approfondita indagine sul<br />

campo si porterà alla luce<br />

quanto resta di un patrimonio<br />

per lungo tempo assoggettato<br />

a una sistematica<br />

distruzione. Dopo il censimento<br />

occorrerà incrociare i<br />

dati raccolti e metterli in<br />

relazione con quelli prodotti<br />

nel resto d'Italia, restituendo<br />

al fenomeno la sua dimensione<br />

nazionale e, successivamente,<br />

si avvieranno una<br />

serie di interventi per favorire<br />

il recupero di una tradi-


zione pluricentenaria a<br />

rischio di estinzione.<br />

Va sottolineato che non è possibile<br />

affrontare lo studio del<br />

patrimonio ecclesiastico se<br />

non partendo dai lavori di<br />

schedatura, condotti dalle<br />

Soprintendenze e dagli uffici<br />

beni culturali delle Curie con<br />

il coordinamento della CEI,<br />

che saranno completati e integrati<br />

attraverso le ricerche<br />

negli archivi di Stato, delle<br />

Curie e delle Parrocchie.<br />

Chiara Caldarella<br />

PROGETTO DIAGNOSTI-<br />

CO PRELIMINARE SUL<br />

ROSTRO BRONZEO DI<br />

EPOCA ROMANA RIN-<br />

VENUTO IN LOCALITÀ<br />

ACQUALADRONI<br />

A seguito dell’importante<br />

ritrovamento archeologico<br />

nello specchio di mare che<br />

fronteggia la località di<br />

Acqualadroni presso Messina,<br />

il Laboratorio di<br />

Chimica del <strong>Centro</strong> Regionale<br />

per la Progettazione e il<br />

<strong>Restauro</strong> è stato chiamato, su<br />

richiesta della Soprintendenza<br />

del Mare per la<br />

Sicilia, a condurre le analisi<br />

propedeutiche necessarie, al<br />

fine di elaborare il progetto<br />

diagnostico per il restauro del<br />

rostro bronzeo, arma strategica<br />

di cui erano dotate le navi<br />

da guerra di epoca romana.<br />

L'esame sistematico degli<br />

elementi costitutivi il manufatto<br />

e la relativa caratterizzazione<br />

consentiranno la<br />

valutazione scientifica dello<br />

stato di conservazione del<br />

reperto e, quindi, la pianificazione<br />

del conseguente<br />

intervento di restauro e del<br />

protocollo di manutenzione.<br />

La stesura del progetto diagnostico<br />

prevede l’esecuzione<br />

di indagini di laboratorio<br />

sia sulla parte metallica sia<br />

sulla componente lignea.<br />

Questa duplice composizione<br />

materica diversifica il<br />

rostro di Acqualadroni da<br />

tutti gli altri precedentemente<br />

rinvenuti: caratteristica<br />

che richiederà un intervento<br />

più complesso. Infatti per la<br />

prima volta si tenterà di stabilizzare<br />

due materiali conviventi<br />

ma che non hanno<br />

nessuna procedura conservativa<br />

omologa. Allo scopo,<br />

per lo sviluppo del progetto<br />

diagnostico, s’è ritenuto<br />

opportuno coinvolgere importanti<br />

istituti di ricerca.<br />

Specificamente sono stati<br />

interessati: l'Agenzia regionale<br />

per le Acque (ARPA), il<br />

Dipartimento di Chimica “F.<br />

Accascina” e il <strong>Centro</strong><br />

Grandi apparecchiature UNI<br />

NET Lab. dell'Università di<br />

Palermo, il Dipartimento di<br />

tecnologie, ingegneria,<br />

scienze dell'ambiente e delle<br />

foreste dell'Università della<br />

Tuscia di Viterbo.<br />

N. Vitelli / G. Cinà<br />

(1) INCONTRI TECNICI A<br />

PALAZZO MONTALBO.<br />

DISINFESTAZIONE<br />

ANOSSICA E ATMOSFE-<br />

RE CONTROLLATE<br />

Il 30 settembre 2009 si è svolto<br />

presso il CRPR un incontro<br />

tecnico sul tema disinfestazione<br />

anossica e atmosfere<br />

controllate, promosso in collaborazione<br />

con la CTS e la<br />

Isolcell. L'esigenza di realizzare<br />

questo incontro è nata<br />

allo scopo di fornire agli operatori<br />

del settore una migliore<br />

e corretta conoscenza della<br />

tecnica in questione, oltre che<br />

della sua utilizzazione. La<br />

giornata ha visto un numeroso<br />

pubblico di tecnici e<br />

restauratori, sia privati che<br />

della Amministrazione regionale,<br />

esperti nel campo dei<br />

Beni culturali, in particolare<br />

dei beni mobili; le tematiche<br />

trattate sono state quelle relative<br />

al ciclo vitale degli insetti<br />

xilofagi, principali biodeteriogeni<br />

dei manufatti di natura<br />

organica, ai trattamenti di<br />

disinfestazione classici e alla<br />

disinfestazione in atmosfera<br />

controllata e modificata con<br />

azoto, con dimostrazione pratica<br />

di quest'ultima. Il metodo,<br />

basato sul principio dell'anossia,<br />

è assolutamente innocuo<br />

sia agli operatori che al<br />

bene, e l'intervento può essere<br />

realizzato in situ. Si tratta di<br />

allestire con involucro plastico<br />

una bolla, di diversa grandezza<br />

a seconda degli oggetti<br />

da trattare, all'interno della<br />

quale verrà sottratto ossigeno<br />

ed immesso azoto. Il trattamento<br />

dura circa 21 gg.,<br />

durante i quali, all'interno<br />

della bolla, vengono continuamente<br />

controllati i parametri<br />

microclimatici, la quantità<br />

di ossigeno e di azoto.<br />

Trascorso il suddetto periodo,<br />

gli insetti in tutti i loro stadi<br />

vitali risulteranno morti a<br />

causa della mancanza di ossigeno.<br />

Presupposto imprescindibile<br />

per effettuare tale trattamento<br />

è che l'infestazione<br />

sia in atto.<br />

Rosa Not<br />

(2) INCONTRI TECNICI A<br />

PALAZZO MONTALBO.<br />

NUOVI MATERIALI PER<br />

IL RESTAURO DI CAR-<br />

TA E TESSUTI<br />

Lo scorso primo ottobre nel<br />

Salone delle Feste si è svolto<br />

un incontro tecnico sul tema<br />

relativo all’aggiornamento sui<br />

materiali da utilizzare per il<br />

restauro della carta e dei tessuti,<br />

organizzato in collabora-<br />

zione con la CTS di Altavilla<br />

Vicentina. L’importanza di<br />

conoscere e approfondire<br />

nuovi prodotti da utilizzare<br />

nel settore della conservazione<br />

riveste un grande interesse,<br />

in special modo oggi, dove la<br />

scelta dei materiali si orienta<br />

sempre più ad una riduzione<br />

dei rischi per le opere, per gli<br />

operatori e per l’ambiente.<br />

L’approfondimento ha<br />

riguardato nello specifico: gli<br />

addensanti, impiegati nella<br />

preparazione dei gel acquosi,<br />

da utilizzare nelle operazioni<br />

di pulitura delle superfici di<br />

opere d’arte; i protettivi e/o<br />

fissativi, fra i quali il ciclododecano,<br />

da utilizzare in alternativa<br />

alle tradizionali resine,<br />

la cui principale caratteristica<br />

è quella di sublimare (svanire)<br />

completamente non lasciando<br />

alcun residuo da dover rimuovere;<br />

e infine sono stati presentati<br />

dei nuovi polimeri per<br />

il consolidamento, come<br />

l’Aquazol, oggetto di sperimentazione<br />

e di particolare<br />

interesse per alcune qualità<br />

come, la termoplasticità, e<br />

l’assenza di lucidità delle<br />

superfici trattate.<br />

In considerazione che il<br />

buon esito di un restauro è<br />

legato anche all’uso mirato<br />

ed equilibrato dei materiali,<br />

appare sempre più utile e<br />

necessario interloquire con<br />

i produttori del ramo, al<br />

fine di socializzare le sperimentazioni<br />

effettuate, innescando<br />

così un processo<br />

virtuoso di interazione,<br />

mediante lo scambio dell’esperienza<br />

maturata dagli<br />

operatori del settore - in<br />

uno con la letteratura dei<br />

protocolli di restauro consolidati<br />

– utile allo sviluppo<br />

della ricerca per una mirata<br />

applicazione dei materiali<br />

sperimentati<br />

Caterina Dessy<br />

NEWS<br />

37


R RICERCHE &<br />

CONTRIBUTI<br />

PUNTERUOLO ROSSO DELLE PALME<br />

38<br />

BIOLOGIA E MEZZI DI CONTROLLO<br />

Stefano Colazza<br />

Facoltà di Agraria - Università di Palermo<br />

Il Punteruolo Rosso delle Palme, Rhyncophorus ferrugineaus,<br />

è un coleottero curculionide di origine asiatica,<br />

giunto nel bacino del Mediterraneo nei primi anni ’90. In<br />

Italia, le prime segnalazioni risalgono alla metà del 2004.<br />

Durante questi 4-5 anni, l’insetto si è diffuso pressoché in<br />

tutte le regioni italiane prospicienti il mare distruggendo<br />

migliaia di piante della specie Phoenix canariensis, la palma<br />

delle Canarie. In questi anni si sono osservate infestazioni<br />

anche a carico di altre specie di palme, ad esempio<br />

Washingtonia sp., P. dactyliphera, palma da dattero,<br />

Syargus romazoffiana, Jubaea chilensis e Livistona chinensis<br />

e Chamaerops humilis, palma nana del Mediterraneo, che<br />

rappresenta l’unica specie indigena per l’Italia.<br />

Gli adulti del Punteruolo sono di colore rosso-ferrugineo e<br />

sono lunghi circa 31-33 mm e larghi circa 10 mm. Il capo<br />

dell’insetto è caratterizzato dalla presenza del rostro, che nei<br />

maschi si presenta munito di una serie di fitte setole mentre<br />

nelle femmine si presenta glabro, più lungo ed arcuato. Le<br />

femmine depongono le uova alla base delle foglie o dei giovani<br />

germogli, preferendo le zone affette da ferite o cicatrici.<br />

Il numero di uova che una femmina può deporre varia da<br />

alcune decine a svariate centinaia. Dopo 3-6 giorni le uova si<br />

schiudono e le giovani larve penetrano all’interno della pianta<br />

per dare inizio alla fase endofita con la formazione nel<br />

tronco di gallerie e ampie cavità. Questo aspetto della biologia<br />

rende molto difficile effettuare la diagnosi dell’attacco<br />

precocemente, fenomeno che è reso più evidente quando ad<br />

essere colpite sono le palme delle Canarie. La pianta non<br />

presenta sintomi esterni evidenti della infestazione per mesi,<br />

in questo lasso di tempo si avvicendano più generazioni e<br />

centinaia di larve hanno modo di svilupparsi a carico del tessuto<br />

vegetale. Quando la sintomatologia dell’attacco appare<br />

evidente con le foglie apicali che si afflosciano su quelle<br />

inferiori, è spesso troppo tardi per poter intervenire efficacemente.<br />

I mezzi disponibili per contenere le popolazioni di questo<br />

insetto, che come abbiamo visto è per biologia e ruolo ecologico<br />

di difficile controllo, hanno, sino ad ora, evidenziato<br />

forse più i limiti che non le prospettive. Schematicamente i<br />

mezzi per il controllo del Punteruolo Rosso delle Palme possono<br />

essere raggruppati per comodità di esposizione in:<br />

legislativi, meccanici, biologici, biotecnici e chimici.<br />

Il mezzo legislativo, che, in ultima analisi, prevede il costante<br />

monitoraggio della diffusione del fitofago e la tempestiva<br />

eliminazione delle piante attaccate, è ragionevolmente il dispositivo<br />

che meglio di tutti ha frenato e potrà frenare lo sviluppo<br />

del Punteruolo rosso. Per il controllo delle infestazioni<br />

occorre fare riferimento alle “Disposizioni sulla lotta<br />

obbligatoria contro il Punteruolo Rosso delle palme R. ferrugineaus”<br />

della GURI del 13.02.08 che recepiscono la decisione<br />

della Commissione 2007/365/CE. Le regioni italiane<br />

interessate alle infestazioni del Punteruolo hanno emanato<br />

specifiche misure fitosanitarie; in particolare la Regione<br />

Campania con il Decreto del 31.01.06 n. 33 e la Regione<br />

Siciliana con il Decreto del 6.03.07 in forza al quale il<br />

Servizio Fitosanitario Regionale accerta e segnala l’ubicazione<br />

delle palme infestate all’Azienda Foreste Demaniali<br />

che provvede all’abbattimento a alla distruzione delle palme<br />

colpite seguendo adeguate procedure. Tuttavia, per zone in


cui la presenza dell’insetto è segnalata da oltre 3 anni, è<br />

tempo di rivedere le disposizioni legislative e procedere a<br />

dichiarare queste zone “zone di infestazione”. Negli ultimi<br />

anni è stato messo a punto un metodo di risanamento delle<br />

palme ai primi stadi di infestazione riadattando una tecnica<br />

comunemente utilizzata nelle isole Canarie per l’estrazione<br />

del guarapo, da cui si ricava il cosiddetto “miele di palma”.<br />

In pratica si tratta di asportare tutte le parti attaccate con<br />

l’ausilio di scalpelli ed altri attrezzi da potatura rimuovendo<br />

nel contempo anche tutti gli insetti presenti. Questa tecnica<br />

di dendrochirurgia è efficace solo quando i tessuti della pianta<br />

interessati dalla presenza del coleottero si trovano in una<br />

posizione più alta rispetto alla gemma, condizione che può<br />

essere verificata solo durante l’intervento. I costi onerosi di<br />

questi interventi e il fatto che molte delle piante “risanate”<br />

attraverso questa tecnica siano state re-infestate rendono<br />

questo metodo poco pratico nell’applicazione su larga scala.<br />

Tuttavia esso può avere una certa rilevanza nel risanare quelle<br />

palme dall’alto valore monumentale che si trovano in<br />

molti parchi e giardini italiani. Riguardo alla possibilità di<br />

usare nemici naturali del Punteruolo Rosso delle Palme, non<br />

RICERCHE & CONTRIBUTIR<br />

sono stati ancora individuati nemici naturali specifici che<br />

possano essere impiegati efficacemente. Infatti occasionale<br />

o di scarso rilievo è l’attività di predatori e parassitoidi nei<br />

confronti di R. ferrugineaus che si registra in campo. Tra i<br />

mezzi di lotta biologica, i risultati più promettenti derivano<br />

dall’impiego di formulati insetticidi a base di nematodi<br />

appartenenti al genere Steirernema. I nematodi aggrediscono<br />

attivamente le larve e, in misura minore, gli adulti dell’insetto<br />

nutrendosi e sviluppandosi internamente. Nel volgere di<br />

alcuni giorni l’insetto viene ucciso con la conseguente morte<br />

del punteruolo portandole a morte. In laboratorio i risultati<br />

osservati hanno registrato una mortalità prossima al 100%<br />

delle larve, in campo l’utilizzo di questi formulati ha determinato<br />

risultati meno buoni con una mortalità delle larve<br />

osservata che va dal 29% al 67%. L’importanza di questo<br />

mezzo di lotta biologico non va comunque sottovalutata,<br />

anche in funzione del basso impatto ambientale derivante<br />

dall’utilizzo di questi formulati. Tra i mezzi biotecnici per il<br />

controllo del Punteruolo si annovera il metodo della cattura<br />

massale. Questa tecnica prevede l’utilizzo di quantitativi<br />

consistenti di trappole innescate con esche di natura chimica<br />

39


R<br />

40<br />

RICERCHE & CONTRIBUTI<br />

al fine di catturare il maggior numero possibile di adulti<br />

della specie da combattere. Le esche chimiche utilizzate<br />

nelle trappole adoperate per il Punteruolo Rosso delle Palme<br />

attraggono l’insetto sia con stimoli sessuali (feromone di<br />

aggregazione, 4-metil-5 nonanolo) che alimentari (esteri che<br />

si sviluppano dalle palme in fermentazione, come acetato o<br />

propinato di etile). Tale tecnica è stata recentemente utilizzata<br />

nel corso di uno studio del Dipartimento S.En.Fi.Mi.Zo.<br />

dell’Università di Palermo nel comune di Marsala (TP) con<br />

risultati promettenti ed attualmente è stata ripetuta in scala<br />

più grande a Palermo. Nel capoluogo siciliano sono state<br />

poste 500 trappole sparse in tutta la città, ognuna delle quali<br />

cattura una media di due individui al giorno. Al giorno d’oggi<br />

questa biotecnologia entomologica si segnala tra le più<br />

promettenti nell’ambito del controllo del Punteruolo Rosso<br />

delle Palme. L’utilizzo di formulati insetticidi nei confronti<br />

del Punteruolo Rosso delle Palme è oggi al centro di dibattiti<br />

all’interno della comunità scientifica a causa delle ripercussioni<br />

che tale mezzo può avere negli ambienti urbani se<br />

applicato senza i dovuti accorgimenti. Il Ministero della<br />

Salute ha autorizzato, per la prima volta nel febbraio 2008 e<br />

successivamente con una deroga nel giugno 2009, per motivi<br />

eccezionali, l’impiego di alcuni principi attivi. Tuttavia il<br />

controllo e la prevenzione delle infestazioni del Punteruolo<br />

Rosso delle Palme con mezzi chimici non è di facile attuazione<br />

ed è importante che i trattamenti vengano effettuati da<br />

personale specializzato. Le difficoltà nella lotta chimica<br />

derivano sia dal comportamento del coleottero, le cui larve si<br />

sviluppano ben protette all’interno della porzione apicale<br />

delle palme, che dalla morfologia e fisiologia della palma<br />

stessa. Attualmente due sono i metodi di controllo chimico<br />

prevalentemente utilizzati: endoterapia e aspersione. Essi si<br />

differenziano sia per i principi attivi somministrati che le<br />

modalità di applicazione. L’endoterapia si avvale di insetticidi<br />

sistemici a base abamectina o imidacloprid. Questi principi<br />

attivi vengono applicati all’interno delle palme attraverso<br />

delle “iniezioni” nel tronco. Se da un lato tale metodo ha<br />

il vantaggio di avere un impatto ambientale relativamente<br />

ridotto, dall’altro spesso non ha mostrato un effetto tale da<br />

garantire la completa mortalità dell’insetto e il conseguente<br />

recupero della pianta infestata. Il metodo per “aspersione” si<br />

avvale di insetticidi di sintesi, come il chlorpyriphos, somministrati<br />

dall’esterno sulla chioma. Questa strategia sembra<br />

dare qualche risultato positivo se usata in via preventiva.<br />

Tuttavia la necessità di reiterare i trattamenti per tutto il<br />

periodo di diffusione degli adulti e soprattutto gli elevati<br />

effetti di inquinamento ambientale che comportano i trattamenti<br />

rendono questo metodo poco sostenibile. In sintesi una<br />

unica “soluzione” semplice ed economica per affrontare e<br />

risolvere i gravi problemi che hanno fatto seguito all’introduzione<br />

del Punteruolo Rosso delle Palme ancora non è stata<br />

messa a punto, pertanto la strada da percorrere è quella dell’uso<br />

integrato dei mezzi disponibili, adattando la strategia di<br />

volta in volta a seconda del contesto in cui si opera.


PALME E PAESAGGIO<br />

L’ABITO URBANO VEGETATIVO<br />

Giuseppe Barbera<br />

Facoltà di Agraria - Università di Palermo<br />

Gli ultimi dati parlano di 14.000 palme abbattute, ma la<br />

diffusa presenza di esemplari ancora in piedi, mortificati<br />

dal ciuffo appassito delle foglie, fa pensare che il numero<br />

sarà destinato a crescere fino a quando, finalmente, si capirà<br />

che non ci sono (o non sono sufficienti) scorciatoie chimiche<br />

o biologiche, trappole o repellenti, aspersioni o endoterapie<br />

fino in fondo efficaci e che la strada principale da percorrere<br />

in ambiente urbano è quella della estirpazione di tutti gli<br />

individui colpiti. Invece, in suoli pubblici o privati, lasciate<br />

come gli appestati a diffondere il male, gli stipiti delle palme<br />

continuano ad allevare nei loro tessuti centinaia di punteruoli<br />

pronti a completare l’opera distruttiva. Si prevede ormai<br />

che l’infestazione troverà un punto di equilibrio, quando solo<br />

poche saranno le palme delle Canarie ( la sola specie significativamente<br />

colpita oggi in Sicilia) sopravvissute, quando<br />

quindi il paesaggio urbano sarà stato fortemente modificato<br />

e quello delle ville storiche e delle piazze e alberature monumentali<br />

definitivamente compromesso. Non c’è ad oggi una<br />

diffusa consapevolezza sulle conseguenze dell’infestazione<br />

del punteruolo rosso e i singoli cittadini, proprietari di giardini<br />

o semplici amanti del verde, appaiono molto più preoccupati<br />

e addolorati dei decisori pubblici, indifferenti (come<br />

molti altri indizi concorrono a dire) alle sorti del giardino<br />

storico siciliano e al paesaggio culturale dell’isola.<br />

Comunque vada, il paesaggio delle città siciliane si avvia a<br />

cambiare sotto i nostri occhi. Dopo la cancellazione dei giardini<br />

di agrumi, degli orti e dei frutteti nelle cinte periurbane,<br />

dopo il degrado di tanta architettura antica e la proliferazione<br />

della sciatta edilizia contemporanea, un‘altra parte della<br />

identità paesaggistica siciliana, quella che la rendeva esotica,<br />

diversa e perciò appetibile ai viaggi e ai ricordi dei visitatori<br />

e al piacere e al rimpianto della memoria, scompare.<br />

Molte piazze e giardini sono ormai stravolte e solo fotografie<br />

ormai datate e vecchie cartoline ci rimandano al paesaggio<br />

scomparso: quello dei viaggiatori del Grand Tour che<br />

nell’immaginario rimane indimenticabile. Per limitarsi a<br />

Palermo, è il paesaggio del giovane architetto tedesco<br />

Hessemer che godeva la vista della “vallata…come di un<br />

paradiso terrestre; qua e là piccole case bianche affiancate da<br />

palme svettanti tra il verde intenso degli altri alberi?”, il paesaggio<br />

di Edmondo De Amicis che ammirava nella “stupenda<br />

e strana Città dei Vespri e di Santa Rosalia” una “vegetazione<br />

magnifica che vi circonda nei giardini e nei parchi cittadini,<br />

dove si incrociano i viali fiancheggiati di oleandri e di<br />

rose, e s’affollano le palme, i platani, gli eucalipti, le più preziose<br />

specie di tutte le flore”, quello dove Alexandre Dumas<br />

che scorgeva “le ville attorniate dai vigneti, i palazzi all’ombra<br />

dei palmizi: tutto questo spettacolo metteva la gioia nel<br />

cuore e l’ammirazione negli occhi… Fino a Monreale la<br />

strada è deliziosa; è quella che gli antichi chiamavano la<br />

Conca d’Oro, ossia un grande bacino di un bel verde smeraldo,<br />

variegato dai mille colori degli oleandri, mirti e aranceti,<br />

RICERCHE & CONTRIBUTI<br />

mentre, al di sopra di essi, s’innalza, a distanza irregolare,<br />

qualche palmizio e ondeggia con noncuranza un maestoso<br />

ciuffo africano”. Il paesaggio, per l’anarchico Elisee Reclus,<br />

delle “ville Belmonte e Pignatelli circondate da ameni giardini<br />

che sorridono…come dimore di fate. Fioriti gerani, allori,<br />

palme, cedri si imboscano intorno alle aiuole tortuose”. Il<br />

paesaggio dove per il poeta russo Andrei Belyj, “le rigide<br />

pale della palma danzano…nel vento ballerino”.<br />

Il rilievo delle palme nelle città e nei giardini siciliani può<br />

essere anche colto dal grande spazio che esse occupano nelle<br />

cartoline postali della fine dell’Ottocento e degli inizi del<br />

Novecento e che di fatto sintetizzano il fascino della “veduta”,<br />

spesso incorniciata dalla chioma elegante delle palme<br />

stesse. Alcune di queste foto ci rappresentano un “paesaggio”<br />

ormai connaturato con le nostre città, ma che i gravi<br />

danni apportati dal punteruolo hanno compromesso. Forse<br />

nessuna parola o immagine può valere a testimoniare l’importanza<br />

delle palme nel paesaggio siciliano quanto quelle<br />

dello zio del “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati che tornato<br />

a Catania ,dopo aver vissuto a lungo a Parigi e Barcellona<br />

esclama:“Come voglio bene a questa terra!...Che disgraziato<br />

rimanerne per vent’anni lontano!...Ecco qui la palma!...ecco<br />

la palma con cui avrei cambiato tutti i giardini di<br />

Versaglia…”<br />

Che fare allora nei giardini storici, nelle piazze, nelle alberature<br />

stradali una volta che la gran parte delle palme delle<br />

Canarie saranno scomparse? Bisognerà ricordarsi che solo<br />

dalla seconda metà del Ottocento (in Italia è presente dal<br />

1888) questa specie è diffusa nei nostri giardini e che molte<br />

altre specie – nei giardini storici siciliani ne sono state rinvenute<br />

ben 35 diverse- possono essere utilizzate al suo posto e<br />

che ad esse bisognerà rivolgersi se si vogliono restituire le<br />

stesse forme, le stesse strutture paesaggistiche oggi negate<br />

dal punteruolo. Naturalmente andranno evitate le specie che<br />

si sono mostrate sensibili agli attacchi e comunque paesaggisti<br />

e appassionati del verde dovranno ricorrere ad esse ben<br />

consci dei rischi che si corrono. Con molta prudenza, sulla<br />

base dei dati riportati dal rapporto su “La ricerca scientifica<br />

sul punteruolo rosso e gli altri fitofaghi delle palme in<br />

Sicilia” (a cura di S. Colazza, S. Longo, G. Filardo,<br />

Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana,<br />

2009) si dovrà ricorrere a Livistonia chinensis (1 caso segnalato<br />

a Palermo), Sabal sp. (3 piante in piena terra colpite in<br />

un vivaio a Catania), Syagrus romnzoffiana (3 casi a<br />

Catania), Jubaea chilensis (1 caso a Catania), Howea forsteriana<br />

(2 casi a Giarre). Anche altre specie, prime tra tutte<br />

l’autoctona palma nana e la palma da datteri sono state colpite,<br />

limitatamente ad alcuni esemplari, ma come rinunciare<br />

ad esse? Va ricordato in ogni caso che l’abito vegetativo,<br />

cespuglioso per la presenza e l’emissione continua di numerosi<br />

polloni, della palma nana riduce fortemente la possibilità<br />

che la pianta venga uccisa dall’insetto e anche la sua appa-<br />

R<br />

41


R<br />

42<br />

RICERCHE & CONTRIBUTI<br />

renza estetica non ne viene fortemente alterata. Anche la<br />

palma da datteri, colpita allo stipite e non nell’unica gemma<br />

apicale, si presta ad una ulteriore diffusione nel paesaggio.<br />

Pur essendo di origine esotica fa parte più di ogni altra palma<br />

del paesaggio tradizionale siciliano, non solo di quello urbano<br />

ma anche di quello rurale dove la forma slanciata e la<br />

chioma svettante segnano storicamente gli insediamenti dell’uomo.<br />

Con una certa cautela andrebbero invece diffuse le<br />

Washingtonie americane, molto apprezzate invece per la<br />

rapida crescita e fino ad oggi per una buona tolleranza al<br />

punteruolo (che ne ha pure colpito 8 esemplari), ma anche<br />

perché incongrue alla classicità del paesaggio mediterraneo<br />

che banalizzano in molti viali lungomare, in molti giardini<br />

partecipando ad un paesaggio globale che non ha qualità,<br />

distinzioni e confini.<br />

La scelta delle specie da diffondere al posto della palma<br />

delle Canarie segue però sempre l’eliminazione delle ceppaie<br />

delle palme uccise (che rimangono, si è visto in molte<br />

occasioni, rifugi per nuove generazioni di punteruoli) e la<br />

disponibilità di progetti di impianto che in linea, con la storia<br />

e il disegno dei giardini storici, diano corrette indicazioni.<br />

Si dovrebbero dotare i giardini siciliani – e non solo in<br />

ragione dei danni del punteruolo- di piani di gestione.<br />

Questi, predisposti da competenti, attenti alla storia dei singoli<br />

giardini, alle problematiche che derivano dai diversi<br />

ambienti colturali, all’assetto della vegetazione sono necessari<br />

a fornire indicazioni che non affidino solo al buon gusto<br />

del paesaggista o del giardiniere (figure professionali tra<br />

l’altro trascurate a vantaggio di competenti dell’ultima ora,<br />

spesso senza alcuna qualifica) le scelte tecniche di impianto<br />

e manutenzione e, con esse, le sorti dei giardini storici.<br />

Questi, ricordiamolo, sono “composizioni architettoniche e<br />

vegetali che, dal punto di vista della storia o dell’arte, presentano<br />

un interesse pubblico”, dice la Carta di Firenze che<br />

dovrebbe guidare anche in Sicilia ogni ragionevole intervento<br />

di restauro o recupero.


I PORTALI DELLA CITTÀ<br />

ARCHITETTURA, TRASFORMAZIONI E SOVRAPPOSIZIONI<br />

STILISTICHE NEL CENTRO STORICO DI PALERMO<br />

Lucia Carrubba<br />

Dottore di Ricerca<br />

Il centro storico di Palermo è caratterizzato da architetture<br />

che affondano le proprie radici in un passato millenario<br />

che ha visto sovrapporsi e mescolarsi tradizioni, tecniche<br />

costruttive e stili architettonici di diverse epoche.<br />

Camminarvi attraverso costituisce un vero e proprio viaggio<br />

nella storia, i cui segni sono impressi e leggibili già nei prospetti<br />

degli edifici. In particolare, uno degli elementi che<br />

consente l’immediata lettura del trascorso materiale, culturale<br />

ed artistico è il portale, significativo particolare architettonico<br />

che si presta a letture stilistiche, geometriche e tecnologiche.<br />

Considerato quale elemento di passaggio tra l’esterno e l’interno<br />

dell’edificio, il portale assurge ad una duplice funzione,<br />

quella decorativa del vano d’ingresso e quella emblematica<br />

dell’autorità e del prestigio della famiglia possidente.<br />

Per tali ragioni il portale ha da sempre rivestito un ruolo di<br />

primaria importanza, suscitando studi e riflessioni sulla relativa<br />

progettazione formale e decorativa.<br />

Tuttavia con l’evolversi dei secoli, tale ruolo è andato sempre<br />

più scemando, sino alla completa rimozione della figura<br />

emblematica del portale nell’architettura contemporanea. I<br />

moderni edifici il più delle volte presentano semplici aperture<br />

prive di ogni riferimento stilistico o ornamentale, in cui<br />

l’elemento predominante è raffigurato dalla pura esaltazione<br />

del contrasto tra pieno e vuoto attraverso l’esclusiva linearità<br />

dello schematismo formale dell’apertura. Questa nuova<br />

visione ha, dunque, determinato la progressiva scomparsa<br />

dei principi fondativi del portale, riscontrabili unicamente<br />

nelle numerose architetture storiche caratterizzanti vicoli e<br />

strade di molteplici centri urbani.<br />

Palermo, in quest’ottica, con i suoi quattro mandamenti, rappresenta<br />

un’importante documento architettonico, in cui i<br />

portali richiamano l’attenzione, anche dell’osservatore meno<br />

attento, inducendolo spesso a fermarsi e ad osservare l’edificio<br />

monumentale nel suo insieme. È dunque sembrato<br />

opportuno favorire la conoscenza di questo particolare architettonico,<br />

ormai esclusiva testimonianza del passato, attraverso<br />

una descrizione dei caratteri stilistici e formali e della<br />

relativa evoluzione nei secoli, ed alcuni rilievi dei più significativi<br />

portali del Mandamento Palazzo Reale di Palermo.<br />

Ciascun portale trasmette l’eredità storica che lo caratterizza,<br />

esprimendo in ogni epoca la somma di precise tradizioni<br />

stilistiche e tecniche costruttive. Ma rappresenta anche la<br />

sintesi di ulteriori fattori, connessi ad esempio al rapporto tra<br />

edificio e contesto o al grado di nobiltà del proprietario. Il<br />

primo fattore ha gradualmente rivoluzionato lo schematismo<br />

formale del portale, che da semplice varco è divenuto ele-<br />

RICERCHE & CONTRIBUTI<br />

mento di mediazione tra la strada ed il cortile, in una innovativa<br />

soluzione di continuità che vede l’edificio aprirsi<br />

verso l’esterno ed inglobare al suo interno lo spazio urbano.<br />

Pertanto nell’edificio arabo-normanno, sia esso castello o<br />

palazzo, si riscontrano nella corposa e pesante volumetria<br />

della muratura, semplici portali ad arco acuto, realizzati con<br />

conci di dimensioni regolari e privi di sporgenze o rincassi.<br />

La decorazione, a carattere quasi grafico, è generata dalla<br />

materia stessa mediante il colore delle pietre variamente disposte.<br />

Interessanti esempi, oltre al portale della chiesa di S.<br />

Giovanni degli Eremiti nel Mandamento Palazzo Reale,<br />

sono rappresentati dai portali della chiesa di S. Cataldo e<br />

della chiesa della Magione ubicati nel Mandamento<br />

Tribunali (fig. 1). Con l’affievolirsi di tale concezione,<br />

comincia a delinearsi e ad affermarsi nei secoli successivi<br />

una differente impostazione tipologica dell’edificio, che inizia<br />

ad essere maggiormente qualificato, nella propria individualità<br />

stilistica, proprio dalle aperture. La piena muratura,<br />

che rappresenta ancora elemento caratterizzante l’intera<br />

opera, è arricchita, nel XIII e XIV secolo, da portali medievali<br />

ad arco acuto dalle linee esaltate e maggiormente slanciate,<br />

sempre chiaroscurati attraverso il gioco degli accostamenti<br />

policromi delle pietre (come a palazzo Sclafani, a<br />

palazzo Chiaramonte e nelle chiese di S. Francesco d’Assisi<br />

e di S. Agostino). E per tutto il XV secolo da portali in cui<br />

emerge una maniera più raffinata fatta di trafori nella muratura,<br />

di archi ribassati o depressi dalle straordinarie curve -<br />

appena descritti da raggiere di conci e definiti da cornici - e<br />

di eleganti e piccoli elementi decorativi inquadrati nel paramento<br />

murario (chiesa S. Maria degli Angeli - Gancia,<br />

palazzo Ajutamicristo, palazzo Abatellis).<br />

Ed è sempre nel Quattrocento che il portale accresce il suo<br />

ruolo rappresentativo dello status sociale della famiglia proprietaria,<br />

fattore quest’ultimo che ha generato, nei secoli<br />

successivi soprattutto nel Seicento, magnifici portali intesi<br />

quali piccole sculture e vere e proprie opere d’arte.<br />

Attraverso geometrie e decori, gli artisti del tempo hanno<br />

dato lustro alla personale genialità spesso fondendo anche<br />

stili tra loro diversi.<br />

Il Cinquecento è caratterizzato nella prima metà del secolo<br />

dalla fusione tra elementi rinascimentali ed elementi gotici e<br />

mantiene l’impostazione quattrocentesca del portale con<br />

arco depresso, cornice gotica e peducci rinascimentali (fig. 2<br />

palazzo Filangeri). Successivamente, il linguaggio architettonico<br />

rinascimentale, e più specificamente manierista, prende<br />

il sopravvento e da qui l’impiego di colonne, capitelli,<br />

lesene, architravi, trabeazioni, timpani, tutti elementi dell’or-<br />

R<br />

43


R<br />

44<br />

RICERCHE & CONTRIBUTI<br />

Fig.1 Esempi di portali XI - XII secolo:<br />

Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti -<br />

Chiesa di S. Cataldo - Chiesa della<br />

Magione<br />

1 2 3 4<br />

Fig.2 Esempi di portali XVI secolo:<br />

Palazzo Filangeri - Palazzo Oneto -<br />

Palazzo Castrone di S. Ninfa<br />

dine classico che esaltano la simmetria e la purezza dei volumi.<br />

La particolare decorazione di questo periodo vede l’uso di<br />

trame a rilievo su grandi bugne poste a cornice dei portali e<br />

talvolta a marcapiano dei prospetti come nei rispettivi portali<br />

di palazzo Oneto e di palazzo Castrone di S. Ninfa (fig. 2).<br />

La ricercatezza formale si protrae per tutto il Seicento, e al<br />

gusto tardo rinascimentale si combina quello barocco siciliano<br />

ricco di decorazioni scultoree: il portale è caratterizzato<br />

da un partito architettonico cinquecentesco ispirato all’arte<br />

classica, con aggiunte alterazioni decorative barocche(fig. 3<br />

Palazzo Reale). L’arco poligonale sostituisce quello arcuato<br />

e nasce al contempo un nuovo tema figurativo che troverà<br />

piena affermazione nel secolo successivo. L’innovativo<br />

schema strutturale vede il legame tra il portale a piano terra<br />

ed il primo ordine soprastante: accanto al portone e sul balcone<br />

è l’ordine architettonico con l’uso di colonne libere o<br />

appoggiate o incastrate o di lesene, a risolvere sulla sua trabeazione<br />

il piano di affaccio, mentre la ricca mostra laterale<br />

si conclude nel timpano a reggere gli stemmi nobiliari. Tra i<br />

numerosi esempi riscontrabili all’interno dei quattro mandamenti<br />

si riportano i portali di palazzo Ugo delle Favare e di<br />

palazzo Alliata di Villafranca (fig. 3).<br />

Nell’ultimo trentennio del Settecento si avverte un’inversione<br />

di tendenza, un ritorno cioè a forme pure con elementi<br />

ripresi dall’architettura greca e romana, preludio delle tendenze<br />

stilistiche neoclassiche confermate nei primi anni<br />

dell’Ottocento, quando, con l’architetto Giovan Battista<br />

Fig.3 Esempi di portali XVII secolo:<br />

Palazzo Reale - Palazzo Ugo delle<br />

Favare - Palazzo Alliata di Villafranca<br />

Fig.4 Esempi di portali XIX - XX secolo:<br />

Palazzo Balsano di Daina - Palazzo<br />

Vaccarizzo - Palazzo Napolitano<br />

Filippo Basile nasce una nuova corrente stilistica che denota<br />

una ricerca formale centrata soprattutto sul disegno e sui dettagli<br />

ornamentali floreali (ghirlande, rami, foglie), il tutto<br />

rientrante tra lesene e capitelli classici, o marcatamente<br />

liberty. Ogni singolo dettaglio è precisato con la massima<br />

cura, dall’arrotondamento degli spigoli, alla disposizione dei<br />

conci di rivestimento esterno, alla filigrana in ferro che definisce<br />

tetti e guglie.<br />

La volontà di ostentazione mediante espressioni scenografiche<br />

esasperate, in nome della pura e sola rappresentazione<br />

del potere e della ricchezza nobiliare, genera, sino ai primi<br />

anni del Novecento, un intenso eclettismo rappresentato da<br />

una varietà stilistica di portali, localizzati nel centro storico<br />

prevalentemente lungo l’asse di Via Roma, che esprimono<br />

così i vari linguaggi correnti: neoclassico, neogotico, liberty,<br />

rispettivamente rappresentati dai portali di palazzo Balsano<br />

di Daina, palazzo Vaccarizzo e palazzo Napolitano (fig. 4).<br />

In conclusione, questa breve sintesi sull’evoluzione storicostilistica<br />

del portale nel centro storico di Palermo, se da un<br />

lato documenta il valore che ogni singolo elemento architettonico<br />

storico riveste all’interno di un più ampio patrimonio<br />

culturale, dall’altro vuol contribuire a stimolare le Autorità<br />

competenti verso la loro tutela. Gran parte di questi portali è<br />

infatti caratterizzata da un elevato stato di degrado, e talvolta<br />

anche di abbandono, che richiederebbe una azione di<br />

restauro tempestiva affinché questo esclusivo documento<br />

non vada perso nel tempo definitivamente.


PERCORSI FORMATIVI<br />

OBIETTIVI DI STUDIO PER UN’IDONEA FRUIZIONE<br />

E CONSERVAZIONE DELLE OPERE D’ARTE<br />

Francesca Pulizzi/Lorella Pellegrino<br />

Tutor didattici - CdL Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali<br />

Nel corso di questi anni il CRPR è stato più volte chiamato<br />

a eseguire interventi di restauro su opere di gallerie e<br />

musei della nostra regione, assumendo sempre più un<br />

ruolo di riferimento per la complessa attività di recupero e<br />

conservazione del patrimonio culturale, la quale richiede<br />

una pianificazione degli interventi sostenuta da studi<br />

approfonditi e progetti articolati sia in fase diagnostica che<br />

tecnica<br />

Appare chiaro che lungo i percorsi espositivi spesso ci si<br />

confronta con operazioni di salvaguardia su opere eterogenee,<br />

facenti parte della stessa collezione, che nel tempo<br />

hanno subito interventi quasi mai dettati da unitarietà e<br />

razionalità metodologica conservativa.<br />

I laboratori di restauro di manufatti di origine inorganica<br />

dell’Istituto, sono, da tempo, dedicati alla didattica tecnicopratica<br />

del Corso di Laurea interfacoltà di Conservazione e<br />

<strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali che afferisce alla Facoltà di<br />

Scienze Naturali e Naturalistiche dell’Università di Palermo<br />

e abilita alla professione di restauratore. Uno dei contenitori<br />

museali cui abbiamo fatto riferimento per la didattica durante<br />

l’anno accademico in corso - grazie alla sensibilità di<br />

Giulia Davì - è stato la Galleria Regionale di Palazzo<br />

Abatellis a Palermo; nel caso specifico sono state selezionate<br />

alcune delle opere marmoree esposte che presentavano<br />

tipologie di degrado rappresentative della problematica che<br />

con questo progetto intendiamo affrontare, anche per la redazione<br />

di tesi di Laurea Specialistica.<br />

É stata perciò possibile una proficua collaborazione di tutti i<br />

Docenti delle materie tecniche, scientifiche ed umanistiche,<br />

essenziale per affrontare la fase analitica preliminare agli<br />

interventi di restauro. Scopo di questo progetto è l’avvio di<br />

indagini estensive sulle singole opere scultoree custodite,<br />

per la messa a punto di protocolli d’intervento da eseguire<br />

con l’indispensabile contributo di tecnologie analitiche guidate<br />

da un criterio metodologico il più possibile unitario.<br />

Tale studio si configura quale campione pilota per redigere<br />

la Carta del Rischio degli ambienti confinati che il <strong>Centro</strong><br />

<strong>Restauro</strong> intende avviare.<br />

Il piano terra della Galleria è, quasi interamente, dedicato ai<br />

manufatti litici, un percorso museale ricco di sculture distribuite<br />

secondo un criterio storico cronologico, realizzate sia a<br />

basso rilievo che a tutto tondo, di epoca medievale e rinascimentale.<br />

Le opere, il cui materiale costitutivo è il marmo<br />

bianco microcristallino, sono caratterizzate da levigatissime<br />

superfici, che conservano ancora labili tracce di cromie e<br />

dorature a foglia; il cuore di questa sezione è costituito dalla<br />

sala dedicata ad “Eleonora D’Aragona”, insigne opera di<br />

Francesco Laurana i cui differenti equilibri cromatici e<br />

vibrazioni plastiche superficiali sono prodotti da singolari<br />

strumenti di lavorazione adottati per la differenziazione di<br />

trine e tessuti, e da residui di origine organica non più rimovibili.<br />

L’intervento mira a migliorare la fruibilità dei manu-<br />

FORMAZIONEF<br />

fatti scultorei esposti lungo il percorso museale, affinché il<br />

visitatore non solo guardi ma veda, per coinvolgerlo emotivamente<br />

e razionalmente<br />

È, quindi, indispensabile l’avvio di una campagna di indagini<br />

non invasive con l’ausilio di strumentazioni spettrofotometriche,<br />

multispettrali, in fluorescenza a raggi x, termografiche<br />

e microgeofisiche per l’analisi preliminare di tutte le<br />

opere scultoree, che prende le mosse dal rilevamento microclimatico<br />

e dal controllo del particellato ambientale, seguito<br />

da una campagna di microprelievi per la determinazione<br />

della natura della coprente coltre bruna, rilevata su tutte le<br />

superfici marmoree della collezione, e degli effetti deterioranti<br />

di questa sui manufatti.<br />

Inoltre, certi della presenza di differenti trattamenti superficiali,<br />

attribuibili agli stessi artisti che, originariamente, definivano<br />

la finitura di carnati e abbigliamenti o panneggi di<br />

un’opera, oltre che con stesure pigmentate anche con toni<br />

cromatici ottenuti con sostanze organiche di varia natura<br />

(oli, cere, vernici o collette animali), ci siamo prefissi con la<br />

45


F<br />

46<br />

FORMAZIONE<br />

fase diagnostica di tendere all’identificazione di tali diversi<br />

toni, oggi riconducibili a pallide diversificazioni, il più delle<br />

volte non facilmente rilevabili a una buona misura occhiometrica.<br />

Delicate superfici che hanno richiesto puliture selettive,<br />

pilotate da misure fisiche che garantiscono il controllo<br />

e la salvaguardia dei caratterizzanti valori cromatici, con<br />

grande padronanza e sicurezza anche su superfici che conservano<br />

sottilissime pellicole tonali, specie in campiture un<br />

tempo dedicate alla doratura a foglia o a pastiglia, oggi mancante.<br />

Su tali aree infatti, l’assottigliamento dei depositi consente<br />

di conservare anche solo la “memoria cromatica”, rarefatte<br />

valenze cromatiche, queste molto spesso sottovalutate e distrattamente<br />

affrontate fino a perderne totalmente la memoria.<br />

Tra le opere oggetto di restauro la testina di Dama, il Busto<br />

di Giovinetto e l’Eleonora D’Aragona di Francesco<br />

Laurana, la Natività e la Presentazione al Tempio di<br />

Costantino di autore ignoto esposte nella Sala del Laurana;<br />

la Madonna degli Anzaloni e la Madonna con Bambino di<br />

Antonello Gagini, i capitelli e le rispettive basi opera della<br />

bottega dei Gagini esposti nella Sala dei Capitelli. Lo Stage<br />

presso il Museo ha diverse valenze, innanzitutto didattiche<br />

ma anche di servizio verso una struttura della regione contenitore<br />

di opere di grande valore storico-artistico. L’obiettivo<br />

della didattica è di far comprendere il valore della manutenzione<br />

ordinaria e straordinaria, ma anche quello di mettere<br />

gli studenti a diretto contatto con opere preziose che esprimono<br />

i più grandi valori che l’essere umano è in grado di<br />

produrre e trasmettere a prescindere dal periodo o dal materiale.<br />

Dunque il rilievo, l’anamnesi del manufatto attraverso<br />

la diagnostica, la pulitura selettiva, il trattamento di protezione<br />

finale diventano per noi docenti, da un lato gli strumenti<br />

per raggiungere gli obiettivi didattici prefissati, dall’altro un<br />

momento fondamentale per ricerche che solo un’istituzione<br />

universitaria può garantire.


TIROCINIO IN CHIESA<br />

L’OSTENSORIO CON GLI ANGELI DEL CARMINE MAGGIORE<br />

Provvidenza Lupo<br />

Tutor didattico - CdL Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali<br />

N ell’ultimo anno accademico 2008/2009, fra le attività di<br />

formazione svolte presso il CRPR, nel quadro del programma<br />

del Corso di laurea in Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei<br />

Beni Culturali della Facoltà MM.FF.NN, è stato dedicato un<br />

tirocinio didattico al restauro dei manufatti in metallo e<br />

leghe, a cui hanno partecipato gli allievi del terzo anno.<br />

Le esercitazioni di restauro sono state eseguite sugli oggetti<br />

forniti dalla Chiesa del Carmine Maggiore, con la quale si è<br />

istaurato in questi anni un proficuo rapporto di collaborazione,<br />

essendo un vero e proprio ed inesauribile “contenitore”<br />

data la ricca gamma di beni posseduti che necessitano di<br />

interventi e che -di volta in volta- vengono proposti per lo<br />

svolgimento dei “cantieri didattici” (così come si configurano<br />

i vari tirocini di restauro), grazie ai quali è possibile recuperarli<br />

con azioni mirate. Come è noto la chiesa del Carmine<br />

sorge in uno dei più affollati e popolari rioni storici della<br />

città: l’antico mandamento dell’Albergheria. Essa è un<br />

autentico gioiello di storia e d’arte, nonché uno dei primi<br />

esempi di architettura barocca palermitana. Varie e complesse<br />

sono le vicende dei numerosi restauri a cui è stata sottoposta,<br />

un tema che meriterebbe senz’altro uno spazio più<br />

approfondito di queste brevi informazioni.<br />

Tra la varia e preziosa oggettistica liturgica selezionata è da<br />

segnalare il manufatto dell’argentiere palermitano Saverio<br />

Martinez: un bellissimo ostensorio, tra i più antichi rimasti,<br />

in argento massiccio dorato con fregi in rilievo e di stile<br />

rococò che sul piedistallo, decorato con foglie d’acanto e<br />

volute e grappoli d’uva, porta tre targhette decorative incise:<br />

una con lo stemma carmelitano di Sicilia; un’altra con la<br />

Luna (simbolo della Madonna); la terza, invece, riporta la<br />

data di fattura: fecit 1762. Sull’estremo lembo della base<br />

sono incise le lettere: “R.P.M.A.R.F, 1813”, iniziali di:<br />

“Rev. P. Maestro Antonino Ragusa fece restaurare nel<br />

1813”. Il fusto, riccamente ornato da piccole volute e foglie<br />

di vite e nella parte finale in alto da un delicato motivo a<br />

spiga di grano, sorregge la teca dell’ostia contornata da una<br />

ghirlanda formata da otto testine di puttini alati adagiati su<br />

nuvole lavorate a sbalzo -che viene riproposta anche nel<br />

tergo- e dalla quale si diparte la splendida raggiera dorata e<br />

argentata con in cima la croce.<br />

L’intervento di restauro conservativo eseguito dagli allievi<br />

del corso, sotto l’attenta guida della docente Ludovica<br />

Nicolai dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è stato<br />

preceduto da una approfondita analisi sullo stato di conservazione<br />

del manufatto che -nel caso in specie- presentava<br />

alterazioni dovute anche ad una non appropriata manutenzione,<br />

effettuata perlopiù con prodotti poco idonei, come<br />

purtroppo quasi sempre avviene nella custodia degli enti parrocchiali:<br />

spesso per la pulitura delle suppellettili liturgiche<br />

di uso quotidiano ci si affida alla collaborazione di sacristi o<br />

parrocchiane volenterose che, cimentandosi in operazioni di<br />

sola lucidatura, usano prodotti commerciali generici (in<br />

FORMAZIONEF<br />

genere paste abrasive) che nel tempo alterano e danneggiano<br />

la composizione materica degli oggetti (argento, ottone,<br />

bronzo, rame etc.). Inoltre si sono riscontrate delle patine<br />

nerastre e gocce di cera solidificate anche negli interstizi.<br />

L’intervento volto alla rimozione dei prodotti di alterazione<br />

si è articolato in varie fasi:<br />

- smontaggio dei singoli componenti,<br />

- pulitura con prodotti e attrezzature di laboratorio idonee,<br />

- protezione finale del manufatto con cere naturali.<br />

Infine, così come per tutti i reperti trattati nel corso del tirocinio,<br />

è stata redatta dagli allievi una scheda tecnica, corredata<br />

da documentazione grafica e fotografica dell’intero<br />

intervento, raccolta anche su supporto informatico in uno<br />

specifico power point, il quale è stato utilizzato a conclusione<br />

dell’attività didattica come strumento di discussione collettiva<br />

per la valutazione e le considerazioni finali dell’iter<br />

formativo.<br />

47


48<br />

INCONTRI & DIBATTITI<br />

IL GRUPPO DEL COLORE<br />

Società italiana di ottica e fotonica<br />

Fernanda Prestileo/Alessandro Rizzi*<br />

Il Gruppo del Colore (GdC) nasce nel 2004 come evoluzione<br />

del Gruppo di Lavoro in Colorimetria e<br />

Reflectoscopia, della Società Italiana di Ottica e<br />

Fotonica (SIOF). In occasione del VII Convegno annuale<br />

di Colorimetria, tenutosi presso l’Università degli<br />

Studi di Parma nel 2004, su iniziativa di Claudio Oleari<br />

e Alessandro Rizzi, viene deciso di ampliare il Gruppo<br />

di Lavoro in Colorimetria e Reflectoscopia a tutte le<br />

altre realtà che in Italia si occupano di colore, creando<br />

un punto di aggregazione che in campo nazionale mancava.<br />

Così come realtà analoghe esistenti in altri Paesi,<br />

il Gruppo ha l’obiettivo di favorire l’aggregazione<br />

multi- ed interdisciplinare di tutti coloro (pubblici e privati)<br />

che in Italia si occupano del colore e della luce da<br />

un punto di vista scientifico e/o professionale.<br />

A partire dalla sua creazione, il numero di esperti ed<br />

operatori del settore afferenti al gruppo è via via<br />

aumentato, così come le attività scientifiche ed i progetti<br />

nati dalla collaborazione degli iscritti.<br />

La 1 a Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore è<br />

stata ospitata nel 2005 a Pescara dall’Università “G.<br />

d’Annunzio”. A questo primo momento di scambio e<br />

confronto hanno fatto seguito gli appuntamenti annuali<br />

di: Milano, presso l’Università degli Studi di Milano<br />

Bicocca (2006); Torino, presso l’Istituto Nazionale di<br />

Ricerca Metrologica (2007); Como, presso il Politecnico<br />

di Milano (Polo di Como) (2008). Quest’anno la<br />

Conferenza, giunta alla sua 5 a edizione, è stata ospitata<br />

a Palermo dal 7 al 9 ottobre dal <strong>Centro</strong> Regionale per la<br />

Progettazione e il <strong>Restauro</strong>, attivo nel Gruppo del<br />

Colore fin dalla sua costituzione nel 2004.<br />

Gli aspetti tematici che il Gruppo considera e sviluppa,<br />

ispirandosi a quelli contemplati dalla Association<br />

Internationale de la Couleur (AIC), sono i seguenti:<br />

Cos’è il colore. La natura fisica e psicologica del colore,<br />

i meccanismi della visione nei loro aspetti fenomenologici<br />

e teorici.<br />

A cosa serve il colore. Ruolo del colore nell’industria,<br />

nella moda, nella cosmesi, nell’edilizia, nell’arte, nel<br />

restauro, nell’architettura, nell’ambiente, nella grafica,<br />

nella cultura, nelle codifiche, ecc...<br />

Come funziona il colore. Il colore in relazione alla illuminazione,<br />

ai meccanismi della visione a colori, alla<br />

fisiologia. Il colore in presenza di deficienze e anomalie,<br />

negli aspetti clinici e biologici. Il colore nei modelli<br />

computazionali e nella visione artificiale. Il colore nella<br />

costruzione di armonie, di illusioni, di preferenze, cromatiche,<br />

nella memoria, nel trattamento dell’informazione.<br />

Come si può controllare il colore. Colorimetria, fotometria,<br />

soglie di discriminazione dei colori, atlanti dei<br />

colori. Fenomeni dell’apparenza del colore, del metamerismo.<br />

Il colore nella sua riproduzione secondo le varie<br />

tecniche. Il colore digitale in relazione ai dispositivi per<br />

la sua gestione. Il colore nella comunicazione, nella<br />

visualizzazione, nella duplicazione, nella stampa. Il<br />

colore nell’arte, nell’architettura, nell’arredo, nel restauro,<br />

nell’archeometria. Il colore nell’industria.<br />

Come si può insegnare il colore. La didattica e gli ausili<br />

all’insegnamento del colore nelle scuole per la formazione<br />

industriale, terziaria e accademica. La storia della<br />

scienza e della pratica del colore.<br />

Le finalità del Gruppo del Colore consistono nel:<br />

- promuovere lo studio del colore in tutti i suoi aspetti,<br />

compresi quelli della visione ad esso collegati;<br />

- creare opportunità di incontro, divulgazione e scambio<br />

di idee tra persone collegate agli aspetti scientifici, industriali,<br />

estetici e didattici del colore;<br />

- favorire la formazione di standardizzazioni, specifiche,<br />

nomenclature e altri aspetti utili a favorire la ricerca nel<br />

campo del colore;<br />

- favorire la disseminazione dei risultati della ricerca sul<br />

colore ottenuti in Italia al resto del mondo e viceversa;<br />

- favorire la disseminazione della cultura del colore.<br />

Come da prassi consolidata, la Conferenza di Palermo è<br />

stata introdotta, durante la prima giornata, da un ospite<br />

internazionale e da tutorial tenuti da esperti dei vari<br />

campi d’interesse del Gruppo del Colore.<br />

Specificamente Stephen Westland (University of<br />

Leeds), nella sua relazione Color preference in context,<br />

ha trattato le problematiche correlate al color management.<br />

Claudio Oleari (Università degli Studi di Parma)<br />

ha presentato Il sistema OSA-UCS e le opponenze cromatiche.<br />

Nicola Ludwig (Università degli Studi di<br />

Milano) nel suo intervento Dalla spettrometria in riflettanza<br />

alla colorimetria ha illustrato gli sviluppi applicativi<br />

nell’ambito dei beni culturali. Di due casi significativi<br />

di Colorimetria nella conservazione dei beni culturali<br />

ha parlato Marisa Laurenzi Tabasso (Università<br />

degli Studi di Roma “La Sapienza”): gli affreschi di<br />

Michelangelo nella Cappella Sistina e le Thangka<br />

Tibetane della Collezione Tucci. Infine, Paolo De Rocco<br />

della Società Centrica di Firenze ha introdotto le Nuove<br />

tecniche di calibrazione colore di files RAW.<br />

Tali tutorial hanno rappresentato un momento di scambio<br />

di conoscenze ed hanno dato luogo ad un interessante<br />

dibattito, coinvolgendo tutti i partecipanti.<br />

I lavori nelle due giornate successive sono stati articolati<br />

nelle seguenti Sessioni: Percezione e Psicologia; Beni


Culturali: <strong>Restauro</strong> e Conservazione; Architettura e<br />

Urbanistica; Tinte/Pigmenti e Coloranti/ Superfici; Luce<br />

e Colore: misura ed elaborazione; Design e<br />

Comunicazione.<br />

In chiusura della Conferenza, nel corso della riunione<br />

annuale del Gruppo del Colore, Maurizio Rossi<br />

(Politecnico di Milano) è stato eletto Presidente del<br />

Gruppo per il prossimo biennio.<br />

(*) Dipartimento di tecnologie dell’informazione<br />

Università Studi di Milano<br />

NEUTRONI E LASER<br />

Per la ricerca di dipinti nascosti<br />

R. Merlino/D. La Mattina<br />

INCONTRI & DIBATTITI<br />

La giornata di studio organizzata il 21 Ottobre 2009 ha<br />

rappresentato un contributo del CRPR alla diffusione di<br />

tecniche diagnostiche innovative non invasive per la ricerca<br />

di dipinti nascosti. Le nuove tecniche sono state messe<br />

a punto dai centri di ricerca ENEA di Casaccia e di<br />

Frascati in collaborazione con il Center of<br />

Interdisciplinary Science for Art, Architecture and<br />

Archeology dell’Università di San Diego–California, l’<br />

University of Technology di Delft–Olanda e il National<br />

Institute of Information and Communications Technology<br />

–Tokyo.<br />

Antonino Cosentino, Visiting Scholar dell’Università di<br />

San Diego, ha aperto i lavori relazionando sulla tecnica<br />

NNA–Nanosecond Neutron Analysis. I neutroni, attraversando<br />

consistenti spessori di materiali che nascondono il<br />

campione da analizzare, interagiscono con gli elementi<br />

chimici (pigmenti pittorici) presenti nel campione e producono<br />

una radiazione gamma che, rivelata in tempi ristrettissimi<br />

(nanosecondi), permette di identificare gli stessi<br />

elementi chimici. Gli esperimenti condotti hanno qualificato<br />

la tecnica NNA per un suo futuro utilizzo nella localizzazione<br />

del materiale pittorico utilizzato da Leonardo<br />

da Vinci per la realizzazione del dipinto della Battaglia di<br />

Anghiari, oggetto di studio dal 1975 di Maurizio Seracini<br />

dell’Università di San Diego.<br />

La tecnica NBS–Neutron Back-Scattering è stata illustrata<br />

da Roberto Rosa, Primo Ricercatore del <strong>Centro</strong><br />

Ricerche ENEA Casaccia (Roma). La tecnica utilizza neutroni<br />

per la ricerca di dipinti occultati da muri. La collisione<br />

dei neutroni con elementi leggeri come l’idrogeno, presente<br />

nei materiali utilizzati per la preparazione dei dipinti<br />

ad olio, permette il ritorno (back-scattering) di una parte<br />

dei neutroni che possono essere rivelati da dispositivi in<br />

grado di localizzare le aree con maggiore concentrazione<br />

di materiale idrogenato. Partendo dalla ipotesi che la<br />

Battaglia di Anghiari di Leonardo, realizzata tra il 1505 e<br />

il 1506, possa essere stata dipinta sulla parete est del<br />

Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze e<br />

successivamente nascosta da un muro di mattoni eretto dal<br />

Vasari nel 1563 per l’esecuzione della sua opera, è stato<br />

realizzato, presso il <strong>Centro</strong> Ricerche ENEA Casaccia, un<br />

modello che riproduce le condizioni strutturali della suddetta<br />

parete sul quale è stata applicata la tecnica NBS.<br />

Giampiero Gallerano, Primo Ricercatore del <strong>Centro</strong><br />

Ricerche ENEA Frascati (Roma) ha infine relazionato<br />

sulla radiazione Terahertz e le sue applicazioni nella diagnostica<br />

non invasiva per i beni culturali. La tecnica di<br />

Thz-imaging consiste nell’acquisizione di immagini a frequenze<br />

del THz che consente di rivelare dipinti coperti da<br />

materiali come gesso, calce o intonaco. La spettroscopia<br />

THz viene utilizzata invece per analizzare la composizione<br />

dei pigmenti.<br />

49


50<br />

INCONTRI & DIBATTITI<br />

SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALI<br />

Il convegno AIAR a Palermo<br />

Franco Palla<br />

Facoltà di Scienze MM.FF.NN. - Università di Palermo<br />

N ella splendida cornice dell’Orto Botanico di Palermo, il<br />

6 e 7 ottobre 2009 presso l’Aula Domenico Lanza, si è<br />

svolto il Convegno Nazionale Sistemi Biologici e Beni<br />

Culturali, con un comitato scientifico composto da studiosi<br />

ed esperti provenienti da tutta Italia (Atenei di Palermo,<br />

Catania, Messina, Milano-Statale, Parma, Roma-Tor<br />

Vergata, Siena, oltre ad esperti del CNR-Firenze e della<br />

Soprintendenza Beni Archeologici della Liguria). Il<br />

Convegno, organizzato dall’Università degli Studi di<br />

Palermo (Dipartimento di Scienze Botaniche), dall’AIAr<br />

(Associazione Italiana di Archeometria), dal CRPR (<strong>Centro</strong><br />

Regionale per la Progettazione e il <strong>Restauro</strong>, Regione<br />

Siciliana) e con il concreto supporto della BioNat – Italia<br />

(Azienda di Ricerca e Sviluppo, Settore biotecnologie,<br />

Palermo) è stato rivolto a ricercatori, studiosi, restauratori e<br />

a tutti coloro che operano nel settore dei Beni Culturali. In<br />

particolare, ha proposto l’identificazione dei Sistemi Biologi<br />

come Beni Culturali (alberi monumentali, mummie moderne),<br />

come Causa di Degrado del patrimonio culturale (biodeterioramento)<br />

e come Fonte di Macromolecole utili per<br />

interventi di restauro (bio-pulitura); presentando innovazioni<br />

tecnologiche utili per uno studio integrale del bene culturale,<br />

per l’esatta caratterizzazione degli organismi che ne<br />

causano il deterioramento, per la realizzazione di un intervento<br />

di restauro conservativo, con un approccio multidisciplinare.<br />

Dopo la presentazione delle finalità e il saluto ai<br />

partecipanti, rappresentati dall’organizzatore Franco Palla,<br />

da Roberto Boscaino (Preside Facoltà Scienze<br />

MM.FF.NN.), da Mauro Bacci (Presidente AIAr-<br />

Associazione Italiana di Archeometria), da Guido Meli<br />

(Direttore CRPR-<strong>Centro</strong> Regionale<br />

Progettazione e <strong>Restauro</strong>–Regione<br />

Siciliana) e da Francesco Maria<br />

Raimondo (Direttore Dipartimento<br />

Scienze Botaniche-Orto Botanico), i<br />

lavori sono stati aperti dallo stesso<br />

con la comunicazione Invasività e<br />

ripercussioni su paesaggio e beni<br />

architettonici di Aailanthus altissima<br />

(Simaroubaceae).<br />

Nelle tre sessioni sono stati affrontati<br />

specifici casi studio, attuati sia in siti<br />

italiani sia all’estero, inerenti: La conservazione<br />

degli alberi monumentali<br />

in Sicilia, La Paleogenetica e i beni<br />

culturali, Il complesso delle Latomie<br />

a Siracusa, Il deterioramento indotto<br />

da cianobatteri del tempio di Orissa<br />

(India), La diversità microbica in<br />

Catacombe pre e post trattamento<br />

con biocidi, L’indagine fitosanitaria<br />

del soffitto ligneo della sala magna di<br />

Palazzo Steri di Palermo, Il degrado Flos tectorii delle<br />

malte da intonaco in Sicilia, La protezione della carta<br />

mediante trattamento antiossidante, La conservazione preventiva<br />

nel Museo Diocesano di Palermo.<br />

Inoltre, è stata proposta la realizzazione di un Museo d’Arte<br />

Cristiana dei Cappuccini di Palermo.<br />

L’innovazione tecnologica è stata sviluppata nelle comunicazioni<br />

relative a studi di Microbiologia, Biochimica e<br />

Biologia Molecolare, inerenti: Enzimi batterici utili per il<br />

restauro conservativo dei beni culturali lapidei, Enzimi<br />

proteolitici da organismi marini utili per la pulitura di<br />

manufatti, Riparazione di carta invecchiata artificialmente<br />

e fotodegradata, La precipitazione batterica di carbonato<br />

di calcio nella conservazione di substrati lapidei, La tecnologia<br />

del DNA-microarray per l’identificazione di specie<br />

microbiche su superfici e nell’aerosol di ambienti confinati;<br />

oltre all’Applicazione della TC spirale multidetettore<br />

allo studio di reperti scheletrici e corpi mummificati e alla<br />

Datazione EPR di conchiglie fossili.<br />

Il programma scientifico del convegno è stato arricchito<br />

dalla sessione poster, in cui sono stati presentati studi<br />

riguardanti: La dendrocronologia e giardini storici, dei parchi<br />

delle dimore reali di Racconigi e Monza, I beni naturali<br />

diventano beni culturali, 1793; L’identificazione del<br />

legno nelle opere policrome in Sicilia; Analisi biometrica,<br />

morfometrica e strumentale di un campione di crani umani;<br />

La componente vegetale di ville storiche genovesi, tra conservazione<br />

e lotta al biodegrado, Rivelazione e caratterizzazione<br />

di consorzi microbici in reperti lignei sommersi; La<br />

caratterizzazione della biodiversità della grotta dei Santi in<br />

Licodia Eubea (Catania); Le specie<br />

legnose coltivate e spontanee in rapporto<br />

alla conservazione nel cimitero<br />

monumentale di Staglieno (Genova);<br />

La Rettoria di Casa Professa di<br />

Palermo le termiti sugli arredi lignei<br />

della sacrestia; Prime indicazioni<br />

sulle biocenosi associate alle mummie<br />

delle catacombe dei Cappuccini<br />

di Palermo; La microscopia elettronica<br />

(SEM, CLSM) per l’analisi dei<br />

microsistemi biologici che colonizzano<br />

i beni culturali; I servizi innovativi<br />

del gruppo Biores per i beni culturali<br />

per la prevenzione e la cura dei danni<br />

da biodeterioramento di origine<br />

microbiologica: diagnosi, monitoraggi<br />

e sperimentazione sui materiali per<br />

il restauro, Nuovi dati e strategie di<br />

lotta su Gastrallus pubens<br />

(Coleoptera, Anobidae) rinvenuto nel<br />

fondo antico della Biblioteca


Regionale di Catania; Studio del biodeterioramento algale<br />

nel ginnasio romano di Siracusa; Analisi della comunità<br />

microbica intestinale di Reticulitermes lucifugus (Rossi)<br />

(Isoptera: Rhinotermitidae), Misura sperimentale della<br />

capacità antiossidante della lignina mediante voltammetria<br />

ciclica.<br />

Tra i fattori che hanno contribuito alla successo del<br />

Convegno è da annoverare l’Incontro tra Università-Centri<br />

di Ricerca-Imprese che operano, o intendono operare, nel<br />

campo della conservazione/restauro/fruizione dei Beni<br />

Culturali ospitato nel pomeriggio del 6 ottobre da Francesco<br />

Cascio, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana,<br />

presso la sala Gialla di Palazzo dei Normanni di Palermo.<br />

L’incontro, moderato da Ettore Artioli (Vice Presidente di<br />

Confindustria per il Mezzogiorno) ha visto la partecipazione<br />

di Roberto Lagalla (Magnifico Rettore dell’Università degli<br />

Studi di Palermo), di Rosario De Lisi (Presidente Corso di<br />

laurea in Conservazione e <strong>Restauro</strong> dei Beni Culturali -<br />

Università degli Studi di Palermo), di Davide Fais (Direttore<br />

IIRFRE, Istituto Italo Russo per la Formazione e le Ricerche<br />

Ecologiche) e dei già citati Mauro Bacci e Guido Meli, oltre<br />

a rappresentanti della BioNat-Italia di Palermo, della Algae<br />

di Roma e di altre realtà imprenditoriali. Questo incontro è<br />

stato anche l’occasione per la presentazione della Sezione<br />

siciliana della Società Italiana per il Progresso delle Scienze,<br />

che dal 5 ottobre ha sede a Palermo presso il Cerisdi. La<br />

SIPS, rappresentata in questa occasione da Salvatore<br />

Lorusso, fu fondata a Roma nel 1873 su proposta di<br />

Stanislao Cannizzaro e, come annunciato dal Presidente<br />

della sede palermitana Adelfio Elio Cardinale, proprio a questo<br />

grande scienziato sarà intitolata la Sezione Siciliana. La<br />

prima giornata del Convegno Sistemi Biologici e Beni<br />

Culturali si è splendidamente conclusa con la visita alla<br />

Cappella Palatina, a cura di Vlado Zoric v<br />

.<br />

L’Organizzazione del Convegno, facendo propria l’attenzione<br />

dell’AIAr per la crescita scientifica dei giovani, di concerto<br />

con il Comitato scientifico e grazie al sostegno della<br />

BioNat-Italia, ha avuto l’opportunità di premiare quattro<br />

comunicazioni presentate da ricercatori/operatori di età infe-<br />

INCONTRI & DIBATTITI<br />

riore a 35 anni. In particolare sono stati premiati: Valeria<br />

Gargano (La tecnologia del DNA-microarray per l’identificazione<br />

di specie microbiche su superfici e nell’aerosol di<br />

ambienti confinati), Rachele Lucido (La conservazione preventiva:<br />

il caso studio del Museo Diocesano di Palermo);<br />

Anna Pezzino (Studio del biodeterioramento algale nel ginnasio<br />

romano di Siracusa); Agnese Zuccarello (Datazione<br />

EPR di conchiglie fossili).<br />

Infine, a conclusione del convegno è stata presentata la proposta<br />

di formazione dell’area tematica Biologia e<br />

Biotecnologie all’interno dell’Associazione Italiana di<br />

Archeometria, accolta e sostenuta dai partecipanti al<br />

Convegno.<br />

51


52<br />

RECENSIONI<br />

DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORI<br />

UN FONDO BIBLIOGRAFICO SEICENTESCO<br />

Carlo Pastena<br />

Servizio Beni Bibliografici ed Archivistici<br />

Soprintendenza BB.CC.AA. Palermo<br />

Rita Di Natale, apprezzata<br />

autrice di numerose opere<br />

bibliografiche, dopo la pubblicazione<br />

di un primo<br />

volume relativo alle cinquecentine<br />

possedute dalla<br />

Biblioteca dell’Archivio di<br />

Stato di Palermo edito nel<br />

2003, continua, insieme a<br />

Gabriella Cannata, questa<br />

operazione di “recupero” e<br />

“fruizione” del fondo antico.<br />

Questo secondo tomo,<br />

dedicato alle edizione del<br />

XVII secolo, è integrato con<br />

una piccola appendice relativa<br />

alle cinquecentine<br />

recentemente ritrovate e<br />

promette a breve la pubblicazione<br />

di un terzo volume,<br />

relativo alle edizioni del<br />

XVIII secolo.<br />

L’opera raccoglie le descrizioni<br />

bibliografiche di 33<br />

cinquecentine e di 117<br />

opere edite nel XVII secolo<br />

in Europa; ogni esemplare è<br />

descritto con estrema cura<br />

ed attenzione. E’ inserito,<br />

dopo la descrizione dell’edizione<br />

(autore, titolo, note<br />

tipografiche, paginazione,<br />

ecc.), un ricco apparato di<br />

note sull’esemplare (presenza<br />

di note manoscritte,<br />

tipo di legatura, descrizione<br />

dei capitelli, presenza di ex<br />

libris, stato di conservazione<br />

dell’esemplare, provenienza,<br />

ecc.) seguito dall’elenco<br />

dei repertori bibliografici<br />

che citano altri<br />

esemplari dell’edizione. In<br />

appendice l’opera è arricchita<br />

da 10 indici, che<br />

impreziosiscono lo studio:<br />

indice degli autori o titoli,<br />

coautori e curatori, indice<br />

dei dedicanti e dedicatari,<br />

indice dei tipografi e degli<br />

editori, distinguendo tra<br />

edizioni del XVI ed edizioni<br />

del XVII secolo.<br />

Seguono infine l’indice<br />

topografico degli editori e<br />

l’indice cronologico delle<br />

edizioni, divisi anch’essi<br />

per secoli.<br />

Nel prendere in mano questo<br />

elegante libro una<br />

domanda sorge spontanea:<br />

“perché pubblicare a stampa<br />

un catalogo bibliografico,<br />

quando oggi esistono le<br />

banche dati informatizzate?”.<br />

In realtà, oltre l’indubbio<br />

piacere di potere sfogliare<br />

le pagine di un libro,<br />

la scelta di stampare il catalogo<br />

di un singolo fondo<br />

bibliografico risponde a<br />

precise esigenze scientifiche.<br />

Quando si affronta una<br />

ricerca in una specifica raccolta<br />

bibliografica, la consultazione<br />

di un catalogo<br />

cartaceo fornisce informazioni<br />

diverse da quelle che<br />

si hanno nel catalogo informatizzato,<br />

dove è necessario<br />

applicare numerosi filtri<br />

di ricerca, per identificare<br />

esclusivamente le opere<br />

provenienti da un unico<br />

fondo. Inoltre la consultazione<br />

di un volume a stampa<br />

è, a volte, più agevole di<br />

quella che si ha interrogando<br />

una banca dati informatizzata,<br />

specie quando si<br />

deve passare da una scheda<br />

all’altra, confrontando due<br />

o più descrizioni; a testimonianza<br />

di ciò, basti citare la<br />

presenza di un considerevole<br />

numero di cataloghi a<br />

stampa, che continuano ad<br />

essere pubblicati nel<br />

mondo. Nel caso specifico,<br />

questo catalogo ha anche<br />

altri due pregi: il primo è il<br />

ricco apparato d’indici, ed il<br />

secondo è la scelta dello<br />

standard descrittivo.<br />

Quest’ultimo, invece di<br />

adottare uno short title, che<br />

“accorcia” i titoli, descrive<br />

le opere secondo gli<br />

ISBD(A) per SBN, che prevedono<br />

una riproduzione<br />

fedele del frontespizio,<br />

senza però dare una descrizione<br />

di tipo “quasi facsimilare”.<br />

Così, se da un lato i<br />

ricchi indici non fanno sentire<br />

la mancanza di un catalogo<br />

informatizzato, dall’altro<br />

utilizzando questo standard<br />

catalografico si rende<br />

possibile il rapido inserimento<br />

di queste descrizioni<br />

bibliografiche in SBN. E<br />

tutto senza bisogno di<br />

riprendere i volumi in<br />

mano, realizzando un perfetto<br />

connubio tra la descrizione<br />

bibliografica del catalogo<br />

cartaceo e quella informatizzata.<br />

Proseguendo nella lettura di<br />

quest’opera, nella sua premessa<br />

Armida Batori ricorda<br />

come “I libri antichi,<br />

posseduti dagli Archivi di<br />

Stato, non provengono di<br />

solito da un fondo omogeneo<br />

[...] sono piuttosto legati<br />

a depositi di fondi archivistici<br />

diversi, ai quali si<br />

accompagnano spezzoni di<br />

biblioteche private o ecclesiastiche,<br />

più o meno<br />

casualmente uniti alle<br />

carte...”. Rita Di Natale ci<br />

introduce così in un universo<br />

diverso da quello che<br />

solitamente conosciamo,<br />

costituito da Biblioteche i<br />

cui libri sono stati raccolti<br />

in maniera più o meno organica<br />

nel corso del tempo, da<br />

una o più persone. I libri<br />

posseduti dagli Archivi di<br />

Stato, rappresentano un<br />

“elemento estraneo” alle<br />

collezioni di vecchie carte,<br />

circostanza questa, che<br />

porta al ritrovamento di<br />

opere ritenute scomparse, o<br />

vietate dall’Inquisizione.<br />

Queste ultime, conservate<br />

insieme ad atti amministrativi<br />

per varie circostanze,<br />

sfuggendo alle furie iconoclaste<br />

della censura che<br />

caratterizzano la storia dell’uomo,<br />

sono pervenute<br />

oggi a noi. Il fondo descritto<br />

in questo catalogo, non si<br />

sottrae a questa regola,<br />

come si può facilmente<br />

vedere anche da una lettura<br />

superficiale di questo libro.<br />

Tra le numerose edizioni<br />

ricche d’interesse, si possono<br />

citare, per le opere del<br />

XVII secolo, quella della<br />

Vindicata veritas panormitana,<br />

opera ritenuta rara dal<br />

bibliografo palermitano<br />

G.M. Mira, stampata a<br />

Venezia nel 1629. Inserita<br />

nell’Indice di libri proibiti,<br />

si conosceva solo un esemplare<br />

presso la Biblioteca


nazionale di Roma. E anche<br />

la Istoria della vita e morte<br />

di Santa Maria Maddalena,<br />

pubblicato a Napoli dal<br />

tipografo Andrea Colicchia<br />

nel 1679, di cui non si conoscono<br />

oggi altri esemplari.<br />

Sempre tra i libri editi nel<br />

XVII secolo, presenti in<br />

questo fondo bibliografico,<br />

si deve citare la Parte quinta<br />

del romanzo Della<br />

Cassandra originariamente<br />

in dieci volumi, scritta dal<br />

drammaturgo Gauthier de<br />

Costes de la Calprenède.<br />

Stampata a Venezia nel<br />

1679 da Biagio Maldura,<br />

non figura nei repertori<br />

bibliografici consultati. Tra<br />

le opere devozionali, va<br />

citato invece il volume<br />

Iconologia della gloriosa<br />

Vergine Madre di Dio<br />

Maria protettrice di<br />

Messina, del gesuita Placido<br />

Samperi, stampata a Messina<br />

nel 1644, che conserva<br />

quasi tutte le 70 carte di<br />

tavole incise, molto spesso<br />

mancanti negli esemplari<br />

che ci sono pervenuti.<br />

L’elenco delle rarità è lungo,<br />

e potrebbe continuare ancora,<br />

ma spostando l’attenzione<br />

sulle edizioni del XVI secolo,<br />

non inserite nel precedente<br />

volume, si deve citare la cinquecentina<br />

tedesca di S.<br />

Agostino, De Ebrietate vitanda.<br />

Stampata a Dillingen nel<br />

1560 dal tipografo Sebald<br />

RECENSIONI<br />

Mayer, questo esemplare<br />

non è presente nei repertori<br />

relativi alle edizioni pubblicate<br />

in Germania nel XVI<br />

secolo. Rita Di Natale, non<br />

si è però fermata ad un<br />

superficiale controllo, ed ha<br />

voluto indagare ancora più a<br />

fondo, confrontando questo<br />

volume con l’edizione del<br />

1559 conservato alla<br />

Biblioteca Vallicelliana. Ha<br />

così riscontrato nei due<br />

volumi una identica paginazione,<br />

segnatura dei fascicoli<br />

e impronta, ma notevoli<br />

differenze nei contenuti<br />

delle due edizioni prese in<br />

esame. La descrizione di<br />

questo esemplare è arricchita<br />

da una appendice di<br />

Gabriella Cannata sul tipografo<br />

tedesco Sebald<br />

Mayer, ricca di notizie sulla<br />

sua attività tipografica e<br />

dalla traduzione dal tedesco<br />

della stessa Cannata, di un<br />

lungo articolo tratto dalla<br />

Bibliographie der deutschen<br />

Drucke des XVI Jahrunderts,<br />

di Otto Bucher.<br />

Concludendo, questo volume<br />

risulta ricco di notizie e particolarmente<br />

completo nella<br />

descrizione degli esemplari,<br />

così oltre che per il recupero<br />

e la fruizione del fondo<br />

bibliografico dell’Archivio di<br />

Stato, può proficuamente<br />

essere impiegato come opera<br />

di riferimento e di esercizio<br />

per chi deve catalogare<br />

secondo lo standard descrittivo<br />

di ISBD(A) per SBN o più<br />

semplicemente catalogare un<br />

fondo antico.<br />

a cura di Rita Di Natale<br />

e Gabriella Cannata<br />

Le Seicentine della Biblioteca<br />

dell’Archivio di Stato di Palermo<br />

con un’aggiunta di Cinquecentine<br />

Palermo, 2009, pp.235<br />

53


54<br />

RECENSIONI<br />

I GIARDINI PERDUTI<br />

COMUNICARE CON GLI ALBERI PER NON APPASSIRE LA MENTE<br />

Antonio Casano<br />

Il libro di Barbera attraversa<br />

in lungo e in largo i campi<br />

del sapere, spaziando fra le<br />

scienze naturalistiche ed<br />

ambientali e gli ambiti del<br />

pensiero umanistico, nel<br />

reticolo dei vari campi e<br />

forme della sua partitura.<br />

L’abbraccio degli alberi si<br />

invoca allo scopo di definire<br />

la sostenibilità ecologica<br />

non solo dal punto di vista<br />

dell’arboricoltura e della selvicoltura<br />

(o della bellezza<br />

dei paesaggi), ma anche perché<br />

senza loro non sarebbero<br />

probabili le strategie sia pure<br />

abbozzate a livello planetario<br />

per intervenire sui grandi<br />

temi critici della modernità<br />

causati dalla società del<br />

rischio, categoria che<br />

mutuiamo dalla sociologia<br />

dell’ambiente: dall’effetto<br />

serra e quello della desertificazione<br />

-connessi all’anomalia<br />

temporale dei cambiamenti<br />

climatici- alla<br />

questione “alimentare” e<br />

“della sete”, vera emergenza<br />

e minaccia incombente<br />

sulla popolazione mondiale.<br />

“Piantarli e difenderli non è,<br />

quindi, solo affare degli arboricoltori,<br />

ma di chiunque<br />

abbia a cuore le sorti del pianeta<br />

e delle generazioni future.<br />

Tutte le risorse vanno<br />

messe in campo, non solo<br />

quelle della scienza e della<br />

tecnica, ma anche quelle della<br />

creatività. Valorizzare le<br />

diversità culturali e biologiche,<br />

approfittando di tutte le<br />

diverse funzioni che svolgono<br />

gli alberi, è la sola strada”.<br />

Nell’appassionante e documentato<br />

solco tracciato dal<br />

saggio, l’Autore riscopre<br />

quella fecondità dialettica<br />

che originariamente ammantava<br />

di sacralità il legame<br />

degli uomini con gli alberi,<br />

ovvero di quella dimensione<br />

religiosa e mitica elaborata<br />

nelle società premoderne,<br />

in cui la vitalità vegetale<br />

era parte costitutiva del<br />

piano di immanenza esistenziale<br />

comunitaria: è con<br />

la separazione spirituale del<br />

soggetto dal mondo e con<br />

l’affermazione della trascendentalità<br />

dell’Essere collocata<br />

fuori dallo spazio terreno<br />

che viene inoculata la<br />

cesura antropocentrica che<br />

degrada tutti gli essenti a<br />

mera effettualità oggettuale.<br />

Non è un caso il ricorso di<br />

Barbera all’autorevolezza di<br />

un grande pensatore –Lévi-<br />

Strauss, padre dell’antropologia<br />

culturale recentemente<br />

scomparso- per mettere<br />

in risalto la cesura tra uomo<br />

e natura: “L’umanità…da<br />

aperta che era un tempo…si<br />

è sempre più rinchiusa in se<br />

stessa. Tale antropocentrismo<br />

non riesce a vedere, al<br />

di fuori dell’uomo, altro che<br />

oggetti. La natura nel suo<br />

complesso ne risulta sminuita.<br />

Un tempo, in lei tutto era<br />

un segno, la natura stessa<br />

aveva un significato che<br />

ognuno…percepiva.<br />

Avendolo perso, l’uomo<br />

oggi la distrugge, e con ciò<br />

si condanna”.<br />

Sostanzialmente il Nostro<br />

assume il rapporto tra l’uomo<br />

e gli alberi come paradigma<br />

progettuale -al tempo<br />

stesso scientifico e sociale-,<br />

dentro cui l’umanità dovrà<br />

saper coniugare la cointeressenza<br />

del regno animale e<br />

mondo vegetale, consapevo-<br />

le del limite esistenziale<br />

transeunte e perciò stesso<br />

onerata non solo a conservare<br />

le condizioni della riproduzione<br />

per le nuove generazioni,<br />

ma a trovare ora, e<br />

non rinviando sine die, la<br />

chiave di riequilibrio che<br />

restituisca al regno vegetale<br />

la sacralità perduta:“abbiamo<br />

già tagliato almeno la<br />

metà delle foreste del pianeta,<br />

nonostante i loro alberi<br />

abbiano reso il suolo fertile e<br />

l’aria respirabile, mitigato<br />

gli eccessi del clima, fornito<br />

legna, frutti, ombra, bellezza<br />

per mille usi indispensabili e<br />

piacevoli”.<br />

Concludendo Barbera ci racconta<br />

degli alberi, del posto<br />

che di diritto “si sono conquistati<br />

nell’immaginario e nelle<br />

arti”. Certo essi hanno subito<br />

nei secoli un progressivo<br />

attacco dall’era dell’homo<br />

sapiens sino agli assalti frontali<br />

dell’homo tecnologicus<br />

del nostro tempo. Epperò,<br />

paradossalmente, è proprio<br />

quest’ultimo a cui ci si dovrà<br />

appellare per non sprofondare<br />

nell’aridità del deserto<br />

mondano, facendo ricorso sia<br />

alla ricerca scientifica sia al<br />

cambiamento degli stili di<br />

vita.<br />

GIUSEPPE BARBERA<br />

Abbracciare gli alberi. Mille<br />

buone ragioni per piantarli e<br />

difenderli<br />

Mondadori, Milano, 2009,<br />

pp.208


assegna libri<br />

curata da A. Casano<br />

LA COLLEZIONE COLLISANI E<br />

LA GROTTA DEL VECCHIUZZO<br />

Museo Civico “Antonio Collisani” di Petralia<br />

Sottana, 2008, pp. 119<br />

«Nella comunicazione su "La Sicilia e l'unità<br />

d'Italia" tenuta in occasione del "Congresso<br />

Internazionale di Studi Storici sul Risorgimento<br />

Italiano", mettevo in rilievo quello che a mio<br />

parere era l'episodio più significativo avvenuto<br />

nel periodo compreso tra gli anni Trenta-<br />

Quaranta del secolo scorso, e cioè la scoperta,<br />

nel maggio 1936, della Grotta c.d. dei<br />

"Vecchiuzzo" sita nelle Madonie, nel Comune di<br />

Petralia Sottana.<br />

La scoperta, ad opera di Antonio Collisani, un<br />

giovane poco più che ventenne, appassionato di<br />

arte e di storia, dava l'avvio ad un ricerca<br />

archeologica programmatica ed ufficiale che<br />

restituiva un ricchissimo giacimento preistorico<br />

particolarmente notevole, testimonianza di una<br />

presenza umana nel lungo periodo compreso tra<br />

il Neolitico e l'età del Bronzo.<br />

II giovane scopritore, nato a Petralia Sottana,<br />

era un esperto conoscitore della catena montuosa<br />

delle "sue" Madonie sia dal punto di vista geografico<br />

che speleologico ed anche dei suoi abitanti<br />

e frequentatori: contadini e pastori o proprietari<br />

di appezzamenti agricoli soliti a trascorrervi<br />

i mesi estivi nelle loro residenze di campagna.<br />

La passione del giovane Collisani era totale,<br />

volta alla bellezza di una natura selvaggia e<br />

maestosa ed al tempo stesso alla cultura ed alla<br />

creatività degli abitanti di questi luoghi; in questo<br />

ambiente egli cercava di raccogliere quante<br />

più testimonianze possibili in quanto per lui ogni<br />

oggetto costituiva il coronamento dell’intelligenza<br />

e della manualità dell'uomo.<br />

Sia pur da dilettante, ma dotato di una notevole<br />

predisposizione allo studio e alla ricerca in<br />

senso globale, aveva un profondo senso del<br />

valore scientifico della disciplina archeologica,<br />

tanto da affidarsi, spesso, a chi riconosceva più<br />

esperto di lui in quanto conoscitore di metodologie<br />

volte a distinguere il vero dal falso. Fu così<br />

che lo conobbi.<br />

Nel tempo, infatti, il suo interesse per gli oggetti<br />

e le opere d'arte del mondo classico era cresciuto<br />

notevolmente tanto da spingerlo a raccogliere<br />

e ad acquistare tutto quanto gli fosse possibile<br />

al fine di salvarlo dalla dispersione;<br />

temendo però di prendere qualche abbaglio collezionando<br />

dei falsi di nessun valore, era solito<br />

richiamare la mia attenzione su oggetti di vario<br />

tipo, fossero essi vasi o statuette, in genere prodotti<br />

della tecnica e della fantasia umana e come<br />

tali depositari di storia e cultura.<br />

Per lui ogni oggetto nasceva dall'idea di un artigiano<br />

o dalla visione di un artista di cui riusciva a<br />

cogliere le personalità e la differenza dell'uno o dell'altro.<br />

Ricordo con nostalgia le lunghe visite alla<br />

sua "Persiana", spesso in compagnia di mia moglie,<br />

e le lunghe conversazioni davanti ai quadri ed agli<br />

altri oggetti d'arte contemporanea esposti secondo<br />

un programma artistico personale ben definito e che<br />

da appassionato amatore offriva e sottoponeva con<br />

spirito critico alla osservazione di amici ed amatori<br />

dell'arte sollecitandone il loro giudizio.<br />

Il suo collezionismo appassionato, intelligente<br />

ed erudito tendeva a salvaguardare quanto riteneva<br />

prezioso per il suo valore estetico e formale<br />

pensando alla collettività che un giorno<br />

avrebbe potuto esserne partecipe» (p.13)<br />

(vincenzo tusa)<br />

Shara Pirrotti<br />

IL MONASTERO DI SAN FILIPPO DI<br />

FRAGALÀ<br />

(Secoli XI-XV). Organizzazione dello spazio,<br />

attività produttive, rapporti con il potere, cultura<br />

Officina di Studi Medievali, Palermo-2008,<br />

pp.418<br />

«Il monastero sorgeva in quel Val Demone, abitato<br />

da una popolazione prevalentemente greca<br />

e ortodossa come quella della quasi prospiciente<br />

Calabria. Proprio con quest'ultima, d'altra<br />

parte, il medesimo Val Demone era in rapporti<br />

intensi e continui fin dall'epoca bizantina, fin dal<br />

X-XI secolo, come si evince dai più recenti studi<br />

dedicati alla gelsicoltura e alla produzione e<br />

commercio della seta. Si tratta di quel Val<br />

Demone che, a detta di Goffredo Malaterra, storico<br />

delle epiche gesta dei due più ardimentosi e<br />

fortunati conquistatori normanni, il duca e il<br />

granconte, cioè i fratelli Roberto il Guiscardo e<br />

Ruggero d'Altavilla, aveva un'alta densità di<br />

abitanti cristiani anche sotto l'arabocrazia. E<br />

significativamente il monastero è posto sotto il<br />

vocabolo di San Filippo, il santo nativo della<br />

provincia di Tracia al quale era dedicato un<br />

monastero nei pressi di Enna, ad Agira. Si tratta<br />

di un santo che ben si presta ad essere considerato<br />

il protettore del monachesimo greco di<br />

Sicilia sotto la dominazione islamica. Tra IX e X<br />

secolo, infatti, il monastero di Agira aveva<br />

accolto e formato personaggi destinati a irradiare<br />

la spiritualità e l'ascesi monacali di matrice<br />

orientale e greca in direzione di Calabria,<br />

Basilicata e Campania fino a Roma (...).<br />

Il libro di Shara Pirrotti ha il pregio di utilizzare<br />

intelligentemente una cospicua messe di fonti,<br />

non poche ancora giacenti inedite negli archivi,<br />

e di valersi criticamente dell’amplissima bibliografia<br />

degli studi al riguardo. All’Autrice va<br />

riconosciuto il merito di far luce, in modo nuovo<br />

ed esauriente, su questo monastero in tutte le<br />

fasi della sua lunga storia e di offrire perciò<br />

all’attenzione degli studiosi o dei semplici lettori<br />

un’opera destinata a durare come strumento<br />

indispensabile alla ricerca e alla rivisitazione<br />

delle memorie del passato» (pp. XIX-XX)<br />

(filippo burgarella)<br />

Anita Crispino/Agostina Musumeci<br />

MUSEI NASCOSTI<br />

Collezioni e raccolte archeologiche a Siracusa<br />

dal XVIII al XX secolo, Electa, Napoli-2008,<br />

pp. 184<br />

«Nel corso del XVIII secolo lo studio delle antichità<br />

… si manifesta secondo principi e modalità<br />

paragonabili a quelli delle scienze naturali:<br />

l'obiettivo primo è la rappresentazione visiva<br />

degli oggetti di studio. Di qui il ruolo e l'importanza<br />

crescente nel lavoro degli eruditi, sia<br />

naturalisti che antiquari, dell'illustrazione, del<br />

catalogo e dell'uso delle copie. Grazie al collezionismo<br />

… e al metodo comparativo, si costituisce<br />

un immenso corpus di oggetti, una sorta di<br />

pre-museo immaginario che ingloba e censisce<br />

iconograficamente le iscrizioni, le monete, i<br />

sigilli, tutti gli accessori della vita quotidiana<br />

pubblica e privata e i grandi edifici religiosi o<br />

civili.<br />

Il trasformarsi e mutarsi nel tempo degli interessi<br />

collezionistici e del loro concretizzarsi museografico<br />

non sono dovuti solamente a fattori di<br />

gusto e di suggestione emotiva, ma sono la tangibile<br />

dimostrazione del modo di porsi, di studiare<br />

e di rintracciare l'antico, che corrisponde<br />

anche allo sviluppo della ricerca archeologica,<br />

intesa come disciplina autonoma, strumento di<br />

indagine storica.<br />

Nel XVIII secolo dunque, il progetto di democratizzazione<br />

del sapere investe anche<br />

l'Antichità e trasforma l'antiquariato nella<br />

nuova scienza dell'archeologia. L'origine<br />

individuale e privata del primo collezionismo<br />

si trasforma nel corso del Settecento, per la<br />

mediazione di Università e Accademie, in<br />

ruolo didattico attivo, legato all'insegnamento:<br />

il museo d'arte esce dall'universo privato<br />

per assumere un ruolo pubblico, ma ciò sarà<br />

effettivamente possibile solo dopo il travolgente<br />

passaggio della Rivoluzione Francese.<br />

Con il 1789, infatti, prende tumultuosamente<br />

avvio il più grande processo di appropriazione<br />

di beni, allora per la prima volta definiti<br />

ufficialmente «beni nazionali». Per assicurare<br />

la salvaguardia di tante ricchezze, la<br />

Rivoluzione saprà approfittare del museo,<br />

55


iscattandone l'origine aristocratica ed individuale,<br />

trasformandolo in uno spazio neutro<br />

capace di far dimenticare il significato originario<br />

degli oggetti (religioso, monarchico e<br />

feudale), con l'attribuzione del valore unico<br />

di Patrimonio. La stessa parola Patrimonio,<br />

adottata per la prima volta in senso pubblico,<br />

testimonia che il valore primario del tesoro<br />

toccato in sorte al popolo è in prima istanza,<br />

oltre che nazionale e quindi collettivo, anche<br />

economico, come una vera e propria eredità.<br />

L'istituzione del Museo, inteso come spazio di<br />

collettiva fruizione, non mette fine al fenomeno<br />

del collezionismo, che è continuato fino<br />

agli inizi del secolo scorso, con l'adornare i<br />

saloni delle case patrizie e della ricca borghesia,<br />

con l'esposizione di manufatti anche<br />

di rilevante valore storico-artistico, ma avulsi<br />

dal contesto d'origine, visti come oggetti di<br />

puro ornamento. Tutto ciò è stato possibile<br />

fino a quando non è intervenuta la legislazione<br />

a mettere ordine in merito. L'Italia affida,<br />

infatti, la protezione dei suoi beni ad una<br />

legge speciale, la 1089 del 1939, che stabilisce<br />

che tutte le cose, immobili e mobili, rinvenute<br />

nel suo territorio che presentano interesse<br />

artistico, storico, archeologico o etnografico,<br />

appartengono allo Stato» (p.14)<br />

(mariella muti)<br />

Aurelio Angelini (a cura di)<br />

IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLA<br />

Beni comuni e cambiamenti climatici<br />

Edizioni Fotograf, Palermo-2008, pp.685<br />

«Il Rapporto Apat/OMS 2006 ha monitorato l'inquinamento<br />

in 13 città italiane. I risultati indicano<br />

che l'impatto sanitario è considerevole e si<br />

stima una media di 8.220 morti l'anno.<br />

I cambiamenti climatici rappresentano la punta<br />

dell’iceberg, hanno effetti quali malattie degenerative<br />

causate dall’inquinamento e pongono<br />

ulteriori limiti fisici alle risorse necessarie:<br />

acqua, riso, mais etc., in un contesto in cui la<br />

popolazione mondiale è in continua crescita e il<br />

progressivo impoverimento della biodiversità<br />

determina una sequenza a catena. (…) Il suolo<br />

svolge funzioni essenziali per garantire l'equilibrio<br />

degli ecosistemi. In particolare, esercita:<br />

una funzione produttiva; una funzione protettiva;<br />

una funzione regolatrice; una funzione naturalistica<br />

… conserva le testimonianze storiche e<br />

culturali dell'uomo negli immensi patrimoni<br />

monumentali e artistici dell'umanità .<br />

Il paesaggio, che rappresenta la ricchezza dei<br />

territori, oggi è sempre più compromesso dalla<br />

deturpazione e dall'invadenza degli ambienti<br />

antropizzati anche in considerazione che le città<br />

56<br />

rappresentano il luogo in cui è concentrato il<br />

maggiore consumo e la maggiore trasformazione<br />

delle risorse del pianeta.<br />

Questi problemi, - fra le tante questioni ambientali<br />

- ci pongono drammaticamente di fronte ad<br />

una realtà che richiede scelte difficili, che si<br />

riassumono nel cambiamento di stili di vita, nel<br />

ripensare l'uso dello risorse e dello spazio,<br />

riconsiderare il nostro impianto produttivo e<br />

procedere ad una sua trasformazione per arrestare<br />

la prospettiva minacciosa che abbiamo di<br />

fronte» (pp.10-11)<br />

(aurelio angelini)<br />

Rosalba Panvini/ Lavinia Sole<br />

LA SICILIA IN ETÀ ARCAICA<br />

Dalle apoikiai al 480 a. C. Contributi dalle<br />

recenti indagini archeologiche, CRICD,<br />

Palermo-2009. voll.2<br />

«“La Sicilia in età arcaica. Dalle apoikiai al<br />

480 a. C.” è il titolo della Mostra inaugurata a<br />

Catania (ottobre 2006-gennaio 2007) nei locali<br />

del Monastero dei Benedettini dell'Università di<br />

Catania, dopo il successo riportato nella precedente<br />

esposizione svoltasi negli spazi del nuovo<br />

Museo Archeologico di Caltanissetta (giugnoagosto<br />

2006). (…) Si è trattato di un evento<br />

dagli altissimi contenuti scientifici, per la prima<br />

volta organizzato a livello internazionale, che<br />

ha permesso di vedere esposti circa 600 oggetti<br />

tra elementi architettonici, sculture in marmo,<br />

ceroplastica, ceramiche, manufatti in metallo,<br />

monete (le prime emissioni delle colonie siceliote),<br />

iscrizioni, scelti tra gli oltre 1000 manufatti<br />

che sono stati analiticamente inseriti in questo<br />

catalogo stampato a cura del <strong>Centro</strong> Regionale<br />

Inventario, Catalogazione e Documentazione.<br />

(…) Il percorso espositivo è stato articolato in<br />

quattro sezioni dedicate rispettivamente all'VIII,<br />

al VII, al VI secolo e al tardoarcaismo, cioè a<br />

quella delicata fase di transizione dal periodo<br />

arcaico allo stile severo. Tale strutturazione<br />

espositiva ha permesso di cogliere la nascita, la<br />

maturazione e l'evoluzione dell'arte e dell'artigianato<br />

del periodo arcaico in Sicilia, unitamente<br />

alle innovazioni che caratterizzarono le manifestazioni<br />

artistiche siceliote rispetto a quelle<br />

della madrepatria.<br />

I contatti fra i primi coloni greci e gli Indigeni di<br />

Sicilia sono stati documentati dai manufatti<br />

esposti nell'ampia sala dedicata all’VIII secolo,<br />

comprendenti, oltre ad alcuni vasi della necropoli<br />

della valle del Marcellino, nel retroterra di<br />

Siracusa, anche le più antiche importazioni di<br />

ceramiche greche ritrovate in Sicilia, associate<br />

a ceramiche di produzioni indigena, nonché a<br />

manufatti ceramici e metallici prodotti da<br />

Sicani, Siculi ed Elimi, cioè le tre etnie indigene,<br />

con le quali i Greci si confrontarono nel<br />

momento del loro arrivo nell'Isola» (pp.52/53)<br />

(r. panvini / l. sole)<br />

Patrizia Li Vigni Tusa (a cura di)<br />

LE VIE DEL MARE. Catalogo della mostra itinerante<br />

nel mediterraneo, Ass.to Reg.le<br />

BB.CC.AA.e P.I.-Museo Storia Naturale e Mostra<br />

Permanente del Carretto Siciliano, Palermo-2008,<br />

pp.321<br />

«La Rete dei Musei del Mare è nata, dall'esigenza<br />

di approfondire la conoscenza del patrimonio<br />

inerente la cultura del mare sotto l'aspetto geologico,<br />

archeologico, naturalistico -evidenziandone<br />

la biodiversità- e antropologico, per documentare<br />

in particolare la cultura del mare e<br />

dare rilievo al patrimonio subacqueo -che soltanto<br />

attraverso un attività di tutela in Rete- può<br />

essere salvaguardato e studiato fornendo innumerevoli<br />

spunti di ricerca.<br />

Ogni Museo ha, quindi, arricchito i propri percorsi<br />

scegliendo i reperti dalle proprie collezioni,<br />

mantenendo inalterati sia il percorso museologico<br />

che gli aspetti scientifici legati ad esso.<br />

L'itinerario intrapreso ha rappresentato e rappresenta<br />

le fondamenta della cooperazione<br />

europea instaurata che è stata ed è in grado di<br />

avvicinare i musei alla cooperazione stabilendo<br />

l'ottimizzazione, secondo i nuovi concetti di<br />

museografia, dei percorsi espositivi e delle attività<br />

collaterali.<br />

La Mostra ha rappresentato questa RETE che<br />

metaforicamente racchiude nelle sue maglie i<br />

tesori più affascinanti, i racconti del mare, la<br />

simbologia delle decorazioni delle barche, la tradizione<br />

di un popolo che ha vissuto e vive<br />

bagnando la sua storia nel Mar Mediterraneo.<br />

Una rete che, attraverso i percorsi museali,<br />

lascia intravedere: reperti archeologici che testimoniano<br />

il commercio nelle varie epoche; reperti<br />

storico artistici che dimostrano come l'uomo,<br />

raccogliendo dal mare i suoi tesori, ha creato<br />

artefatti ed oggetti di inestimabile valore, in particolare<br />

dipinti e immagini apotropaiche, meravigliose<br />

opere d'arte in corallo, atte a scongiurare<br />

i pericoli del mare; documentazione delle<br />

prime forme di pianificazione per intraprendere<br />

il "viaggio" attraverso l'uso di carte nautiche<br />

riportanti rudimentali informazioni, descrizioni<br />

di carattere geopaleontologico e cartografie<br />

sulle profondità marine, sulle correnti, sulle<br />

coste; una raccolta diacronica di portolani che<br />

scorrono offrendo al visitatore un'informazione<br />

esaustiva di rotte, porti ed approdi» (p.29)<br />

(patrizia li vigni tusa)

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