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appartengono alla famiglia; è necessario lasciare posto a queste
relazioni prime, cioè non desiderarle diverse e quindi pensare di
doverle modificare. Partire da lì.
Tenere conto di questo significa avere capito che lavorare in
continuità con la famiglia non vuole dire annullare le differenze
ma farle dialogare, mantenere aperto uno scambio continuo di
saperi, entrambi importanti e fondamentali per la crescita e il
benessere del bambino.
Ma c’è un ultimo aspetto importante da mettere in luce.
Quello che accade in questa situazione di laboratorio, come
in altri momenti di gruppo che caratterizzano la vita del nido,
dove più genitori si incontrano insieme, dialogando tra di loro
e con le educatrici a proposito del proprio bambino, ma anche
su argomenti che riguardano la cura e l’educazione dell’infanzia,
le difficoltà che si incontrano e le soluzioni che si adottano… è il
dare vita a una COMUNITA’, è l’essere COMUNITA’.
E una comunità, ha, può avere, un forte impatto sul territorio,
rispetto a richieste da porre, iniziative da prendere, capacità di
farsi ascoltare, possibilità di ottenere ciò di cui si ha bisogno.
È necessario però far maturare una prospettiva diversa da
adottare, entrambi, i servizi e le famiglie.
Da un lato i servizi devono comprendere che il sostegno alla
genitorialità non significa educare i genitori ma fare emergere le
loro risorse e considerarli non degli allievi ma dei partner insieme
ai quali è possibile costruire modalità condivise di risoluzione
di problemi. I servizi sono chiamati a interrogarsi sia su nuovi
punti di vista dai quali guardare alle esigenze delle famiglie sia
sui propri modelli pedagogici, riesaminando anche criticamente
quelli che sono stati, per lungo tempo, i riferimenti principali del
“pianeta” nido.
Dall’altro è importante che un genitore comprenda che le
risposte ai problemi non possono essere trovate solo all’interno
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