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APRILE 2004 Viaggio sulle Ande peruviane D I A R I O 10 ... - utenti

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<strong>APRILE</strong> <strong>2004</strong><br />

<strong>Viaggio</strong> <strong>sulle</strong> <strong>Ande</strong> <strong>peruviane</strong><br />

D I A R I O<br />

<strong>10</strong> aprile pomeriggio<br />

SI PARTE ! caricata la macchina, giù in autostrada a parlare del viaggio, e a leggere brani<br />

di pagine della guida, e discutere sul percorso, e a sognare ad occhi aperti.<br />

Tante aspettative; il viaggio non è ancora incominciato che è già caricato di un sacco di<br />

elucubrazioni dell’immaginario, di significati e di attese. Assenza dal lavoro, impegni<br />

interrotti, si lascia la casa con la famiglia da cui si resterà assenti con la sensazione di<br />

causare una mancanza non leggera, investimento di soldi, desiderio di fare grandi cose, e<br />

timori che tutto fili liscio... Insomma c’è un po’ di emozione nell’andare a letto a dormire la<br />

sera prima e mettere la sveglia per le quattro e mezza. Eh sì perchè al solito la faccenda<br />

volo sta in questi termini: bisogna essere là due ore prima, quindi bisogna uscire molto<br />

presto per prendere il taxi per l’areoporto, e perciò io e Ben siamo venuti giù da Cence<br />

questa sera, e poi oltretutto il volo è per Madrid, poi c’è da aspettare là e cambiare,<br />

eccetera, eccetera, quindi insomma prima di salire proprio sull’aereo per il Perù, ce ne<br />

passa del tempo in preliminari...<br />

11 aprile <strong>2004</strong><br />

E così eccoci al buio e al freddo (è mattino o notte?) fuori dalla porta di casa a attendere il<br />

taxi ordinato l’altro ieri. Il tempo passa ed ogni minuto è infinito, e la taxista non arriva !<br />

Tutto è perduto, soldi, volo, vacanze, avventura, e questo e quest’altro. Ma dov’è? cosa<br />

fa? cerco il numero di telefono non lo trovo forse per l’agitazione, e intanto il tempo passa,<br />

e lei non arriva... basta! è deciso, chiamo un taxi col radiotaxi. Oddio speriamo di fare in<br />

tempo, ma certo che facciamo in tempo. Oh ecco il taxi, ho proprio fatto bene a<br />

chiamarlo, chissà perchè non è venuta e non mi ha chiamato, bah.... e...invece eccola che<br />

arriva anche lei in contemporanea. Ora ci sono due taxi davanti al cancello nel buio. Vabbè<br />

tutto si risolve pagando la corsa all’altro e con la dichiarazione di colpa della taxista che<br />

dice che ci detrae quella spesa dalla cifra finale.<br />

E’ passato un sacchissimo di tempo e siamo ancora qui ! nei corridoi anonimi<br />

dell’areoporto di Madrid a guardare vetrine di negozi che non ci possono interessare di<br />

meno e che abbiamo già visto cinque minuti fa e mezzora fa eccetera. Siamo partiti ieri, e<br />

siamo partiti di nuovo stamane -ovvero stanotte- e ancora non siamo partiti...<br />

SI PARTE ! questa volta sì che siamo seduti sull’aereo per Lima, e quando si scenderà di<br />

qui si scende in terra peruana, dall’altra parte dell’oceano, e dall’altra parte del continente<br />

sudamericano sul lato del Pacifico, dall’altro emisfero, sotto l’equatore. Altro cielo, altro<br />

clima, altro mondo, altre stelle.<br />

Certo che è ben lungo il volo, ma ora siamo fuori dall’areoporto di Lima che respiriamo<br />

quest’aria e parliamo con Angel e la sua ragazza canadese, e saliamo sul taxi che ci ha<br />

procurato ed è ancora lo stesso giorno: l’11 di aprile, domenica di Pasqua. evviva. L’unica<br />

nota negativa è che mi hanno rubato dalle tasche dello zaino proprio dei sacchetti in cui


avevo messo tutti i giocattolini da regalare a bambini nei villaggi, me ne resta solo uno.<br />

Comunque. Cambio un po’ di €uro (poco più di 3,90 nuevos Soles per 1€).<br />

L’auto attraversa per un sacco di tempo questa metropoli del terzo mondo, con traffico<br />

caotico, puzze di scappamenti, di nafta o benzina a bassi ottani, con fumo nero che ti va<br />

in faccia entrando dal finestrino, e clacsonate continue, con zig-zag e frenate e accelerate,<br />

è un vero viaggio. Ci sono autostrade urbane per andare da una parte all’altra della<br />

megalopoli. E ora ? ahora mismo hemos llegado ! stiamo in un moderno aparthotel<br />

(=residence) vicino al lungomare, “Las Suites”, cioè in un appartamentino con cucina,<br />

frigo, televisore, due bagni, due letti da una parte, e al di là di una divisoria in legno che si<br />

può far scorrere per separare la sala dalla camera da letto, un divano che è un altro letto<br />

che quindi ha la sua privacy -e appunto il suo bagno- vista panoramica, e prima colazione<br />

a buffet inclusa. Prezzo per l’appartamentino a notte per due $40 dollari usa. Depositati in<br />

camera i bagagli stiamo già passeggiando per un vialone del bel quartiere di Miraflores per<br />

andare a cenare. E prendo il solomillo a la plancha, lombatina di maiale alla piastra,<br />

mentre gli altri si scolano un bicchierone di Pisco Sour (alcoolico locale preparato a<br />

frappé). Brindisi generale.<br />

lunedì 12 aprile<br />

con la dormita si digerisce tutto, si annulla la differenza di fuso orario di sette ore, e<br />

passeggiamo lungo i malecònes (=argini) alti sulla costa di Miraflores tra i giardinetti,<br />

ammirando le nuovissime torri con appartamenti di lusso prima linea sul mare, in vendita a<br />

prezzi abbordabili (pensierino...). Incrociamo varie cameriere o dog sitter che<br />

accompagnano giù i cani dei signori a far pipì, poi incontriamo giovani o meno giovani<br />

signore, signorine, signori, giovanotti che fanno footing, e uno in muta che va giù a fare<br />

surf, e altri in bici. E cammina e cammina con il profumo dei giardini e della spuma<br />

dell’oceano, ci sediamo che già siamo un po’ stanchini. Prendiamo un taxi privato e per<br />

pochissimi soldi ci facciamo portare a San Isidro nel giardino degli olivi. Passeggiamo,<br />

incontriamo due bimbi conciati come barboni cui do dei soldini che li fanno felici. entriamo<br />

in una bella libreria “La Casa Verde” dove compro un romanzo, e una raccolta di favole e<br />

racconti andini. Poi in un bel bar mangio una Cesar’s Salad e guardiamo una rivista <strong>sulle</strong><br />

miniere. Poi prendiamo un taxi che ci fa riattraversare la megalopoli facendo stradine<br />

scorciatoie e autostrade urbane a più corsie, e ci porta al Museo de Oro.<br />

Emozioni grandissime. No comment: bisogna proprio vederlo. Peccato che ora sia un po’<br />

in abbandono, mal mantenuto, con pezzi mancanti, lampadine rotte, polvere. Perchè il<br />

padrone della collezione (è un museo privato) il potente eccentrico e ricchissimo Miguel<br />

Gallo è morto e gli eredi se lo contendono, nel frattempo qualcuno di loro si è portato a<br />

casa nel caveau qualche bel pezzo che dice che era suo....<br />

Il taxi è ancora là fuori e ci aspetta, così spendiamo di nuovo una cifretta (in termini locali)<br />

che si intasca di nuovo lui, e ci fa riattraversare la megalopoli per depositarci nel centro<br />

storico, el casco antiguo, nella vasta Plaza de Armas. Eccoci nella capitale del Vicereame<br />

spagnolo delle Indie del Perù. Tutto è ben mantenuto, forse da poco restaurato, e appena<br />

ridipinto. A questo punto ci ricordiamo di avere un po’ fame, e andiamo nello storico bar<br />

Cordàno (è del 1905) a prendere un panino. E’ del tutto vuoto in entrambe le sale, e<br />

silenzioso, grandi specchi alle pareti, tutto in legno, con il banco in granito, tavolini rotondi<br />

di granito con gambe in ferro battuto, ci sono solo alcune povere cose esposte dietro il<br />

vetro opaco del bancone, un prosciutto, del formaggio. Un vecchio camarero stanco ci<br />

chiede cosa vogliamo, due panini con prosciutto e formaggio e due bibite. Entra qualche<br />

curioso, uno sballato urla lì fuori in strada e nessuno gli da retta, entra un bambino tutto<br />

sporco, chiede qualcosa gli do un soldino. Quello della cassa e il cameriere si mettono a<br />

un tavolino a mangiare. intanto una vecchia cassetta fa risuonare musica popolare criolla


un po’ melanconica, con i soliti lamenti per tragiche storie d’amore e delusioni, cantate con<br />

voce un po’ stridula.<br />

Usciamo, andiamo alla sede del Correo Central che non si chiama più così perchè oramai<br />

è stato tutto liberalizzato e privatizzato, quindi è un ufficio del Serpost, dove spediamo le<br />

cartoline per liberarci subito del pensiero (è difficile e raro trovare francobolli -<br />

carisssssimi), aspettiamo invano presso lo sportello di filatelia dove Ben vorrebbe<br />

comprare alcune serie con fauna peruana, ma l’impiegata se ne era appena andata,<br />

assentata forse per il pranzo? Poi girovaghiamo un poco, cambiamo soldi in una banca (il<br />

Banco de la Naciòn) un po’ confusionaria e vecchio stile. In strada ci ferma un indio delle<br />

ande che ci chiede qualche vecchia moneta italiana e ci da una vecchia moneta da un Sol<br />

con su la figura di un llama; è un tipo gentile.<br />

La sera ci incontriamo con un amico di Angel, Héctor Espinosa, nella hall dell’albergo e gli<br />

diciamo i nostri progetti di viaggio, lui ci garantisce che il señor Lino che è un suo<br />

conoscente, è persona fidatissima e esperta, e affitta fuori strada e in certi casi anche fa<br />

da autista. Héctor è un ingegnere e si occupa di prospezioni minerarie e quindi a volte<br />

deve andare in luoghi impervi, poco o male collegati, a volte va nella giungla della selva<br />

amazzonica in posti irraggiungibili se non con barche fluviali a motore, per accompagnare<br />

ricercatori di pozzi, giacimenti, filoni, miniere eccetera. Spesso li fa accompagnare da<br />

Lino quando ci sono da percorrere strade sconnesse e poco battute. Comunque Lino<br />

conosce tutta la zona andina ed essendo nativo di un villaggio nella campagna di<br />

Ayacucho, sa la lingua quechua (kechua). Combiniamo il prezzo e un appuntamento per<br />

domani.<br />

13 de avril<br />

Ci incontriamo con Héctor e con un taxi andiamo alla sede centrale dell’Istituto Geografico<br />

militare nazionale. Qui hanno tutte le carte più dettagliate del paese, si sfogliano immensi<br />

atlanti, cartellette con cartine, ci sono varie carte appese alle pareti dove puoi mostrare la<br />

zona di tuo interesse, e infine quelle di carattere stradale (mi immagino non quelle di<br />

interesse militare) le puoi acquistare direttamente. Allora ci immergiamo in confronti tra<br />

carte diverse, di differenti annualità, con differenti scale e inquadrature, e alla fine<br />

facciamo la nostra scelta e usciamo di lì con le migliori carte esistenti in Perù...! Non credo<br />

che questo sia possibile in molti paesi europei.<br />

Per pranzo andiamo al ristorante “Aromas Peruanos” non distante da lì, dopo uno dei tanti<br />

grandi Ovalos stradali. A pranzo è un Buffet libre con solo specialità regionali <strong>peruviane</strong>.<br />

C’è veramente l’imbarazzo della scelta, e comunque assaggiamo un po’ di tutto. C’è del<br />

buono e del meno buono, ma è tutto fresco e di qualità. per questo è affollatissimo di<br />

impiegati e c’è un continuo ricambio dei vassoi del buffet. Molti piatti sono a base di rape.<br />

Ci sono delle simpatiche chicas che ti consigliano e che servono ai tavoli, scherziamo un<br />

poco con loro. Ricordo con piacere Delfina con il suo naso indio, e Milagro con i suoi<br />

occhialini da studentessa, ragazze semplici e sorridenti, gradevoli e gentili. Milagro poi mi<br />

dirà che pensava che fossi ecuadoreño per il mio particolare accento...<br />

Nel primo pomeriggio andiamo da tutt’altra parte, alla sede dell’ INReA, cioè l’Instituto<br />

Nacional de Recursos y Agricoltura, dove hanno tutte le foto del territorio peruviano prese<br />

dai satelliti metereologici e in genere dai vari satelliti, shuttle, e dalla base orbitante ecc. Un<br />

conoscente di Héctor si mette a nostra completa disposizione, e dopo varie ricerche in<br />

una sala zeppa di computer con gente che sta lavorando a interpretare foto recenti per<br />

individuare possibili componenti geologiche del terreno interessanti dal punto di vista delle<br />

risorse naturali, individua una buona foto di un paio di anni fa dell’area che forse<br />

visiteremo. Chiede a Ben se vuole che gli facciano un ingrandimento e una stampa e con<br />

che colorazioni. Così alla fine usciremo con una rarissima anzi unica, foto stampata della


zona tra Lucma nella valle di Vilcanota e il rio Apurìmac giù fino alla confluenza col rio<br />

Pampas, dove si vedono i sentieri e le possibili vie d’accesso per fiume alle rovine di<br />

Espiritu Pampa....!<br />

Usciamo orgogliosi col nostro rotolo sotto il braccio, e passiamo sorridenti sotto lo<br />

sguardo incuriosito della possente giovane donna india in divisa militare che fa da guardia<br />

armata all’ingresso, con il suo nasone e il mento sfuggente, viso color ocra brunato, tipo<br />

certi personaggi del cartone disneyano su Pocahontas.<br />

Allo sportello della cassa dove il tizio ci aveva accompagnato per pagare, c’era<br />

appiccicato sul vetro un volantino ciclostilato intitolato “Si pudiera educar a mis hijos de<br />

nuevo” che mi incuriosisce, e lo dico al tizio, allora lui parla con la cassiera se lo fa<br />

staccare e mi va a fare una fotocopia !<br />

Andiamo poi in un bar a festeggiare con un Pisco Sour, e Héctor ci racconta dell’ultimo<br />

suo viaggio oltre Pucallpa, e di altri viaggi in Amazònas sul rio Madre de Diòs (o Amaru, o<br />

Inambari nelle lingue locali), oltre Puerto Maldonado, oppure oltre Boca Manu, in luoghi<br />

dove ci sono ancora tribù di “no contactados” cioè di indigeni che non conoscono gli<br />

uomini “civilizados”, e dove le carte non dicono nulla e le foto aeree dicono poco. Qui ci<br />

vuole un telefono con parabola, e certe apparecchiature che per via satellitare danno la tua<br />

posizione con longitudine e latitudine esatta al secondo, e altre che rilevano la<br />

composizione chimica e minerale del terreno sino a 5 metri nel sottosuolo. Se per chi si<br />

accampa per svolgere ricerche le cose si mettono male chiama via satellite e con piccolo<br />

idrovolante o un elicottero li vanno a prelevare. Ma non sono solo geologi e ingenieri<br />

minerari o petroliferi gli interessati, ci sono anche archeologi, perchè dopo la scoperta di<br />

città antiche come Choquequirao, Espiritu Pampa, e altre recenti località, si sono trovati<br />

siti incaici o addirittura preincaici anche nell’Amazònas, tipo Paitìri. Però non è facile<br />

procedere per questi percorsi perchè ci sono guardiani indigeni dipinti in volto, ostili ad<br />

ogni intrusione. Ma naturalmente poi non mancano cercatori d’oro di frodo, di diamanti e<br />

pietre preziose, di gas naturali, che poi tengono tutto segreto e fanno strani traffici. Nè<br />

mancano i narcotrafficanti. La selva ora è oggetto di ricerche da parte di studiosi di<br />

farmacologia, di chimica, di botanica, che hanno trovato negli ultimi decenni molti fiori,<br />

bacche, cortecce di grande interesse per le loro proprietà naturali. Insomma il Perù è<br />

ancora un paese in corso di popolamento e di sfruttamento, per cui parti del territorio sono<br />

ancora da esplorare o analizzare, molte risorse sono ancora non valorizzate. Questa<br />

gente non conosce del tutto il proprio paese, è ancora in atto l’attività conoscitiva del<br />

territorio e di prospezione delle risorse, e le carte geografiche sono ancora in corso di<br />

redazione...! Torniamo e attraversiamo la nuova recentissima zona delle sedi delle grandi<br />

multinazionali con i loro modernissimi grattaceli e palazzi disgnati da grandi architetti. Il<br />

futuro di questo magnifico immenso Perù (e dei suoi abitanti) è nelle loro mani.<br />

Al rientro in albergo a Miraflores, troviamo il nostro chofer Lino Mitma Huamani con la<br />

moglie, seduti in una Toyota “Runner” 4x4 Full Equipo, in nostra attesa. La jeep è<br />

perfettamente lustrata e brillante, motore appena revisionato, perlustro le gomme da<br />

montagna in ottimo stato, dotata di pezzi di ricambio, pronta per il viaggio. Invito anche la<br />

signora ad entrare in albergo ma si nega e mi prende la mano destra tra le sue due mani e<br />

guardandomi negli occhi mi sussurra: “Que Diòs os bendiga caballeros !”.<br />

L’ultima sera nella civile capitale giriamo qua e là, ci sono ancora delle librerie aperte e<br />

compro una guida più aggiornata della mia, e Ben cerca una traduzione in spagnolo del<br />

diario di Hiram Bingham, che non trova.<br />

Si leggono ai campanelli dei portoni, cognomi non solo spagnoli, o catalani, ma anche<br />

italiani, tedeschi, inglesi, quechua...<br />

Dalle scritte deduco che ci sono differenze linguistiche tra il peruviano e il castillano doc di<br />

spagna: playa de aparcamiento (spiazzo per parcheggio), jugos de fruta (succhi di frutta),


etorno (ritorno), bolleto (biglietto, tiket), grifo (pompa di benzina), cochera para carros<br />

(rimessa per auto), chompa (golf), papas (patate), acà (qua, usato sempre al posto di aquì<br />

=qui), Alameda (viale alberato), jiròn (via minore), palta (per avogado), ecc.<br />

Rientrando per le vie deserte incrociamo una piccola “vecchia” montanara scesa a Lima<br />

per qualche mercato, ecco una vera faccia india, con la pelle raggrinzita color mogano,<br />

tutta incurvata, bassa di statura e minuta di corporatura, poverissima, intimorita con gli<br />

occhi bassi passa veloce senza guardarci. Eccoli: son questi gli incas del Duemila.<br />

miercoles 14 de avrìl<br />

SI PARTE ! inizia il nostro viaggio. Caricati i bagagli saliamo sul carro e Lino si dirige<br />

spedito verso l’imbocco della Panamericana Sur.<br />

Fuori dalla continuità di case, iniziano le baraccopoli, poi le capanne, e tutta un’area che<br />

esiste in funzione della megalopoli, a servizio delle sue necessità di verdura, polli,<br />

manodopera non qualificata eccetera. E la basura, i depositi di spazzatura, sia materiale<br />

che di umanità varia degradata dalla miseria e dal bisogno. Puzze di nafta, fumi, polvere.<br />

A Cañete ci sono carretti carichi di canne, portati da quattro asini affiancati (la quadrilla),<br />

ce ne sono anche con tre ciuchi (la “triglia” diciamo noi), uomini, donne, bambini con grandi<br />

carichi sul dorso. Accanto convivono alcune oasi di modernità, centri balneari.<br />

Aree fertili si alternano ad aree paludose, e a zone aride. Poi inizia il grande deserto di<br />

polvere o per lo più sabbioso.<br />

Ogni tanto si leggono vecchie scritte inneggianti a Abimail, il “Vendicatore” che secondo il<br />

mito ritornerà, Sendero vuelve !<br />

Uccelli con grandi aperture alari sembrano fare eco a quelle scritte e a quelle radicali<br />

speranze di rivalsa.<br />

Nel deserto di sabbia e polvere c’è vento denso di salsedine che giunge dall’oceano, ma<br />

più dentro e più rasoterra si addensa la neblina, che permette a rade piantine<br />

sommariamente protette a sopravvivere anche loro a fatica.<br />

Si succedono piccoli pueblados di capanne di canne o di paglia appoggiate sulla sabbia,<br />

precarie come i loro costruttori e che dovrebbero servire da riparo notturno contro il vento<br />

e la nebbia. Ci sono cavalli, mucche, asini, cani, pecore, capre, tutti spesso, volentieri e<br />

senza preavviso, attraversano la panamericana, che oramai è già ridotta ad una sorta di<br />

strada provinciale mal tenuta.<br />

“IncaKola solo hay una y Peru sabe por qué” ma ha un colorino color pipì chiara che<br />

sembra di bere una fiala per analisi delle orine...tanto più se non è propriamente gelata, ma<br />

temperatura ambiente. Preferibile dunque la bebida gringa. Buoni: mango, papaya, ananas<br />

(piña), avogado (palta).<br />

In certi villaggi si coltiva il cotone, vediamo dei ragazzini proprio piccoli che portano a<br />

fatica sulla schiena una balla di cotone ciascuno. Da queste parti si vedono anche i rari<br />

neri discendenti dagli africani “importati” senza successo dai coloni spagnoli, e mulatti.<br />

Si adoperano mattoni di fango e terra, mischiati a paglia, ed essiccati al sole, chiamati<br />

adobe. Tutta la vita, l’economia, la sussistenza, i materiali, tutto è legato alla terra e a quel<br />

che fornisce, al luogo in cui si vive, agli animali che ci vivono, al sole, alla pioggia, tutto è<br />

conforme a questi elementi cui si è indissolubilmente dipendenti; da noi oramai siamo in<br />

gran misura slegati da tutto ciò, tanto che ci siamo dimenticati che siamo parte della natura<br />

e non qualcosa a sè stante che si confronta con la natura come fosse un oggetto, un<br />

qualcosa di altro, di esterno, per contenerla, adattarla e modificarla ai nostri fini.<br />

Alla periferia di Pisco si gira a sinistra e si sale, lasciamo la costa e cominciamo ad<br />

avviarci verso l’interno.<br />

Inizia un nuovo capitolo.


Si paga anche qui un peaje e non solo sull’autopista panamericana della costa, vedremo<br />

poi che si paga quasi per tutte le strade asfaltate. La rete viaria asfaltata sembra essere<br />

quasi tutta recente, anche certe strade sembrano comunque aperte da poco. Praticamente<br />

a tutti i ponti moderni con strutture di ferro, si paga un pedaggio. La polizia ci consegna<br />

addirittura un dépliant chiamato “Guìa bàsica de recomendaciones para los usuarios de la<br />

vìa”. Da qui incominciamo ad apprendere che le distanze oltre, e più, che in kilometri sono<br />

espresse in “tiempo de viaje aprox. en circunstancia normales” per cui per andare dalla<br />

costa alla cittadina, o borgo, di Haytarà a 113 kilometri, si indica, pur essendo una strada<br />

asfaltata abbastanza nuova e ben fatta, 2 ore essendo in salita (2.300 metri sul livello del<br />

mare) e con molte curve. E in effetti più o meno corrisponde, sempre tenuto conto degli<br />

animali, degli uomini che camminano lungo la strada, dei paesini, delle buche o legni o<br />

sassi che ci possono essere, eccetera, e della guida degli altri.<br />

Vediamo la fortezza del Tambo colorado, che sembra segnare l’ingresso in quello che fu<br />

l’impero montanaro dei sovrani inca. Entriamo.<br />

Eccoci a Haytarà, che significa in quechua, fiori. Ci fermiamo per una sosta per il pranzo.<br />

E subito, appena spento il motore, il silenzio, l’aria tersa di montagna, gli odori<br />

campagnoli. Nalla piazza centrale c’è un “ristorantino” tenuto da una signora indaffarata<br />

ma tranquilla, ci sono già alcuni ai tavoli, poi arriveranno dei lavoratori in pausa, un<br />

camionista, e due signorine forse al rientro da qualche istituto professionale. Naturalmente<br />

c’è la trucha (=trota) come in moltissimi altri posti lungo i fiumi. Ordiniamo carne de<br />

cordero asada (agnello arrosto) con papas y arroz blanco. Buono morbido, porzione non<br />

abbondante ma sufficiente, per bere, acqua naturale in bottiglia e una cerveza (birra); al<br />

termine mate de manzanilla (una specie di camomilla, gli infusi si chiamano tutti così<br />

perchè forse in origine si beveva da una zucca, mate, essiccata) che fa bene per<br />

affrontare il malessere provocato dagli sbalzi di altitudine. Fra 35 km arriveremo a 3800 (a<br />

Tacrapunta) e fra 67 km a 4400 (a San Felipe). Lino, e lo constaterò anche in altri, dice 38,<br />

44. Paghiamo il conto anche per lui, poichè l’accordo è che gli pagheremo al ritorno un tot<br />

al giorno per l’affitto dell’auto e un tot per il servizio d’autista, e in più provvediamo alla<br />

benzina, e alle spese di vitto e alloggio (il totale, oltretutto diviso a metà tra noi due, sarà<br />

molto minore del solo affitto rent a car di un auto berlina medio piccola in qualsiasi paese<br />

europeo).<br />

Ma, torniamo nel comedòr del paese: per tre il conto è di quasi quattro €uro. Cominciamo<br />

così a conoscere i prezzi reali del mercato interno locale, almeno nell’area andina. Sui<br />

tavoli sopra alla tovaglia ci sono dei vetri, per non sporcare e poter pulire più facilmente, e<br />

tra il vetro e la tovaglia avevano infilato in ogni tavolo dei ciclostilati con cuentos popolari<br />

(racconti). Ad es.: il papà sgrida la figlioletta di tre anni perchè sta sprecando della carta da<br />

pacco dorata che doveva servire per i regali di Natale. Ma questa scatola è il mio regalo<br />

dice lei, il padre guarda ma la scatola è vuota, e allora la risgrida. Ma lei dice che invece è<br />

piena di bacini per lui. Il padre confuso si scusa. Da allora lui la terrà per anni di fianco al<br />

letto, così nei momenti di sconforto prenderà ogni tanto da lì un bacino.<br />

Un’altra: un ragazzo è innamorato di una ragazza, ma si vergogna a dirglielo, quando poi<br />

le si rivelerà sarà troppo tardi, e lei gli dirà che anche lei lo aveva sempre desiderato ma<br />

che si vergognava a dirglielo.<br />

Passeggio per la piazza e ricopio questo Comunicado scritto a mano appeso fuori da un<br />

portone in occasione della inaugurazione del kiosko escolar il 7 aprile (la scuola è pubblica<br />

ma non gratuita):<br />

“Requisitos: 1) Pago adelantado de un mes 2) puntualmente, en caso contrario se<br />

resindirà el contrato<br />

3) espender productos que no dañen la salud de los niños, y manteniendo la higiene


4) Mostrar buena presencia y buen trato personal a los usuarios (niños, niñas, docentes, y<br />

otros)<br />

5) ser padre de familia, o apoderado” (= o facente funzioni).<br />

In realtà c’erano molti errori che nel mio notes non avevo riportato. Anche nelle scritte<br />

elettorali sui muri noto molti errori, o imprecisioni del tipo: “como Alcalde vota Conislla”<br />

(anziché Consilla); o come Abimail che a volte è Abisail, ecc.<br />

Seguendo la valle del rio Pisco passiamo nel dipartimento andino di Huancavelica. Al<br />

Puente de Chicchiobamba, 3740 metri, tento di far pipì ma mi sento congelare. C’è<br />

neblina a iniziare dal successivo Puente Linamama, 3984 m. Poi a quota quattromila si<br />

vedono i primi alpàcos, un grande gregge sui pendii. Lungo la costa scoscesa ci sono<br />

canaletti per l’acqua paralleli in orizzontale, forse perchè così trattengono l’acqua piovana<br />

che còla all’ingiù. Vediamo anche cinque o sei muli selvatici che corrono, vicino al paesino<br />

di Ayavì, a 4155 m. Ci sono dei laghetti come Chocclococha (=lago a forma di pannocchia<br />

di mais) e il panorama è vastissimo, sterminato, ammaliante. Al passo (4250 m.) ci sono<br />

quattro casupole di pietra e paglia, con sedute fuori dalla porta delle donne. Si vendono<br />

biscotti e cose varie, e soprattutto gasolina y aceite de motor (benzina e olio per motore),<br />

e siccome è l’unico punto di distrubuzione che si sia visto da molto tempo, Lino<br />

prudentemente si ferma. Qui non c’è, nè ci potrebbe essere un distributore con la pompa,<br />

quindi ci sono in bella vista grandi taniche di benzina sul bordo della strada e una scritta a<br />

mano su legno. Quindi una donna va a prendere un imbuto e poi con gran fatica tira su un<br />

contenitore medio-piccolo e versa la benzina (in parte anche fuori), e a occhio dice quanto<br />

ha messo e quanto pagare. Intanto scherzo con il gruppetto di donne, ragazze e un paio di<br />

bambine che stanno leggendo su un giornaletto storielle di amore e gelosia, tipo<br />

pettegolezzi, e loro mi guardano stupefatte e sorridono con occhi che brillano. All’ultimo<br />

momento compro un paio di rotoli di carta igienica che possono sempre venir utili, come è<br />

già successo, sia durante il lungo viaggio sia nelle soste ai “bar”, sia in albergo. Un nuevo<br />

Sol, cioè quasi 25 eurocents; faccio un paio di carezze all’immancabile cane, la signora<br />

sembra molto contenta, mi salutano. Da qui si vedono grandi montagne rocciose che<br />

terminano con un tavoliere a picco. Sono fatte di roccie rosse, con strisce marroni,<br />

gialline, e parzialmente ricoperte di licheni verdini. Si domina sull’alto pianoro vastissimo.<br />

Nuvoloni neri immensi pieni di pioggia corrono sul paesino di Chocclococha. Sulla terra<br />

rossa, cabras, carneros, caballos, burritos, vacas, y toros. Sì, tori in alta montagna.<br />

Abbiamo visto appunto una bella e grande “valle verde”, con i suoi terrazzamenti coi<br />

canalini di irrigazione, greggi al pascolo, mandrie di bovini, tori sparsi, cavalli selvatici al<br />

galoppo, e una (1) casupola o capanna di sassi e paglia, il suo orticello cintato da muretti<br />

di pietre... sola in tutta la grande bella valle. Sembrava un po’ come nel film, la capanna<br />

che Highlander si fece sugli altipiani furi dalla portata di chiunque, proprio per non essere<br />

mai più trovato. Ma come si fa a descrivere un paesaggio? io non lo so. Qui continua a<br />

vedersi un vastissimo territorio quasi disabitato, proprio selvaggio, con i ghiacciai<br />

permanenti in vista (uno sulla destra in fondo è di 5168 m., un altro a sinistra è di 5231 m.<br />

con a fianco un suo fratello) che se ne stanno là da sempre, un po’ incappucciati dalle loro<br />

amiche nuvole, un pochino ogni tanto mettono fuori il capo per controllare. Enrique Lòpez<br />

Albùjar nel primo dei suoi Cuentos Andinos (1920) che ho comprato alla Libreria La Casa<br />

Verde, quello intitolato “Los tres Jircas” (jirca in quechua significa cerro =poggio, collo,<br />

dorso, ma soprattutto: monte che chiude) inizia così: “Tre moli, tre cime, tre sentinelle che<br />

si ergono intorno alla Città dei Cavalieri di Leòn di Huànuco.<br />

I tre jirca-yayag, come li chiamano gli indios” (jirca-yayag è el padre cerro).<br />

A seconda dei minerali che prevalgono o che affiorano in superficie sul terreno, la terra è<br />

rossa o verde o color amaranto, o bianco latte, o marrone. Di conseguenza deve essere<br />

questo un territorio ricchissimo di minerali di ogni tipo, dal ferro allo zolfo. E così c’è un


torrente di acqua rossa, sì proprio d’acqua rossa-rossa. Poco dopo, forse da una antica<br />

miniera (?) cola acqua come da una fonte, e colando giù lascia depositi lucidi arrotondati<br />

di diversi colori.... In queste vallate ci sono sui pendii molte cave, buche, caverne di varie<br />

dimensioni, che conferiscono ancor più, se possibile, al paesaggio un aspetto che direi<br />

primordiale, perchè la sensazione che ti prende è proprio quella di stare osservando il<br />

pianeta nell’aspetto che aveva alle origini, prima dell’uomo, prima della prima scena del<br />

film Duemilauno. E poi è indescrivibile, e anche una foto o una ripresa con videocamera, o<br />

una pittura, non potrebbero rendere questa tavolozza naturale di colori che se ne sta<br />

distesa da tempi immemorabili su questi amplissimi panorami quassù in alto (siamo sopra<br />

i 4000 m.). I raggi diagonali da sotto le nuvole -sono oramai quasi le cinque, las cinco de<br />

la tarde- illuminano di sghimbescio un colle giallo, poi c’è l’ambra, il violaceo, l’amaranto, il<br />

verdino con sfumature un po’ azzurrine, e quei solidi monti di pietra nera con i loro<br />

ghiacciai bianchissimi, fonti di luce abbagliante.<br />

Piccoli llamas disseminati come puntolini sono sparsi qua e là. e il nitore dell’aria rarefatta<br />

ti mette ben in vista sprazzi di cielo superazzurrino con nuvole bianche-bianche e accanto<br />

nuvoloni neri.<br />

I rari esseri umani sono prevalentemente donne montanare con cappello “da uomo”, e<br />

qualche montanaro scuro con cappuccio colorato (chullu).<br />

La pioggia caduta mista a grandine fina, evapora dall’asfalto fumando (i raggi del sole<br />

quando spuntano sono “equatoriali” e d’alta montagna, cioè fortissimi). Sull’Abra (=Passo)<br />

Apacheta imbiancato (4746 m.),<br />

esco un momento dall’auto, e mi trovo investito da un’aria tersa fredda sottile strana che<br />

mi fa raggrinzire le labbra e socchiudere gli occhi istintivamente, e mi avvio ad un’andatura<br />

un po’ più sveltina del passo normale, per mettermi semplicemente sull’altro lato per farmi<br />

fotografare vicino al cartello, e sono sfinito, spompato, distrutto, ansimante, leggero<br />

fischio alle orecchie con un certo giramento di testa che mi consiglia di rimettermi subitosubito<br />

buonino seduto nella protettiva Toyota 4x4. Ecco questo è il soroche, ovvero il<br />

malestar de altura. Altro che mate de manzanilla ! da domani mi prendo il mate de coca.<br />

Continuiamo verso Rumichaca, e oltre, incontriamo piccoli pueblados di alpaqueros. Qua<br />

e là strisce verticali verdissime di coltivazioni di papas; ci sono moltissime qualità diverse<br />

di patate, gialle, rosse, bianche, grandi, piccole, tonde a bozzi, ... con sapori differenti e<br />

nomi diversi in quechua. Così come il maìs è di varie qualità, a piccoli grani, o grossi,<br />

giallo, rossastro, nero, con pannocchia larga, lunga, grande, piccola. Ora si incomincia a<br />

vedere più di frequente qualche paesino. Prendono ciuffi di picho per fare la copertura dei<br />

tetti delle casupole. Anche l’essere umano è un ottimo animale da soma. Sulle casette<br />

ricompaiono anche le scritte a vernice per la propaganda elettorale. “vota come Alcalde il<br />

dottor....” o il professor..., l’ingegnere Tale o Talaltro. La politica è affare per i ricchi, per<br />

chi vuol essere tra i riveriti potenti che decidono. D’altronde se ci andasse qualcuno di<br />

questi montanari, o mandriani, o pastori, o contadini a fare l’alcalde, cosa saprebbe fare?<br />

Così li coinvolgono nelle loro ambizioni per potersi poi fare gli affari propri.<br />

Ricompaiono quegli alberelli con le foglie verdine e da un lato argentate che si muovono<br />

velocissime sul loro asse, il picciuolo, mostrando ora un lato ora l’altro per il vento. La<br />

terra è tutta erosa dalle piogge e lascia emergere roccie parallele, mette a nudo la sua<br />

conformazione, il suo scheletro.<br />

Il borrego (in castigliano=agnellino) e il carnero (=montone), Lino dice che in Perù si<br />

chiamano così la femmina e il maschio (la hembra y el varòn) della pecora. Chissà. Ci<br />

sono poi molte capre e cavritos. E moltissimi porcelli un po’ selvatici pelosi, neri o<br />

marroni; Lino ci dice che si chiamano chanchos e che sono addomesticati. Compare per<br />

la prima volta ai nostri occhi il trigo (=frumento) accanto al maìs e alle patate.


Effettivamente come diceva il dépliant, ci vogliono più di tre ore per salire, e per andare a<br />

Rumichaca, e poi Apacheta, Casacancha, eccetera, ce ne vogliono altrettante in discesa<br />

per giungere alla nostra meta che è Ayacucho. Si chiama troche (in castigliano<br />

=scorciatoia, sentiero, in inglese track) quando è una pista di terra camionabile, per<br />

camionetas, tir (i grossi trucks americani), corriere, bus, percorribile da carros, mezzi<br />

attrezzati, e invece si chiama pista (in castigliano =traccia) quando è carretera asfaltada<br />

extraurbana buona per automobili da città. La gente viaggia su questi troches in corriere<br />

che vanno su e giù per tutto il Paese. A Lima alla stazione centrale dei bus, Terminal<br />

Terrestre, ci sono corriere che partono per il Venezuela, per l’Ecuador, il Chile, la<br />

Bolivia....! sono pullman che viaggiano giorno e notte continuativamente, ad es. per la<br />

Colombia, per una settimana intera !<br />

Ogni tanto si incontra un Puesto de Salud, cha sarebbe una specie di infermeria di pronto<br />

soccorso, per un primo intervento, un presidio sanitario. Si leggono cartelli nei paesi con<br />

scritto ad es.: “Mejoramos la educaciòn rural!”, di tanto in tanto si vede un kiosko escolar,<br />

oppure kiosko de educaciòn mayor, che sarebbe una tettoia in un prato, sotto cui riunirsi<br />

con un insegnante.<br />

Spesso alla sera si vedono bambini che portano grandi carichi di erbetta verde per i<br />

conigli, o altro, di cui sono incaricati loro perchè è più leggera.<br />

Le donne invece son sempre cariche di questi sacconi colorati a strisce, pieni di pesi,<br />

messi sulla testa, sul collo, di traverso, <strong>sulle</strong> spalle, tutte curve col loro cappello che vanno.<br />

A volte ci è capitato che chiedessero di portarle il saccone fino al paese tale o al tal punto,<br />

all’incrocio, al bivio, o alla fermata della corriera o dei camion per contadini. Una specie di<br />

autostop per il sacco. Ma noi siamo pieni, senza posto per quei grandi volumi di fieno o<br />

foglie di coca, o altro. Le due trecce lunghe, anche se magari di capelli grigi per l’età, sono<br />

annodate alle due estremità dietro la schiena se sono sposate.<br />

A 330 kilometri di strada dalla costa, ecco finalmente quasi all’imbrunire Ayacucho, dopo<br />

<strong>10</strong> ore di auto. Il nome deriverebbe da aya (=morti) e cucho (=angolo) forse a ricordo<br />

della sconfitta della fiera popolazione autoctona pre-incaica dei Chanca, scacciati dal<br />

conquistatore Inca Roca, re della valle del Cuzco. Fu importante postazione spagnola di<br />

difesa della strada tra Lima e Cusco, fondata già nel 1550 da venti famiglie che si<br />

stabilirono qua. E’ famosa per la bellezza e la precisione dei suoi retablos, cioè un insieme<br />

di figurine di cartapesta, gesso e colla di farina di mais, tutte colorate, che rappresentano<br />

varie scenette popolari attorno alle immagini dei quattro evangelisti, il tutto incastonato<br />

dentro una scatola di varie dimensioni, da grande a piccolina, che si chiude con due<br />

sportelli come un armadio.<br />

Arrivati nei pressi della stazione dei pullman nella parte alta, c’è la scritta “prohibido<br />

comercio a menos de 50 metros” e subito tutt’attorno alla stazione ci sono tante tiendas<br />

(=negozio, bancarella) e contadine accucciate che vendono i loro prodotti esposti <strong>sulle</strong><br />

loro colorate mantas che poi richiuderanno a mo’ di sacco. Tanti tricicli colorati che fanno<br />

da taxi. Ed ecco giù la bella ampia plaza mayor con i portici tutt’attorno, i giardinetti in<br />

mezzo con il monumento al generale Sucre eroe dell’indipendenza, i palazzi governativi, le<br />

chiese barocche. Ci alloggiamo in una bella casona coloniale (=grande edificio per le<br />

famiglie patrizie spagnole appoderate nel vicereame). Costruita nel 1630, fu residenza del<br />

Corregidor . Acquistata e restaurata nel 1972 dallo spagnolo Aznar, essendo stata<br />

dichiarata monumento storico, fu museo, ma ora dal 1991 è trasformata in albergo Santa<br />

Rosa (la santa patrona del Perù) a tre stelle, “il più bell’ albergo della città” mi dice subito la<br />

señora. Prendiamo una habitaciòn triples, ma poi chiediamo se c’è una simple para el<br />

chofer, e teniamo quella grande allo stesso prezzo perchè in effetti si paga un tot a testa.<br />

Tanto c’è posto, è appena finita la Semana Santa che vede convergere migliaia di


persone per le grandiose fiestas e le processioni che qui si tengono. Per una notte,<br />

primero desayuno incluìdo paghiamo per tre 162 soles, circa 40€. (per Lino la singola<br />

senza bagno viene 55 soles). Come si vanta la señora, c’è agua caliente, oltre a quella<br />

fria, teléfono, baño con ducha, tv, terrazzino sulla strada, e anche la cochera, che significa<br />

poi che si parcheggia el carro dentro, nel secondo cortile. Infatti la casona è composta di<br />

due corti su cui si affacciano archi al piano terra e al piano rialzato, per cui poi ci<br />

metteremo nello spazio davanti alla porta della camera, dove c’è un tavolo con sedie, a<br />

guardare giù dalla balconata interna e a scrivere e chiacchierare. Ma poi usciamo per cena<br />

e per sgranchirci le gambe, respirare aria buona e visitare il centro. “Una caminata<br />

(termine anch’esso non certo molto in uso in spagna) a través de los pasillos de nuestro<br />

hotel le mostrarà toda la belleza arquitectònica del antiguo centro històrico de la ciudad,<br />

rodeado de Grandes Templos y Bellos Tejados de arcilla” (=e i bei tetti di argilla). E in<br />

effetti la piazza è vicinissima, “ubicaciòn céntrica a 1/2 cuadra de la plaza mayor” diceva il<br />

volantino dell’albergo con la consueta modalità di indicare le distanze in città misurando<br />

per isolati, o blocchi, la cuadra.<br />

Intanto scopriamo che (e questo si verificherà anche in altre località) tutti chiamano la città<br />

Huamànga, con l’antico nome (da huaman=aquila). Quindi mentre su tutte le carte<br />

geografiche e stradali, sui cartelli, sui depliant, su ogni carta stampata, eccetera, si chiama<br />

Ayacucho, tutti comunque dicono sempre tra di loro (magari non coi turisti) Huamànga, c’è<br />

la famosa piedra de Huamanga che è una specie di alabastro, c’è l’altrettanto famosa<br />

Universidad de Huamanga -fondata nel 1677- dove insegnava il professore di filosofia<br />

Abimael Guzmàn, fondatore e capo di “Sendero Luminoso” il partito armato maoista che<br />

scatenò una terribile guerriglia 25 anni fa.<br />

Prendiamo un jugo de naranja (=una spremuta di arance, in castigliano doc si direbbe<br />

zumo) seduti ad un tavolino in un patio di una casona in cui è sistemata la scuola di<br />

turismo, passeggiamo per la via pedonale dove ci sono ben tre farmacie a pochi passi<br />

l’una dall’altra, e alla fine c’è una piazza con una bellissima chiesa barocca e di fronte una<br />

scalinata con un ampio spiazzo sopraelevato con un arco da cui si accede a una casona,<br />

e lì c’erano varie donne nei loro costumi colorati che vendevano dolcini, cruasanes,<br />

cornetti, panini di varie forme. Compriamo varie briochine e panini per il viaggio di domani,<br />

6 per circa 14 €urocents, facciamo scorta, sono freschissime e buonissime. Giriamo<br />

ancora un po’, interessante la chiesa e convento, del 1605, della compagnia dei gesuiti, e<br />

la chiesa dei domenicani, del 1548, con il loggiato dove i membri del tribunale<br />

dell’inquisizione comminavano le condanne capitali (si veniva impiccati in cima al<br />

campanile).<br />

Poi andiamo a cenare, incontriamo Lino che ci indica una polleria, “Kevin - pollos a la<br />

brasa”, mangiamo mezzo pollo allo spiedo ciascuno e patate fritte con cocacola e birra,<br />

per 12 soles circa 3 €uro (Lino aveva speso 5 soles). La sera sul tavolo della balconata<br />

interna studiamo la cartina per l’itinerario di domani.<br />

jueves 15 de avril<br />

Ci alziamo alle 6, colazione nel bar del cortile interno, e via si riparte. Ci sembra di essere<br />

in perù da un sacco di tempo. Da qua ad Abancay non c’è strada asfaltata, e non è<br />

nemmeno che sia una “normale” strada di terra ben battuta, no è proprio come un sentiero<br />

con sassi, buche, sassoni, pozze, stretto e con mille curve e spesso a strapiombo col<br />

bordo di ghiaia che frana. Brutto e senza che ci sia stato mantenimento da tempo<br />

immemorabile, il primo lungo tratto, quasi tutto in salita, è tremendo si traballa e sobbalza<br />

molto, non riesco nemmeno a prendere piccoli appunti promemoria, nulla. Si procede al<br />

massimo a 20/30 all’ora. Al solito incontriamo solo rari camion, qualche corriera, qualche


combi, o quei taxi collectivos per le lunghe distanze con sacconi sopra il potabagagli. Ma<br />

di solito non c’è nessuno sul percorso. Eppure è la strada nazionale nord-sud parallela alla<br />

costa, che unisce importanti città come appunto Ayacucho, Andahuaylas, Abancay.<br />

Faremo 245 kilometri in 9 ore. Non ci sono cartelli stradali, non si sa in che paese si è<br />

arrivati, spesso se ci sono carteles (in castigliano letreros), non si capisce bene dove<br />

indichino, cosa significhino, e anzi fanno più confusione, magari sono molto vecchi.<br />

Insomma bisogna chiedere. Lino chiama “hola pata !” quei giovani cui chiede informazioni,<br />

se no dice “amigo”, oppure “señora, señorita”. Ma non è facile: non sanno, oppure non<br />

sanno spiegare, oppure non sanno lo spagnolo abbastanza bene. Sempre deve chiedere<br />

tre volte alla stessa persona, e poi a volte è meglio richiedere a qualcun altro per avere<br />

conferma. Il fatto è che non sono abituati a parlare con estranei, non parlano molto<br />

comunque, e poi sono là nel loro mondo, con tempi lenti, silenzio, e arriva all’improvviso<br />

questo che dice delle cose con uno strano accento, e chiede cose strane o ovvie. A volte<br />

le donne rispondono in quechua, ma anche Lino sembra che non sempre capisca la<br />

pronuncia. Chiede conferma, parlando sempre solo in spagnolo, e se dicono aoryk allora<br />

vuol dire sì. Così imparo aoryk (=sì), mànan (=no), e llapanchìk (=tutti quanti).<br />

Oramai i costumi maschili sono rarissimi, anche molte ragazze non portano più il costume<br />

locale. Ci sono vari cartelloni statali inneggianti alla modernizzazione (“Mujeres y varones<br />

tenemos los mismos derechos”), o che incitano con consigli (“Planifica tu familia! vivràs<br />

mejor”).<br />

Ci sono molte coltivazioni di maìs che qui chiamano chòquolo, cioè pannocchia, e arbusti<br />

con foglie a cinque dita, con i cui semi si colora il cuoio. In moltissimi borghi c’è uno<br />

spiazzo centrale ampio, un po’ rettangolare, magari qui si affaccia la scuola o la caserma<br />

o il posto di polizia, oppure c’è il campo di calcio. Comunque rappresenta uno spazio<br />

razionalizzato, con edifici moderni. Nei villaggi nulla di tutto ciò. In un villaggio vediamo<br />

che si stanno preparando a una fiesta, ci sono coppie di tori sui tetti, nastri colorati che<br />

uniscono tetti, o pali, o che pendono da pali inghirlandati, con girandole colorate. Alcuni<br />

abitanti stanno convergendo dove si fa un falò, qui le donne hanno giacche “da uomo”. Più<br />

in là incrociamo un ranchero con chitarra che sta recandosi al villaggio per la fiesta.<br />

Ci fermiamo per uno spuntino nel paese di Chumbas a circa 1800/2000 metri. Sostiamo al<br />

“restaurant bodega Doña Paquita”, ma non c’è nessuno, chiediamo, ci indicano dove<br />

potrebbe essere, ci sono alcune donne chiediamo loro, la chiamano, intanto entro e mi<br />

pare un posto accettabile, un negozio emporio di generi vari, con un paio di tavoli. Ma la<br />

signora dice che non ha tempo (o voglia), di andare più avanti che c’è un altro comedòr.<br />

Qui più avanti c’è una fermata delle corriere, e proprio adesso scende tutto un pullman<br />

davanti a un comedòr per pranzare, scorgo tra la folla un giovane europeo con<br />

l’abbigliamento e la capigliatura che solo un viaggiatore, e di quell’età, può avere, per un<br />

istante si incrociano gli sguardi, scocca un’intesa, ci siamo riconosciuti a vicenda;<br />

comunicazione avvenuta. Chiediamo se c’è un altro posto per mangiare, perchè qui si è<br />

creata troppa confusione proprio adesso, e ci indicano più giù dopo lo spiazzo. Ci<br />

fermiamo in una trattoria che subito ci piace. E’ incredibile come in tutta quella polvere,<br />

con i pavimenti di terra battuta eccetera riescano ad essere puliti e ordinati. Richiediamo il<br />

pranzo, mentre alcuni altri già stanno mangiando degli appetitosi piatti. Vado in “bagno”, un<br />

semplice bugliolo, ma con accanto un lavandino per lavarsi le mani con un piccolo<br />

saponino. Passo a dare un’occhiata alla cucina dove una giovane signora sta indaffarata<br />

ma tranquilla cucinando in un ambiente poco illuminato da un buco sul soffitto, e con le sue<br />

povere attrezzature, ma tutto è ordinato e pulito nella misura del possibile per quel<br />

contesto. Ordino una tortilla di verdure cotte e riso bianco. Da bere una minerale, e poi un<br />

mate de coca. Mangiamo e chiacchieriamo, vado a fare un giretto e mi assaporo tutta la


calma (il pullman è già ripartito) del paesino, con il suo carretto-negozio, il chancho che se<br />

ne va in giro a fare lo spazzino, lo spiazzo dove forse fanno il mercato settimanale, e più<br />

giù una coltivazione, forse, di tantissimi cactus credo da fichi d’india. L’aria è tersa da<br />

montagna, pulita, fine, il sole forte ma non eccessivo, c’è una leggera brezza, tanto<br />

silenzio. Mi fermerei qui se non dovessimo arrivare prima del buio il più avanti possibile.<br />

Chiedo il conto che, se ben ricordo è sui 13,50 soles per tre (poco più di tre €uro), e<br />

scambiamo quattro parole con la giovane signora, molto piacevole, sorridente, con gli<br />

occhi luminosi, che ci chiede da dove veniamo (sa cos’è l’Italia!) e cosa vogliamo visitare,<br />

ci da consigli, parla di quanto la incuriosirebbe viaggiare, e dimostra di sapere tante cose,<br />

è sveglia, intelligente, pronta. Un vero piacere, “desculpen las charlas, Os hé hecho gastar<br />

tiempo” “nos hemos quedado a hablar con Usted con mucho gusto”, mi scusino le<br />

chiacchiere Vi ho fatto perder tempo, no ci siamo intrattenuti a parlare con lei con molto<br />

piacere.<br />

Di nuovo attraversiamo i panorami mozzafiato degli altopiani andini, con stagni, capanne,<br />

vasti pascoli con mandriani a cavallo, mi viene in mente il film di Kurosawa sulla Siberia<br />

“Dersù Uzalà”. Valli disabitate nel senso che sono anche senza animali, altipiani tipo certe<br />

foto sulla steppa della Mongolia. Certe visioni varrebbero già da sole il viaggio<br />

dall’Europa.<br />

Facciamo sosta a un grifo (benzinaio) senza pompa in un paesino dove c’è mercato. Sono<br />

cose di scadente qualità fatte in serie, bruttine. C’è una sezione escolar perchè tra poco, o<br />

in questi giorni inizia la scuola. Avevamo pensato di fermarci a Chincheras perchè nella<br />

cartina sembrava un centro importante, ma non c’è nulla ed è proprio squallida. Poi<br />

finalmente, dopo che abbiamo continuato a rinviare la meta, arriviamo alla città di<br />

Andahuaylas che è già sera tardi. <strong>Viaggio</strong> questo veramente stancante, anche se ci ha<br />

regalato paesaggi stupendi e interessantissimi passaggi attraverso villaggi e paesi di<br />

campagna ancora tradizionali.<br />

Questa volta vorremmo non spendere tanto per alloggiare in tre, visto che a Ayacucho<br />

abbiamo speso “non poco” per Lino, e allora individuiamo un albergo più “semplice”,<br />

anche questo in centro. E’ veramente squallidone, tutte le stanze danno sul cortile centrale<br />

e comunicano con un ballatoio per due piani. Ma sono tutte vicinissime e piccole, e i muri<br />

sono di cartongesso. E dentro non c’è null’altro che due brande di legno su un pavimento<br />

di legno, con tante coperte di lana, non un armadietto, o almeno una mensola. Sembra un<br />

rifugio montano, ma brutto. Il bagno in camera (Lino prende una camera singola senza<br />

bagno) è mezzo allagato, come sciaquone per il water c’è un bidone con lattina-mestolo.<br />

L’acqua del lavandino va sul pavimento di linoleum. Vabbé, per una notte sola. Ma<br />

l’indomani avremo strani pruriti <strong>sulle</strong> gambe...<br />

Usciamo, c’è un mercatino squallido, anche qui con sezione scuola, dove compro una<br />

sciarpa di alpaca a due soles (=50 €urocents). Su un muro c’è un cartellone con la foto e le<br />

parole di un maestro popolare famoso in Perù, che incitava ad essere disinteressati<br />

nell’intraprendere la professione magistrale, e ad immedesimarsi in essa considerandola<br />

come una vera e propria “missione laica”.<br />

Poi andiamo a mangiare in un posto squallido dove ci fraintendiamo e ci portano la<br />

comida corrida, il menù fisso completo, primo una minestra in brodo che assaggiamo<br />

appena e piantiamo lì visto l’odore e il sapore, una insalatina mista di verdure crude che<br />

restituiamo non fidandoci di come han lavato le verdure (abbiamo visto la “cucina”), un<br />

quarto di pollo allo spiedo con patate fritte, cocacola e birra, sei soles a testa (=1 €uro e<br />

mezzo). Ci alziamo per tornare esausti in albergo, ma si mette a iniziare proprio allora il<br />

Diluvio Universale. Aspettiamo, il vento fa sbattere continuamente la porta ed entra vento<br />

gelido. C’è una famigliola che è eccitatissima per essere uscita al ristorante, sono tutti<br />

bruttini anche la bimba. Infine diminuisce l’intensità degli scrosci e usciamo, prendiamo al


volo un taxi che passava per la via buia e andiamo in albergo. All’ingresso c’era Lino che<br />

non riusciva a dormire, chiacchieriamo un po’ con il tizio dell’albergo, mentre il suo giovane<br />

aiutante dorme nel retro del gabbiotto di vetri del banco. Al giro delle scale c’è un vecchio<br />

condor imbalsamato, impolverato. Andiamo nella cuccia a dormire, cercando di non<br />

badare al chiacchiericcio di quelli che sono qui per il mercatino, o perchè hanno messo<br />

delle bancarelle, e che parlano dei loro affari. Resterà comunque indimenticabile<br />

Andahuaylas, buco oscuro dell’ambizione delle cittadine di provincia ad intraprendere la via<br />

della modernità perdendo ogni identità e restando povere.<br />

viernes 16 de avril<br />

Ci alziamo alle 6 e partiamo subito dopo aver pagato i 35 soles per tre letti (= 8 €uro e<br />

mezzo). E’ quasi tutto chiuso, ma c’è il sole, facciamo colazione in una fornitissima<br />

pasticceria dove mangiamo ottime brioches e paste, caffelatte come si deve<br />

superabbondante, e chiacchieriamo con il padrone che ritiene di essere forse di lontane<br />

origini italiane, molto gentile e cordiale. Comunque, nonostante una piacevole canzone<br />

della brava Roxana Gutierrez che sospira per un bell’Andahuaylino, noi non ne abbiamo<br />

visti proprio, e lasciamo volentieri questa città, che non conserva nemmeno un ricordo<br />

degli antichi Andahuaylas, prospera popolazione autoctona pre-incaica. Partiamo alla<br />

ricerca assurda di benzina andando prima di qua e poi di là. Finalmente in un paesello fuori<br />

città, su in alto, troveremo il grifo Gavilàn (=gabbiano), ed effettivamente e stranamente ci<br />

sono dei gabbiani...! La gasolina, lasciata la costa, è sempre solo ad 84 ottani, e Lino fa<br />

soltanto 50 soles -come già ieri- nella speranza di trovare poi un distributore almeno a 90<br />

ottani.<br />

Al mattino presto tutti gli scolaretti lindi e pettinati vanno a piedi verso qualche scuola. Ieri<br />

avevamo visto, invece quelli più grandi che ritornavano alla sera da un collegio<br />

secondario, che poi abbiamo visto ed era lontanissimo per andarci a piedi, avendo la<br />

fortuna di fare almeno il rientro in discesa (!).<br />

Gli andini generalmente sono gente piccola, e nelle disperate periferie cittadine sono pure<br />

magrissssimi.<br />

Lo Stato fa mettere delle latrine a ogni famiglia, e quindi qui il paesaggio nei villaggi è<br />

costellato di cabine di lamiera dipinta di verde con tettuccio a fianco di ogni casettacapanna.<br />

Qui campeggia una grande scritta che avevo già visto su alcuni camiones “La ùnica<br />

esperanza es Jesùs”, nonostante lo sforzo di modernizzazione in atto che al di là della<br />

corruzione dei vari politici sembra essere un obiettivo perseguito da ogni governo, entro i<br />

limiti dei suoi interessi.<br />

Passando dentro ad un paesotto nello spiazzo centrale dobbiamo fendere una massa<br />

compatta, ci sono decine e decine di donne che attendono di poter salire su alcuni<br />

camiones che le prendono su per portarle negli impervi luoghi <strong>sulle</strong> alture dove impiegarle<br />

per la cosecha, per il raccolto delle patate o d’altro. Ci guardano alcune imbronciate, altre<br />

sorridenti, altre indifferenti, alcune rispondono al saluto. Sarebbero tutte da fotografare<br />

tanto son belle, con i loro cappelli da uomo, con i colori che hanno indosso, per i loro volti,<br />

per gli sguardi, per la estrema semplicità della scena e dell’atmosfera che avvolge questa<br />

scena mattutina di montagna.<br />

Guardo fuori dal finestrino come forse una volta facevano dalle carrozze. In effetti<br />

siccome andiamo al massimo a 20/30 kmh, probabilmente andiamo alla stessa velocità a<br />

cui viaggiavano le prime auto che fecero questi percorsi, e forse anche i primi viaggiatori a<br />

cavallo; dunque qui contrariamente a quello su cui ragionava Freire, e che poi insegnava<br />

don Milani, non è cambiato gran ché il rapporto distanza - mezzo - tempo. Cioè le nuove<br />

tecnologie non bastano a fare la differenza se non sono accompagnate da un migliora-


mento delle infrastrutture (in questo caso la rete viaria asfaltata). In definitiva faremo<br />

Pisco-Cusco, cioè una distanza di circa 600/650 kilometri, in quasi trenta ore di guida.<br />

Bisogna dire che facendo continuamente su e giù a questa andatura, si può ben constatare<br />

come vi siano veri e propri Mondi separati, altri universi geografici, etnici, di civiltà<br />

materiali, di tempi storici differenti, che si alternano. Altri Mondi disposti a strisce<br />

orizzontali parallele, che vivono in dimensioni proprie. Un conto sono quelli giù in fondo<br />

valle al caldo umido, vestiti di cotone bianco, con il loro machete in mano, in mezzo ai<br />

bananeti e ai mosquitos; altro sono quelli delle cittadine con le loro ambizioni di esser<br />

vestiti come nei rotocalchi, con abiti moderni sintetici, ma che nelle periferie di bidonvilles<br />

senza servizi igienici, nella polvere e nei fumi degli scappamenti dei camion, sono solo<br />

sporchi e poveri e senza lavoro, con il golf bucato e i pantaloni jeans consunti e macchiati;<br />

un conto sono i contadini dei paesi di montagna, con le loro attività agricole, i lavori di<br />

intreccio della paglia, con le stuoie furi dalla porta con stesi i vari semi ad essiccare al<br />

sole, le pannocchie accatastate in casa; o più in alto i montanari con i loro costumi, i<br />

pastori con le greggi o più su i vaccari o gli alpaqueros con le mandrie, i loro ritmi di vita<br />

tradizionali, la povertà dignitosa di chi ha sempre vissuto col poco che poteva ricavare<br />

dalla terra o dagli animali; sono mondi che non si intersecano senza contatto gli uni con gli<br />

altri, che vivono in dimensioni differenti, e in climi sia metereologici che ambientali e<br />

culturali diversi. E li ripassi tutti, ogni volta che vai su per poi tornar giù e riandar su, perchè<br />

così sono le strade sterrate che attraversano le cordigliere: su e giù.<br />

Qui accanto a noi ora osservo dal finestrino una donna abbarbicata al suo uomo su una<br />

vecchissima moto, che vanno verso un altro villaggio distante. Sui pendii dall’altra parte (le<br />

valli a volte sono proprio strette) i campicelli di patate o d’altro, sono isolati qua e là in<br />

pendenze ripidissime; come faranno a raggiungerli, coltivarli, e poi raccogliere e portare il<br />

raccolto a casa o al mercato ?<br />

Il pensiero mi va al padre di mio nonno a Caravaggio sui monti dietro a Bergamo, con la<br />

sua famigliola di una dozzina o più figli. A mio nonno al compimento dei 12 anni dissero<br />

ecco prendi due soldini, qualche indumento e va a Milano, vedrai che là troverai di meglio<br />

per vivere, e lui si incamminò a piedi. Poi trovato per fortuna un posto come garzone<br />

presso una bottega di marmorino, chiamò il fratello maggiore che era falegname. E’ più o<br />

meno a quei tempi che nelle nostre campagne si viveva come ora mi pare vivano qui,<br />

almeno per l’aspetto materiale, senza attrezzi moderni, senza “comfort” abitativi, senza<br />

molta igiene, secondo le usanze e i mestieri tradizionali, in una dimensione un po’<br />

comunitaria del villaggio isolato, in cui la penuria e la povertà estrema era condizione<br />

normale di vita.<br />

Da un cartello che lo annuncia, si capisce che in uno spiazzo di un paese una agenzia di<br />

aiuti internazionali al Terzo Mondo ha costruito un lavatoio pubblico. In un altro paese<br />

invece una organizzazione chiamata “Inter-Vida” ha portato l’acqua potabile. Lungo la<br />

stada su un pendio scosceso in una zona totalmente disabitata vediamo come un piccolo<br />

cantiere, una capanna di paglia per il muratore, un cavallo per i suoi spostamenti, e sta<br />

costruendo una casetta in muratura per una singola famiglia, per conto di un’altra agenzia<br />

internazionale.<br />

La strada segue pedissequamente la conformazione orografica, essendoci pochissimi<br />

ponti, si percorre tutta una valle dal versante di qua e poi si ripercorre dal versante di là,<br />

per cui per procedere di non molte centinaia di metri si fanno lunghi percorsi. Ci sono tratti<br />

di strada bianca, o rossa, o giallina, strade strette, più larghe, polverose o sassose. I tetti<br />

delle capanne sono di paglia a ciuffi oppure sopra la paglia ci mettono la terra e ci cresce il<br />

prato. Non fanno mantenimento della casa, perchè ci stanno dentro poco, quasi solo la<br />

notte, per cui è solo un riparo alle intemperie, quando è vecchia e crolla la lasciano così<br />

diroccata e ne fanno un’altra più in là. Solamente nelle parti basse dei valloni, dove fa


caldo, ho visto curare l’estetica delle abitazioni, con disegni geometrici sui muri, o<br />

decorazioni. Qui su siamo ancora in piena presenza di una economia di cacciatoriraccoglitori;<br />

è appena ora agli albori un processo di modernizzazione (e di ingresso di una<br />

economia monetaria).<br />

Anche Lino però non sa a volte rispondere bene a certe nostre curiosità e domande del<br />

tipo “che cos’è questo?”, “cosa significa questa cosa?”, “che cosa intendi esattamente<br />

quando dici questo?” e così via. Spesso si crea un equivoco e c’è sfasatura di contenuti<br />

tra domanda e risposta. Ugualmente accade certe volte, mi pare, quando chiede qualcosa<br />

ai locali; deve sempre ripetere la domanda, anche tre volte. In certi casi la gente da tutto<br />

per scontato, altre volte sembra che non siano abituati a ricevere queste domande, altre<br />

volte forse la difficoltà nel rispondere sta nella scarsa dimistichezza con la lingua spagnola<br />

che magari hanno studiato a scuola in quelle classi elementari che possono aver<br />

frequentato da piccoli, oppure il loro vocabolario spagnolo è limitato a ciò che è utile e<br />

funzionale ad es al mercato, per i contatti commerciali, ma non sanno altro. Scendo per<br />

fare una foto in un villaggio, e poi mi accorgo che da lontano uno ha sollevato in alto il suo<br />

bimbo piccolo per mostrarmelo con orgoglio.<br />

Di solito i piccoli se li portano con sè ovunque vadano e qualsiasi cosa stiano facendo.<br />

Quando sono più cresciuti e sanno camminare bene, di solito li affidano a qualche familare<br />

o fratello, sorella più grandini, e li lasciano al villaggio. (Mi tornano alla mente certi viaggi<br />

che da piccolo facevo con mio padre che come medico legale andava in certi paesini per<br />

farsi spiegare come erano andati i fatti ad es relativi ad un incidente, e mi portava con sè.<br />

Ma anche poi ai viaggi che facevamo tutti e tre sulla Lambretta, o poi con la Topolinogiardiniera<br />

in Maremma o nel sud-Italia).<br />

Il kilometro come unità di misura delle distanze qui non significa proprio niente, e infatti ben<br />

pochi sanno rispondere dicendo la distanza in kilometri. Una distanza va commisurata al<br />

tempo. Va misurata in tempo di cammino, o di torpedone, o di camioneta; e varia da<br />

luogo a luogo, a seconda della orografia, delle condizioni della strada, degli intralci dati da<br />

attraversamento frequente di bestiame, o altri fattori, come quelli metereologici, o ad es.<br />

se si sale molto in alto. Da Andahuaylas ad Abancay sono 140 km circa e ci mettiamo 4<br />

ore e mezza, perchè ad es appunto superiamo un passo oltre i 4000 metri con cattive<br />

condizioni atmosferiche, e la situazione del fondo stradale lo rende scivoloso e conviene<br />

andare molto piano.<br />

Visti da lontano i ghiacciai perenni Nevado di Sacsarayoc (circa seimila m.) e Nevado<br />

Salkantay (6271 m.), hanno tutto l’aspetto e l’imponenza di dei immortali. A sinistra c’è il<br />

Santuario naturale di Ampay con i suoi laghetti.<br />

Ma ora finalmente con una lunghissima discesa su stradone polveroso bianco, giungiamo<br />

nella moderna città di Abancay , capoluogo del dipartimento dell’Apurìmac. Qui però i<br />

tricicli-taxi sono a pedale. Ci fermiamo a mangiare in una chifa cioè in una trattoria cinese,<br />

qui c’è appunto una folta comunità radunata nel bàrrio chino, il quartiere cinese. Mangiamo<br />

un po’ diverso dal solito a 28.75 soles, 7€ per tre. Ripartiamo perchè il nostro obiettivo,<br />

che già abbiamo mancato a Andahuaylas era di trovare un accesso per raggiungere per<br />

via fluviale la zona di Espiritu Pampa. Ma quando abbiamo attraversato il rio Pampaconas<br />

era troppo forte la corrente e infatti non c’era nessuna imbarcazione, da Andahuaylas non<br />

abbiamo capito come raggiungere la confluenza del Pampas nel rio Apurìmac dove forse<br />

avrebbe potuto esserci un imbarcadero, e ora dopo Abancay la autopista per Cusco<br />

finalmente asfaltata dovrà attraversare con un ponte l’Apurìmac. Ma prima bisognerà di<br />

nuovo salire e poi si riscenderà.<br />

E dunque qui inizia un nuovo capitolo perchè dopo un po’ raggiungiamo una località dove<br />

c’è un importantissimo sito archeologico. D’ora in poi infatti oltre all’aspetto paesaggistico,


naturalistico, antropologico, folklorico, si aggiungerà spesso tra gli interessi del viaggio<br />

anche l’aspetto di àmbito storico e archeologico.<br />

Dopo il passo a quattromila metri, con il mirador a Socclaccasa, facciamo dunque una<br />

piccola deviazione per visitare il sito di Saywite a 3500m. Anche qui constatiamo che la<br />

grafia nel riportare le denominazioni di siti antichi, o in quechua, è estremamente variabile.<br />

Probabilmente prima del 1975, quando il quechua (prima scritto Kechua)fu riconosciuto<br />

come lingua nazionale, si traslitteravano i termini in modo differente. Quindi si può trovare<br />

scritto Saihuite o Saywite, Huari o Wary; ora giustamente si distingue tra la q e la k, o h o<br />

jota, o doppia c, tra i e y.<br />

In un prato vicino a un bosco c’è uno sdraiato per terra che dorme e che sentendoci<br />

arrivare si va a sedere un po’ più su, è il guardiano del sito. Ci chiede una cifra<br />

spropositata per la visita, 20 soles per due biglietti (Lino non pagherà mai in tutti i siti che<br />

visiteremo), biglietti che comunque dice che ha terminato. Dunque vediamo questo che si<br />

rivela essere un grande complesso archeologico. L’attrazione maggiore è quella che si<br />

vede subito comunque anche senza fare il biglietto, cioè il grande monilite nero. E’ alto due<br />

metri e mezzo con un diametro di quattro metri. Si tratta di una sorta di uovo di varie<br />

tonnellate “tagliato” a metà. Il guardia dice che le figure scolpite sulla superficie superiore<br />

dell’uovo rappresentano una mappa geografica di tutto l’impero degli Incas. Si individua<br />

più in là una reggia con il trono, rivolto al sorgere del sole, fontane e canali digradanti, poi<br />

un altare per lo sposalizio con gli spiriti degli antepassati, e in fondo all’avvallamento una<br />

piattaforma per il culto al sole e alla luna, e infine poco discosto un cosiddetto “orologio”<br />

astronomico in pietra. Il guardia si scusa prima di iniziare ma dice che lui deve dire il suo<br />

discorsetto, perchè è il suo dovere (?). E così inizia e il discorso è tutto intessuto di finte<br />

domande retoriche che si autopone per poi fare una breve sospensione e dare la risposta.<br />

Parla piano, un po’ sottovoce. E’ interessante ma non convince del tutto. a parte il fatto<br />

che dice che gli archeologi hanno identificato in quei tempietti in alto Machu Picchu, che<br />

invece sino al 1911 quando la scoprì Hiram Bingham, nessuno né gli spagnoli, né poi gli<br />

storici americani o europei, aveva mai saputo che esistesse, e in quelli in basso<br />

Choquequirao, scoperta più di recente. A un certo punto mi scuso ma gli chiedo se c’è un<br />

bagno, e mi dice di seguire un po’ il costado e poi entrare nel bosquecito. Dopo ci porta in<br />

una casetta un po’ diroccata, dove sta lui, è come un micro museino con un vecchio<br />

pannello esplicativo mal fatto, e delle piccole vetrinette polverose all’ombra, con qualche<br />

coccio. Non ci sono non dico libri o una guida, ma nemmeno dépliants, opuscoletti,<br />

foglietti ciclostilati, con dei dati su Saywite, nè alcunchè in vendita. Non resta dunque che<br />

accontentarsi del suo discorsetto. Non si capisce cosa ci abbia portato qui a fare nella<br />

casetta.<br />

Ritornando al monolite scolpito, mi pare limitativo dire che è una carta geografica dei<br />

domini inca, mi pare che sia molto di più. Gli Inca chiamavano il loro impero universale,<br />

cioè lo denominavano con il termine Tawantinsuyo, perchè dicevano che si estendeva sui<br />

quattro angoli del Mondo, o ai Quattro Punti Cardinali (e il Cuzco era l’Ombelico del<br />

Mondo). Quindi le raffigurazioni di templi, scalinate, canali, corredate da sculture di animali,<br />

sono “semplicemente” simboliche. Sarebbe altrimenti curioso che per identificare certi<br />

luoghi geografici le figure fossero solo zoomorfe anzichè rappresentare popolazioni o tipi<br />

umani (c’è la Selva, la Sierra, la campagna e la Costa) I simboli appunto sono il puma, il<br />

giaguaro, la rana, il serpente cobra, la scimmia, il llama decapitato per sacrificio rituale, il<br />

gamberone, un uccello. Anche le città sono due: la alta e la bassa. E c’è pure il simbolo<br />

religioso degli Inca, che poi è stato chiamato la croce andina, ma che si riferisce piuttosto<br />

alla costellazione della stella del sud, ad una scala di gradini ascendenti e discendenti, cui<br />

sono attribuiti vari significati. La strada forse è quella che univa Espiritu Pampa e<br />

Vilcabamba, a Choquequirao, a Machu Picchu e poi terminava a Saywite, ma più


probabilmente è il percoso che unisce tutte le quattro rotte del Mondo (altra traduzione di<br />

Tawantinsuyo). Così come i vari rìos confluiscono nel grande mare che è l’oceano<br />

pacifico che contorna e racchiude tutte le terre. Insomma essendo questo sito un<br />

complesso cultuale e rituale di carattere religioso, sacrale e insieme regale, il monolite di<br />

Saywite rappresenta simbolicamente il Cosmo tutto, la Grande Madre che è il Mondo con<br />

le forme di vita che ha generato. Da quella selvaggia a quella civile, da quella che ha come<br />

sua virtù la saggezza a quella che possiede l’energia e la potenza, dallo strisciante al<br />

volatile, eccetera. Ma si sentirebbe appunto la necessità di un opuscolo, un librino che<br />

riportasse le ipotesi degli studiosi che a questo sito si sono dedicati...Ma queste carenze<br />

purtroppo le sentiremo poi anche in varie altre località archeologiche.<br />

Scendiamo poi a Curahuasi tra i campi di anìs (=anice) di cui questa area è capitale<br />

mondiale, perchè questa varietà di piantina di un verdino chiarissimo, i cui semi sono tanto<br />

apprezzati, cresce solo a questa altitudine (tra i 3000 e i 3500 m.) e preferibilmente in un<br />

terreno con questa composizione minerale. Proseguiamo e dopo il passo di Huamànmayo<br />

scendiamo al ponte di Cùnyac a 1900 m.; risulta chiaro che <strong>sulle</strong> acque dell’Apurimac qui<br />

non si può andare. Entriamo nel dipartimento del Cusco. Penseremo se e come andare ad<br />

Espiritu Pampa, eventualmente da Vilcabamba, o se rinunciare e cambiare programma.<br />

Le rovine di Tarawasi sono vicine a LimaTambo attraverso cui passiamo, ma oramai è<br />

tardi e non ci andiamo. Scendiamo verso Izcuchaca tra gli alberi “Pisonay”. Ci sono<br />

spesso dei badén (=guadi), dunque anche la bella strada asfaltata viene ogni tanto<br />

letteralmente spazzata via da torrenti impetuosi che si ingrossano d’improvviso e la<br />

invadono. Si prosegue tra paeselli con vecchie o anche vecchissime scritte elettorali.<br />

Questa, mista quechua-spagnolo ad esempio c’è di frequente: “Llapanchìk marquen asì”<br />

(=fate tutti quanti il segno così”). Poi c’è spesso una scritta che ricorda o inneggia a<br />

Pachakuteq, un importante Inca dell’inizio del 1400 (forse fu preso come simbolo elettorale<br />

di un partito locale). La pista dunque è ben asfaltata ma ugualmente, soprattutto a<br />

quest’ora tarda, l’intralcio è dato da animali che non solo attraversano, ma che passano, la<br />

percorrono, stazionano, lungo e sopra la strada. I chanchos sono spesso legati sul bordo<br />

stradale, ma si slegano, oppure i proprietari se li vengono a riprendere e li portano al<br />

guinzaglio verso casa camminando sulla strada. Se no ci sono mucche e pecore. Ma<br />

infine eccoci per le 18 a Cusco (siamo partiti stamane alle 8).<br />

Eccoci dunque in quella che, venendo da 30 ore di auto a 35Km all’ora attraverso le<br />

campagne, i villaggi montani, le zone agricole o di pastorizia, ci appare insomma come<br />

una metropoli moderna, la grande capitale delle <strong>Ande</strong>, l’antica capitale inca (in quechua<br />

significa centro, ombelico)e inizialmente anche del vicereame spagnolo, a 3.400 metri di<br />

altitudine. L’impatto col casco antiguo è strabiliante. Tutto ben illuminato e valorizzato al<br />

massimo dello splendore! Imponenti le chiese con una architettura barocca coloniale tutta<br />

sul marrone scuro e il bianco. Poi le vedremo dentro, cariche d’oro e di specchi, e di<br />

affreschi. Attraversiamo varie piazze con fontane, alberoni secolari, a volte le mura di<br />

base sono incaiche. Impressiona nella plaza de armas la chiesa dei gesuiti con accanto la<br />

casa dell’Inquisizione.<br />

Ci sistemiamo all’Hostal Incawasi, 23 dollari per una doppia con bagno proprio nella<br />

grande piazza centrale. D’altronde i prezzi qui sono superiori che in altre località andine<br />

perchè questo è il centro principale del turismo internazionale che viene in Perù. Lino<br />

cercherà un alberghetto che abbia una cochera, e lo troverà poco più in là della piazza a<br />

35 soles (8€), e se ne andrà a mangiare il solito mezzo pollo alla brace al comedor “Los<br />

Angeles - pollos y parilladas” per due €uro. Mentre noi andiamo a spasso, e poi<br />

cercheremo un buon ristorante piacevole e rilassante, per festeggiare il compimento di<br />

questa prima “tappa” del nostro viaggio. Stupendo ristorante in un edificio coloniale con gli<br />

interni in legno, mangiamo alla bow-window che da proprio sulla piazza illuminata, una


cena come si deve, 70 soles (16/17 €), pensavamo molto di più, dato il posto, il servizio, e<br />

dato che siamo a Cusco. Al mercato ufficiale della associazione degli artigiani del Cusco<br />

che sta dentro la chiesa gesuitica, ci sono tantissime belle cose, fatte bene e con gusto.<br />

Compro una casaca per 70 soles che è stupenda, contratto un po’ ma poco perchè la<br />

signora mi sussurra piano che in questo momento ha tanti problemi, le chiedo della sua<br />

famiglia, è molto contenta e mi racconta un po’, la ascolto con interesse. Poi mi dice ti<br />

faccio uno sconto ma, e mi sorride abbassando la voce e gli occhi, tu torna domani per<br />

prendere qualcos’altro per favore, e rialzandosi mi aggiunge con serietà: hai visto come<br />

lavoriamo bene, e qui la qualità è garantita. Va bene senz’altro, e le dico “Que Diòs<br />

bendiga su familia y que todo pueda pasarle bién”, mi prende con le due mani la mia con<br />

gratitudine. Mi commuovo. Forse non molti turisti le hanno dedicato del tempo.<br />

Torniamo e incontriamo Lino che ci aspettava davanti all’albergo, combiniamo per<br />

domattina alle sette in un piacevole e semplice bar dove si può fare el desayuno, per poi<br />

ripartire in direzione della valle di Vilcabamba.<br />

La notte è rovinata da una compagnia di ragazzini e ragazzine inglesi che festeggiano<br />

l’ultima sera bevendo birra, cantando, e parlando a voce alta, escono poi tornano, è un<br />

tormento, una violenza verso tutti gli altri clienti, finalmente la masnada di questi irruenti<br />

menefreghisti cafoni egocentrici va verso l’uscita, alle quattro e mezza partono per<br />

l’areoporto, ma, oddio, dopo c’è una che piange e si dispera e un’altra la consola...poi per<br />

fortuna anche queste crollano addormentate per eccesso di birra.<br />

Sabado 17 de avril<br />

Ci alziamo alle sei, vado a fare un giretto e vado a comprare un chaleco (=giubbotto)<br />

rosso per 35 soles, poi facciamo una bella colazione con caffelatte come si deve e ottime<br />

brioches, succo d’arancia, burro e marmellatina fatta in casa.<br />

Ben va con Lino per sistemare diversamente i bagagli. Chiacchiero con la vicina di tavolo,<br />

che mi dice essere una antropologa americana, sulla possibile interpretazione dei rilievi<br />

scolpiti sul monolite di Saywite, poi mi congeda perchè stava scrivendo, ma comunque<br />

anch’io dovevo andare. Facciamo gasolina dopo le solite ricerche di un grifo con gas da<br />

90, che ci svelano anche qui una periferia scassata e allo sfascio, e partiamo.<br />

Ritorniamo a Izcuchaca giriamo a destra verso Pucyura, costeggiamo la Laguna (=lago)<br />

Huaypo, si favoleggia che qui (o nel vicino lago Piuray) gli incas abbiano gettato i<br />

manufatti d’oro che volevano mettere in salvo. Il lago non è utilizzato <strong>sulle</strong> rive, anche se<br />

potrebbe essere una bella attrazione turistica, comunque non ci sono nè case nè barche<br />

da pesca. Nella campagna nella conca vicino al Cuzco avevamo visto per la prima volta un<br />

trattore. Ora qui vediamo donne che da tutte le parti stanno venendo giù per il mercato,<br />

con abiti di colori e di decori differenti; vedo per la prima volta una con il suo cappellino a<br />

disco piatto. Diverse donne hanno invece una specie di cappello a cilindro bianco.<br />

Andando a Urubamba si vedono anche terrazzamenti incaici sui pendii. Sullo sfondo alti<br />

picchi, come il Chicòn, e forse il Pumahuanja, ma le nuvole presto li coprono. Passiamo un<br />

ponte (il fiume qui si chiama Urubamba ma più su è chiamato Vilcanota, o Wilcamayu)e<br />

entriamo nella cittadina. Molta confusione in questo piccolo centro, camion, grandi trucks,<br />

corriere, taxi, gente, polvere. Proseguendo, dopo un paio di ponti la pista asfaltata finisce<br />

a Ollantaytambo, la nostra meta per oggi. Tambo ai tempi degli incas era un fortilizio, un<br />

caravanserraglio, cioè un posto di sosta, ma anche un magazzino, un castello, una<br />

postazione di frontiera. Qui Pizarro subì una inattesa sconfitta.<br />

Ed eccoci (questa volta addirittura già prima di pranzo!) a Ollantaytambo dalle possenti<br />

mura. Già da prima di arrivarci grandi mura incaiche sbarrano la valle, qui il mondo del<br />

Valle Sagrado del Cuzco finisce, si chiude. Poi si entra nel paesino montanaro, con i suoi<br />

odori, con i contadini seduti in piazza. Tanti colori, costumi di gruppi diversi. Una donna di


mezza età si sta lavando i lunghi capelli in due catini appoggiati per terra, nonostante l’aria<br />

freddina. Io mi metto la mia casaca nuova di alpaca bella calda. C’è una “vecchia” che sta<br />

seduta filando la lana, mi avvicino con la macchina fotografica e faccio segno che vorrei<br />

farle una foto, ma non mi considera nemmeno; allora mi avvicino e le dico “nonnina vorrei<br />

proprio portarmi a casa una tua foto, non ti dispiace?” mi fa segno che va bene, faccio un<br />

paio di scatti, e poi le dico “aspetta che ti porto qualcosa” vado nel bar dove ho lasciato il<br />

borsello con Ben e le porto dei soldini, solleva la testa e annuisce. Andiamo verso il sito<br />

dove certi stanno montando una bancarella. E poi si volge lo sguardo, e domina e ci<br />

sovrasta il granito grigio dell’enorme terrazzamento del costado del monte. Anche qui non<br />

c’è quasi nessuno (intendo dire che oltre a noi non ci sono altri estranei, o sono assai rari)<br />

e ci si gode ciò che la vista può abbracciare. Pagato il biglietto da sei dollari che vale per<br />

qui, per l’antica Pisaq e per Chinchero, saliamo o meglio scaliamo questi incredibili<br />

gradoni ripidi, e più su iniziano delle mura scure composte da pietroni anzi macigni tutti<br />

ben lievigati e lisciati, incastrati a secco perfettamente uno sull’altro... e poi più su ancora<br />

immensi monoliti di pofido rosa (pietra che non si trova in loco)liscissimi che dovevano<br />

comporre la stanza più sacra del tempio. Mi siedo su un maestoso trono di pietra grigia<br />

ben levigata, forse il trono di Ollantay... Attorno tanti enormi “cubetti del Lego” sparpagliati<br />

a terra; come si potrà mai rimettere su il tutto e ricostruire il puzzle? Poco più in là c’è un<br />

bimbetto tutto vestito con i colori del suo villaggio, mi avvicino, “Puès cuantos añitos<br />

tienes chico?” Mi pare abbia detto 6 con una vocina sottile. “Qué me cuentas?” Allora mi<br />

dice che lui sa cantare un cuento. “de verdad?! y como haces?” e comincia a recitare una<br />

poesiola in quechua con una melodia da cantilena, ma la voce esce appena appena. Alla<br />

fine lo applaudo e gli do una monetina, scappa via. Lì vicino poi vedo che ci sono due o<br />

tre operai del sito archeologico, che vangano e scoprono un po’ di più una pietra interrata,<br />

forse quello è il figlio di uno di loro; scherzano su questi sassi dicendosi, “guarda guarda<br />

cos’ho trovato”. Intanto Ben è tutto intento a disegnare per ritrarre queste stupende<br />

costruzioni e il panorama. Da lassù c’è proprio un bel dislivello a picco sull’altra parte del<br />

paese. Si vede un campo, un orto, laggiù c’è un toro che mugghia. Intanto arriva una guida<br />

con un gruppetto di tre o quattro e dice che guardando là in fondo verso la valle aperta, si<br />

vede la piramide e ne parla. Ma io guardo e non vedo proprio nessuna costruzione.<br />

Continuiamo la visita verso l’altro lato. Sostiamo a lungo in un edificio, Ben fa altri disegni<br />

e io scrivo i miei appunti. Ci arrampichiamo, come formichine cocciute, sbanfando e<br />

facendo prudenti soste, di qua e poi di là, allibiti e senza riuscire in alcun modo a darci<br />

ragione delle tecniche di costruzione. Oltretutto fa rabbia che non si sappia quasi nulla<br />

nemmeno delle reali funzioni cui erano adibiti questi spazi.<br />

I cristianissimi sovrani di Spagna con i loro generalacci dell’esercito, coadiuvati dagli<br />

insaziabili gesuiti con la loro santa inquisizione, non solo hanno soggiogato questi popoli<br />

amerindi, non solo hanno sconfitto ma anche ucciso proditoriamente spudoratamente il<br />

loro grande re contravvenendo alla parola data pubblicamente sul loro stesso onore, ma<br />

non contenti di ciò hanno poi ucciso praticamente tutti i personaggi di rilievo e di cultura,<br />

non solo hanno posto fine all’esistenza di questo Stato e alla sua amministrazione ed<br />

organizzazione, ma hanno abbattuto i palazzi, bruciato i simboli, infine cancellato una<br />

intera civiltà, ma non solo hanno imposto la loro religione come se ciò fosse cosa<br />

concepibile, ma hanno imposto la loro lingua, e quindi come se ciascuna delle cose sopra<br />

ricordate già non potesse bastare da sola, hanno deliberatamente fatto cessare di essere<br />

una cultura. Scomparsi i detentori dei saperi, eliminati col tempo anche i tecnici e gli<br />

artigiani, sono rimasti solo i poveri contadini quechua o aymarà con le loro superstizioni, le<br />

loro favole, le loro credenze, il loro folklore, insomma quel minimo di patrimonio<br />

esclusivamente orale che poteva restare, perpetuando dunque solo le conoscenze di una<br />

subcultura dei ceti subalterni più ignoranti. Che assurda furia devastatrice, oltretutto


controproducente perchè hanno distrutto un paese fiorente che valeva un perù...! Tanto<br />

ora sembra straordinario quel che resta a testimonianza di quella civiltà scomparsa solo<br />

cinque-quattro secoli fa, tanto più quella insaziabile ansia di potenza sembra inconcepibile.<br />

Mi viene in mente la follia di “Aguirre, la furia di Dio”, film di Herzog, ma quello comunque<br />

era l’eroe cristiano civilizzato, e non più il barbaro Attila sceso dalle steppe... Un cavaliere<br />

di Castiglia ne doveva aver uccisi almeno cento in ogni singola battaglia per potersi<br />

fregiare del suo titolo. L’inquisizione di Torquemada, sguinzagliata senza freni, lo<br />

schiavismo, l’idea di esseri umani sub-umani, di un impero satanico da estirpare ad ogni<br />

costo.... e in più ci si misero le epidemie di germi per cui loro non avevano difese<br />

organiche......<br />

Che incontenibile Apocalisse ! (vedi più avanti l’intermezzo 2).<br />

-------------------(intermezzo)<br />

Comunque ora ritorniamo ai resti del sito di OllantayTambo. In uno dei pochissimi testi che riportino qualcosa<br />

della cultura antica, c’è il dramma conservato per via orale relativo ad Ollantay, e che uno spagnolo del<br />

Seicento, Espinoza Medrano, udì, ne fu affascinato e volle mettere per iscritto. In realtà sembra che E.M.<br />

fosse un quechua convertito e divenuto cantore della cattedrale di Cusco. Come si sa il Grande Tempio del<br />

Sole nel Cuzco, fu abbattuto e per spregio e arroganza <strong>sulle</strong> sue fondamenta fu costruita la Chiesa e<br />

convento dei Domenicani, conservando solo la cosiddetta camera dorata, o recinto aureo, il Qorikancha, ma<br />

per edificarvi dentro una sorta di sacrario in cui Francisco Pizarro depose lo stendardo di Carlo V, così<br />

coprendola e occultandola. Nella biblioteca della chiesa dunque era stato depositato il testo del dramma<br />

Ollantay. L’Europa colta venne a conoscenza della sua bellezza letteraria solo quando un certo Pacheco<br />

Zegarra lo tradusse in francese e lo fece stampare a Parigi nel 1878. La sua traduzione poi suscitò molte<br />

critiche e fu quindi edito finalmente il testo spagnolo sempre a Parigi nel 1938 dalla casa editrice<br />

specialistica “Biblioteca de cultura peruana”, e a Cusco dalla “Revista Universitaria” nel 1941. La seconda<br />

guerra mondiale ritardò la diffusione e la valorizzazione di quest’opera, che fu poi riportata in una antologia<br />

pubblicata in Messico da Lara nel 1947. Ma si trattava del testo riscritto nel corso del Settecento da due<br />

scrittori che dichiararono ciascuno che la propria era la vera trascrizione dell’opera. Nel 1950 per un<br />

ennesimo terremoto anche la camera dorata tornò a rivelarsi con i suoi muri assolutamente liscissimi<br />

composti di enormi massi di porfido perfettamente incastonati, dato che assieme a parte del chiostro, erano<br />

crollate le costruzioni sovrapposte al recinto sacro del Qorikancha; e nei lavori di restauro della chiesa e<br />

della adiacente biblioteca venne alla luce una cinquecentina col manoscritto originale del dramma, l’unica<br />

opera drammatica d’epoca incaica giunta sino a noi (!). Queste opere si rappresentavano nelle grandi<br />

spianate come a Sacsayhuamàn o negli anfiteatri come quello di Qenqo, o stando sui terrazzamenti.<br />

Dunque si tramanda che Ollantay fosse un capo valoroso dell’armata incaica, considerato un eroe, e si fosse<br />

innamorato perdutamente della principessa Stella gioiosa (in quechua Cusi collur) figlia del grande Inca<br />

Pachakuteq (o Cusi Yupanqui), che già ho menzionato più sopra. Ma Ollantay confida al suo fedele paggio<br />

Pié Leggero questo segreto sentimento; inquieto per i gravi pericoli cui il suo signore si esporrebbe, il paggio<br />

si consulta col Gran Sacerdote, che subito affronta il generale dicendogli che ha consultato la Luna ed ha<br />

visto cosa c’è nel cuore dell’eroe, e per il suo bene cerca di dissuaderlo. Sconcertato O. risponde che gli è<br />

proprio impossibile smettere di amare. Il Gran Sacerdote lo consiglia allora di manifestare questi suoi<br />

sentimenti all’Inca. Intanto la fanciulla accortasi degli sguardi di O. confida alla madre il suo amore per lui.<br />

Entrato il re si stupisce per le lacrime della figlia, ma deve andare a una riunione con i suoi generali O. e<br />

Occhio di Pietra. Qui chiede loro di sconfiggere i nemici del sud. In privato O. coglie l’occasione per<br />

chiedergli la mano della principessa, Pachakuteq gli ricorda che lui è solo un vassallo. Intanto si viene a<br />

sapere che Stella di Gioia e la madre non si trovano più a palazzo e il re da ordine di ritrovarle e arrestarle.<br />

Giunge un messaggero recando un quipù proviente dalle parti del fiume Wilcamayu. (I messaggi, non<br />

avendo i popoli andini la scrittura, erano codificati in cordicelle intrecciate con nodi, quipù , che solo gli<br />

esperti sapevano interpretare). Occhio di Pietra lo esamina e dice al sovrano che O. è fuggito e si è<br />

rinserrato nel Tambo, o fortezza, in fondo alla valle, insieme ai suoi soldati, e che ha trafugato delle insegne<br />

del potere, proclamandosi capo di tutti i ribelli al re. Pachakuteq lo incarica di debellare l’insubordinazione di<br />

O. Ma Ollantay è un eroe, vicino al popolo, e moltissimi accorrono da lui. Occhio di Pietra sarà sconfitto. Il<br />

dramma poi si sposta nel tempo e nello spazio all’interno del Acllahuasi, “Palazzo delle vergini”. Nel segreto<br />

di questo luogo inaccessibile agli uomini, vive una vergine, di nome Bella, e veniamo a sapere che è la figlia<br />

del rapporto avuto da Stella di Gioia e Ollantay. Poi da un incontro tra Pié Leggero e il Gran Sacerdote<br />

apprendiamo che intanto è morto il vecchio Inca ed è succeduto sul trono Tupac Yupanqui. Occhio di Pietra<br />

d’accordo col nuovo Inca tende un tranello a O. si presenta da lui come fuggiasco dalle torture che ha dovuto<br />

subire per la sconfitta sotto il Tambo, e O. lo accoglie per farlo curare. Intanto Bella viene a sapere che la


madre è nel Palazzo de las Mamacunas (o mujeres escogidas) nascosta in un sotterraneo, la cerca e si<br />

riabbracciano. Il Gran Sacerdote comunica all’Inca che Occhio di Pietra ha fatto prigioniero Ollantay mentre<br />

era in trance per la pozione sacra bevuta durante la cerimonia all’Inti (il dio Sole)e che il Tambo è in fiamme.<br />

Dopo poco giungono i generali, il fedele e il ribelle, e Occhio di Pietra chiede al Gran Sacerdote se Ollantay<br />

non merita forse la morte, ma questi risponde che solo l’Inca può essere clemente. Quindi Ollantay è<br />

perdonato dal sovrano che gli ordina di sposarsi e passare alla vita civile. Ma O. risponde che è già sposato.<br />

Entra Bella che implora la liberazione di sua madre che è chiusa nei sotterranei. Tutti vanno a vedere, e<br />

Tupac Yupanqui la libera e tutto finisce nella gioia generale portata dalla liberazione di Stella della Gioia.<br />

L’Inca ristabilisce O. nella sua posizione di generale presso il forte che d’ora innanzi sarà chiamato<br />

Ollantaytambo e dove vivranno O., S.G., e la vergine Bella. (sunto liberamente tratto da: Louis Baudin,Il<br />

Perù degli Inca, Paris 1955, trad.it. edizioni Il Saggiatore, Milano, 1965.)<br />

-----------------(fine dell’intermezzo)<br />

Passiamo dall’altra parte, dove ci sono altri terrazzamenti grandiosi, e le casette vuote<br />

dove mettevano al sole e al vento le salme dei personaggi importanti. Scesi dal Tambo, ci<br />

sono canali e fontanelle una molto bella in particolare, che è quella dove facevano le<br />

abluzioni purificatorie le principesse. Poi usciamo, c’è una bellissima giovane montanara<br />

con un cappellino colorato a forma di scodella rovesciata, accucciata per terra nella<br />

piazzetta antistante. Mi avvicino, mi guarda ma non chiede nulla, le sorrido e le porgo due<br />

ciambelle di pane comprato ieri, mi guarda contenta, le domando se ha il suo bimbo nel<br />

sacco dietro la sciena mi fa segno di sì, “mi piacerebbe molto poterlo vedere un<br />

momento” allora apre delicatamente pian piano i lembi del fagotto, sorride e mi guarda con<br />

occhi scintillanti, le dico “Diòs mio que tan bonito que es tu niño!”, e si vede che è proprio<br />

felice. Non mi chiede soldi. La saluto e vado, ma sono proprio commosso.<br />

Torniamo nella piazza centrale e chiediamo in un locale dove si fanno polli arrosto se si<br />

può mangiare, ma dice il padrone che non è ancora pronto, di ritornare fra dieci minuti.<br />

Ritorniamo dopo un quarto d’ora circa e già tutti i tavolini sono occupati e il padrone dice<br />

che adesso è troppo tardi, gli ricordiamo che avevamo prenotato, ma dice che quando<br />

avranno servito chi c’è, avranno terminato i polli. Mangiamo da un’altra parte in un localino<br />

messo su bene con gran gusto da chi conosce cosa piace a quelli come noi. E’ rilassante,<br />

dietro dove ci sono i servizi hanno un bel giardinetto. Paghiamo 30 soles per un buon<br />

pranzo completo, e chiediamo se hanno una camera, ma non hanno ancora aperto come<br />

albergo, ci dice di chiedere al dueño (=proprietario) del bar d’angolo in piazza. In effetti lui<br />

ci accompagna in un vicolo di terra retrostante dove c’è il suo nuovo Hostal “La ñusta”, la<br />

vergine, ma anche la principessa. Ci fa vedre la stanza, sobria, pulita, con tre brande di<br />

legno e tante coperte di alpaca, più in là una terrazzina con sedie e tavolini. Di lì si gode un<br />

bel panorama del Tambo, senza dover pagare il biglietto, gli dico; allora mi fa con aria un<br />

po’ misteriosa “da qui si può vedere il llama”, ah sì?, “e il condor”, ma davvero?, “avete<br />

visitato le rovine?” sì, “e non avete visto il volto incoronato di Wiracochan?”, dove?, “e la<br />

piramide?”, no. La conversazione finisce qui. La riferisco a Ben, ma non si capisce bene<br />

che cosa volesse dire, forse che a una certa ora rientrano le greggi, o che <strong>sulle</strong> montagne<br />

circostanti ci sono dei condor? mah. Dopo un po’ torna con un vecchio libro tutto<br />

consumato che è andato a prendere nel suo bar in piazza. E allora ci fa vedere che è un<br />

libro illustrato che spiega i significati che gli incas attribuivano alle loro costruzioni e a certe<br />

parti del paesaggio, e in cui ancora il popolo crede a livello di leggenda. E’<br />

interessantissimo, ci fa una lezione sul mondo mitico incaico che spiega molte cose della<br />

loro mentalità e della loro cultura.<br />

Con quel suo fare dimesso, e dicendo le cose contemporaneamente come fossero ovvie<br />

e come fossero meravigliose, ci porta sul terrazzino e ci mostra che dal Tambo<br />

guardando verso il cerro di fronte si vede chiaramente una conformazione rocciosa<br />

scoplita in modo che appare come il volto incoronato di Wiracochan accigliato che ci tiene<br />

sotto osservazione. Da uno sperone poco più sopra dove forse si intravede la sagoma di


un re incoronato, ma è piuttosto rivolta verso la parte opposta, cioè dove dall’altra parte<br />

ancora della stretta valle c’è una roccia a forma di condor (il messaggero),che da qui<br />

possiamo appena indivinare, da lì viene la luce del sole che colpisce il volto dell’Inca (il<br />

figlio del Sole) e proprio lì spunta ilprimo raggio mattutino il giorno del solstizio d’inverno, il<br />

21 giugno, e questo raggio che nelle brume di quell’ora si staglia in modo che lo si può<br />

proprio distinguere “materialmente”, istantaneamente vola a colpire il punto più sacro del<br />

tempio in porfido rosa che sta sopra il tambo, dove c’è la pietra nera con quella sporgenza<br />

chiamata Intiwatani, cioè il punto dove si coglie il raggio di luce solare, poi subito dopo si<br />

inclina un poco facendo angolo sull’Intiwatani e va ad attraversare la valle aperta dall’altra<br />

parte verso i campi coltivati, proprio dove c’è la parte superiore, o sacrale, della grande<br />

piramide. Ma quale piramide? Lo si vede bene nella foto fatta per illustrare il libro, e poi lo<br />

vedrò chiaramente coi miei occhi l’indomani andando verso quella parte: i campi sono<br />

coltivati in modo tale e con certe coltivazioni, per cui si crea da lontano l’effetto ottico di<br />

una piramide in rilievo a tre dimensioni... Pertanto in quell’istante magico, che appunto<br />

bisogna saper cogliere, si determina una carambola di giochi di luce per cui questo raggio<br />

attraversa tre volte i costados dei monti facendo come una lieve zeta, la sagoma di una<br />

saetta nell’oscurità brumosa ovvero nella tenue prima luminosità diffusa dell’albeggiare !<br />

Sino a quel momento l’ombra fa apparire come chiusi gli occhi del grande Wiracochan,<br />

che con la luce sembra che si aprano e lui si risvegli. L’inviato del dio Wiracocha, cioè<br />

Wiracochan (o Tunupa) è il pellegrino, predicatore della conoscenza.<br />

Ora ci è chiaro cosa vedevano gli inca e il loro popolo con la loro mentalità e la loro<br />

spiritualità tutta immersa e immedesimata nelle forze della madre natura. Ecco perchè il<br />

tempio sta proprio là, e laggiù c’è la grande piramide virtuale, e le dimore dei morti sono<br />

lassù, eccetera. Spettacolo superbo con tutto il popolo riunito in festa, il grande sacerdote<br />

già là sin da quando ancora brillavano le stelle nella notte (e c’era una connessione anche<br />

con le costellazioni poichè nel solstizio d’inverno nel punto in cui sorgerà il sole lì<br />

stazionano nel cielo le Pleiadi), e de repente scocca il raggio primigenio, la luce si può<br />

vedere nell’aria, anche l’aria si può vedere con i fumi e vapori che l’attraversano, il<br />

pulviscolo che in essa nuota, e si realizza la congiunzione dei punti più venerabili della<br />

grande montagna.<br />

Dopo che queste immagini ci hanno lasciato esterefatti, abbiamo scoperto la presenza di<br />

Wiracochan che avevamo pur guardato ma senza vedere, senza avvedercene, immagini<br />

che ci resteranno a lungo nella mente, e a cui ritorneremo più volte col pensiero per<br />

riflettere sul suo senso, el dueño de la ñusta ci parla, ma sempre accennando appena con<br />

quel suo fare dimesso, e dicendo le cose come fossero ovvie, del fatto che tutto il Tambo<br />

sembra un grande llama adagiato al costado del monte, e il tempio del Sole è il suo<br />

occhio, ma anche la cittadina stessa del Tambo di Ollantay ha una sua particolare forma<br />

che si intravede dalla parte alta del Tambo. E’ stata programmata per essere edificata a<br />

forma di pannocchia di maìs. E’ una sorta di trapezio in cui ogni cuadra (cancha) con il suo<br />

cortile, appare dall’alto come un grano, e quindi tutte le stradine sono regolarmente<br />

verticali e orizzontali, incontrandosi ad angolo retto, creando dieci cuadras per cinque. A<br />

fianco scorre il rio, nel perimetro un canale d’acqua corrente, nelle strade “verticali”<br />

maggiori uno scolo fa defluire l’acqua piovana, e nelle minori canaletti derivati portano via<br />

gli scarichi. Poi andremo a passeggiare su e giù per la pannocchia del casco antiguo<br />

(=centro storico), ammirando questa antica programmazione urbanistica di montagna.<br />

Sono affascinato, voglio assolutamente comprare una copia di quel libro. Mi dice di<br />

andare a chiedere in quel ristorantino dove abbiamo mangiato. E’ un testo di Fernando e<br />

di Edgar Elorrieta Salazar, intitolato Cusco y el Valle Sagrado de los Incas, pubblicato<br />

dalle edizioni Tampu di Cusco alla fine dell’anno scorso, anche in traduzione inglese.<br />

Corro fuori e vado a chiedere, ma non ce l’hanno, allora vado nel bar della ñusta in piazza


e chiedo alla giovane se forse ho capito male le parole del dueño, ma lei non sa, chiede,<br />

ma dice che forse nel posto di fianco a quello in cui avete mangiato. Allora torno là ma<br />

nessuno sa di alcun libro, per fortuna arriva una bella giovane signora che è loro parente<br />

che mi fa richiamare, lei lo sa, lo vendono in un negozio che c’è più giù dove c’è lo<br />

spiazzo verso l’ingresso del sito archeologico. “Ah bene allora ci vado”, “no aspetti ora è<br />

chiuso ci vado io che li conosco e poi glielo porto”. “D’accordo la aspetto qui”, “no, no non<br />

si scomodi mi dica dove sta alloggiato e glielo porterò poi io con comodo” “sono all’Hostal<br />

La ñusta nel cuarto (=camera) numero tale, mille grazie”. Così torno in camera e vedo che<br />

Ben è rimasto là nel terrazzino per disegnare il volto di Wiracochan. Torno all’ingresso e<br />

vedo che lei sta arrivando con a mano un bimbetto seguiti da uno stupendo labrador<br />

chiaro. Vado loro incontro ringraziando e mi accuccio a salutare il bellissimo bimbo che è<br />

suo figlio di tre anni. Scherzo un poco con lui e con il cagnone buonissimo che il bimbo<br />

adora. Saliamo per le scale e mentre vado in camera per prendere i soldi contratto un po’<br />

il prezzo del libro, ma lei non è autorizzata a questo, intanto arriva Ben che dice che ne<br />

vuole assolutamente uno anche lui, poi vedo che è in inglese, allora le dico che se mi porta<br />

due copie del libro in spagnolo può chiedere al proprietario del negozio se ci fa uno<br />

sconto, pagheremo in dollari, e che io le darò un regalino per suo figlio. Allora corre via<br />

svelta dicendo ritorno subito. Intanto che Ben si sistema in camera per colorare con gli<br />

acquarelli i disegni fatti, le vado incontro al locale di fianco al ristorantino. Là vedo che c’è<br />

il cagnone e anche il bimbo, allora gli do il regalino, che sarebbe un giocattolo rotto di<br />

quando mio figlio era piccolo, e cioè la testa, la sola testa, di un cane giallo. E gli dico<br />

“mira ahorita te voy a regalar un perrito amarillo, te gustarìa?” e tiro fuori la testina, è<br />

sorpreso, strabiliato, contentissimo. Corre da uno che dentro il locale stava facendo lavori<br />

di falegnameria, è suo padre, “guarda ho anche un cagnino giallo!” gli dico che è il fratellino<br />

del suo cane, intanto arriva la mamma coi libri, “guarda, le dice, il mio cane ha un<br />

fratellino!” e lo fa vedere al cane che lo annusa. La mamma mi fa un sorriso meraviglioso.<br />

Andiamo verso l’albergo perchè non ha il resto da darmi (il prezzo è un pochino scontato)<br />

e vedo se Ben ha degli spiccioli, il bimbo allora mi chiama “torna dove vai ? Papa Nal,<br />

Papa Nal !” la mamma mi spiega che vorrebbe dire papà Nadàl (=Babbo Natale).<br />

Così anche più tardi quando passerò di lì lui mi chiamerà da lontano, “Papa Nal, Papa Nal<br />

!”. Per così poco sono diventato nel suo immaginario addirittura la personificazione di<br />

Babbo Natale che giunge da lontanissimo per portare un regalo proprio a lui...<br />

Giriamo un po’ per il paese, ci sono grandi casone con la base di massi incastrati e certi<br />

portoni ancora trapaezioidali. Vicino al mercato della verdura c’è un punto dove si<br />

possono legare i cavalli, come vedo fare da uno che era arrivato di corsa. C’è un<br />

magazzino con fuori la scritta:“Se alquìlan caballos, carpas, bolsas de dormir” (=si<br />

noleggiano cavalli, tende da campo, e sacchi a pelo). La sera ricoverano gli animali nelle<br />

corti, e accendono i fuochi per cucinare. La maggior parte dei negozi sono “Abarrotes”,<br />

cioè generi vari (in castillano abarrote è un pacco, un fagotto, mentre qui tienda de<br />

abarrotes, è negozio di alimentari, chissà forse deriva dal fatto che ci sono tanti pacchi di<br />

cose, fagotti con generi alimentari...per cui abarrotero sarebbe il pizzicagnolo), bodega<br />

vuol dire negozio tipo drogheria (in castillano, cantina, magazzino, più che altro di vini),<br />

mentre botica è lo spaccio dei sanitari, medicinali di largo uso, cure naturali, spezie, ma<br />

anche merceria. A fianco del mercato c’è una chiesetta con su scritto “Choquekillca”<br />

=Proteggici. Il comedor infantil (para almuerzar) alla sera si trasforma in sala e scuola di<br />

ballo e di ginnastica. Alle sei è buio e vanno in giro nelle taverne, cafeterias, bares, a<br />

guardare la televisione o ascoltare la radio per le partite di calcio, chiacchierare, ci sono<br />

carrettini ambulanti che vendono bibite fresche, gelati, oppure cose calde. Il kéquele è un<br />

pane tipo panettone con cioccolato a scaglie. Alle cinque al massimo già non ci sono più


visitatori, non c’è più bisogno di vender qualcosa a qualcuno, il paese recupera la sua<br />

dimensione reale e da mercato si trasforma in villaggio di montagna.<br />

Andiamo al posto di polizia locale dall’altra parte della piazza per informarci sul percorso<br />

per Vilcabamba. Già ci vedono che ci stiamo dirigendo verso di loro e sono incuriositi ma<br />

uno entra dentro e lascia l’altro a sentire cosa vogliamo. Questo è gentilissimo, si sente<br />

molto investito da questa responsabilità di dire bene a degli stranieri com’è il percorso da<br />

fare. Allora chiama l’altro, che si è capito che era andato di sopra e si era già tolta la<br />

camicia dell’uniforme. Poi scende e dice che lui è proprio di quella valle e conosce tutto, è<br />

supergentilissimo. Comincia a dire qualcosa, ma poi gli diciamo di mostrare sulla nostra<br />

cartina dell’istituto geografico militare che è molto precisa. Allora manda l’altro a procurarsi<br />

un foglio di carta abbastanza grande perchè ce la fa lui la cartina del percorso. Arriva con<br />

un foglio tipo A4 ma manca la penna, allora offro la mia, ma no lui ha la sua di là in ufficio.<br />

E incomincia a fare un disegno, ma non viene bene perchè presto giunge alla fine del<br />

foglio, allora lo rifà da capo sull’altro lato. Descrive la salita fino al passo, che si chiama<br />

Abra Màlaga, ma là non c’è nulla, bisogna scendere dall’altra parte e andare per un bel po’<br />

prima di trovare da fermarsi a mangiare. Poi comunque ci vorrà un secondo foglio per<br />

continuare la sua descrizione minuziosissima -e utilissima- su dove c’è un grifo per la<br />

benzina, dove un posto di polizia per informazioni, dove un restaurante, dove un telefono,<br />

dove un hostal, eccetera. Ci fa tante raccomandazioni per il posto dove c’è il ponte sul<br />

fiume perchè è facile sbagliarsi, e che lì c’è un suo ex collega e suo amico, di rivolgerci a<br />

lui sia per mangiare che eventualmente per dormire. Poi ci dice che in fondo alla valle c’è<br />

un sacerdote italiano, e che per arrivare proprio a Vilcabamba dopo la fine della strada c’è<br />

un truche in salita. Forse ci conviene dormire a Lucma o comunque verso la fine, per poi<br />

andare su a Vilcabamba il giorno dopo. Ma perchè -chiediamo- quanto ci vuole ad arrivare<br />

sino in fondo?, una decina di ore. Bisogna proprio che partiamo presto. Ci saluta con<br />

molta cordialità e tanti sorrisi.<br />

Andiamo al ristorantino del nostro albergo, ma è ancora presto, intanto prendiamo un mate<br />

de coca e chiacchiero con un ragazzino tornato da scuola, Johnny Rojas Huamàn (mi<br />

colpisce la presenza nel suo nome di inglese, spagnolo, quechua) di Kishuàra un paesino<br />

vicino; ha 12 anni, è molto sveglio e curioso, mi chiede dov’è l’Italia e poi com’è, cosa si<br />

fa. Intanto è arrivata la giovane che fa da cameriera e ordiniamo la cena, queso y papas,<br />

formaggio e patate, abbondanti, birra, cocacola, e mate de anìs, 12 soles (3€uro) per due.<br />

Abbiamo appena finito di cenare che mi accorgo che fuori dalla porta c’è gente, anzi tutta<br />

la piazza è piena. Stasera in paese grande avvenimento si proietta un film. E’ proprio<br />

come in “Nuovo Cinema Paradiso” di sugli anni ‘50 in un paese di campagna del nostro<br />

meridione. Che cosa fantastica, ora ci è consentito in questo paese delle <strong>Ande</strong> di tornare<br />

indietro nel tempo e vivere Nuovo Cinema Paradiso dal vero. Non solo c’è tutto il paese,<br />

ma ci sono anche quelli venuti giù apposta dai dintorni per l’avvenimento, altro che tv, c’è il<br />

cinema! Si sono seduti da tutte le parti, i paesani su loro sedie, e certi stanno nel frattempo<br />

mangiando qualcosa. Famiglie intere sui gradini a guardare. Un pullman attrezzato si è<br />

messo proprio in mezzo, e sul tetto è salito l’operatore, poi si sono andati ad agganciare<br />

per l’elettricità ad un lampione vicino, e si proietta il film sulla parete di una casa col muro<br />

bianco, ma restano incluse anche due finestre... L’audio, oltre all’immagine, è talmente<br />

scadente che gracchia distorce e si capisce poco. Sul lampione fornitore, ogni tanto si<br />

accende una lucina fioca, che traballa va a intermittenza, e poi per un pochino si accende<br />

pienamente, impedendo la visione ma subito dopo si rispegne, e fra un po’ il tutto<br />

ricomincia da capo. L’altro lampione impedisce un poco la vista, ma non troppo. Si<br />

proietta “La vida de Jesùs”, un vecchio kolossal americano primi anni Sessanta, che<br />

avevo già visto a suo tempo da ragazzo. Colori sbiaditi sull’azzurrino. Ma lo spettacolo è<br />

mettersi a guardare all’inverso, cioè a guardare il pubblico che guarda. Certi stanno seduti


vicini tra loro e seguono con intenso interesse, altri stanno ben poco attenti, e parlano, si<br />

distraggono. Altri gironzolano. C’è solo una donna che ha tenuto aperto il proprio<br />

baracchino di frutta e caramelle, ma si è pesantemente addormentata sul suo sgabello<br />

vicino al banco. I bambini scorrazzano e giocano.<br />

Poi a film finito, sale de repente sul tetto del pullman un predicatore di una chiesa<br />

evangelica nordamericana. “Pentitevi!” grida, “Ripulitevi dai vostri peccati! Siete, siamo,<br />

tutti peccatori! Solo Jesùs può rimettere i vostri peccati”. Intanto li guardo, oramai certi li<br />

riconosco, sono quelli del mercatino, dei negozi, dei bar, gente montanara molto semplice,<br />

e almeno mi son sembrati, molto tranquilli e miti, che peccati dovrebbero avere commesso<br />

nella loro vita quotidiana fatta di lavoro nei campi, ristrettezze economiche, risparmi, che<br />

tornano alle case stanchi e assonnati ? “Avete visto come Gesù ha sofferto per voi? lo ha<br />

fatto per mondarvi dei vostri peccati. Sareste colpevoli verso la sua generosità se non vi<br />

pentiste!”. Perchè dovrebbero sentirsi in colpa per come vivono? Perchè volerli far sentire<br />

in colpa? Questo è tutto ciò che c’è da dir loro? “Dite assieme a me la preghiera”. E poi<br />

“Quanti l’hanno recitata? Sù, alzate la mano” La alzano solo quattro o cinque, tra cui una<br />

anziana donna che viene subito avvicinata da uno che le dice: confessa pure a me i tuoi<br />

peccati, in cosa hai peccato? Lei diventa molto titubante e imbarazzata. Quando il tipo si<br />

gira per andarsene, lei si fa subito il segno della croce. Forse inizialmente non aveva<br />

capito che non erano della chiesa cattolica, chissà. Forse con questa gente bisognerebbe<br />

parlare la loro lingua. Le chiese evangeliche americane stanno facendo una forte<br />

concorrenza alla religione corrente che è fatta di molte superstizioni, folklore, tradizioni,<br />

ritualità, che si sono innestate nel culto dei santi e nelle pratiche religiose cattoliche, verso<br />

cui queste chiese radicali sono molto intransigenti. Ma sono svantaggiati sia proprio per la<br />

loro severità e rigore (abbandona l’idolatria! pentiti per averla seguìta! ecc.) e anche per la<br />

loro origine gringa. Aderiscono molti che per i più diversi motivi sono arrabbiati con il<br />

curato, con i politici, con il padrone. Questa comunque è gente semplice, montanara,<br />

pratica, intenta alla sopravvivenza e nulla più, che rivendica la propria dignità sino a pochi<br />

anni fa dispregiata perchè indios, gente inferiore. E quindi stanno vivendo un momento di<br />

riscatto culturale e di valorizzazione delle tradizioni, dei costumi, della storia e della loro<br />

antica civiltà. Nel contempo hanno molto attaccamento per i riti cattolici, il culto dei santi, e<br />

la venerazione per la Vergine, nelle sofferenze di Gesù vedono le proprie e lo sentono<br />

come uno di loro. Mi vengono in mente un cartone disneyano aa.’50 “Las velas”, e i<br />

racconti che ho sentito <strong>sulle</strong> feste grandiose della Settimana Santa. Ma questo predicatore<br />

di stasera non ha saputo parlare ai loro cuori, non ha spiegato nulla, ha solo redarguito<br />

perchè non si sono uniti nella sua preghiera, non hanno alzato la mano, sono rimasti<br />

peccatori senza neppure chiedere la remissione e il perdono, e poi se ne è andato col suo<br />

pullman, veloce come era arrivato per portare i montanari almeno per una serata al<br />

cinema. E’ tutto qua, si staccano i fili, tutti i correligionari (una decina) salgono in pullman e<br />

ripartono, senza aver conosciuto nessuno di questa brava gente.<br />

Il cinema è finito, torna il silenzio, il lampione oramai continua a tremare e fare luce<br />

intermittente. Pian piano tutti se ne vanno, chi a casa, chi sui camion. Ci sono tre grossi<br />

camion pesanti, come quelli per trasporto bestiame, per i bovini, per i tori. Si riempiono il<br />

cassone di persone, bambini, sacchi di patate, cipolle, mercanzia, ecc, e più o meno<br />

accucciati tutti stretti, partono per un viaggio nel buio magari di qualche ora, viste le<br />

strade...Partono in convoglio con gran fragore sull’acciotolato della piazza. Poi<br />

sopraggiunge un camioncino piccolo dall’altra parte, si riempie stipatissimo, e va. Un<br />

ultimo truck da tradotta animali, resta ancora un po’ a far puzza di nafta dal suo<br />

scappamento, il cassone viene coperto per benino con un grande telone chiuso anche ai<br />

lati, e va col suo carico, lasciando una densa e acre nuvolona nera. Di notte, al buio


assoluto, totale, con i fari accesi su strade di terra e sassi e buche, traballando magari per<br />

ore su e giù per i passi andini...<br />

Taytallay Tayta apachimeni yaktayquim benedicionikta = “Oh Padre mio, Padre manda al<br />

popolo la tua benedizione”, dice in quechua una invocazione (da una scritta fuori da una<br />

chiesetta, che ho ricopiato).<br />

domingo 18 de avrìl <strong>2004</strong><br />

Al mattino presto facciamo colazione al bar de la ñusta, e vengo a sapere che loro fanno<br />

anche da Casa de cambio, allora chiedo e la señora mi porta al suo negozio di Abarrotes<br />

che apre in quel momento e mi cambia gli €uro, le dico che a Lima mi avevano fatto un<br />

cambio migliore, ma mi dice “se io non ci ricavassi nemmeno questa piccola differenza<br />

allora per cosa lo farei? sii comprensivo, lasciami il mio guadagno”. E’ così disarmante<br />

che dico “va bene”, sto per darle i soldi e entra una, allora la señora mi da una occhiata per<br />

dire metti via i soldi. Poi finalmente esce entra un montanaro che ha fatto da guida in una<br />

escursione e vuole cambiare i dollari che gli hanno dato. E di nuovo metto via i miei soldi.<br />

Poi entra un’altra. Allora la señora chiude il negozio, mi cambia il denaro, e poi le chiedo<br />

una scheda telefonica per chiamare a casa, perchè qui non c’è -e non ci sarà più per vari<br />

giorni- campo per usare il mio movil, cellulare, e ho visto che loro hanno un telefono<br />

pubblico appeso al muro. Allora mi riaccompagna al bar, mi scrive su un foglio come<br />

dovrò fare le prossime volte per chiamare, e poi mi fa lei l’attivazione e la prima chiamata.<br />

Gentilissima anche se lenta, e noi abbiamo un po’ fretta di partire, ma oramai non posso<br />

interromperla. E così saluto tutti a casa. Lei ascolta divertita e poi mi saluta molto<br />

cordialmente. Partiamo, vengono fuori la cameriera e il ragazzino a salutare con la mano,<br />

poi vedo altri che avevo più volte incontrato in strada e li saluto e loro mi rispondono.<br />

Ciao, ciao Ollantaytambo, sono stato bene qui da te con la tua gente. Mi ricorderò<br />

soprattutto dei bambini.<br />

Intanto partono grossi camion pesanti che caricano su contadini/e e li portano nei campi<br />

alti per la cosecha, il raccolto. Iniziamo dunque la seconda parte avventurosa dopo la<br />

traversata della prima cordigliera tra Ayacucho, Andahuaylas, Abancay. Ci infiliamo su per<br />

la ripida salita di terra battuta, tra il grandioso ghiacciaio Verònica 5350 m. a sinistra e il il<br />

Picco Halamcoma 5367 m. Sulla strada tutto sta pian piano franando continua-mente. di<br />

nuovo ritroviamo villaggi di capanne, valli tipo quella di “Highlander”, con il ruscello, le<br />

recinzioni per gli animali, i fumi dei focolari che escono dalla porta o traspirando dalla<br />

paglia del tetto. Salendo c’è una interessante testimonianza della presenza incaica a<br />

Tastayoc, entriamo tra due colonne di roccia, come tra due grandi guardiani, e<br />

procediamo lentamente tra fonti d’acqua, cavalli, burritos, carneros, papas. Poi su fino al<br />

passo Abra Màlaga 4230 m. dove data la neblina e la pioggellina fine la strada di terra si<br />

fa un po’ melmosa e scivolosa. Qui sono sicure solo le aquile. Al Passo ci sono solo<br />

quattro povere baracche di sassi. Mi torna in mente il cartone disneyano “Pablito el drito y<br />

el burrito”, con l’asino che vola e che fa saltare a Pablito tutto il percorso su e giù per le<br />

valli. E poi il cartone -sempre Disney anni Cinquanta- dell’areoplanino postale che deve<br />

volare vicino al terribile Aconcàgua, il grande monte con i suoi ghiacciai sempre<br />

rannuvolato. Mi vengono immagini di mio nonno con i suoi sigari toscani, e quando<br />

lavorava la creta (era scultore), e suo fratello maggiore lo zio Polibio (falegname)che mi<br />

ha costruito una carriola e poi addirittura un monopattino, i discorsi di mio nonno sui<br />

marmorini, sul calco da fare in gesso, sulla fonderia del bronzo, e sul marmista....sto per<br />

addormentarmi. Stanotte avevo sognato i miei, e di quanto mio padre aveva tardato ad<br />

arrivare all’appuntamento, indossava quel suo cappotto caldo.<br />

Ma mi risvegliano i guadi, questo è già il terzo non facile, l’acqua è un po’ altina e la<br />

corrente forte, a prima vista non sembra ma non è facile non scivolare o non affondare


con le ruote nella ghiaia. Ai lati della strada ogni tanto fiori per i caduti. Prima un camion<br />

era appena stato rimesso in carreggiata e ora stava rimontando due ruote; l’autista si era<br />

fatta lì sul bordo una carpa di plastica (tendina)come riparo. Comunque è sempre strenua<br />

la fatica dei camion qui <strong>sulle</strong> <strong>Ande</strong>. In salita sbanfano e il motore si surriscalda e fuma, in<br />

discesa sono i freni che fumano e si consumano.<br />

Ora inizia un tratto proprio di melma. Ed è tutto in discesa. Passiamo Canchayoc, cioè sei<br />

baracche di lamiera nel fango. Poi guadiamo Inespata, e poi Jollotachayoc. Ci sono<br />

ruscelli grandi, alti, impetuosi con cascate tra le rocce. Stiamo andando giù nella valle del<br />

Rio Lucumayo (da Lucuma o Lucma). Anche qui la velocità media è sui 30 kmh. Eccoci ad<br />

Alfamayo, quattro baracche oramai nella selva, tra i banani, con la sua piccola chiesetta<br />

sotto la scarpata. Penosi questi villaggetti di poveri cristi schiacciati dal caldo umido.<br />

Meglio i paesi dei montanari quechua. Vediamo di là dal fiume il fortino InkaTambo. Sì<br />

perchè gli Incas spinsero fin in questa valle fuori dal mondo e dimenticata da Dio, il loro<br />

dominio, tanto che poi sfuggendo ai conquistadores spagnoli si rifugiarono a Vilcabamba,<br />

ma non quella che oggi porta quel nome, bensì quella antica, che è proprio quella che<br />

stiamo cercando, però quale fosse l’antica Vilcabamba inca ancora non si sa, ma sembra<br />

che dovrebbe corrispondere a quell’area in cui si trovano i resti degli antichi centri di<br />

Lucma, Vitcos, Punkuyoc e dell’attuale zona chiamata Rosaspata.<br />

Per l’intanto passiamo attraverso bananeti, agavi, fiori, baracche di latta, villaggetti di m.<br />

con poveri abitanti di questo fondovalle a 1800 m. circa.<br />

Ci fermiamo a Huyro (nella carta dell’istituto geografico il nome è sbagliato, così come si<br />

vede anche che non conoscono bene le distanze, le curve, le proporzioni). Intanto sono<br />

passate già quatrro ore di guida, quindi ci vuole una sosta, e poi qui si può fare gasolina<br />

con l’imbuto. C’è un povero mercatino dove si vende choclo abbrustolito, polpette di<br />

patate ripiene di riso e verdura, ma il grasso in cui son fritte lascia a desiderare. Ci sono<br />

abiti di ultima “qualità” usciti dalle produzioni in serie locali, poi robaccia di plastica,<br />

camicie sintetiche (ottime per il caldo umido!...), puttanate varie da bancarella infima, e<br />

sembra di essere in un Luna Park dei più squallidi. In una bancarella con roba per la scuola<br />

compero due testi tanto per farmi un’idea, uno di letteratura peruana, e uno di storia<br />

nazionale, penosi sia nel metodo espositivo che nei contenuti. Un bambino quando sente il<br />

prezzo dice al venditore “ma no non costano così”, e io gli dico “lascia perdere non mi<br />

importa”, “tenga buon uomo”. Si trattava di tre soles. Beniamino compra un pacco di<br />

quattro bottigliette d’acqua, e due (2) sigarette. Ripartiamo.<br />

Giunti finalmente a Chaullay non vediamo dov’è il ponte per passare dall’altra riva del<br />

fiume, manca qualsiasi cartello, quando ce ne rendiamo conto ci fermiamo ad un posto di<br />

polizia dove chiediamo. Siccome diciamo che abbiamo delle indicazioni fatteci da un<br />

collega di Ollantaytambo, che ci ha detto di chiedere a Chaullay del Señor Frisancho suo<br />

amico, allora chiamano il capo. Lì fuori c’è una donna che sta mangiando e dice lo so io,<br />

vengo di là, ora vi spiego, ma esce il poliziotto e deve spiegare lui. Stiamo andando verso<br />

Quillabamba, quindi dovremo tornare indietro e prestare molta attenzione. In questo punto<br />

il Vilcanota diviene rio Urubamba, e il Lucumayo si getta nell’Urubamba medesimo, per cui<br />

c’è una strada di terra che costeggia il fiume sulla destra, una sulla sinistra, e una, che è la<br />

nostra, invece risale il Vilcabamba che poco più in là pure entra nell’Urubamba. Chiaro ? in<br />

ogni modo poi vediamo il ponte sul Vilcanota giù sulla destra e scendiamo. Per iniziare la<br />

nostra salita su su sino quasi alle fonti del rio Vilcabamba là dove si dice che uno dei primi<br />

coloni spagnoli si fosse sistemato costruendo un grande mulino; e poi di là a piedi andare<br />

a vedere le rovine di Vitcos, Rosaspata ecc., insomma dell’antica Vilcabamba in cui si<br />

rifugiarono i ribelli dell’ultimo ridotto inca.<br />

Lungo la strada si costeggiano vari cimiterini affondati nella selva, le tombe spesso sono<br />

colorate e tutte decorate con lustrini, striscioline. Sembrerebbe che nessuno faccia


manutenzione, e certi sono proprio sommersi tra le erbacce. Una scritta sembrerebbe<br />

avere intenzioni consolatorie (?): “Aquì estaràs solo!”. La trucha (=strada di terra) in due o<br />

tre punti sembra che sia stata proprio appena ripristinata da derrumbes (=smottamenti)<br />

franati da poco. Così fino a Paltaybamba e oltre. Ecco di cosa parlavano tra loro i<br />

poliziotti per concludere che sì si può andare fino a Vilcabamba. Ci fermiamo a mangiare<br />

nel paese di Oyara dove si può fare anche gasolina. E’ molto tardi per il pranzo, ma la<br />

señora del comedor ci dice che ce lo prepara apposta, se abbiamo pazienza di attendere<br />

un poco. Sì, sì vorremmo proprio riposare un po’. Intanto uno ci dice che lui conosce delle<br />

vecchie miniere dove si trovano dei geodi e dei cristalli stupendi, se ci interessa quando<br />

torniamo indietro ce li fa trovare per venderceli. Intanto si raduna un po’ di gente per<br />

sapere chi siamo, se siamo di qualche istituto o fondazione o università, o che altro?<br />

Veniamo a sapere che è qui che c’è il sacerdote italiano, si chiama padre Umberto. Allora<br />

lo andiamo a cercare in chiesa, poi a casa sua, nella scuola, ma è partito stamane per i<br />

suoi giri nei dintorni, ritornerà fra non molto. Mangiamo riso, uova strapazzate con carne,<br />

cipolle, tomate, due minerali, una cocacola. Prendiamo anche sei chupitos per i bambini e i<br />

ragazzini che stanno qui fuori dal ristorantino. Totale tre €uro e mezzo per tre. Poi entrano<br />

altri perchè nell’altra stanza c’è il televisore e c’è una partita. Vado in bagno che è un<br />

bugliolo separato da un telo proprio lì adiacente a dove lei sta cucinando su un grande<br />

fuoco e conversa con suo fratello. C’è però l’acqua corrente e mi posso lavare le mani.<br />

Poi ci dirà che ha fatto tutto di fretta per farci trovare pronto il prima possibile, ma che si è<br />

dovuta far aiutare sennò non ce la faceva. E’ carina e gentile, sorridente. Anche le<br />

ragazzine fuori sono curiose e ridacchiano. Veniamo a sapere che c’è un altro padre<br />

italiano, lui sta proprio a Vilcabamba dove finisce la trucha, e tiene una scuola<br />

professionale. Proseguiamo, e lungo la strada riconosciamo nella 4x4 che incrociamo<br />

quello che dev’essere padre Umberto, ci fermiamo e anche lui, scende e torna indietro per<br />

venirci incontro, resta sorpreso che gli parliamo in italiano. E’ gentilissimo, di Brescia, e ci<br />

dice che senz’altro padre Lino, così si chiama l’altro a Vilcabamba, ci ospiterà, di fare pure<br />

il suo nome, e ci da anche il nome della casa salesiana di Cusco dove pure se vogliamo ci<br />

potranno ospitare al ritorno (ritengo che ospitare voglia dire accoglierci, e magari a<br />

modico pagamento consumare dei pasti...?).<br />

Siamo ricuorati perchè si sta facendo tardi, salendo aumenta l’aria fresca, siamo stanchi,<br />

e non so se ce la saremmo sentita di montare le tende secondo l’idea originaria. Oramai è<br />

imbrunire e la strada non finisce proprio mai, dopo l’ultimo paese credevamo, dalla carta<br />

geografica e dalle parole della guardia, che Vilcabamba fosse pochissimo più in là.<br />

Invece...dopo innumerevoli curve, in salita ripida, oramai nella nebbia e un po’ tramortiti,<br />

sembra che non arriveremo da nessuna parte. Ma invece infine eccoci. La scuola<br />

professionale e il centro sociale sono proprio all’inizio del villaggio. Fermiamo il carro e<br />

qualcuno viene incontro.<br />

A 3551 metri di altitudine giungiamo in una sorta di repubblichetta italiana quassù, in fondo<br />

in fondo, fuori dal mondo, alla fine di una valle fuori dal mondo, su su in cima... Entriamo<br />

nella casa della comunità direttamente in cucina. Fuori comincia a rinfrescare. Ci ristora<br />

già il solo fatto di parlare italiano, vedere facce consuete, comunicare con modi usuali, e<br />

poter raccontare le nostre impressioni di viaggio, e poi soprattutto ascoltare tutto quel che<br />

loro vivendo qui sanno di questa zona, e degli abitanti. E poi c’è il fuoco della grande<br />

“cucina economica” acceso, e ci offrono un bel thè caldo. Siamo proprio in un altro mondo<br />

qui dentro, e, anche se un po’ isolati quassù, ci pare di essere a casa.<br />

Questo centro, con la scuola, le officine per l’addestramento artigianale, sono state fatte<br />

per iniziativa di gruppi italiani di volontariato e di sostegno ad opere di aiuto ai paesi<br />

poveri, di matrice salesiana. Questa in particolare fa parte della rete “Operazione Mato<br />

Grosso” nata verso il 1968/70 se non sbaglio, e poi cresciuta fino a comprendere vari


centri non solo in Brasile, ma anche in Perù appunto, Ecuador, Colombia, Bolivia. Qui<br />

dunque c’è un gruppo di ragazzi e ragazze italiani che vivono in comunità, si<br />

autogestiscono, lavorano in vari progetti in corso. Inoltre ci sono un paio di religiosi e una<br />

religiosa che hanno preso i voti. Poi giovani peruani che lavorano qui come infermiera,<br />

cuoca, addetta alle camerate, organizzatrice. E i bambini e i giovani convitti che sono qui<br />

per studiare e lavorare e stanno a tempo pieno dormendo nelle camerate e mangiando<br />

nella mensa. Una notevole organizzazione. Hanno costruito la strada che arriva qui, dei<br />

ponti pedonali in vari posti, fatto argini, costruito loro tutti gli edifici, e l’arredamento. La<br />

scuola di falegnameria e carpenteria fa degli eccellenti lavori. In questi giorni c’è anche una<br />

volontaria che normalmente sta in un altro centro e che è qui in “vacanza” perchè sono<br />

venuti a trovarla i suoi genitori. Lei è ragioniera ed amministra un loro centro nel Nord del<br />

Perù, sono di Thiene, come padre Lino. C’è una ragazza di Bologna, che si occupa della<br />

nostra accoglienza, e chiacchieriamo un po’ mentre l’aiuto a fare i nostri letti in una camera<br />

con sei letti a castello che in questi giorni è libera perchè quel gruppo ora sta facendo un<br />

giro altrove. L’ala dell’edificio in cui ci sistemiamo è stata appena ultimata ed è ancora<br />

molto umida negli interni (che sono senza riscaldamento) però con tante belle copertone di<br />

alpaca ci si può stare. Ecco che dopo un po’ arriva anche lui, un quarantenne magro,<br />

asciutto, strabordante di energie. Come parroco di Vilcabamba ha girato in questi anni<br />

tutta l’area assai vasta della sua parrocchia, e oltre, con tutti i mezzi, in jeep, o dove non è<br />

possibile, a piedi, o a cavallo, andando nei posti più incredibili, nella selva, nel deserto, sui<br />

ghiacciai. Loro hanno anche ripulito dalle vegetazioni le rovine di Espiritu Pampa per<br />

incarico dell’istituto nazionale di cultura. Quindi conoscono bene le vie d’accesso, e<br />

capiamo che purtroppo non ci andremo, perchè ci vogliono tre giornate col cavallo, e<br />

quindi in totale minimo otto giorni a disposizione, che noi non abbiamo. Ma potremo<br />

facilmente fare un giro a piedi di una giornata per visitare le rovine di Vitcos e della zona di<br />

Rosaspata, p.Lino ci darà una guida, e questa è una grande consolazione. Una parte<br />

importante dei nostri obiettivi (attraversare le cordigliere <strong>sulle</strong> sterrate, Vilcabamba-Vitcos-<br />

Rosaspata, i siti Wari, la Riserva Naturale di Pampas Galeras, eccetera) sarà soddisfatta.<br />

Padre Lino con quel suo fare semplice e spigliato, gli occhi vivissimi, le battute di spirito,<br />

racconta di zone dove la religione popolare consisteva nel culto dei morti e dei santi, e<br />

senza sacerdoti per generazioni, si è mantenuta attraverso la tradizione orale. Tipo i<br />

cargos cioè persone di una comunità che si fanno carico a turno per un anno della<br />

celebrazione delle feste dal punto di vista sia organizzativo che finanziario. Proprio come<br />

avveniva nell’antichità, e così hanno consentito che si mantenesse una continuità di quella<br />

religiosità che si era radicata nel periodo coloniale. Su questa ora ci si deve fondare per<br />

sviluppare la loro spiritualità a livelli più elaborati e più conformi al cristianesimo. Racconta<br />

delle loro leggende e ad esempio di quelle che riguardano le grandi montagne e i ghiacciai<br />

perenni. padre Lino conosce tutte le valli e i villaggi ed ha notato vari punti delle nostre<br />

carte, di cui è molto incuriosito, che sono del tutto sbagliati o altri che sarebbero da<br />

correggere e ritoccare. Intanto la signora di Thiene e un paio di ragazze stanno cucinando<br />

sul fuoco a legna con dei gran pentoloni la cena. Aiuto a apparecchiare la tavola, e intanto<br />

socializziamo un po’ di più. Fuori c’è qualcuno che bussa perchè ha bisogno di parlare con<br />

p.Lino, o con questa o con quello. Faccio così conoscenza anche con Pinuccia un<br />

bellissimo labrador che è la cagnona della casa.<br />

Lui e alcuni altri raccontano dei cani di qui, che sono legati sempre alla casa e che<br />

conoscono tutti i percorsi di una zona vastissima, e in certi casi hanno fatto da guida al<br />

ritorno col buio o il maltempo.<br />

Anche la gente del luogo ogni tanto si offre come guida, ma loro camminano il triplo di noi.<br />

Una volta p.Lino era davanti e la guida stava subito dietro, e in effetti ti sentivi il suo fiato<br />

nel collo, allora a un certo punto la guida ha pensato che forse a stare così dappresso


poteva dar fastidio e si è tenuta più distante, proprio quando traversando un guado con<br />

una corrente imprevedibilmente più forte di quanto ci si poteva aspettare, e p.Lino è<br />

scivolato in quel punto dove il fiume cominciava ad andar giù per la rapida, e la guida è<br />

arrivata in una frazione di secondo ad afferrarlo e tirarlo su dall’acqua. Dice che le guide e<br />

i montanari intanto che camminano raccontano storie incaiche e del folklore antico e tutti<br />

hanno grande rispetto per gli avvertimenti che contengono, le proibizioni, gli spiriti che in<br />

quei luoghi sono presenti. Tutti i lavoranti che ci sono qui (per fare i gradini, per i buchi<br />

stradali, o per altri lavori pesanti), tutti hanno il bolo di coca sotto la guancia. Padre Lino<br />

dice che la foglia di coca non è assolutamente equiparabile alle altre droghe perchè non da<br />

assuefazione, lui ha provato in casi in cui era molto affaticato, da energie e basta,<br />

contiene calcio, fosforo, ferro,proteine, vitamine. (Ma il bolo è impastato con calce di<br />

quinoa, il che permette di dar luogo ad una reazione chimica che libera dalla coca un<br />

pochino di cocaina).<br />

La ragazza di Bologna si è laureata in scienze dell’educazione, e allora scambiamo due<br />

parole su quei corsi e docenti che l’hanno affascinata. Ha fatto volontariato nei gruppi che<br />

in Italia danno sostegno ai centri della O.M.-G., per riuscire a mandare viveri, o materiali, o<br />

vestiti, oppure addirittura macchinari per la scuola professionale. Ora ha preso l’impegno<br />

qui per due anni, ed è contentissima, si trova bene, si sente realizzata in quello che fa, le<br />

piace l’ambiente, si sente utile.<br />

La signora in visita, invece dopo mi dice che anche le loro altre due figlie danno attività nei<br />

gruppi di sostegno e che hanno fatto anche dei periodi di volontariato qui, e che è molto<br />

bello, ma hanno continuato anche la loro vita, si sono sposate, hanno dei bimbi. Mentre la<br />

maggiore (quella che ora è qua) oramai è via da quattordici anni, e a loro genitori è un po’<br />

dispiaciuta questa scelta così radicale, ma col tempo si sono rassegnati che lei è<br />

praticamente soltanto totalmente dedita a questa causa.<br />

Andiamo in camera, Lino è già là che dorme, e anche noi ci addormentiamo all’istante.<br />

19 di aprile<br />

Ci alziamo alle sei, tutti i vestiti sono umidissimi; andiamo giù dove c’è il bagno e ci<br />

laviamo con acqua fredda. Fuori c’è un po’ di bruma che subito si dissiperà, fa fresco ma<br />

non troppo, l’aria è stupenda, il cielo entro breve diviene despejado, sgombro, e il sole<br />

forte. In cucina il signore di Thiene sta cercando di appiccare il fuoco ma dice che qui<br />

usano l’eucalipto che non è per niente adatto. La signora prepara subito la prima colazione<br />

e man mano arrivano tutti alla spicciolata mangiano e escono. Padre Lino alle sette è l’ora<br />

che dedica alle confessioni in chiesa, l’altro, il romano, deve subito andare per finire un<br />

lavoro sulla strada, perchè ora fanno tutto a mano, con le grandi piogge che ci sono state<br />

nei mesi scorsi il loro piccolo bob-cat cingolato è caduto con una frana giù dal ciglio<br />

stradale e si è scassato rotolando. L’altro, che è lombardo, deve andare giù in città<br />

(Chaullay ?) per prendere materiali con il carro. Stamane ci danno come guida Valentìn,<br />

che ci porterà a fare il giro dei siti incaici della zona. Intanto che aspettiamo che lui sia<br />

pronto chiacchieriamo al sole. La signora sta esaminando una vecchia macchinetta tagliacuci<br />

che hanno inviato, perchè lei era sarta, ora è in pensione; mentre il marito, che era<br />

panettiere fornaio, ha iniziato vari giorni fa a insegnare a fare i tipi di impasto e le forme<br />

che si fanno da noi, ed hanno già imparato a fare bene la ciabatta, che infatti era in tavola.<br />

Scendiamo col carro a Huancallé (3000 m.) dove Valentìn passa a notificare la nostra<br />

visita al guardiabosques e si fa dare un machete. Lino ci riprenderà qui, e noi ci<br />

incamminiamo a piedi verso le sette e mezza.<br />

Sulla collina di Rosaspata ci sono i resti di vari edifici militari di Vitcos.Tra l’ edificio per<br />

alloggiamento della guarnigione, e il fortilizio, c’era un edificio di tipo cerimoniale<br />

(kallanka), che è ben conservato. Si vedono 15 porte trapezioidali allineate, tra cui tre


grandi. Questi luoghi, occupati a suo tempo da Manco Inca furono lo scenario in cui si<br />

svolsero tre importanti battaglie con gli invasori spagnoli. Poiché è proprio qui che l’ultimo<br />

sovrano degli incas si rifugiò dopo essersi ribellato alla supremazia spagnola e aver preso<br />

la fortezza di Sacsayhuaman, ma aver poi fallito l’assedio al quartier generale dei fratelli<br />

Pizarro nel Cuzco, nel 1536. Vennero quassù gli ultimi fedeli al re in un luogo di difficile<br />

accesso, e isolato, e riuscirono a far sì che il rifugio rimanesse segreto e sconosciuto agli<br />

spagnoli. Qui tra le montagne di Vilcabamba per qualche anno si perpetuò la corte incaica.<br />

Dopo il suo assassinio da parte di un agente segreto pagato dagli spagnoli, suo figlio<br />

abbandonò il rifugio si recò al Cuzco e si consegnò. Il fratello giurò fedeltà alla corona inca<br />

ma morì poco dopo per una malattia. Quindi l’altro figlio Tùpac Amaru I° fu proclamato in<br />

Vilcabamba Inca di tutti i territori del Tawuantinsuyo. Regnò materialmente su questa<br />

grande e lunga valle, e spiritualmente su tutti i popoli di lingua quechua e aymarà, per alcuni<br />

anni. Solo dopo molte battaglie fu fatto prigioniero e messo a morte nel Cuzco dal viceré<br />

Toledo nel 1572. Dunque su questa collina, proprio da qui dove stiamo noi adesso, Manco<br />

Inca e poi Tùpac Amaru si esercitavano stando con un ginocchio a terra a tirare col laccio<br />

le bolas di pietra, arte in cui tutti gli Inca erano sempre stati di bravura eccezionale (così<br />

come con la fionda; la stessa leggenda <strong>sulle</strong> origini dei primi inca, racconta che Ayar<br />

Cachi, a Pacaritampu con un solo tiro di fionda spaccò una grande roccia). L’obiettivo qui<br />

era di riuscire a farle volare fin sull’altro costado della valle, dove in effetti sono state<br />

ritrovate alcune bolas. Nel costado sull’ingresso della valle il fortilizio di InkaTambo<br />

vegliava come sentinella. Su un altro lontano colle c’era una guarnigione, e si facevano<br />

segnali di fumo sino a qui, se avvistavano dall’altro lato della valle sopraggiungere degli<br />

spagnoli. Da un altro sperone di roccia, intanto la dea Incahuarcana guardava sorridente e<br />

si godeva serena lo spettacolo dei tiri dell’Inca... Nel vallone qui a fianco in direzione del<br />

Machu Picchu (vecchio picco), collegato a qui con una strada lastricata, c’è un luogo<br />

antichissimo e venerando dove è accaduto uno dei fatti ancestrali della creazione del<br />

mondo, che andremo a visitare fra poco.<br />

Un edificio è in granito rosato, uno bianco, mentre prospicenti la grande piazza gli edifici<br />

sono in pietra “pizarro” scura. Troviamo per terra cocci di vasi e coppe colorate, che<br />

riponiamo su una catasta protetta da un tettuccio. Qui gli scavi e la ricostruzione sono<br />

ancora incompiuti, perciò forse due uomini con un cane lupo ci hanno seguiti da lontano<br />

sin qui e ora ci osservano a distanza. Quando lasciamo il sito e ci avviamo sul sentierino<br />

verso l’altra parte del colle, se ne vanno.<br />

Qui dall’altro lato ci sono molti chacra, campi coltivati, sui tipici terrazza-menti andini,<br />

andenes (da cui forse deriva il nome stesso delle <strong>Ande</strong>), che dimostrano la presenza di<br />

contadini al servizio del forte, o che erano già qui presenti prima. Anche le costruzioni<br />

dell’area del forte comunque mostrano segni evidenti di una sua presenza più antica e poi<br />

di un suo rimaneggiamento o rafforzamento con interventi di stile incaico.<br />

Poco più su poi inizia la favolosa valle sacra antichissima, dedita al culto della terra,<br />

dell’acqua e, a quanto si dice, delle stelle del cielo notturno.<br />

Qua e là giacciono enormi monoliti neri con incisi dei gradini. Quella più grande tra queste<br />

prime che ci si presentano nel cammino ascendente, sembra sagomata a forma di llama.<br />

Ha sul fianco tre gradini, una sporgenza lunga orizzontale liscia con un bugno sporgente<br />

poco più su, forse per la preghiera, o per un raccoglimento devozionale. Valentìn ci<br />

mostra la posizione tradizionale con le mani sulla sporgenza stando inginocchiati su in<br />

ginocchio e poggiando il capo <strong>sulle</strong> mani ovvero sulla pietra sporgente. Già avevamo visto<br />

mostrare la medesima posizione da parte di una guida molto brava e colta che<br />

accompagnava alcuni olandesi nella camera diroccata del tempio del Sole<br />

sull’Ollantaytambo e spiegava in fluente inglese. Poi tra i gradoni c’è una fonte per<br />

abluzioni veramente notevole. Poi vediamo una nicchia in un locale grande, e un loculo


con una fontana che serviva da doccia purificatrice, e un trono nero levigato di fronte ad<br />

una parete di pietra che forse porta le tracce di disegni. Erano certamente riti per il culto<br />

dell’Acqua. Si può determinare i contorni di un locale con vari bugni da preghiera, in un<br />

contesto di un ampio edificio. Poi vediamo un altro monolite con sopra un cosiddetto<br />

“orologio solare” scolpito, e a fianco un trono nero molto bello rivolto al torrente che<br />

impetuoso e gorgogliante scende dando frescura. A lato una pietra per riti di tipo<br />

sacrificale sagomata in modo da depositarvi un llama di cui porre il capo tra i due corni del<br />

pietrone e rescindergli la testa. Salendo continua questo vasto complesso, con altri seggi,<br />

vasche e a lato canaletti per il deflusso delle acque. E’ la Valle di Pillaopata, che è si<br />

potrebbe dire un tempio complessivo di riti stagionali in cui la congiunzione delle acque,<br />

dei monoliti neri, e dei raggi solari o delle stelle, forma un insieme sacrale di antichissima<br />

concezione. Ed ecco l’immenso monolite, si dice di otto metri, pesante varie tonnellate,<br />

che da il nome al complesso sacro: ñustahispana.<br />

La Vergine Ithmaccoya è l’essere primordiale e c’è un punto dove ha orinato<br />

primieramente (così come in altro luogo vi è il punto in cui ha defecato). Ma questi non<br />

vanno considerati come nella nostra mentalità come degli escrementi, dei rifiuti, cose<br />

orrende da espellere. Ma sono parti di sè rilasciate all’esterno ad integrarsi col Mondo.<br />

Presenze di sè, e in questo caso divine di essenza, o potenza divina, che vanno a<br />

fecondare il Mondo. Come gli escrementi degli animali danno calore, e servono a<br />

fecondare la terra, come sulla costa il guano, oppure in India gli escrementi delle vacche<br />

sacre che essiccati servono a far fuoco e calore... Il luogo mitico è Yurac Rumi, che in<br />

quechua significa la pietra bianca. Qui a Pillaopata si rinnovava periodicamente il rito.<br />

Sopra al monolite c’è il punto più alto che è quello “donde la virgen orina”, dove una<br />

vergine veniva posta a gambe larghe dinnanzi ai sacerdoti a compiere nuovamente l’atto<br />

di orinare quale sacra rappresentazione del fatto primigenio della fecondazione del<br />

Mondo. Forse durante i riti ancestrali stagionali per propiziare la fecondità della terra e<br />

abbondanti raccolti. Forse all’epoca degli incas questo luogo di antichissima sacralità fu<br />

incluso nella ritualistica loro specifica. In alcuni centri vi era un Acllahuasi, ovvero un<br />

palazzo delle acllas o delle vergini nascoste. A proposito di uno di questi, vicino all’attuale<br />

Lima, il cronista Garcilaso de la Vega nel 1609 scriveva: “Este templo fue solemnìsimo en<br />

edificios y servicios, ..., donde hacìan muchos sacrificios de animales y de otras cosas...”.<br />

Quindi può darsi che gli Inca facessero condurre qua le acllas per assistere ai sacrifici<br />

rituali di llamas e per la cerimonia della ñusta que orina. Questo immenso monolite nero<br />

ha una parete liscia e verticale con vani e con bugni sporgenti. Sopra ci sono incavate<br />

varie vasche e troni, sotto una parte del monolite il terreno è digradante e c’è un vano,<br />

ancora da liberare dal terriccio, sotto nell’ombra, l’Antro Oscuro sotterraneo. A fianco (e in<br />

parte sotto il bordo da cui poteva colare l’orina), ci sono dei vani che sono come quelli per<br />

le abluzioni visti prima, nove loculi perfettamente lisci e squadrati. E poi qua e là ci sono<br />

vari altri elementi sparsi per un’ampia area. In lontani secoli, in tempi antichissimi, chissà<br />

forse già nel neolitico o nella prima età del bronzo (?), ci dovette essere un terremoto con<br />

alluvione, insomma un cataclisma che fece crollare gran parte di questi edifici in pietra, e<br />

forse il tutto fu abbandonato (?), e comunque poi ripristinato tra le rovine, in un’epoca preincaica,<br />

data la venerabilità del luogo ancestrale. Sulla parete della pietra “piccola” proprio<br />

di fronte alla parete verticale della grande pietra nera, ci sono dei segni incisi, come delle<br />

linee che si incontrano o che divergono, che Valentìn dice rappresentavano la carta<br />

geografica dei caminos reales che convergevano verso il grande centro astrologico<br />

dell’osservatorio di Machu Picchu (poi abitato come ultimo ridotto segreto incaico),<br />

ovvero la piantina dei vari collegamenti tra diversi luoghi sacri. Chissà. comunque mi son<br />

convinto che questa è la pietra nera sacra alla Grande Dea Madre, la Vergine cosmica che<br />

ha dato la vita.


Proprio di fronte alle gambe divaricate della ñusta orinante sta una imponente pietra a<br />

forma di punta fallica (un glande). A fianco un lungo abbeveratoio per animali. A sinistra<br />

più in là (descrivo tutto un po’ minuziosa-mente perchè non ho trovato alcuna descrizione o interpretazione<br />

o studio su questi luoghi straordinari) c’è un ingresso a forma di corridoio stretto che immette ad<br />

un’area dove c’è un altro monolite, ora infossato in terra, con scavato un trono levigato<br />

veramente bellissimo. Questo sembrerebbe stare dentro un ampio recinto (cancha) il cui<br />

perimetro grosso modo sembrerebbe essere di circa 40 metri per 20.<br />

Chissà quante leggende e miti antichissimi ancora circolavano all’epoca in cui si stabilì qua<br />

Manco Inca. Cosa darei per vedere la scena di quando celebravano in questo luogo<br />

ancestrale con i bellissimi mantelli di piume d’uccello colorati che ho visto al Museo de Oro<br />

di Lima, probabilmente con varie cerimonie che si succedevano procedendo da un luogo<br />

all’altro di questa valle sacra di Pillaopata sotto la collina di Rosaspata....Mi piacerebbe<br />

sapere quale rapporto ci fosse con gli astri, e tra questi e la pietra, l’acqua, l’aria. Valentìn<br />

dice che quei ciondoli che si appendono (che da noi vengono dall’oriente asiatico) e che<br />

risuonano, sono espedienti per cercare di imbrigliare il suono dell’aria, che va per ogni<br />

dove col vento... Così come a Ollantaytambo, o negli altri altari Intihuatana, si cercava di<br />

cogliere il raggio solare. E anche qui sogno ad occhi aperti che con una bacchetta magica<br />

tutto ritorni al suo posto, cioè si risollevi dalla terra, da sotto il prato, e questi macigni,<br />

questi pietroni, volino nell’aria e ricompongano i muri, le strade, i templi, tutto il sito<br />

com’era. Se poi per sovrappiù di magia si potessero far riapparire i disegni, le pitture, i<br />

colori, le parti in legno, le statue, i decori, gli idoli....e magari addirittura la scena intera<br />

abitata ! Chissà in che ore del giorno e della notte stellata o di luna piena si celebrava? con<br />

quali canti ? Questo luogo magico mi fa ripensare alla Bretagna, a Malta, a Menorca, a<br />

Stonehenge....<br />

Ora stiamo camminando verso il rientro, sul selciato di un camino inca, che è sollevato<br />

rispetto al terreno fangoso, con pietre levigate abbastanza larghe, e che si dice<br />

congiungesse questo luogo, da una parte con Machu Picchu. dall’altra con Choquequirao.<br />

Prosegue con una gradinata lunghis- sima per scendere lungo il pendio della collina. Qui i<br />

messi reali correvano per 8 Km e ad ogni postazione (chaski huasi)si davano il cambio,<br />

per cui in un giorno un messaggio poteva giungere alla capitale da 250 Km di distanza. La<br />

rete delle strade (Qhapaq ñan) era molto articolata, si suppone tra i 23 (e comprendendo<br />

le vie sterrate) i 40 mila kilometri, e tra queste si distinguevano quelle reali (Inka ñan),<br />

ampie circa 6 metri con muretti di sostegno della massicciata, e canaletti laterali per lo<br />

scolo dell’acqua piovana. Vi erano appunto scalinate, e ponti sospesi in fibre vegetali<br />

ancorati a spalle di pietra (ve ne furono di famosi come quello sull’Apurìmac, il ponte<br />

Queswachaca, oggi rifatto, e quello sul Pampas, che restarono in uso sino alla fine<br />

dell’Ottocento), oppure ponti di zattere, o di barche di frasche. Mentre ad intervalli di un<br />

giorno di cammino si trovava un Tambo (=caravanserraglio fortificato, in castigliano si può<br />

tradurre anche con Posada) per le soste dei militari, dei commercianti, dei portatori di<br />

merci (mitayoc) e dei lavoratori (mitma). C’erano 1500/2000 Tampu in tutta la rete.<br />

Quaggiù all’ ”entrata” di questa area archeologica, vediamo che c’è un catello che indica:<br />

“Conjunto de Vilcabamba la Vieja- Rosaspata- Vitkos- Nustahispana”.<br />

Che esperienza strordinariamente emozionante questo viaggio in tempi così lontani a<br />

ritroso in un antico passato! Non riuscirò a togliermi dalla mente queste suggestioni per<br />

molto tempo.<br />

Ritorniamo alla casa e ci offrono un bel minestrone di fagioli, polpette di verdure e di riso,<br />

e polenta...! e caffé.<br />

C’è ancora luce e mentre Beniamino fa una corsa con la loro macchina per vedere un<br />

posto dove vorrebbero costuire un altro centro in un paese della valle, e chiedono dunque<br />

la sua consulenza come architetto per fare il progetto, io faccio un giretto per il villaggio


che sta subito dopo la chiesa e che non avevo ancora visto. E’ fatto di casette di adobe,<br />

“mattoni” di terra e paglia e sassolini essiccati al sole, ad un unico vano, direttamente sul<br />

terreno, con tetto di paglia. C’è una donna che sta filando la lana, porcellini che<br />

gironzolano, e giù nella valle verde a perdita d’occhio, ci sono vari cavalli. Do qualche<br />

regalino ai bambini con cui parlo, dall’unico sacchetto rimastomi, e sono subito attorniato<br />

da altri, ma non troppi e non troppo insistenti, che chiedono. Distribuisco tutto quel che ho.<br />

Poi vado un po’ in giro con due di 5/6 anni, torno in camera, ma c’è troppo umido per stare<br />

lì a leggere. Quindi esco e passeggio dall’altra direzione assieme a un ragazzino di 11 anni<br />

circa con cui chiacchiero e condivido una vecchia brioche secca come merenda (ovvero<br />

ne prendo un boccone per lui e uno per me, e poi gli chiedo “hai fame, vuoi finirla tutta tu?”<br />

dice di sì).<br />

Torna Ben e andiamo insieme oltre il villaggio giù verso la vallata, ma ormai è quasi<br />

l’imbrunire. Giunti al fiume troviamo che ci sono le rovine del grande molino spagnolo<br />

diroccato: che emozione, dev’essere proprio quello di cui parlava Hiram Bingham ! In<br />

lontananza cavalli, recinti, capanne, la valle è larga e bella. Rientrando passiamo a vedere<br />

la chiesa (con il campanile spagnolo della vecchia chiesa domenicana diroccata) dove c’è<br />

la messa cantata in ricordo dei due fratelli di p.Lino, anche loro sacerdoti, che venuti qua<br />

sono poi morti uno dopo l’altro di malattie (anche le mucche qui l’altr’anno sono tutte<br />

morte), e in ricordo anche di padre Dino (!) che due anni fa è stato assassinato mentre<br />

andava con la sua camioneta, da non si sa chi per non si sa cosa. Bei canti, ben cantati,<br />

ma veniamo via, è troppo lunga, e inoltre è saltata la corrente elettrica, e poi fa freddo. Ci<br />

sono tantissimi giovani arrivati da vari paesini con i camion (quattro o cinque!). Alla mensa<br />

del centro stanno preparando da tempo per 350 coperti (un piatto di minestra e un pane).<br />

Stiamo fuori dalla casa a ripensare a questa magnifica giornata, perchè non c’è la luce<br />

all’interno. Entro pochissimo è buio totale, fa freddo, e c’è umidità. Mi accorgo che ho i<br />

brividi, sto proprio tremando. Entriamo in cucina dove c’è il fuoco. Poi arriva uno che<br />

poverino è salito su a piedi chissà da dove (solo la salita da Huancallé sono venti<br />

kilometri) perchè ha molto mal di denti, e chiede di p.Lino, “ma ora non può, diciamo, e ora<br />

è già buio, e la messa questa volta finirà molto tardi”. “Lo aspetterò qui”. In realtà è la<br />

giovane bella peruana con tanti capelli lunghi corvini e ricci che è infermiera e si occupa<br />

anche di questi casi, ma mi aveva detto che non sa cosa poter fare, non ha nulla, non può<br />

far nulla, sia per i costi che per l’attrezzatura. E poi se anche curasse una carie, la volta<br />

dopo forse avrebbe terminato i medicinali il disinfettante e l’impasto ecc. , quindi più che<br />

altro cava denti, che è l’unica soluzione possibile e d’altronde praticata da tutti gli<br />

odontoiatri di provincia.<br />

In cucina dopo cena padre Lino racconta di una vecchina che era venuta fin su qua a piedi,<br />

curva ad angolo retto, con un gran carico, perchè aveva bisogno di parlare con lui, ha 84<br />

anni. Lui era andato a trovarla tempo fa perchè non stava bene, e a casa sua lei stava con<br />

galline e conigli dentro casa figuriamoci con che risultato per l’igiene, e quindi le aveva<br />

detto che doveva per prima cosa metterli fuori; ma quel che è peggio è che teneva il suo<br />

grosso chancho legato al letto, e questo non voleva lasciarlo fuori per nessuna ragione.<br />

Ora comunque ha superato la crisi, è guarita, e sta benone: questo era venuta a dirgli.<br />

20 aprile<br />

Ci alziamo alle sei come al solito, facciamo colazione e salutiamo tutti calorosamente.<br />

Non ci chiedono nulla, nemmeno per il mangiare, nemmeno dicono se volete fare<br />

un’offerta. Ben ieri aveva comprato molte bottiglie di minerale gassata giù al paese di<br />

Huancallé, e poi aveva dato tutte quelle bustine di minestre pronte che ci eravamo portati<br />

dietro per ogni evenienza, anch’io avevo fatto lo stesso con le mie bustine e scatolette.<br />

Ma non è che sia un gran ché anche se per loro cibi italiani sono una leccornia e un bel


icordo di cui sentono un po’ la mancanza. Ieri tra l’altro erano venuti su per la messa in<br />

memoriam anche una coppia di giovani che stanno giù dal padre Umberto, e che sono<br />

venuti qui dall’Italia a far volontariato che lei era incinta e il bimbo è nato qui e ieri sera se<br />

lo sono portati dietro, ha 8 mesi. Che cosa bisogna avere dentro per fare così e vivere lo<br />

stesso tranquilli e sorridenti ? Saluto la ragazza di Bologna raccomandandole di mettere a<br />

frutto la sua laurea, e la sua tesi su don Milani, facendo l’insegnante qui, anzichè i lavori<br />

vari che fa ora. Padre Lino mi dice di chiedere agli studenti della mia facoltà se vogliono<br />

contribuire con qualche soldo a pagare lo stipendio di un maestro. Se tu hai cento studenti<br />

e ciascuno si impegna a mandare tre €uro al mese noi prendiamo un insegnante. Ho<br />

promesso che ci proverò, ma ho detto che loro mi devono far avere un progettino, una<br />

descrizione del loro centro, qualcosa da mostrare, se no non bastano le sole parole. Dice<br />

che lo farà fare ai ragazzi volontari che lo aiutano. Bene, ciao, ciao a tutti. Partiamo.<br />

Mentre partivamo arrivavano i lavoratori marmorini, i carpentieri, gli sterratori, tutti col loro<br />

bolo di coca che fa una bella pallina sotto la guancia e non si capisce cosa dicono, anche<br />

perchè hanno solo dieci denti o poco più, tutti giallo-rossi-marroni, e fischiano da tutte le<br />

parti...Man mano che scendiamo e loro salgono ci salutano rispettosi perchè siamo amici<br />

di padre Lino, e quindi siamo caballeros non solo señores. Ma padre Lino diceva che se<br />

loro non venissero lì a fare quei lavori in cambio di un piatto di minestra e una pagnotta,<br />

cosa farebbero? diventerebbero degli sbandati, forse dei banditi, e vivrebbero di<br />

brigantaggio, come ai tempi di Sendero Luminoso. Incontriamo anche tutti i bambini e i<br />

ragazzi della valle che stanno andando a scuola a piedi, facendosi percorsi anche<br />

lunghissimi con qualsiasi tempo atmosferico. E quando siamo giù nel fondo valle dove ci<br />

sono i bananeti pensiamo a loro che sono sempre lassù a 3551 metri di altitudine. Penso<br />

anche a quella componente di ideologia, religiosa in questo caso, che da loro la spinta per<br />

fare queste grandi imprese. Padre Umberto ci aveva detto “questa valle è nostra da<br />

diversi anni, tutto quel che c’è di buono qui lo abbiamo fatto noi, dai ponti pedonali, alle<br />

strade, alle scuole, al lavoro che abbiamo procurato, il governo o l’alcalde non hanno fatto<br />

quasi nulla, se non ci fossimo stati noi cosa ne sarebbe di questi posti?”. Questo da loro la<br />

forza di restare, perchè non si può andar via, perchè oramai si sono identificati totalmente<br />

con le loro opere. Penso anche alle illusioni e alle speranze di isolarsi, di stare in pace per<br />

conto proprio, al mito della valle verde escondida, all’attrattiva di fondare una comunità di<br />

volontariato, dove tutti cooperano, dove il denaro non conta se non per le opere. Miti<br />

religiosi e laici, spirituali e politici, che forse erano anche una parte delle illusioni folli del<br />

professor Abimael e di “Sendero”, chissà.<br />

Comunque questi han messo su una grande impresa, grazie ai soldi dei gruppi di sostegno<br />

italiani, tramite i salesiani, e sono veramente un qualcosa che ti lascia una forte<br />

impressione positiva, che ha un grande fascino attrattivo.<br />

Ora qui intanto si ritorna a vedere questi luoghi in gran parte disabitati, questa valle ancora<br />

tutta da far fiorire. Tornano in mente immagini dal romanzo di Marquez “Cien años de<br />

soledad”, che descrive così bene certi ambienti, la mentalità dei suoi personaggi presi<br />

dalla realtà, e la dimensione del tempo tutta particolare, e il mondo fantastico<br />

dell’immaginario collettivo, che ora ritrovo in certe canzoni popolari che si sentono.<br />

Facciamo gasolina in un posto che all’andata non avevo notato,forse Amaybamba, anche<br />

qui con l’imbuto, allora do una mancia di due-tre soles chiedendo che lavino attorno al<br />

serbatoio, perchè la puzza della benzina mi da fastidio, e il ragazzo lava con accuratezza<br />

con una pompa d’acqua tutta la macchina che era proprio sudicia di terra, di fango.<br />

Arriviamo su fino a Canchayoc senza fermarci perchè non abbiamo ancora trovato un<br />

comedor aperto per mangiare, la señora qui del “restaurant Ladina” che ha una lavagnetta<br />

appesa fuori con la scritta “caldo de gallina”, ci dice che non ha voglia di mettersi a<br />

preparare da mangiare, e quindi dobbiamo proseguire. Arriviamo di nuovo al passo Abra


Màlaga, dove sostiamo perchè si vede un ghiacciaio in fondo, forse il Pumahuanja (5400<br />

m.). C’è un tizio, ma non parla, non risponde. Due bambini conciati e sporchi, cui diamo<br />

dei quadretti della tavoletta di cioccolata che abbiamo. Divorano ma non parlano. Vivono<br />

in una dimensione della comunicazione pre-parola, del silenzio, si intendono con una<br />

occhiata con piccoli gesti. A parte che non sanno lo spagnolo, non sono abituati a<br />

conversare, stanno l’uno accanto all’altro in silenzio accucciati.<br />

Vediamo il pajaro carpintero, una specie di picchio. Usciamo dai due costoni che segnano<br />

la fine di quel mondo a parte, e vediamo il gigantesco ghiacciaio Verònica che si mostra<br />

maestoso e scintillante al sole. Il cielo è finalmente despejado, ed è uno spettacolo<br />

imponente.<br />

A un certo punto ci sono lavori di rifacimento del fondo stradale, qui tutto frana, derrumba,<br />

di continuo. Comunque le opere pubbliche sono un mezzo importante di sviluppo,<br />

mancano o sono assai carenti le infrastrutture, senza le quali non procede nulla. Insomma<br />

in poche parole non possiamo passare, e dovremo attendere lì un’ora e mezza.<br />

Dopo un numero infinito di curve ci ritroviamo giù sulla pista asfaltata e superiamo<br />

Urubamba, e proseguiamo lungo il rio Vilcanota fino a Pisac (3000 m.) dove giungiamo<br />

che è già tardino, e non riusciamo ad andare in piazza perchè è tutto occupato dal<br />

mercato fin dopo il tramonto.<br />

Ma infine riusciamo a trovare una camera per noi, quadrupla ma sin baño, e una simple<br />

per Lino, all’Hostal familial Kinsaccocha (=le tre lagune). Molto spartano ma pulito e con un<br />

buon ambiente famigliare appunto, a una cuadra dalla piazza del mercato. E Pisac ci<br />

appare subito affascinante, e decidiamo di fermarci qui fino a venerdì 23, che bello!<br />

Ceniamo in una trattoria in piazza, Wasi Mijuna, cioè in quechua Casa dei pasti, dove<br />

vicino alla cassa c’è appesa una carolina italiana dei primi del Novecento. Di notte c’è una<br />

stellata spettacolare, con la Via Lattea evidentissima con il pulviscolo di stelle, e la croce<br />

del Sud affascinante, e poi tutte le costellazioni lì a portata di mano. Il nostro vicino<br />

tedesco è “bizzarro”.<br />

21 de avril<br />

Stamane alle sei ci alziamo, in cortile la ragazza che fa le pulizie (la figlia?) si sta lavando i<br />

capelli, e il dueño Oswaldo è impegnato a mettere legna e accendere il fuoco per il boiler<br />

di acqua calda, che comunque sarà disponibile quando oramai noi saremo usciti, la chica<br />

avrà finito di lavarsi, ecc. Il vicino è uscito. Andiamo al bar dell’hostal, che è in piazza, per<br />

fare colazione. Non c’è ancora nessuna bancarella. Interessante il fornaio, che ha i vestiti<br />

tradizionali, e sopra al grande forno una statuetta con due tori decorata da nastrini. Gli<br />

chiedo se posso prendere una foto, mi dice “sì se compri del pane”, così poi prendo due<br />

embutidos, piccoli panini con formaggio fuso e verdure dentro, che aggiungiamo alla<br />

colazione che nel frattempo è finalmente pronta. Vedo che hanno anche dei succhi di frutta<br />

confezionati, siccome non ho voglia della classica spremuta di arance che danno con il<br />

breakfast agli stranieri, e di cui Ben è un grande appassionato mattutino, chiedo di darmi<br />

un succo di pesca perchè vedo che l’etichetta dice: “nectar de frutas de durazno con<br />

kiwicha y maca”, cioè estratto di frutta di pesche-noci con... Lo assaggio e mi piace lo<br />

prenderò ancora. Dunque la kiwicha (o quihuicha), è una particolare bacca energetica, la<br />

maca è una erbetta fine verdina sbiadita che cresce solo sui quattromila metri di altitudine<br />

(loro dicono sui 40) ed ha proprietà di ricostituente cerebrale, ma anche è efficace contro i<br />

disturbi mestruali, stress, denutrizione, anemìa, e ritarda il deteriorarsi dei tessuti della<br />

pelle e altro. Fino a cinque anni fa non davano credito a queste credenze e dicerie, ora uno<br />

scienziato nordamericano l’ha studiata e nelle sue analisi e somministrazioni a cavie, ha<br />

confermato che da questi effetti benefici: ora la producono e vendono in farmacia, sia in<br />

polvere da diluire, che in compresse. Con Fujimori ha conosciuto un buon successo


l’esportazione in Giappone, e ultimamente negli USA l’hanno data agli astronauti dello<br />

shuttle per prevenire la lentezza e confusione mentale che si può provare in assenza di<br />

peso.<br />

Poi Lino ci porta col carro su sul monte sovrastante il paese, perchè là ci sono i resti della<br />

antica Pisac. Un operaio che c’è lì si mette a parlarci e allora per un po’ ci fa come da<br />

cicerone. C’è un primo fortino, Quantus Raqay, poi sull’altro versante il Tantana marca, il<br />

cimitero incaico, cioè una gran quantità di buche sul costado del colle (tombe tutte<br />

depredate da molto tempo dai huaqueros, da huaca=luogo sacro, ma anche tomba). E<br />

poi delle fonti con appoggi per le mani, per abluzioni purificatrici da fare prima di salire<br />

verso il tempio sacro dell’Intihuatana. Saliamo alla fortezza n.2, Quallaqasa, nelle stanze ci<br />

sono nicchie alle pareti, per ornacinas, dice. Poi ci sono recintos dove cucinavano cavie al<br />

forno. Agli stipiti ci sono anelli di pietra per chiudere i portoni con catene. Seguono una<br />

serie di andenes, terrazzamenti para cultivos. Ci seminavano a gradoni, a seconda<br />

dell’altitudine papas (patate), choclo (mais), quinoa o kwinoa (arbusto da granaglie),<br />

kiwicha (bacche), tarwi (che è un ciuffo rossastro peloso da cui si estrae una essenza).<br />

Dopo una scalinata sul ciglio e poi l’attraversamento di una fessura nella roccia (tunel),<br />

arriviamo dell’altra parte del costado, dove c’è il tempio con lo Intihuatana. In terra c’è<br />

anche una pietra scolpita a gradini, che in spagnolo viene denominata la croce andina, che<br />

è composta da tre gradini neri, e da un’altra metà speculare di pietra bianca che sta<br />

sottoterra. Dunque la metà emergente simboleggia l’ombra, e quella che non si può<br />

guardare, la luce. I tre gradini stanno a rappresentare: in cima il sole, che è il padre, poi la<br />

luna, la madre, e le stelle, che sono i figli. Ma questa è la tradizione del sincretismo<br />

impostosi dopo la conquista e la cristianizzazione. Originariamente simboleggiavano il<br />

puma, il serpente (amaru) e il condor, la “trinità” degli dei incaici, e l’agujero, il buco in<br />

centro, era inteso come l’ombelico del cosmo, cioè la città del Cusco, capitale di tutto il<br />

Tawuantinsuyo. Ma c’è anche un altro significato. I tre gradini ricordano il saluto che<br />

durante l’epoca incaica i nobili si facevano, e che la gente ripeteva quando si stringevano<br />

dei patti, si prendevano degli impegni, si suggellava un contratto orale, per stretta di mano<br />

come si direbbe da noi: “Mànan sua, manan quella, manan llulla” o secondo un’altra<br />

pronuncia: “Ama Sua, ama Quella, ama Llulla”, come c’era scritto su un muro a Urubamba.<br />

Motto che Lino, che è un cholo, un andino hispanizzato, e della cultura incaica non sa<br />

proprio un gran ché, sa a memoria in quechua (forse faceva parte dei detti e proverbi del<br />

folklore tramandategli da sua nonna quando era bambino). Il che significa: non rubare, non<br />

essere ozioso, non bugiardo. Certi traducono quella con parezoso, altri con flojo. Questi,<br />

dice l’operaio del sito che ci accompagna, sono i Tre Comandamenti, che si associano<br />

alla Trinità. Il puma è l’energia, il potere; il sepente la conoscenza, e l’intelligenza; il condor<br />

la pace. Questo era anche il Totem antico in cui questi animali erano raffigurati uno sopra<br />

l’altro.Visitiamo l’Intihuatana, che è, come già detto, donde van a amarrar el Sol. E’ molto<br />

ben conservato. L’operaio del sito ci dice che ci potrebbe accompagnare domani a<br />

visitare degli scavi in corso in un altro sito interessante Huchuy Qosqo (=pequeña ciudad),<br />

ma non sappiamo, non abbiamo ancora un programma preciso; dice che verrà a trovarci<br />

all’albergo così nel frattempo ci pensiamo. Intanto si avvicina un giovane che vorrebbe<br />

farci da guida a queste rovine, ma gli dico che stiamo andando via perchè abbiamo<br />

appena finito. Non demorde ma è simpatico questo pisqueño, ha 23 anni ed è mezzo<br />

brasiliano di Porto Alegre dove ha vissuto questi ultimi anni, ed ora è appena ritornato. E<br />

intanto ci dice che tutte le città dovevano essere fondate in posti e in posizioni particolari,<br />

soprattutto rispetto al sole, e dovevano avere una loro configurazione. Pisac deriva dal<br />

quechua pisàca (=perniz, pernice), e ci mostra una foto in cui si vede che dall’alto sembra<br />

che l’abitato antico abbia quella forma. Mentre camminiamo per tornare al nostro carro, ci


dice che questo percorso si chiama Amaru Punqus, cioè che passa attraverso le quatrro<br />

porte del serpente. Insomma quando arriviamo ci mettiamo a scherzare, e intanto si<br />

avvicina una ragazza con dei pantaloni moderni a strisce verticali rosse per venderci una<br />

bottiglia d’acqua, e anche lui insiste perchè la compriamo. Ma Ben preferisce prendere una<br />

spremuta di arancia da una bancarella, e io dico che l’unica cosa che forse comprerei<br />

sono i pantaloni di lei. Allora per l’equivoco possibile della cosa tutti ridiamo. In definitiva<br />

facciamo due chiacchiere e combiniamo per la sera all’Hostal Kinsaccocha, per un<br />

trueque, uno scambio commerciale. Quando noi partiremo da qui, dopo il parco di<br />

Pampas Galeras, andremo poi giù a Nazca e poi lungo la costa, per cui tutti gli abiti<br />

pesanti non mi serviranno più, e invece ho bisogno di far spazio in valigia per gli acquisti<br />

che ho fatto e che per ora sono in vari sacchettini di plastica. Per cui se la mia roba li<br />

interessa io in cambio prendo dei calzoni proprio uguali a quelli di lei. D’accordo, ci<br />

vediamo. Lui si chiama Xeno (ovvero Zeno), e lei Noemi.<br />

Questo pomeriggio andremo a vedere gli andenes circolari di Moray e le saline degli<br />

incas.<br />

Ripassiamo da Urubamba anche per cambiare in banca. Di fronte al cartello “Prohibido la<br />

venta ambulatoria” c’è un insieme di bancarelle, gente che ha messo il suo telo per terra, e<br />

proprio lì a sinistra all’incocio c’è una guardia, a destra vicino alla banca c’è della polizia...<br />

Passano alcuni tricicli a motorino che fanno da taxi, varie donne in costumi diversi, una<br />

signorina distinta con valigetta 24ore in jeans e giacchetta, contadini con pacconi legati<br />

con la corda, vari in divisa, poveracci a piedi nudi, un po’ di tutto.<br />

Qui tutti ti danno la ricevuta fiscale nei negozietti, ma poi il benzinaio o il droghiere ti<br />

cambiano i dollari (che la banca qui non è abilitata a cambiare), così senza scontrino, nulla.<br />

Giriamo e andiamo su sull’altipiano, verso il lago. Altipiano dolce, rossastro - verde - giallo,<br />

con coltivazioni e piante attorno ai villaggi. La cittadina di Maras è tutta squadrata come<br />

quando fu fondata dagli spagnoli. Tutto è rimasto com’era nel Cinque-Seicento. Quasi<br />

ogni casa ha una insegna in bassorilievo sopra il portone di ingresso, certi sono stemmi di<br />

casate, certi sono cavalieri in arme, oppure immagini di arcangeli, angioletti, o di santi.<br />

Una con una coppa con il sole, molte con JHS. Si potrebbe fare una stupenda collezione<br />

di foto solo dei portoni di Maras. Ma ora è abitata solo da contadini o pastori. Ci sono per<br />

le strade vari animali. Sullo sfondo picchi neri con ghiacciai scintillanti al sole fortissimo, e<br />

nuvole che corrono rapide. Andiamo comunque sui 60 kmh, Lino è superprudentissimo,<br />

suona sempre anche da lontano alle biciclette, animali, bambini, donne cariche, pullman di<br />

linea, camion, camionetas, auto, tricicli, corriere o pullmini fermi ai paradores (=fermate).<br />

Tutto ciò su un percorso non breve considerando che di quegli ostacoli appena detti, ne<br />

incrociamo uno per volta ogni tanto. Facciamo una sosta a Chinchero, che comunque al<br />

mercoledì è deserta, il mercato è chiuso. Giriamo un pochino, facciamo varie scale, e poi<br />

andiamo a mangiare nella “migliore” trattoria, con musica a tutto spiano. Sono canti<br />

tradizionali per le feste, di Andahuaylas e di Abancay; sembrano un po’ delle musiche tipo<br />

le nenie vietnamite, ma urlate. Prendo uno spezzatino.<br />

Al cruce c’è una casita blanca isolata che funge da paradero de buses, scendono con<br />

pacchi, pacchi. Ci sono sempre vari cochazos (= macchinacce) vecchi e scassati che<br />

fanno da autopubbliche combi e li vengono a prendere; quelli che non hanno da pagare si<br />

incamminano a piedi verso chissà dove con tutto quel carico, oppure ne lasciano una<br />

parte, che si suppone poi verranno a riprendere. Attraversiamo l’altipiano su una sterrata<br />

tra agavi, mandrie, greggi, un serpente, e dopo una discesa ripida e stretta,<br />

all’improvviso....laggiù nel barranco le saline degli incas ! tutta salgemma. E’ uno<br />

spettacolo emozionante.<br />

Torniamo per un pezzo indietro. Ci sono tori in montagna a 3200 m.! Arriviamo sino a<br />

Pulpituyoc senza che qualcuno di tutti quelli cui abbiamo chiesto la strada sapesse cosa


siano gli andenes circulares. Non ne hanno proprio idea, oppure non capiscono la parola<br />

circulares, in effetti poi ho visto che qui li chiamano concéntricos. Ma eccoli. Sono i<br />

terrazzamenti con coltivazioni, solo che sono circolari e vanno giù per 150 metri, come<br />

degli enormi imbuti ficcati nel terreno. Probabilmente così le coltivazioni erano riparate dai<br />

venti e dal freddo. Se si pensa che ogni cento metri di altitudine le temperature variano in<br />

media tra mezzo grado o due terzi di grado, hanno calcolato che la protezione dai venti e<br />

il calore del terreno fanno sì che al fondo dell’imbuto qui ci siano fino a 5 gradi di<br />

temperatura in più. Inoltre si è visto che negli andenes essendo ogni coltivazione a sè<br />

stante si riescono a selezionare meglio le sementi, e facendole passare da un gradino<br />

all’altro molto lentamente, si ottengono ottimi risultati di acclimatazione. Quelli dell’istituto<br />

nazionale di cultura ci hanno messo pure alcune coltivazioni, differenziate per gradoni, in<br />

modo da dare una idea di come poteva essere allora il loro aspetto. Il luogo è stupendo.<br />

Qui pure siamo fuori dal mondo nel silenzio totale, anche se siamo a soli 62 km dal Cusco<br />

(ma ci vuole un bel po’ di tempo per arrivarci, perchè il percorso è un po’ complicato, e la<br />

strada di terra in condizioni variabili).<br />

Ritorniamo giù verso la valle. Camionate di contadini colorati che rientrano ai loro villaggi.<br />

Magri, con la scogliosi, facce solcate dal sole e dal vento, piedi tumefatti dai geloni, con<br />

pochi denti scuri, occhi con problemi, insomma un disastro. Non si riesce a capire le<br />

persone quanti anni abbiano. Le ragazzine sono più precoci e mature, le donne di mezza<br />

età sembrano anziane, gli uomini non si sa neanche dire. “Màs salud = màs peruanos !”<br />

La casona di Yuccay è un esempio molto bello di edificio coloniale, è ben restaurata. Una<br />

camioneta scarica quintalate di zucche. In questi giorni poi tutti stendono mantas fuori<br />

casa per mettere a seccare vari tipi di semi. Sono mantas di vari colori e grandezze,<br />

anche molto belle, sparse ogni dove, tanto che a volte non è facile non andarci sopra con<br />

le gomme. Ad un piccolissimo mercatino che una qualche comunità contadina ha installato<br />

lungo la pista ci fermiamo e compero una manta tutta sul blu, e poi varie altre cose.<br />

Osserviamo anche come fanno a tessere, con i loro rocchetti e spinotti di legno, tendendo<br />

il tessuto da un piolo ficcato nel terreno. Poi invece una bambina di circa 11 anni mi<br />

implora con lo sguardo e la sua vocina di compare anche da lei, le dico che ho già<br />

comprato da quella señora, non è tua parente? no chi è qua non c’entra niente l’una con<br />

l’altra. Poverina compro una piccola cosina anche a lei, con invidia delle altre...<br />

Al rientro andiamo subito a mangiare al nostro restaurante Kinsaccocha dove la moglie di<br />

Oswaldo ci prepara un ottimo piatto di queso y papas. Le diamo della roba da lavare<br />

(magliette, mutande, calze, pigiama), che lei passa alla ragazza. Si palesa il tizio della<br />

mattina che è venuto apposta fin qua per sapere della visita di domani, ma gli diciamo di<br />

no, perchè intendiamo andare da un’altra parte, a visitare i resti della civiltà pre-incaica<br />

degli Huari (Wari). Non batte ciglio e con signorilità dice che non ha importanza di fare<br />

senz’altro come preferiamo. Stiamo per andarcene in albergo perchè è già buio e ci è<br />

cascata addosso un gran spossatezza e sonno, quando arriva trafelato Xeno in bici, e<br />

poco dopo sopraggiunge Noemi vestita tutta in blusa e calzoni jeans, con un cartoccio con<br />

i pantaloni a strisce rosse che è andata a prendere fino a Cusco da sua zia (40 +40 km in<br />

corriera). Non si può far altro che andare in camera e fare lo “scambio” ineguale che avevo<br />

promesso. Dunque faccio loro vedere vecchie T-shirts, polo, vecchi calzoni a coste, un<br />

golf slabbrato, camice di flanellina, tutte cose strausate che mi ero portato per strapazzarle<br />

e sconciarle senza nessun riguardo. Va tutto benissimo per loro, solo lei vuole<br />

assolutamente i 15$ dollari dei calzoni moderni elasticizzati presi dalla zia. La misura<br />

oltretutto non è quella giusta, ma tant’è. Facciamo lo “scambio”, loro sono evidentemente<br />

felicissimi. Ringraziano tanto e vanno via contenti riempiendo vari sacchetti di plastica che<br />

per fortuna loro, io avevo tenuto da parte.


jueves 22 de avril<br />

Ci alziamo, troviamo che il cortile e il terrazzo dell’Hostal sono attraversati da una corda<br />

con tutta la nostra biancheria intima stesa ad asciugare. Le ragazze inglesi arrivate ieri<br />

sera sono già andate, Oswaldo sta accendendo il fuoco della caldaia, il nostro vicino<br />

tedesco, che a questo punto è l’unico altro inquilino, già impazza con le sue stranezze.<br />

Fuori in piazza stanno arrivando con i loro carretti e stanno montando le bancarelle, oggi è<br />

giovedì, giorno in cui arrivano i pullman dei tours, e il mercato è più grande, e tutti si<br />

stanno preparando a fare grandi vendite e affari. Prima che i tours intruppati arrivino e<br />

ripartano come turbini, ci converrebbe guardare se c’è qualcosa di interessante. Per cui<br />

gironzoliamo tra le bancarelle in costruzione. Infine facciamo la salita della strada che<br />

fiancheggia la chiesa e entriamo in un negozietto dietro ai banchi in allestimento. Sono<br />

attratto dal fatto che ha cose diverse dai mille golfini o tappetini colorati, ho intravisto degli<br />

acquarelli, e delle pitture a olio, o a tempera, che riproducono abbastanza bene quadri di<br />

stile naif di epoca coloniale. E’ un produttore artigiano di ceramiche e di riproduzioni di<br />

pitture, Hipolito. Simpatico, parla, ci porta nel retro dove c’è casa sua, con patio, giardino,<br />

orto, piccola coltivazione di choqlo, alberi di pere, tomates picantes, pimienta, peperoni,<br />

peperoncini... Ci spiega tante cose perchè è un appassionato di antropologia. Insiste<br />

molto che vuol vendermi a un prezzo irrisorio (5$) un vecchio watana, che è un insieme di<br />

nastrini di varia trama, varia provenienza, vari decori geometrici, vari accostamenti di<br />

colori, che serviva come catalogo di tessuti da mostrare nei mercati per combinare affari e<br />

commesse. I numerosi nastrini che formano come un grappolo, un ciuffo, sono tutti<br />

intessuti assieme, cioè non ci sono cuciture nè giunture, e questa già è una dimostrazione<br />

di capacità tecniche notevole. Ricorda un po’ i tokapu, tessuti con varie decorazioni, che<br />

avevano un loro significato, e un po’ i quipù, nastrini pendenti con nodini, che servivano da<br />

promemoria per messaggi. Poi mi mostra un altro oggetto tradizionale, una chuspa, che è<br />

una borsettina dove si metteva la coca da portarsi con sè, con uno speciale taschino, llifta,<br />

dove si metteva la calce di quinoa con kiwicha in cenere per insaporire. Poi mi mostra un<br />

chumpi de cabeza, un nastrino per la fronte, decorato, che le donne incinte si mettevano al<br />

momento del parto per propiziare un buon esito. E un particolare sasso bianco liscio<br />

sagomato con su dei disegni e con varie punte, queste, da una a otto, rappresentano le<br />

montagne, e la pietra, apùs, si mette in un campo da coltivare (chaqra )per propiziare<br />

buona fertilità, ma la somma delle “montagne” deve sempre essere otto, per cui si può<br />

suddividere in più pietre da sotterrare in più postazioni, purchè non otto da una “punta”. E’<br />

importante per quei campi nei quali coltivano assieme varietà differenti ad es. di patate o<br />

di mais. Discorso simile per il taqli, una pietra a forma di choqlo, di pannocchia di mais,<br />

ma con tre hijos, “figli”, tre piccole pannocchiette attaccate dalle tre parti al “padre” (con<br />

abbozzato un volto). Poi mi dice che la cosiddetta “croce” andina non ha senso chiamarla<br />

così, perchè non è una croce, ma molto evidentemente una scala con tre gradini, e si<br />

chiama chaqàna, e i tre gradini speculari si chiamano nazpacha, quepacha, e ukupacha.<br />

Ma sul libro poi troverò altre denominazioni: kaypacha (=quepacha ?) per il mondo in cui<br />

stiamo e da cui è possibile trascendere, ukupacha per il mondo interiore, o mondo<br />

sotterraneo, o mondo interno, che conosciamo nei sogni, in cui andremo con la morte, e<br />

hanan pacha, per il mondo trascendente, il mondo cosmico fuori dal tempo, il mondo della<br />

divinità. E inoltre Hipolito parla del totem de los Tres Dioses, e poi dice che Wirakocha è<br />

anche dio della medicina e dunque dei chamanes, eccetera, e varie altre cose, preso da<br />

una furia ininterrotta di notizie che ritiene importanti da conoscere per capire la civiltà<br />

incaica e la cultura popolare quechua. Entusiasmo comunicativo, dovuto al fatto che da<br />

giovane era stato in Italia con una delegazione della camera del commercio, e da allora ha<br />

sempre nutrito una speciale simpatia per il nostro paese e per tutti gli italiani. Arriva suo


figlio omonimo che studia da odontotecnico, ma è anche appassionato di musiche<br />

tradizionali andine, specie quelle melanconiche perchè gli pare che siano tanto mistiche.<br />

Fa ascoltare a Ben vari dischi rari e musiche che sarebbero una ricostruzione di quelle più<br />

antiche incaiche. Compro il vecchio watana, un quadretto che riproduce un arcangelo<br />

Michele squiopetero, con un archibugio, dipinto coloniale dei primi del Seicento, e un<br />

bell’acquarello di una vecchia curandera, o piuttosto di una bruja, cioè di una strega.<br />

Hipolito dice che è la sua nonna morta a più di novant’anni d’età, molto stimata e richiesta<br />

in paese per i suoi intrugli curativi. Infine ci racconta che il cura, il curato, o parroco della<br />

chiesa è un ladro, perchè c’è sempre stata una corona d’oro con pietre dure sul capo del<br />

Cristo crocefisso che sta sopra l’altare, e un giorno non c’era più. Quindi o è colpa sua<br />

perchè non ha chiuso la chiesa (non c’è stata effrazione, e solo lui ha le chiavi), o è stato<br />

lui, o è stato uno dei suoi figli che non si sa bene quali siano...<br />

Usciamo. Giro ancora un po’ e anche dentro al cortile del fornaio ci sono bancarelle;<br />

proprio lì vedo un armadillo imbalsamato, poverino...<br />

Ci mettiamo in movimento per andare al sito dei Wari . Per le indicazioni stradali ti dicono<br />

vai lì, è là, più in giù, si sale, è qui vicino, uno ti dice è a 20 minuti da qua, l’altro dopo un<br />

quarto d’ora dice è a 20 minuti da qua,<br />

o gira più avanti. Indicazioni generiche di questo tipo.<br />

Eccoci comunque a Piquillakta, piki in quechua sarebbe un piccolo insetto, una specie di<br />

pulga, di zecca. Comunque non si sa cosa volesse significare il nome, a tre lo abbiamo<br />

chiesto e tre risposte diverse abbiamo avuto. E’ un grande centro palaziale contornato da<br />

mura alte e lunghissime, con case e palazzi in muratura, con il pavimento in gesso. E’ una<br />

città con strade, piazze, corridoi, camminamenti lunghissimi. Le mura includono un<br />

territorio molto più vasto della parte edificata in muratura, o palaziale. Piquillakta sarebbe<br />

circa del 1300 avanti Cristo. Al museino l’unica cosa interessante, oltre a qualche attrezzo<br />

in pietra per la lavorazione del mais, è uno scheletro perfetto di Glyptodonte, un armadillo<br />

gigante dell’epoca dei dinosauri. Poco più in là lungo la strada nazionale, dove si apre una<br />

vallata che scende, la chiude una doppia “porta” immensa di grandi massi incastrati a<br />

formare un muraglione (kallankas)possente, alto 12 metri. Ci sono gradini in pietra per<br />

salire in cima, e lungo le pareti di entrata verso Piquillakta vari bugni dei “soliti” per pregare<br />

(?), ma a varie altezze, anche molto in alto lungo il muro perfettamente lisciato.<br />

Congetturiamo che fossero invece sporgenze su cui far presa per sollevare i massi.<br />

Negli angoli la pietra appoggiata sul terreno è angolare, mentre le successive sono<br />

alternate. Sembra che queste mura di sbarramento fossero state costruite prima dei Wari<br />

e da questi utilizzate, per esser poi<br />

perfezionate dagli incas. Entrando dalla valle verso la città, ci sono poi due fontane per<br />

abluzioni, anch’esse con pareti in gesso. Si prosegue lungo un muro con bugni e<br />

pavimentazione che forse giungeva alla strada lastricata della città; anche lì dopo l’uscita la<br />

strada era protetta da due muri a formare un lungo camminamento. Dunque centro<br />

palaziale, templare e militare. Con un’area intorno agricola (andenes), e in fondo un lago<br />

ricco di trote, Laguna Huacarpay. E’ stato un archeologo nordamericano, Gordon<br />

Macwan, a valorizzare questi resti e a studiarli in modo sistematico nella seconda metà<br />

degli aa ‘80; dopodichè tutto è rimasto tal quale. Anche qui comunque non c’è una guidina,<br />

un opuscolo, dépliant, fogliettino ciclostilato, nulla, solo la tizia che vende il bolleto, e il<br />

museino col glyptodonte. Proseguiamo verso Tipòn. Ci sono varie trattoriette<br />

specializzate tutte nel cuy al horno (Cuyeria), il cuy è una sorta di cavia o porcellino d’india<br />

grande come un coniglietto. L’indicazione, come per molti siti archeologici, è in calcina<br />

colorata in blu, per cui la scritta dopo qualche pioggia si lava, la calcina col tempo si<br />

sbreccia....e le persone del luogo non sanno e/o non sanno spiegare. Perchè anche qui<br />

nonostante il passare degli anni e l’aumento del turismo, e un minimo sviluppo, non sono


cambiate altro che le scritte delle magliette dei giovani. Si sale con molte curve per una<br />

strada ripida di terra che attraversa un paesino di contadini, e poi si arriva. Comunque<br />

sembra che questo sito, detto Tipòn, debba il nome alla spagnolizzazione del termine<br />

quechua Timpoq =bollire, perchè le fontane che cascano da un terrazzamento all’altro,<br />

provengono da una sorgente in cui l’acqua bolle per effetto della pressione. C’è anche un<br />

Intiwatana e una bella costruzione circolare con incastri perfetti in pietra.<br />

Rientriamo perchè sono già le 18. Manovrare con l’auto non è semplicissimo perchè<br />

rientrano anche vacche, tori, ovejas, asini, capre, cavalli, ciascuno in mandrie o greggi<br />

compatte. Dietro arrivano le donne con i loro bimbi sulla schiena che dormono con la testa<br />

balzellante. Dalla bella chiesetta del paesino esce dall’altoparlante sul campanile una nenia<br />

melanconica a volume sommesso. La cittadina di Oropesa la vediamo un po’ da lontano,<br />

ma dev’essere una bella cittadina coloniale, tutta a cuadras, tipo un cuartél, uno<br />

stanziamento militare.<br />

Arriviamo a cenare che è proprio buio, il bar è pieno, c’è anche Hugo, e vari altri che<br />

parlottano mescolando spagnolo e quechua. Hugo nel pomeriggio mi aveva incontrato per<br />

strada, lui stava cercando sua figlia minore, e mi aveva intrattenuto <strong>sulle</strong> difficoltà<br />

economiche delle aree andine. Hanno messo su delle cassette con musiche anni ‘50 e ‘60<br />

tipo Feeling, Michelle, messicane, disneyane, ohbladee-ohbladah...(mi fa venire in mente<br />

wacchi-wari-wari- wa). La gente stasera tira in lungo a chiacchierare, sono già le 8,20 ! e di<br />

solito alle sette è tutto chiuso e deserto, noi siamo sempre gli unici, e gli ultimi, ma oggi si<br />

vede che hanno preso soldi, e li spendono in un po’ di cerveza facendo due chiacchiere al<br />

bar. Intanto io ho deciso che non berrò più il succo di pesche con kiwicha. Usciamo. Ci<br />

saluta molto calorosamente Hugo, dicendo che ci ricorderà alla PachaMama. Grazie. Solo<br />

ora che è tutto sgombro ci accorgiamo che in mezzo alla piazza c’è il monumento<br />

all’ultimo cacicco indio (cacique) di Pisac, Tambohuacso, che aderì all’epoca alla famosa<br />

“Proclamazione di Libertà” di Tùpac Amaru II° di stirpe imperiale, autoproclamatosi Inca<br />

del Perù, resa pubblica nel novembre 1780 e che infiammò il Paese con una insurrezione<br />

fortissima poi stroncata coi mezzi più drastici in un bagno di sangue (l’Inca fu trascinato<br />

per un piede da un cavallo per le vie di Cuzco, e poi squartato in piazza da quattro cavalli<br />

da tiro). Dopo quella delle colonie inglesi del nord, di pochi anni precedente, questa è la<br />

seconda dichiarazione dei diritti umani nella storia delle Americhe (e comunque la prima<br />

nei cosiddetti paesi latino-americani del centro e del sud America). Anche il cacicco<br />

quechua locale fu impiccato al campanile della chiesa, e il monumento attuale è stato<br />

eretto per iniziativa del comitato per il Bicentenario della Ribellione Emancipadora. Magra<br />

consolazione postuma, ma che sta a significare che a partire dal 1975 è iniziato un<br />

processo irreversibile di risveglio e di riconquista della dignità e di riappropiazione della<br />

propria storia e della propria identità culturale da parte dei popoli andini.<br />

- - - - - - - - (intermezzo 2)- - - - - - - -<br />

-<br />

Elegia al poderoso Inca Atahualpa<br />

(l’ultimo sovrano, fatto prigioniero e ucciso con l’inganno, dai conquistadores nel 1533)<br />

“Che arcobaleno è mai questo arcobaleno nero<br />

che si innalza?<br />

Per i nemici del Cuzco un’orribile saetta<br />

minacciosa.<br />

Per ogni dove una grandine sinistra<br />

picchia.


Il mio cuore ne aveva presentimento<br />

ad ogni istante,<br />

persino nei miei sogni, assalendomi<br />

nel letargo,<br />

la mosca azzurra annunciatrice di morte;<br />

dolore infinito.<br />

Il Sole si fa giallo, si fa notte,<br />

misteriosamente;<br />

si spegne Atahualpa, il suo cadavere<br />

e il suo nome;<br />

la morte dell’Inca riduce<br />

il tempo a un batter di ciglia.<br />

(...)<br />

Si è raggelato ormai il gran cuore<br />

di Atahualpa,<br />

dal pianto degli uomini dei Quattro punti cardinali<br />

sommerso.<br />

Le nubi dei cieli si son fermate<br />

oscurandosi;<br />

la Madre Luna, affranta, col viso malato,<br />

rimpicciolisce.<br />

E tutto e tutti si nascondono, spariscono,<br />

soffrendo.<br />

(...)<br />

Geme, soffre, si muove, vola come impazzita<br />

l’anima tua, colomba amata;<br />

delirante, delirante piange, soffre<br />

il tuo amaro cuore.<br />

Col martirio della separazione infinita<br />

il cuore si spezza.<br />

Il limpido, rifulgente aureo trono,<br />

la tua culla;<br />

i vasi d’oro, tutto,<br />

si sono tra loro spartiti.<br />

Sotto estraneo dominio, accumulando tormenti,<br />

e distrutti,<br />

perplessi, sperduti, negata la memoria,<br />

soli;<br />

morta la stessa ombra protettiva,<br />

piangiamo, e non sappiamo a chi o dove rivolgerci,<br />

stiamo delirando.<br />

Sopporterà il tuo cuore,<br />

oh Inca,<br />

questa nostra errabonda vita<br />

dispersa,<br />

da pericoli incalcolabili accerchiata,<br />

in mano di altri,<br />

calpestata?


Apri<br />

i tuoi occhi che come avventurose saette ferivano;<br />

le tue magnanime mani<br />

protendile;<br />

e dandoci forza con questa visione<br />

dicci addio.”<br />

Canto anonimo tramandato oralmente. Testo qui ripreso dalla traduzione in spagnolo di<br />

J.M. Arguedas, Canto Kuechua, Lima, 1938, che lo ripropose all’attenzione del pubblico<br />

moderno.<br />

- - - - - - - - -(fine intermezzo )<br />

-<br />

Stiamo per andarcene, che compare sulla piazza il bombo, che è il banditore di notizie,<br />

previo tamburo e suono col conchiglione spondylus ! Gira per le stradine urlando che<br />

domani sera alle 19 inizierà la processione della Vergine del Carmine, e lo dice sia in<br />

spagnolo che in quechua, e nel secondo comunicato, che non capiamo ovviamente, è<br />

interessante il fatto che la chiama Mamanchi. La grande croce in pietra a lato della chiesa,<br />

ora ha i soliti paramenti a drappeggio che avevamo visto in altre occasioni, è come<br />

rivestita con un abito talare. Di solito hanno fiorellini, nastrini, oppure una lunga “sciarpa”<br />

girata attorno in modo che sembra proprio un vestito, e la croce pare una figura umana a<br />

braccia larghe.<br />

Nella piazza, come ho già accennato, ci sono due grandi alberoni Pisonay secolari,<br />

stupendi e venerabili nella loro vetustà; uno è cavo, e sembra un po’ l’albero delle<br />

streghe...<br />

Belle queste serate a Pisac, come lo erano quelle a Ollantaytambo, con l’ambiente<br />

paesano, le osterie, quelli un po’ alticci per le bevute o “fatti” da troppa coca, gli ultimi che<br />

ormai nel buio smontano le loro bancarelle con i legni dalle tre parti per fare delle pareti<br />

con appesi tappeti o abiti, gli Abarrotes aperti, i bar con la trasmissione della partita, quelli<br />

che rosolano pannocchie, quello con il suo triciclo-baracchino che vende bibite con maca,<br />

le stupefacenti stellate con la Via Lattea e la Croce del Sud, o, prima, con la falce di Luna<br />

con la stella accanto, il buio, il silenzio totale, gli animali... Il selciato di sassetti tondi<br />

sporgenti della piazza e delle strade, è scomodissimo, in mezzo ci sono gli scoli per<br />

l’acqua (dove un bimbo mette inavvertitamente dentro storto il piede), che si incrociano<br />

con una piattofor-ma centrale a rombo. Ma ora yà basta, è sufficiente: A dormire!<br />

viernes 23<br />

Al risveglio un po’ prima delle sei, c’è il tedesco della stanza accanto, che ci aspetta<br />

silenzioso al varco e gioca a fotografarci all’uscita dalla porta della camera per andare al<br />

bagno, tutti allucinati, conciati, e se la ride da matti. Ritrae anche Lino da vicinissimo, me<br />

da dietro, Ben con la schiuma da barba, e si diverte un mondo e ride. E’ fatto cotto. Mi<br />

dice in inglese con voce sbiascicata e strana pronuncia (e lo capisco !?)che ha compiuto<br />

ieri 45 anni. Proprio ieri avevo un po’ sentito una discussione con Oswaldo, credo che<br />

fosse già da un pezzo che non pagava per la stanza. Come regalo di buon compleanno gli<br />

do la scatola di tonno che mi era rimasta, e la forma di formaggio che avevo preso al<br />

mercato. Si mette a mangiare subito.<br />

Mi torna in mente della chiacchierata fatta ieri con una ragazza, tipo gli hippies di una<br />

volta, che aveva steso col suo compagno un telo per terra e aveva esposto i braccialettini<br />

e le collanine fatte da loro, che i gruppi di turisti, che pur scendevano proprio lì dai pullman,<br />

non hanno assolutamente degnato di considerazione. E’ una bella e simpatica argentina di<br />

Buenos Aires di 23 anni (come mia figlia!), che è via da casa da un anno e mezzo, perchè


non ne poteva più della grande città, e così si fa tutto il Sud- America da sud a nord. Non<br />

commento nulla, non sono in grado di esprimere un parere al riguardo, solo mi viene in<br />

mente per ulteriore associazione la figlia di una amica parigina, Janine (brillantemente<br />

laureata, se ne andò a vivere in un villaggio della provincia di Lione per rifiutare così la<br />

megalopoli, e stare con il suo ragazzo che faceva là l’elettricista). Dunque sua figlia,<br />

Virginie, bravissima al Liceo, se ne è andata di casa per fare la clochard, la barbona,<br />

assieme al suo ragazzo, e ha vissuto per due anni vivendo in strada con vari cani, e<br />

dormendo sotto i ponti. Ora è tornata a casa, ma non riesce più a adattarsi alla vita in una<br />

casa “borghese” e dunque abita in una roulotte che hanno messo in giardino, e “fa la<br />

scultrice”. Il tutto ovviamente costituisce la disperazione di sua madre Janine.<br />

Ma torniamo a Pisac. Ho dimenticato di dire che proprio mentre stavo mangiando un lomo<br />

saltado di maiale (=lombata) troppo abbondante, seduto ad un tavolino all’aperto in piazza<br />

e chiacchieravo con l’argentina per terra lì vicino, vedo un auto che lentamente cerca di<br />

farsi largo verso la piazza gremita, da cui sporge dal finestrino uno che urla “Carlo!”. E’<br />

Xeno (anche lui ha 23 anni) in una vecchia macchina con amici musicisti/cantanti che<br />

stanno andando a suonare in un festeggiamento non so dove, e ha voluto passare dalla<br />

piazza per salutarmi. Aveva indosso la mia maglietta con le maniche lunghe un po’<br />

pesantina, che evidentemente gli è piaciuta tanto (è diversa da quelle che si vedono qua)<br />

da sfoggiarla in questa occasione. Gli sono andato incontro e, visto che l’auto ci metterà<br />

veramente un bel po’ a riuscire a fendere la folla del mercato e dei turisti intruppati, l’ho<br />

invitato a sedersi al mio posto e finire il mio piatto. L’ha divorato e poi ringraziando e<br />

salutando è risalito nell’auto che era già andata oltre verso l’uscita dalla piazza-mercato, e<br />

se ne è andato senza che facessi in tempo a dirgli che partivamo stamattina. Così non ho<br />

il suo indirizzo.<br />

Paghiamo per la lavanderia otto soles (=2€), e salutiamo. Cordiali saluti da Oswaldo e<br />

dalla moglie, e dalle due ragazze. Uscendo da Pisac (ciao Pisac sono stato bene da te e<br />

con i tuoi abitanti, hasta la proxima vez!) vedo il macellaio con i grossi pezzi di carne<br />

appoggiati per terra sulla porta. Imbocchiamo la strada asfaltata verso Cusco, che sin’ora<br />

non avevamo ancora fatto.<br />

Eccomi di nuovo a osservare un paese e un popolo dal finestrino. Le donne-canguro con i<br />

loro figli nel marsupio dorsale, sembrano a volte un po’ dei doppi: ti guardano con due<br />

teste, quattro occhi....<br />

Coltivano proprio ovunque, anche su ripide coste scoscese, si vede che quella famiglia o<br />

quella comunità campesina il suo campicello ce l’ha proprio laggiù, isolato, tutto in<br />

pendenza (a volte coltivano <strong>sulle</strong> cime dei colli). Gli spagnoli con l’introduzione del<br />

latifondo nel periodo coloniale hanno mandato in rovina il sistema degli andenes,<br />

abbandonati in gran parte, questi terrazzamenti che rigavano praticamente tutte le <strong>Ande</strong>,<br />

sono andati in malora. E’ successo che col tempo i sassi sono rotolati, i muretti sgretolati,<br />

le erbacce si sono diffuse eccetera, e così hanno distrutto il lavoro accumulato di secoli e<br />

secoli, e questa civiltà materiale è andata perduta (oltretutto ci fu anche una concomitante<br />

drastica diminuzione della popolazione).<br />

Oggi visiteremo alcuni posti famosi, dato che il viaggio è breve e la pista asfaltata è<br />

buona, speriamo di arrivare in tempo prima dei tours dei pullman. Vediamo Tambo<br />

Machay (3700 m.) che era una località di ristoro per la nobiltà incaica, con fontane d’acqua<br />

calda e fredda, chiamata anche Quinua Puquio (=la sorgente di quinua). Poi la vicina<br />

Fortezza Rossiccia =Puka Pukara, sorta di dazio o dogana per l’ingresso di merci e<br />

persone alla città del Cuzco. Quindi diamo un colpo d’occhio a Saqsày wamàn dall’alto, si<br />

vede al di là la valle del Cuzco, e la Cordigliera. Ma qui ci verremo dopo, adesso già che è<br />

ancora buon’ora andiamo subito alla misteriosa Q’enqo (=fessure), antichissima, tutta<br />

scavata nelle viscere della roccia, che va dunque visitata con calma, senza rumori o vocii,


e siamo fortunati, non c’è nessuno, solo dopo arriverà un piccolo gruppettino di donne<br />

americane assai rispettose e discrete, e con loro come guida quello stesso uomo<br />

bravissimo che avevo ascoltato a Ollantaytambo. Gli faccio i complimenti, mi da il suo<br />

biglietto da visita (Jorge Luìs Delgado)e si intrattiene un po’ con me, e mi dice che questo<br />

luogo mistico è consacrato alla PachaMama, la Grande Madre Terra. Lei è il corpo fisico,<br />

lei dunque ha memoria di tutto, noi siamo tutti suoi figli e viviamo tra altri figli animali,<br />

vegetali, minerali. Nel nostro piccolo individuale anche il nostro corpo conserva memoria<br />

di tutta la nostra vita, la nostra storia, la nostra vicenda, senza errori; la mente ne può<br />

compiere, perchè cerca risposte alle sue ansie, alle paure, alle incertezze, e si crea un<br />

proprio mondo con i suoi figli. Ma il corpo no, è sempre sincero e veritiero nella sua<br />

memoria. E se è adeguatamente addestrato il rapporto diretto con la Grande Madre, allora<br />

con l’aiuto della luce e dell’aria, possiamo raggiungere la pura consapevolezza dell’insieme<br />

di cui siamo parte. Questa la spiritualità di chi ha costruito questo luogo, ed è un luogo<br />

pieno di energia, che è dentro queste grandi pietre, queste rocce, questa montagna. Ora si<br />

scusa ma deve andare, la sua è una agenzia di Puno, “Kontiki” el dios viajero, ecological -<br />

cultural tours. Sotto i monoliti da tonnellate, dentro alla roccia, là c’è il percorso iniziatico e<br />

si passa a lato della fossa dei serpenti al lume delle torce. Ma è lassù all’aperto, nell’area<br />

sacra ad anfiteatro, dove c’è pure l “orologio solare”, tutt’attorno al grande monolite<br />

verticale di 9 metri (detto il rospo), che si vedrà come esso conservava in sè la<br />

conoscenza del tutto; la luce del solstizio al suo sorgere farà proiettare sull’immensa<br />

parete che fa da fondale, le sue ombre mutevoli che raccontano, come lo sciamano, o il<br />

sacerdote, esporrà, le storie mitologiche del cosmo, delle stelle, del sole, della luna, della<br />

terra, ... Tutti seduti attorno vedranno la sacra rappresentazione delle ombre quando dalla<br />

caverna oscura saremo usciti alla luce e alla visione del suo doppio, l’ombra. Luogo<br />

favoloso, ancestrale questa mistica Q’enqo. Nel boschetto attorno ci sono llamas, e cavalli<br />

che corrono. Terra-pietra, acqua che scorre giù per i canaletti a zig-zag, luce-sole, aria e<br />

vento con le loro voci che bisogna saper ascoltare.<br />

Poi andiamo alla classica visita di Saqsày wamàn (o Sacsayhuaman =”testa<br />

inghirlandata”, o ondulata, della città di Cusco), dove ci sono mura ciclopiche di massi<br />

inamovibili, incastrati perfettamente, di 45 tonnellate e più. Di quelli alti e grandi al suolo<br />

che fanno da bastioni per le parti sporgenti, alcuni pesano fino a 360 t. Era una<br />

grandissima fortezza. Qui il 24 di giugno si celebra l’ Inti Raymi, la grande Festa del Sole,<br />

nella spianata davanti alle mura. Ma quel giorno è anche stato proclamato El Dìa del Indio.<br />

Si tengono grandi ricostruzioni di massa in costumi antichi. Ci sono tre fila di mura, e su in<br />

cima al colle c’è sul terreno un grande cerchio con cerchi concentrici e raggi in muratura,<br />

che rappresenta il cosmo coi suoi quattro cantoni, quattro direzioni, o ròtte (rumbos), che<br />

è il basamento di una distrutta torre rotonda. Dall’altra parte della spianata c’è una<br />

costruzione con una scalinata ripida in mezzo, e dietro c’è un grande anfiteatro ovale con<br />

gradinate. (una ragazza francese con le stampelle, cocciuta e forte, affronta da sola, e si<br />

fa in salita, tutta la scalinata. Le dico che si è conquistata la medaglia olimpica in quella<br />

specialità...).<br />

Dietro, non sono facilissimi da indentificare, ma si aprono dei tunnel nella roccia, come<br />

quello di Pisac e quello di Q’enqo, ma lunghi e a labirinto, con vari “lavacri”, troni, e croci<br />

andine, o chaqàna. Qui dunque c’era il Labirinto del Mondo (di cui quello da noi famoso è<br />

quello dei minoici, con prova iniziatica per il giovane eroe che deve affrontare l’uomo-<br />

mostro taurocefalo, Signore dell’oscurità, senza conoscere la via di fuga).<br />

Stiamo per andarcene, e c’è una che vuole 1 sol per farsi fotografare... le diciamo che<br />

purtroppo non avevamo soldi con noi, ma continuava a chiedere, Ben le fa vedere che<br />

proprio di soldi non ne aveva, ma lei continuava a chiedere, anch’io allora ho addirittura<br />

rovesciato le tasche, ma lei continuava a chiedere, Ben ha trovato in fondo a un piccolo


taschino 20 centesimi di sol, lei li ha presi ma ha comunque continuato a chiedere un sol<br />

per farsi fotografare. Mi ricorda quella alle rovine di Pisac antica, le ho anche detto a un<br />

certo punto che proprio “tiene cabeza dura Usted!”, ma lei continuava a chiedere, allora<br />

Xeno e Noemi glielo hanno detto in quechua, ma lei ha continuato a chiedere “amiiigo,<br />

dame un sol !”.<br />

Scendiamo al Cusco. Ammiriamo da fuori il Qorikancha che è incastonato nella chiesaconvento<br />

dei domenicani, e poi andiamo alla pietra dai dodici angoli che è nel basamento<br />

di un palazzo. Qui un montanaro mi vende un collare e una collana fatti con la corda,<br />

discuto il prezzo che è proprio un po’ troppo altino (20 soles), ma con tono mite mi dice: a<br />

parte quello che compri, ho proprio bisogno di questi soldi, dammeli per favore. Va bene,<br />

tieni, buena suerte. Comperiamo poi in una bella e moderna pasticceria tre appetitose<br />

brioches e tre bei pani (2 soles =50 €urocents). In centro incappiamo in una<br />

manifestazione di medici e infermieri che protestano perchè la vaccinazione antivaiolosa<br />

costa troppo cara per un povero, chiedono che sia gratuita. Quindi andiamo a pranzare in<br />

perfieria in un buco schifosetto, menu con sopa e lomo (microscopico)con puré di patate,<br />

un €uro in tre! ma Beniamino non mangia proprio niente, per fortuna abbiamo i panini e le<br />

brioches e ancora qualche quadretto di cioccolato che si mangia in auto. Ci sono lungo la<br />

strada Chicharronerias, il chicharròn è un piatto con pezzettini di maiale, o di pollo, in un<br />

sughetto, con riso e patate lesse. Comunque in un paesino appena fuori città, ci fermiamo<br />

a comprare in un negozietto un casco di undici bananitas chiquitas, 1 Sol ! Via verso<br />

Abancay, sono 200 km asfaltati; là ci fermeremo a dormire e poi domattina ci aspetta un<br />

magnifico lungo viaggio di nuovo su per la cordigliera sugli altipiani per andare al nostro<br />

prossimo obiettivo: vedere il grande Parco Naturale di Pampas Galeras.<br />

Ripassiamo da Hurawasi, o Curahuasi (huasi= casa), capitale mondiale dell’ anìs , e del<br />

finocchio e della liquerizia e della linasa, quest’ultima fa bene ai riñones e al higado<br />

(=fegato). Vendono anche un miele all’anisette che è buonissimo. Ricetta per la linasa: far<br />

bollire un litro d’acqua e poi versarci due cucchiaini, al gusto, e fare una tisana, filtrare e<br />

servire col miele, si può bere caldo o freddo. In certe zone con bei fiumi o torrenti ricchi di<br />

truchas (=trote), o altro pesce, ci sono le Cebicherias cioè posti dove servono il pesce<br />

fresco crudo, “cotto” solo nel limone e sale (en cebiche). Di nuovo ogni tanto si vedono<br />

certi animali selvatici; all’andata, proprio <strong>sulle</strong> alture tra Ayacucho e Andahuaylas avevamo<br />

incontrato una bella volpe grossa (el zorro) con la codona fulva.<br />

Ad Abancay scegliamo un buon albergo. L’ Hotel de Turistas, vecchiotto, lo stanno<br />

ridipingendo, ma ha un ambiente primi anni sessanta. Nonostante ciò, l’acqua calda non<br />

viene, poi viene bollente, la finestra non si chiude, eccetera; però le chicas sciocchine de<br />

la reception fanno tutta la scena, e poi tra loro pensano solo a ridere. Ad es ti dicono al<br />

citofono: salgo subito io stessa ad aprirle la manopola dell’acqua calda; l’aspettiamo, ma<br />

non si è mai vista. Il gestore è molto ossequioso e sfodera due paroline in italiano. Ci<br />

offrono due Pisco Sour, ma siamo a stomaco vuoto e stanchi, così quando nel giardino<br />

dove ci siamo seduti e abbiamo chiesto un mate de coca e il cameriere ci dice prima di<br />

andare “permisito”, mi fa scoppiare dal ridere.<br />

Ci intratteniamo al bar con il barman (non sappiamo che fare d’altro) che ci mostra vini e<br />

alcoholici di qui: Caña Miel (grappa di canna da zucchero con miele di canna cioè<br />

melassa), Hidromiel, Crema de Menta, Cañazo, Anìs. Poi ci parla della tradiciòn<br />

Apurimeña (della zona del rio Apurìmac), e ci fa ascoltare delle canzoni. Brava la cantante<br />

Nancy Manchego di Abancay (ballate tradizionali). Di Roxana Gutierrez di Andahwaylas,<br />

che ha una bellissima voce, mi piace una canzone in quechua Chullalla Sarachamanta,<br />

dedicata a quelli che si stanno innamorando, e che mangiano già dalla stessa (chullalla<br />

=una sola) pannocchia (=sarachamanta); quando poi non saranno più così innamorati,


mangeranno da pannocchie proprie, o con chi le condivideranno ? Un’altra canzone di cui<br />

ho chiesto spiegazioni è Chaska Lucero: dedicata a una luminosa stella (Venere?)che<br />

sorge alle quattro, e lui dice: quando vieni io vado, cioè aspetto che sorgi per partire,<br />

poichè non avendo l’orologio ci si regola <strong>sulle</strong> stelle per sapere quando mettersi in viaggio,<br />

sapendo il tempo del percorso. Un cantante uomo è Luìs Ayvar Alfaro, della Sierra, mi è<br />

piaciuta Yanañawi : canzone dedicata a las mujeres que sacan la vuelta, alle donne che<br />

stanno anche con un altro. Dice lui: sì percepisco che il cuore è con me, ma anche che il<br />

pensiero va all’altro... Poi c’è una canzone dedicata a las lunarejas, a quelle ragazze che si<br />

mettono per vezzo un piccolo neo finto (detto Luna nera). Poi mi piace il CD di canti<br />

folkloristici, di quelli che si cantano durante le fiestas, che avevo già sentito a Chinchero.<br />

Sono copie, ne prendo cinque, me li vende a un €uro e venti l’uno. Poi lui ne comprerà<br />

un’altra copia; li ordina a Lima e entro un paio di settimane gli arrivano. Usciamo, nella<br />

botica “San Carlo” compro 20 pastillas de maca andina per dieci soles (chissà cosa<br />

penserò dopo un ciclo di questo stimolatore cerebrale...!). Giriamo un po’ per la città, ma<br />

che squallore. A cena finalmente mangio pasta fresca (= avogado appena còlto) con uova<br />

sode, maionese, papas lesse, piselli e carotine. Poi pollo all’arancia con pezzetti di frutta<br />

tropicale.<br />

sàbado 24 de abril<br />

Al mattino presto si parte. Paghiamo per la doppia con bagno, colazione e cena, e<br />

rimessa dell’auto, 50€. Paghiamo poi anche per Lino, che è andato nel vicino Hotel<br />

Imperial a due stelle (35 soles), e a cena al restaurant “Diomar” (5 soles), totale dieci €uro.<br />

Intanto che si va, Lino ci dice come si fa il chicharròn con il chancho, ma ora già non lo<br />

ricordo più... Bisogna stare attenti alla diversiòn (=bivio) vicino al ponte. Zona inestable.<br />

Peligro. Desminuia su velocidad. E’ tutto così, il fondo stradale cede, si inclina... Chontay,<br />

Lucuchanga, tutto giù, in fondo valle. Accopampa, agavi, cactus vari, eucalipti di tipi<br />

differenti, Itucunga, Puerto Banano, Yacca, canneti, palme. Bisogna prestare costante<br />

attenzione alla strada e non correre perchè essendo sempre vuota, libera, c’è gente che<br />

sta lì in mezzo, biciclette, camionetas ferme, gente più o meno sul bordo che cammina e<br />

cammina e cammina, e poi al solito, animali, animali, animali. Huirahuacho, Casinchihua,<br />

Anta bamba. Non c’è proprio assolutamente nessun veicolo per un lunghissimo tratto.<br />

Fiori, bianchi, gialli, tipo orchidee, farfallette, uccellini che si infilano nei loro buchini nel<br />

terriccio lungo il bordo, cactus, cactus. Tante volte passiamo la sbarra del pedaggio aperta<br />

perchè l’autopista asfaltata si paga salendo ma non scendendo... Chacoche, Chalhuani,<br />

Pichirna. “gracias Señor Presidente para el asfaltado de esta carretera !” Tutti hanno sul<br />

tetto delle case qualcosina, o i due piccoli tori neri, o girandole, o nastrini, o altro.<br />

Ora invece siamo tutti fermi per chissà quanto: “se ha derrumbado el costado y hay<br />

maquinas trabajando” . La strada, l’unica per attraversare la cordigliera e andare poi verso<br />

la costa, è bloccata da uno smottamento di una grandissima quantità di terreno. Dopo tre<br />

quarti d’ora dal nostro arrivo, fanno passare quelli dall’altra direzione, e così si<br />

determinano delle vibrazioni che fan cadere altri massi. Per fortuna gli ultimi sono sfilati via<br />

indenni per un pelo. Si ricomincia dunque. Qui tutto frana in ogni momento. E così si<br />

formano code anche di 5 / 6 mezzi, che stan ferme un’ora, due ore. Intanto Lino ne<br />

approfitta per cambiare il filtro, che era sporchissimo di terra, polvere, accumulatasi<br />

durante il viaggio. Eccoci ora a Chalhuanca (= Señor de Huanca), c’è un tizio a cavallo<br />

proprio in mezzo alla strada. Facciamo <strong>10</strong>0 soles di gasolina e prendiamo poi giù per la<br />

32 lungo il rio Apurìmac.<br />

Intanto ascoltiamo i miei CD. Ima? =quien?, chi?, curqui =paloma, colomba, yaqui =pena,<br />

waqan =llorar, piangere, sunqo=corazòn, cuore, chaina =asì es, così è, chullalla =uno


solo.“Me conformo a tu amor porqué fué la primera en este pecado tàn lindo; me<br />

conformo amor por averte querido, no me arrepento de este pecado. Que seas felìz<br />

donde vayas !”.<br />

Giunti al Puente de Condorcarca si incomincia a salire, e salire, e salire. Ecco che il CD è<br />

finito e noi siamo già a 4000 metri, ed è di nuovo cambiato il mondo. Ogni tanto ci sono<br />

pietre piatte una sopra l’altra, sono un segnale per l’acqua.<br />

Già siamo nella zona di interesse naturalistico di Pampas Galeras. Ci sono molti alpàquas<br />

sulla puna (=flora della steppa, della pampa d’altura). Eccoci al passo Abra Iscahuaca.<br />

Muretti di recinto, due capanne nel llano infinito, a quattromila metri, a contatto col cielo,<br />

vivono qui solo loro, nell’aria purissima, nel silenzio... su in alto, con il vento fresco sempre<br />

sul volto e il sole fortissimo. “Menaje con cuidado: cruce de animales”. Avevamo<br />

incontrato due carros, due fuoristrada, di viaggiatori europei, tra Pampamarca e<br />

Huayrhuma, che avevano perso di vista gli altri due dei loro amici che erano più indietro e<br />

forse hanno girato a sinistra ad un bivio. Siccome non hanno incontrato sin’ora nessuno, ci<br />

fermano e chiedono a Lino, che li rassicura che l’altra strada che quelli hanno preso è solo<br />

più lunga e più vecchia, quindi piena di buche, ma poi si ricongiungerà con questa più<br />

avanti. Siamo a Quillcaccasa (ccasa =roca) a 4200 m. Gente di una semplicità estrema.<br />

Vivono di latte, formaggi (e carne ?), non ci sono nemmeno le patate o le verdure. Eccoci<br />

a Huaraccoyocc, 4300m. Si vedono a perdita d’occhio migliaia di alpaca e di llama. Ci<br />

taglia la strada una vizcaccha, che è una grossa marmotta-scoiattolone abbastanza rara.<br />

Ora se ne sta immobile, Ben non riesce a distinguerla, io la individuo e le faccio una foto.<br />

Ma alla curva dopo, ce ne sono parecchie. Ci sono pure i guanàcos (o huanacos). Ora<br />

incontriamo anche un gruppetto di quattro/cinque vicuñas (=vigogne), bestiole delicate e in<br />

pericolo di estinzione per colpa di bracconieri che le uccidevano e vendevano il pregiato<br />

pelo a prezzi altissimi. Ora tutte le vigogne appartengono allo Stato che le protegge. I<br />

gruppi sono composti solo di femmine e di piccoli, e temporaneamente di un solo<br />

maschio. Quando un figlio maschio cresce, viene cacciato, o comunque se ne va in cerca<br />

di una femmina.<br />

Qui i panorami vastissimi sono di una bellezza e di un fascino mozzafiato (ma<br />

letteralmente, essendo sui 4300 m.). Si vede in fondo in fondo all’altipiano la nostra strada<br />

come una serpentina bianca. Stupendo il laghetto al desvìo per Pampachiri. “Maneje con<br />

cuidado”. Altro gruppetto di 4/5 vicuñas tra sassi, licheni, muschio. “No deje obstaculos<br />

sobre pista”, e in effetti ogni tanto c’è qualcosa lì in mezzo alla strada, e lo si vede solo<br />

all’ultimo momento all’improvviso. “Proteje nuestra carretera”. Lino ferma una camioneta<br />

che sta passando nell’altra direzione per dir loro di quei tizi che si sono divisi dagli amici<br />

prendendo la carretera mala. Al villaggino di Negro Mayo c’è un Puesto de Salùd. “No<br />

contamine el medio ambiente”. Montagne di gesso bianco... Ora per un certo lungo tratto<br />

c’è una rete lungo la strada perchè gli animali non vengano giù o non si perdano. Le<br />

vigogne sono selvagge e hanno paura di tutto e fanno scatti improvvisi correndo per un<br />

lungo tratto. (vigogne e guanacos sono selvatici, mentre lama e alpaca sono<br />

addomisticati/bili).<br />

Ora per amplissimi tratti, per una grande estensione di kmq. è tutto spopolato, senza un<br />

essere umano. Ci sono dei laghetti limpidissimi che si fronteggiano uno a destra e l’altro a<br />

sinistra della strada. Ci sono sulla riva dei Pariguana, un uccello grande, e dei wayata, dei<br />

paperotti particolari. La pariguana è considerata simbolo del Paese perchè è bianca, ma<br />

quando si alza in volo mostra la parte interna delle grandi ali, che è rossa, e la bandiera<br />

peruana è appunto rossa, bianca, e rossa.<br />

Ma come si potrebbe descrivere con le sole parole o anche con l’aiuto di una foto, che<br />

non è che un rettangolo, un panorama infinito come questo? Come dire la sensazione del


sentirsi dentro nel paesaggio della Terra primordiale? In questa landa, così, nella sua<br />

bellezza, semplice quanto sublime, allo stato puro. Con le mandrie di alpacas, con le<br />

vicuñas, che vagano nel loro mondo, e gli uccelli, e le nuvole che corrono e si rincorrono<br />

continuamente, liberamente, e a sfondo del teatro immenso, la cordigliera con i ghiacciai<br />

immacolati scintillanti, e sparsi qua e là laghi azzurrissimi.<br />

Ecco anche qui un altro stagno con dietro le montagne, mi ricorda i panorami iniziali di<br />

“Duemila -Odissea nello spazio”, qui a 4300 metri, con le canzoni in quechua che<br />

risuonano con quella lingua che pare antica, arcaica (in origine era l’antica lingua sacra dei<br />

nobili inca, Runa Simi ).<br />

Ma ora iniziamo la digradante discesa. Ricominciano a vedersi capre, pecore, cavalli. La<br />

canzone del CD intanto grida: “Andahuaylino te quiero. No me deshechas el corazòn!”<br />

anche in quechua. Lino dice che i tumuli di pietre piatte una sopra l’altra non sono altro che<br />

punti di riferimento, nella nebbia, nell’oscurità, e anche sono rassicuranti perchè sembrano<br />

a volte delle figurine umane quando c’è poca visibilità...Mah. ecco di nuovo i fiori, e gli<br />

alberi, “Proteje nuestra flora !” , e le vacche e i tori. E’ tutt’un’altra bellezza rispetto a quella<br />

spoglia, essenziale, nuda, dell’ altipiano. Al Puente Yanahuecce, c’era di fianco un antico<br />

ponte di pietre. Ma ora ci dirigiamo verso el pueblado màs grande della zona, che è Puqio<br />

(=sorgente, fonte), per andare a mangiare. Su un camion una scritta che inneggia alla<br />

Virgen de las Nieves, dice che lei è la PachaMama. Alla fermata delle corriere vediamo<br />

che dal portabagagli nello sportello che i pullman hanno sotto, tirano fuori degli alpacas<br />

sdraiati che ci stavano giusti-giusti, facendoli scivolare sul pavimento di metallo tirandoli<br />

per il folto pelo. Qui nel comedor dove ci siamo fermati, che ci sembra il più accettabile,<br />

c’è alla parete la lista dei prezzi del Rico Pollo “Sarita”: 1 pollo arrosto- 21 soles, 1/2 pollo<br />

-11.50, 1/4 di pollo -6 soles, 1/8 di pollo - 2.99 soles, più le papas.<br />

Fino a dieci/dodici anni fa qui c’era “Sendero Luminoso” che requisiva tutti i giovani che<br />

incontrava. Allora alle 5 e mezza/ 6 di sera tutti si barricavano in casa. Ma entravano lo<br />

stesso nelle case con le armi spianate. Li portavano via, lontano, e quelli non sapevano<br />

tornare, o non potevano, e poi col tempo si abituavano al brigantaggio, cioè a dover<br />

vivere di requisizioni, e a farsi mantenere dai vari villaggi. Comunque allora quasi tutte le<br />

famiglie appena potevano mandavano di giorno i figli su una corriera per una destinazione<br />

qualsiasi giù sulla costa. E col tramonto tutto il paese era assolutamente deserto, buio e<br />

silenzioso, quando scendevano dai monti quelli delle bande senderiste. Si raccontano<br />

molte storie su quegli anni della guerra sucia (sporca guerra), non solo sui senderisti che<br />

scendevano in paese, ma anche di quando venivano su i militari dell’esercito appoggiati da<br />

elicotteri. Ma chi me lo dice non ha nessuna voglia di ricordarle, e i giovani di oggi<br />

sembrano più interessati alle nuove T-shirt sintetiche che ci sono al mercatino con i nomi<br />

dei calciatori.<br />

Nel “cortile” di terra polverosa là di fronte c’è una baracchina di lamiera con scritto “se<br />

alquila baño” (letteralmente: si affitta bagno, che si potrebbe rendere con: gabinetto a<br />

pagamento). Come su tutte le strade andine i camion, come già detto, in salita hanno i<br />

motori che fumano (letteralmente), e in discesa invece i freni che fumano (letteralmente).<br />

La sera quando arrivano qui i camionisti, pagando, posteggiano nel cortile i loro grandi<br />

trucks, e sistemano motore o freni, cambiano i pezzi, aggiungono olio, liquido di<br />

raffreddamento, mangiano le tortillas che offrono gli ambulanti, e finalmente quando<br />

chiudono il “portone” del recinto, ormai distrutti, dormono nei loro camion, ma devono<br />

pagare ancora per andare al cesso.<br />

Riprendiamo. Ci sono tante mucche e vitelli; un giorno mi era toccato scendere per<br />

smuovere dal centro della strada una che se ne stava lì seduta. A Lucanas (nella cartina<br />

stradale in quei territori in cui non c’è praticamente nulla segnano anche dei villaggettini


piccoli-piccoli) c’è invece un poveraccio che sta proprio in mezzo alla strada, è fatto cotto<br />

e prende un po’ di energia dal Sole.<br />

Anche questo altipiano è vastissimo. Laggiù in fondo c’è una miniera, Minas Canarias.<br />

Ecco ora un’altra riserva naturale di vigogne. Questa è comunale. Ci sono vecchie scritte<br />

sui muri dell’edificio degli uffici che invitavano al paro vicuñero (=allo sciopero dei<br />

lavoratori della riserva per vigogne). Abbiamo visto morto in mezzo alla strada un sorrino,<br />

una specie di formichiere.<br />

Lasciamo l’area dei pascoli, oramai la puna cede il posto a un cañon deserto arido. Sul<br />

ciglio della strada ogni tanto ci sono croci per ricordare automezzi caduti nel cañon,<br />

perchè ci sono tante curve strette e la discesa è ripida, e dunque rapida. E poi vanno svelti<br />

perchè tanto non c’è mai nessuno, oppure perchè man mano cedono i freni, oppure per<br />

risparmiare gasolina mettono in folle, oppure scoppiano le gomme perchè vecchie e<br />

crepate e per lo sbalzo di temperatura, oppure cadono perchè non c’è mai un guardrail<br />

(d’altronde rarissimo in generale anche <strong>sulle</strong> statali importanti di lunga percorrenza).<br />

Insomma abbiamo cambiato mondo, ora siamo in un deserto di terra secca e sassi,<br />

qualche rovo, qualche raro cactus. Deserto vastissimo: Ogni tantissimo c’è un micro<br />

villaggino di quattro casupole di lamiera, dove si fermano i trucks, come Huallhua, posto<br />

fantasma. Qui ci sono i cercatori abusivi d’oro e d’argento.Vanno alla ricerca di qualche<br />

mitica mina inca, di cui si favoleggia in qualche leggenda. Oppure in certi posti dove fanno<br />

buche di sondaggio e magari trovano qualche sparuta spolverata luccicante. Si vedono<br />

chiaramente vari sentierini, e anche aperture nella roccia. Sbriciolano concrezioni e poi si<br />

portano a casa questo terriccio e lo setacciano e lo passano su una pietra circolare con un<br />

legnetto messo di sotto in modo che oscilli e passano il tutto con acqua. E magari qualche<br />

rara volta ci scappa pure un grammo d’oro vero. Poi c’è il fortunato che trova una piccola<br />

pepita (dovrebbe portarla a casa mia dal mio cagnetto Pepito).<br />

Dopo molta polvere, molta strada, molti sassi, arriviamo infine alla baraccopoli che è il<br />

capoluogo di questo Far West, la famosa Nazca, un buco di posto immerso nella polvere<br />

e strapieno di gente per via delle miniere, di quel che dicevo prima, e del turismo che viene<br />

a vedere (come noi) le famose “linee” di Nazca. Qui non c’è nulla da fare, nulla da vedere,<br />

nulla da fotografare, nulla che dia motivo per fare due passi, un giretto. I giovani sono ai<br />

bar a vedere la TV, poi c’è quello che deambula per vendere carta igienica, l’altro dei<br />

palloncini, e insomma ognuno spera disperatamente di ricavare la magra cena di stasera.<br />

C’è un angolo della Plaza Mayor con dei televisori pubblici che si possono guardare senza<br />

il pericolo di dover pagare un bicchier d’acqua al bar. In giro per le strade circolano ancora<br />

le vecchie Volkswagen-maggiolino brasiliane vecchie. Perchè dopo che fu dismessa la<br />

linea di montaggio, la portarono in Brasile, ma ora hanno chiuso anche quella. Caos totale<br />

quanto al traffico stradale. Ci sistemiamo in piazza all’Hotel Internacional Las Lineas. Ci<br />

facciamo mettere un ventilatore a piantana alta in camera. Ceniamo al restaurante Josy,<br />

dove madre e figlia sembra siano ex-battone rozzissime che essendo diventate troppo<br />

grasse e avendo fatto su i soldi, si sono ritirate cambiando mestiere. Mangiamo puré (!),<br />

riso, e un bocconcino di carne. Giriamo per il caos comprando degli altri CD musicali,<br />

copie naturalmente, pagando <strong>10</strong> soles per quattro cd. Poi in un negozio di erborista “La<br />

chiclayana”, prendo della maca en polvo solubile, e un pacchetto della cosiddetta “uña de<br />

gata”(=unghia di gatta) che sarebbero dei pezzetti di corteccia di un albero della selva<br />

amazzonica, che vanta delle portentose virtù terapeutiche.<br />

Non si riesce mica a dormire per il gran casino che fanno tutti fino alle 4. Alle 6 poi passa<br />

quello della basura comunale (pattumaio) che a ogni portone suona un campanaccio<br />

perchè gli portino i sacchi da gettare.<br />

domingo 25


All’hotel internacional non aprono il bar ristorante perchè è domenica mattina... Ci dicono<br />

di andare nel bar di fronte dall’altra parte della piazza.<br />

Siamo seduti qui a un tavolino all’aperto, alle sette del mattino in attesa che nel prossimo<br />

futuro ci portino le due colazioni che abbiamo chiesto. Siamo attorniati da ragazzini.<br />

Chiacchiero con loro, uno mi parla della sua cagnetta che ha fatto 5 cuccioli, allora sua<br />

madre ce l’ha su con loro, dice che son vedaderos diablos, che fino a 4 possono anche<br />

essere bravi ma quando sono di più son demonios. L’altro più piccolo fa il lustrascarpe (9<br />

anni?) come tanti altri qui. Vogliono che mi faccia fare il servizio, ma io non gradisco,<br />

allora gli regalo un mozzicone di matita, ed è molto contento perchè mi dice che a lui piace<br />

molto disegnare. Gli faccio fare la punta col mio temperamatite, e questa è una cosa<br />

stupenda per lui e per gli altri che lo osservano. Si tiene anche le “bucce” per poi farle<br />

vedere a qualcuno. Intanto arriva il mio thé (una tazza f’acqua calda e una bustina, e allora<br />

rivolto la bustina e gli dico di farmi vedere cosa sa disegnare su questa parte bianca. E’<br />

molto impegnato, appoggiato alla balaustra, e fa dei piccoli disegni. Intanto arriva la<br />

colazione cioè un uovo fritto, pane e marmellata. Un altro lustrascarpe più piccolo (7<br />

anni?) mi dice che ha fame, allora gli do da finire il bianco del mio uovo, e al disegnatore<br />

che guarda con invidia, gli do un pezzo di pane con la marmellata. Sono eccitati, ma un<br />

richiamo da lontano li fa scappar via, non devono trascurare il loro lavoro.<br />

Arriva anche Lino, che prende pane e formaggio. Carichiamo il carro, paghiamo 50 soles<br />

(camera doppia con bagno e ventilatore), e Lino che era all’ Hostal internacional Lorenma<br />

con cochera para el carro, 25 soles, e ha mangiato alla polleria La Cabaña - pollos<br />

gigantes a la brasa (beato lui) e bevuto una gaseosa da mezzo litro, 6,50 soles. Andiamo<br />

all’areoporto delle avionetas, dove gli uomini delle varie compagnie concorrenti ci<br />

assaltano letteralmente. Prendiamo “Aero Taxi”, il pilota si chiama Amerìgo, come<br />

Vespucci. Voliamo in tre (c’è un ragazzo irlandese). Interessantissimo, ho avuto un poco<br />

de trastornos y de mareo (=disturbi e un po’ nauseato) per tutte le continue giravolte che fa<br />

per farti vedere i disegni e le linee. Trenta minuti, 30$ dollari a testa.<br />

Torniamo al carro (un ragazzini mi dice che ha bisogno di una penna per la scuola che è<br />

appena incominciata. ne ho due gliene do una), ripassiamo dal nostro albergo in città<br />

perchè ho dimenticato l’unica cannottiera che avevo, se no ho solo magliette da sotto a<br />

mezze maniche, ma ora fa troppo caldo. Naturalmente è già scomparsa, e si attribuisce la<br />

colpa alle donne delle pulizie che sono già andate via. Uscendo incontro di nuovo il<br />

ragazzino di stamane, vorrei dargli qualcosa ma Lino dice che dobbiamo partire subito se<br />

no rischiamo di arrivare tardi. Nella fretta gli do dal finestrino la confezione col fazzolettino<br />

rinfrescante che han dato sul volo Iberia, ma lui non sa cosa sia e che farsene, intanto Lino<br />

riparte. Andiamo sulla Panamericana e ci fermiamo a visitare il museo intitolato a Maria<br />

Reiche.<br />

Questa sarebbe poi la sua casa che si costruì vicino alle “sue” linee. Qui ci sono due<br />

hermanitas de 6 y 5 añitos, y ellas yà lo saben todo, y me cuentan de la Señora che<br />

girava per Nazca in bicicletta negli anni cinquanta, e andava da sola verso il deserto, e tutti<br />

la chiamavano la loca, la pazza. Un giorno che il presidente del Perù era in questa<br />

cittadina di minatori, l’ha voluta incontrare e l’ha ascoltata, allora le ha preso una camera<br />

con bagno proprio nel nostro albergo (che allora era un posto pulcioso), che lo stato le<br />

avrebbe pagato fintanto che avesse voluto restarci. E ci restò finchè un contadino non le<br />

mise a disposizione una casetta abbandonata senza acqua nè luce, ma che era proprio<br />

sull’area delle linee. Forse si era impietosito a vedere che questa donna se ne stava sotto<br />

il sole tutto il giorno chinata a ripulire e spazzare con una scopa queste assurde righe per<br />

terra, con gran fatica poichè soffriva di artrite acuta e aveva perso il dito medio della<br />

destra. Poi sua sorella dalla Germania le ha spedito per nave un regalo: un pullmino


Volkswagen, e poi dopo qualche anno che lei scriveva a varie riviste e istituzioni di queste<br />

tracce nel deserto -che aveva osservato a lungo e che oramai conosceva tutte assai bene-<br />

, e della loro importanza archeologica, si convinse a venire qua anche lei, ed è rimasta per<br />

sempre, tanto che è morta poco dopo di lei nel ‘99. Maria teneva un alpaca con sè, che è<br />

quella che è ancora qui e sta con la sua piccola nel cortile. La casa museo è mantenuta da<br />

una Fondazione e da qualche finanziamento che Dresda, la sua città natale, ha deciso di<br />

inviare per ricordare questa sua cittadina ora famosa. Si innamorò delle linee quando<br />

incontrò Paul Kosok, che le aveva scoperte. Lui venne a Cusco nel ‘39 per un congresso<br />

di americanisti, e disse che venuto per esaminare aspetti della antica cultura nazca, nota<br />

per le sue ceramiche, le sue tombe, e soprattutto per i suoi straordinari tessuti, aveva<br />

rilevato la enigmatica presenza di queste tracce. Lei lo seppe perchè già viveva in Perù, e<br />

si trovava all’epoca a Cusco dove lavorava facendo da governante ai bambini del<br />

consolato tedesco.<br />

Chissà cosa avrà pensato Maria quando la nuova PanAm è passata col suo percorso<br />

d’asfalto attraverso un “rettangolo” nazca....che se ne stava lì indisturbato da forse tremila<br />

anni? Facciamo sosta alla torretta di metallo dall’altra parte della strada, è un mirador<br />

voluto da Maria. Perchè se ci si sale in cima, da lì si possono vedere due bei disegni<br />

tracciati tra i sassi (l’albero della vita, e le due mani) che se no da terra neanche si<br />

distingue che esistano, e che sono proprio lì a fianco della strada. Su c’è una dell’Istituto<br />

nazionale di cultura, e ora ci sono due turiste giapponesi, e l’impiegata sa qualche parolina<br />

per dare una spiegazione anche a loro. Quando lo stato si rese conto dell’importanza<br />

archeologica di questo deserto, le linee vennero ridenominate geoglifos, e dichiarate<br />

patrimonio culturale della Nazione (e poi dell’Umanità), e decretò inaccessibile al pubblico<br />

la zona, su cui non si sarebbe più potuto camminare; per cui Maria fece costruire questa<br />

struttura metallica perchè le persone potessero venire ad osservare almeno due figure<br />

importanti, che secondo la sua interpretazione sono parte del calendario astronomico dell’<br />

antica civiltà che fiorì proprio in questo pianoro arido, a seicento metri sul livello<br />

dell’oceano pacifico, tra il <strong>10</strong>00 avanti Cristo e il 600 circa dopo C. Ormai le figure sono<br />

note in tutto il mondo, ed è la fortuna di Nazca, specialmente ora che le miniere che<br />

c’erano non sono più redditizie, perchè attirano visitatori da tutto il mondo. Non c’è giro<br />

turistico del Perù che non contempli un passaggio per Nazca. E così questa cittaduzza<br />

che fino a pochi decenni fa era l’ultimo avamposto alle soglie del nulla, luogo di incontro di<br />

avventurieri masnadieri da far West, ora pullula di alberghi, pullman dei tours turistici, e<br />

all’areoporto un sacco di agenzie con una o due avionetas fanno i soldi solo perchè fanno<br />

vedere le linee dall’alto...E in effetti è spettacolo affascinante vedere l’omino che saluta, la<br />

scimmia, il ragno, il pesce, il colibrì, il condor, tutti disegni perfetti e molto suggestivi ma<br />

talmente grandi che si possono apprezzare solo guardandoli dall’alto, e qui non c’è nessun<br />

altro modo di vederli dall’alto se non l’aereo.<br />

Viaggiamo spediti per la panamericana, obiettivo il villaggio di Ocucaje poco prima di Ica.<br />

Traversiamo il Rio Grande a Palpa e in mezzo a questo deserto si stende una valle verde.<br />

Palme, fiori, frutta, e ai lati e in fondo il deserto di pietre roventi... Molti hanno il loro sitio<br />

de trabajo, el almacén, la tienda, in capanne di paglia intrecciata. Torniamo ad attraversare<br />

il deserto. A volte ci sono “cubabitacoli” sparsi nella polvere: quello sarebbe un pueblado...<br />

Ancora viaggiamo nel nulla, sassi, sabbia, montagne prive di vita arse dal sole, e un nastro<br />

di asfalto diritto di fronte, che Lino lanciatissimo percorre a 90 all’ora. Intanto ci ascoltiamo<br />

la musica dei cd comprati a Nazca a 70 €urocents l’uno. Davanti la landa piatta e beige<br />

fino all’orizzonte, ovvero fin dove la vista si perde nella foschia calda, sempre uguale. Ci<br />

addormentiamo nel lunghissimo rettilineo al sole.....e Lino passa oltre Ocucaje. Ci<br />

svegliamo per un sobbalzo, si vedono cactus che sembra abbiano due braccia, come dei<br />

crocefissi, e un cartello dà Ica a qualche kilometro. A Beniamino dispiace molto. Alla


periferia di Ica chiediamo informazioni a uno della polizia, perchè Lino dice che<br />

l’indicazione Ocucaje lui non l’ha mai vista. Torniamo indietro. Eucaliplti, palme, datteri. La<br />

scritta “el 12 de mayo huelga general de los profesores” (sciopero degli insegnanti).<br />

Rallentiamo, si è formato uno straterello sottile di sabbia sull’asfalto. Qui c’è la stradina<br />

laterale che va a Ocucaje, ed eccoci dopo un tratto di polvere nella polvere. E’ un nonposto,<br />

con cubabitacoli di poveracci sparpagliati qua e là nella sabbia, apparentemente<br />

senza strade, negozi, nulla, solo polvere. E in mezzo a questo ambiente allucinatorio, c’è<br />

un’oasi di verde che è un Hotel-residence della Rubi Tours - Sun and Wine Resort,<br />

immerso in un boschetto, che era appartenuto ad una finca, una fattoria recintata<br />

grandissima, con azienda vinicola. Ci aprono un portone, entriamo e posteggiamo, e poi ci<br />

addentriamo a piedi nel fresco, tra casette, villette sparse nel prato e tra alberoni, con<br />

uccellini tropicali, e a mo’ di statue decorative tra i vialetti ci sono scheletri fossili di balene<br />

e di cetacei antichissimi. Infine si giunge alla grande piscina con famigliole, bimbi che si<br />

tuffano, e un bel ristorante all’aperto sotto le frasche. Dopo esserci riposati e rinfrancati al<br />

lato della piscina, mangiando benissimo tra gli uccellini dal petto rosso, con primo,<br />

secondo, contorno, bevande, birra, torta, caffé, spendendo 35€ per tre, andiamo verso<br />

l’uscita. Qui scambiamo due parole con un impiegato che sta mettendo su una collezione<br />

di fossili con cui poi vuole aprire un museo dentro all’Hotel. Ci dice che questa zona è in<br />

effetti il giacimento di fossili marini più grande del mondo, e che per i cetacei solo in Italia<br />

se ne trovano di migliore qualità. Ci mostra un delfino, una balenottera, e una testa di<br />

balena, di 25 milioni di anni fa circa. Bellissimi pezzi che lui va a tirare fuori dalla sabbia,<br />

perchè dice che nel Miocene il livello dell’oceano arrivava sino alla costa delle montagne<br />

che ora sono sull’orizzonte. Poi usciamo e subito ci ritroviamo nel non-luogo con casupole<br />

spapagliate a distanza, per cercare una casupola in mezzo alla sabbia polverosa, dove sta<br />

uno da cui Ben aveva comperato dei pezzi interessanti due anni fa. Chiediamo, ma la<br />

signora è reticente e vaga, poi dopo si viene a sapere che è sua sorella. Questo tipo tira<br />

fuori col contagocce vari oggetti, mandando il figlio nell’altra casa a prenderne uno per<br />

uno. Alla fine ci vende delle belle repliche di statuine della cultura nazca. La contrattazione<br />

è lenta, e nel cubabitacolo c’è un soffoco terribile, ogni tanto esco a rivedere il sole; la<br />

sorella è all’ombra della casetta accanto con le sue amiche. Una inizialmente scappa e si<br />

nasconde. Mi chiede se abbiamo da darle da bere, perchè loro tre si divertono a trovarsi a<br />

chiacchierare e intanto a bere in compagnia. Il tizio ci fa vedere varie cose, ora si è un po’<br />

più sciolto. Varie frecce, denti di tiburòn (=pescecane grande). E’ un furbastro,<br />

chiaramente uno scavatore clandestino, un huaquero, però ha un gran bisogno di soldi.<br />

Rifacciamo ora per la terza volta la strada per Ica, ormai piena di sabbia che proviene da<br />

una duna enorme che incombe su un lato della carretera. A Ica la casa-museo con la<br />

collezione del dottor Cabrera, ora morto, è chiusa. Ce ne andiamo verso Pisco. L’ultimo<br />

nostro obiettivo: visitare la riserva nazionale di Paracas e l’arcipelago delle isole Ballestas<br />

che sono un parco naturale marino di grande interesse.<br />

C’è un albero, l’algarrobo, che produce un succo, l’algarrobina, ricco di vitamine; dunque si<br />

fa un frullato con cerveza negra, huevo, miel de abeja, un guto de leche, azùcar, y<br />

algarrobina (birra scura, uovo, miele d’api, una goccia di latte, zucchero, e appunto<br />

algarrobina), molto stimolante.<br />

Lungo il bordo destro è penoso vedere queste baraccopoli, perchè non sono nemmeno<br />

casupole, baracche, anzi in molti casi si dovrebbe dire addirittura capannopoli poichè son<br />

fatte di frasche e paglia intrecciate. A sinistra solo sabbia. L’autopista è tutta diritta verso il<br />

sole a ponente. Sono di certo migliaia i kmq di deserto. E’ un altro Mondo. Qui nella parte<br />

desertica ci sono gli uomini del territorio di sassi, e quelli del mondo di sabbia e polvere,<br />

che è ovunque nell’aria, vola in cielo, entra nelle case, come nell’auto, ma anche nel naso e<br />

negli occhi.


Annoto ancora quel che vedo dal finestrino. Playa Vivero, cioè spiazzo per vivaio; Fundo<br />

Señorita Ana, oppure Clarita; Vivenda Agricula. Pueblados improbabili ogni tanto<br />

affiorano. Ci sono recinzioni assurde di un pezzo di niente, che viene separato dal resto<br />

da cui non si distingue.<br />

Schizzano nell’altra direzione pullman di lunga percorrenza, o internazionali, a gruppi di 3,<br />

4, partiti forse alla stessa ora da Lima, ma che inseguono destini, e/o destinazioni,<br />

differenti. La PanAm in realtà (a parte nelle vicinanze della capitale) è come una nostra<br />

statale, ma con due corsie proprio giuste giuste, e due rispettive “spalle” d’emergenza, in<br />

terra, quasi equivalenti. Le capanne di paglia intrecciata sembrano quelle “casette” che si<br />

fanno con le carte da gioco. Si appoggiano quattro rettangoli come pareti, e si copre di<br />

sopra. Col vento poi un po’ si piegano da un lato...<br />

Ora però cominciano a comparire gruppi di palme radunati come a ciuffi e sparpagliati.<br />

Ma, ecco il mare, cioè l’Oceano Pacifico !<br />

Eccoci già sistemati in un alberghetto grazioso, pulito, moderno, come se ne trovano da<br />

noi. Siamo nel golfo del promontorio di Paracas, al porticciolo di El Chaco. Facciamo una<br />

passeggiata sul nuovo Paseo Marìtimo, aria salsa, ossigeno, spiaggia, il golfo quasi<br />

circolare, con una isoletta sull’orizzonte. Torniamo verso l’albergo e incontriamo sulla sua<br />

porta di casa una signora che ha un pinguino baby in braccio ! dice che è il loro animaletto<br />

domestico, e intanto gli carezza la testa mentre lui guarda. Siamo esterefatti. Poi poco<br />

dopo ri -usciamo per andare sul molo ad ammirare uno stupefacente tramonto, con colori<br />

incredibili, con i grossi gabbiani che volano. E’ bellissimo non è vero? ci chiede la gentile e<br />

graziosa giovane signora che serve ai tavoli di uno dei bar-ristorantini lungo la<br />

passeggiata. Chiacchieriamo con lei, si chiama Isabel, è molto discreta e dolce. Intanto<br />

sgranocchiamo las canchitas, da cancho, cioè i grani di mais che tutti magiano mentre<br />

stanno ai tavoli bevendo cerveza o pisco. Ci parla dei vari cibi, bevande o prodotti naturali<br />

qui molto usati. Il cosiddetto sangre de grado, che è un calmante, la sàbila, que es un<br />

unguento que limpia las pulmones, oppure di una hoja que se pela y se corta para tomar,<br />

ecc.<br />

Mangiamo un pesce con riso, poi facciamo nuovamente due passi sino in fondo al<br />

lungomare, e lì ci attaccano discorso due ragazze carine, gentili, ben vestite, educate,<br />

simpatiche. Scherziamo un po’ e chiaccheriamo dell’Italia di cui son molto curiose di<br />

sapere. Poi facciamo delle foto e combiniamo di incontrarci domani sera e cenare<br />

assieme, perchè ora loro debbono tornare a Pisco la città vicina dove abitano. Torniamo<br />

all’albergo e mentre io vado un attimo in camera e Ben si ferma al bar dell’albergo ad<br />

aspettarmi, viene abbordato e travolto da due scatenate, una un po’ rozza e grezza, l’altra<br />

eccitatissima perchè ha bevuto un po’. Ritorno che ha ordinato due cocktail Cuba Libre per<br />

loro, e stiamo lì a scherzare e ridere, ma forse il tutto avviene troppo ad alta voce, e<br />

hanno chiamato anche due loro amici che erano da quelle parti, per cui il gestore<br />

dell’albergo dice che è l’orario di chiusura del bar. Ci trasferiamo in uno dei bar-ristorantini<br />

del lungomare. Quella grassa si assenta perchè riceve una chiamata al telefonino, i due<br />

ragazzi sono in Marina, e assediano Ben di domande perchè vogliono imparare delle frasi<br />

d’amore in italiano da dire alle loro fidanzate. L’altra mi si appiccica a parlare e ridere. E’<br />

una ragazzina magrissima, riccia riccia e mulatta (ma più nera che altro) che si chiama<br />

Yennifer (da pronunciare Gennifer) e che ha bevuto un po’ troppo ora che ha ingollato<br />

velocemente il Cuba Libre prima di andare via dall’altro bar. Comunque dice che è il suo<br />

compleanno e vuole festeggiare, poi quando le passerà un po’ l’agitazione mi dirà che<br />

poco fa è morto il suo ragazzo che faceva il camionista. Ha fame, le offro un lomo<br />

saltado, che divora, ma ne lascia un terzo per gli altri, che lo finiscono. Parlano un po’ di<br />

quali siano i difetti degli stranieri che hanno conosciuto, i cileni, che trattano dall’alto in<br />

basso i peruviani, gli argentini che raccontano un sacco di balle, e non so quali altri


sudamericani che non danno confidenza, eccetera. Ridiamo ancora un po’ poi ci<br />

salutiamo. L’amica grezza, che ha finito di parlare al cellulare, dice che dobbiamo<br />

assolutamente dar loro <strong>10</strong> soles per il taxi per ritornare a casa a Pisco. Non ne abbiamo<br />

proprio nessuna intenzione. Ci salutiamo.<br />

Lunes 26 de abril<br />

Al mattino alle sette e mezza come concordato ieri, siamo pronti per partire, avendo già<br />

fatto colazione, e ci avviamo con un marinaio verso il molo, embarcadero flotante (non<br />

muelle), e alle otto siamo partiti in una lancia per 18 persone, tutti con chaleco salvavida,<br />

in direzione delle isole Ballestas (35 soles a testa). Già appena un po’ fuori ci sono diversi<br />

delfini che van dentro e fuori dall’acqua, e tanti uccelli in volo. Dopo poco lungo la costa,<br />

sostiamo per ammirare un enorme graffito che c’è sul pendio del promontorio, il<br />

cosiddetto “candelabro” (per altri un cactus), ma che probabilmente è il simbolo dell’albero<br />

della vita della civiltà Paracas che fiorì in questa area tra il 600 a.C. e il 175 a.C., e fu<br />

scoperta negli aa.Venti. Per cui le civiltà della costa in questa parte del Paese sono quelle<br />

di Nazca, Ica e Paracas. Dunque questo disegno inciso, è alto 150 metri e forse era una<br />

segnalazione per i naviganti in modo che potessero trovare lungo la costa il punto dove<br />

erano i paracas, oppure/o anche, al contrario, un avviso agli stranieri (si dice che vi<br />

fossero contatti con le Tuamotu, o addirittura con i maori) per segnalar loro: questa è la<br />

nostra terra, incontrerete resistenza se volete invadere questo territorio. Fattostà che<br />

questo enorme graffito è lì da un bel po’ di secoli e non si è insabbiato e coperto; la guida<br />

sulla barca dice che nemmeno ora nessuno fa manutenzione.<br />

Dopodichè arriviamo alle isole Ballestas, che costituiscono la riserva naturale marina. Qui<br />

ci sono una immensa quantità di uccelli, foche, leoni marini, trichechi, ci passano<br />

periodicamente delle orche marine, e vari tipi di gabbiani, e pellicani, ecc. Inoltre si<br />

possono vedere i pochi esemplari del cosiddetto pinguino di Humboldt, perchè da lui<br />

identificato, che è in pericolo di estinzione, piccolo, sui 60 cm. di altezza, è quello che<br />

avevamo visto in braccio alla signora. Poi ci sono migliaia di cormorani, di sulas (?), delle<br />

specie di gabbianelle nere con la punta del becco rossa, e poi delle specie come di<br />

avvoltoi che mangiano gli uccelli morti. D’altronde anche le orche passano per mangiarsi le<br />

tartarughe, o i trichechi morti. Lo spettacolo è straordinario, gli uccelli sono così tanti da<br />

creare vere e proprie macchie compatte composte da una miriade di individui. C’è anche<br />

tanto plancton in acqua per cui passano di qui balene e balenotteri durante le loro<br />

trasmigazioni. C’è pure una strana stella marina con tanti peduncoli a raggio finissimi. I<br />

leoni marini occupano totalmente una spiaggia di un’isoletta, e lo spettacolo (e<br />

l’accompagnamento sonoro) di quel vero e proprio carnaio, è affascinante; quasi altrettanti<br />

sono i “leoni” e le foche in mare lì davanti, sbattacchiati su e giù dalle onde che fanno<br />

risacca, che vorrebbero ma non possono venire a riva. In una grande grotta a forma di<br />

garganta (=ugola) ci sono in una spiaggia in fondo al buio, e non si vedono, grossi leoni<br />

maschi che gridano, e si crea un rimbombo con un effetto sonoro incredibile.<br />

Ma c’è un altro motivo per cui le isole sono interessanti. Gli uccelli vengono qui a<br />

nidificare, e lasciano una gran quantità di guano. E’ un po’ penoso vedere il lavoro della<br />

raccolta del guano, di cui questo piccolo arcipelago è un grande fornitore (nel 2003, meno<br />

del solito, ne son state raccolte “solo” 12.000 tonnellate annue!). Contiene nitrati, e tutti<br />

quei minerali che stimolano lo sviluppo dei vegetali, quindi (se opportunamente diluito, se<br />

no brucia tutto), è un formidabile fertilizzante.<br />

Eccitatissimi tutti facciamo uno sproposito di foto a raffica. Dopo due ore siamo di<br />

ritorno, e sul giornale leggiamo che proprio ieri mattina si era fatto de repente mare<br />

mosso, e sono caduti in mare una trentina di turisti che erano su queste lancie ! All’inizio<br />

del nostro viaggio ci fu un simile incidente all’arrivo all’areoporto di Lima, per cui a causa di


un forte vento improvviso a raffiche e di vuoti d’aria, circa una cinquantina di passeggeri di<br />

un aereo che stava atterrando risultarono sheckerati nell’abitacolo dell’aereo e rimasero un<br />

po’ feriti.<br />

Andiamo con l’auto in città, a Pisco, per spedire qualche cartolina dall’ufficio postale non<br />

facile da trovare, gironzoliamo qua e là per le vie pedonali molto affollate e calde, cerco<br />

inutilmente di cambiare degli €uro chiedendo praticamente in ogni banca, e infine, come mi<br />

suggerisce il cassiere del Banco de la Naciòn, me li cambia una signora che sta davanti<br />

all’entrata aspettando proprio queste richieste.<br />

Poi torniamo e andiamo nella Reserva Natural che comprende tutta la penisola e la costa<br />

a sud, tutta l’area di interesse archeologico, e naturalistico. Sono sentieri di terra<br />

malmessi, e pian piano li percorriamo guardando il magnifico spettacolo del cosiddetto<br />

deserto ambrato. Qui gli antichi paracas seppellivano in buche (huecos)i loro morti che si<br />

sono come raggrinziti e incartapecoriti, e si sono conservati sin’ora piuttosto bene. Le<br />

donne hanno mantenuto perfettamente i loro capelli lunghi due metri (si dice che dopo la<br />

morte siano anche cresciuti un po’), e gli abiti ottimamente conservati hanno permesso di<br />

conoscere questa straordinaria capacità tecnica dei paracas nell’arte tessile. Tra il 1925 e<br />

il ‘27 vennero alla luce centinaia di tessuti stupendi per i colori e per i complicatissimi<br />

decori, difficilissimi da realizzare, con disegni minuti di differenti sagome e colori. Sono tra<br />

i più raffinati tessuti pre-incaici: ce ne sono qui al museino, a Ica, e poi a Lima.<br />

Procedendo per una pista tutta buche per cinque lunghi kilometri, giungiamo dall’altra parte<br />

dell’istmo, a Lagunillas.<br />

Il doppio golfetto ben riparato dal vento, con le barche dei pescatori, tre-quattro casette<br />

con le trattorie di pesce, sulla bella spiaggetta. E’ incantevole. Anche qui ci avevano visto<br />

arrivare sin da lontano, e ci sono venuti incontro seguendoci poi di fianco all’auto, di corsa,<br />

per reclamizzare il loro ristorantino, poveretti, per forza andremo in uno e gli altri avranno<br />

corso tanto per niente... Andiamo, se mi ricordo bene, da Tìa Pily. Mangiamo un enorme<br />

lenguado a la plancha in due (sogliola alla griglia). Poi Ben si ferma sotto il pergolato a<br />

guardare il panorama e disegna. Io vado in cima alla collinetta, piena di gaviotas, e di<br />

quelli con la punta del becco rossa, che scappano via via che avanzo. Dai due miradores<br />

<strong>sulle</strong> due punte, si gode di una vista amplissima stupenda. Anche Ben viene su e stiamo<br />

con l’aria fresca in faccia, anzi dopo poco è un vento che soffia forte a raffiche,<br />

guardiamo i grossi uccelli che si divertono a star quasi fermi nell’aria per lunghi istanti, e<br />

intanto loro guardano noi, prima di cabrare come in certi cartoni in cui gli uccelli diventano<br />

aerei da caccia, e scomparire velocissimi a ali quasi ferme. Dev’essere un gioco<br />

bellissimo da fare! Sugli scogli di fronte ci sono varie aves e alcuni pinguinini di humboldt.<br />

Poi scendiamo per andare a vedere i pescatori che scaricano grossi granchi, di cui uno<br />

furbo o fortunato, se la svigna di lato e...ricade in acqua. Si sta proprio magnificamente<br />

bene qui, oltretutto come al solito non c’è quasi nessuno. Qui ci si gode la vista, tutto è<br />

spettacolo. Questo è un vero e proprio puerto escondido alla Salvadores.<br />

Ritorniamo a sobbalzi nel deserto sfumato di color ocra, e vediamo nella piccola<br />

insenatura con una salina, alcuni fennicotteri rosa (o sono quei pariguana “della<br />

bandiera”?). Poi grandi gallinazos, come si dice qua, (falchi?) ad ali spiegate volare alti in<br />

cerca di cibo.<br />

Ed eccoci di nuovo nel paesino del Chaco al restaurante sulla Marina, a chiacchierare con<br />

Isabel. Ci racconta che lei tiene un quaderno con gli appunti di quel che gli hanno detto<br />

certi clienti stranieri sui loro paesi o città. Così poi quando c’è qualcuno dello stesso<br />

paese, lo rilegge e fa vedere che lei sa delle cose, e poi lo aggiorna con aggiunte. Le<br />

piace sentire cose di altri paesi. Suo figlio che ha 15 anni è fanatico di Internet e le chiede<br />

sempre soldi per andare a un internet-point. Poi ha una collezione di cartoline da tutto il<br />

mondo, ci chede di mandargliene una da Venezia. Ceniamo con filetto di pesce chita a la


plancha, molto buono, e yucca fritta, che sembra un po’ una patatina fritta a bastoncino<br />

tipo french fries, ma invece è un po’ più dolce e gialla e soprattutto è fibrosa. Buona.<br />

Intanto nel buio arrivano pullman di gente che viene qui per pregare e cantare in un hangar<br />

con su un telone di plastica azzurra, costruito qui di fianco sulla spiaggia con un grande<br />

crocefisso semisdraiato, di quelli con la scaletta. Sì ne avevo già notati, hanno tra il<br />

braccio sinistro e la testa una scaletta messa di traverso a fare un triangolo. E poi il volto<br />

di Cristo è protetto sotto una teca di plastica o vetro. Isabel ci dice che solo alla domenica<br />

la messa si svolge in chiesa. Mi avvicino, li guardo mentre il curato fa la predica, e poi<br />

mentre cantano.<br />

Torno al tavolo, Ben offre a Isabel una sigaretta, le chiedo, ma non l’ho mai vista fumare,<br />

dice che ha accettato solo “porqué no puedo despreciarla”. Beviamo un Pisco Sour, il<br />

pisco è una acquavite molto alcoholica con cui si fa questo coctail, e Beniamino dice che<br />

questo è migliore degli altri che aveva assaggiato. Isabel dice che intanto qui a Pisco il<br />

pisco è della migliore qualità, e poi lo sanno fare meglio, il frullato è fatto bene col bianco<br />

d’uovo che diventa denso, così la pajilla (la cannuccia) può stare ben ferma in piedi.<br />

Dunque il pisco si prepara mettendo un bicchiere nel freezer, poi riempiendolo sino all’orlo.<br />

Quella è la quantità che va nel frullatore; poi ci si mettono due chiare d’uovo, un cucchiaino<br />

di jarabe de cola (uno sciroppo molto denso che fa da agglutinante), due limes spremuti (è<br />

quel limoncino verde acidulo), si frulla, e infine si aggiunge una spolveratina di tabasco<br />

(che è a base di piccoli peperoncini rossi molto piccanti).<br />

Torniamo al nostro albergo, Hostal Chorita, che è una conchiglia.<br />

27 de avrìl<br />

Facciamo una sosta nella cittadina di Chicha in una grande cantina di una azienda<br />

produttrice di vini, che ha sede in un vasto edificio coloniale. Poi andiamo a vedere le<br />

bancarelle che vendono dolcetti e il “vino” di fichi (de higos). Ora stiamo attraversando di<br />

nuovo il deserto, ma questo è un deserto di dune di sabbia, che pure ha i suoi pueblados<br />

di frasche, c’è la bruma dell’oceano assieme alla evaporazione della sabbia umida. Due<br />

grandi uccelli con ampia apertura alare pattugliano il territorio. Sfrecciano TIR con<br />

rimorchio e trucks.<br />

Leggo i cartelli: uno parla di Fundo Agropecuario, un’altro dice “Avicola Sur”, riferendosi<br />

alla proprietà e all’utilizzo dei terreni. Al lado de la carretera ci sono ampi spazi pieni di<br />

basura abbandonata all’aperto. Un altro cartello riferito ad un’ampia zona di nulla recintata,<br />

dice: “Propriedad de la Comunidad Campesina de Chilca” (???).<br />

Poi inizia la stretta fascia costiera coltivata a cotone, e a mais. Paesini e cittadine di uno<br />

squallore e una miseria disperata. In questa zona si vedono i pochi neri peruani,<br />

discendenti dei pochi africani che furono trapiantati qua dagli spagnoli appunto per le<br />

coltivazioni di cotone.<br />

Da qui a Lima la panamericana è come una autostrada delle nostre per circa 150 kilometri.<br />

Solo verso quasi la fine usciamo dalla area desertica. Il nostro ultimissimo sito<br />

archeologico che vogliamo visitare è quasi alle porte della capitale, in un paese che si<br />

chiama Lurìn, dove ci fermiamo a mangiare in un bel ristorante. Qui c’è un cartello appeso<br />

al muro, che dice:<br />

“Señor Jesucristo<br />

Béndice con tu poder èste negocio<br />

lleno de justicia y sabidurìa a su<br />

propretario, que todo lo que aquì se venda<br />

sea para la honra de Diòs y beneficio de la familia.<br />

Deposito en tus benditas manos


el èxito y posibilidad de èste negocio<br />

porqué asì (....................ecc.).<br />

Señor béndice èste negocio y protege<br />

de la envidia, egoismo y las malas<br />

influencias y permitenos verlo<br />

lleno de prosperidad y abundancia.”<br />

Il posto è moderno, con un bel giardino, e decidiamo di non stare a farci più scrupoli,<br />

oramai il viaggio è al termine e stiamo tutti bene di salute. Dunque mangiamo un bel<br />

piattone di camarones fritos. La pastella fritta ricopre tutto, i gamberi sono interi, ciè con il<br />

guscio; ci dicono che sono croccanti e buoni da mangiare così tutti interi. Contorno di<br />

yucca fritta. E poi per bere ordiniamo finalmente la chicha morada, si prende la<br />

pannocchia abbrustolita (morada) e la si lascia in acqua che disperda il suo succo, poi si<br />

aggiunge lime y azùcar; non è alcolica perchè non è fermentata, la si beve ghiacciata<br />

quando fa caldo, se toma como refresco. Invece la chicha de joray (=una radice) è<br />

alcoholica, es de maìs blanco, se hace hervir, se reposa dos-tres dias para qué fermenta,<br />

es algo parecido como cerveza, muy fuerte.<br />

La zarza criolla, che è una specie di insalata russa; la caneja, cioè mais tostato con sale;<br />

assaggiamo el camote frito: es como papa màs grande, amarilla y dulce, è come una<br />

grande patata gialla dolce fritta, si mette ad es. in un sandwich con fette di chancho; mote,<br />

è la stessa cosa ma bollita y sale màs baratito que la papa, si mangia assieme al ceviche.<br />

Lino non mangia nulla di tutto ciò, assaggia solo un po’ di camote frito avanzato “porqué<br />

no puedo despreciarla” (la seconda volta che sentiamo questa frase di convenienza in<br />

poco tempo).<br />

Poi usciamo, c’è un cartello: “Estamos trabajando para erradicar la fiebre aftosa del Paìs”,<br />

e ci avviamo verso le rovine archeologiche.<br />

Si tratta di un sito Wari del 650, poi assorbito dalla cultura costiera Ishmay, sino al 1450<br />

quando fu annesso dagli Incas. Si chiama Pachacàmac, dal grande tempio maggiore a<br />

piramide in onore del Creatore supremo, questo il significato del termine. C’è un bel<br />

museino. E’ una vasta città fatta con mattoni di fango. Salire in cima alla piramide è<br />

affascinante, si domina un vasto territorio di pianura costiera diritta, stupenda vista<br />

sull’oceano dai sedili sacerdotali che ci sono in cima. In un palazzo ancora ci sono resti<br />

delle pareti rosse con disegni giallini di animali (o di simboli di divinità). Ancora Hernando<br />

Pizarro fu ospite in un palazzo di fianco a questo, Tauri Chumpi, sede del curaca, il<br />

governatore, e già nel 1596 un cronista spagnolo ne parla al passato, come di una città<br />

completamente abbandonata in rovina, distrutta, sui cui templi egli fa solo supposizioni...!<br />

Bella e suggestiva la vastità del grande Acllahuasi, Palacio de las Mamacunas (o mujeres<br />

escogidas), o Palazzo delle Sorelle del Sole, che forse è conservato molto meglio di tutto<br />

il resto perchè è tardo, è stato costruito dagli Incas, e con uso di pietre, ma è stato un po’<br />

troppo restaurato e in varie parti ricostruito. Al bar del museo, c’è un cane stranissimo,<br />

grigio a pelo corto, magro, che è di una razza proprio autoctona peruana.<br />

Oramai siamo entrati nella sterminata periferia di Lima, con casupole frammiste a<br />

baracche. Attraversiamo i vari borghi che la compongono, passando per zone moderne, e<br />

ritorniamo a Miraflores nello stesso hotel. Paghiamo Lino, e ci salutiamo cordialmente con<br />

grandi abbracci.<br />

Ci scambiamo posto letto in camera perchè non sembri tutto uguale a prima, quasi non<br />

fosse passato tutto questo ricco e intensissimo intervallo di tempo di due settimane....<br />

Passeggiamo sul lungo mare, e andiamo a Larco Mar al centro commerciale di fronte al<br />

Marriott’s, dove compriamo gli ultimi souvenirs al bellissimo negozio di artigianato dove<br />

c’è una favolosa svendita. Poi ceniamo. Il pranzo a Lurìn però è stato pesantissimo e


micidiale per la digestione, quindi stiamo molto leggeri e poi in camera utilizziamo<br />

finalmente le medicine che ci eravamo portati, prendendoci un digestivo in pillole.<br />

Ripensiamo alle belle giornate passate e cerchiamo una soluzione per far stare tutte le<br />

cose che abbiamo comperato, dentro alle valige.<br />

mercoledì 28<br />

Ci sentiamo con Angel e con Héctor. Andiamo al Museo di Antropologia, che è<br />

semplicemente favoloso e molto ben fatto, peccato che come al solito non ci sia una<br />

guida del museo, un catalogo, un opuscolo, addirittura manca una cartolina di quello che è<br />

il pezzo più famoso, che costituisce l’attrazione, e che è giustamente posto proprio<br />

nell’entrata, in vista di chi sta pensando se vale o no la pena di comprare il biglietto, cioè la<br />

“Stele Raimondi”, scoperta a Chavìn dall’archeologo italiano. Come pure manca una<br />

cartolina o un dépliant della sala del sito archeologico principale dei Chimù, con il suo<br />

Totem, e che qui è posta all’interno di una serie di gigantografie a parete dell’intorno con<br />

effetto suggestivo. Comunque il Museo è veramente ricco e stimolante, e vederlo dopo un<br />

giro per il Paese è la cosa migliore. Dietro all’edificio c’è una parte con uffici di istituti di<br />

ricerca, certo ciò fu concepito e voluto così nel 1945 dal grande archeologo e antropologo<br />

peruano JulioTello. Mi rendo conto di quanto sono ignorante di storia del sudamerica e<br />

delle sue straordinarie civiltà, e penso al nulla totale che ne sanno gli studenti universitari<br />

che abbiamo alla Facoltà di Lettere, e mi fa molto dispiacere.<br />

Qui si vede bene come i Re Sole, Inca o Inka, che dal Cuzco unificarono le Quattro Parti<br />

del Mondo, Tawantinsuyo, sotto il loro imperio, sono solo l’ultima e più breve espressione<br />

storica delle civiltà sudamericane. Soggiogarono i Chimù per impossessarsi dei loro<br />

segreti di oreficeria, e di varie arti, sovrapposero i loro templi e palazzi a quelli precedenti<br />

Wari o Mochica, o altri. E così fecero del Cuzco l’ombelico del mondo, quando la<br />

chaqàna, la “croce” andina aveva già da secoli al centro un foro, simbolo del centro<br />

cosmico, del centro magnetico della terra, dell’ombelico, del punto di equilibrio, o punto<br />

centrale. Già si erano sviluppate tecnologie, di cui si appropriarono, sapendole unificare<br />

alle proprie e tra loro, come quella di indirizzare con canali le acque sotterranee, o di<br />

terrazzare le coltivazioni, o quella di costruire sovrapponendo pesanti massi perfettamente<br />

incastrati a secco tra loro e poi lisciati. Ma anche assumendo i simboli delle altre culture<br />

soggette. Ben illustrate in queste sale le stratificazioni sociali, le conoscenze scientifiche e<br />

tecniche, le attività economiche e la loro organizzazione, i vari sistemi di pensiero e di<br />

credenze.<br />

Che bellezza strana e affascinante ha la Stele Raimondi! Che è quasi del tutto occupata<br />

dall’illustrazione enfatizzata del copricapo di un piccolo omino-sentinella; si fatica ad<br />

adattare l’occhio e abituarsi a quella rappresentazione. Aiuta molto a focalizzare ciò che è<br />

raffigurato con questo stile inusitato, il bel disegno che un archeologo tedesco fece per<br />

mostrare come sarebbe il personaggio se fosse visto di lato anzichè frontalmente, e<br />

questo spiazzamento di prospettiva è sufficiente per imparare a guardare e decifrare<br />

l’incisione sulla stele.<br />

Impressionanti le mummie Paracas con i loro capelli di due metri, e soprattutto i tessuti,<br />

che presuppongono, oltre ad un raffinato gusto estetico, una alta capacità tecnica per<br />

riuscire a raggiungere quei risultati pur con un telaio e strumenti molto semplici.<br />

Queste antiche, come quelle delle popolazioni attuali delle montagne, sono culture legate<br />

alla Natura. Nella loro logica, una cosa che non conosci e non capisci, la puoi intendere se<br />

la compari a quell’altra che già ti è nota e che già hai decifrato o interpretato. La<br />

similitudine che può emergere da un approccio comparatista, instaura un legame, che<br />

connette le cose tra loro, che fa entrare nella rete conoscitiva ed esplicativa anche il


nuovo. Permette di cominciare a partire da un nucleo, a classificare e tipizzare. L’oracolo<br />

traeva gli auspici da vari segni, poichè il concetto di base è che tutto è interconnesso.<br />

Mentre noi razionalisti tendiamo a dire, no questo non c’entra, le varie cose, gli eventi,<br />

sono connessi solo con la rete di ciò che ha a che vedere l’un con l’altro, e soprattutto con<br />

ciò che è legato da un passaggio di causa / effetto. Siamo noi che stabiliamo a priori cosa<br />

sia connesso e connettibile, mentre loro non sapendo, modestamente non giudicano, non<br />

discernono, non scindono, e danno tutto per interconnesso. Quindi dai granelli di polvere<br />

nell’aria, dai residui di sabbia nell’acqua, dalle viscere degli uccelli del cielo, dalle voci del<br />

vento, dalla disposizione dei resti del fuoco, possono sentirsi legittimati a dedurre delle<br />

concomitanze, e delle spiegazioni quindi, dell’andamento del mondo vivo in quel preciso<br />

frangente.<br />

Bisognerà visitare le altre parti di questo grande Paese. Grande è l’interesse<br />

antropologico, folklorico, storico, oltre che naturalistico di questo grande Perù.<br />

Fuori per fortuna c’è un negozio di una signora anziana con la sua gentile figlia un po’<br />

“ritardata”, che vende più a buon prezzo le stesse poche cose del negozio del museo, e<br />

tante, troppe, altre belle cose. E ci sono finalmente anche dei libri, degli opuscoli su vari<br />

siti archeologici !<br />

Ci incontriamo con Héctor in quel ristorante buffet vicino all’ovalo stradale, dove eravamo<br />

già stati, “Aromas Peruanos” . Las chicas mi (ci) riconoscono, e sono cordiali. Mangiamo<br />

bene, ma mi sarei dovuto tenere più leggerino, perchè purtroppo sono ancora un po’<br />

disturbato di stomaco.<br />

Poi passeggiamo per la zona dei grattacieli delle grandi società multinazionali e delle<br />

banche mondiali, e del Potere Finanziario Globale.<br />

L’autostrada urbana qui ha 12 corsie, e sottopassi veloci, con un flusso di traffico continuo<br />

e intenso.<br />

Fa caldo, il sole è caliente appena il cielo si va despejando, e poi fa de repente freddino<br />

per l’umidità che si sente appena il cielo diviene nublado, per effetto del vento fresco che<br />

viene dall’oceano. Cambiamenti continui. Ci fermiamo in un bar a chiacchierare. Angel e<br />

Héctor parlano di una concessione per lo sfruttamento di un’area ricca di sabbia aurifera<br />

che Héctor ha individuato in uno dei suoi viaggi di lavoro all’interno. Ha preso la<br />

concessione per sei mesi, ma ora necessiterebbero capitali, se noi volessimo potremmo<br />

metterci tremila €uro a testa, e sarebbe sufficente per affittare i macchinari e pagare la<br />

manodopera per il tempo che grossomodo dovrebbe bastare per estrarre un chilo d’oro,<br />

dopodiché sarebbe sempre tutto di guadagnato. E’ veramente sorprendente per noi<br />

pensare come qui abbiano recursos naturales, lavoro a buon mercato, ma non abbiano<br />

fundos (capitali a disposizione), equipos, attrezzature adeguate, tecnologie aggiornate...<br />

(e però nemmeno intralci giuridici...). Mentre da noi è l’inverso; per questo ci risulta difficile<br />

crederci. Chi ha spirito imprenditoriale e d’azzardo, come sembra l’abbiano molti<br />

nordamericani, viene qui e si porta via tutto, mentre il ceto dirigente di qui si gode i frutti<br />

monetari delle percentuali, con cui può vivere strabenissimo, visto il basso costo della vita<br />

se calcolato in dollari.<br />

Alla sera con Angel andiamo a un ristorante argentino, dove mangiamo un cuadrìl, cioè un<br />

gran pezzo di manzo da mezzo kilo ! a testa, tenerissimo, magrissimo, alto, saporito.<br />

Straordinario. Più “liscio” e nutriente di così...<br />

Poi andiamo nella bella piazza Haiti, in un bel bar all’aperto, per il solito mate de coca. C’è<br />

arietta fresca, passeggio di graziose signorine, una bella piazza molto ampia, ben<br />

illuminata,con tanto verde. C’è pure un mercatino dove trovo da prendere gli ultimissimi<br />

acquisti. Giriamo in una zona piena di bar, ambiente simpatico, giovanile, musica.<br />

29 aprile


Non mi sento bene. Passo tutto il giorno in camera. Ben e Angel escono. Sto male. Mi è di<br />

grande aiuto e conforto e assistenza Soledad, la giovane direttrice dei servizi alberghieri,<br />

è lei che me cuida con solicitud y cariño.<br />

venerdì 30 aprile <strong>2004</strong><br />

Partiamo, attraversiamo di nuovo tutta Lima. Bei quartieri con casette di una volta a un<br />

solo piano, bei giardinetti. C’è un bel paséo in mezzo ai grandi vialoni alberati, con<br />

panchine e fiori. Molte delle ville più grandi e belle sono ora ambasciate. E’ il borgo, la<br />

Municipalidad, detta Magdalena. Ad ogni cambio di municipalità cambia anche l’atmosfera<br />

complessiva. Sempre autostrade urbane con 8 o <strong>10</strong> corsie, giardini, verde in mezzo. Zone<br />

commerciali, parchi, zone popolari, zone moderne, zone caos-sporcizia-puzza. eccoci<br />

all’areoporto. Arriveremo a Bologna domani 1° maggio alle ore 23.<br />

Fine (per ora).<br />

- - - - - - - - - - - - - -<br />

appunti generali<br />

la Repubblica del Perù si estende su un milione e trecentomila kmq (l’Italia 300.000), e<br />

conta 26 milioni di abitanti registrando un forte incremento, dell’1,7% annuo (It. 0,2), dato<br />

un tasso di natalità del 28 x<strong>10</strong>00 (It. 9) e una media di 3,2 figli per donna. E’ tuttavia<br />

all’82° posto nel mondo per gli indicatori sociali, avendo un dieci per cento di analfabeti<br />

(ma è del 18% tra le donne), 1,8 posti letto ogni mille abitanti (It. 5), e un apporto medio di<br />

2500 calorie al giorno per abitante (It. 3680), la mortalità infantile registra un tasso tra il 1°<br />

e il 5° a. di vita di 39/40 (It. 4,3 / 6), e quella materna per parto di 270 x<strong>10</strong>00 (It. 7), ma è il<br />

doppio nelle campagne; la disoccupazione è sull’ 8%, ed il suo prodotto nazionale lordo<br />

pro capite non raggiunge i duemila dollari (It. 20400).<br />

FLORA (ricchissima e variatissima)<br />

Sulla Costa spesso la vegetazione è scarsa, o limitata a una stretta fascia di terreno, ed è<br />

costituita da macchie e cespugli. Predomina nel sud per migliaia di kilometri quadrati un<br />

territorio arido se non desertico con -lungo la zona rivierasca- il cosiddetto clima<br />

desertoceanico caratterizzato da brume e nebbie, data la corrente fredda di Humboldt<br />

nelle acque costiere, che depositano sulla superfice terrestre la garùa, la rugiada<br />

mattutina.<br />

Lungo i fiumi invece è più ricca e ci si addentra seguendo i fondovalle verso la montagna.<br />

Moltissimi fiori di vari tipi, dimensioni, colori. Vi sono libri che riportano fotografie dei più<br />

diversi fiori presenti per pagine e pagine.<br />

Anche qui però sono molte le aree sassose o spoglie con alcune piante e fiori, erbe a<br />

ciuffi e cespugli aromatici. Inoltre acacie a boschetti, eucaliptus qua e là. Nelle parti aride<br />

vari tipi di cactus di diverse forme e dimensioni. Invece nelle zone più basse e calde delle<br />

vallate, ci sono palme da banane, canneti, e vegetazione intricata e fitta.<br />

Sulla Sierra grandi presenze di piante grasse, piante tuberose. Nella cordigliera<br />

occidentale (Blanca) verso i 3000 metri vi è una vegetazione di tipo alpino, oppure più in<br />

alto una rada vegetazione (la jalca) tipo steppa con cespugli duri. Alberi di sambuco.<br />

Sui vastissimi altopiani, la puna, con una graminacea detta paja. Nella cordigliera centrale<br />

e in quella orientale (Negra) ci sono piante che forniscono le fibre per la paglia da<br />

intrecciare, cosiddetta “panama”, la coca con le sue ampie foglie, la chinchona che<br />

fornisce utili cortecce. Eucalipti, palissandro, cedri. Nei più elevati altopiani, sterminati, ci<br />

sono solo muschi e licheni.


FAUNA (ricchissima e variatissima)<br />

Volatili - Sulla Costa si vedono cormorani, pellicani, gabbiani, polli, uccellini colorati e<br />

pappagallini nelle macchie verdi. Sulla costa meridionale e <strong>sulle</strong> isole, vi sono anche leoni<br />

marini, trichechi, piccoli pinguini, procellarie, fennicotteri.<br />

Lungo le vallate in cui scorrono i fiumi, aumenta la presenza di polli, tacchini, papere,<br />

oche, uccelli colorati e pappagallini, libellule e farfalle, nonchè mosquitos e zancudos<br />

(varietà di zanzare); si aggiunge nelle parti più alte e fresche il falco, il gallinazo, e vari<br />

pajaros grandi. Sulla Sierra si trovano anche grandi fennicotteri, aquilotti e aquile, e in alto<br />

il condor.<br />

Animali di terra - Lungo la fascia costiera ci sono asini, buoi e vacche, maiali (quelli pelosi<br />

neri o marroni detti chanchos), pecore, nei boschi ci sono cavalli. Sulla cordigliera ci sono<br />

anche tori, agnelli, capre e caproni, marmotte, sugli altopiani della sierra si trovano il<br />

llama, l’alpaca, e in alto il guanaco, la vicuña. Presso i nevados la vizcaccha, il chinchilla.<br />

In certe zone più selvagge e spopolate c’è il puma, nella selva il giaguaro, tapiri, armadilli,<br />

formichieri. Un po’ ovunque si possono trovare vipere, bisce, serpenti, e ragni di varie<br />

razze e dimensioni.<br />

AGRICOLTURA<br />

Circa l’uno e mezzo per cento del territorio peruviano è adibito a coltura, un terzo di esso<br />

si trova lungo la costa. Qui si trovano coltivazioni di cotone, canna da zucchero, riso, e<br />

altro. Lungo le vallate vi sono piantagioni di banane o di palme da dattero, ananas, palme<br />

da olio come la aguaje, e caffé, nelle zone caldo-umide; oppure agrumi, coca, o vigneti<br />

nelle valli più temperate. Inoltre piante da frutta, come i fichi, le albicocche, le pesche,<br />

papaie e manghi e altro, e fagioli, manioca e yucca. Sulla sierra patate, maìs, coltivazioni<br />

di anice, liquerizia, grano, orzo, quinoa, ma anche cacao. Nelle zone montagnose più<br />

elevate e sugli altopiani si coltivano erbe medicinali o curative, come la kiwicha, la maca,<br />

e la chinchona (da cui si estrae il chinino). Tra la produzione di legname vi è il cedro, il<br />

mogano e il cetico nei territori forestali a clima equatoriale di tipo pluviale.<br />

RECURSOS NATURALES, cioè le risorse minararie<br />

Sono moltissime e ancora da valorizzare. Si va dall’oro all’argento, al ferro, piombo, rame,<br />

zinco, al petrolio, al metano, ai fosfati. E’ ancora in corso la identificazione di giacimenti, e<br />

non è facile poi comunque la loro valorizzazione e il loro sfruttamento e conseguente<br />

lavorazione, distrubu-zione e infine commercializzazione. E’ dunque ancora in atto una<br />

corsa selvaggia ad appropriarsi di tali immense ricchezze naturali di questo sterminato e<br />

variato paese che è ancora privo delle necessarie infrastrutture per le cominicazioni, per il<br />

rifornimento di energia elettrica, nonchè privo di tecnologie, professionalità specifiche,<br />

attrezzature, e infine finanziamenti. Si sta intanto completando la sua conoscenza con<br />

carte tratte da foto satellitari, e con la prospezione di vaste aree. Inoltre la scarsa<br />

diffusione e densità della popolazione rende il lavoro di valorizzazione ancora più<br />

difficoltoso.<br />

Lungo la costa e <strong>sulle</strong> isole è abbondantissima la presenza di guano prezioso per<br />

l’agricoltura e l’industria chimica. Grandi le prospettive per l’industria peschiera e ittica<br />

nelle acque dell’oceano pacifico. Immensa la potenzialità della selva amazzonica per i<br />

suoi fiori, cortecce e legname, nonchè per lo sconosciuto sottosuolo.<br />

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