APRILE 2004 Viaggio sulle Ande peruviane D I A R I O 10 ... - utenti
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<strong>APRILE</strong> <strong>2004</strong><br />
<strong>Viaggio</strong> <strong>sulle</strong> <strong>Ande</strong> <strong>peruviane</strong><br />
D I A R I O<br />
<strong>10</strong> aprile pomeriggio<br />
SI PARTE ! caricata la macchina, giù in autostrada a parlare del viaggio, e a leggere brani<br />
di pagine della guida, e discutere sul percorso, e a sognare ad occhi aperti.<br />
Tante aspettative; il viaggio non è ancora incominciato che è già caricato di un sacco di<br />
elucubrazioni dell’immaginario, di significati e di attese. Assenza dal lavoro, impegni<br />
interrotti, si lascia la casa con la famiglia da cui si resterà assenti con la sensazione di<br />
causare una mancanza non leggera, investimento di soldi, desiderio di fare grandi cose, e<br />
timori che tutto fili liscio... Insomma c’è un po’ di emozione nell’andare a letto a dormire la<br />
sera prima e mettere la sveglia per le quattro e mezza. Eh sì perchè al solito la faccenda<br />
volo sta in questi termini: bisogna essere là due ore prima, quindi bisogna uscire molto<br />
presto per prendere il taxi per l’areoporto, e perciò io e Ben siamo venuti giù da Cence<br />
questa sera, e poi oltretutto il volo è per Madrid, poi c’è da aspettare là e cambiare,<br />
eccetera, eccetera, quindi insomma prima di salire proprio sull’aereo per il Perù, ce ne<br />
passa del tempo in preliminari...<br />
11 aprile <strong>2004</strong><br />
E così eccoci al buio e al freddo (è mattino o notte?) fuori dalla porta di casa a attendere il<br />
taxi ordinato l’altro ieri. Il tempo passa ed ogni minuto è infinito, e la taxista non arriva !<br />
Tutto è perduto, soldi, volo, vacanze, avventura, e questo e quest’altro. Ma dov’è? cosa<br />
fa? cerco il numero di telefono non lo trovo forse per l’agitazione, e intanto il tempo passa,<br />
e lei non arriva... basta! è deciso, chiamo un taxi col radiotaxi. Oddio speriamo di fare in<br />
tempo, ma certo che facciamo in tempo. Oh ecco il taxi, ho proprio fatto bene a<br />
chiamarlo, chissà perchè non è venuta e non mi ha chiamato, bah.... e...invece eccola che<br />
arriva anche lei in contemporanea. Ora ci sono due taxi davanti al cancello nel buio. Vabbè<br />
tutto si risolve pagando la corsa all’altro e con la dichiarazione di colpa della taxista che<br />
dice che ci detrae quella spesa dalla cifra finale.<br />
E’ passato un sacchissimo di tempo e siamo ancora qui ! nei corridoi anonimi<br />
dell’areoporto di Madrid a guardare vetrine di negozi che non ci possono interessare di<br />
meno e che abbiamo già visto cinque minuti fa e mezzora fa eccetera. Siamo partiti ieri, e<br />
siamo partiti di nuovo stamane -ovvero stanotte- e ancora non siamo partiti...<br />
SI PARTE ! questa volta sì che siamo seduti sull’aereo per Lima, e quando si scenderà di<br />
qui si scende in terra peruana, dall’altra parte dell’oceano, e dall’altra parte del continente<br />
sudamericano sul lato del Pacifico, dall’altro emisfero, sotto l’equatore. Altro cielo, altro<br />
clima, altro mondo, altre stelle.<br />
Certo che è ben lungo il volo, ma ora siamo fuori dall’areoporto di Lima che respiriamo<br />
quest’aria e parliamo con Angel e la sua ragazza canadese, e saliamo sul taxi che ci ha<br />
procurato ed è ancora lo stesso giorno: l’11 di aprile, domenica di Pasqua. evviva. L’unica<br />
nota negativa è che mi hanno rubato dalle tasche dello zaino proprio dei sacchetti in cui
avevo messo tutti i giocattolini da regalare a bambini nei villaggi, me ne resta solo uno.<br />
Comunque. Cambio un po’ di €uro (poco più di 3,90 nuevos Soles per 1€).<br />
L’auto attraversa per un sacco di tempo questa metropoli del terzo mondo, con traffico<br />
caotico, puzze di scappamenti, di nafta o benzina a bassi ottani, con fumo nero che ti va<br />
in faccia entrando dal finestrino, e clacsonate continue, con zig-zag e frenate e accelerate,<br />
è un vero viaggio. Ci sono autostrade urbane per andare da una parte all’altra della<br />
megalopoli. E ora ? ahora mismo hemos llegado ! stiamo in un moderno aparthotel<br />
(=residence) vicino al lungomare, “Las Suites”, cioè in un appartamentino con cucina,<br />
frigo, televisore, due bagni, due letti da una parte, e al di là di una divisoria in legno che si<br />
può far scorrere per separare la sala dalla camera da letto, un divano che è un altro letto<br />
che quindi ha la sua privacy -e appunto il suo bagno- vista panoramica, e prima colazione<br />
a buffet inclusa. Prezzo per l’appartamentino a notte per due $40 dollari usa. Depositati in<br />
camera i bagagli stiamo già passeggiando per un vialone del bel quartiere di Miraflores per<br />
andare a cenare. E prendo il solomillo a la plancha, lombatina di maiale alla piastra,<br />
mentre gli altri si scolano un bicchierone di Pisco Sour (alcoolico locale preparato a<br />
frappé). Brindisi generale.<br />
lunedì 12 aprile<br />
con la dormita si digerisce tutto, si annulla la differenza di fuso orario di sette ore, e<br />
passeggiamo lungo i malecònes (=argini) alti sulla costa di Miraflores tra i giardinetti,<br />
ammirando le nuovissime torri con appartamenti di lusso prima linea sul mare, in vendita a<br />
prezzi abbordabili (pensierino...). Incrociamo varie cameriere o dog sitter che<br />
accompagnano giù i cani dei signori a far pipì, poi incontriamo giovani o meno giovani<br />
signore, signorine, signori, giovanotti che fanno footing, e uno in muta che va giù a fare<br />
surf, e altri in bici. E cammina e cammina con il profumo dei giardini e della spuma<br />
dell’oceano, ci sediamo che già siamo un po’ stanchini. Prendiamo un taxi privato e per<br />
pochissimi soldi ci facciamo portare a San Isidro nel giardino degli olivi. Passeggiamo,<br />
incontriamo due bimbi conciati come barboni cui do dei soldini che li fanno felici. entriamo<br />
in una bella libreria “La Casa Verde” dove compro un romanzo, e una raccolta di favole e<br />
racconti andini. Poi in un bel bar mangio una Cesar’s Salad e guardiamo una rivista <strong>sulle</strong><br />
miniere. Poi prendiamo un taxi che ci fa riattraversare la megalopoli facendo stradine<br />
scorciatoie e autostrade urbane a più corsie, e ci porta al Museo de Oro.<br />
Emozioni grandissime. No comment: bisogna proprio vederlo. Peccato che ora sia un po’<br />
in abbandono, mal mantenuto, con pezzi mancanti, lampadine rotte, polvere. Perchè il<br />
padrone della collezione (è un museo privato) il potente eccentrico e ricchissimo Miguel<br />
Gallo è morto e gli eredi se lo contendono, nel frattempo qualcuno di loro si è portato a<br />
casa nel caveau qualche bel pezzo che dice che era suo....<br />
Il taxi è ancora là fuori e ci aspetta, così spendiamo di nuovo una cifretta (in termini locali)<br />
che si intasca di nuovo lui, e ci fa riattraversare la megalopoli per depositarci nel centro<br />
storico, el casco antiguo, nella vasta Plaza de Armas. Eccoci nella capitale del Vicereame<br />
spagnolo delle Indie del Perù. Tutto è ben mantenuto, forse da poco restaurato, e appena<br />
ridipinto. A questo punto ci ricordiamo di avere un po’ fame, e andiamo nello storico bar<br />
Cordàno (è del 1905) a prendere un panino. E’ del tutto vuoto in entrambe le sale, e<br />
silenzioso, grandi specchi alle pareti, tutto in legno, con il banco in granito, tavolini rotondi<br />
di granito con gambe in ferro battuto, ci sono solo alcune povere cose esposte dietro il<br />
vetro opaco del bancone, un prosciutto, del formaggio. Un vecchio camarero stanco ci<br />
chiede cosa vogliamo, due panini con prosciutto e formaggio e due bibite. Entra qualche<br />
curioso, uno sballato urla lì fuori in strada e nessuno gli da retta, entra un bambino tutto<br />
sporco, chiede qualcosa gli do un soldino. Quello della cassa e il cameriere si mettono a<br />
un tavolino a mangiare. intanto una vecchia cassetta fa risuonare musica popolare criolla
un po’ melanconica, con i soliti lamenti per tragiche storie d’amore e delusioni, cantate con<br />
voce un po’ stridula.<br />
Usciamo, andiamo alla sede del Correo Central che non si chiama più così perchè oramai<br />
è stato tutto liberalizzato e privatizzato, quindi è un ufficio del Serpost, dove spediamo le<br />
cartoline per liberarci subito del pensiero (è difficile e raro trovare francobolli -<br />
carisssssimi), aspettiamo invano presso lo sportello di filatelia dove Ben vorrebbe<br />
comprare alcune serie con fauna peruana, ma l’impiegata se ne era appena andata,<br />
assentata forse per il pranzo? Poi girovaghiamo un poco, cambiamo soldi in una banca (il<br />
Banco de la Naciòn) un po’ confusionaria e vecchio stile. In strada ci ferma un indio delle<br />
ande che ci chiede qualche vecchia moneta italiana e ci da una vecchia moneta da un Sol<br />
con su la figura di un llama; è un tipo gentile.<br />
La sera ci incontriamo con un amico di Angel, Héctor Espinosa, nella hall dell’albergo e gli<br />
diciamo i nostri progetti di viaggio, lui ci garantisce che il señor Lino che è un suo<br />
conoscente, è persona fidatissima e esperta, e affitta fuori strada e in certi casi anche fa<br />
da autista. Héctor è un ingegnere e si occupa di prospezioni minerarie e quindi a volte<br />
deve andare in luoghi impervi, poco o male collegati, a volte va nella giungla della selva<br />
amazzonica in posti irraggiungibili se non con barche fluviali a motore, per accompagnare<br />
ricercatori di pozzi, giacimenti, filoni, miniere eccetera. Spesso li fa accompagnare da<br />
Lino quando ci sono da percorrere strade sconnesse e poco battute. Comunque Lino<br />
conosce tutta la zona andina ed essendo nativo di un villaggio nella campagna di<br />
Ayacucho, sa la lingua quechua (kechua). Combiniamo il prezzo e un appuntamento per<br />
domani.<br />
13 de avril<br />
Ci incontriamo con Héctor e con un taxi andiamo alla sede centrale dell’Istituto Geografico<br />
militare nazionale. Qui hanno tutte le carte più dettagliate del paese, si sfogliano immensi<br />
atlanti, cartellette con cartine, ci sono varie carte appese alle pareti dove puoi mostrare la<br />
zona di tuo interesse, e infine quelle di carattere stradale (mi immagino non quelle di<br />
interesse militare) le puoi acquistare direttamente. Allora ci immergiamo in confronti tra<br />
carte diverse, di differenti annualità, con differenti scale e inquadrature, e alla fine<br />
facciamo la nostra scelta e usciamo di lì con le migliori carte esistenti in Perù...! Non credo<br />
che questo sia possibile in molti paesi europei.<br />
Per pranzo andiamo al ristorante “Aromas Peruanos” non distante da lì, dopo uno dei tanti<br />
grandi Ovalos stradali. A pranzo è un Buffet libre con solo specialità regionali <strong>peruviane</strong>.<br />
C’è veramente l’imbarazzo della scelta, e comunque assaggiamo un po’ di tutto. C’è del<br />
buono e del meno buono, ma è tutto fresco e di qualità. per questo è affollatissimo di<br />
impiegati e c’è un continuo ricambio dei vassoi del buffet. Molti piatti sono a base di rape.<br />
Ci sono delle simpatiche chicas che ti consigliano e che servono ai tavoli, scherziamo un<br />
poco con loro. Ricordo con piacere Delfina con il suo naso indio, e Milagro con i suoi<br />
occhialini da studentessa, ragazze semplici e sorridenti, gradevoli e gentili. Milagro poi mi<br />
dirà che pensava che fossi ecuadoreño per il mio particolare accento...<br />
Nel primo pomeriggio andiamo da tutt’altra parte, alla sede dell’ INReA, cioè l’Instituto<br />
Nacional de Recursos y Agricoltura, dove hanno tutte le foto del territorio peruviano prese<br />
dai satelliti metereologici e in genere dai vari satelliti, shuttle, e dalla base orbitante ecc. Un<br />
conoscente di Héctor si mette a nostra completa disposizione, e dopo varie ricerche in<br />
una sala zeppa di computer con gente che sta lavorando a interpretare foto recenti per<br />
individuare possibili componenti geologiche del terreno interessanti dal punto di vista delle<br />
risorse naturali, individua una buona foto di un paio di anni fa dell’area che forse<br />
visiteremo. Chiede a Ben se vuole che gli facciano un ingrandimento e una stampa e con<br />
che colorazioni. Così alla fine usciremo con una rarissima anzi unica, foto stampata della
zona tra Lucma nella valle di Vilcanota e il rio Apurìmac giù fino alla confluenza col rio<br />
Pampas, dove si vedono i sentieri e le possibili vie d’accesso per fiume alle rovine di<br />
Espiritu Pampa....!<br />
Usciamo orgogliosi col nostro rotolo sotto il braccio, e passiamo sorridenti sotto lo<br />
sguardo incuriosito della possente giovane donna india in divisa militare che fa da guardia<br />
armata all’ingresso, con il suo nasone e il mento sfuggente, viso color ocra brunato, tipo<br />
certi personaggi del cartone disneyano su Pocahontas.<br />
Allo sportello della cassa dove il tizio ci aveva accompagnato per pagare, c’era<br />
appiccicato sul vetro un volantino ciclostilato intitolato “Si pudiera educar a mis hijos de<br />
nuevo” che mi incuriosisce, e lo dico al tizio, allora lui parla con la cassiera se lo fa<br />
staccare e mi va a fare una fotocopia !<br />
Andiamo poi in un bar a festeggiare con un Pisco Sour, e Héctor ci racconta dell’ultimo<br />
suo viaggio oltre Pucallpa, e di altri viaggi in Amazònas sul rio Madre de Diòs (o Amaru, o<br />
Inambari nelle lingue locali), oltre Puerto Maldonado, oppure oltre Boca Manu, in luoghi<br />
dove ci sono ancora tribù di “no contactados” cioè di indigeni che non conoscono gli<br />
uomini “civilizados”, e dove le carte non dicono nulla e le foto aeree dicono poco. Qui ci<br />
vuole un telefono con parabola, e certe apparecchiature che per via satellitare danno la tua<br />
posizione con longitudine e latitudine esatta al secondo, e altre che rilevano la<br />
composizione chimica e minerale del terreno sino a 5 metri nel sottosuolo. Se per chi si<br />
accampa per svolgere ricerche le cose si mettono male chiama via satellite e con piccolo<br />
idrovolante o un elicottero li vanno a prelevare. Ma non sono solo geologi e ingenieri<br />
minerari o petroliferi gli interessati, ci sono anche archeologi, perchè dopo la scoperta di<br />
città antiche come Choquequirao, Espiritu Pampa, e altre recenti località, si sono trovati<br />
siti incaici o addirittura preincaici anche nell’Amazònas, tipo Paitìri. Però non è facile<br />
procedere per questi percorsi perchè ci sono guardiani indigeni dipinti in volto, ostili ad<br />
ogni intrusione. Ma naturalmente poi non mancano cercatori d’oro di frodo, di diamanti e<br />
pietre preziose, di gas naturali, che poi tengono tutto segreto e fanno strani traffici. Nè<br />
mancano i narcotrafficanti. La selva ora è oggetto di ricerche da parte di studiosi di<br />
farmacologia, di chimica, di botanica, che hanno trovato negli ultimi decenni molti fiori,<br />
bacche, cortecce di grande interesse per le loro proprietà naturali. Insomma il Perù è<br />
ancora un paese in corso di popolamento e di sfruttamento, per cui parti del territorio sono<br />
ancora da esplorare o analizzare, molte risorse sono ancora non valorizzate. Questa<br />
gente non conosce del tutto il proprio paese, è ancora in atto l’attività conoscitiva del<br />
territorio e di prospezione delle risorse, e le carte geografiche sono ancora in corso di<br />
redazione...! Torniamo e attraversiamo la nuova recentissima zona delle sedi delle grandi<br />
multinazionali con i loro modernissimi grattaceli e palazzi disgnati da grandi architetti. Il<br />
futuro di questo magnifico immenso Perù (e dei suoi abitanti) è nelle loro mani.<br />
Al rientro in albergo a Miraflores, troviamo il nostro chofer Lino Mitma Huamani con la<br />
moglie, seduti in una Toyota “Runner” 4x4 Full Equipo, in nostra attesa. La jeep è<br />
perfettamente lustrata e brillante, motore appena revisionato, perlustro le gomme da<br />
montagna in ottimo stato, dotata di pezzi di ricambio, pronta per il viaggio. Invito anche la<br />
signora ad entrare in albergo ma si nega e mi prende la mano destra tra le sue due mani e<br />
guardandomi negli occhi mi sussurra: “Que Diòs os bendiga caballeros !”.<br />
L’ultima sera nella civile capitale giriamo qua e là, ci sono ancora delle librerie aperte e<br />
compro una guida più aggiornata della mia, e Ben cerca una traduzione in spagnolo del<br />
diario di Hiram Bingham, che non trova.<br />
Si leggono ai campanelli dei portoni, cognomi non solo spagnoli, o catalani, ma anche<br />
italiani, tedeschi, inglesi, quechua...<br />
Dalle scritte deduco che ci sono differenze linguistiche tra il peruviano e il castillano doc di<br />
spagna: playa de aparcamiento (spiazzo per parcheggio), jugos de fruta (succhi di frutta),
etorno (ritorno), bolleto (biglietto, tiket), grifo (pompa di benzina), cochera para carros<br />
(rimessa per auto), chompa (golf), papas (patate), acà (qua, usato sempre al posto di aquì<br />
=qui), Alameda (viale alberato), jiròn (via minore), palta (per avogado), ecc.<br />
Rientrando per le vie deserte incrociamo una piccola “vecchia” montanara scesa a Lima<br />
per qualche mercato, ecco una vera faccia india, con la pelle raggrinzita color mogano,<br />
tutta incurvata, bassa di statura e minuta di corporatura, poverissima, intimorita con gli<br />
occhi bassi passa veloce senza guardarci. Eccoli: son questi gli incas del Duemila.<br />
miercoles 14 de avrìl<br />
SI PARTE ! inizia il nostro viaggio. Caricati i bagagli saliamo sul carro e Lino si dirige<br />
spedito verso l’imbocco della Panamericana Sur.<br />
Fuori dalla continuità di case, iniziano le baraccopoli, poi le capanne, e tutta un’area che<br />
esiste in funzione della megalopoli, a servizio delle sue necessità di verdura, polli,<br />
manodopera non qualificata eccetera. E la basura, i depositi di spazzatura, sia materiale<br />
che di umanità varia degradata dalla miseria e dal bisogno. Puzze di nafta, fumi, polvere.<br />
A Cañete ci sono carretti carichi di canne, portati da quattro asini affiancati (la quadrilla),<br />
ce ne sono anche con tre ciuchi (la “triglia” diciamo noi), uomini, donne, bambini con grandi<br />
carichi sul dorso. Accanto convivono alcune oasi di modernità, centri balneari.<br />
Aree fertili si alternano ad aree paludose, e a zone aride. Poi inizia il grande deserto di<br />
polvere o per lo più sabbioso.<br />
Ogni tanto si leggono vecchie scritte inneggianti a Abimail, il “Vendicatore” che secondo il<br />
mito ritornerà, Sendero vuelve !<br />
Uccelli con grandi aperture alari sembrano fare eco a quelle scritte e a quelle radicali<br />
speranze di rivalsa.<br />
Nel deserto di sabbia e polvere c’è vento denso di salsedine che giunge dall’oceano, ma<br />
più dentro e più rasoterra si addensa la neblina, che permette a rade piantine<br />
sommariamente protette a sopravvivere anche loro a fatica.<br />
Si succedono piccoli pueblados di capanne di canne o di paglia appoggiate sulla sabbia,<br />
precarie come i loro costruttori e che dovrebbero servire da riparo notturno contro il vento<br />
e la nebbia. Ci sono cavalli, mucche, asini, cani, pecore, capre, tutti spesso, volentieri e<br />
senza preavviso, attraversano la panamericana, che oramai è già ridotta ad una sorta di<br />
strada provinciale mal tenuta.<br />
“IncaKola solo hay una y Peru sabe por qué” ma ha un colorino color pipì chiara che<br />
sembra di bere una fiala per analisi delle orine...tanto più se non è propriamente gelata, ma<br />
temperatura ambiente. Preferibile dunque la bebida gringa. Buoni: mango, papaya, ananas<br />
(piña), avogado (palta).<br />
In certi villaggi si coltiva il cotone, vediamo dei ragazzini proprio piccoli che portano a<br />
fatica sulla schiena una balla di cotone ciascuno. Da queste parti si vedono anche i rari<br />
neri discendenti dagli africani “importati” senza successo dai coloni spagnoli, e mulatti.<br />
Si adoperano mattoni di fango e terra, mischiati a paglia, ed essiccati al sole, chiamati<br />
adobe. Tutta la vita, l’economia, la sussistenza, i materiali, tutto è legato alla terra e a quel<br />
che fornisce, al luogo in cui si vive, agli animali che ci vivono, al sole, alla pioggia, tutto è<br />
conforme a questi elementi cui si è indissolubilmente dipendenti; da noi oramai siamo in<br />
gran misura slegati da tutto ciò, tanto che ci siamo dimenticati che siamo parte della natura<br />
e non qualcosa a sè stante che si confronta con la natura come fosse un oggetto, un<br />
qualcosa di altro, di esterno, per contenerla, adattarla e modificarla ai nostri fini.<br />
Alla periferia di Pisco si gira a sinistra e si sale, lasciamo la costa e cominciamo ad<br />
avviarci verso l’interno.<br />
Inizia un nuovo capitolo.
Si paga anche qui un peaje e non solo sull’autopista panamericana della costa, vedremo<br />
poi che si paga quasi per tutte le strade asfaltate. La rete viaria asfaltata sembra essere<br />
quasi tutta recente, anche certe strade sembrano comunque aperte da poco. Praticamente<br />
a tutti i ponti moderni con strutture di ferro, si paga un pedaggio. La polizia ci consegna<br />
addirittura un dépliant chiamato “Guìa bàsica de recomendaciones para los usuarios de la<br />
vìa”. Da qui incominciamo ad apprendere che le distanze oltre, e più, che in kilometri sono<br />
espresse in “tiempo de viaje aprox. en circunstancia normales” per cui per andare dalla<br />
costa alla cittadina, o borgo, di Haytarà a 113 kilometri, si indica, pur essendo una strada<br />
asfaltata abbastanza nuova e ben fatta, 2 ore essendo in salita (2.300 metri sul livello del<br />
mare) e con molte curve. E in effetti più o meno corrisponde, sempre tenuto conto degli<br />
animali, degli uomini che camminano lungo la strada, dei paesini, delle buche o legni o<br />
sassi che ci possono essere, eccetera, e della guida degli altri.<br />
Vediamo la fortezza del Tambo colorado, che sembra segnare l’ingresso in quello che fu<br />
l’impero montanaro dei sovrani inca. Entriamo.<br />
Eccoci a Haytarà, che significa in quechua, fiori. Ci fermiamo per una sosta per il pranzo.<br />
E subito, appena spento il motore, il silenzio, l’aria tersa di montagna, gli odori<br />
campagnoli. Nalla piazza centrale c’è un “ristorantino” tenuto da una signora indaffarata<br />
ma tranquilla, ci sono già alcuni ai tavoli, poi arriveranno dei lavoratori in pausa, un<br />
camionista, e due signorine forse al rientro da qualche istituto professionale. Naturalmente<br />
c’è la trucha (=trota) come in moltissimi altri posti lungo i fiumi. Ordiniamo carne de<br />
cordero asada (agnello arrosto) con papas y arroz blanco. Buono morbido, porzione non<br />
abbondante ma sufficiente, per bere, acqua naturale in bottiglia e una cerveza (birra); al<br />
termine mate de manzanilla (una specie di camomilla, gli infusi si chiamano tutti così<br />
perchè forse in origine si beveva da una zucca, mate, essiccata) che fa bene per<br />
affrontare il malessere provocato dagli sbalzi di altitudine. Fra 35 km arriveremo a 3800 (a<br />
Tacrapunta) e fra 67 km a 4400 (a San Felipe). Lino, e lo constaterò anche in altri, dice 38,<br />
44. Paghiamo il conto anche per lui, poichè l’accordo è che gli pagheremo al ritorno un tot<br />
al giorno per l’affitto dell’auto e un tot per il servizio d’autista, e in più provvediamo alla<br />
benzina, e alle spese di vitto e alloggio (il totale, oltretutto diviso a metà tra noi due, sarà<br />
molto minore del solo affitto rent a car di un auto berlina medio piccola in qualsiasi paese<br />
europeo).<br />
Ma, torniamo nel comedòr del paese: per tre il conto è di quasi quattro €uro. Cominciamo<br />
così a conoscere i prezzi reali del mercato interno locale, almeno nell’area andina. Sui<br />
tavoli sopra alla tovaglia ci sono dei vetri, per non sporcare e poter pulire più facilmente, e<br />
tra il vetro e la tovaglia avevano infilato in ogni tavolo dei ciclostilati con cuentos popolari<br />
(racconti). Ad es.: il papà sgrida la figlioletta di tre anni perchè sta sprecando della carta da<br />
pacco dorata che doveva servire per i regali di Natale. Ma questa scatola è il mio regalo<br />
dice lei, il padre guarda ma la scatola è vuota, e allora la risgrida. Ma lei dice che invece è<br />
piena di bacini per lui. Il padre confuso si scusa. Da allora lui la terrà per anni di fianco al<br />
letto, così nei momenti di sconforto prenderà ogni tanto da lì un bacino.<br />
Un’altra: un ragazzo è innamorato di una ragazza, ma si vergogna a dirglielo, quando poi<br />
le si rivelerà sarà troppo tardi, e lei gli dirà che anche lei lo aveva sempre desiderato ma<br />
che si vergognava a dirglielo.<br />
Passeggio per la piazza e ricopio questo Comunicado scritto a mano appeso fuori da un<br />
portone in occasione della inaugurazione del kiosko escolar il 7 aprile (la scuola è pubblica<br />
ma non gratuita):<br />
“Requisitos: 1) Pago adelantado de un mes 2) puntualmente, en caso contrario se<br />
resindirà el contrato<br />
3) espender productos que no dañen la salud de los niños, y manteniendo la higiene
4) Mostrar buena presencia y buen trato personal a los usuarios (niños, niñas, docentes, y<br />
otros)<br />
5) ser padre de familia, o apoderado” (= o facente funzioni).<br />
In realtà c’erano molti errori che nel mio notes non avevo riportato. Anche nelle scritte<br />
elettorali sui muri noto molti errori, o imprecisioni del tipo: “como Alcalde vota Conislla”<br />
(anziché Consilla); o come Abimail che a volte è Abisail, ecc.<br />
Seguendo la valle del rio Pisco passiamo nel dipartimento andino di Huancavelica. Al<br />
Puente de Chicchiobamba, 3740 metri, tento di far pipì ma mi sento congelare. C’è<br />
neblina a iniziare dal successivo Puente Linamama, 3984 m. Poi a quota quattromila si<br />
vedono i primi alpàcos, un grande gregge sui pendii. Lungo la costa scoscesa ci sono<br />
canaletti per l’acqua paralleli in orizzontale, forse perchè così trattengono l’acqua piovana<br />
che còla all’ingiù. Vediamo anche cinque o sei muli selvatici che corrono, vicino al paesino<br />
di Ayavì, a 4155 m. Ci sono dei laghetti come Chocclococha (=lago a forma di pannocchia<br />
di mais) e il panorama è vastissimo, sterminato, ammaliante. Al passo (4250 m.) ci sono<br />
quattro casupole di pietra e paglia, con sedute fuori dalla porta delle donne. Si vendono<br />
biscotti e cose varie, e soprattutto gasolina y aceite de motor (benzina e olio per motore),<br />
e siccome è l’unico punto di distrubuzione che si sia visto da molto tempo, Lino<br />
prudentemente si ferma. Qui non c’è, nè ci potrebbe essere un distributore con la pompa,<br />
quindi ci sono in bella vista grandi taniche di benzina sul bordo della strada e una scritta a<br />
mano su legno. Quindi una donna va a prendere un imbuto e poi con gran fatica tira su un<br />
contenitore medio-piccolo e versa la benzina (in parte anche fuori), e a occhio dice quanto<br />
ha messo e quanto pagare. Intanto scherzo con il gruppetto di donne, ragazze e un paio di<br />
bambine che stanno leggendo su un giornaletto storielle di amore e gelosia, tipo<br />
pettegolezzi, e loro mi guardano stupefatte e sorridono con occhi che brillano. All’ultimo<br />
momento compro un paio di rotoli di carta igienica che possono sempre venir utili, come è<br />
già successo, sia durante il lungo viaggio sia nelle soste ai “bar”, sia in albergo. Un nuevo<br />
Sol, cioè quasi 25 eurocents; faccio un paio di carezze all’immancabile cane, la signora<br />
sembra molto contenta, mi salutano. Da qui si vedono grandi montagne rocciose che<br />
terminano con un tavoliere a picco. Sono fatte di roccie rosse, con strisce marroni,<br />
gialline, e parzialmente ricoperte di licheni verdini. Si domina sull’alto pianoro vastissimo.<br />
Nuvoloni neri immensi pieni di pioggia corrono sul paesino di Chocclococha. Sulla terra<br />
rossa, cabras, carneros, caballos, burritos, vacas, y toros. Sì, tori in alta montagna.<br />
Abbiamo visto appunto una bella e grande “valle verde”, con i suoi terrazzamenti coi<br />
canalini di irrigazione, greggi al pascolo, mandrie di bovini, tori sparsi, cavalli selvatici al<br />
galoppo, e una (1) casupola o capanna di sassi e paglia, il suo orticello cintato da muretti<br />
di pietre... sola in tutta la grande bella valle. Sembrava un po’ come nel film, la capanna<br />
che Highlander si fece sugli altipiani furi dalla portata di chiunque, proprio per non essere<br />
mai più trovato. Ma come si fa a descrivere un paesaggio? io non lo so. Qui continua a<br />
vedersi un vastissimo territorio quasi disabitato, proprio selvaggio, con i ghiacciai<br />
permanenti in vista (uno sulla destra in fondo è di 5168 m., un altro a sinistra è di 5231 m.<br />
con a fianco un suo fratello) che se ne stanno là da sempre, un po’ incappucciati dalle loro<br />
amiche nuvole, un pochino ogni tanto mettono fuori il capo per controllare. Enrique Lòpez<br />
Albùjar nel primo dei suoi Cuentos Andinos (1920) che ho comprato alla Libreria La Casa<br />
Verde, quello intitolato “Los tres Jircas” (jirca in quechua significa cerro =poggio, collo,<br />
dorso, ma soprattutto: monte che chiude) inizia così: “Tre moli, tre cime, tre sentinelle che<br />
si ergono intorno alla Città dei Cavalieri di Leòn di Huànuco.<br />
I tre jirca-yayag, come li chiamano gli indios” (jirca-yayag è el padre cerro).<br />
A seconda dei minerali che prevalgono o che affiorano in superficie sul terreno, la terra è<br />
rossa o verde o color amaranto, o bianco latte, o marrone. Di conseguenza deve essere<br />
questo un territorio ricchissimo di minerali di ogni tipo, dal ferro allo zolfo. E così c’è un
torrente di acqua rossa, sì proprio d’acqua rossa-rossa. Poco dopo, forse da una antica<br />
miniera (?) cola acqua come da una fonte, e colando giù lascia depositi lucidi arrotondati<br />
di diversi colori.... In queste vallate ci sono sui pendii molte cave, buche, caverne di varie<br />
dimensioni, che conferiscono ancor più, se possibile, al paesaggio un aspetto che direi<br />
primordiale, perchè la sensazione che ti prende è proprio quella di stare osservando il<br />
pianeta nell’aspetto che aveva alle origini, prima dell’uomo, prima della prima scena del<br />
film Duemilauno. E poi è indescrivibile, e anche una foto o una ripresa con videocamera, o<br />
una pittura, non potrebbero rendere questa tavolozza naturale di colori che se ne sta<br />
distesa da tempi immemorabili su questi amplissimi panorami quassù in alto (siamo sopra<br />
i 4000 m.). I raggi diagonali da sotto le nuvole -sono oramai quasi le cinque, las cinco de<br />
la tarde- illuminano di sghimbescio un colle giallo, poi c’è l’ambra, il violaceo, l’amaranto, il<br />
verdino con sfumature un po’ azzurrine, e quei solidi monti di pietra nera con i loro<br />
ghiacciai bianchissimi, fonti di luce abbagliante.<br />
Piccoli llamas disseminati come puntolini sono sparsi qua e là. e il nitore dell’aria rarefatta<br />
ti mette ben in vista sprazzi di cielo superazzurrino con nuvole bianche-bianche e accanto<br />
nuvoloni neri.<br />
I rari esseri umani sono prevalentemente donne montanare con cappello “da uomo”, e<br />
qualche montanaro scuro con cappuccio colorato (chullu).<br />
La pioggia caduta mista a grandine fina, evapora dall’asfalto fumando (i raggi del sole<br />
quando spuntano sono “equatoriali” e d’alta montagna, cioè fortissimi). Sull’Abra (=Passo)<br />
Apacheta imbiancato (4746 m.),<br />
esco un momento dall’auto, e mi trovo investito da un’aria tersa fredda sottile strana che<br />
mi fa raggrinzire le labbra e socchiudere gli occhi istintivamente, e mi avvio ad un’andatura<br />
un po’ più sveltina del passo normale, per mettermi semplicemente sull’altro lato per farmi<br />
fotografare vicino al cartello, e sono sfinito, spompato, distrutto, ansimante, leggero<br />
fischio alle orecchie con un certo giramento di testa che mi consiglia di rimettermi subitosubito<br />
buonino seduto nella protettiva Toyota 4x4. Ecco questo è il soroche, ovvero il<br />
malestar de altura. Altro che mate de manzanilla ! da domani mi prendo il mate de coca.<br />
Continuiamo verso Rumichaca, e oltre, incontriamo piccoli pueblados di alpaqueros. Qua<br />
e là strisce verticali verdissime di coltivazioni di papas; ci sono moltissime qualità diverse<br />
di patate, gialle, rosse, bianche, grandi, piccole, tonde a bozzi, ... con sapori differenti e<br />
nomi diversi in quechua. Così come il maìs è di varie qualità, a piccoli grani, o grossi,<br />
giallo, rossastro, nero, con pannocchia larga, lunga, grande, piccola. Ora si incomincia a<br />
vedere più di frequente qualche paesino. Prendono ciuffi di picho per fare la copertura dei<br />
tetti delle casupole. Anche l’essere umano è un ottimo animale da soma. Sulle casette<br />
ricompaiono anche le scritte a vernice per la propaganda elettorale. “vota come Alcalde il<br />
dottor....” o il professor..., l’ingegnere Tale o Talaltro. La politica è affare per i ricchi, per<br />
chi vuol essere tra i riveriti potenti che decidono. D’altronde se ci andasse qualcuno di<br />
questi montanari, o mandriani, o pastori, o contadini a fare l’alcalde, cosa saprebbe fare?<br />
Così li coinvolgono nelle loro ambizioni per potersi poi fare gli affari propri.<br />
Ricompaiono quegli alberelli con le foglie verdine e da un lato argentate che si muovono<br />
velocissime sul loro asse, il picciuolo, mostrando ora un lato ora l’altro per il vento. La<br />
terra è tutta erosa dalle piogge e lascia emergere roccie parallele, mette a nudo la sua<br />
conformazione, il suo scheletro.<br />
Il borrego (in castigliano=agnellino) e il carnero (=montone), Lino dice che in Perù si<br />
chiamano così la femmina e il maschio (la hembra y el varòn) della pecora. Chissà. Ci<br />
sono poi molte capre e cavritos. E moltissimi porcelli un po’ selvatici pelosi, neri o<br />
marroni; Lino ci dice che si chiamano chanchos e che sono addomesticati. Compare per<br />
la prima volta ai nostri occhi il trigo (=frumento) accanto al maìs e alle patate.
Effettivamente come diceva il dépliant, ci vogliono più di tre ore per salire, e per andare a<br />
Rumichaca, e poi Apacheta, Casacancha, eccetera, ce ne vogliono altrettante in discesa<br />
per giungere alla nostra meta che è Ayacucho. Si chiama troche (in castigliano<br />
=scorciatoia, sentiero, in inglese track) quando è una pista di terra camionabile, per<br />
camionetas, tir (i grossi trucks americani), corriere, bus, percorribile da carros, mezzi<br />
attrezzati, e invece si chiama pista (in castigliano =traccia) quando è carretera asfaltada<br />
extraurbana buona per automobili da città. La gente viaggia su questi troches in corriere<br />
che vanno su e giù per tutto il Paese. A Lima alla stazione centrale dei bus, Terminal<br />
Terrestre, ci sono corriere che partono per il Venezuela, per l’Ecuador, il Chile, la<br />
Bolivia....! sono pullman che viaggiano giorno e notte continuativamente, ad es. per la<br />
Colombia, per una settimana intera !<br />
Ogni tanto si incontra un Puesto de Salud, cha sarebbe una specie di infermeria di pronto<br />
soccorso, per un primo intervento, un presidio sanitario. Si leggono cartelli nei paesi con<br />
scritto ad es.: “Mejoramos la educaciòn rural!”, di tanto in tanto si vede un kiosko escolar,<br />
oppure kiosko de educaciòn mayor, che sarebbe una tettoia in un prato, sotto cui riunirsi<br />
con un insegnante.<br />
Spesso alla sera si vedono bambini che portano grandi carichi di erbetta verde per i<br />
conigli, o altro, di cui sono incaricati loro perchè è più leggera.<br />
Le donne invece son sempre cariche di questi sacconi colorati a strisce, pieni di pesi,<br />
messi sulla testa, sul collo, di traverso, <strong>sulle</strong> spalle, tutte curve col loro cappello che vanno.<br />
A volte ci è capitato che chiedessero di portarle il saccone fino al paese tale o al tal punto,<br />
all’incrocio, al bivio, o alla fermata della corriera o dei camion per contadini. Una specie di<br />
autostop per il sacco. Ma noi siamo pieni, senza posto per quei grandi volumi di fieno o<br />
foglie di coca, o altro. Le due trecce lunghe, anche se magari di capelli grigi per l’età, sono<br />
annodate alle due estremità dietro la schiena se sono sposate.<br />
A 330 kilometri di strada dalla costa, ecco finalmente quasi all’imbrunire Ayacucho, dopo<br />
<strong>10</strong> ore di auto. Il nome deriverebbe da aya (=morti) e cucho (=angolo) forse a ricordo<br />
della sconfitta della fiera popolazione autoctona pre-incaica dei Chanca, scacciati dal<br />
conquistatore Inca Roca, re della valle del Cuzco. Fu importante postazione spagnola di<br />
difesa della strada tra Lima e Cusco, fondata già nel 1550 da venti famiglie che si<br />
stabilirono qua. E’ famosa per la bellezza e la precisione dei suoi retablos, cioè un insieme<br />
di figurine di cartapesta, gesso e colla di farina di mais, tutte colorate, che rappresentano<br />
varie scenette popolari attorno alle immagini dei quattro evangelisti, il tutto incastonato<br />
dentro una scatola di varie dimensioni, da grande a piccolina, che si chiude con due<br />
sportelli come un armadio.<br />
Arrivati nei pressi della stazione dei pullman nella parte alta, c’è la scritta “prohibido<br />
comercio a menos de 50 metros” e subito tutt’attorno alla stazione ci sono tante tiendas<br />
(=negozio, bancarella) e contadine accucciate che vendono i loro prodotti esposti <strong>sulle</strong><br />
loro colorate mantas che poi richiuderanno a mo’ di sacco. Tanti tricicli colorati che fanno<br />
da taxi. Ed ecco giù la bella ampia plaza mayor con i portici tutt’attorno, i giardinetti in<br />
mezzo con il monumento al generale Sucre eroe dell’indipendenza, i palazzi governativi, le<br />
chiese barocche. Ci alloggiamo in una bella casona coloniale (=grande edificio per le<br />
famiglie patrizie spagnole appoderate nel vicereame). Costruita nel 1630, fu residenza del<br />
Corregidor . Acquistata e restaurata nel 1972 dallo spagnolo Aznar, essendo stata<br />
dichiarata monumento storico, fu museo, ma ora dal 1991 è trasformata in albergo Santa<br />
Rosa (la santa patrona del Perù) a tre stelle, “il più bell’ albergo della città” mi dice subito la<br />
señora. Prendiamo una habitaciòn triples, ma poi chiediamo se c’è una simple para el<br />
chofer, e teniamo quella grande allo stesso prezzo perchè in effetti si paga un tot a testa.<br />
Tanto c’è posto, è appena finita la Semana Santa che vede convergere migliaia di
persone per le grandiose fiestas e le processioni che qui si tengono. Per una notte,<br />
primero desayuno incluìdo paghiamo per tre 162 soles, circa 40€. (per Lino la singola<br />
senza bagno viene 55 soles). Come si vanta la señora, c’è agua caliente, oltre a quella<br />
fria, teléfono, baño con ducha, tv, terrazzino sulla strada, e anche la cochera, che significa<br />
poi che si parcheggia el carro dentro, nel secondo cortile. Infatti la casona è composta di<br />
due corti su cui si affacciano archi al piano terra e al piano rialzato, per cui poi ci<br />
metteremo nello spazio davanti alla porta della camera, dove c’è un tavolo con sedie, a<br />
guardare giù dalla balconata interna e a scrivere e chiacchierare. Ma poi usciamo per cena<br />
e per sgranchirci le gambe, respirare aria buona e visitare il centro. “Una caminata<br />
(termine anch’esso non certo molto in uso in spagna) a través de los pasillos de nuestro<br />
hotel le mostrarà toda la belleza arquitectònica del antiguo centro històrico de la ciudad,<br />
rodeado de Grandes Templos y Bellos Tejados de arcilla” (=e i bei tetti di argilla). E in<br />
effetti la piazza è vicinissima, “ubicaciòn céntrica a 1/2 cuadra de la plaza mayor” diceva il<br />
volantino dell’albergo con la consueta modalità di indicare le distanze in città misurando<br />
per isolati, o blocchi, la cuadra.<br />
Intanto scopriamo che (e questo si verificherà anche in altre località) tutti chiamano la città<br />
Huamànga, con l’antico nome (da huaman=aquila). Quindi mentre su tutte le carte<br />
geografiche e stradali, sui cartelli, sui depliant, su ogni carta stampata, eccetera, si chiama<br />
Ayacucho, tutti comunque dicono sempre tra di loro (magari non coi turisti) Huamànga, c’è<br />
la famosa piedra de Huamanga che è una specie di alabastro, c’è l’altrettanto famosa<br />
Universidad de Huamanga -fondata nel 1677- dove insegnava il professore di filosofia<br />
Abimael Guzmàn, fondatore e capo di “Sendero Luminoso” il partito armato maoista che<br />
scatenò una terribile guerriglia 25 anni fa.<br />
Prendiamo un jugo de naranja (=una spremuta di arance, in castigliano doc si direbbe<br />
zumo) seduti ad un tavolino in un patio di una casona in cui è sistemata la scuola di<br />
turismo, passeggiamo per la via pedonale dove ci sono ben tre farmacie a pochi passi<br />
l’una dall’altra, e alla fine c’è una piazza con una bellissima chiesa barocca e di fronte una<br />
scalinata con un ampio spiazzo sopraelevato con un arco da cui si accede a una casona,<br />
e lì c’erano varie donne nei loro costumi colorati che vendevano dolcini, cruasanes,<br />
cornetti, panini di varie forme. Compriamo varie briochine e panini per il viaggio di domani,<br />
6 per circa 14 €urocents, facciamo scorta, sono freschissime e buonissime. Giriamo<br />
ancora un po’, interessante la chiesa e convento, del 1605, della compagnia dei gesuiti, e<br />
la chiesa dei domenicani, del 1548, con il loggiato dove i membri del tribunale<br />
dell’inquisizione comminavano le condanne capitali (si veniva impiccati in cima al<br />
campanile).<br />
Poi andiamo a cenare, incontriamo Lino che ci indica una polleria, “Kevin - pollos a la<br />
brasa”, mangiamo mezzo pollo allo spiedo ciascuno e patate fritte con cocacola e birra,<br />
per 12 soles circa 3 €uro (Lino aveva speso 5 soles). La sera sul tavolo della balconata<br />
interna studiamo la cartina per l’itinerario di domani.<br />
jueves 15 de avril<br />
Ci alziamo alle 6, colazione nel bar del cortile interno, e via si riparte. Ci sembra di essere<br />
in perù da un sacco di tempo. Da qua ad Abancay non c’è strada asfaltata, e non è<br />
nemmeno che sia una “normale” strada di terra ben battuta, no è proprio come un sentiero<br />
con sassi, buche, sassoni, pozze, stretto e con mille curve e spesso a strapiombo col<br />
bordo di ghiaia che frana. Brutto e senza che ci sia stato mantenimento da tempo<br />
immemorabile, il primo lungo tratto, quasi tutto in salita, è tremendo si traballa e sobbalza<br />
molto, non riesco nemmeno a prendere piccoli appunti promemoria, nulla. Si procede al<br />
massimo a 20/30 all’ora. Al solito incontriamo solo rari camion, qualche corriera, qualche
combi, o quei taxi collectivos per le lunghe distanze con sacconi sopra il potabagagli. Ma<br />
di solito non c’è nessuno sul percorso. Eppure è la strada nazionale nord-sud parallela alla<br />
costa, che unisce importanti città come appunto Ayacucho, Andahuaylas, Abancay.<br />
Faremo 245 kilometri in 9 ore. Non ci sono cartelli stradali, non si sa in che paese si è<br />
arrivati, spesso se ci sono carteles (in castigliano letreros), non si capisce bene dove<br />
indichino, cosa significhino, e anzi fanno più confusione, magari sono molto vecchi.<br />
Insomma bisogna chiedere. Lino chiama “hola pata !” quei giovani cui chiede informazioni,<br />
se no dice “amigo”, oppure “señora, señorita”. Ma non è facile: non sanno, oppure non<br />
sanno spiegare, oppure non sanno lo spagnolo abbastanza bene. Sempre deve chiedere<br />
tre volte alla stessa persona, e poi a volte è meglio richiedere a qualcun altro per avere<br />
conferma. Il fatto è che non sono abituati a parlare con estranei, non parlano molto<br />
comunque, e poi sono là nel loro mondo, con tempi lenti, silenzio, e arriva all’improvviso<br />
questo che dice delle cose con uno strano accento, e chiede cose strane o ovvie. A volte<br />
le donne rispondono in quechua, ma anche Lino sembra che non sempre capisca la<br />
pronuncia. Chiede conferma, parlando sempre solo in spagnolo, e se dicono aoryk allora<br />
vuol dire sì. Così imparo aoryk (=sì), mànan (=no), e llapanchìk (=tutti quanti).<br />
Oramai i costumi maschili sono rarissimi, anche molte ragazze non portano più il costume<br />
locale. Ci sono vari cartelloni statali inneggianti alla modernizzazione (“Mujeres y varones<br />
tenemos los mismos derechos”), o che incitano con consigli (“Planifica tu familia! vivràs<br />
mejor”).<br />
Ci sono molte coltivazioni di maìs che qui chiamano chòquolo, cioè pannocchia, e arbusti<br />
con foglie a cinque dita, con i cui semi si colora il cuoio. In moltissimi borghi c’è uno<br />
spiazzo centrale ampio, un po’ rettangolare, magari qui si affaccia la scuola o la caserma<br />
o il posto di polizia, oppure c’è il campo di calcio. Comunque rappresenta uno spazio<br />
razionalizzato, con edifici moderni. Nei villaggi nulla di tutto ciò. In un villaggio vediamo<br />
che si stanno preparando a una fiesta, ci sono coppie di tori sui tetti, nastri colorati che<br />
uniscono tetti, o pali, o che pendono da pali inghirlandati, con girandole colorate. Alcuni<br />
abitanti stanno convergendo dove si fa un falò, qui le donne hanno giacche “da uomo”. Più<br />
in là incrociamo un ranchero con chitarra che sta recandosi al villaggio per la fiesta.<br />
Ci fermiamo per uno spuntino nel paese di Chumbas a circa 1800/2000 metri. Sostiamo al<br />
“restaurant bodega Doña Paquita”, ma non c’è nessuno, chiediamo, ci indicano dove<br />
potrebbe essere, ci sono alcune donne chiediamo loro, la chiamano, intanto entro e mi<br />
pare un posto accettabile, un negozio emporio di generi vari, con un paio di tavoli. Ma la<br />
signora dice che non ha tempo (o voglia), di andare più avanti che c’è un altro comedòr.<br />
Qui più avanti c’è una fermata delle corriere, e proprio adesso scende tutto un pullman<br />
davanti a un comedòr per pranzare, scorgo tra la folla un giovane europeo con<br />
l’abbigliamento e la capigliatura che solo un viaggiatore, e di quell’età, può avere, per un<br />
istante si incrociano gli sguardi, scocca un’intesa, ci siamo riconosciuti a vicenda;<br />
comunicazione avvenuta. Chiediamo se c’è un altro posto per mangiare, perchè qui si è<br />
creata troppa confusione proprio adesso, e ci indicano più giù dopo lo spiazzo. Ci<br />
fermiamo in una trattoria che subito ci piace. E’ incredibile come in tutta quella polvere,<br />
con i pavimenti di terra battuta eccetera riescano ad essere puliti e ordinati. Richiediamo il<br />
pranzo, mentre alcuni altri già stanno mangiando degli appetitosi piatti. Vado in “bagno”, un<br />
semplice bugliolo, ma con accanto un lavandino per lavarsi le mani con un piccolo<br />
saponino. Passo a dare un’occhiata alla cucina dove una giovane signora sta indaffarata<br />
ma tranquilla cucinando in un ambiente poco illuminato da un buco sul soffitto, e con le sue<br />
povere attrezzature, ma tutto è ordinato e pulito nella misura del possibile per quel<br />
contesto. Ordino una tortilla di verdure cotte e riso bianco. Da bere una minerale, e poi un<br />
mate de coca. Mangiamo e chiacchieriamo, vado a fare un giretto e mi assaporo tutta la
calma (il pullman è già ripartito) del paesino, con il suo carretto-negozio, il chancho che se<br />
ne va in giro a fare lo spazzino, lo spiazzo dove forse fanno il mercato settimanale, e più<br />
giù una coltivazione, forse, di tantissimi cactus credo da fichi d’india. L’aria è tersa da<br />
montagna, pulita, fine, il sole forte ma non eccessivo, c’è una leggera brezza, tanto<br />
silenzio. Mi fermerei qui se non dovessimo arrivare prima del buio il più avanti possibile.<br />
Chiedo il conto che, se ben ricordo è sui 13,50 soles per tre (poco più di tre €uro), e<br />
scambiamo quattro parole con la giovane signora, molto piacevole, sorridente, con gli<br />
occhi luminosi, che ci chiede da dove veniamo (sa cos’è l’Italia!) e cosa vogliamo visitare,<br />
ci da consigli, parla di quanto la incuriosirebbe viaggiare, e dimostra di sapere tante cose,<br />
è sveglia, intelligente, pronta. Un vero piacere, “desculpen las charlas, Os hé hecho gastar<br />
tiempo” “nos hemos quedado a hablar con Usted con mucho gusto”, mi scusino le<br />
chiacchiere Vi ho fatto perder tempo, no ci siamo intrattenuti a parlare con lei con molto<br />
piacere.<br />
Di nuovo attraversiamo i panorami mozzafiato degli altopiani andini, con stagni, capanne,<br />
vasti pascoli con mandriani a cavallo, mi viene in mente il film di Kurosawa sulla Siberia<br />
“Dersù Uzalà”. Valli disabitate nel senso che sono anche senza animali, altipiani tipo certe<br />
foto sulla steppa della Mongolia. Certe visioni varrebbero già da sole il viaggio<br />
dall’Europa.<br />
Facciamo sosta a un grifo (benzinaio) senza pompa in un paesino dove c’è mercato. Sono<br />
cose di scadente qualità fatte in serie, bruttine. C’è una sezione escolar perchè tra poco, o<br />
in questi giorni inizia la scuola. Avevamo pensato di fermarci a Chincheras perchè nella<br />
cartina sembrava un centro importante, ma non c’è nulla ed è proprio squallida. Poi<br />
finalmente, dopo che abbiamo continuato a rinviare la meta, arriviamo alla città di<br />
Andahuaylas che è già sera tardi. <strong>Viaggio</strong> questo veramente stancante, anche se ci ha<br />
regalato paesaggi stupendi e interessantissimi passaggi attraverso villaggi e paesi di<br />
campagna ancora tradizionali.<br />
Questa volta vorremmo non spendere tanto per alloggiare in tre, visto che a Ayacucho<br />
abbiamo speso “non poco” per Lino, e allora individuiamo un albergo più “semplice”,<br />
anche questo in centro. E’ veramente squallidone, tutte le stanze danno sul cortile centrale<br />
e comunicano con un ballatoio per due piani. Ma sono tutte vicinissime e piccole, e i muri<br />
sono di cartongesso. E dentro non c’è null’altro che due brande di legno su un pavimento<br />
di legno, con tante coperte di lana, non un armadietto, o almeno una mensola. Sembra un<br />
rifugio montano, ma brutto. Il bagno in camera (Lino prende una camera singola senza<br />
bagno) è mezzo allagato, come sciaquone per il water c’è un bidone con lattina-mestolo.<br />
L’acqua del lavandino va sul pavimento di linoleum. Vabbé, per una notte sola. Ma<br />
l’indomani avremo strani pruriti <strong>sulle</strong> gambe...<br />
Usciamo, c’è un mercatino squallido, anche qui con sezione scuola, dove compro una<br />
sciarpa di alpaca a due soles (=50 €urocents). Su un muro c’è un cartellone con la foto e le<br />
parole di un maestro popolare famoso in Perù, che incitava ad essere disinteressati<br />
nell’intraprendere la professione magistrale, e ad immedesimarsi in essa considerandola<br />
come una vera e propria “missione laica”.<br />
Poi andiamo a mangiare in un posto squallido dove ci fraintendiamo e ci portano la<br />
comida corrida, il menù fisso completo, primo una minestra in brodo che assaggiamo<br />
appena e piantiamo lì visto l’odore e il sapore, una insalatina mista di verdure crude che<br />
restituiamo non fidandoci di come han lavato le verdure (abbiamo visto la “cucina”), un<br />
quarto di pollo allo spiedo con patate fritte, cocacola e birra, sei soles a testa (=1 €uro e<br />
mezzo). Ci alziamo per tornare esausti in albergo, ma si mette a iniziare proprio allora il<br />
Diluvio Universale. Aspettiamo, il vento fa sbattere continuamente la porta ed entra vento<br />
gelido. C’è una famigliola che è eccitatissima per essere uscita al ristorante, sono tutti<br />
bruttini anche la bimba. Infine diminuisce l’intensità degli scrosci e usciamo, prendiamo al
volo un taxi che passava per la via buia e andiamo in albergo. All’ingresso c’era Lino che<br />
non riusciva a dormire, chiacchieriamo un po’ con il tizio dell’albergo, mentre il suo giovane<br />
aiutante dorme nel retro del gabbiotto di vetri del banco. Al giro delle scale c’è un vecchio<br />
condor imbalsamato, impolverato. Andiamo nella cuccia a dormire, cercando di non<br />
badare al chiacchiericcio di quelli che sono qui per il mercatino, o perchè hanno messo<br />
delle bancarelle, e che parlano dei loro affari. Resterà comunque indimenticabile<br />
Andahuaylas, buco oscuro dell’ambizione delle cittadine di provincia ad intraprendere la via<br />
della modernità perdendo ogni identità e restando povere.<br />
viernes 16 de avril<br />
Ci alziamo alle 6 e partiamo subito dopo aver pagato i 35 soles per tre letti (= 8 €uro e<br />
mezzo). E’ quasi tutto chiuso, ma c’è il sole, facciamo colazione in una fornitissima<br />
pasticceria dove mangiamo ottime brioches e paste, caffelatte come si deve<br />
superabbondante, e chiacchieriamo con il padrone che ritiene di essere forse di lontane<br />
origini italiane, molto gentile e cordiale. Comunque, nonostante una piacevole canzone<br />
della brava Roxana Gutierrez che sospira per un bell’Andahuaylino, noi non ne abbiamo<br />
visti proprio, e lasciamo volentieri questa città, che non conserva nemmeno un ricordo<br />
degli antichi Andahuaylas, prospera popolazione autoctona pre-incaica. Partiamo alla<br />
ricerca assurda di benzina andando prima di qua e poi di là. Finalmente in un paesello fuori<br />
città, su in alto, troveremo il grifo Gavilàn (=gabbiano), ed effettivamente e stranamente ci<br />
sono dei gabbiani...! La gasolina, lasciata la costa, è sempre solo ad 84 ottani, e Lino fa<br />
soltanto 50 soles -come già ieri- nella speranza di trovare poi un distributore almeno a 90<br />
ottani.<br />
Al mattino presto tutti gli scolaretti lindi e pettinati vanno a piedi verso qualche scuola. Ieri<br />
avevamo visto, invece quelli più grandi che ritornavano alla sera da un collegio<br />
secondario, che poi abbiamo visto ed era lontanissimo per andarci a piedi, avendo la<br />
fortuna di fare almeno il rientro in discesa (!).<br />
Gli andini generalmente sono gente piccola, e nelle disperate periferie cittadine sono pure<br />
magrissssimi.<br />
Lo Stato fa mettere delle latrine a ogni famiglia, e quindi qui il paesaggio nei villaggi è<br />
costellato di cabine di lamiera dipinta di verde con tettuccio a fianco di ogni casettacapanna.<br />
Qui campeggia una grande scritta che avevo già visto su alcuni camiones “La ùnica<br />
esperanza es Jesùs”, nonostante lo sforzo di modernizzazione in atto che al di là della<br />
corruzione dei vari politici sembra essere un obiettivo perseguito da ogni governo, entro i<br />
limiti dei suoi interessi.<br />
Passando dentro ad un paesotto nello spiazzo centrale dobbiamo fendere una massa<br />
compatta, ci sono decine e decine di donne che attendono di poter salire su alcuni<br />
camiones che le prendono su per portarle negli impervi luoghi <strong>sulle</strong> alture dove impiegarle<br />
per la cosecha, per il raccolto delle patate o d’altro. Ci guardano alcune imbronciate, altre<br />
sorridenti, altre indifferenti, alcune rispondono al saluto. Sarebbero tutte da fotografare<br />
tanto son belle, con i loro cappelli da uomo, con i colori che hanno indosso, per i loro volti,<br />
per gli sguardi, per la estrema semplicità della scena e dell’atmosfera che avvolge questa<br />
scena mattutina di montagna.<br />
Guardo fuori dal finestrino come forse una volta facevano dalle carrozze. In effetti<br />
siccome andiamo al massimo a 20/30 kmh, probabilmente andiamo alla stessa velocità a<br />
cui viaggiavano le prime auto che fecero questi percorsi, e forse anche i primi viaggiatori a<br />
cavallo; dunque qui contrariamente a quello su cui ragionava Freire, e che poi insegnava<br />
don Milani, non è cambiato gran ché il rapporto distanza - mezzo - tempo. Cioè le nuove<br />
tecnologie non bastano a fare la differenza se non sono accompagnate da un migliora-
mento delle infrastrutture (in questo caso la rete viaria asfaltata). In definitiva faremo<br />
Pisco-Cusco, cioè una distanza di circa 600/650 kilometri, in quasi trenta ore di guida.<br />
Bisogna dire che facendo continuamente su e giù a questa andatura, si può ben constatare<br />
come vi siano veri e propri Mondi separati, altri universi geografici, etnici, di civiltà<br />
materiali, di tempi storici differenti, che si alternano. Altri Mondi disposti a strisce<br />
orizzontali parallele, che vivono in dimensioni proprie. Un conto sono quelli giù in fondo<br />
valle al caldo umido, vestiti di cotone bianco, con il loro machete in mano, in mezzo ai<br />
bananeti e ai mosquitos; altro sono quelli delle cittadine con le loro ambizioni di esser<br />
vestiti come nei rotocalchi, con abiti moderni sintetici, ma che nelle periferie di bidonvilles<br />
senza servizi igienici, nella polvere e nei fumi degli scappamenti dei camion, sono solo<br />
sporchi e poveri e senza lavoro, con il golf bucato e i pantaloni jeans consunti e macchiati;<br />
un conto sono i contadini dei paesi di montagna, con le loro attività agricole, i lavori di<br />
intreccio della paglia, con le stuoie furi dalla porta con stesi i vari semi ad essiccare al<br />
sole, le pannocchie accatastate in casa; o più in alto i montanari con i loro costumi, i<br />
pastori con le greggi o più su i vaccari o gli alpaqueros con le mandrie, i loro ritmi di vita<br />
tradizionali, la povertà dignitosa di chi ha sempre vissuto col poco che poteva ricavare<br />
dalla terra o dagli animali; sono mondi che non si intersecano senza contatto gli uni con gli<br />
altri, che vivono in dimensioni differenti, e in climi sia metereologici che ambientali e<br />
culturali diversi. E li ripassi tutti, ogni volta che vai su per poi tornar giù e riandar su, perchè<br />
così sono le strade sterrate che attraversano le cordigliere: su e giù.<br />
Qui accanto a noi ora osservo dal finestrino una donna abbarbicata al suo uomo su una<br />
vecchissima moto, che vanno verso un altro villaggio distante. Sui pendii dall’altra parte (le<br />
valli a volte sono proprio strette) i campicelli di patate o d’altro, sono isolati qua e là in<br />
pendenze ripidissime; come faranno a raggiungerli, coltivarli, e poi raccogliere e portare il<br />
raccolto a casa o al mercato ?<br />
Il pensiero mi va al padre di mio nonno a Caravaggio sui monti dietro a Bergamo, con la<br />
sua famigliola di una dozzina o più figli. A mio nonno al compimento dei 12 anni dissero<br />
ecco prendi due soldini, qualche indumento e va a Milano, vedrai che là troverai di meglio<br />
per vivere, e lui si incamminò a piedi. Poi trovato per fortuna un posto come garzone<br />
presso una bottega di marmorino, chiamò il fratello maggiore che era falegname. E’ più o<br />
meno a quei tempi che nelle nostre campagne si viveva come ora mi pare vivano qui,<br />
almeno per l’aspetto materiale, senza attrezzi moderni, senza “comfort” abitativi, senza<br />
molta igiene, secondo le usanze e i mestieri tradizionali, in una dimensione un po’<br />
comunitaria del villaggio isolato, in cui la penuria e la povertà estrema era condizione<br />
normale di vita.<br />
Da un cartello che lo annuncia, si capisce che in uno spiazzo di un paese una agenzia di<br />
aiuti internazionali al Terzo Mondo ha costruito un lavatoio pubblico. In un altro paese<br />
invece una organizzazione chiamata “Inter-Vida” ha portato l’acqua potabile. Lungo la<br />
stada su un pendio scosceso in una zona totalmente disabitata vediamo come un piccolo<br />
cantiere, una capanna di paglia per il muratore, un cavallo per i suoi spostamenti, e sta<br />
costruendo una casetta in muratura per una singola famiglia, per conto di un’altra agenzia<br />
internazionale.<br />
La strada segue pedissequamente la conformazione orografica, essendoci pochissimi<br />
ponti, si percorre tutta una valle dal versante di qua e poi si ripercorre dal versante di là,<br />
per cui per procedere di non molte centinaia di metri si fanno lunghi percorsi. Ci sono tratti<br />
di strada bianca, o rossa, o giallina, strade strette, più larghe, polverose o sassose. I tetti<br />
delle capanne sono di paglia a ciuffi oppure sopra la paglia ci mettono la terra e ci cresce il<br />
prato. Non fanno mantenimento della casa, perchè ci stanno dentro poco, quasi solo la<br />
notte, per cui è solo un riparo alle intemperie, quando è vecchia e crolla la lasciano così<br />
diroccata e ne fanno un’altra più in là. Solamente nelle parti basse dei valloni, dove fa
caldo, ho visto curare l’estetica delle abitazioni, con disegni geometrici sui muri, o<br />
decorazioni. Qui su siamo ancora in piena presenza di una economia di cacciatoriraccoglitori;<br />
è appena ora agli albori un processo di modernizzazione (e di ingresso di una<br />
economia monetaria).<br />
Anche Lino però non sa a volte rispondere bene a certe nostre curiosità e domande del<br />
tipo “che cos’è questo?”, “cosa significa questa cosa?”, “che cosa intendi esattamente<br />
quando dici questo?” e così via. Spesso si crea un equivoco e c’è sfasatura di contenuti<br />
tra domanda e risposta. Ugualmente accade certe volte, mi pare, quando chiede qualcosa<br />
ai locali; deve sempre ripetere la domanda, anche tre volte. In certi casi la gente da tutto<br />
per scontato, altre volte sembra che non siano abituati a ricevere queste domande, altre<br />
volte forse la difficoltà nel rispondere sta nella scarsa dimistichezza con la lingua spagnola<br />
che magari hanno studiato a scuola in quelle classi elementari che possono aver<br />
frequentato da piccoli, oppure il loro vocabolario spagnolo è limitato a ciò che è utile e<br />
funzionale ad es al mercato, per i contatti commerciali, ma non sanno altro. Scendo per<br />
fare una foto in un villaggio, e poi mi accorgo che da lontano uno ha sollevato in alto il suo<br />
bimbo piccolo per mostrarmelo con orgoglio.<br />
Di solito i piccoli se li portano con sè ovunque vadano e qualsiasi cosa stiano facendo.<br />
Quando sono più cresciuti e sanno camminare bene, di solito li affidano a qualche familare<br />
o fratello, sorella più grandini, e li lasciano al villaggio. (Mi tornano alla mente certi viaggi<br />
che da piccolo facevo con mio padre che come medico legale andava in certi paesini per<br />
farsi spiegare come erano andati i fatti ad es relativi ad un incidente, e mi portava con sè.<br />
Ma anche poi ai viaggi che facevamo tutti e tre sulla Lambretta, o poi con la Topolinogiardiniera<br />
in Maremma o nel sud-Italia).<br />
Il kilometro come unità di misura delle distanze qui non significa proprio niente, e infatti ben<br />
pochi sanno rispondere dicendo la distanza in kilometri. Una distanza va commisurata al<br />
tempo. Va misurata in tempo di cammino, o di torpedone, o di camioneta; e varia da<br />
luogo a luogo, a seconda della orografia, delle condizioni della strada, degli intralci dati da<br />
attraversamento frequente di bestiame, o altri fattori, come quelli metereologici, o ad es.<br />
se si sale molto in alto. Da Andahuaylas ad Abancay sono 140 km circa e ci mettiamo 4<br />
ore e mezza, perchè ad es appunto superiamo un passo oltre i 4000 metri con cattive<br />
condizioni atmosferiche, e la situazione del fondo stradale lo rende scivoloso e conviene<br />
andare molto piano.<br />
Visti da lontano i ghiacciai perenni Nevado di Sacsarayoc (circa seimila m.) e Nevado<br />
Salkantay (6271 m.), hanno tutto l’aspetto e l’imponenza di dei immortali. A sinistra c’è il<br />
Santuario naturale di Ampay con i suoi laghetti.<br />
Ma ora finalmente con una lunghissima discesa su stradone polveroso bianco, giungiamo<br />
nella moderna città di Abancay , capoluogo del dipartimento dell’Apurìmac. Qui però i<br />
tricicli-taxi sono a pedale. Ci fermiamo a mangiare in una chifa cioè in una trattoria cinese,<br />
qui c’è appunto una folta comunità radunata nel bàrrio chino, il quartiere cinese. Mangiamo<br />
un po’ diverso dal solito a 28.75 soles, 7€ per tre. Ripartiamo perchè il nostro obiettivo,<br />
che già abbiamo mancato a Andahuaylas era di trovare un accesso per raggiungere per<br />
via fluviale la zona di Espiritu Pampa. Ma quando abbiamo attraversato il rio Pampaconas<br />
era troppo forte la corrente e infatti non c’era nessuna imbarcazione, da Andahuaylas non<br />
abbiamo capito come raggiungere la confluenza del Pampas nel rio Apurìmac dove forse<br />
avrebbe potuto esserci un imbarcadero, e ora dopo Abancay la autopista per Cusco<br />
finalmente asfaltata dovrà attraversare con un ponte l’Apurìmac. Ma prima bisognerà di<br />
nuovo salire e poi si riscenderà.<br />
E dunque qui inizia un nuovo capitolo perchè dopo un po’ raggiungiamo una località dove<br />
c’è un importantissimo sito archeologico. D’ora in poi infatti oltre all’aspetto paesaggistico,
naturalistico, antropologico, folklorico, si aggiungerà spesso tra gli interessi del viaggio<br />
anche l’aspetto di àmbito storico e archeologico.<br />
Dopo il passo a quattromila metri, con il mirador a Socclaccasa, facciamo dunque una<br />
piccola deviazione per visitare il sito di Saywite a 3500m. Anche qui constatiamo che la<br />
grafia nel riportare le denominazioni di siti antichi, o in quechua, è estremamente variabile.<br />
Probabilmente prima del 1975, quando il quechua (prima scritto Kechua)fu riconosciuto<br />
come lingua nazionale, si traslitteravano i termini in modo differente. Quindi si può trovare<br />
scritto Saihuite o Saywite, Huari o Wary; ora giustamente si distingue tra la q e la k, o h o<br />
jota, o doppia c, tra i e y.<br />
In un prato vicino a un bosco c’è uno sdraiato per terra che dorme e che sentendoci<br />
arrivare si va a sedere un po’ più su, è il guardiano del sito. Ci chiede una cifra<br />
spropositata per la visita, 20 soles per due biglietti (Lino non pagherà mai in tutti i siti che<br />
visiteremo), biglietti che comunque dice che ha terminato. Dunque vediamo questo che si<br />
rivela essere un grande complesso archeologico. L’attrazione maggiore è quella che si<br />
vede subito comunque anche senza fare il biglietto, cioè il grande monilite nero. E’ alto due<br />
metri e mezzo con un diametro di quattro metri. Si tratta di una sorta di uovo di varie<br />
tonnellate “tagliato” a metà. Il guardia dice che le figure scolpite sulla superficie superiore<br />
dell’uovo rappresentano una mappa geografica di tutto l’impero degli Incas. Si individua<br />
più in là una reggia con il trono, rivolto al sorgere del sole, fontane e canali digradanti, poi<br />
un altare per lo sposalizio con gli spiriti degli antepassati, e in fondo all’avvallamento una<br />
piattaforma per il culto al sole e alla luna, e infine poco discosto un cosiddetto “orologio”<br />
astronomico in pietra. Il guardia si scusa prima di iniziare ma dice che lui deve dire il suo<br />
discorsetto, perchè è il suo dovere (?). E così inizia e il discorso è tutto intessuto di finte<br />
domande retoriche che si autopone per poi fare una breve sospensione e dare la risposta.<br />
Parla piano, un po’ sottovoce. E’ interessante ma non convince del tutto. a parte il fatto<br />
che dice che gli archeologi hanno identificato in quei tempietti in alto Machu Picchu, che<br />
invece sino al 1911 quando la scoprì Hiram Bingham, nessuno né gli spagnoli, né poi gli<br />
storici americani o europei, aveva mai saputo che esistesse, e in quelli in basso<br />
Choquequirao, scoperta più di recente. A un certo punto mi scuso ma gli chiedo se c’è un<br />
bagno, e mi dice di seguire un po’ il costado e poi entrare nel bosquecito. Dopo ci porta in<br />
una casetta un po’ diroccata, dove sta lui, è come un micro museino con un vecchio<br />
pannello esplicativo mal fatto, e delle piccole vetrinette polverose all’ombra, con qualche<br />
coccio. Non ci sono non dico libri o una guida, ma nemmeno dépliants, opuscoletti,<br />
foglietti ciclostilati, con dei dati su Saywite, nè alcunchè in vendita. Non resta dunque che<br />
accontentarsi del suo discorsetto. Non si capisce cosa ci abbia portato qui a fare nella<br />
casetta.<br />
Ritornando al monolite scolpito, mi pare limitativo dire che è una carta geografica dei<br />
domini inca, mi pare che sia molto di più. Gli Inca chiamavano il loro impero universale,<br />
cioè lo denominavano con il termine Tawantinsuyo, perchè dicevano che si estendeva sui<br />
quattro angoli del Mondo, o ai Quattro Punti Cardinali (e il Cuzco era l’Ombelico del<br />
Mondo). Quindi le raffigurazioni di templi, scalinate, canali, corredate da sculture di animali,<br />
sono “semplicemente” simboliche. Sarebbe altrimenti curioso che per identificare certi<br />
luoghi geografici le figure fossero solo zoomorfe anzichè rappresentare popolazioni o tipi<br />
umani (c’è la Selva, la Sierra, la campagna e la Costa) I simboli appunto sono il puma, il<br />
giaguaro, la rana, il serpente cobra, la scimmia, il llama decapitato per sacrificio rituale, il<br />
gamberone, un uccello. Anche le città sono due: la alta e la bassa. E c’è pure il simbolo<br />
religioso degli Inca, che poi è stato chiamato la croce andina, ma che si riferisce piuttosto<br />
alla costellazione della stella del sud, ad una scala di gradini ascendenti e discendenti, cui<br />
sono attribuiti vari significati. La strada forse è quella che univa Espiritu Pampa e<br />
Vilcabamba, a Choquequirao, a Machu Picchu e poi terminava a Saywite, ma più
probabilmente è il percoso che unisce tutte le quattro rotte del Mondo (altra traduzione di<br />
Tawantinsuyo). Così come i vari rìos confluiscono nel grande mare che è l’oceano<br />
pacifico che contorna e racchiude tutte le terre. Insomma essendo questo sito un<br />
complesso cultuale e rituale di carattere religioso, sacrale e insieme regale, il monolite di<br />
Saywite rappresenta simbolicamente il Cosmo tutto, la Grande Madre che è il Mondo con<br />
le forme di vita che ha generato. Da quella selvaggia a quella civile, da quella che ha come<br />
sua virtù la saggezza a quella che possiede l’energia e la potenza, dallo strisciante al<br />
volatile, eccetera. Ma si sentirebbe appunto la necessità di un opuscolo, un librino che<br />
riportasse le ipotesi degli studiosi che a questo sito si sono dedicati...Ma queste carenze<br />
purtroppo le sentiremo poi anche in varie altre località archeologiche.<br />
Scendiamo poi a Curahuasi tra i campi di anìs (=anice) di cui questa area è capitale<br />
mondiale, perchè questa varietà di piantina di un verdino chiarissimo, i cui semi sono tanto<br />
apprezzati, cresce solo a questa altitudine (tra i 3000 e i 3500 m.) e preferibilmente in un<br />
terreno con questa composizione minerale. Proseguiamo e dopo il passo di Huamànmayo<br />
scendiamo al ponte di Cùnyac a 1900 m.; risulta chiaro che <strong>sulle</strong> acque dell’Apurimac qui<br />
non si può andare. Entriamo nel dipartimento del Cusco. Penseremo se e come andare ad<br />
Espiritu Pampa, eventualmente da Vilcabamba, o se rinunciare e cambiare programma.<br />
Le rovine di Tarawasi sono vicine a LimaTambo attraverso cui passiamo, ma oramai è<br />
tardi e non ci andiamo. Scendiamo verso Izcuchaca tra gli alberi “Pisonay”. Ci sono<br />
spesso dei badén (=guadi), dunque anche la bella strada asfaltata viene ogni tanto<br />
letteralmente spazzata via da torrenti impetuosi che si ingrossano d’improvviso e la<br />
invadono. Si prosegue tra paeselli con vecchie o anche vecchissime scritte elettorali.<br />
Questa, mista quechua-spagnolo ad esempio c’è di frequente: “Llapanchìk marquen asì”<br />
(=fate tutti quanti il segno così”). Poi c’è spesso una scritta che ricorda o inneggia a<br />
Pachakuteq, un importante Inca dell’inizio del 1400 (forse fu preso come simbolo elettorale<br />
di un partito locale). La pista dunque è ben asfaltata ma ugualmente, soprattutto a<br />
quest’ora tarda, l’intralcio è dato da animali che non solo attraversano, ma che passano, la<br />
percorrono, stazionano, lungo e sopra la strada. I chanchos sono spesso legati sul bordo<br />
stradale, ma si slegano, oppure i proprietari se li vengono a riprendere e li portano al<br />
guinzaglio verso casa camminando sulla strada. Se no ci sono mucche e pecore. Ma<br />
infine eccoci per le 18 a Cusco (siamo partiti stamane alle 8).<br />
Eccoci dunque in quella che, venendo da 30 ore di auto a 35Km all’ora attraverso le<br />
campagne, i villaggi montani, le zone agricole o di pastorizia, ci appare insomma come<br />
una metropoli moderna, la grande capitale delle <strong>Ande</strong>, l’antica capitale inca (in quechua<br />
significa centro, ombelico)e inizialmente anche del vicereame spagnolo, a 3.400 metri di<br />
altitudine. L’impatto col casco antiguo è strabiliante. Tutto ben illuminato e valorizzato al<br />
massimo dello splendore! Imponenti le chiese con una architettura barocca coloniale tutta<br />
sul marrone scuro e il bianco. Poi le vedremo dentro, cariche d’oro e di specchi, e di<br />
affreschi. Attraversiamo varie piazze con fontane, alberoni secolari, a volte le mura di<br />
base sono incaiche. Impressiona nella plaza de armas la chiesa dei gesuiti con accanto la<br />
casa dell’Inquisizione.<br />
Ci sistemiamo all’Hostal Incawasi, 23 dollari per una doppia con bagno proprio nella<br />
grande piazza centrale. D’altronde i prezzi qui sono superiori che in altre località andine<br />
perchè questo è il centro principale del turismo internazionale che viene in Perù. Lino<br />
cercherà un alberghetto che abbia una cochera, e lo troverà poco più in là della piazza a<br />
35 soles (8€), e se ne andrà a mangiare il solito mezzo pollo alla brace al comedor “Los<br />
Angeles - pollos y parilladas” per due €uro. Mentre noi andiamo a spasso, e poi<br />
cercheremo un buon ristorante piacevole e rilassante, per festeggiare il compimento di<br />
questa prima “tappa” del nostro viaggio. Stupendo ristorante in un edificio coloniale con gli<br />
interni in legno, mangiamo alla bow-window che da proprio sulla piazza illuminata, una
cena come si deve, 70 soles (16/17 €), pensavamo molto di più, dato il posto, il servizio, e<br />
dato che siamo a Cusco. Al mercato ufficiale della associazione degli artigiani del Cusco<br />
che sta dentro la chiesa gesuitica, ci sono tantissime belle cose, fatte bene e con gusto.<br />
Compro una casaca per 70 soles che è stupenda, contratto un po’ ma poco perchè la<br />
signora mi sussurra piano che in questo momento ha tanti problemi, le chiedo della sua<br />
famiglia, è molto contenta e mi racconta un po’, la ascolto con interesse. Poi mi dice ti<br />
faccio uno sconto ma, e mi sorride abbassando la voce e gli occhi, tu torna domani per<br />
prendere qualcos’altro per favore, e rialzandosi mi aggiunge con serietà: hai visto come<br />
lavoriamo bene, e qui la qualità è garantita. Va bene senz’altro, e le dico “Que Diòs<br />
bendiga su familia y que todo pueda pasarle bién”, mi prende con le due mani la mia con<br />
gratitudine. Mi commuovo. Forse non molti turisti le hanno dedicato del tempo.<br />
Torniamo e incontriamo Lino che ci aspettava davanti all’albergo, combiniamo per<br />
domattina alle sette in un piacevole e semplice bar dove si può fare el desayuno, per poi<br />
ripartire in direzione della valle di Vilcabamba.<br />
La notte è rovinata da una compagnia di ragazzini e ragazzine inglesi che festeggiano<br />
l’ultima sera bevendo birra, cantando, e parlando a voce alta, escono poi tornano, è un<br />
tormento, una violenza verso tutti gli altri clienti, finalmente la masnada di questi irruenti<br />
menefreghisti cafoni egocentrici va verso l’uscita, alle quattro e mezza partono per<br />
l’areoporto, ma, oddio, dopo c’è una che piange e si dispera e un’altra la consola...poi per<br />
fortuna anche queste crollano addormentate per eccesso di birra.<br />
Sabado 17 de avril<br />
Ci alziamo alle sei, vado a fare un giretto e vado a comprare un chaleco (=giubbotto)<br />
rosso per 35 soles, poi facciamo una bella colazione con caffelatte come si deve e ottime<br />
brioches, succo d’arancia, burro e marmellatina fatta in casa.<br />
Ben va con Lino per sistemare diversamente i bagagli. Chiacchiero con la vicina di tavolo,<br />
che mi dice essere una antropologa americana, sulla possibile interpretazione dei rilievi<br />
scolpiti sul monolite di Saywite, poi mi congeda perchè stava scrivendo, ma comunque<br />
anch’io dovevo andare. Facciamo gasolina dopo le solite ricerche di un grifo con gas da<br />
90, che ci svelano anche qui una periferia scassata e allo sfascio, e partiamo.<br />
Ritorniamo a Izcuchaca giriamo a destra verso Pucyura, costeggiamo la Laguna (=lago)<br />
Huaypo, si favoleggia che qui (o nel vicino lago Piuray) gli incas abbiano gettato i<br />
manufatti d’oro che volevano mettere in salvo. Il lago non è utilizzato <strong>sulle</strong> rive, anche se<br />
potrebbe essere una bella attrazione turistica, comunque non ci sono nè case nè barche<br />
da pesca. Nella campagna nella conca vicino al Cuzco avevamo visto per la prima volta un<br />
trattore. Ora qui vediamo donne che da tutte le parti stanno venendo giù per il mercato,<br />
con abiti di colori e di decori differenti; vedo per la prima volta una con il suo cappellino a<br />
disco piatto. Diverse donne hanno invece una specie di cappello a cilindro bianco.<br />
Andando a Urubamba si vedono anche terrazzamenti incaici sui pendii. Sullo sfondo alti<br />
picchi, come il Chicòn, e forse il Pumahuanja, ma le nuvole presto li coprono. Passiamo un<br />
ponte (il fiume qui si chiama Urubamba ma più su è chiamato Vilcanota, o Wilcamayu)e<br />
entriamo nella cittadina. Molta confusione in questo piccolo centro, camion, grandi trucks,<br />
corriere, taxi, gente, polvere. Proseguendo, dopo un paio di ponti la pista asfaltata finisce<br />
a Ollantaytambo, la nostra meta per oggi. Tambo ai tempi degli incas era un fortilizio, un<br />
caravanserraglio, cioè un posto di sosta, ma anche un magazzino, un castello, una<br />
postazione di frontiera. Qui Pizarro subì una inattesa sconfitta.<br />
Ed eccoci (questa volta addirittura già prima di pranzo!) a Ollantaytambo dalle possenti<br />
mura. Già da prima di arrivarci grandi mura incaiche sbarrano la valle, qui il mondo del<br />
Valle Sagrado del Cuzco finisce, si chiude. Poi si entra nel paesino montanaro, con i suoi<br />
odori, con i contadini seduti in piazza. Tanti colori, costumi di gruppi diversi. Una donna di
mezza età si sta lavando i lunghi capelli in due catini appoggiati per terra, nonostante l’aria<br />
freddina. Io mi metto la mia casaca nuova di alpaca bella calda. C’è una “vecchia” che sta<br />
seduta filando la lana, mi avvicino con la macchina fotografica e faccio segno che vorrei<br />
farle una foto, ma non mi considera nemmeno; allora mi avvicino e le dico “nonnina vorrei<br />
proprio portarmi a casa una tua foto, non ti dispiace?” mi fa segno che va bene, faccio un<br />
paio di scatti, e poi le dico “aspetta che ti porto qualcosa” vado nel bar dove ho lasciato il<br />
borsello con Ben e le porto dei soldini, solleva la testa e annuisce. Andiamo verso il sito<br />
dove certi stanno montando una bancarella. E poi si volge lo sguardo, e domina e ci<br />
sovrasta il granito grigio dell’enorme terrazzamento del costado del monte. Anche qui non<br />
c’è quasi nessuno (intendo dire che oltre a noi non ci sono altri estranei, o sono assai rari)<br />
e ci si gode ciò che la vista può abbracciare. Pagato il biglietto da sei dollari che vale per<br />
qui, per l’antica Pisaq e per Chinchero, saliamo o meglio scaliamo questi incredibili<br />
gradoni ripidi, e più su iniziano delle mura scure composte da pietroni anzi macigni tutti<br />
ben lievigati e lisciati, incastrati a secco perfettamente uno sull’altro... e poi più su ancora<br />
immensi monoliti di pofido rosa (pietra che non si trova in loco)liscissimi che dovevano<br />
comporre la stanza più sacra del tempio. Mi siedo su un maestoso trono di pietra grigia<br />
ben levigata, forse il trono di Ollantay... Attorno tanti enormi “cubetti del Lego” sparpagliati<br />
a terra; come si potrà mai rimettere su il tutto e ricostruire il puzzle? Poco più in là c’è un<br />
bimbetto tutto vestito con i colori del suo villaggio, mi avvicino, “Puès cuantos añitos<br />
tienes chico?” Mi pare abbia detto 6 con una vocina sottile. “Qué me cuentas?” Allora mi<br />
dice che lui sa cantare un cuento. “de verdad?! y como haces?” e comincia a recitare una<br />
poesiola in quechua con una melodia da cantilena, ma la voce esce appena appena. Alla<br />
fine lo applaudo e gli do una monetina, scappa via. Lì vicino poi vedo che ci sono due o<br />
tre operai del sito archeologico, che vangano e scoprono un po’ di più una pietra interrata,<br />
forse quello è il figlio di uno di loro; scherzano su questi sassi dicendosi, “guarda guarda<br />
cos’ho trovato”. Intanto Ben è tutto intento a disegnare per ritrarre queste stupende<br />
costruzioni e il panorama. Da lassù c’è proprio un bel dislivello a picco sull’altra parte del<br />
paese. Si vede un campo, un orto, laggiù c’è un toro che mugghia. Intanto arriva una guida<br />
con un gruppetto di tre o quattro e dice che guardando là in fondo verso la valle aperta, si<br />
vede la piramide e ne parla. Ma io guardo e non vedo proprio nessuna costruzione.<br />
Continuiamo la visita verso l’altro lato. Sostiamo a lungo in un edificio, Ben fa altri disegni<br />
e io scrivo i miei appunti. Ci arrampichiamo, come formichine cocciute, sbanfando e<br />
facendo prudenti soste, di qua e poi di là, allibiti e senza riuscire in alcun modo a darci<br />
ragione delle tecniche di costruzione. Oltretutto fa rabbia che non si sappia quasi nulla<br />
nemmeno delle reali funzioni cui erano adibiti questi spazi.<br />
I cristianissimi sovrani di Spagna con i loro generalacci dell’esercito, coadiuvati dagli<br />
insaziabili gesuiti con la loro santa inquisizione, non solo hanno soggiogato questi popoli<br />
amerindi, non solo hanno sconfitto ma anche ucciso proditoriamente spudoratamente il<br />
loro grande re contravvenendo alla parola data pubblicamente sul loro stesso onore, ma<br />
non contenti di ciò hanno poi ucciso praticamente tutti i personaggi di rilievo e di cultura,<br />
non solo hanno posto fine all’esistenza di questo Stato e alla sua amministrazione ed<br />
organizzazione, ma hanno abbattuto i palazzi, bruciato i simboli, infine cancellato una<br />
intera civiltà, ma non solo hanno imposto la loro religione come se ciò fosse cosa<br />
concepibile, ma hanno imposto la loro lingua, e quindi come se ciascuna delle cose sopra<br />
ricordate già non potesse bastare da sola, hanno deliberatamente fatto cessare di essere<br />
una cultura. Scomparsi i detentori dei saperi, eliminati col tempo anche i tecnici e gli<br />
artigiani, sono rimasti solo i poveri contadini quechua o aymarà con le loro superstizioni, le<br />
loro favole, le loro credenze, il loro folklore, insomma quel minimo di patrimonio<br />
esclusivamente orale che poteva restare, perpetuando dunque solo le conoscenze di una<br />
subcultura dei ceti subalterni più ignoranti. Che assurda furia devastatrice, oltretutto
controproducente perchè hanno distrutto un paese fiorente che valeva un perù...! Tanto<br />
ora sembra straordinario quel che resta a testimonianza di quella civiltà scomparsa solo<br />
cinque-quattro secoli fa, tanto più quella insaziabile ansia di potenza sembra inconcepibile.<br />
Mi viene in mente la follia di “Aguirre, la furia di Dio”, film di Herzog, ma quello comunque<br />
era l’eroe cristiano civilizzato, e non più il barbaro Attila sceso dalle steppe... Un cavaliere<br />
di Castiglia ne doveva aver uccisi almeno cento in ogni singola battaglia per potersi<br />
fregiare del suo titolo. L’inquisizione di Torquemada, sguinzagliata senza freni, lo<br />
schiavismo, l’idea di esseri umani sub-umani, di un impero satanico da estirpare ad ogni<br />
costo.... e in più ci si misero le epidemie di germi per cui loro non avevano difese<br />
organiche......<br />
Che incontenibile Apocalisse ! (vedi più avanti l’intermezzo 2).<br />
-------------------(intermezzo)<br />
Comunque ora ritorniamo ai resti del sito di OllantayTambo. In uno dei pochissimi testi che riportino qualcosa<br />
della cultura antica, c’è il dramma conservato per via orale relativo ad Ollantay, e che uno spagnolo del<br />
Seicento, Espinoza Medrano, udì, ne fu affascinato e volle mettere per iscritto. In realtà sembra che E.M.<br />
fosse un quechua convertito e divenuto cantore della cattedrale di Cusco. Come si sa il Grande Tempio del<br />
Sole nel Cuzco, fu abbattuto e per spregio e arroganza <strong>sulle</strong> sue fondamenta fu costruita la Chiesa e<br />
convento dei Domenicani, conservando solo la cosiddetta camera dorata, o recinto aureo, il Qorikancha, ma<br />
per edificarvi dentro una sorta di sacrario in cui Francisco Pizarro depose lo stendardo di Carlo V, così<br />
coprendola e occultandola. Nella biblioteca della chiesa dunque era stato depositato il testo del dramma<br />
Ollantay. L’Europa colta venne a conoscenza della sua bellezza letteraria solo quando un certo Pacheco<br />
Zegarra lo tradusse in francese e lo fece stampare a Parigi nel 1878. La sua traduzione poi suscitò molte<br />
critiche e fu quindi edito finalmente il testo spagnolo sempre a Parigi nel 1938 dalla casa editrice<br />
specialistica “Biblioteca de cultura peruana”, e a Cusco dalla “Revista Universitaria” nel 1941. La seconda<br />
guerra mondiale ritardò la diffusione e la valorizzazione di quest’opera, che fu poi riportata in una antologia<br />
pubblicata in Messico da Lara nel 1947. Ma si trattava del testo riscritto nel corso del Settecento da due<br />
scrittori che dichiararono ciascuno che la propria era la vera trascrizione dell’opera. Nel 1950 per un<br />
ennesimo terremoto anche la camera dorata tornò a rivelarsi con i suoi muri assolutamente liscissimi<br />
composti di enormi massi di porfido perfettamente incastonati, dato che assieme a parte del chiostro, erano<br />
crollate le costruzioni sovrapposte al recinto sacro del Qorikancha; e nei lavori di restauro della chiesa e<br />
della adiacente biblioteca venne alla luce una cinquecentina col manoscritto originale del dramma, l’unica<br />
opera drammatica d’epoca incaica giunta sino a noi (!). Queste opere si rappresentavano nelle grandi<br />
spianate come a Sacsayhuamàn o negli anfiteatri come quello di Qenqo, o stando sui terrazzamenti.<br />
Dunque si tramanda che Ollantay fosse un capo valoroso dell’armata incaica, considerato un eroe, e si fosse<br />
innamorato perdutamente della principessa Stella gioiosa (in quechua Cusi collur) figlia del grande Inca<br />
Pachakuteq (o Cusi Yupanqui), che già ho menzionato più sopra. Ma Ollantay confida al suo fedele paggio<br />
Pié Leggero questo segreto sentimento; inquieto per i gravi pericoli cui il suo signore si esporrebbe, il paggio<br />
si consulta col Gran Sacerdote, che subito affronta il generale dicendogli che ha consultato la Luna ed ha<br />
visto cosa c’è nel cuore dell’eroe, e per il suo bene cerca di dissuaderlo. Sconcertato O. risponde che gli è<br />
proprio impossibile smettere di amare. Il Gran Sacerdote lo consiglia allora di manifestare questi suoi<br />
sentimenti all’Inca. Intanto la fanciulla accortasi degli sguardi di O. confida alla madre il suo amore per lui.<br />
Entrato il re si stupisce per le lacrime della figlia, ma deve andare a una riunione con i suoi generali O. e<br />
Occhio di Pietra. Qui chiede loro di sconfiggere i nemici del sud. In privato O. coglie l’occasione per<br />
chiedergli la mano della principessa, Pachakuteq gli ricorda che lui è solo un vassallo. Intanto si viene a<br />
sapere che Stella di Gioia e la madre non si trovano più a palazzo e il re da ordine di ritrovarle e arrestarle.<br />
Giunge un messaggero recando un quipù proviente dalle parti del fiume Wilcamayu. (I messaggi, non<br />
avendo i popoli andini la scrittura, erano codificati in cordicelle intrecciate con nodi, quipù , che solo gli<br />
esperti sapevano interpretare). Occhio di Pietra lo esamina e dice al sovrano che O. è fuggito e si è<br />
rinserrato nel Tambo, o fortezza, in fondo alla valle, insieme ai suoi soldati, e che ha trafugato delle insegne<br />
del potere, proclamandosi capo di tutti i ribelli al re. Pachakuteq lo incarica di debellare l’insubordinazione di<br />
O. Ma Ollantay è un eroe, vicino al popolo, e moltissimi accorrono da lui. Occhio di Pietra sarà sconfitto. Il<br />
dramma poi si sposta nel tempo e nello spazio all’interno del Acllahuasi, “Palazzo delle vergini”. Nel segreto<br />
di questo luogo inaccessibile agli uomini, vive una vergine, di nome Bella, e veniamo a sapere che è la figlia<br />
del rapporto avuto da Stella di Gioia e Ollantay. Poi da un incontro tra Pié Leggero e il Gran Sacerdote<br />
apprendiamo che intanto è morto il vecchio Inca ed è succeduto sul trono Tupac Yupanqui. Occhio di Pietra<br />
d’accordo col nuovo Inca tende un tranello a O. si presenta da lui come fuggiasco dalle torture che ha dovuto<br />
subire per la sconfitta sotto il Tambo, e O. lo accoglie per farlo curare. Intanto Bella viene a sapere che la
madre è nel Palazzo de las Mamacunas (o mujeres escogidas) nascosta in un sotterraneo, la cerca e si<br />
riabbracciano. Il Gran Sacerdote comunica all’Inca che Occhio di Pietra ha fatto prigioniero Ollantay mentre<br />
era in trance per la pozione sacra bevuta durante la cerimonia all’Inti (il dio Sole)e che il Tambo è in fiamme.<br />
Dopo poco giungono i generali, il fedele e il ribelle, e Occhio di Pietra chiede al Gran Sacerdote se Ollantay<br />
non merita forse la morte, ma questi risponde che solo l’Inca può essere clemente. Quindi Ollantay è<br />
perdonato dal sovrano che gli ordina di sposarsi e passare alla vita civile. Ma O. risponde che è già sposato.<br />
Entra Bella che implora la liberazione di sua madre che è chiusa nei sotterranei. Tutti vanno a vedere, e<br />
Tupac Yupanqui la libera e tutto finisce nella gioia generale portata dalla liberazione di Stella della Gioia.<br />
L’Inca ristabilisce O. nella sua posizione di generale presso il forte che d’ora innanzi sarà chiamato<br />
Ollantaytambo e dove vivranno O., S.G., e la vergine Bella. (sunto liberamente tratto da: Louis Baudin,Il<br />
Perù degli Inca, Paris 1955, trad.it. edizioni Il Saggiatore, Milano, 1965.)<br />
-----------------(fine dell’intermezzo)<br />
Passiamo dall’altra parte, dove ci sono altri terrazzamenti grandiosi, e le casette vuote<br />
dove mettevano al sole e al vento le salme dei personaggi importanti. Scesi dal Tambo, ci<br />
sono canali e fontanelle una molto bella in particolare, che è quella dove facevano le<br />
abluzioni purificatorie le principesse. Poi usciamo, c’è una bellissima giovane montanara<br />
con un cappellino colorato a forma di scodella rovesciata, accucciata per terra nella<br />
piazzetta antistante. Mi avvicino, mi guarda ma non chiede nulla, le sorrido e le porgo due<br />
ciambelle di pane comprato ieri, mi guarda contenta, le domando se ha il suo bimbo nel<br />
sacco dietro la sciena mi fa segno di sì, “mi piacerebbe molto poterlo vedere un<br />
momento” allora apre delicatamente pian piano i lembi del fagotto, sorride e mi guarda con<br />
occhi scintillanti, le dico “Diòs mio que tan bonito que es tu niño!”, e si vede che è proprio<br />
felice. Non mi chiede soldi. La saluto e vado, ma sono proprio commosso.<br />
Torniamo nella piazza centrale e chiediamo in un locale dove si fanno polli arrosto se si<br />
può mangiare, ma dice il padrone che non è ancora pronto, di ritornare fra dieci minuti.<br />
Ritorniamo dopo un quarto d’ora circa e già tutti i tavolini sono occupati e il padrone dice<br />
che adesso è troppo tardi, gli ricordiamo che avevamo prenotato, ma dice che quando<br />
avranno servito chi c’è, avranno terminato i polli. Mangiamo da un’altra parte in un localino<br />
messo su bene con gran gusto da chi conosce cosa piace a quelli come noi. E’ rilassante,<br />
dietro dove ci sono i servizi hanno un bel giardinetto. Paghiamo 30 soles per un buon<br />
pranzo completo, e chiediamo se hanno una camera, ma non hanno ancora aperto come<br />
albergo, ci dice di chiedere al dueño (=proprietario) del bar d’angolo in piazza. In effetti lui<br />
ci accompagna in un vicolo di terra retrostante dove c’è il suo nuovo Hostal “La ñusta”, la<br />
vergine, ma anche la principessa. Ci fa vedre la stanza, sobria, pulita, con tre brande di<br />
legno e tante coperte di alpaca, più in là una terrazzina con sedie e tavolini. Di lì si gode un<br />
bel panorama del Tambo, senza dover pagare il biglietto, gli dico; allora mi fa con aria un<br />
po’ misteriosa “da qui si può vedere il llama”, ah sì?, “e il condor”, ma davvero?, “avete<br />
visitato le rovine?” sì, “e non avete visto il volto incoronato di Wiracochan?”, dove?, “e la<br />
piramide?”, no. La conversazione finisce qui. La riferisco a Ben, ma non si capisce bene<br />
che cosa volesse dire, forse che a una certa ora rientrano le greggi, o che <strong>sulle</strong> montagne<br />
circostanti ci sono dei condor? mah. Dopo un po’ torna con un vecchio libro tutto<br />
consumato che è andato a prendere nel suo bar in piazza. E allora ci fa vedere che è un<br />
libro illustrato che spiega i significati che gli incas attribuivano alle loro costruzioni e a certe<br />
parti del paesaggio, e in cui ancora il popolo crede a livello di leggenda. E’<br />
interessantissimo, ci fa una lezione sul mondo mitico incaico che spiega molte cose della<br />
loro mentalità e della loro cultura.<br />
Con quel suo fare dimesso, e dicendo le cose contemporaneamente come fossero ovvie<br />
e come fossero meravigliose, ci porta sul terrazzino e ci mostra che dal Tambo<br />
guardando verso il cerro di fronte si vede chiaramente una conformazione rocciosa<br />
scoplita in modo che appare come il volto incoronato di Wiracochan accigliato che ci tiene<br />
sotto osservazione. Da uno sperone poco più sopra dove forse si intravede la sagoma di
un re incoronato, ma è piuttosto rivolta verso la parte opposta, cioè dove dall’altra parte<br />
ancora della stretta valle c’è una roccia a forma di condor (il messaggero),che da qui<br />
possiamo appena indivinare, da lì viene la luce del sole che colpisce il volto dell’Inca (il<br />
figlio del Sole) e proprio lì spunta ilprimo raggio mattutino il giorno del solstizio d’inverno, il<br />
21 giugno, e questo raggio che nelle brume di quell’ora si staglia in modo che lo si può<br />
proprio distinguere “materialmente”, istantaneamente vola a colpire il punto più sacro del<br />
tempio in porfido rosa che sta sopra il tambo, dove c’è la pietra nera con quella sporgenza<br />
chiamata Intiwatani, cioè il punto dove si coglie il raggio di luce solare, poi subito dopo si<br />
inclina un poco facendo angolo sull’Intiwatani e va ad attraversare la valle aperta dall’altra<br />
parte verso i campi coltivati, proprio dove c’è la parte superiore, o sacrale, della grande<br />
piramide. Ma quale piramide? Lo si vede bene nella foto fatta per illustrare il libro, e poi lo<br />
vedrò chiaramente coi miei occhi l’indomani andando verso quella parte: i campi sono<br />
coltivati in modo tale e con certe coltivazioni, per cui si crea da lontano l’effetto ottico di<br />
una piramide in rilievo a tre dimensioni... Pertanto in quell’istante magico, che appunto<br />
bisogna saper cogliere, si determina una carambola di giochi di luce per cui questo raggio<br />
attraversa tre volte i costados dei monti facendo come una lieve zeta, la sagoma di una<br />
saetta nell’oscurità brumosa ovvero nella tenue prima luminosità diffusa dell’albeggiare !<br />
Sino a quel momento l’ombra fa apparire come chiusi gli occhi del grande Wiracochan,<br />
che con la luce sembra che si aprano e lui si risvegli. L’inviato del dio Wiracocha, cioè<br />
Wiracochan (o Tunupa) è il pellegrino, predicatore della conoscenza.<br />
Ora ci è chiaro cosa vedevano gli inca e il loro popolo con la loro mentalità e la loro<br />
spiritualità tutta immersa e immedesimata nelle forze della madre natura. Ecco perchè il<br />
tempio sta proprio là, e laggiù c’è la grande piramide virtuale, e le dimore dei morti sono<br />
lassù, eccetera. Spettacolo superbo con tutto il popolo riunito in festa, il grande sacerdote<br />
già là sin da quando ancora brillavano le stelle nella notte (e c’era una connessione anche<br />
con le costellazioni poichè nel solstizio d’inverno nel punto in cui sorgerà il sole lì<br />
stazionano nel cielo le Pleiadi), e de repente scocca il raggio primigenio, la luce si può<br />
vedere nell’aria, anche l’aria si può vedere con i fumi e vapori che l’attraversano, il<br />
pulviscolo che in essa nuota, e si realizza la congiunzione dei punti più venerabili della<br />
grande montagna.<br />
Dopo che queste immagini ci hanno lasciato esterefatti, abbiamo scoperto la presenza di<br />
Wiracochan che avevamo pur guardato ma senza vedere, senza avvedercene, immagini<br />
che ci resteranno a lungo nella mente, e a cui ritorneremo più volte col pensiero per<br />
riflettere sul suo senso, el dueño de la ñusta ci parla, ma sempre accennando appena con<br />
quel suo fare dimesso, e dicendo le cose come fossero ovvie, del fatto che tutto il Tambo<br />
sembra un grande llama adagiato al costado del monte, e il tempio del Sole è il suo<br />
occhio, ma anche la cittadina stessa del Tambo di Ollantay ha una sua particolare forma<br />
che si intravede dalla parte alta del Tambo. E’ stata programmata per essere edificata a<br />
forma di pannocchia di maìs. E’ una sorta di trapezio in cui ogni cuadra (cancha) con il suo<br />
cortile, appare dall’alto come un grano, e quindi tutte le stradine sono regolarmente<br />
verticali e orizzontali, incontrandosi ad angolo retto, creando dieci cuadras per cinque. A<br />
fianco scorre il rio, nel perimetro un canale d’acqua corrente, nelle strade “verticali”<br />
maggiori uno scolo fa defluire l’acqua piovana, e nelle minori canaletti derivati portano via<br />
gli scarichi. Poi andremo a passeggiare su e giù per la pannocchia del casco antiguo<br />
(=centro storico), ammirando questa antica programmazione urbanistica di montagna.<br />
Sono affascinato, voglio assolutamente comprare una copia di quel libro. Mi dice di<br />
andare a chiedere in quel ristorantino dove abbiamo mangiato. E’ un testo di Fernando e<br />
di Edgar Elorrieta Salazar, intitolato Cusco y el Valle Sagrado de los Incas, pubblicato<br />
dalle edizioni Tampu di Cusco alla fine dell’anno scorso, anche in traduzione inglese.<br />
Corro fuori e vado a chiedere, ma non ce l’hanno, allora vado nel bar della ñusta in piazza
e chiedo alla giovane se forse ho capito male le parole del dueño, ma lei non sa, chiede,<br />
ma dice che forse nel posto di fianco a quello in cui avete mangiato. Allora torno là ma<br />
nessuno sa di alcun libro, per fortuna arriva una bella giovane signora che è loro parente<br />
che mi fa richiamare, lei lo sa, lo vendono in un negozio che c’è più giù dove c’è lo<br />
spiazzo verso l’ingresso del sito archeologico. “Ah bene allora ci vado”, “no aspetti ora è<br />
chiuso ci vado io che li conosco e poi glielo porto”. “D’accordo la aspetto qui”, “no, no non<br />
si scomodi mi dica dove sta alloggiato e glielo porterò poi io con comodo” “sono all’Hostal<br />
La ñusta nel cuarto (=camera) numero tale, mille grazie”. Così torno in camera e vedo che<br />
Ben è rimasto là nel terrazzino per disegnare il volto di Wiracochan. Torno all’ingresso e<br />
vedo che lei sta arrivando con a mano un bimbetto seguiti da uno stupendo labrador<br />
chiaro. Vado loro incontro ringraziando e mi accuccio a salutare il bellissimo bimbo che è<br />
suo figlio di tre anni. Scherzo un poco con lui e con il cagnone buonissimo che il bimbo<br />
adora. Saliamo per le scale e mentre vado in camera per prendere i soldi contratto un po’<br />
il prezzo del libro, ma lei non è autorizzata a questo, intanto arriva Ben che dice che ne<br />
vuole assolutamente uno anche lui, poi vedo che è in inglese, allora le dico che se mi porta<br />
due copie del libro in spagnolo può chiedere al proprietario del negozio se ci fa uno<br />
sconto, pagheremo in dollari, e che io le darò un regalino per suo figlio. Allora corre via<br />
svelta dicendo ritorno subito. Intanto che Ben si sistema in camera per colorare con gli<br />
acquarelli i disegni fatti, le vado incontro al locale di fianco al ristorantino. Là vedo che c’è<br />
il cagnone e anche il bimbo, allora gli do il regalino, che sarebbe un giocattolo rotto di<br />
quando mio figlio era piccolo, e cioè la testa, la sola testa, di un cane giallo. E gli dico<br />
“mira ahorita te voy a regalar un perrito amarillo, te gustarìa?” e tiro fuori la testina, è<br />
sorpreso, strabiliato, contentissimo. Corre da uno che dentro il locale stava facendo lavori<br />
di falegnameria, è suo padre, “guarda ho anche un cagnino giallo!” gli dico che è il fratellino<br />
del suo cane, intanto arriva la mamma coi libri, “guarda, le dice, il mio cane ha un<br />
fratellino!” e lo fa vedere al cane che lo annusa. La mamma mi fa un sorriso meraviglioso.<br />
Andiamo verso l’albergo perchè non ha il resto da darmi (il prezzo è un pochino scontato)<br />
e vedo se Ben ha degli spiccioli, il bimbo allora mi chiama “torna dove vai ? Papa Nal,<br />
Papa Nal !” la mamma mi spiega che vorrebbe dire papà Nadàl (=Babbo Natale).<br />
Così anche più tardi quando passerò di lì lui mi chiamerà da lontano, “Papa Nal, Papa Nal<br />
!”. Per così poco sono diventato nel suo immaginario addirittura la personificazione di<br />
Babbo Natale che giunge da lontanissimo per portare un regalo proprio a lui...<br />
Giriamo un po’ per il paese, ci sono grandi casone con la base di massi incastrati e certi<br />
portoni ancora trapaezioidali. Vicino al mercato della verdura c’è un punto dove si<br />
possono legare i cavalli, come vedo fare da uno che era arrivato di corsa. C’è un<br />
magazzino con fuori la scritta:“Se alquìlan caballos, carpas, bolsas de dormir” (=si<br />
noleggiano cavalli, tende da campo, e sacchi a pelo). La sera ricoverano gli animali nelle<br />
corti, e accendono i fuochi per cucinare. La maggior parte dei negozi sono “Abarrotes”,<br />
cioè generi vari (in castillano abarrote è un pacco, un fagotto, mentre qui tienda de<br />
abarrotes, è negozio di alimentari, chissà forse deriva dal fatto che ci sono tanti pacchi di<br />
cose, fagotti con generi alimentari...per cui abarrotero sarebbe il pizzicagnolo), bodega<br />
vuol dire negozio tipo drogheria (in castillano, cantina, magazzino, più che altro di vini),<br />
mentre botica è lo spaccio dei sanitari, medicinali di largo uso, cure naturali, spezie, ma<br />
anche merceria. A fianco del mercato c’è una chiesetta con su scritto “Choquekillca”<br />
=Proteggici. Il comedor infantil (para almuerzar) alla sera si trasforma in sala e scuola di<br />
ballo e di ginnastica. Alle sei è buio e vanno in giro nelle taverne, cafeterias, bares, a<br />
guardare la televisione o ascoltare la radio per le partite di calcio, chiacchierare, ci sono<br />
carrettini ambulanti che vendono bibite fresche, gelati, oppure cose calde. Il kéquele è un<br />
pane tipo panettone con cioccolato a scaglie. Alle cinque al massimo già non ci sono più
visitatori, non c’è più bisogno di vender qualcosa a qualcuno, il paese recupera la sua<br />
dimensione reale e da mercato si trasforma in villaggio di montagna.<br />
Andiamo al posto di polizia locale dall’altra parte della piazza per informarci sul percorso<br />
per Vilcabamba. Già ci vedono che ci stiamo dirigendo verso di loro e sono incuriositi ma<br />
uno entra dentro e lascia l’altro a sentire cosa vogliamo. Questo è gentilissimo, si sente<br />
molto investito da questa responsabilità di dire bene a degli stranieri com’è il percorso da<br />
fare. Allora chiama l’altro, che si è capito che era andato di sopra e si era già tolta la<br />
camicia dell’uniforme. Poi scende e dice che lui è proprio di quella valle e conosce tutto, è<br />
supergentilissimo. Comincia a dire qualcosa, ma poi gli diciamo di mostrare sulla nostra<br />
cartina dell’istituto geografico militare che è molto precisa. Allora manda l’altro a procurarsi<br />
un foglio di carta abbastanza grande perchè ce la fa lui la cartina del percorso. Arriva con<br />
un foglio tipo A4 ma manca la penna, allora offro la mia, ma no lui ha la sua di là in ufficio.<br />
E incomincia a fare un disegno, ma non viene bene perchè presto giunge alla fine del<br />
foglio, allora lo rifà da capo sull’altro lato. Descrive la salita fino al passo, che si chiama<br />
Abra Màlaga, ma là non c’è nulla, bisogna scendere dall’altra parte e andare per un bel po’<br />
prima di trovare da fermarsi a mangiare. Poi comunque ci vorrà un secondo foglio per<br />
continuare la sua descrizione minuziosissima -e utilissima- su dove c’è un grifo per la<br />
benzina, dove un posto di polizia per informazioni, dove un restaurante, dove un telefono,<br />
dove un hostal, eccetera. Ci fa tante raccomandazioni per il posto dove c’è il ponte sul<br />
fiume perchè è facile sbagliarsi, e che lì c’è un suo ex collega e suo amico, di rivolgerci a<br />
lui sia per mangiare che eventualmente per dormire. Poi ci dice che in fondo alla valle c’è<br />
un sacerdote italiano, e che per arrivare proprio a Vilcabamba dopo la fine della strada c’è<br />
un truche in salita. Forse ci conviene dormire a Lucma o comunque verso la fine, per poi<br />
andare su a Vilcabamba il giorno dopo. Ma perchè -chiediamo- quanto ci vuole ad arrivare<br />
sino in fondo?, una decina di ore. Bisogna proprio che partiamo presto. Ci saluta con<br />
molta cordialità e tanti sorrisi.<br />
Andiamo al ristorantino del nostro albergo, ma è ancora presto, intanto prendiamo un mate<br />
de coca e chiacchiero con un ragazzino tornato da scuola, Johnny Rojas Huamàn (mi<br />
colpisce la presenza nel suo nome di inglese, spagnolo, quechua) di Kishuàra un paesino<br />
vicino; ha 12 anni, è molto sveglio e curioso, mi chiede dov’è l’Italia e poi com’è, cosa si<br />
fa. Intanto è arrivata la giovane che fa da cameriera e ordiniamo la cena, queso y papas,<br />
formaggio e patate, abbondanti, birra, cocacola, e mate de anìs, 12 soles (3€uro) per due.<br />
Abbiamo appena finito di cenare che mi accorgo che fuori dalla porta c’è gente, anzi tutta<br />
la piazza è piena. Stasera in paese grande avvenimento si proietta un film. E’ proprio<br />
come in “Nuovo Cinema Paradiso” di sugli anni ‘50 in un paese di campagna del nostro<br />
meridione. Che cosa fantastica, ora ci è consentito in questo paese delle <strong>Ande</strong> di tornare<br />
indietro nel tempo e vivere Nuovo Cinema Paradiso dal vero. Non solo c’è tutto il paese,<br />
ma ci sono anche quelli venuti giù apposta dai dintorni per l’avvenimento, altro che tv, c’è il<br />
cinema! Si sono seduti da tutte le parti, i paesani su loro sedie, e certi stanno nel frattempo<br />
mangiando qualcosa. Famiglie intere sui gradini a guardare. Un pullman attrezzato si è<br />
messo proprio in mezzo, e sul tetto è salito l’operatore, poi si sono andati ad agganciare<br />
per l’elettricità ad un lampione vicino, e si proietta il film sulla parete di una casa col muro<br />
bianco, ma restano incluse anche due finestre... L’audio, oltre all’immagine, è talmente<br />
scadente che gracchia distorce e si capisce poco. Sul lampione fornitore, ogni tanto si<br />
accende una lucina fioca, che traballa va a intermittenza, e poi per un pochino si accende<br />
pienamente, impedendo la visione ma subito dopo si rispegne, e fra un po’ il tutto<br />
ricomincia da capo. L’altro lampione impedisce un poco la vista, ma non troppo. Si<br />
proietta “La vida de Jesùs”, un vecchio kolossal americano primi anni Sessanta, che<br />
avevo già visto a suo tempo da ragazzo. Colori sbiaditi sull’azzurrino. Ma lo spettacolo è<br />
mettersi a guardare all’inverso, cioè a guardare il pubblico che guarda. Certi stanno seduti
vicini tra loro e seguono con intenso interesse, altri stanno ben poco attenti, e parlano, si<br />
distraggono. Altri gironzolano. C’è solo una donna che ha tenuto aperto il proprio<br />
baracchino di frutta e caramelle, ma si è pesantemente addormentata sul suo sgabello<br />
vicino al banco. I bambini scorrazzano e giocano.<br />
Poi a film finito, sale de repente sul tetto del pullman un predicatore di una chiesa<br />
evangelica nordamericana. “Pentitevi!” grida, “Ripulitevi dai vostri peccati! Siete, siamo,<br />
tutti peccatori! Solo Jesùs può rimettere i vostri peccati”. Intanto li guardo, oramai certi li<br />
riconosco, sono quelli del mercatino, dei negozi, dei bar, gente montanara molto semplice,<br />
e almeno mi son sembrati, molto tranquilli e miti, che peccati dovrebbero avere commesso<br />
nella loro vita quotidiana fatta di lavoro nei campi, ristrettezze economiche, risparmi, che<br />
tornano alle case stanchi e assonnati ? “Avete visto come Gesù ha sofferto per voi? lo ha<br />
fatto per mondarvi dei vostri peccati. Sareste colpevoli verso la sua generosità se non vi<br />
pentiste!”. Perchè dovrebbero sentirsi in colpa per come vivono? Perchè volerli far sentire<br />
in colpa? Questo è tutto ciò che c’è da dir loro? “Dite assieme a me la preghiera”. E poi<br />
“Quanti l’hanno recitata? Sù, alzate la mano” La alzano solo quattro o cinque, tra cui una<br />
anziana donna che viene subito avvicinata da uno che le dice: confessa pure a me i tuoi<br />
peccati, in cosa hai peccato? Lei diventa molto titubante e imbarazzata. Quando il tipo si<br />
gira per andarsene, lei si fa subito il segno della croce. Forse inizialmente non aveva<br />
capito che non erano della chiesa cattolica, chissà. Forse con questa gente bisognerebbe<br />
parlare la loro lingua. Le chiese evangeliche americane stanno facendo una forte<br />
concorrenza alla religione corrente che è fatta di molte superstizioni, folklore, tradizioni,<br />
ritualità, che si sono innestate nel culto dei santi e nelle pratiche religiose cattoliche, verso<br />
cui queste chiese radicali sono molto intransigenti. Ma sono svantaggiati sia proprio per la<br />
loro severità e rigore (abbandona l’idolatria! pentiti per averla seguìta! ecc.) e anche per la<br />
loro origine gringa. Aderiscono molti che per i più diversi motivi sono arrabbiati con il<br />
curato, con i politici, con il padrone. Questa comunque è gente semplice, montanara,<br />
pratica, intenta alla sopravvivenza e nulla più, che rivendica la propria dignità sino a pochi<br />
anni fa dispregiata perchè indios, gente inferiore. E quindi stanno vivendo un momento di<br />
riscatto culturale e di valorizzazione delle tradizioni, dei costumi, della storia e della loro<br />
antica civiltà. Nel contempo hanno molto attaccamento per i riti cattolici, il culto dei santi, e<br />
la venerazione per la Vergine, nelle sofferenze di Gesù vedono le proprie e lo sentono<br />
come uno di loro. Mi vengono in mente un cartone disneyano aa.’50 “Las velas”, e i<br />
racconti che ho sentito <strong>sulle</strong> feste grandiose della Settimana Santa. Ma questo predicatore<br />
di stasera non ha saputo parlare ai loro cuori, non ha spiegato nulla, ha solo redarguito<br />
perchè non si sono uniti nella sua preghiera, non hanno alzato la mano, sono rimasti<br />
peccatori senza neppure chiedere la remissione e il perdono, e poi se ne è andato col suo<br />
pullman, veloce come era arrivato per portare i montanari almeno per una serata al<br />
cinema. E’ tutto qua, si staccano i fili, tutti i correligionari (una decina) salgono in pullman e<br />
ripartono, senza aver conosciuto nessuno di questa brava gente.<br />
Il cinema è finito, torna il silenzio, il lampione oramai continua a tremare e fare luce<br />
intermittente. Pian piano tutti se ne vanno, chi a casa, chi sui camion. Ci sono tre grossi<br />
camion pesanti, come quelli per trasporto bestiame, per i bovini, per i tori. Si riempiono il<br />
cassone di persone, bambini, sacchi di patate, cipolle, mercanzia, ecc, e più o meno<br />
accucciati tutti stretti, partono per un viaggio nel buio magari di qualche ora, viste le<br />
strade...Partono in convoglio con gran fragore sull’acciotolato della piazza. Poi<br />
sopraggiunge un camioncino piccolo dall’altra parte, si riempie stipatissimo, e va. Un<br />
ultimo truck da tradotta animali, resta ancora un po’ a far puzza di nafta dal suo<br />
scappamento, il cassone viene coperto per benino con un grande telone chiuso anche ai<br />
lati, e va col suo carico, lasciando una densa e acre nuvolona nera. Di notte, al buio
assoluto, totale, con i fari accesi su strade di terra e sassi e buche, traballando magari per<br />
ore su e giù per i passi andini...<br />
Taytallay Tayta apachimeni yaktayquim benedicionikta = “Oh Padre mio, Padre manda al<br />
popolo la tua benedizione”, dice in quechua una invocazione (da una scritta fuori da una<br />
chiesetta, che ho ricopiato).<br />
domingo 18 de avrìl <strong>2004</strong><br />
Al mattino presto facciamo colazione al bar de la ñusta, e vengo a sapere che loro fanno<br />
anche da Casa de cambio, allora chiedo e la señora mi porta al suo negozio di Abarrotes<br />
che apre in quel momento e mi cambia gli €uro, le dico che a Lima mi avevano fatto un<br />
cambio migliore, ma mi dice “se io non ci ricavassi nemmeno questa piccola differenza<br />
allora per cosa lo farei? sii comprensivo, lasciami il mio guadagno”. E’ così disarmante<br />
che dico “va bene”, sto per darle i soldi e entra una, allora la señora mi da una occhiata per<br />
dire metti via i soldi. Poi finalmente esce entra un montanaro che ha fatto da guida in una<br />
escursione e vuole cambiare i dollari che gli hanno dato. E di nuovo metto via i miei soldi.<br />
Poi entra un’altra. Allora la señora chiude il negozio, mi cambia il denaro, e poi le chiedo<br />
una scheda telefonica per chiamare a casa, perchè qui non c’è -e non ci sarà più per vari<br />
giorni- campo per usare il mio movil, cellulare, e ho visto che loro hanno un telefono<br />
pubblico appeso al muro. Allora mi riaccompagna al bar, mi scrive su un foglio come<br />
dovrò fare le prossime volte per chiamare, e poi mi fa lei l’attivazione e la prima chiamata.<br />
Gentilissima anche se lenta, e noi abbiamo un po’ fretta di partire, ma oramai non posso<br />
interromperla. E così saluto tutti a casa. Lei ascolta divertita e poi mi saluta molto<br />
cordialmente. Partiamo, vengono fuori la cameriera e il ragazzino a salutare con la mano,<br />
poi vedo altri che avevo più volte incontrato in strada e li saluto e loro mi rispondono.<br />
Ciao, ciao Ollantaytambo, sono stato bene qui da te con la tua gente. Mi ricorderò<br />
soprattutto dei bambini.<br />
Intanto partono grossi camion pesanti che caricano su contadini/e e li portano nei campi<br />
alti per la cosecha, il raccolto. Iniziamo dunque la seconda parte avventurosa dopo la<br />
traversata della prima cordigliera tra Ayacucho, Andahuaylas, Abancay. Ci infiliamo su per<br />
la ripida salita di terra battuta, tra il grandioso ghiacciaio Verònica 5350 m. a sinistra e il il<br />
Picco Halamcoma 5367 m. Sulla strada tutto sta pian piano franando continua-mente. di<br />
nuovo ritroviamo villaggi di capanne, valli tipo quella di “Highlander”, con il ruscello, le<br />
recinzioni per gli animali, i fumi dei focolari che escono dalla porta o traspirando dalla<br />
paglia del tetto. Salendo c’è una interessante testimonianza della presenza incaica a<br />
Tastayoc, entriamo tra due colonne di roccia, come tra due grandi guardiani, e<br />
procediamo lentamente tra fonti d’acqua, cavalli, burritos, carneros, papas. Poi su fino al<br />
passo Abra Màlaga 4230 m. dove data la neblina e la pioggellina fine la strada di terra si<br />
fa un po’ melmosa e scivolosa. Qui sono sicure solo le aquile. Al Passo ci sono solo<br />
quattro povere baracche di sassi. Mi torna in mente il cartone disneyano “Pablito el drito y<br />
el burrito”, con l’asino che vola e che fa saltare a Pablito tutto il percorso su e giù per le<br />
valli. E poi il cartone -sempre Disney anni Cinquanta- dell’areoplanino postale che deve<br />
volare vicino al terribile Aconcàgua, il grande monte con i suoi ghiacciai sempre<br />
rannuvolato. Mi vengono immagini di mio nonno con i suoi sigari toscani, e quando<br />
lavorava la creta (era scultore), e suo fratello maggiore lo zio Polibio (falegname)che mi<br />
ha costruito una carriola e poi addirittura un monopattino, i discorsi di mio nonno sui<br />
marmorini, sul calco da fare in gesso, sulla fonderia del bronzo, e sul marmista....sto per<br />
addormentarmi. Stanotte avevo sognato i miei, e di quanto mio padre aveva tardato ad<br />
arrivare all’appuntamento, indossava quel suo cappotto caldo.<br />
Ma mi risvegliano i guadi, questo è già il terzo non facile, l’acqua è un po’ altina e la<br />
corrente forte, a prima vista non sembra ma non è facile non scivolare o non affondare
con le ruote nella ghiaia. Ai lati della strada ogni tanto fiori per i caduti. Prima un camion<br />
era appena stato rimesso in carreggiata e ora stava rimontando due ruote; l’autista si era<br />
fatta lì sul bordo una carpa di plastica (tendina)come riparo. Comunque è sempre strenua<br />
la fatica dei camion qui <strong>sulle</strong> <strong>Ande</strong>. In salita sbanfano e il motore si surriscalda e fuma, in<br />
discesa sono i freni che fumano e si consumano.<br />
Ora inizia un tratto proprio di melma. Ed è tutto in discesa. Passiamo Canchayoc, cioè sei<br />
baracche di lamiera nel fango. Poi guadiamo Inespata, e poi Jollotachayoc. Ci sono<br />
ruscelli grandi, alti, impetuosi con cascate tra le rocce. Stiamo andando giù nella valle del<br />
Rio Lucumayo (da Lucuma o Lucma). Anche qui la velocità media è sui 30 kmh. Eccoci ad<br />
Alfamayo, quattro baracche oramai nella selva, tra i banani, con la sua piccola chiesetta<br />
sotto la scarpata. Penosi questi villaggetti di poveri cristi schiacciati dal caldo umido.<br />
Meglio i paesi dei montanari quechua. Vediamo di là dal fiume il fortino InkaTambo. Sì<br />
perchè gli Incas spinsero fin in questa valle fuori dal mondo e dimenticata da Dio, il loro<br />
dominio, tanto che poi sfuggendo ai conquistadores spagnoli si rifugiarono a Vilcabamba,<br />
ma non quella che oggi porta quel nome, bensì quella antica, che è proprio quella che<br />
stiamo cercando, però quale fosse l’antica Vilcabamba inca ancora non si sa, ma sembra<br />
che dovrebbe corrispondere a quell’area in cui si trovano i resti degli antichi centri di<br />
Lucma, Vitcos, Punkuyoc e dell’attuale zona chiamata Rosaspata.<br />
Per l’intanto passiamo attraverso bananeti, agavi, fiori, baracche di latta, villaggetti di m.<br />
con poveri abitanti di questo fondovalle a 1800 m. circa.<br />
Ci fermiamo a Huyro (nella carta dell’istituto geografico il nome è sbagliato, così come si<br />
vede anche che non conoscono bene le distanze, le curve, le proporzioni). Intanto sono<br />
passate già quatrro ore di guida, quindi ci vuole una sosta, e poi qui si può fare gasolina<br />
con l’imbuto. C’è un povero mercatino dove si vende choclo abbrustolito, polpette di<br />
patate ripiene di riso e verdura, ma il grasso in cui son fritte lascia a desiderare. Ci sono<br />
abiti di ultima “qualità” usciti dalle produzioni in serie locali, poi robaccia di plastica,<br />
camicie sintetiche (ottime per il caldo umido!...), puttanate varie da bancarella infima, e<br />
sembra di essere in un Luna Park dei più squallidi. In una bancarella con roba per la scuola<br />
compero due testi tanto per farmi un’idea, uno di letteratura peruana, e uno di storia<br />
nazionale, penosi sia nel metodo espositivo che nei contenuti. Un bambino quando sente il<br />
prezzo dice al venditore “ma no non costano così”, e io gli dico “lascia perdere non mi<br />
importa”, “tenga buon uomo”. Si trattava di tre soles. Beniamino compra un pacco di<br />
quattro bottigliette d’acqua, e due (2) sigarette. Ripartiamo.<br />
Giunti finalmente a Chaullay non vediamo dov’è il ponte per passare dall’altra riva del<br />
fiume, manca qualsiasi cartello, quando ce ne rendiamo conto ci fermiamo ad un posto di<br />
polizia dove chiediamo. Siccome diciamo che abbiamo delle indicazioni fatteci da un<br />
collega di Ollantaytambo, che ci ha detto di chiedere a Chaullay del Señor Frisancho suo<br />
amico, allora chiamano il capo. Lì fuori c’è una donna che sta mangiando e dice lo so io,<br />
vengo di là, ora vi spiego, ma esce il poliziotto e deve spiegare lui. Stiamo andando verso<br />
Quillabamba, quindi dovremo tornare indietro e prestare molta attenzione. In questo punto<br />
il Vilcanota diviene rio Urubamba, e il Lucumayo si getta nell’Urubamba medesimo, per cui<br />
c’è una strada di terra che costeggia il fiume sulla destra, una sulla sinistra, e una, che è la<br />
nostra, invece risale il Vilcabamba che poco più in là pure entra nell’Urubamba. Chiaro ? in<br />
ogni modo poi vediamo il ponte sul Vilcanota giù sulla destra e scendiamo. Per iniziare la<br />
nostra salita su su sino quasi alle fonti del rio Vilcabamba là dove si dice che uno dei primi<br />
coloni spagnoli si fosse sistemato costruendo un grande mulino; e poi di là a piedi andare<br />
a vedere le rovine di Vitcos, Rosaspata ecc., insomma dell’antica Vilcabamba in cui si<br />
rifugiarono i ribelli dell’ultimo ridotto inca.<br />
Lungo la strada si costeggiano vari cimiterini affondati nella selva, le tombe spesso sono<br />
colorate e tutte decorate con lustrini, striscioline. Sembrerebbe che nessuno faccia
manutenzione, e certi sono proprio sommersi tra le erbacce. Una scritta sembrerebbe<br />
avere intenzioni consolatorie (?): “Aquì estaràs solo!”. La trucha (=strada di terra) in due o<br />
tre punti sembra che sia stata proprio appena ripristinata da derrumbes (=smottamenti)<br />
franati da poco. Così fino a Paltaybamba e oltre. Ecco di cosa parlavano tra loro i<br />
poliziotti per concludere che sì si può andare fino a Vilcabamba. Ci fermiamo a mangiare<br />
nel paese di Oyara dove si può fare anche gasolina. E’ molto tardi per il pranzo, ma la<br />
señora del comedor ci dice che ce lo prepara apposta, se abbiamo pazienza di attendere<br />
un poco. Sì, sì vorremmo proprio riposare un po’. Intanto uno ci dice che lui conosce delle<br />
vecchie miniere dove si trovano dei geodi e dei cristalli stupendi, se ci interessa quando<br />
torniamo indietro ce li fa trovare per venderceli. Intanto si raduna un po’ di gente per<br />
sapere chi siamo, se siamo di qualche istituto o fondazione o università, o che altro?<br />
Veniamo a sapere che è qui che c’è il sacerdote italiano, si chiama padre Umberto. Allora<br />
lo andiamo a cercare in chiesa, poi a casa sua, nella scuola, ma è partito stamane per i<br />
suoi giri nei dintorni, ritornerà fra non molto. Mangiamo riso, uova strapazzate con carne,<br />
cipolle, tomate, due minerali, una cocacola. Prendiamo anche sei chupitos per i bambini e i<br />
ragazzini che stanno qui fuori dal ristorantino. Totale tre €uro e mezzo per tre. Poi entrano<br />
altri perchè nell’altra stanza c’è il televisore e c’è una partita. Vado in bagno che è un<br />
bugliolo separato da un telo proprio lì adiacente a dove lei sta cucinando su un grande<br />
fuoco e conversa con suo fratello. C’è però l’acqua corrente e mi posso lavare le mani.<br />
Poi ci dirà che ha fatto tutto di fretta per farci trovare pronto il prima possibile, ma che si è<br />
dovuta far aiutare sennò non ce la faceva. E’ carina e gentile, sorridente. Anche le<br />
ragazzine fuori sono curiose e ridacchiano. Veniamo a sapere che c’è un altro padre<br />
italiano, lui sta proprio a Vilcabamba dove finisce la trucha, e tiene una scuola<br />
professionale. Proseguiamo, e lungo la strada riconosciamo nella 4x4 che incrociamo<br />
quello che dev’essere padre Umberto, ci fermiamo e anche lui, scende e torna indietro per<br />
venirci incontro, resta sorpreso che gli parliamo in italiano. E’ gentilissimo, di Brescia, e ci<br />
dice che senz’altro padre Lino, così si chiama l’altro a Vilcabamba, ci ospiterà, di fare pure<br />
il suo nome, e ci da anche il nome della casa salesiana di Cusco dove pure se vogliamo ci<br />
potranno ospitare al ritorno (ritengo che ospitare voglia dire accoglierci, e magari a<br />
modico pagamento consumare dei pasti...?).<br />
Siamo ricuorati perchè si sta facendo tardi, salendo aumenta l’aria fresca, siamo stanchi,<br />
e non so se ce la saremmo sentita di montare le tende secondo l’idea originaria. Oramai è<br />
imbrunire e la strada non finisce proprio mai, dopo l’ultimo paese credevamo, dalla carta<br />
geografica e dalle parole della guardia, che Vilcabamba fosse pochissimo più in là.<br />
Invece...dopo innumerevoli curve, in salita ripida, oramai nella nebbia e un po’ tramortiti,<br />
sembra che non arriveremo da nessuna parte. Ma invece infine eccoci. La scuola<br />
professionale e il centro sociale sono proprio all’inizio del villaggio. Fermiamo il carro e<br />
qualcuno viene incontro.<br />
A 3551 metri di altitudine giungiamo in una sorta di repubblichetta italiana quassù, in fondo<br />
in fondo, fuori dal mondo, alla fine di una valle fuori dal mondo, su su in cima... Entriamo<br />
nella casa della comunità direttamente in cucina. Fuori comincia a rinfrescare. Ci ristora<br />
già il solo fatto di parlare italiano, vedere facce consuete, comunicare con modi usuali, e<br />
poter raccontare le nostre impressioni di viaggio, e poi soprattutto ascoltare tutto quel che<br />
loro vivendo qui sanno di questa zona, e degli abitanti. E poi c’è il fuoco della grande<br />
“cucina economica” acceso, e ci offrono un bel thè caldo. Siamo proprio in un altro mondo<br />
qui dentro, e, anche se un po’ isolati quassù, ci pare di essere a casa.<br />
Questo centro, con la scuola, le officine per l’addestramento artigianale, sono state fatte<br />
per iniziativa di gruppi italiani di volontariato e di sostegno ad opere di aiuto ai paesi<br />
poveri, di matrice salesiana. Questa in particolare fa parte della rete “Operazione Mato<br />
Grosso” nata verso il 1968/70 se non sbaglio, e poi cresciuta fino a comprendere vari
centri non solo in Brasile, ma anche in Perù appunto, Ecuador, Colombia, Bolivia. Qui<br />
dunque c’è un gruppo di ragazzi e ragazze italiani che vivono in comunità, si<br />
autogestiscono, lavorano in vari progetti in corso. Inoltre ci sono un paio di religiosi e una<br />
religiosa che hanno preso i voti. Poi giovani peruani che lavorano qui come infermiera,<br />
cuoca, addetta alle camerate, organizzatrice. E i bambini e i giovani convitti che sono qui<br />
per studiare e lavorare e stanno a tempo pieno dormendo nelle camerate e mangiando<br />
nella mensa. Una notevole organizzazione. Hanno costruito la strada che arriva qui, dei<br />
ponti pedonali in vari posti, fatto argini, costruito loro tutti gli edifici, e l’arredamento. La<br />
scuola di falegnameria e carpenteria fa degli eccellenti lavori. In questi giorni c’è anche una<br />
volontaria che normalmente sta in un altro centro e che è qui in “vacanza” perchè sono<br />
venuti a trovarla i suoi genitori. Lei è ragioniera ed amministra un loro centro nel Nord del<br />
Perù, sono di Thiene, come padre Lino. C’è una ragazza di Bologna, che si occupa della<br />
nostra accoglienza, e chiacchieriamo un po’ mentre l’aiuto a fare i nostri letti in una camera<br />
con sei letti a castello che in questi giorni è libera perchè quel gruppo ora sta facendo un<br />
giro altrove. L’ala dell’edificio in cui ci sistemiamo è stata appena ultimata ed è ancora<br />
molto umida negli interni (che sono senza riscaldamento) però con tante belle copertone di<br />
alpaca ci si può stare. Ecco che dopo un po’ arriva anche lui, un quarantenne magro,<br />
asciutto, strabordante di energie. Come parroco di Vilcabamba ha girato in questi anni<br />
tutta l’area assai vasta della sua parrocchia, e oltre, con tutti i mezzi, in jeep, o dove non è<br />
possibile, a piedi, o a cavallo, andando nei posti più incredibili, nella selva, nel deserto, sui<br />
ghiacciai. Loro hanno anche ripulito dalle vegetazioni le rovine di Espiritu Pampa per<br />
incarico dell’istituto nazionale di cultura. Quindi conoscono bene le vie d’accesso, e<br />
capiamo che purtroppo non ci andremo, perchè ci vogliono tre giornate col cavallo, e<br />
quindi in totale minimo otto giorni a disposizione, che noi non abbiamo. Ma potremo<br />
facilmente fare un giro a piedi di una giornata per visitare le rovine di Vitcos e della zona di<br />
Rosaspata, p.Lino ci darà una guida, e questa è una grande consolazione. Una parte<br />
importante dei nostri obiettivi (attraversare le cordigliere <strong>sulle</strong> sterrate, Vilcabamba-Vitcos-<br />
Rosaspata, i siti Wari, la Riserva Naturale di Pampas Galeras, eccetera) sarà soddisfatta.<br />
Padre Lino con quel suo fare semplice e spigliato, gli occhi vivissimi, le battute di spirito,<br />
racconta di zone dove la religione popolare consisteva nel culto dei morti e dei santi, e<br />
senza sacerdoti per generazioni, si è mantenuta attraverso la tradizione orale. Tipo i<br />
cargos cioè persone di una comunità che si fanno carico a turno per un anno della<br />
celebrazione delle feste dal punto di vista sia organizzativo che finanziario. Proprio come<br />
avveniva nell’antichità, e così hanno consentito che si mantenesse una continuità di quella<br />
religiosità che si era radicata nel periodo coloniale. Su questa ora ci si deve fondare per<br />
sviluppare la loro spiritualità a livelli più elaborati e più conformi al cristianesimo. Racconta<br />
delle loro leggende e ad esempio di quelle che riguardano le grandi montagne e i ghiacciai<br />
perenni. padre Lino conosce tutte le valli e i villaggi ed ha notato vari punti delle nostre<br />
carte, di cui è molto incuriosito, che sono del tutto sbagliati o altri che sarebbero da<br />
correggere e ritoccare. Intanto la signora di Thiene e un paio di ragazze stanno cucinando<br />
sul fuoco a legna con dei gran pentoloni la cena. Aiuto a apparecchiare la tavola, e intanto<br />
socializziamo un po’ di più. Fuori c’è qualcuno che bussa perchè ha bisogno di parlare con<br />
p.Lino, o con questa o con quello. Faccio così conoscenza anche con Pinuccia un<br />
bellissimo labrador che è la cagnona della casa.<br />
Lui e alcuni altri raccontano dei cani di qui, che sono legati sempre alla casa e che<br />
conoscono tutti i percorsi di una zona vastissima, e in certi casi hanno fatto da guida al<br />
ritorno col buio o il maltempo.<br />
Anche la gente del luogo ogni tanto si offre come guida, ma loro camminano il triplo di noi.<br />
Una volta p.Lino era davanti e la guida stava subito dietro, e in effetti ti sentivi il suo fiato<br />
nel collo, allora a un certo punto la guida ha pensato che forse a stare così dappresso
poteva dar fastidio e si è tenuta più distante, proprio quando traversando un guado con<br />
una corrente imprevedibilmente più forte di quanto ci si poteva aspettare, e p.Lino è<br />
scivolato in quel punto dove il fiume cominciava ad andar giù per la rapida, e la guida è<br />
arrivata in una frazione di secondo ad afferrarlo e tirarlo su dall’acqua. Dice che le guide e<br />
i montanari intanto che camminano raccontano storie incaiche e del folklore antico e tutti<br />
hanno grande rispetto per gli avvertimenti che contengono, le proibizioni, gli spiriti che in<br />
quei luoghi sono presenti. Tutti i lavoranti che ci sono qui (per fare i gradini, per i buchi<br />
stradali, o per altri lavori pesanti), tutti hanno il bolo di coca sotto la guancia. Padre Lino<br />
dice che la foglia di coca non è assolutamente equiparabile alle altre droghe perchè non da<br />
assuefazione, lui ha provato in casi in cui era molto affaticato, da energie e basta,<br />
contiene calcio, fosforo, ferro,proteine, vitamine. (Ma il bolo è impastato con calce di<br />
quinoa, il che permette di dar luogo ad una reazione chimica che libera dalla coca un<br />
pochino di cocaina).<br />
La ragazza di Bologna si è laureata in scienze dell’educazione, e allora scambiamo due<br />
parole su quei corsi e docenti che l’hanno affascinata. Ha fatto volontariato nei gruppi che<br />
in Italia danno sostegno ai centri della O.M.-G., per riuscire a mandare viveri, o materiali, o<br />
vestiti, oppure addirittura macchinari per la scuola professionale. Ora ha preso l’impegno<br />
qui per due anni, ed è contentissima, si trova bene, si sente realizzata in quello che fa, le<br />
piace l’ambiente, si sente utile.<br />
La signora in visita, invece dopo mi dice che anche le loro altre due figlie danno attività nei<br />
gruppi di sostegno e che hanno fatto anche dei periodi di volontariato qui, e che è molto<br />
bello, ma hanno continuato anche la loro vita, si sono sposate, hanno dei bimbi. Mentre la<br />
maggiore (quella che ora è qua) oramai è via da quattordici anni, e a loro genitori è un po’<br />
dispiaciuta questa scelta così radicale, ma col tempo si sono rassegnati che lei è<br />
praticamente soltanto totalmente dedita a questa causa.<br />
Andiamo in camera, Lino è già là che dorme, e anche noi ci addormentiamo all’istante.<br />
19 di aprile<br />
Ci alziamo alle sei, tutti i vestiti sono umidissimi; andiamo giù dove c’è il bagno e ci<br />
laviamo con acqua fredda. Fuori c’è un po’ di bruma che subito si dissiperà, fa fresco ma<br />
non troppo, l’aria è stupenda, il cielo entro breve diviene despejado, sgombro, e il sole<br />
forte. In cucina il signore di Thiene sta cercando di appiccare il fuoco ma dice che qui<br />
usano l’eucalipto che non è per niente adatto. La signora prepara subito la prima colazione<br />
e man mano arrivano tutti alla spicciolata mangiano e escono. Padre Lino alle sette è l’ora<br />
che dedica alle confessioni in chiesa, l’altro, il romano, deve subito andare per finire un<br />
lavoro sulla strada, perchè ora fanno tutto a mano, con le grandi piogge che ci sono state<br />
nei mesi scorsi il loro piccolo bob-cat cingolato è caduto con una frana giù dal ciglio<br />
stradale e si è scassato rotolando. L’altro, che è lombardo, deve andare giù in città<br />
(Chaullay ?) per prendere materiali con il carro. Stamane ci danno come guida Valentìn,<br />
che ci porterà a fare il giro dei siti incaici della zona. Intanto che aspettiamo che lui sia<br />
pronto chiacchieriamo al sole. La signora sta esaminando una vecchia macchinetta tagliacuci<br />
che hanno inviato, perchè lei era sarta, ora è in pensione; mentre il marito, che era<br />
panettiere fornaio, ha iniziato vari giorni fa a insegnare a fare i tipi di impasto e le forme<br />
che si fanno da noi, ed hanno già imparato a fare bene la ciabatta, che infatti era in tavola.<br />
Scendiamo col carro a Huancallé (3000 m.) dove Valentìn passa a notificare la nostra<br />
visita al guardiabosques e si fa dare un machete. Lino ci riprenderà qui, e noi ci<br />
incamminiamo a piedi verso le sette e mezza.<br />
Sulla collina di Rosaspata ci sono i resti di vari edifici militari di Vitcos.Tra l’ edificio per<br />
alloggiamento della guarnigione, e il fortilizio, c’era un edificio di tipo cerimoniale<br />
(kallanka), che è ben conservato. Si vedono 15 porte trapezioidali allineate, tra cui tre
grandi. Questi luoghi, occupati a suo tempo da Manco Inca furono lo scenario in cui si<br />
svolsero tre importanti battaglie con gli invasori spagnoli. Poiché è proprio qui che l’ultimo<br />
sovrano degli incas si rifugiò dopo essersi ribellato alla supremazia spagnola e aver preso<br />
la fortezza di Sacsayhuaman, ma aver poi fallito l’assedio al quartier generale dei fratelli<br />
Pizarro nel Cuzco, nel 1536. Vennero quassù gli ultimi fedeli al re in un luogo di difficile<br />
accesso, e isolato, e riuscirono a far sì che il rifugio rimanesse segreto e sconosciuto agli<br />
spagnoli. Qui tra le montagne di Vilcabamba per qualche anno si perpetuò la corte incaica.<br />
Dopo il suo assassinio da parte di un agente segreto pagato dagli spagnoli, suo figlio<br />
abbandonò il rifugio si recò al Cuzco e si consegnò. Il fratello giurò fedeltà alla corona inca<br />
ma morì poco dopo per una malattia. Quindi l’altro figlio Tùpac Amaru I° fu proclamato in<br />
Vilcabamba Inca di tutti i territori del Tawuantinsuyo. Regnò materialmente su questa<br />
grande e lunga valle, e spiritualmente su tutti i popoli di lingua quechua e aymarà, per alcuni<br />
anni. Solo dopo molte battaglie fu fatto prigioniero e messo a morte nel Cuzco dal viceré<br />
Toledo nel 1572. Dunque su questa collina, proprio da qui dove stiamo noi adesso, Manco<br />
Inca e poi Tùpac Amaru si esercitavano stando con un ginocchio a terra a tirare col laccio<br />
le bolas di pietra, arte in cui tutti gli Inca erano sempre stati di bravura eccezionale (così<br />
come con la fionda; la stessa leggenda <strong>sulle</strong> origini dei primi inca, racconta che Ayar<br />
Cachi, a Pacaritampu con un solo tiro di fionda spaccò una grande roccia). L’obiettivo qui<br />
era di riuscire a farle volare fin sull’altro costado della valle, dove in effetti sono state<br />
ritrovate alcune bolas. Nel costado sull’ingresso della valle il fortilizio di InkaTambo<br />
vegliava come sentinella. Su un altro lontano colle c’era una guarnigione, e si facevano<br />
segnali di fumo sino a qui, se avvistavano dall’altro lato della valle sopraggiungere degli<br />
spagnoli. Da un altro sperone di roccia, intanto la dea Incahuarcana guardava sorridente e<br />
si godeva serena lo spettacolo dei tiri dell’Inca... Nel vallone qui a fianco in direzione del<br />
Machu Picchu (vecchio picco), collegato a qui con una strada lastricata, c’è un luogo<br />
antichissimo e venerando dove è accaduto uno dei fatti ancestrali della creazione del<br />
mondo, che andremo a visitare fra poco.<br />
Un edificio è in granito rosato, uno bianco, mentre prospicenti la grande piazza gli edifici<br />
sono in pietra “pizarro” scura. Troviamo per terra cocci di vasi e coppe colorate, che<br />
riponiamo su una catasta protetta da un tettuccio. Qui gli scavi e la ricostruzione sono<br />
ancora incompiuti, perciò forse due uomini con un cane lupo ci hanno seguiti da lontano<br />
sin qui e ora ci osservano a distanza. Quando lasciamo il sito e ci avviamo sul sentierino<br />
verso l’altra parte del colle, se ne vanno.<br />
Qui dall’altro lato ci sono molti chacra, campi coltivati, sui tipici terrazza-menti andini,<br />
andenes (da cui forse deriva il nome stesso delle <strong>Ande</strong>), che dimostrano la presenza di<br />
contadini al servizio del forte, o che erano già qui presenti prima. Anche le costruzioni<br />
dell’area del forte comunque mostrano segni evidenti di una sua presenza più antica e poi<br />
di un suo rimaneggiamento o rafforzamento con interventi di stile incaico.<br />
Poco più su poi inizia la favolosa valle sacra antichissima, dedita al culto della terra,<br />
dell’acqua e, a quanto si dice, delle stelle del cielo notturno.<br />
Qua e là giacciono enormi monoliti neri con incisi dei gradini. Quella più grande tra queste<br />
prime che ci si presentano nel cammino ascendente, sembra sagomata a forma di llama.<br />
Ha sul fianco tre gradini, una sporgenza lunga orizzontale liscia con un bugno sporgente<br />
poco più su, forse per la preghiera, o per un raccoglimento devozionale. Valentìn ci<br />
mostra la posizione tradizionale con le mani sulla sporgenza stando inginocchiati su in<br />
ginocchio e poggiando il capo <strong>sulle</strong> mani ovvero sulla pietra sporgente. Già avevamo visto<br />
mostrare la medesima posizione da parte di una guida molto brava e colta che<br />
accompagnava alcuni olandesi nella camera diroccata del tempio del Sole<br />
sull’Ollantaytambo e spiegava in fluente inglese. Poi tra i gradoni c’è una fonte per<br />
abluzioni veramente notevole. Poi vediamo una nicchia in un locale grande, e un loculo
con una fontana che serviva da doccia purificatrice, e un trono nero levigato di fronte ad<br />
una parete di pietra che forse porta le tracce di disegni. Erano certamente riti per il culto<br />
dell’Acqua. Si può determinare i contorni di un locale con vari bugni da preghiera, in un<br />
contesto di un ampio edificio. Poi vediamo un altro monolite con sopra un cosiddetto<br />
“orologio solare” scolpito, e a fianco un trono nero molto bello rivolto al torrente che<br />
impetuoso e gorgogliante scende dando frescura. A lato una pietra per riti di tipo<br />
sacrificale sagomata in modo da depositarvi un llama di cui porre il capo tra i due corni del<br />
pietrone e rescindergli la testa. Salendo continua questo vasto complesso, con altri seggi,<br />
vasche e a lato canaletti per il deflusso delle acque. E’ la Valle di Pillaopata, che è si<br />
potrebbe dire un tempio complessivo di riti stagionali in cui la congiunzione delle acque,<br />
dei monoliti neri, e dei raggi solari o delle stelle, forma un insieme sacrale di antichissima<br />
concezione. Ed ecco l’immenso monolite, si dice di otto metri, pesante varie tonnellate,<br />
che da il nome al complesso sacro: ñustahispana.<br />
La Vergine Ithmaccoya è l’essere primordiale e c’è un punto dove ha orinato<br />
primieramente (così come in altro luogo vi è il punto in cui ha defecato). Ma questi non<br />
vanno considerati come nella nostra mentalità come degli escrementi, dei rifiuti, cose<br />
orrende da espellere. Ma sono parti di sè rilasciate all’esterno ad integrarsi col Mondo.<br />
Presenze di sè, e in questo caso divine di essenza, o potenza divina, che vanno a<br />
fecondare il Mondo. Come gli escrementi degli animali danno calore, e servono a<br />
fecondare la terra, come sulla costa il guano, oppure in India gli escrementi delle vacche<br />
sacre che essiccati servono a far fuoco e calore... Il luogo mitico è Yurac Rumi, che in<br />
quechua significa la pietra bianca. Qui a Pillaopata si rinnovava periodicamente il rito.<br />
Sopra al monolite c’è il punto più alto che è quello “donde la virgen orina”, dove una<br />
vergine veniva posta a gambe larghe dinnanzi ai sacerdoti a compiere nuovamente l’atto<br />
di orinare quale sacra rappresentazione del fatto primigenio della fecondazione del<br />
Mondo. Forse durante i riti ancestrali stagionali per propiziare la fecondità della terra e<br />
abbondanti raccolti. Forse all’epoca degli incas questo luogo di antichissima sacralità fu<br />
incluso nella ritualistica loro specifica. In alcuni centri vi era un Acllahuasi, ovvero un<br />
palazzo delle acllas o delle vergini nascoste. A proposito di uno di questi, vicino all’attuale<br />
Lima, il cronista Garcilaso de la Vega nel 1609 scriveva: “Este templo fue solemnìsimo en<br />
edificios y servicios, ..., donde hacìan muchos sacrificios de animales y de otras cosas...”.<br />
Quindi può darsi che gli Inca facessero condurre qua le acllas per assistere ai sacrifici<br />
rituali di llamas e per la cerimonia della ñusta que orina. Questo immenso monolite nero<br />
ha una parete liscia e verticale con vani e con bugni sporgenti. Sopra ci sono incavate<br />
varie vasche e troni, sotto una parte del monolite il terreno è digradante e c’è un vano,<br />
ancora da liberare dal terriccio, sotto nell’ombra, l’Antro Oscuro sotterraneo. A fianco (e in<br />
parte sotto il bordo da cui poteva colare l’orina), ci sono dei vani che sono come quelli per<br />
le abluzioni visti prima, nove loculi perfettamente lisci e squadrati. E poi qua e là ci sono<br />
vari altri elementi sparsi per un’ampia area. In lontani secoli, in tempi antichissimi, chissà<br />
forse già nel neolitico o nella prima età del bronzo (?), ci dovette essere un terremoto con<br />
alluvione, insomma un cataclisma che fece crollare gran parte di questi edifici in pietra, e<br />
forse il tutto fu abbandonato (?), e comunque poi ripristinato tra le rovine, in un’epoca preincaica,<br />
data la venerabilità del luogo ancestrale. Sulla parete della pietra “piccola” proprio<br />
di fronte alla parete verticale della grande pietra nera, ci sono dei segni incisi, come delle<br />
linee che si incontrano o che divergono, che Valentìn dice rappresentavano la carta<br />
geografica dei caminos reales che convergevano verso il grande centro astrologico<br />
dell’osservatorio di Machu Picchu (poi abitato come ultimo ridotto segreto incaico),<br />
ovvero la piantina dei vari collegamenti tra diversi luoghi sacri. Chissà. comunque mi son<br />
convinto che questa è la pietra nera sacra alla Grande Dea Madre, la Vergine cosmica che<br />
ha dato la vita.
Proprio di fronte alle gambe divaricate della ñusta orinante sta una imponente pietra a<br />
forma di punta fallica (un glande). A fianco un lungo abbeveratoio per animali. A sinistra<br />
più in là (descrivo tutto un po’ minuziosa-mente perchè non ho trovato alcuna descrizione o interpretazione<br />
o studio su questi luoghi straordinari) c’è un ingresso a forma di corridoio stretto che immette ad<br />
un’area dove c’è un altro monolite, ora infossato in terra, con scavato un trono levigato<br />
veramente bellissimo. Questo sembrerebbe stare dentro un ampio recinto (cancha) il cui<br />
perimetro grosso modo sembrerebbe essere di circa 40 metri per 20.<br />
Chissà quante leggende e miti antichissimi ancora circolavano all’epoca in cui si stabilì qua<br />
Manco Inca. Cosa darei per vedere la scena di quando celebravano in questo luogo<br />
ancestrale con i bellissimi mantelli di piume d’uccello colorati che ho visto al Museo de Oro<br />
di Lima, probabilmente con varie cerimonie che si succedevano procedendo da un luogo<br />
all’altro di questa valle sacra di Pillaopata sotto la collina di Rosaspata....Mi piacerebbe<br />
sapere quale rapporto ci fosse con gli astri, e tra questi e la pietra, l’acqua, l’aria. Valentìn<br />
dice che quei ciondoli che si appendono (che da noi vengono dall’oriente asiatico) e che<br />
risuonano, sono espedienti per cercare di imbrigliare il suono dell’aria, che va per ogni<br />
dove col vento... Così come a Ollantaytambo, o negli altri altari Intihuatana, si cercava di<br />
cogliere il raggio solare. E anche qui sogno ad occhi aperti che con una bacchetta magica<br />
tutto ritorni al suo posto, cioè si risollevi dalla terra, da sotto il prato, e questi macigni,<br />
questi pietroni, volino nell’aria e ricompongano i muri, le strade, i templi, tutto il sito<br />
com’era. Se poi per sovrappiù di magia si potessero far riapparire i disegni, le pitture, i<br />
colori, le parti in legno, le statue, i decori, gli idoli....e magari addirittura la scena intera<br />
abitata ! Chissà in che ore del giorno e della notte stellata o di luna piena si celebrava? con<br />
quali canti ? Questo luogo magico mi fa ripensare alla Bretagna, a Malta, a Menorca, a<br />
Stonehenge....<br />
Ora stiamo camminando verso il rientro, sul selciato di un camino inca, che è sollevato<br />
rispetto al terreno fangoso, con pietre levigate abbastanza larghe, e che si dice<br />
congiungesse questo luogo, da una parte con Machu Picchu. dall’altra con Choquequirao.<br />
Prosegue con una gradinata lunghis- sima per scendere lungo il pendio della collina. Qui i<br />
messi reali correvano per 8 Km e ad ogni postazione (chaski huasi)si davano il cambio,<br />
per cui in un giorno un messaggio poteva giungere alla capitale da 250 Km di distanza. La<br />
rete delle strade (Qhapaq ñan) era molto articolata, si suppone tra i 23 (e comprendendo<br />
le vie sterrate) i 40 mila kilometri, e tra queste si distinguevano quelle reali (Inka ñan),<br />
ampie circa 6 metri con muretti di sostegno della massicciata, e canaletti laterali per lo<br />
scolo dell’acqua piovana. Vi erano appunto scalinate, e ponti sospesi in fibre vegetali<br />
ancorati a spalle di pietra (ve ne furono di famosi come quello sull’Apurìmac, il ponte<br />
Queswachaca, oggi rifatto, e quello sul Pampas, che restarono in uso sino alla fine<br />
dell’Ottocento), oppure ponti di zattere, o di barche di frasche. Mentre ad intervalli di un<br />
giorno di cammino si trovava un Tambo (=caravanserraglio fortificato, in castigliano si può<br />
tradurre anche con Posada) per le soste dei militari, dei commercianti, dei portatori di<br />
merci (mitayoc) e dei lavoratori (mitma). C’erano 1500/2000 Tampu in tutta la rete.<br />
Quaggiù all’ ”entrata” di questa area archeologica, vediamo che c’è un catello che indica:<br />
“Conjunto de Vilcabamba la Vieja- Rosaspata- Vitkos- Nustahispana”.<br />
Che esperienza strordinariamente emozionante questo viaggio in tempi così lontani a<br />
ritroso in un antico passato! Non riuscirò a togliermi dalla mente queste suggestioni per<br />
molto tempo.<br />
Ritorniamo alla casa e ci offrono un bel minestrone di fagioli, polpette di verdure e di riso,<br />
e polenta...! e caffé.<br />
C’è ancora luce e mentre Beniamino fa una corsa con la loro macchina per vedere un<br />
posto dove vorrebbero costuire un altro centro in un paese della valle, e chiedono dunque<br />
la sua consulenza come architetto per fare il progetto, io faccio un giretto per il villaggio
che sta subito dopo la chiesa e che non avevo ancora visto. E’ fatto di casette di adobe,<br />
“mattoni” di terra e paglia e sassolini essiccati al sole, ad un unico vano, direttamente sul<br />
terreno, con tetto di paglia. C’è una donna che sta filando la lana, porcellini che<br />
gironzolano, e giù nella valle verde a perdita d’occhio, ci sono vari cavalli. Do qualche<br />
regalino ai bambini con cui parlo, dall’unico sacchetto rimastomi, e sono subito attorniato<br />
da altri, ma non troppi e non troppo insistenti, che chiedono. Distribuisco tutto quel che ho.<br />
Poi vado un po’ in giro con due di 5/6 anni, torno in camera, ma c’è troppo umido per stare<br />
lì a leggere. Quindi esco e passeggio dall’altra direzione assieme a un ragazzino di 11 anni<br />
circa con cui chiacchiero e condivido una vecchia brioche secca come merenda (ovvero<br />
ne prendo un boccone per lui e uno per me, e poi gli chiedo “hai fame, vuoi finirla tutta tu?”<br />
dice di sì).<br />
Torna Ben e andiamo insieme oltre il villaggio giù verso la vallata, ma ormai è quasi<br />
l’imbrunire. Giunti al fiume troviamo che ci sono le rovine del grande molino spagnolo<br />
diroccato: che emozione, dev’essere proprio quello di cui parlava Hiram Bingham ! In<br />
lontananza cavalli, recinti, capanne, la valle è larga e bella. Rientrando passiamo a vedere<br />
la chiesa (con il campanile spagnolo della vecchia chiesa domenicana diroccata) dove c’è<br />
la messa cantata in ricordo dei due fratelli di p.Lino, anche loro sacerdoti, che venuti qua<br />
sono poi morti uno dopo l’altro di malattie (anche le mucche qui l’altr’anno sono tutte<br />
morte), e in ricordo anche di padre Dino (!) che due anni fa è stato assassinato mentre<br />
andava con la sua camioneta, da non si sa chi per non si sa cosa. Bei canti, ben cantati,<br />
ma veniamo via, è troppo lunga, e inoltre è saltata la corrente elettrica, e poi fa freddo. Ci<br />
sono tantissimi giovani arrivati da vari paesini con i camion (quattro o cinque!). Alla mensa<br />
del centro stanno preparando da tempo per 350 coperti (un piatto di minestra e un pane).<br />
Stiamo fuori dalla casa a ripensare a questa magnifica giornata, perchè non c’è la luce<br />
all’interno. Entro pochissimo è buio totale, fa freddo, e c’è umidità. Mi accorgo che ho i<br />
brividi, sto proprio tremando. Entriamo in cucina dove c’è il fuoco. Poi arriva uno che<br />
poverino è salito su a piedi chissà da dove (solo la salita da Huancallé sono venti<br />
kilometri) perchè ha molto mal di denti, e chiede di p.Lino, “ma ora non può, diciamo, e ora<br />
è già buio, e la messa questa volta finirà molto tardi”. “Lo aspetterò qui”. In realtà è la<br />
giovane bella peruana con tanti capelli lunghi corvini e ricci che è infermiera e si occupa<br />
anche di questi casi, ma mi aveva detto che non sa cosa poter fare, non ha nulla, non può<br />
far nulla, sia per i costi che per l’attrezzatura. E poi se anche curasse una carie, la volta<br />
dopo forse avrebbe terminato i medicinali il disinfettante e l’impasto ecc. , quindi più che<br />
altro cava denti, che è l’unica soluzione possibile e d’altronde praticata da tutti gli<br />
odontoiatri di provincia.<br />
In cucina dopo cena padre Lino racconta di una vecchina che era venuta fin su qua a piedi,<br />
curva ad angolo retto, con un gran carico, perchè aveva bisogno di parlare con lui, ha 84<br />
anni. Lui era andato a trovarla tempo fa perchè non stava bene, e a casa sua lei stava con<br />
galline e conigli dentro casa figuriamoci con che risultato per l’igiene, e quindi le aveva<br />
detto che doveva per prima cosa metterli fuori; ma quel che è peggio è che teneva il suo<br />
grosso chancho legato al letto, e questo non voleva lasciarlo fuori per nessuna ragione.<br />
Ora comunque ha superato la crisi, è guarita, e sta benone: questo era venuta a dirgli.<br />
20 aprile<br />
Ci alziamo alle sei come al solito, facciamo colazione e salutiamo tutti calorosamente.<br />
Non ci chiedono nulla, nemmeno per il mangiare, nemmeno dicono se volete fare<br />
un’offerta. Ben ieri aveva comprato molte bottiglie di minerale gassata giù al paese di<br />
Huancallé, e poi aveva dato tutte quelle bustine di minestre pronte che ci eravamo portati<br />
dietro per ogni evenienza, anch’io avevo fatto lo stesso con le mie bustine e scatolette.<br />
Ma non è che sia un gran ché anche se per loro cibi italiani sono una leccornia e un bel
icordo di cui sentono un po’ la mancanza. Ieri tra l’altro erano venuti su per la messa in<br />
memoriam anche una coppia di giovani che stanno giù dal padre Umberto, e che sono<br />
venuti qui dall’Italia a far volontariato che lei era incinta e il bimbo è nato qui e ieri sera se<br />
lo sono portati dietro, ha 8 mesi. Che cosa bisogna avere dentro per fare così e vivere lo<br />
stesso tranquilli e sorridenti ? Saluto la ragazza di Bologna raccomandandole di mettere a<br />
frutto la sua laurea, e la sua tesi su don Milani, facendo l’insegnante qui, anzichè i lavori<br />
vari che fa ora. Padre Lino mi dice di chiedere agli studenti della mia facoltà se vogliono<br />
contribuire con qualche soldo a pagare lo stipendio di un maestro. Se tu hai cento studenti<br />
e ciascuno si impegna a mandare tre €uro al mese noi prendiamo un insegnante. Ho<br />
promesso che ci proverò, ma ho detto che loro mi devono far avere un progettino, una<br />
descrizione del loro centro, qualcosa da mostrare, se no non bastano le sole parole. Dice<br />
che lo farà fare ai ragazzi volontari che lo aiutano. Bene, ciao, ciao a tutti. Partiamo.<br />
Mentre partivamo arrivavano i lavoratori marmorini, i carpentieri, gli sterratori, tutti col loro<br />
bolo di coca che fa una bella pallina sotto la guancia e non si capisce cosa dicono, anche<br />
perchè hanno solo dieci denti o poco più, tutti giallo-rossi-marroni, e fischiano da tutte le<br />
parti...Man mano che scendiamo e loro salgono ci salutano rispettosi perchè siamo amici<br />
di padre Lino, e quindi siamo caballeros non solo señores. Ma padre Lino diceva che se<br />
loro non venissero lì a fare quei lavori in cambio di un piatto di minestra e una pagnotta,<br />
cosa farebbero? diventerebbero degli sbandati, forse dei banditi, e vivrebbero di<br />
brigantaggio, come ai tempi di Sendero Luminoso. Incontriamo anche tutti i bambini e i<br />
ragazzi della valle che stanno andando a scuola a piedi, facendosi percorsi anche<br />
lunghissimi con qualsiasi tempo atmosferico. E quando siamo giù nel fondo valle dove ci<br />
sono i bananeti pensiamo a loro che sono sempre lassù a 3551 metri di altitudine. Penso<br />
anche a quella componente di ideologia, religiosa in questo caso, che da loro la spinta per<br />
fare queste grandi imprese. Padre Umberto ci aveva detto “questa valle è nostra da<br />
diversi anni, tutto quel che c’è di buono qui lo abbiamo fatto noi, dai ponti pedonali, alle<br />
strade, alle scuole, al lavoro che abbiamo procurato, il governo o l’alcalde non hanno fatto<br />
quasi nulla, se non ci fossimo stati noi cosa ne sarebbe di questi posti?”. Questo da loro la<br />
forza di restare, perchè non si può andar via, perchè oramai si sono identificati totalmente<br />
con le loro opere. Penso anche alle illusioni e alle speranze di isolarsi, di stare in pace per<br />
conto proprio, al mito della valle verde escondida, all’attrattiva di fondare una comunità di<br />
volontariato, dove tutti cooperano, dove il denaro non conta se non per le opere. Miti<br />
religiosi e laici, spirituali e politici, che forse erano anche una parte delle illusioni folli del<br />
professor Abimael e di “Sendero”, chissà.<br />
Comunque questi han messo su una grande impresa, grazie ai soldi dei gruppi di sostegno<br />
italiani, tramite i salesiani, e sono veramente un qualcosa che ti lascia una forte<br />
impressione positiva, che ha un grande fascino attrattivo.<br />
Ora qui intanto si ritorna a vedere questi luoghi in gran parte disabitati, questa valle ancora<br />
tutta da far fiorire. Tornano in mente immagini dal romanzo di Marquez “Cien años de<br />
soledad”, che descrive così bene certi ambienti, la mentalità dei suoi personaggi presi<br />
dalla realtà, e la dimensione del tempo tutta particolare, e il mondo fantastico<br />
dell’immaginario collettivo, che ora ritrovo in certe canzoni popolari che si sentono.<br />
Facciamo gasolina in un posto che all’andata non avevo notato,forse Amaybamba, anche<br />
qui con l’imbuto, allora do una mancia di due-tre soles chiedendo che lavino attorno al<br />
serbatoio, perchè la puzza della benzina mi da fastidio, e il ragazzo lava con accuratezza<br />
con una pompa d’acqua tutta la macchina che era proprio sudicia di terra, di fango.<br />
Arriviamo su fino a Canchayoc senza fermarci perchè non abbiamo ancora trovato un<br />
comedor aperto per mangiare, la señora qui del “restaurant Ladina” che ha una lavagnetta<br />
appesa fuori con la scritta “caldo de gallina”, ci dice che non ha voglia di mettersi a<br />
preparare da mangiare, e quindi dobbiamo proseguire. Arriviamo di nuovo al passo Abra
Màlaga, dove sostiamo perchè si vede un ghiacciaio in fondo, forse il Pumahuanja (5400<br />
m.). C’è un tizio, ma non parla, non risponde. Due bambini conciati e sporchi, cui diamo<br />
dei quadretti della tavoletta di cioccolata che abbiamo. Divorano ma non parlano. Vivono<br />
in una dimensione della comunicazione pre-parola, del silenzio, si intendono con una<br />
occhiata con piccoli gesti. A parte che non sanno lo spagnolo, non sono abituati a<br />
conversare, stanno l’uno accanto all’altro in silenzio accucciati.<br />
Vediamo il pajaro carpintero, una specie di picchio. Usciamo dai due costoni che segnano<br />
la fine di quel mondo a parte, e vediamo il gigantesco ghiacciaio Verònica che si mostra<br />
maestoso e scintillante al sole. Il cielo è finalmente despejado, ed è uno spettacolo<br />
imponente.<br />
A un certo punto ci sono lavori di rifacimento del fondo stradale, qui tutto frana, derrumba,<br />
di continuo. Comunque le opere pubbliche sono un mezzo importante di sviluppo,<br />
mancano o sono assai carenti le infrastrutture, senza le quali non procede nulla. Insomma<br />
in poche parole non possiamo passare, e dovremo attendere lì un’ora e mezza.<br />
Dopo un numero infinito di curve ci ritroviamo giù sulla pista asfaltata e superiamo<br />
Urubamba, e proseguiamo lungo il rio Vilcanota fino a Pisac (3000 m.) dove giungiamo<br />
che è già tardino, e non riusciamo ad andare in piazza perchè è tutto occupato dal<br />
mercato fin dopo il tramonto.<br />
Ma infine riusciamo a trovare una camera per noi, quadrupla ma sin baño, e una simple<br />
per Lino, all’Hostal familial Kinsaccocha (=le tre lagune). Molto spartano ma pulito e con un<br />
buon ambiente famigliare appunto, a una cuadra dalla piazza del mercato. E Pisac ci<br />
appare subito affascinante, e decidiamo di fermarci qui fino a venerdì 23, che bello!<br />
Ceniamo in una trattoria in piazza, Wasi Mijuna, cioè in quechua Casa dei pasti, dove<br />
vicino alla cassa c’è appesa una carolina italiana dei primi del Novecento. Di notte c’è una<br />
stellata spettacolare, con la Via Lattea evidentissima con il pulviscolo di stelle, e la croce<br />
del Sud affascinante, e poi tutte le costellazioni lì a portata di mano. Il nostro vicino<br />
tedesco è “bizzarro”.<br />
21 de avril<br />
Stamane alle sei ci alziamo, in cortile la ragazza che fa le pulizie (la figlia?) si sta lavando i<br />
capelli, e il dueño Oswaldo è impegnato a mettere legna e accendere il fuoco per il boiler<br />
di acqua calda, che comunque sarà disponibile quando oramai noi saremo usciti, la chica<br />
avrà finito di lavarsi, ecc. Il vicino è uscito. Andiamo al bar dell’hostal, che è in piazza, per<br />
fare colazione. Non c’è ancora nessuna bancarella. Interessante il fornaio, che ha i vestiti<br />
tradizionali, e sopra al grande forno una statuetta con due tori decorata da nastrini. Gli<br />
chiedo se posso prendere una foto, mi dice “sì se compri del pane”, così poi prendo due<br />
embutidos, piccoli panini con formaggio fuso e verdure dentro, che aggiungiamo alla<br />
colazione che nel frattempo è finalmente pronta. Vedo che hanno anche dei succhi di frutta<br />
confezionati, siccome non ho voglia della classica spremuta di arance che danno con il<br />
breakfast agli stranieri, e di cui Ben è un grande appassionato mattutino, chiedo di darmi<br />
un succo di pesca perchè vedo che l’etichetta dice: “nectar de frutas de durazno con<br />
kiwicha y maca”, cioè estratto di frutta di pesche-noci con... Lo assaggio e mi piace lo<br />
prenderò ancora. Dunque la kiwicha (o quihuicha), è una particolare bacca energetica, la<br />
maca è una erbetta fine verdina sbiadita che cresce solo sui quattromila metri di altitudine<br />
(loro dicono sui 40) ed ha proprietà di ricostituente cerebrale, ma anche è efficace contro i<br />
disturbi mestruali, stress, denutrizione, anemìa, e ritarda il deteriorarsi dei tessuti della<br />
pelle e altro. Fino a cinque anni fa non davano credito a queste credenze e dicerie, ora uno<br />
scienziato nordamericano l’ha studiata e nelle sue analisi e somministrazioni a cavie, ha<br />
confermato che da questi effetti benefici: ora la producono e vendono in farmacia, sia in<br />
polvere da diluire, che in compresse. Con Fujimori ha conosciuto un buon successo
l’esportazione in Giappone, e ultimamente negli USA l’hanno data agli astronauti dello<br />
shuttle per prevenire la lentezza e confusione mentale che si può provare in assenza di<br />
peso.<br />
Poi Lino ci porta col carro su sul monte sovrastante il paese, perchè là ci sono i resti della<br />
antica Pisac. Un operaio che c’è lì si mette a parlarci e allora per un po’ ci fa come da<br />
cicerone. C’è un primo fortino, Quantus Raqay, poi sull’altro versante il Tantana marca, il<br />
cimitero incaico, cioè una gran quantità di buche sul costado del colle (tombe tutte<br />
depredate da molto tempo dai huaqueros, da huaca=luogo sacro, ma anche tomba). E<br />
poi delle fonti con appoggi per le mani, per abluzioni purificatrici da fare prima di salire<br />
verso il tempio sacro dell’Intihuatana. Saliamo alla fortezza n.2, Quallaqasa, nelle stanze ci<br />
sono nicchie alle pareti, per ornacinas, dice. Poi ci sono recintos dove cucinavano cavie al<br />
forno. Agli stipiti ci sono anelli di pietra per chiudere i portoni con catene. Seguono una<br />
serie di andenes, terrazzamenti para cultivos. Ci seminavano a gradoni, a seconda<br />
dell’altitudine papas (patate), choclo (mais), quinoa o kwinoa (arbusto da granaglie),<br />
kiwicha (bacche), tarwi (che è un ciuffo rossastro peloso da cui si estrae una essenza).<br />
Dopo una scalinata sul ciglio e poi l’attraversamento di una fessura nella roccia (tunel),<br />
arriviamo dell’altra parte del costado, dove c’è il tempio con lo Intihuatana. In terra c’è<br />
anche una pietra scolpita a gradini, che in spagnolo viene denominata la croce andina, che<br />
è composta da tre gradini neri, e da un’altra metà speculare di pietra bianca che sta<br />
sottoterra. Dunque la metà emergente simboleggia l’ombra, e quella che non si può<br />
guardare, la luce. I tre gradini stanno a rappresentare: in cima il sole, che è il padre, poi la<br />
luna, la madre, e le stelle, che sono i figli. Ma questa è la tradizione del sincretismo<br />
impostosi dopo la conquista e la cristianizzazione. Originariamente simboleggiavano il<br />
puma, il serpente (amaru) e il condor, la “trinità” degli dei incaici, e l’agujero, il buco in<br />
centro, era inteso come l’ombelico del cosmo, cioè la città del Cusco, capitale di tutto il<br />
Tawuantinsuyo. Ma c’è anche un altro significato. I tre gradini ricordano il saluto che<br />
durante l’epoca incaica i nobili si facevano, e che la gente ripeteva quando si stringevano<br />
dei patti, si prendevano degli impegni, si suggellava un contratto orale, per stretta di mano<br />
come si direbbe da noi: “Mànan sua, manan quella, manan llulla” o secondo un’altra<br />
pronuncia: “Ama Sua, ama Quella, ama Llulla”, come c’era scritto su un muro a Urubamba.<br />
Motto che Lino, che è un cholo, un andino hispanizzato, e della cultura incaica non sa<br />
proprio un gran ché, sa a memoria in quechua (forse faceva parte dei detti e proverbi del<br />
folklore tramandategli da sua nonna quando era bambino). Il che significa: non rubare, non<br />
essere ozioso, non bugiardo. Certi traducono quella con parezoso, altri con flojo. Questi,<br />
dice l’operaio del sito che ci accompagna, sono i Tre Comandamenti, che si associano<br />
alla Trinità. Il puma è l’energia, il potere; il sepente la conoscenza, e l’intelligenza; il condor<br />
la pace. Questo era anche il Totem antico in cui questi animali erano raffigurati uno sopra<br />
l’altro.Visitiamo l’Intihuatana, che è, come già detto, donde van a amarrar el Sol. E’ molto<br />
ben conservato. L’operaio del sito ci dice che ci potrebbe accompagnare domani a<br />
visitare degli scavi in corso in un altro sito interessante Huchuy Qosqo (=pequeña ciudad),<br />
ma non sappiamo, non abbiamo ancora un programma preciso; dice che verrà a trovarci<br />
all’albergo così nel frattempo ci pensiamo. Intanto si avvicina un giovane che vorrebbe<br />
farci da guida a queste rovine, ma gli dico che stiamo andando via perchè abbiamo<br />
appena finito. Non demorde ma è simpatico questo pisqueño, ha 23 anni ed è mezzo<br />
brasiliano di Porto Alegre dove ha vissuto questi ultimi anni, ed ora è appena ritornato. E<br />
intanto ci dice che tutte le città dovevano essere fondate in posti e in posizioni particolari,<br />
soprattutto rispetto al sole, e dovevano avere una loro configurazione. Pisac deriva dal<br />
quechua pisàca (=perniz, pernice), e ci mostra una foto in cui si vede che dall’alto sembra<br />
che l’abitato antico abbia quella forma. Mentre camminiamo per tornare al nostro carro, ci
dice che questo percorso si chiama Amaru Punqus, cioè che passa attraverso le quatrro<br />
porte del serpente. Insomma quando arriviamo ci mettiamo a scherzare, e intanto si<br />
avvicina una ragazza con dei pantaloni moderni a strisce verticali rosse per venderci una<br />
bottiglia d’acqua, e anche lui insiste perchè la compriamo. Ma Ben preferisce prendere una<br />
spremuta di arancia da una bancarella, e io dico che l’unica cosa che forse comprerei<br />
sono i pantaloni di lei. Allora per l’equivoco possibile della cosa tutti ridiamo. In definitiva<br />
facciamo due chiacchiere e combiniamo per la sera all’Hostal Kinsaccocha, per un<br />
trueque, uno scambio commerciale. Quando noi partiremo da qui, dopo il parco di<br />
Pampas Galeras, andremo poi giù a Nazca e poi lungo la costa, per cui tutti gli abiti<br />
pesanti non mi serviranno più, e invece ho bisogno di far spazio in valigia per gli acquisti<br />
che ho fatto e che per ora sono in vari sacchettini di plastica. Per cui se la mia roba li<br />
interessa io in cambio prendo dei calzoni proprio uguali a quelli di lei. D’accordo, ci<br />
vediamo. Lui si chiama Xeno (ovvero Zeno), e lei Noemi.<br />
Questo pomeriggio andremo a vedere gli andenes circolari di Moray e le saline degli<br />
incas.<br />
Ripassiamo da Urubamba anche per cambiare in banca. Di fronte al cartello “Prohibido la<br />
venta ambulatoria” c’è un insieme di bancarelle, gente che ha messo il suo telo per terra, e<br />
proprio lì a sinistra all’incocio c’è una guardia, a destra vicino alla banca c’è della polizia...<br />
Passano alcuni tricicli a motorino che fanno da taxi, varie donne in costumi diversi, una<br />
signorina distinta con valigetta 24ore in jeans e giacchetta, contadini con pacconi legati<br />
con la corda, vari in divisa, poveracci a piedi nudi, un po’ di tutto.<br />
Qui tutti ti danno la ricevuta fiscale nei negozietti, ma poi il benzinaio o il droghiere ti<br />
cambiano i dollari (che la banca qui non è abilitata a cambiare), così senza scontrino, nulla.<br />
Giriamo e andiamo su sull’altipiano, verso il lago. Altipiano dolce, rossastro - verde - giallo,<br />
con coltivazioni e piante attorno ai villaggi. La cittadina di Maras è tutta squadrata come<br />
quando fu fondata dagli spagnoli. Tutto è rimasto com’era nel Cinque-Seicento. Quasi<br />
ogni casa ha una insegna in bassorilievo sopra il portone di ingresso, certi sono stemmi di<br />
casate, certi sono cavalieri in arme, oppure immagini di arcangeli, angioletti, o di santi.<br />
Una con una coppa con il sole, molte con JHS. Si potrebbe fare una stupenda collezione<br />
di foto solo dei portoni di Maras. Ma ora è abitata solo da contadini o pastori. Ci sono per<br />
le strade vari animali. Sullo sfondo picchi neri con ghiacciai scintillanti al sole fortissimo, e<br />
nuvole che corrono rapide. Andiamo comunque sui 60 kmh, Lino è superprudentissimo,<br />
suona sempre anche da lontano alle biciclette, animali, bambini, donne cariche, pullman di<br />
linea, camion, camionetas, auto, tricicli, corriere o pullmini fermi ai paradores (=fermate).<br />
Tutto ciò su un percorso non breve considerando che di quegli ostacoli appena detti, ne<br />
incrociamo uno per volta ogni tanto. Facciamo una sosta a Chinchero, che comunque al<br />
mercoledì è deserta, il mercato è chiuso. Giriamo un pochino, facciamo varie scale, e poi<br />
andiamo a mangiare nella “migliore” trattoria, con musica a tutto spiano. Sono canti<br />
tradizionali per le feste, di Andahuaylas e di Abancay; sembrano un po’ delle musiche tipo<br />
le nenie vietnamite, ma urlate. Prendo uno spezzatino.<br />
Al cruce c’è una casita blanca isolata che funge da paradero de buses, scendono con<br />
pacchi, pacchi. Ci sono sempre vari cochazos (= macchinacce) vecchi e scassati che<br />
fanno da autopubbliche combi e li vengono a prendere; quelli che non hanno da pagare si<br />
incamminano a piedi verso chissà dove con tutto quel carico, oppure ne lasciano una<br />
parte, che si suppone poi verranno a riprendere. Attraversiamo l’altipiano su una sterrata<br />
tra agavi, mandrie, greggi, un serpente, e dopo una discesa ripida e stretta,<br />
all’improvviso....laggiù nel barranco le saline degli incas ! tutta salgemma. E’ uno<br />
spettacolo emozionante.<br />
Torniamo per un pezzo indietro. Ci sono tori in montagna a 3200 m.! Arriviamo sino a<br />
Pulpituyoc senza che qualcuno di tutti quelli cui abbiamo chiesto la strada sapesse cosa
siano gli andenes circulares. Non ne hanno proprio idea, oppure non capiscono la parola<br />
circulares, in effetti poi ho visto che qui li chiamano concéntricos. Ma eccoli. Sono i<br />
terrazzamenti con coltivazioni, solo che sono circolari e vanno giù per 150 metri, come<br />
degli enormi imbuti ficcati nel terreno. Probabilmente così le coltivazioni erano riparate dai<br />
venti e dal freddo. Se si pensa che ogni cento metri di altitudine le temperature variano in<br />
media tra mezzo grado o due terzi di grado, hanno calcolato che la protezione dai venti e<br />
il calore del terreno fanno sì che al fondo dell’imbuto qui ci siano fino a 5 gradi di<br />
temperatura in più. Inoltre si è visto che negli andenes essendo ogni coltivazione a sè<br />
stante si riescono a selezionare meglio le sementi, e facendole passare da un gradino<br />
all’altro molto lentamente, si ottengono ottimi risultati di acclimatazione. Quelli dell’istituto<br />
nazionale di cultura ci hanno messo pure alcune coltivazioni, differenziate per gradoni, in<br />
modo da dare una idea di come poteva essere allora il loro aspetto. Il luogo è stupendo.<br />
Qui pure siamo fuori dal mondo nel silenzio totale, anche se siamo a soli 62 km dal Cusco<br />
(ma ci vuole un bel po’ di tempo per arrivarci, perchè il percorso è un po’ complicato, e la<br />
strada di terra in condizioni variabili).<br />
Ritorniamo giù verso la valle. Camionate di contadini colorati che rientrano ai loro villaggi.<br />
Magri, con la scogliosi, facce solcate dal sole e dal vento, piedi tumefatti dai geloni, con<br />
pochi denti scuri, occhi con problemi, insomma un disastro. Non si riesce a capire le<br />
persone quanti anni abbiano. Le ragazzine sono più precoci e mature, le donne di mezza<br />
età sembrano anziane, gli uomini non si sa neanche dire. “Màs salud = màs peruanos !”<br />
La casona di Yuccay è un esempio molto bello di edificio coloniale, è ben restaurata. Una<br />
camioneta scarica quintalate di zucche. In questi giorni poi tutti stendono mantas fuori<br />
casa per mettere a seccare vari tipi di semi. Sono mantas di vari colori e grandezze,<br />
anche molto belle, sparse ogni dove, tanto che a volte non è facile non andarci sopra con<br />
le gomme. Ad un piccolissimo mercatino che una qualche comunità contadina ha installato<br />
lungo la pista ci fermiamo e compero una manta tutta sul blu, e poi varie altre cose.<br />
Osserviamo anche come fanno a tessere, con i loro rocchetti e spinotti di legno, tendendo<br />
il tessuto da un piolo ficcato nel terreno. Poi invece una bambina di circa 11 anni mi<br />
implora con lo sguardo e la sua vocina di compare anche da lei, le dico che ho già<br />
comprato da quella señora, non è tua parente? no chi è qua non c’entra niente l’una con<br />
l’altra. Poverina compro una piccola cosina anche a lei, con invidia delle altre...<br />
Al rientro andiamo subito a mangiare al nostro restaurante Kinsaccocha dove la moglie di<br />
Oswaldo ci prepara un ottimo piatto di queso y papas. Le diamo della roba da lavare<br />
(magliette, mutande, calze, pigiama), che lei passa alla ragazza. Si palesa il tizio della<br />
mattina che è venuto apposta fin qua per sapere della visita di domani, ma gli diciamo di<br />
no, perchè intendiamo andare da un’altra parte, a visitare i resti della civiltà pre-incaica<br />
degli Huari (Wari). Non batte ciglio e con signorilità dice che non ha importanza di fare<br />
senz’altro come preferiamo. Stiamo per andarcene in albergo perchè è già buio e ci è<br />
cascata addosso un gran spossatezza e sonno, quando arriva trafelato Xeno in bici, e<br />
poco dopo sopraggiunge Noemi vestita tutta in blusa e calzoni jeans, con un cartoccio con<br />
i pantaloni a strisce rosse che è andata a prendere fino a Cusco da sua zia (40 +40 km in<br />
corriera). Non si può far altro che andare in camera e fare lo “scambio” ineguale che avevo<br />
promesso. Dunque faccio loro vedere vecchie T-shirts, polo, vecchi calzoni a coste, un<br />
golf slabbrato, camice di flanellina, tutte cose strausate che mi ero portato per strapazzarle<br />
e sconciarle senza nessun riguardo. Va tutto benissimo per loro, solo lei vuole<br />
assolutamente i 15$ dollari dei calzoni moderni elasticizzati presi dalla zia. La misura<br />
oltretutto non è quella giusta, ma tant’è. Facciamo lo “scambio”, loro sono evidentemente<br />
felicissimi. Ringraziano tanto e vanno via contenti riempiendo vari sacchetti di plastica che<br />
per fortuna loro, io avevo tenuto da parte.
jueves 22 de avril<br />
Ci alziamo, troviamo che il cortile e il terrazzo dell’Hostal sono attraversati da una corda<br />
con tutta la nostra biancheria intima stesa ad asciugare. Le ragazze inglesi arrivate ieri<br />
sera sono già andate, Oswaldo sta accendendo il fuoco della caldaia, il nostro vicino<br />
tedesco, che a questo punto è l’unico altro inquilino, già impazza con le sue stranezze.<br />
Fuori in piazza stanno arrivando con i loro carretti e stanno montando le bancarelle, oggi è<br />
giovedì, giorno in cui arrivano i pullman dei tours, e il mercato è più grande, e tutti si<br />
stanno preparando a fare grandi vendite e affari. Prima che i tours intruppati arrivino e<br />
ripartano come turbini, ci converrebbe guardare se c’è qualcosa di interessante. Per cui<br />
gironzoliamo tra le bancarelle in costruzione. Infine facciamo la salita della strada che<br />
fiancheggia la chiesa e entriamo in un negozietto dietro ai banchi in allestimento. Sono<br />
attratto dal fatto che ha cose diverse dai mille golfini o tappetini colorati, ho intravisto degli<br />
acquarelli, e delle pitture a olio, o a tempera, che riproducono abbastanza bene quadri di<br />
stile naif di epoca coloniale. E’ un produttore artigiano di ceramiche e di riproduzioni di<br />
pitture, Hipolito. Simpatico, parla, ci porta nel retro dove c’è casa sua, con patio, giardino,<br />
orto, piccola coltivazione di choqlo, alberi di pere, tomates picantes, pimienta, peperoni,<br />
peperoncini... Ci spiega tante cose perchè è un appassionato di antropologia. Insiste<br />
molto che vuol vendermi a un prezzo irrisorio (5$) un vecchio watana, che è un insieme di<br />
nastrini di varia trama, varia provenienza, vari decori geometrici, vari accostamenti di<br />
colori, che serviva come catalogo di tessuti da mostrare nei mercati per combinare affari e<br />
commesse. I numerosi nastrini che formano come un grappolo, un ciuffo, sono tutti<br />
intessuti assieme, cioè non ci sono cuciture nè giunture, e questa già è una dimostrazione<br />
di capacità tecniche notevole. Ricorda un po’ i tokapu, tessuti con varie decorazioni, che<br />
avevano un loro significato, e un po’ i quipù, nastrini pendenti con nodini, che servivano da<br />
promemoria per messaggi. Poi mi mostra un altro oggetto tradizionale, una chuspa, che è<br />
una borsettina dove si metteva la coca da portarsi con sè, con uno speciale taschino, llifta,<br />
dove si metteva la calce di quinoa con kiwicha in cenere per insaporire. Poi mi mostra un<br />
chumpi de cabeza, un nastrino per la fronte, decorato, che le donne incinte si mettevano al<br />
momento del parto per propiziare un buon esito. E un particolare sasso bianco liscio<br />
sagomato con su dei disegni e con varie punte, queste, da una a otto, rappresentano le<br />
montagne, e la pietra, apùs, si mette in un campo da coltivare (chaqra )per propiziare<br />
buona fertilità, ma la somma delle “montagne” deve sempre essere otto, per cui si può<br />
suddividere in più pietre da sotterrare in più postazioni, purchè non otto da una “punta”. E’<br />
importante per quei campi nei quali coltivano assieme varietà differenti ad es. di patate o<br />
di mais. Discorso simile per il taqli, una pietra a forma di choqlo, di pannocchia di mais,<br />
ma con tre hijos, “figli”, tre piccole pannocchiette attaccate dalle tre parti al “padre” (con<br />
abbozzato un volto). Poi mi dice che la cosiddetta “croce” andina non ha senso chiamarla<br />
così, perchè non è una croce, ma molto evidentemente una scala con tre gradini, e si<br />
chiama chaqàna, e i tre gradini speculari si chiamano nazpacha, quepacha, e ukupacha.<br />
Ma sul libro poi troverò altre denominazioni: kaypacha (=quepacha ?) per il mondo in cui<br />
stiamo e da cui è possibile trascendere, ukupacha per il mondo interiore, o mondo<br />
sotterraneo, o mondo interno, che conosciamo nei sogni, in cui andremo con la morte, e<br />
hanan pacha, per il mondo trascendente, il mondo cosmico fuori dal tempo, il mondo della<br />
divinità. E inoltre Hipolito parla del totem de los Tres Dioses, e poi dice che Wirakocha è<br />
anche dio della medicina e dunque dei chamanes, eccetera, e varie altre cose, preso da<br />
una furia ininterrotta di notizie che ritiene importanti da conoscere per capire la civiltà<br />
incaica e la cultura popolare quechua. Entusiasmo comunicativo, dovuto al fatto che da<br />
giovane era stato in Italia con una delegazione della camera del commercio, e da allora ha<br />
sempre nutrito una speciale simpatia per il nostro paese e per tutti gli italiani. Arriva suo
figlio omonimo che studia da odontotecnico, ma è anche appassionato di musiche<br />
tradizionali andine, specie quelle melanconiche perchè gli pare che siano tanto mistiche.<br />
Fa ascoltare a Ben vari dischi rari e musiche che sarebbero una ricostruzione di quelle più<br />
antiche incaiche. Compro il vecchio watana, un quadretto che riproduce un arcangelo<br />
Michele squiopetero, con un archibugio, dipinto coloniale dei primi del Seicento, e un<br />
bell’acquarello di una vecchia curandera, o piuttosto di una bruja, cioè di una strega.<br />
Hipolito dice che è la sua nonna morta a più di novant’anni d’età, molto stimata e richiesta<br />
in paese per i suoi intrugli curativi. Infine ci racconta che il cura, il curato, o parroco della<br />
chiesa è un ladro, perchè c’è sempre stata una corona d’oro con pietre dure sul capo del<br />
Cristo crocefisso che sta sopra l’altare, e un giorno non c’era più. Quindi o è colpa sua<br />
perchè non ha chiuso la chiesa (non c’è stata effrazione, e solo lui ha le chiavi), o è stato<br />
lui, o è stato uno dei suoi figli che non si sa bene quali siano...<br />
Usciamo. Giro ancora un po’ e anche dentro al cortile del fornaio ci sono bancarelle;<br />
proprio lì vedo un armadillo imbalsamato, poverino...<br />
Ci mettiamo in movimento per andare al sito dei Wari . Per le indicazioni stradali ti dicono<br />
vai lì, è là, più in giù, si sale, è qui vicino, uno ti dice è a 20 minuti da qua, l’altro dopo un<br />
quarto d’ora dice è a 20 minuti da qua,<br />
o gira più avanti. Indicazioni generiche di questo tipo.<br />
Eccoci comunque a Piquillakta, piki in quechua sarebbe un piccolo insetto, una specie di<br />
pulga, di zecca. Comunque non si sa cosa volesse significare il nome, a tre lo abbiamo<br />
chiesto e tre risposte diverse abbiamo avuto. E’ un grande centro palaziale contornato da<br />
mura alte e lunghissime, con case e palazzi in muratura, con il pavimento in gesso. E’ una<br />
città con strade, piazze, corridoi, camminamenti lunghissimi. Le mura includono un<br />
territorio molto più vasto della parte edificata in muratura, o palaziale. Piquillakta sarebbe<br />
circa del 1300 avanti Cristo. Al museino l’unica cosa interessante, oltre a qualche attrezzo<br />
in pietra per la lavorazione del mais, è uno scheletro perfetto di Glyptodonte, un armadillo<br />
gigante dell’epoca dei dinosauri. Poco più in là lungo la strada nazionale, dove si apre una<br />
vallata che scende, la chiude una doppia “porta” immensa di grandi massi incastrati a<br />
formare un muraglione (kallankas)possente, alto 12 metri. Ci sono gradini in pietra per<br />
salire in cima, e lungo le pareti di entrata verso Piquillakta vari bugni dei “soliti” per pregare<br />
(?), ma a varie altezze, anche molto in alto lungo il muro perfettamente lisciato.<br />
Congetturiamo che fossero invece sporgenze su cui far presa per sollevare i massi.<br />
Negli angoli la pietra appoggiata sul terreno è angolare, mentre le successive sono<br />
alternate. Sembra che queste mura di sbarramento fossero state costruite prima dei Wari<br />
e da questi utilizzate, per esser poi<br />
perfezionate dagli incas. Entrando dalla valle verso la città, ci sono poi due fontane per<br />
abluzioni, anch’esse con pareti in gesso. Si prosegue lungo un muro con bugni e<br />
pavimentazione che forse giungeva alla strada lastricata della città; anche lì dopo l’uscita la<br />
strada era protetta da due muri a formare un lungo camminamento. Dunque centro<br />
palaziale, templare e militare. Con un’area intorno agricola (andenes), e in fondo un lago<br />
ricco di trote, Laguna Huacarpay. E’ stato un archeologo nordamericano, Gordon<br />
Macwan, a valorizzare questi resti e a studiarli in modo sistematico nella seconda metà<br />
degli aa ‘80; dopodichè tutto è rimasto tal quale. Anche qui comunque non c’è una guidina,<br />
un opuscolo, dépliant, fogliettino ciclostilato, nulla, solo la tizia che vende il bolleto, e il<br />
museino col glyptodonte. Proseguiamo verso Tipòn. Ci sono varie trattoriette<br />
specializzate tutte nel cuy al horno (Cuyeria), il cuy è una sorta di cavia o porcellino d’india<br />
grande come un coniglietto. L’indicazione, come per molti siti archeologici, è in calcina<br />
colorata in blu, per cui la scritta dopo qualche pioggia si lava, la calcina col tempo si<br />
sbreccia....e le persone del luogo non sanno e/o non sanno spiegare. Perchè anche qui<br />
nonostante il passare degli anni e l’aumento del turismo, e un minimo sviluppo, non sono
cambiate altro che le scritte delle magliette dei giovani. Si sale con molte curve per una<br />
strada ripida di terra che attraversa un paesino di contadini, e poi si arriva. Comunque<br />
sembra che questo sito, detto Tipòn, debba il nome alla spagnolizzazione del termine<br />
quechua Timpoq =bollire, perchè le fontane che cascano da un terrazzamento all’altro,<br />
provengono da una sorgente in cui l’acqua bolle per effetto della pressione. C’è anche un<br />
Intiwatana e una bella costruzione circolare con incastri perfetti in pietra.<br />
Rientriamo perchè sono già le 18. Manovrare con l’auto non è semplicissimo perchè<br />
rientrano anche vacche, tori, ovejas, asini, capre, cavalli, ciascuno in mandrie o greggi<br />
compatte. Dietro arrivano le donne con i loro bimbi sulla schiena che dormono con la testa<br />
balzellante. Dalla bella chiesetta del paesino esce dall’altoparlante sul campanile una nenia<br />
melanconica a volume sommesso. La cittadina di Oropesa la vediamo un po’ da lontano,<br />
ma dev’essere una bella cittadina coloniale, tutta a cuadras, tipo un cuartél, uno<br />
stanziamento militare.<br />
Arriviamo a cenare che è proprio buio, il bar è pieno, c’è anche Hugo, e vari altri che<br />
parlottano mescolando spagnolo e quechua. Hugo nel pomeriggio mi aveva incontrato per<br />
strada, lui stava cercando sua figlia minore, e mi aveva intrattenuto <strong>sulle</strong> difficoltà<br />
economiche delle aree andine. Hanno messo su delle cassette con musiche anni ‘50 e ‘60<br />
tipo Feeling, Michelle, messicane, disneyane, ohbladee-ohbladah...(mi fa venire in mente<br />
wacchi-wari-wari- wa). La gente stasera tira in lungo a chiacchierare, sono già le 8,20 ! e di<br />
solito alle sette è tutto chiuso e deserto, noi siamo sempre gli unici, e gli ultimi, ma oggi si<br />
vede che hanno preso soldi, e li spendono in un po’ di cerveza facendo due chiacchiere al<br />
bar. Intanto io ho deciso che non berrò più il succo di pesche con kiwicha. Usciamo. Ci<br />
saluta molto calorosamente Hugo, dicendo che ci ricorderà alla PachaMama. Grazie. Solo<br />
ora che è tutto sgombro ci accorgiamo che in mezzo alla piazza c’è il monumento<br />
all’ultimo cacicco indio (cacique) di Pisac, Tambohuacso, che aderì all’epoca alla famosa<br />
“Proclamazione di Libertà” di Tùpac Amaru II° di stirpe imperiale, autoproclamatosi Inca<br />
del Perù, resa pubblica nel novembre 1780 e che infiammò il Paese con una insurrezione<br />
fortissima poi stroncata coi mezzi più drastici in un bagno di sangue (l’Inca fu trascinato<br />
per un piede da un cavallo per le vie di Cuzco, e poi squartato in piazza da quattro cavalli<br />
da tiro). Dopo quella delle colonie inglesi del nord, di pochi anni precedente, questa è la<br />
seconda dichiarazione dei diritti umani nella storia delle Americhe (e comunque la prima<br />
nei cosiddetti paesi latino-americani del centro e del sud America). Anche il cacicco<br />
quechua locale fu impiccato al campanile della chiesa, e il monumento attuale è stato<br />
eretto per iniziativa del comitato per il Bicentenario della Ribellione Emancipadora. Magra<br />
consolazione postuma, ma che sta a significare che a partire dal 1975 è iniziato un<br />
processo irreversibile di risveglio e di riconquista della dignità e di riappropiazione della<br />
propria storia e della propria identità culturale da parte dei popoli andini.<br />
- - - - - - - - (intermezzo 2)- - - - - - - -<br />
-<br />
Elegia al poderoso Inca Atahualpa<br />
(l’ultimo sovrano, fatto prigioniero e ucciso con l’inganno, dai conquistadores nel 1533)<br />
“Che arcobaleno è mai questo arcobaleno nero<br />
che si innalza?<br />
Per i nemici del Cuzco un’orribile saetta<br />
minacciosa.<br />
Per ogni dove una grandine sinistra<br />
picchia.
Il mio cuore ne aveva presentimento<br />
ad ogni istante,<br />
persino nei miei sogni, assalendomi<br />
nel letargo,<br />
la mosca azzurra annunciatrice di morte;<br />
dolore infinito.<br />
Il Sole si fa giallo, si fa notte,<br />
misteriosamente;<br />
si spegne Atahualpa, il suo cadavere<br />
e il suo nome;<br />
la morte dell’Inca riduce<br />
il tempo a un batter di ciglia.<br />
(...)<br />
Si è raggelato ormai il gran cuore<br />
di Atahualpa,<br />
dal pianto degli uomini dei Quattro punti cardinali<br />
sommerso.<br />
Le nubi dei cieli si son fermate<br />
oscurandosi;<br />
la Madre Luna, affranta, col viso malato,<br />
rimpicciolisce.<br />
E tutto e tutti si nascondono, spariscono,<br />
soffrendo.<br />
(...)<br />
Geme, soffre, si muove, vola come impazzita<br />
l’anima tua, colomba amata;<br />
delirante, delirante piange, soffre<br />
il tuo amaro cuore.<br />
Col martirio della separazione infinita<br />
il cuore si spezza.<br />
Il limpido, rifulgente aureo trono,<br />
la tua culla;<br />
i vasi d’oro, tutto,<br />
si sono tra loro spartiti.<br />
Sotto estraneo dominio, accumulando tormenti,<br />
e distrutti,<br />
perplessi, sperduti, negata la memoria,<br />
soli;<br />
morta la stessa ombra protettiva,<br />
piangiamo, e non sappiamo a chi o dove rivolgerci,<br />
stiamo delirando.<br />
Sopporterà il tuo cuore,<br />
oh Inca,<br />
questa nostra errabonda vita<br />
dispersa,<br />
da pericoli incalcolabili accerchiata,<br />
in mano di altri,<br />
calpestata?
Apri<br />
i tuoi occhi che come avventurose saette ferivano;<br />
le tue magnanime mani<br />
protendile;<br />
e dandoci forza con questa visione<br />
dicci addio.”<br />
Canto anonimo tramandato oralmente. Testo qui ripreso dalla traduzione in spagnolo di<br />
J.M. Arguedas, Canto Kuechua, Lima, 1938, che lo ripropose all’attenzione del pubblico<br />
moderno.<br />
- - - - - - - - -(fine intermezzo )<br />
-<br />
Stiamo per andarcene, che compare sulla piazza il bombo, che è il banditore di notizie,<br />
previo tamburo e suono col conchiglione spondylus ! Gira per le stradine urlando che<br />
domani sera alle 19 inizierà la processione della Vergine del Carmine, e lo dice sia in<br />
spagnolo che in quechua, e nel secondo comunicato, che non capiamo ovviamente, è<br />
interessante il fatto che la chiama Mamanchi. La grande croce in pietra a lato della chiesa,<br />
ora ha i soliti paramenti a drappeggio che avevamo visto in altre occasioni, è come<br />
rivestita con un abito talare. Di solito hanno fiorellini, nastrini, oppure una lunga “sciarpa”<br />
girata attorno in modo che sembra proprio un vestito, e la croce pare una figura umana a<br />
braccia larghe.<br />
Nella piazza, come ho già accennato, ci sono due grandi alberoni Pisonay secolari,<br />
stupendi e venerabili nella loro vetustà; uno è cavo, e sembra un po’ l’albero delle<br />
streghe...<br />
Belle queste serate a Pisac, come lo erano quelle a Ollantaytambo, con l’ambiente<br />
paesano, le osterie, quelli un po’ alticci per le bevute o “fatti” da troppa coca, gli ultimi che<br />
ormai nel buio smontano le loro bancarelle con i legni dalle tre parti per fare delle pareti<br />
con appesi tappeti o abiti, gli Abarrotes aperti, i bar con la trasmissione della partita, quelli<br />
che rosolano pannocchie, quello con il suo triciclo-baracchino che vende bibite con maca,<br />
le stupefacenti stellate con la Via Lattea e la Croce del Sud, o, prima, con la falce di Luna<br />
con la stella accanto, il buio, il silenzio totale, gli animali... Il selciato di sassetti tondi<br />
sporgenti della piazza e delle strade, è scomodissimo, in mezzo ci sono gli scoli per<br />
l’acqua (dove un bimbo mette inavvertitamente dentro storto il piede), che si incrociano<br />
con una piattofor-ma centrale a rombo. Ma ora yà basta, è sufficiente: A dormire!<br />
viernes 23<br />
Al risveglio un po’ prima delle sei, c’è il tedesco della stanza accanto, che ci aspetta<br />
silenzioso al varco e gioca a fotografarci all’uscita dalla porta della camera per andare al<br />
bagno, tutti allucinati, conciati, e se la ride da matti. Ritrae anche Lino da vicinissimo, me<br />
da dietro, Ben con la schiuma da barba, e si diverte un mondo e ride. E’ fatto cotto. Mi<br />
dice in inglese con voce sbiascicata e strana pronuncia (e lo capisco !?)che ha compiuto<br />
ieri 45 anni. Proprio ieri avevo un po’ sentito una discussione con Oswaldo, credo che<br />
fosse già da un pezzo che non pagava per la stanza. Come regalo di buon compleanno gli<br />
do la scatola di tonno che mi era rimasta, e la forma di formaggio che avevo preso al<br />
mercato. Si mette a mangiare subito.<br />
Mi torna in mente della chiacchierata fatta ieri con una ragazza, tipo gli hippies di una<br />
volta, che aveva steso col suo compagno un telo per terra e aveva esposto i braccialettini<br />
e le collanine fatte da loro, che i gruppi di turisti, che pur scendevano proprio lì dai pullman,<br />
non hanno assolutamente degnato di considerazione. E’ una bella e simpatica argentina di<br />
Buenos Aires di 23 anni (come mia figlia!), che è via da casa da un anno e mezzo, perchè
non ne poteva più della grande città, e così si fa tutto il Sud- America da sud a nord. Non<br />
commento nulla, non sono in grado di esprimere un parere al riguardo, solo mi viene in<br />
mente per ulteriore associazione la figlia di una amica parigina, Janine (brillantemente<br />
laureata, se ne andò a vivere in un villaggio della provincia di Lione per rifiutare così la<br />
megalopoli, e stare con il suo ragazzo che faceva là l’elettricista). Dunque sua figlia,<br />
Virginie, bravissima al Liceo, se ne è andata di casa per fare la clochard, la barbona,<br />
assieme al suo ragazzo, e ha vissuto per due anni vivendo in strada con vari cani, e<br />
dormendo sotto i ponti. Ora è tornata a casa, ma non riesce più a adattarsi alla vita in una<br />
casa “borghese” e dunque abita in una roulotte che hanno messo in giardino, e “fa la<br />
scultrice”. Il tutto ovviamente costituisce la disperazione di sua madre Janine.<br />
Ma torniamo a Pisac. Ho dimenticato di dire che proprio mentre stavo mangiando un lomo<br />
saltado di maiale (=lombata) troppo abbondante, seduto ad un tavolino all’aperto in piazza<br />
e chiacchieravo con l’argentina per terra lì vicino, vedo un auto che lentamente cerca di<br />
farsi largo verso la piazza gremita, da cui sporge dal finestrino uno che urla “Carlo!”. E’<br />
Xeno (anche lui ha 23 anni) in una vecchia macchina con amici musicisti/cantanti che<br />
stanno andando a suonare in un festeggiamento non so dove, e ha voluto passare dalla<br />
piazza per salutarmi. Aveva indosso la mia maglietta con le maniche lunghe un po’<br />
pesantina, che evidentemente gli è piaciuta tanto (è diversa da quelle che si vedono qua)<br />
da sfoggiarla in questa occasione. Gli sono andato incontro e, visto che l’auto ci metterà<br />
veramente un bel po’ a riuscire a fendere la folla del mercato e dei turisti intruppati, l’ho<br />
invitato a sedersi al mio posto e finire il mio piatto. L’ha divorato e poi ringraziando e<br />
salutando è risalito nell’auto che era già andata oltre verso l’uscita dalla piazza-mercato, e<br />
se ne è andato senza che facessi in tempo a dirgli che partivamo stamattina. Così non ho<br />
il suo indirizzo.<br />
Paghiamo per la lavanderia otto soles (=2€), e salutiamo. Cordiali saluti da Oswaldo e<br />
dalla moglie, e dalle due ragazze. Uscendo da Pisac (ciao Pisac sono stato bene da te e<br />
con i tuoi abitanti, hasta la proxima vez!) vedo il macellaio con i grossi pezzi di carne<br />
appoggiati per terra sulla porta. Imbocchiamo la strada asfaltata verso Cusco, che sin’ora<br />
non avevamo ancora fatto.<br />
Eccomi di nuovo a osservare un paese e un popolo dal finestrino. Le donne-canguro con i<br />
loro figli nel marsupio dorsale, sembrano a volte un po’ dei doppi: ti guardano con due<br />
teste, quattro occhi....<br />
Coltivano proprio ovunque, anche su ripide coste scoscese, si vede che quella famiglia o<br />
quella comunità campesina il suo campicello ce l’ha proprio laggiù, isolato, tutto in<br />
pendenza (a volte coltivano <strong>sulle</strong> cime dei colli). Gli spagnoli con l’introduzione del<br />
latifondo nel periodo coloniale hanno mandato in rovina il sistema degli andenes,<br />
abbandonati in gran parte, questi terrazzamenti che rigavano praticamente tutte le <strong>Ande</strong>,<br />
sono andati in malora. E’ successo che col tempo i sassi sono rotolati, i muretti sgretolati,<br />
le erbacce si sono diffuse eccetera, e così hanno distrutto il lavoro accumulato di secoli e<br />
secoli, e questa civiltà materiale è andata perduta (oltretutto ci fu anche una concomitante<br />
drastica diminuzione della popolazione).<br />
Oggi visiteremo alcuni posti famosi, dato che il viaggio è breve e la pista asfaltata è<br />
buona, speriamo di arrivare in tempo prima dei tours dei pullman. Vediamo Tambo<br />
Machay (3700 m.) che era una località di ristoro per la nobiltà incaica, con fontane d’acqua<br />
calda e fredda, chiamata anche Quinua Puquio (=la sorgente di quinua). Poi la vicina<br />
Fortezza Rossiccia =Puka Pukara, sorta di dazio o dogana per l’ingresso di merci e<br />
persone alla città del Cuzco. Quindi diamo un colpo d’occhio a Saqsày wamàn dall’alto, si<br />
vede al di là la valle del Cuzco, e la Cordigliera. Ma qui ci verremo dopo, adesso già che è<br />
ancora buon’ora andiamo subito alla misteriosa Q’enqo (=fessure), antichissima, tutta<br />
scavata nelle viscere della roccia, che va dunque visitata con calma, senza rumori o vocii,
e siamo fortunati, non c’è nessuno, solo dopo arriverà un piccolo gruppettino di donne<br />
americane assai rispettose e discrete, e con loro come guida quello stesso uomo<br />
bravissimo che avevo ascoltato a Ollantaytambo. Gli faccio i complimenti, mi da il suo<br />
biglietto da visita (Jorge Luìs Delgado)e si intrattiene un po’ con me, e mi dice che questo<br />
luogo mistico è consacrato alla PachaMama, la Grande Madre Terra. Lei è il corpo fisico,<br />
lei dunque ha memoria di tutto, noi siamo tutti suoi figli e viviamo tra altri figli animali,<br />
vegetali, minerali. Nel nostro piccolo individuale anche il nostro corpo conserva memoria<br />
di tutta la nostra vita, la nostra storia, la nostra vicenda, senza errori; la mente ne può<br />
compiere, perchè cerca risposte alle sue ansie, alle paure, alle incertezze, e si crea un<br />
proprio mondo con i suoi figli. Ma il corpo no, è sempre sincero e veritiero nella sua<br />
memoria. E se è adeguatamente addestrato il rapporto diretto con la Grande Madre, allora<br />
con l’aiuto della luce e dell’aria, possiamo raggiungere la pura consapevolezza dell’insieme<br />
di cui siamo parte. Questa la spiritualità di chi ha costruito questo luogo, ed è un luogo<br />
pieno di energia, che è dentro queste grandi pietre, queste rocce, questa montagna. Ora si<br />
scusa ma deve andare, la sua è una agenzia di Puno, “Kontiki” el dios viajero, ecological -<br />
cultural tours. Sotto i monoliti da tonnellate, dentro alla roccia, là c’è il percorso iniziatico e<br />
si passa a lato della fossa dei serpenti al lume delle torce. Ma è lassù all’aperto, nell’area<br />
sacra ad anfiteatro, dove c’è pure l “orologio solare”, tutt’attorno al grande monolite<br />
verticale di 9 metri (detto il rospo), che si vedrà come esso conservava in sè la<br />
conoscenza del tutto; la luce del solstizio al suo sorgere farà proiettare sull’immensa<br />
parete che fa da fondale, le sue ombre mutevoli che raccontano, come lo sciamano, o il<br />
sacerdote, esporrà, le storie mitologiche del cosmo, delle stelle, del sole, della luna, della<br />
terra, ... Tutti seduti attorno vedranno la sacra rappresentazione delle ombre quando dalla<br />
caverna oscura saremo usciti alla luce e alla visione del suo doppio, l’ombra. Luogo<br />
favoloso, ancestrale questa mistica Q’enqo. Nel boschetto attorno ci sono llamas, e cavalli<br />
che corrono. Terra-pietra, acqua che scorre giù per i canaletti a zig-zag, luce-sole, aria e<br />
vento con le loro voci che bisogna saper ascoltare.<br />
Poi andiamo alla classica visita di Saqsày wamàn (o Sacsayhuaman =”testa<br />
inghirlandata”, o ondulata, della città di Cusco), dove ci sono mura ciclopiche di massi<br />
inamovibili, incastrati perfettamente, di 45 tonnellate e più. Di quelli alti e grandi al suolo<br />
che fanno da bastioni per le parti sporgenti, alcuni pesano fino a 360 t. Era una<br />
grandissima fortezza. Qui il 24 di giugno si celebra l’ Inti Raymi, la grande Festa del Sole,<br />
nella spianata davanti alle mura. Ma quel giorno è anche stato proclamato El Dìa del Indio.<br />
Si tengono grandi ricostruzioni di massa in costumi antichi. Ci sono tre fila di mura, e su in<br />
cima al colle c’è sul terreno un grande cerchio con cerchi concentrici e raggi in muratura,<br />
che rappresenta il cosmo coi suoi quattro cantoni, quattro direzioni, o ròtte (rumbos), che<br />
è il basamento di una distrutta torre rotonda. Dall’altra parte della spianata c’è una<br />
costruzione con una scalinata ripida in mezzo, e dietro c’è un grande anfiteatro ovale con<br />
gradinate. (una ragazza francese con le stampelle, cocciuta e forte, affronta da sola, e si<br />
fa in salita, tutta la scalinata. Le dico che si è conquistata la medaglia olimpica in quella<br />
specialità...).<br />
Dietro, non sono facilissimi da indentificare, ma si aprono dei tunnel nella roccia, come<br />
quello di Pisac e quello di Q’enqo, ma lunghi e a labirinto, con vari “lavacri”, troni, e croci<br />
andine, o chaqàna. Qui dunque c’era il Labirinto del Mondo (di cui quello da noi famoso è<br />
quello dei minoici, con prova iniziatica per il giovane eroe che deve affrontare l’uomo-<br />
mostro taurocefalo, Signore dell’oscurità, senza conoscere la via di fuga).<br />
Stiamo per andarcene, e c’è una che vuole 1 sol per farsi fotografare... le diciamo che<br />
purtroppo non avevamo soldi con noi, ma continuava a chiedere, Ben le fa vedere che<br />
proprio di soldi non ne aveva, ma lei continuava a chiedere, anch’io allora ho addirittura<br />
rovesciato le tasche, ma lei continuava a chiedere, Ben ha trovato in fondo a un piccolo
taschino 20 centesimi di sol, lei li ha presi ma ha comunque continuato a chiedere un sol<br />
per farsi fotografare. Mi ricorda quella alle rovine di Pisac antica, le ho anche detto a un<br />
certo punto che proprio “tiene cabeza dura Usted!”, ma lei continuava a chiedere, allora<br />
Xeno e Noemi glielo hanno detto in quechua, ma lei ha continuato a chiedere “amiiigo,<br />
dame un sol !”.<br />
Scendiamo al Cusco. Ammiriamo da fuori il Qorikancha che è incastonato nella chiesaconvento<br />
dei domenicani, e poi andiamo alla pietra dai dodici angoli che è nel basamento<br />
di un palazzo. Qui un montanaro mi vende un collare e una collana fatti con la corda,<br />
discuto il prezzo che è proprio un po’ troppo altino (20 soles), ma con tono mite mi dice: a<br />
parte quello che compri, ho proprio bisogno di questi soldi, dammeli per favore. Va bene,<br />
tieni, buena suerte. Comperiamo poi in una bella e moderna pasticceria tre appetitose<br />
brioches e tre bei pani (2 soles =50 €urocents). In centro incappiamo in una<br />
manifestazione di medici e infermieri che protestano perchè la vaccinazione antivaiolosa<br />
costa troppo cara per un povero, chiedono che sia gratuita. Quindi andiamo a pranzare in<br />
perfieria in un buco schifosetto, menu con sopa e lomo (microscopico)con puré di patate,<br />
un €uro in tre! ma Beniamino non mangia proprio niente, per fortuna abbiamo i panini e le<br />
brioches e ancora qualche quadretto di cioccolato che si mangia in auto. Ci sono lungo la<br />
strada Chicharronerias, il chicharròn è un piatto con pezzettini di maiale, o di pollo, in un<br />
sughetto, con riso e patate lesse. Comunque in un paesino appena fuori città, ci fermiamo<br />
a comprare in un negozietto un casco di undici bananitas chiquitas, 1 Sol ! Via verso<br />
Abancay, sono 200 km asfaltati; là ci fermeremo a dormire e poi domattina ci aspetta un<br />
magnifico lungo viaggio di nuovo su per la cordigliera sugli altipiani per andare al nostro<br />
prossimo obiettivo: vedere il grande Parco Naturale di Pampas Galeras.<br />
Ripassiamo da Hurawasi, o Curahuasi (huasi= casa), capitale mondiale dell’ anìs , e del<br />
finocchio e della liquerizia e della linasa, quest’ultima fa bene ai riñones e al higado<br />
(=fegato). Vendono anche un miele all’anisette che è buonissimo. Ricetta per la linasa: far<br />
bollire un litro d’acqua e poi versarci due cucchiaini, al gusto, e fare una tisana, filtrare e<br />
servire col miele, si può bere caldo o freddo. In certe zone con bei fiumi o torrenti ricchi di<br />
truchas (=trote), o altro pesce, ci sono le Cebicherias cioè posti dove servono il pesce<br />
fresco crudo, “cotto” solo nel limone e sale (en cebiche). Di nuovo ogni tanto si vedono<br />
certi animali selvatici; all’andata, proprio <strong>sulle</strong> alture tra Ayacucho e Andahuaylas avevamo<br />
incontrato una bella volpe grossa (el zorro) con la codona fulva.<br />
Ad Abancay scegliamo un buon albergo. L’ Hotel de Turistas, vecchiotto, lo stanno<br />
ridipingendo, ma ha un ambiente primi anni sessanta. Nonostante ciò, l’acqua calda non<br />
viene, poi viene bollente, la finestra non si chiude, eccetera; però le chicas sciocchine de<br />
la reception fanno tutta la scena, e poi tra loro pensano solo a ridere. Ad es ti dicono al<br />
citofono: salgo subito io stessa ad aprirle la manopola dell’acqua calda; l’aspettiamo, ma<br />
non si è mai vista. Il gestore è molto ossequioso e sfodera due paroline in italiano. Ci<br />
offrono due Pisco Sour, ma siamo a stomaco vuoto e stanchi, così quando nel giardino<br />
dove ci siamo seduti e abbiamo chiesto un mate de coca e il cameriere ci dice prima di<br />
andare “permisito”, mi fa scoppiare dal ridere.<br />
Ci intratteniamo al bar con il barman (non sappiamo che fare d’altro) che ci mostra vini e<br />
alcoholici di qui: Caña Miel (grappa di canna da zucchero con miele di canna cioè<br />
melassa), Hidromiel, Crema de Menta, Cañazo, Anìs. Poi ci parla della tradiciòn<br />
Apurimeña (della zona del rio Apurìmac), e ci fa ascoltare delle canzoni. Brava la cantante<br />
Nancy Manchego di Abancay (ballate tradizionali). Di Roxana Gutierrez di Andahwaylas,<br />
che ha una bellissima voce, mi piace una canzone in quechua Chullalla Sarachamanta,<br />
dedicata a quelli che si stanno innamorando, e che mangiano già dalla stessa (chullalla<br />
=una sola) pannocchia (=sarachamanta); quando poi non saranno più così innamorati,
mangeranno da pannocchie proprie, o con chi le condivideranno ? Un’altra canzone di cui<br />
ho chiesto spiegazioni è Chaska Lucero: dedicata a una luminosa stella (Venere?)che<br />
sorge alle quattro, e lui dice: quando vieni io vado, cioè aspetto che sorgi per partire,<br />
poichè non avendo l’orologio ci si regola <strong>sulle</strong> stelle per sapere quando mettersi in viaggio,<br />
sapendo il tempo del percorso. Un cantante uomo è Luìs Ayvar Alfaro, della Sierra, mi è<br />
piaciuta Yanañawi : canzone dedicata a las mujeres que sacan la vuelta, alle donne che<br />
stanno anche con un altro. Dice lui: sì percepisco che il cuore è con me, ma anche che il<br />
pensiero va all’altro... Poi c’è una canzone dedicata a las lunarejas, a quelle ragazze che si<br />
mettono per vezzo un piccolo neo finto (detto Luna nera). Poi mi piace il CD di canti<br />
folkloristici, di quelli che si cantano durante le fiestas, che avevo già sentito a Chinchero.<br />
Sono copie, ne prendo cinque, me li vende a un €uro e venti l’uno. Poi lui ne comprerà<br />
un’altra copia; li ordina a Lima e entro un paio di settimane gli arrivano. Usciamo, nella<br />
botica “San Carlo” compro 20 pastillas de maca andina per dieci soles (chissà cosa<br />
penserò dopo un ciclo di questo stimolatore cerebrale...!). Giriamo un po’ per la città, ma<br />
che squallore. A cena finalmente mangio pasta fresca (= avogado appena còlto) con uova<br />
sode, maionese, papas lesse, piselli e carotine. Poi pollo all’arancia con pezzetti di frutta<br />
tropicale.<br />
sàbado 24 de abril<br />
Al mattino presto si parte. Paghiamo per la doppia con bagno, colazione e cena, e<br />
rimessa dell’auto, 50€. Paghiamo poi anche per Lino, che è andato nel vicino Hotel<br />
Imperial a due stelle (35 soles), e a cena al restaurant “Diomar” (5 soles), totale dieci €uro.<br />
Intanto che si va, Lino ci dice come si fa il chicharròn con il chancho, ma ora già non lo<br />
ricordo più... Bisogna stare attenti alla diversiòn (=bivio) vicino al ponte. Zona inestable.<br />
Peligro. Desminuia su velocidad. E’ tutto così, il fondo stradale cede, si inclina... Chontay,<br />
Lucuchanga, tutto giù, in fondo valle. Accopampa, agavi, cactus vari, eucalipti di tipi<br />
differenti, Itucunga, Puerto Banano, Yacca, canneti, palme. Bisogna prestare costante<br />
attenzione alla strada e non correre perchè essendo sempre vuota, libera, c’è gente che<br />
sta lì in mezzo, biciclette, camionetas ferme, gente più o meno sul bordo che cammina e<br />
cammina e cammina, e poi al solito, animali, animali, animali. Huirahuacho, Casinchihua,<br />
Anta bamba. Non c’è proprio assolutamente nessun veicolo per un lunghissimo tratto.<br />
Fiori, bianchi, gialli, tipo orchidee, farfallette, uccellini che si infilano nei loro buchini nel<br />
terriccio lungo il bordo, cactus, cactus. Tante volte passiamo la sbarra del pedaggio aperta<br />
perchè l’autopista asfaltata si paga salendo ma non scendendo... Chacoche, Chalhuani,<br />
Pichirna. “gracias Señor Presidente para el asfaltado de esta carretera !” Tutti hanno sul<br />
tetto delle case qualcosina, o i due piccoli tori neri, o girandole, o nastrini, o altro.<br />
Ora invece siamo tutti fermi per chissà quanto: “se ha derrumbado el costado y hay<br />
maquinas trabajando” . La strada, l’unica per attraversare la cordigliera e andare poi verso<br />
la costa, è bloccata da uno smottamento di una grandissima quantità di terreno. Dopo tre<br />
quarti d’ora dal nostro arrivo, fanno passare quelli dall’altra direzione, e così si<br />
determinano delle vibrazioni che fan cadere altri massi. Per fortuna gli ultimi sono sfilati via<br />
indenni per un pelo. Si ricomincia dunque. Qui tutto frana in ogni momento. E così si<br />
formano code anche di 5 / 6 mezzi, che stan ferme un’ora, due ore. Intanto Lino ne<br />
approfitta per cambiare il filtro, che era sporchissimo di terra, polvere, accumulatasi<br />
durante il viaggio. Eccoci ora a Chalhuanca (= Señor de Huanca), c’è un tizio a cavallo<br />
proprio in mezzo alla strada. Facciamo <strong>10</strong>0 soles di gasolina e prendiamo poi giù per la<br />
32 lungo il rio Apurìmac.<br />
Intanto ascoltiamo i miei CD. Ima? =quien?, chi?, curqui =paloma, colomba, yaqui =pena,<br />
waqan =llorar, piangere, sunqo=corazòn, cuore, chaina =asì es, così è, chullalla =uno
solo.“Me conformo a tu amor porqué fué la primera en este pecado tàn lindo; me<br />
conformo amor por averte querido, no me arrepento de este pecado. Que seas felìz<br />
donde vayas !”.<br />
Giunti al Puente de Condorcarca si incomincia a salire, e salire, e salire. Ecco che il CD è<br />
finito e noi siamo già a 4000 metri, ed è di nuovo cambiato il mondo. Ogni tanto ci sono<br />
pietre piatte una sopra l’altra, sono un segnale per l’acqua.<br />
Già siamo nella zona di interesse naturalistico di Pampas Galeras. Ci sono molti alpàquas<br />
sulla puna (=flora della steppa, della pampa d’altura). Eccoci al passo Abra Iscahuaca.<br />
Muretti di recinto, due capanne nel llano infinito, a quattromila metri, a contatto col cielo,<br />
vivono qui solo loro, nell’aria purissima, nel silenzio... su in alto, con il vento fresco sempre<br />
sul volto e il sole fortissimo. “Menaje con cuidado: cruce de animales”. Avevamo<br />
incontrato due carros, due fuoristrada, di viaggiatori europei, tra Pampamarca e<br />
Huayrhuma, che avevano perso di vista gli altri due dei loro amici che erano più indietro e<br />
forse hanno girato a sinistra ad un bivio. Siccome non hanno incontrato sin’ora nessuno, ci<br />
fermano e chiedono a Lino, che li rassicura che l’altra strada che quelli hanno preso è solo<br />
più lunga e più vecchia, quindi piena di buche, ma poi si ricongiungerà con questa più<br />
avanti. Siamo a Quillcaccasa (ccasa =roca) a 4200 m. Gente di una semplicità estrema.<br />
Vivono di latte, formaggi (e carne ?), non ci sono nemmeno le patate o le verdure. Eccoci<br />
a Huaraccoyocc, 4300m. Si vedono a perdita d’occhio migliaia di alpaca e di llama. Ci<br />
taglia la strada una vizcaccha, che è una grossa marmotta-scoiattolone abbastanza rara.<br />
Ora se ne sta immobile, Ben non riesce a distinguerla, io la individuo e le faccio una foto.<br />
Ma alla curva dopo, ce ne sono parecchie. Ci sono pure i guanàcos (o huanacos). Ora<br />
incontriamo anche un gruppetto di quattro/cinque vicuñas (=vigogne), bestiole delicate e in<br />
pericolo di estinzione per colpa di bracconieri che le uccidevano e vendevano il pregiato<br />
pelo a prezzi altissimi. Ora tutte le vigogne appartengono allo Stato che le protegge. I<br />
gruppi sono composti solo di femmine e di piccoli, e temporaneamente di un solo<br />
maschio. Quando un figlio maschio cresce, viene cacciato, o comunque se ne va in cerca<br />
di una femmina.<br />
Qui i panorami vastissimi sono di una bellezza e di un fascino mozzafiato (ma<br />
letteralmente, essendo sui 4300 m.). Si vede in fondo in fondo all’altipiano la nostra strada<br />
come una serpentina bianca. Stupendo il laghetto al desvìo per Pampachiri. “Maneje con<br />
cuidado”. Altro gruppetto di 4/5 vicuñas tra sassi, licheni, muschio. “No deje obstaculos<br />
sobre pista”, e in effetti ogni tanto c’è qualcosa lì in mezzo alla strada, e lo si vede solo<br />
all’ultimo momento all’improvviso. “Proteje nuestra carretera”. Lino ferma una camioneta<br />
che sta passando nell’altra direzione per dir loro di quei tizi che si sono divisi dagli amici<br />
prendendo la carretera mala. Al villaggino di Negro Mayo c’è un Puesto de Salùd. “No<br />
contamine el medio ambiente”. Montagne di gesso bianco... Ora per un certo lungo tratto<br />
c’è una rete lungo la strada perchè gli animali non vengano giù o non si perdano. Le<br />
vigogne sono selvagge e hanno paura di tutto e fanno scatti improvvisi correndo per un<br />
lungo tratto. (vigogne e guanacos sono selvatici, mentre lama e alpaca sono<br />
addomisticati/bili).<br />
Ora per amplissimi tratti, per una grande estensione di kmq. è tutto spopolato, senza un<br />
essere umano. Ci sono dei laghetti limpidissimi che si fronteggiano uno a destra e l’altro a<br />
sinistra della strada. Ci sono sulla riva dei Pariguana, un uccello grande, e dei wayata, dei<br />
paperotti particolari. La pariguana è considerata simbolo del Paese perchè è bianca, ma<br />
quando si alza in volo mostra la parte interna delle grandi ali, che è rossa, e la bandiera<br />
peruana è appunto rossa, bianca, e rossa.<br />
Ma come si potrebbe descrivere con le sole parole o anche con l’aiuto di una foto, che<br />
non è che un rettangolo, un panorama infinito come questo? Come dire la sensazione del
sentirsi dentro nel paesaggio della Terra primordiale? In questa landa, così, nella sua<br />
bellezza, semplice quanto sublime, allo stato puro. Con le mandrie di alpacas, con le<br />
vicuñas, che vagano nel loro mondo, e gli uccelli, e le nuvole che corrono e si rincorrono<br />
continuamente, liberamente, e a sfondo del teatro immenso, la cordigliera con i ghiacciai<br />
immacolati scintillanti, e sparsi qua e là laghi azzurrissimi.<br />
Ecco anche qui un altro stagno con dietro le montagne, mi ricorda i panorami iniziali di<br />
“Duemila -Odissea nello spazio”, qui a 4300 metri, con le canzoni in quechua che<br />
risuonano con quella lingua che pare antica, arcaica (in origine era l’antica lingua sacra dei<br />
nobili inca, Runa Simi ).<br />
Ma ora iniziamo la digradante discesa. Ricominciano a vedersi capre, pecore, cavalli. La<br />
canzone del CD intanto grida: “Andahuaylino te quiero. No me deshechas el corazòn!”<br />
anche in quechua. Lino dice che i tumuli di pietre piatte una sopra l’altra non sono altro che<br />
punti di riferimento, nella nebbia, nell’oscurità, e anche sono rassicuranti perchè sembrano<br />
a volte delle figurine umane quando c’è poca visibilità...Mah. ecco di nuovo i fiori, e gli<br />
alberi, “Proteje nuestra flora !” , e le vacche e i tori. E’ tutt’un’altra bellezza rispetto a quella<br />
spoglia, essenziale, nuda, dell’ altipiano. Al Puente Yanahuecce, c’era di fianco un antico<br />
ponte di pietre. Ma ora ci dirigiamo verso el pueblado màs grande della zona, che è Puqio<br />
(=sorgente, fonte), per andare a mangiare. Su un camion una scritta che inneggia alla<br />
Virgen de las Nieves, dice che lei è la PachaMama. Alla fermata delle corriere vediamo<br />
che dal portabagagli nello sportello che i pullman hanno sotto, tirano fuori degli alpacas<br />
sdraiati che ci stavano giusti-giusti, facendoli scivolare sul pavimento di metallo tirandoli<br />
per il folto pelo. Qui nel comedor dove ci siamo fermati, che ci sembra il più accettabile,<br />
c’è alla parete la lista dei prezzi del Rico Pollo “Sarita”: 1 pollo arrosto- 21 soles, 1/2 pollo<br />
-11.50, 1/4 di pollo -6 soles, 1/8 di pollo - 2.99 soles, più le papas.<br />
Fino a dieci/dodici anni fa qui c’era “Sendero Luminoso” che requisiva tutti i giovani che<br />
incontrava. Allora alle 5 e mezza/ 6 di sera tutti si barricavano in casa. Ma entravano lo<br />
stesso nelle case con le armi spianate. Li portavano via, lontano, e quelli non sapevano<br />
tornare, o non potevano, e poi col tempo si abituavano al brigantaggio, cioè a dover<br />
vivere di requisizioni, e a farsi mantenere dai vari villaggi. Comunque allora quasi tutte le<br />
famiglie appena potevano mandavano di giorno i figli su una corriera per una destinazione<br />
qualsiasi giù sulla costa. E col tramonto tutto il paese era assolutamente deserto, buio e<br />
silenzioso, quando scendevano dai monti quelli delle bande senderiste. Si raccontano<br />
molte storie su quegli anni della guerra sucia (sporca guerra), non solo sui senderisti che<br />
scendevano in paese, ma anche di quando venivano su i militari dell’esercito appoggiati da<br />
elicotteri. Ma chi me lo dice non ha nessuna voglia di ricordarle, e i giovani di oggi<br />
sembrano più interessati alle nuove T-shirt sintetiche che ci sono al mercatino con i nomi<br />
dei calciatori.<br />
Nel “cortile” di terra polverosa là di fronte c’è una baracchina di lamiera con scritto “se<br />
alquila baño” (letteralmente: si affitta bagno, che si potrebbe rendere con: gabinetto a<br />
pagamento). Come su tutte le strade andine i camion, come già detto, in salita hanno i<br />
motori che fumano (letteralmente), e in discesa invece i freni che fumano (letteralmente).<br />
La sera quando arrivano qui i camionisti, pagando, posteggiano nel cortile i loro grandi<br />
trucks, e sistemano motore o freni, cambiano i pezzi, aggiungono olio, liquido di<br />
raffreddamento, mangiano le tortillas che offrono gli ambulanti, e finalmente quando<br />
chiudono il “portone” del recinto, ormai distrutti, dormono nei loro camion, ma devono<br />
pagare ancora per andare al cesso.<br />
Riprendiamo. Ci sono tante mucche e vitelli; un giorno mi era toccato scendere per<br />
smuovere dal centro della strada una che se ne stava lì seduta. A Lucanas (nella cartina<br />
stradale in quei territori in cui non c’è praticamente nulla segnano anche dei villaggettini
piccoli-piccoli) c’è invece un poveraccio che sta proprio in mezzo alla strada, è fatto cotto<br />
e prende un po’ di energia dal Sole.<br />
Anche questo altipiano è vastissimo. Laggiù in fondo c’è una miniera, Minas Canarias.<br />
Ecco ora un’altra riserva naturale di vigogne. Questa è comunale. Ci sono vecchie scritte<br />
sui muri dell’edificio degli uffici che invitavano al paro vicuñero (=allo sciopero dei<br />
lavoratori della riserva per vigogne). Abbiamo visto morto in mezzo alla strada un sorrino,<br />
una specie di formichiere.<br />
Lasciamo l’area dei pascoli, oramai la puna cede il posto a un cañon deserto arido. Sul<br />
ciglio della strada ogni tanto ci sono croci per ricordare automezzi caduti nel cañon,<br />
perchè ci sono tante curve strette e la discesa è ripida, e dunque rapida. E poi vanno svelti<br />
perchè tanto non c’è mai nessuno, oppure perchè man mano cedono i freni, oppure per<br />
risparmiare gasolina mettono in folle, oppure scoppiano le gomme perchè vecchie e<br />
crepate e per lo sbalzo di temperatura, oppure cadono perchè non c’è mai un guardrail<br />
(d’altronde rarissimo in generale anche <strong>sulle</strong> statali importanti di lunga percorrenza).<br />
Insomma abbiamo cambiato mondo, ora siamo in un deserto di terra secca e sassi,<br />
qualche rovo, qualche raro cactus. Deserto vastissimo: Ogni tantissimo c’è un micro<br />
villaggino di quattro casupole di lamiera, dove si fermano i trucks, come Huallhua, posto<br />
fantasma. Qui ci sono i cercatori abusivi d’oro e d’argento.Vanno alla ricerca di qualche<br />
mitica mina inca, di cui si favoleggia in qualche leggenda. Oppure in certi posti dove fanno<br />
buche di sondaggio e magari trovano qualche sparuta spolverata luccicante. Si vedono<br />
chiaramente vari sentierini, e anche aperture nella roccia. Sbriciolano concrezioni e poi si<br />
portano a casa questo terriccio e lo setacciano e lo passano su una pietra circolare con un<br />
legnetto messo di sotto in modo che oscilli e passano il tutto con acqua. E magari qualche<br />
rara volta ci scappa pure un grammo d’oro vero. Poi c’è il fortunato che trova una piccola<br />
pepita (dovrebbe portarla a casa mia dal mio cagnetto Pepito).<br />
Dopo molta polvere, molta strada, molti sassi, arriviamo infine alla baraccopoli che è il<br />
capoluogo di questo Far West, la famosa Nazca, un buco di posto immerso nella polvere<br />
e strapieno di gente per via delle miniere, di quel che dicevo prima, e del turismo che viene<br />
a vedere (come noi) le famose “linee” di Nazca. Qui non c’è nulla da fare, nulla da vedere,<br />
nulla da fotografare, nulla che dia motivo per fare due passi, un giretto. I giovani sono ai<br />
bar a vedere la TV, poi c’è quello che deambula per vendere carta igienica, l’altro dei<br />
palloncini, e insomma ognuno spera disperatamente di ricavare la magra cena di stasera.<br />
C’è un angolo della Plaza Mayor con dei televisori pubblici che si possono guardare senza<br />
il pericolo di dover pagare un bicchier d’acqua al bar. In giro per le strade circolano ancora<br />
le vecchie Volkswagen-maggiolino brasiliane vecchie. Perchè dopo che fu dismessa la<br />
linea di montaggio, la portarono in Brasile, ma ora hanno chiuso anche quella. Caos totale<br />
quanto al traffico stradale. Ci sistemiamo in piazza all’Hotel Internacional Las Lineas. Ci<br />
facciamo mettere un ventilatore a piantana alta in camera. Ceniamo al restaurante Josy,<br />
dove madre e figlia sembra siano ex-battone rozzissime che essendo diventate troppo<br />
grasse e avendo fatto su i soldi, si sono ritirate cambiando mestiere. Mangiamo puré (!),<br />
riso, e un bocconcino di carne. Giriamo per il caos comprando degli altri CD musicali,<br />
copie naturalmente, pagando <strong>10</strong> soles per quattro cd. Poi in un negozio di erborista “La<br />
chiclayana”, prendo della maca en polvo solubile, e un pacchetto della cosiddetta “uña de<br />
gata”(=unghia di gatta) che sarebbero dei pezzetti di corteccia di un albero della selva<br />
amazzonica, che vanta delle portentose virtù terapeutiche.<br />
Non si riesce mica a dormire per il gran casino che fanno tutti fino alle 4. Alle 6 poi passa<br />
quello della basura comunale (pattumaio) che a ogni portone suona un campanaccio<br />
perchè gli portino i sacchi da gettare.<br />
domingo 25
All’hotel internacional non aprono il bar ristorante perchè è domenica mattina... Ci dicono<br />
di andare nel bar di fronte dall’altra parte della piazza.<br />
Siamo seduti qui a un tavolino all’aperto, alle sette del mattino in attesa che nel prossimo<br />
futuro ci portino le due colazioni che abbiamo chiesto. Siamo attorniati da ragazzini.<br />
Chiacchiero con loro, uno mi parla della sua cagnetta che ha fatto 5 cuccioli, allora sua<br />
madre ce l’ha su con loro, dice che son vedaderos diablos, che fino a 4 possono anche<br />
essere bravi ma quando sono di più son demonios. L’altro più piccolo fa il lustrascarpe (9<br />
anni?) come tanti altri qui. Vogliono che mi faccia fare il servizio, ma io non gradisco,<br />
allora gli regalo un mozzicone di matita, ed è molto contento perchè mi dice che a lui piace<br />
molto disegnare. Gli faccio fare la punta col mio temperamatite, e questa è una cosa<br />
stupenda per lui e per gli altri che lo osservano. Si tiene anche le “bucce” per poi farle<br />
vedere a qualcuno. Intanto arriva il mio thé (una tazza f’acqua calda e una bustina, e allora<br />
rivolto la bustina e gli dico di farmi vedere cosa sa disegnare su questa parte bianca. E’<br />
molto impegnato, appoggiato alla balaustra, e fa dei piccoli disegni. Intanto arriva la<br />
colazione cioè un uovo fritto, pane e marmellata. Un altro lustrascarpe più piccolo (7<br />
anni?) mi dice che ha fame, allora gli do da finire il bianco del mio uovo, e al disegnatore<br />
che guarda con invidia, gli do un pezzo di pane con la marmellata. Sono eccitati, ma un<br />
richiamo da lontano li fa scappar via, non devono trascurare il loro lavoro.<br />
Arriva anche Lino, che prende pane e formaggio. Carichiamo il carro, paghiamo 50 soles<br />
(camera doppia con bagno e ventilatore), e Lino che era all’ Hostal internacional Lorenma<br />
con cochera para el carro, 25 soles, e ha mangiato alla polleria La Cabaña - pollos<br />
gigantes a la brasa (beato lui) e bevuto una gaseosa da mezzo litro, 6,50 soles. Andiamo<br />
all’areoporto delle avionetas, dove gli uomini delle varie compagnie concorrenti ci<br />
assaltano letteralmente. Prendiamo “Aero Taxi”, il pilota si chiama Amerìgo, come<br />
Vespucci. Voliamo in tre (c’è un ragazzo irlandese). Interessantissimo, ho avuto un poco<br />
de trastornos y de mareo (=disturbi e un po’ nauseato) per tutte le continue giravolte che fa<br />
per farti vedere i disegni e le linee. Trenta minuti, 30$ dollari a testa.<br />
Torniamo al carro (un ragazzini mi dice che ha bisogno di una penna per la scuola che è<br />
appena incominciata. ne ho due gliene do una), ripassiamo dal nostro albergo in città<br />
perchè ho dimenticato l’unica cannottiera che avevo, se no ho solo magliette da sotto a<br />
mezze maniche, ma ora fa troppo caldo. Naturalmente è già scomparsa, e si attribuisce la<br />
colpa alle donne delle pulizie che sono già andate via. Uscendo incontro di nuovo il<br />
ragazzino di stamane, vorrei dargli qualcosa ma Lino dice che dobbiamo partire subito se<br />
no rischiamo di arrivare tardi. Nella fretta gli do dal finestrino la confezione col fazzolettino<br />
rinfrescante che han dato sul volo Iberia, ma lui non sa cosa sia e che farsene, intanto Lino<br />
riparte. Andiamo sulla Panamericana e ci fermiamo a visitare il museo intitolato a Maria<br />
Reiche.<br />
Questa sarebbe poi la sua casa che si costruì vicino alle “sue” linee. Qui ci sono due<br />
hermanitas de 6 y 5 añitos, y ellas yà lo saben todo, y me cuentan de la Señora che<br />
girava per Nazca in bicicletta negli anni cinquanta, e andava da sola verso il deserto, e tutti<br />
la chiamavano la loca, la pazza. Un giorno che il presidente del Perù era in questa<br />
cittadina di minatori, l’ha voluta incontrare e l’ha ascoltata, allora le ha preso una camera<br />
con bagno proprio nel nostro albergo (che allora era un posto pulcioso), che lo stato le<br />
avrebbe pagato fintanto che avesse voluto restarci. E ci restò finchè un contadino non le<br />
mise a disposizione una casetta abbandonata senza acqua nè luce, ma che era proprio<br />
sull’area delle linee. Forse si era impietosito a vedere che questa donna se ne stava sotto<br />
il sole tutto il giorno chinata a ripulire e spazzare con una scopa queste assurde righe per<br />
terra, con gran fatica poichè soffriva di artrite acuta e aveva perso il dito medio della<br />
destra. Poi sua sorella dalla Germania le ha spedito per nave un regalo: un pullmino
Volkswagen, e poi dopo qualche anno che lei scriveva a varie riviste e istituzioni di queste<br />
tracce nel deserto -che aveva osservato a lungo e che oramai conosceva tutte assai bene-<br />
, e della loro importanza archeologica, si convinse a venire qua anche lei, ed è rimasta per<br />
sempre, tanto che è morta poco dopo di lei nel ‘99. Maria teneva un alpaca con sè, che è<br />
quella che è ancora qui e sta con la sua piccola nel cortile. La casa museo è mantenuta da<br />
una Fondazione e da qualche finanziamento che Dresda, la sua città natale, ha deciso di<br />
inviare per ricordare questa sua cittadina ora famosa. Si innamorò delle linee quando<br />
incontrò Paul Kosok, che le aveva scoperte. Lui venne a Cusco nel ‘39 per un congresso<br />
di americanisti, e disse che venuto per esaminare aspetti della antica cultura nazca, nota<br />
per le sue ceramiche, le sue tombe, e soprattutto per i suoi straordinari tessuti, aveva<br />
rilevato la enigmatica presenza di queste tracce. Lei lo seppe perchè già viveva in Perù, e<br />
si trovava all’epoca a Cusco dove lavorava facendo da governante ai bambini del<br />
consolato tedesco.<br />
Chissà cosa avrà pensato Maria quando la nuova PanAm è passata col suo percorso<br />
d’asfalto attraverso un “rettangolo” nazca....che se ne stava lì indisturbato da forse tremila<br />
anni? Facciamo sosta alla torretta di metallo dall’altra parte della strada, è un mirador<br />
voluto da Maria. Perchè se ci si sale in cima, da lì si possono vedere due bei disegni<br />
tracciati tra i sassi (l’albero della vita, e le due mani) che se no da terra neanche si<br />
distingue che esistano, e che sono proprio lì a fianco della strada. Su c’è una dell’Istituto<br />
nazionale di cultura, e ora ci sono due turiste giapponesi, e l’impiegata sa qualche parolina<br />
per dare una spiegazione anche a loro. Quando lo stato si rese conto dell’importanza<br />
archeologica di questo deserto, le linee vennero ridenominate geoglifos, e dichiarate<br />
patrimonio culturale della Nazione (e poi dell’Umanità), e decretò inaccessibile al pubblico<br />
la zona, su cui non si sarebbe più potuto camminare; per cui Maria fece costruire questa<br />
struttura metallica perchè le persone potessero venire ad osservare almeno due figure<br />
importanti, che secondo la sua interpretazione sono parte del calendario astronomico dell’<br />
antica civiltà che fiorì proprio in questo pianoro arido, a seicento metri sul livello<br />
dell’oceano pacifico, tra il <strong>10</strong>00 avanti Cristo e il 600 circa dopo C. Ormai le figure sono<br />
note in tutto il mondo, ed è la fortuna di Nazca, specialmente ora che le miniere che<br />
c’erano non sono più redditizie, perchè attirano visitatori da tutto il mondo. Non c’è giro<br />
turistico del Perù che non contempli un passaggio per Nazca. E così questa cittaduzza<br />
che fino a pochi decenni fa era l’ultimo avamposto alle soglie del nulla, luogo di incontro di<br />
avventurieri masnadieri da far West, ora pullula di alberghi, pullman dei tours turistici, e<br />
all’areoporto un sacco di agenzie con una o due avionetas fanno i soldi solo perchè fanno<br />
vedere le linee dall’alto...E in effetti è spettacolo affascinante vedere l’omino che saluta, la<br />
scimmia, il ragno, il pesce, il colibrì, il condor, tutti disegni perfetti e molto suggestivi ma<br />
talmente grandi che si possono apprezzare solo guardandoli dall’alto, e qui non c’è nessun<br />
altro modo di vederli dall’alto se non l’aereo.<br />
Viaggiamo spediti per la panamericana, obiettivo il villaggio di Ocucaje poco prima di Ica.<br />
Traversiamo il Rio Grande a Palpa e in mezzo a questo deserto si stende una valle verde.<br />
Palme, fiori, frutta, e ai lati e in fondo il deserto di pietre roventi... Molti hanno il loro sitio<br />
de trabajo, el almacén, la tienda, in capanne di paglia intrecciata. Torniamo ad attraversare<br />
il deserto. A volte ci sono “cubabitacoli” sparsi nella polvere: quello sarebbe un pueblado...<br />
Ancora viaggiamo nel nulla, sassi, sabbia, montagne prive di vita arse dal sole, e un nastro<br />
di asfalto diritto di fronte, che Lino lanciatissimo percorre a 90 all’ora. Intanto ci ascoltiamo<br />
la musica dei cd comprati a Nazca a 70 €urocents l’uno. Davanti la landa piatta e beige<br />
fino all’orizzonte, ovvero fin dove la vista si perde nella foschia calda, sempre uguale. Ci<br />
addormentiamo nel lunghissimo rettilineo al sole.....e Lino passa oltre Ocucaje. Ci<br />
svegliamo per un sobbalzo, si vedono cactus che sembra abbiano due braccia, come dei<br />
crocefissi, e un cartello dà Ica a qualche kilometro. A Beniamino dispiace molto. Alla
periferia di Ica chiediamo informazioni a uno della polizia, perchè Lino dice che<br />
l’indicazione Ocucaje lui non l’ha mai vista. Torniamo indietro. Eucaliplti, palme, datteri. La<br />
scritta “el 12 de mayo huelga general de los profesores” (sciopero degli insegnanti).<br />
Rallentiamo, si è formato uno straterello sottile di sabbia sull’asfalto. Qui c’è la stradina<br />
laterale che va a Ocucaje, ed eccoci dopo un tratto di polvere nella polvere. E’ un nonposto,<br />
con cubabitacoli di poveracci sparpagliati qua e là nella sabbia, apparentemente<br />
senza strade, negozi, nulla, solo polvere. E in mezzo a questo ambiente allucinatorio, c’è<br />
un’oasi di verde che è un Hotel-residence della Rubi Tours - Sun and Wine Resort,<br />
immerso in un boschetto, che era appartenuto ad una finca, una fattoria recintata<br />
grandissima, con azienda vinicola. Ci aprono un portone, entriamo e posteggiamo, e poi ci<br />
addentriamo a piedi nel fresco, tra casette, villette sparse nel prato e tra alberoni, con<br />
uccellini tropicali, e a mo’ di statue decorative tra i vialetti ci sono scheletri fossili di balene<br />
e di cetacei antichissimi. Infine si giunge alla grande piscina con famigliole, bimbi che si<br />
tuffano, e un bel ristorante all’aperto sotto le frasche. Dopo esserci riposati e rinfrancati al<br />
lato della piscina, mangiando benissimo tra gli uccellini dal petto rosso, con primo,<br />
secondo, contorno, bevande, birra, torta, caffé, spendendo 35€ per tre, andiamo verso<br />
l’uscita. Qui scambiamo due parole con un impiegato che sta mettendo su una collezione<br />
di fossili con cui poi vuole aprire un museo dentro all’Hotel. Ci dice che questa zona è in<br />
effetti il giacimento di fossili marini più grande del mondo, e che per i cetacei solo in Italia<br />
se ne trovano di migliore qualità. Ci mostra un delfino, una balenottera, e una testa di<br />
balena, di 25 milioni di anni fa circa. Bellissimi pezzi che lui va a tirare fuori dalla sabbia,<br />
perchè dice che nel Miocene il livello dell’oceano arrivava sino alla costa delle montagne<br />
che ora sono sull’orizzonte. Poi usciamo e subito ci ritroviamo nel non-luogo con casupole<br />
spapagliate a distanza, per cercare una casupola in mezzo alla sabbia polverosa, dove sta<br />
uno da cui Ben aveva comperato dei pezzi interessanti due anni fa. Chiediamo, ma la<br />
signora è reticente e vaga, poi dopo si viene a sapere che è sua sorella. Questo tipo tira<br />
fuori col contagocce vari oggetti, mandando il figlio nell’altra casa a prenderne uno per<br />
uno. Alla fine ci vende delle belle repliche di statuine della cultura nazca. La contrattazione<br />
è lenta, e nel cubabitacolo c’è un soffoco terribile, ogni tanto esco a rivedere il sole; la<br />
sorella è all’ombra della casetta accanto con le sue amiche. Una inizialmente scappa e si<br />
nasconde. Mi chiede se abbiamo da darle da bere, perchè loro tre si divertono a trovarsi a<br />
chiacchierare e intanto a bere in compagnia. Il tizio ci fa vedere varie cose, ora si è un po’<br />
più sciolto. Varie frecce, denti di tiburòn (=pescecane grande). E’ un furbastro,<br />
chiaramente uno scavatore clandestino, un huaquero, però ha un gran bisogno di soldi.<br />
Rifacciamo ora per la terza volta la strada per Ica, ormai piena di sabbia che proviene da<br />
una duna enorme che incombe su un lato della carretera. A Ica la casa-museo con la<br />
collezione del dottor Cabrera, ora morto, è chiusa. Ce ne andiamo verso Pisco. L’ultimo<br />
nostro obiettivo: visitare la riserva nazionale di Paracas e l’arcipelago delle isole Ballestas<br />
che sono un parco naturale marino di grande interesse.<br />
C’è un albero, l’algarrobo, che produce un succo, l’algarrobina, ricco di vitamine; dunque si<br />
fa un frullato con cerveza negra, huevo, miel de abeja, un guto de leche, azùcar, y<br />
algarrobina (birra scura, uovo, miele d’api, una goccia di latte, zucchero, e appunto<br />
algarrobina), molto stimolante.<br />
Lungo il bordo destro è penoso vedere queste baraccopoli, perchè non sono nemmeno<br />
casupole, baracche, anzi in molti casi si dovrebbe dire addirittura capannopoli poichè son<br />
fatte di frasche e paglia intrecciate. A sinistra solo sabbia. L’autopista è tutta diritta verso il<br />
sole a ponente. Sono di certo migliaia i kmq di deserto. E’ un altro Mondo. Qui nella parte<br />
desertica ci sono gli uomini del territorio di sassi, e quelli del mondo di sabbia e polvere,<br />
che è ovunque nell’aria, vola in cielo, entra nelle case, come nell’auto, ma anche nel naso e<br />
negli occhi.
Annoto ancora quel che vedo dal finestrino. Playa Vivero, cioè spiazzo per vivaio; Fundo<br />
Señorita Ana, oppure Clarita; Vivenda Agricula. Pueblados improbabili ogni tanto<br />
affiorano. Ci sono recinzioni assurde di un pezzo di niente, che viene separato dal resto<br />
da cui non si distingue.<br />
Schizzano nell’altra direzione pullman di lunga percorrenza, o internazionali, a gruppi di 3,<br />
4, partiti forse alla stessa ora da Lima, ma che inseguono destini, e/o destinazioni,<br />
differenti. La PanAm in realtà (a parte nelle vicinanze della capitale) è come una nostra<br />
statale, ma con due corsie proprio giuste giuste, e due rispettive “spalle” d’emergenza, in<br />
terra, quasi equivalenti. Le capanne di paglia intrecciata sembrano quelle “casette” che si<br />
fanno con le carte da gioco. Si appoggiano quattro rettangoli come pareti, e si copre di<br />
sopra. Col vento poi un po’ si piegano da un lato...<br />
Ora però cominciano a comparire gruppi di palme radunati come a ciuffi e sparpagliati.<br />
Ma, ecco il mare, cioè l’Oceano Pacifico !<br />
Eccoci già sistemati in un alberghetto grazioso, pulito, moderno, come se ne trovano da<br />
noi. Siamo nel golfo del promontorio di Paracas, al porticciolo di El Chaco. Facciamo una<br />
passeggiata sul nuovo Paseo Marìtimo, aria salsa, ossigeno, spiaggia, il golfo quasi<br />
circolare, con una isoletta sull’orizzonte. Torniamo verso l’albergo e incontriamo sulla sua<br />
porta di casa una signora che ha un pinguino baby in braccio ! dice che è il loro animaletto<br />
domestico, e intanto gli carezza la testa mentre lui guarda. Siamo esterefatti. Poi poco<br />
dopo ri -usciamo per andare sul molo ad ammirare uno stupefacente tramonto, con colori<br />
incredibili, con i grossi gabbiani che volano. E’ bellissimo non è vero? ci chiede la gentile e<br />
graziosa giovane signora che serve ai tavoli di uno dei bar-ristorantini lungo la<br />
passeggiata. Chiacchieriamo con lei, si chiama Isabel, è molto discreta e dolce. Intanto<br />
sgranocchiamo las canchitas, da cancho, cioè i grani di mais che tutti magiano mentre<br />
stanno ai tavoli bevendo cerveza o pisco. Ci parla dei vari cibi, bevande o prodotti naturali<br />
qui molto usati. Il cosiddetto sangre de grado, che è un calmante, la sàbila, que es un<br />
unguento que limpia las pulmones, oppure di una hoja que se pela y se corta para tomar,<br />
ecc.<br />
Mangiamo un pesce con riso, poi facciamo nuovamente due passi sino in fondo al<br />
lungomare, e lì ci attaccano discorso due ragazze carine, gentili, ben vestite, educate,<br />
simpatiche. Scherziamo un po’ e chiaccheriamo dell’Italia di cui son molto curiose di<br />
sapere. Poi facciamo delle foto e combiniamo di incontrarci domani sera e cenare<br />
assieme, perchè ora loro debbono tornare a Pisco la città vicina dove abitano. Torniamo<br />
all’albergo e mentre io vado un attimo in camera e Ben si ferma al bar dell’albergo ad<br />
aspettarmi, viene abbordato e travolto da due scatenate, una un po’ rozza e grezza, l’altra<br />
eccitatissima perchè ha bevuto un po’. Ritorno che ha ordinato due cocktail Cuba Libre per<br />
loro, e stiamo lì a scherzare e ridere, ma forse il tutto avviene troppo ad alta voce, e<br />
hanno chiamato anche due loro amici che erano da quelle parti, per cui il gestore<br />
dell’albergo dice che è l’orario di chiusura del bar. Ci trasferiamo in uno dei bar-ristorantini<br />
del lungomare. Quella grassa si assenta perchè riceve una chiamata al telefonino, i due<br />
ragazzi sono in Marina, e assediano Ben di domande perchè vogliono imparare delle frasi<br />
d’amore in italiano da dire alle loro fidanzate. L’altra mi si appiccica a parlare e ridere. E’<br />
una ragazzina magrissima, riccia riccia e mulatta (ma più nera che altro) che si chiama<br />
Yennifer (da pronunciare Gennifer) e che ha bevuto un po’ troppo ora che ha ingollato<br />
velocemente il Cuba Libre prima di andare via dall’altro bar. Comunque dice che è il suo<br />
compleanno e vuole festeggiare, poi quando le passerà un po’ l’agitazione mi dirà che<br />
poco fa è morto il suo ragazzo che faceva il camionista. Ha fame, le offro un lomo<br />
saltado, che divora, ma ne lascia un terzo per gli altri, che lo finiscono. Parlano un po’ di<br />
quali siano i difetti degli stranieri che hanno conosciuto, i cileni, che trattano dall’alto in<br />
basso i peruviani, gli argentini che raccontano un sacco di balle, e non so quali altri
sudamericani che non danno confidenza, eccetera. Ridiamo ancora un po’ poi ci<br />
salutiamo. L’amica grezza, che ha finito di parlare al cellulare, dice che dobbiamo<br />
assolutamente dar loro <strong>10</strong> soles per il taxi per ritornare a casa a Pisco. Non ne abbiamo<br />
proprio nessuna intenzione. Ci salutiamo.<br />
Lunes 26 de abril<br />
Al mattino alle sette e mezza come concordato ieri, siamo pronti per partire, avendo già<br />
fatto colazione, e ci avviamo con un marinaio verso il molo, embarcadero flotante (non<br />
muelle), e alle otto siamo partiti in una lancia per 18 persone, tutti con chaleco salvavida,<br />
in direzione delle isole Ballestas (35 soles a testa). Già appena un po’ fuori ci sono diversi<br />
delfini che van dentro e fuori dall’acqua, e tanti uccelli in volo. Dopo poco lungo la costa,<br />
sostiamo per ammirare un enorme graffito che c’è sul pendio del promontorio, il<br />
cosiddetto “candelabro” (per altri un cactus), ma che probabilmente è il simbolo dell’albero<br />
della vita della civiltà Paracas che fiorì in questa area tra il 600 a.C. e il 175 a.C., e fu<br />
scoperta negli aa.Venti. Per cui le civiltà della costa in questa parte del Paese sono quelle<br />
di Nazca, Ica e Paracas. Dunque questo disegno inciso, è alto 150 metri e forse era una<br />
segnalazione per i naviganti in modo che potessero trovare lungo la costa il punto dove<br />
erano i paracas, oppure/o anche, al contrario, un avviso agli stranieri (si dice che vi<br />
fossero contatti con le Tuamotu, o addirittura con i maori) per segnalar loro: questa è la<br />
nostra terra, incontrerete resistenza se volete invadere questo territorio. Fattostà che<br />
questo enorme graffito è lì da un bel po’ di secoli e non si è insabbiato e coperto; la guida<br />
sulla barca dice che nemmeno ora nessuno fa manutenzione.<br />
Dopodichè arriviamo alle isole Ballestas, che costituiscono la riserva naturale marina. Qui<br />
ci sono una immensa quantità di uccelli, foche, leoni marini, trichechi, ci passano<br />
periodicamente delle orche marine, e vari tipi di gabbiani, e pellicani, ecc. Inoltre si<br />
possono vedere i pochi esemplari del cosiddetto pinguino di Humboldt, perchè da lui<br />
identificato, che è in pericolo di estinzione, piccolo, sui 60 cm. di altezza, è quello che<br />
avevamo visto in braccio alla signora. Poi ci sono migliaia di cormorani, di sulas (?), delle<br />
specie di gabbianelle nere con la punta del becco rossa, e poi delle specie come di<br />
avvoltoi che mangiano gli uccelli morti. D’altronde anche le orche passano per mangiarsi le<br />
tartarughe, o i trichechi morti. Lo spettacolo è straordinario, gli uccelli sono così tanti da<br />
creare vere e proprie macchie compatte composte da una miriade di individui. C’è anche<br />
tanto plancton in acqua per cui passano di qui balene e balenotteri durante le loro<br />
trasmigazioni. C’è pure una strana stella marina con tanti peduncoli a raggio finissimi. I<br />
leoni marini occupano totalmente una spiaggia di un’isoletta, e lo spettacolo (e<br />
l’accompagnamento sonoro) di quel vero e proprio carnaio, è affascinante; quasi altrettanti<br />
sono i “leoni” e le foche in mare lì davanti, sbattacchiati su e giù dalle onde che fanno<br />
risacca, che vorrebbero ma non possono venire a riva. In una grande grotta a forma di<br />
garganta (=ugola) ci sono in una spiaggia in fondo al buio, e non si vedono, grossi leoni<br />
maschi che gridano, e si crea un rimbombo con un effetto sonoro incredibile.<br />
Ma c’è un altro motivo per cui le isole sono interessanti. Gli uccelli vengono qui a<br />
nidificare, e lasciano una gran quantità di guano. E’ un po’ penoso vedere il lavoro della<br />
raccolta del guano, di cui questo piccolo arcipelago è un grande fornitore (nel 2003, meno<br />
del solito, ne son state raccolte “solo” 12.000 tonnellate annue!). Contiene nitrati, e tutti<br />
quei minerali che stimolano lo sviluppo dei vegetali, quindi (se opportunamente diluito, se<br />
no brucia tutto), è un formidabile fertilizzante.<br />
Eccitatissimi tutti facciamo uno sproposito di foto a raffica. Dopo due ore siamo di<br />
ritorno, e sul giornale leggiamo che proprio ieri mattina si era fatto de repente mare<br />
mosso, e sono caduti in mare una trentina di turisti che erano su queste lancie ! All’inizio<br />
del nostro viaggio ci fu un simile incidente all’arrivo all’areoporto di Lima, per cui a causa di
un forte vento improvviso a raffiche e di vuoti d’aria, circa una cinquantina di passeggeri di<br />
un aereo che stava atterrando risultarono sheckerati nell’abitacolo dell’aereo e rimasero un<br />
po’ feriti.<br />
Andiamo con l’auto in città, a Pisco, per spedire qualche cartolina dall’ufficio postale non<br />
facile da trovare, gironzoliamo qua e là per le vie pedonali molto affollate e calde, cerco<br />
inutilmente di cambiare degli €uro chiedendo praticamente in ogni banca, e infine, come mi<br />
suggerisce il cassiere del Banco de la Naciòn, me li cambia una signora che sta davanti<br />
all’entrata aspettando proprio queste richieste.<br />
Poi torniamo e andiamo nella Reserva Natural che comprende tutta la penisola e la costa<br />
a sud, tutta l’area di interesse archeologico, e naturalistico. Sono sentieri di terra<br />
malmessi, e pian piano li percorriamo guardando il magnifico spettacolo del cosiddetto<br />
deserto ambrato. Qui gli antichi paracas seppellivano in buche (huecos)i loro morti che si<br />
sono come raggrinziti e incartapecoriti, e si sono conservati sin’ora piuttosto bene. Le<br />
donne hanno mantenuto perfettamente i loro capelli lunghi due metri (si dice che dopo la<br />
morte siano anche cresciuti un po’), e gli abiti ottimamente conservati hanno permesso di<br />
conoscere questa straordinaria capacità tecnica dei paracas nell’arte tessile. Tra il 1925 e<br />
il ‘27 vennero alla luce centinaia di tessuti stupendi per i colori e per i complicatissimi<br />
decori, difficilissimi da realizzare, con disegni minuti di differenti sagome e colori. Sono tra<br />
i più raffinati tessuti pre-incaici: ce ne sono qui al museino, a Ica, e poi a Lima.<br />
Procedendo per una pista tutta buche per cinque lunghi kilometri, giungiamo dall’altra parte<br />
dell’istmo, a Lagunillas.<br />
Il doppio golfetto ben riparato dal vento, con le barche dei pescatori, tre-quattro casette<br />
con le trattorie di pesce, sulla bella spiaggetta. E’ incantevole. Anche qui ci avevano visto<br />
arrivare sin da lontano, e ci sono venuti incontro seguendoci poi di fianco all’auto, di corsa,<br />
per reclamizzare il loro ristorantino, poveretti, per forza andremo in uno e gli altri avranno<br />
corso tanto per niente... Andiamo, se mi ricordo bene, da Tìa Pily. Mangiamo un enorme<br />
lenguado a la plancha in due (sogliola alla griglia). Poi Ben si ferma sotto il pergolato a<br />
guardare il panorama e disegna. Io vado in cima alla collinetta, piena di gaviotas, e di<br />
quelli con la punta del becco rossa, che scappano via via che avanzo. Dai due miradores<br />
<strong>sulle</strong> due punte, si gode di una vista amplissima stupenda. Anche Ben viene su e stiamo<br />
con l’aria fresca in faccia, anzi dopo poco è un vento che soffia forte a raffiche,<br />
guardiamo i grossi uccelli che si divertono a star quasi fermi nell’aria per lunghi istanti, e<br />
intanto loro guardano noi, prima di cabrare come in certi cartoni in cui gli uccelli diventano<br />
aerei da caccia, e scomparire velocissimi a ali quasi ferme. Dev’essere un gioco<br />
bellissimo da fare! Sugli scogli di fronte ci sono varie aves e alcuni pinguinini di humboldt.<br />
Poi scendiamo per andare a vedere i pescatori che scaricano grossi granchi, di cui uno<br />
furbo o fortunato, se la svigna di lato e...ricade in acqua. Si sta proprio magnificamente<br />
bene qui, oltretutto come al solito non c’è quasi nessuno. Qui ci si gode la vista, tutto è<br />
spettacolo. Questo è un vero e proprio puerto escondido alla Salvadores.<br />
Ritorniamo a sobbalzi nel deserto sfumato di color ocra, e vediamo nella piccola<br />
insenatura con una salina, alcuni fennicotteri rosa (o sono quei pariguana “della<br />
bandiera”?). Poi grandi gallinazos, come si dice qua, (falchi?) ad ali spiegate volare alti in<br />
cerca di cibo.<br />
Ed eccoci di nuovo nel paesino del Chaco al restaurante sulla Marina, a chiacchierare con<br />
Isabel. Ci racconta che lei tiene un quaderno con gli appunti di quel che gli hanno detto<br />
certi clienti stranieri sui loro paesi o città. Così poi quando c’è qualcuno dello stesso<br />
paese, lo rilegge e fa vedere che lei sa delle cose, e poi lo aggiorna con aggiunte. Le<br />
piace sentire cose di altri paesi. Suo figlio che ha 15 anni è fanatico di Internet e le chiede<br />
sempre soldi per andare a un internet-point. Poi ha una collezione di cartoline da tutto il<br />
mondo, ci chede di mandargliene una da Venezia. Ceniamo con filetto di pesce chita a la
plancha, molto buono, e yucca fritta, che sembra un po’ una patatina fritta a bastoncino<br />
tipo french fries, ma invece è un po’ più dolce e gialla e soprattutto è fibrosa. Buona.<br />
Intanto nel buio arrivano pullman di gente che viene qui per pregare e cantare in un hangar<br />
con su un telone di plastica azzurra, costruito qui di fianco sulla spiaggia con un grande<br />
crocefisso semisdraiato, di quelli con la scaletta. Sì ne avevo già notati, hanno tra il<br />
braccio sinistro e la testa una scaletta messa di traverso a fare un triangolo. E poi il volto<br />
di Cristo è protetto sotto una teca di plastica o vetro. Isabel ci dice che solo alla domenica<br />
la messa si svolge in chiesa. Mi avvicino, li guardo mentre il curato fa la predica, e poi<br />
mentre cantano.<br />
Torno al tavolo, Ben offre a Isabel una sigaretta, le chiedo, ma non l’ho mai vista fumare,<br />
dice che ha accettato solo “porqué no puedo despreciarla”. Beviamo un Pisco Sour, il<br />
pisco è una acquavite molto alcoholica con cui si fa questo coctail, e Beniamino dice che<br />
questo è migliore degli altri che aveva assaggiato. Isabel dice che intanto qui a Pisco il<br />
pisco è della migliore qualità, e poi lo sanno fare meglio, il frullato è fatto bene col bianco<br />
d’uovo che diventa denso, così la pajilla (la cannuccia) può stare ben ferma in piedi.<br />
Dunque il pisco si prepara mettendo un bicchiere nel freezer, poi riempiendolo sino all’orlo.<br />
Quella è la quantità che va nel frullatore; poi ci si mettono due chiare d’uovo, un cucchiaino<br />
di jarabe de cola (uno sciroppo molto denso che fa da agglutinante), due limes spremuti (è<br />
quel limoncino verde acidulo), si frulla, e infine si aggiunge una spolveratina di tabasco<br />
(che è a base di piccoli peperoncini rossi molto piccanti).<br />
Torniamo al nostro albergo, Hostal Chorita, che è una conchiglia.<br />
27 de avrìl<br />
Facciamo una sosta nella cittadina di Chicha in una grande cantina di una azienda<br />
produttrice di vini, che ha sede in un vasto edificio coloniale. Poi andiamo a vedere le<br />
bancarelle che vendono dolcetti e il “vino” di fichi (de higos). Ora stiamo attraversando di<br />
nuovo il deserto, ma questo è un deserto di dune di sabbia, che pure ha i suoi pueblados<br />
di frasche, c’è la bruma dell’oceano assieme alla evaporazione della sabbia umida. Due<br />
grandi uccelli con ampia apertura alare pattugliano il territorio. Sfrecciano TIR con<br />
rimorchio e trucks.<br />
Leggo i cartelli: uno parla di Fundo Agropecuario, un’altro dice “Avicola Sur”, riferendosi<br />
alla proprietà e all’utilizzo dei terreni. Al lado de la carretera ci sono ampi spazi pieni di<br />
basura abbandonata all’aperto. Un altro cartello riferito ad un’ampia zona di nulla recintata,<br />
dice: “Propriedad de la Comunidad Campesina de Chilca” (???).<br />
Poi inizia la stretta fascia costiera coltivata a cotone, e a mais. Paesini e cittadine di uno<br />
squallore e una miseria disperata. In questa zona si vedono i pochi neri peruani,<br />
discendenti dei pochi africani che furono trapiantati qua dagli spagnoli appunto per le<br />
coltivazioni di cotone.<br />
Da qui a Lima la panamericana è come una autostrada delle nostre per circa 150 kilometri.<br />
Solo verso quasi la fine usciamo dalla area desertica. Il nostro ultimissimo sito<br />
archeologico che vogliamo visitare è quasi alle porte della capitale, in un paese che si<br />
chiama Lurìn, dove ci fermiamo a mangiare in un bel ristorante. Qui c’è un cartello appeso<br />
al muro, che dice:<br />
“Señor Jesucristo<br />
Béndice con tu poder èste negocio<br />
lleno de justicia y sabidurìa a su<br />
propretario, que todo lo que aquì se venda<br />
sea para la honra de Diòs y beneficio de la familia.<br />
Deposito en tus benditas manos
el èxito y posibilidad de èste negocio<br />
porqué asì (....................ecc.).<br />
Señor béndice èste negocio y protege<br />
de la envidia, egoismo y las malas<br />
influencias y permitenos verlo<br />
lleno de prosperidad y abundancia.”<br />
Il posto è moderno, con un bel giardino, e decidiamo di non stare a farci più scrupoli,<br />
oramai il viaggio è al termine e stiamo tutti bene di salute. Dunque mangiamo un bel<br />
piattone di camarones fritos. La pastella fritta ricopre tutto, i gamberi sono interi, ciè con il<br />
guscio; ci dicono che sono croccanti e buoni da mangiare così tutti interi. Contorno di<br />
yucca fritta. E poi per bere ordiniamo finalmente la chicha morada, si prende la<br />
pannocchia abbrustolita (morada) e la si lascia in acqua che disperda il suo succo, poi si<br />
aggiunge lime y azùcar; non è alcolica perchè non è fermentata, la si beve ghiacciata<br />
quando fa caldo, se toma como refresco. Invece la chicha de joray (=una radice) è<br />
alcoholica, es de maìs blanco, se hace hervir, se reposa dos-tres dias para qué fermenta,<br />
es algo parecido como cerveza, muy fuerte.<br />
La zarza criolla, che è una specie di insalata russa; la caneja, cioè mais tostato con sale;<br />
assaggiamo el camote frito: es como papa màs grande, amarilla y dulce, è come una<br />
grande patata gialla dolce fritta, si mette ad es. in un sandwich con fette di chancho; mote,<br />
è la stessa cosa ma bollita y sale màs baratito que la papa, si mangia assieme al ceviche.<br />
Lino non mangia nulla di tutto ciò, assaggia solo un po’ di camote frito avanzato “porqué<br />
no puedo despreciarla” (la seconda volta che sentiamo questa frase di convenienza in<br />
poco tempo).<br />
Poi usciamo, c’è un cartello: “Estamos trabajando para erradicar la fiebre aftosa del Paìs”,<br />
e ci avviamo verso le rovine archeologiche.<br />
Si tratta di un sito Wari del 650, poi assorbito dalla cultura costiera Ishmay, sino al 1450<br />
quando fu annesso dagli Incas. Si chiama Pachacàmac, dal grande tempio maggiore a<br />
piramide in onore del Creatore supremo, questo il significato del termine. C’è un bel<br />
museino. E’ una vasta città fatta con mattoni di fango. Salire in cima alla piramide è<br />
affascinante, si domina un vasto territorio di pianura costiera diritta, stupenda vista<br />
sull’oceano dai sedili sacerdotali che ci sono in cima. In un palazzo ancora ci sono resti<br />
delle pareti rosse con disegni giallini di animali (o di simboli di divinità). Ancora Hernando<br />
Pizarro fu ospite in un palazzo di fianco a questo, Tauri Chumpi, sede del curaca, il<br />
governatore, e già nel 1596 un cronista spagnolo ne parla al passato, come di una città<br />
completamente abbandonata in rovina, distrutta, sui cui templi egli fa solo supposizioni...!<br />
Bella e suggestiva la vastità del grande Acllahuasi, Palacio de las Mamacunas (o mujeres<br />
escogidas), o Palazzo delle Sorelle del Sole, che forse è conservato molto meglio di tutto<br />
il resto perchè è tardo, è stato costruito dagli Incas, e con uso di pietre, ma è stato un po’<br />
troppo restaurato e in varie parti ricostruito. Al bar del museo, c’è un cane stranissimo,<br />
grigio a pelo corto, magro, che è di una razza proprio autoctona peruana.<br />
Oramai siamo entrati nella sterminata periferia di Lima, con casupole frammiste a<br />
baracche. Attraversiamo i vari borghi che la compongono, passando per zone moderne, e<br />
ritorniamo a Miraflores nello stesso hotel. Paghiamo Lino, e ci salutiamo cordialmente con<br />
grandi abbracci.<br />
Ci scambiamo posto letto in camera perchè non sembri tutto uguale a prima, quasi non<br />
fosse passato tutto questo ricco e intensissimo intervallo di tempo di due settimane....<br />
Passeggiamo sul lungo mare, e andiamo a Larco Mar al centro commerciale di fronte al<br />
Marriott’s, dove compriamo gli ultimi souvenirs al bellissimo negozio di artigianato dove<br />
c’è una favolosa svendita. Poi ceniamo. Il pranzo a Lurìn però è stato pesantissimo e
micidiale per la digestione, quindi stiamo molto leggeri e poi in camera utilizziamo<br />
finalmente le medicine che ci eravamo portati, prendendoci un digestivo in pillole.<br />
Ripensiamo alle belle giornate passate e cerchiamo una soluzione per far stare tutte le<br />
cose che abbiamo comperato, dentro alle valige.<br />
mercoledì 28<br />
Ci sentiamo con Angel e con Héctor. Andiamo al Museo di Antropologia, che è<br />
semplicemente favoloso e molto ben fatto, peccato che come al solito non ci sia una<br />
guida del museo, un catalogo, un opuscolo, addirittura manca una cartolina di quello che è<br />
il pezzo più famoso, che costituisce l’attrazione, e che è giustamente posto proprio<br />
nell’entrata, in vista di chi sta pensando se vale o no la pena di comprare il biglietto, cioè la<br />
“Stele Raimondi”, scoperta a Chavìn dall’archeologo italiano. Come pure manca una<br />
cartolina o un dépliant della sala del sito archeologico principale dei Chimù, con il suo<br />
Totem, e che qui è posta all’interno di una serie di gigantografie a parete dell’intorno con<br />
effetto suggestivo. Comunque il Museo è veramente ricco e stimolante, e vederlo dopo un<br />
giro per il Paese è la cosa migliore. Dietro all’edificio c’è una parte con uffici di istituti di<br />
ricerca, certo ciò fu concepito e voluto così nel 1945 dal grande archeologo e antropologo<br />
peruano JulioTello. Mi rendo conto di quanto sono ignorante di storia del sudamerica e<br />
delle sue straordinarie civiltà, e penso al nulla totale che ne sanno gli studenti universitari<br />
che abbiamo alla Facoltà di Lettere, e mi fa molto dispiacere.<br />
Qui si vede bene come i Re Sole, Inca o Inka, che dal Cuzco unificarono le Quattro Parti<br />
del Mondo, Tawantinsuyo, sotto il loro imperio, sono solo l’ultima e più breve espressione<br />
storica delle civiltà sudamericane. Soggiogarono i Chimù per impossessarsi dei loro<br />
segreti di oreficeria, e di varie arti, sovrapposero i loro templi e palazzi a quelli precedenti<br />
Wari o Mochica, o altri. E così fecero del Cuzco l’ombelico del mondo, quando la<br />
chaqàna, la “croce” andina aveva già da secoli al centro un foro, simbolo del centro<br />
cosmico, del centro magnetico della terra, dell’ombelico, del punto di equilibrio, o punto<br />
centrale. Già si erano sviluppate tecnologie, di cui si appropriarono, sapendole unificare<br />
alle proprie e tra loro, come quella di indirizzare con canali le acque sotterranee, o di<br />
terrazzare le coltivazioni, o quella di costruire sovrapponendo pesanti massi perfettamente<br />
incastrati a secco tra loro e poi lisciati. Ma anche assumendo i simboli delle altre culture<br />
soggette. Ben illustrate in queste sale le stratificazioni sociali, le conoscenze scientifiche e<br />
tecniche, le attività economiche e la loro organizzazione, i vari sistemi di pensiero e di<br />
credenze.<br />
Che bellezza strana e affascinante ha la Stele Raimondi! Che è quasi del tutto occupata<br />
dall’illustrazione enfatizzata del copricapo di un piccolo omino-sentinella; si fatica ad<br />
adattare l’occhio e abituarsi a quella rappresentazione. Aiuta molto a focalizzare ciò che è<br />
raffigurato con questo stile inusitato, il bel disegno che un archeologo tedesco fece per<br />
mostrare come sarebbe il personaggio se fosse visto di lato anzichè frontalmente, e<br />
questo spiazzamento di prospettiva è sufficiente per imparare a guardare e decifrare<br />
l’incisione sulla stele.<br />
Impressionanti le mummie Paracas con i loro capelli di due metri, e soprattutto i tessuti,<br />
che presuppongono, oltre ad un raffinato gusto estetico, una alta capacità tecnica per<br />
riuscire a raggiungere quei risultati pur con un telaio e strumenti molto semplici.<br />
Queste antiche, come quelle delle popolazioni attuali delle montagne, sono culture legate<br />
alla Natura. Nella loro logica, una cosa che non conosci e non capisci, la puoi intendere se<br />
la compari a quell’altra che già ti è nota e che già hai decifrato o interpretato. La<br />
similitudine che può emergere da un approccio comparatista, instaura un legame, che<br />
connette le cose tra loro, che fa entrare nella rete conoscitiva ed esplicativa anche il
nuovo. Permette di cominciare a partire da un nucleo, a classificare e tipizzare. L’oracolo<br />
traeva gli auspici da vari segni, poichè il concetto di base è che tutto è interconnesso.<br />
Mentre noi razionalisti tendiamo a dire, no questo non c’entra, le varie cose, gli eventi,<br />
sono connessi solo con la rete di ciò che ha a che vedere l’un con l’altro, e soprattutto con<br />
ciò che è legato da un passaggio di causa / effetto. Siamo noi che stabiliamo a priori cosa<br />
sia connesso e connettibile, mentre loro non sapendo, modestamente non giudicano, non<br />
discernono, non scindono, e danno tutto per interconnesso. Quindi dai granelli di polvere<br />
nell’aria, dai residui di sabbia nell’acqua, dalle viscere degli uccelli del cielo, dalle voci del<br />
vento, dalla disposizione dei resti del fuoco, possono sentirsi legittimati a dedurre delle<br />
concomitanze, e delle spiegazioni quindi, dell’andamento del mondo vivo in quel preciso<br />
frangente.<br />
Bisognerà visitare le altre parti di questo grande Paese. Grande è l’interesse<br />
antropologico, folklorico, storico, oltre che naturalistico di questo grande Perù.<br />
Fuori per fortuna c’è un negozio di una signora anziana con la sua gentile figlia un po’<br />
“ritardata”, che vende più a buon prezzo le stesse poche cose del negozio del museo, e<br />
tante, troppe, altre belle cose. E ci sono finalmente anche dei libri, degli opuscoli su vari<br />
siti archeologici !<br />
Ci incontriamo con Héctor in quel ristorante buffet vicino all’ovalo stradale, dove eravamo<br />
già stati, “Aromas Peruanos” . Las chicas mi (ci) riconoscono, e sono cordiali. Mangiamo<br />
bene, ma mi sarei dovuto tenere più leggerino, perchè purtroppo sono ancora un po’<br />
disturbato di stomaco.<br />
Poi passeggiamo per la zona dei grattacieli delle grandi società multinazionali e delle<br />
banche mondiali, e del Potere Finanziario Globale.<br />
L’autostrada urbana qui ha 12 corsie, e sottopassi veloci, con un flusso di traffico continuo<br />
e intenso.<br />
Fa caldo, il sole è caliente appena il cielo si va despejando, e poi fa de repente freddino<br />
per l’umidità che si sente appena il cielo diviene nublado, per effetto del vento fresco che<br />
viene dall’oceano. Cambiamenti continui. Ci fermiamo in un bar a chiacchierare. Angel e<br />
Héctor parlano di una concessione per lo sfruttamento di un’area ricca di sabbia aurifera<br />
che Héctor ha individuato in uno dei suoi viaggi di lavoro all’interno. Ha preso la<br />
concessione per sei mesi, ma ora necessiterebbero capitali, se noi volessimo potremmo<br />
metterci tremila €uro a testa, e sarebbe sufficente per affittare i macchinari e pagare la<br />
manodopera per il tempo che grossomodo dovrebbe bastare per estrarre un chilo d’oro,<br />
dopodiché sarebbe sempre tutto di guadagnato. E’ veramente sorprendente per noi<br />
pensare come qui abbiano recursos naturales, lavoro a buon mercato, ma non abbiano<br />
fundos (capitali a disposizione), equipos, attrezzature adeguate, tecnologie aggiornate...<br />
(e però nemmeno intralci giuridici...). Mentre da noi è l’inverso; per questo ci risulta difficile<br />
crederci. Chi ha spirito imprenditoriale e d’azzardo, come sembra l’abbiano molti<br />
nordamericani, viene qui e si porta via tutto, mentre il ceto dirigente di qui si gode i frutti<br />
monetari delle percentuali, con cui può vivere strabenissimo, visto il basso costo della vita<br />
se calcolato in dollari.<br />
Alla sera con Angel andiamo a un ristorante argentino, dove mangiamo un cuadrìl, cioè un<br />
gran pezzo di manzo da mezzo kilo ! a testa, tenerissimo, magrissimo, alto, saporito.<br />
Straordinario. Più “liscio” e nutriente di così...<br />
Poi andiamo nella bella piazza Haiti, in un bel bar all’aperto, per il solito mate de coca. C’è<br />
arietta fresca, passeggio di graziose signorine, una bella piazza molto ampia, ben<br />
illuminata,con tanto verde. C’è pure un mercatino dove trovo da prendere gli ultimissimi<br />
acquisti. Giriamo in una zona piena di bar, ambiente simpatico, giovanile, musica.<br />
29 aprile
Non mi sento bene. Passo tutto il giorno in camera. Ben e Angel escono. Sto male. Mi è di<br />
grande aiuto e conforto e assistenza Soledad, la giovane direttrice dei servizi alberghieri,<br />
è lei che me cuida con solicitud y cariño.<br />
venerdì 30 aprile <strong>2004</strong><br />
Partiamo, attraversiamo di nuovo tutta Lima. Bei quartieri con casette di una volta a un<br />
solo piano, bei giardinetti. C’è un bel paséo in mezzo ai grandi vialoni alberati, con<br />
panchine e fiori. Molte delle ville più grandi e belle sono ora ambasciate. E’ il borgo, la<br />
Municipalidad, detta Magdalena. Ad ogni cambio di municipalità cambia anche l’atmosfera<br />
complessiva. Sempre autostrade urbane con 8 o <strong>10</strong> corsie, giardini, verde in mezzo. Zone<br />
commerciali, parchi, zone popolari, zone moderne, zone caos-sporcizia-puzza. eccoci<br />
all’areoporto. Arriveremo a Bologna domani 1° maggio alle ore 23.<br />
Fine (per ora).<br />
- - - - - - - - - - - - - -<br />
appunti generali<br />
la Repubblica del Perù si estende su un milione e trecentomila kmq (l’Italia 300.000), e<br />
conta 26 milioni di abitanti registrando un forte incremento, dell’1,7% annuo (It. 0,2), dato<br />
un tasso di natalità del 28 x<strong>10</strong>00 (It. 9) e una media di 3,2 figli per donna. E’ tuttavia<br />
all’82° posto nel mondo per gli indicatori sociali, avendo un dieci per cento di analfabeti<br />
(ma è del 18% tra le donne), 1,8 posti letto ogni mille abitanti (It. 5), e un apporto medio di<br />
2500 calorie al giorno per abitante (It. 3680), la mortalità infantile registra un tasso tra il 1°<br />
e il 5° a. di vita di 39/40 (It. 4,3 / 6), e quella materna per parto di 270 x<strong>10</strong>00 (It. 7), ma è il<br />
doppio nelle campagne; la disoccupazione è sull’ 8%, ed il suo prodotto nazionale lordo<br />
pro capite non raggiunge i duemila dollari (It. 20400).<br />
FLORA (ricchissima e variatissima)<br />
Sulla Costa spesso la vegetazione è scarsa, o limitata a una stretta fascia di terreno, ed è<br />
costituita da macchie e cespugli. Predomina nel sud per migliaia di kilometri quadrati un<br />
territorio arido se non desertico con -lungo la zona rivierasca- il cosiddetto clima<br />
desertoceanico caratterizzato da brume e nebbie, data la corrente fredda di Humboldt<br />
nelle acque costiere, che depositano sulla superfice terrestre la garùa, la rugiada<br />
mattutina.<br />
Lungo i fiumi invece è più ricca e ci si addentra seguendo i fondovalle verso la montagna.<br />
Moltissimi fiori di vari tipi, dimensioni, colori. Vi sono libri che riportano fotografie dei più<br />
diversi fiori presenti per pagine e pagine.<br />
Anche qui però sono molte le aree sassose o spoglie con alcune piante e fiori, erbe a<br />
ciuffi e cespugli aromatici. Inoltre acacie a boschetti, eucaliptus qua e là. Nelle parti aride<br />
vari tipi di cactus di diverse forme e dimensioni. Invece nelle zone più basse e calde delle<br />
vallate, ci sono palme da banane, canneti, e vegetazione intricata e fitta.<br />
Sulla Sierra grandi presenze di piante grasse, piante tuberose. Nella cordigliera<br />
occidentale (Blanca) verso i 3000 metri vi è una vegetazione di tipo alpino, oppure più in<br />
alto una rada vegetazione (la jalca) tipo steppa con cespugli duri. Alberi di sambuco.<br />
Sui vastissimi altopiani, la puna, con una graminacea detta paja. Nella cordigliera centrale<br />
e in quella orientale (Negra) ci sono piante che forniscono le fibre per la paglia da<br />
intrecciare, cosiddetta “panama”, la coca con le sue ampie foglie, la chinchona che<br />
fornisce utili cortecce. Eucalipti, palissandro, cedri. Nei più elevati altopiani, sterminati, ci<br />
sono solo muschi e licheni.
FAUNA (ricchissima e variatissima)<br />
Volatili - Sulla Costa si vedono cormorani, pellicani, gabbiani, polli, uccellini colorati e<br />
pappagallini nelle macchie verdi. Sulla costa meridionale e <strong>sulle</strong> isole, vi sono anche leoni<br />
marini, trichechi, piccoli pinguini, procellarie, fennicotteri.<br />
Lungo le vallate in cui scorrono i fiumi, aumenta la presenza di polli, tacchini, papere,<br />
oche, uccelli colorati e pappagallini, libellule e farfalle, nonchè mosquitos e zancudos<br />
(varietà di zanzare); si aggiunge nelle parti più alte e fresche il falco, il gallinazo, e vari<br />
pajaros grandi. Sulla Sierra si trovano anche grandi fennicotteri, aquilotti e aquile, e in alto<br />
il condor.<br />
Animali di terra - Lungo la fascia costiera ci sono asini, buoi e vacche, maiali (quelli pelosi<br />
neri o marroni detti chanchos), pecore, nei boschi ci sono cavalli. Sulla cordigliera ci sono<br />
anche tori, agnelli, capre e caproni, marmotte, sugli altopiani della sierra si trovano il<br />
llama, l’alpaca, e in alto il guanaco, la vicuña. Presso i nevados la vizcaccha, il chinchilla.<br />
In certe zone più selvagge e spopolate c’è il puma, nella selva il giaguaro, tapiri, armadilli,<br />
formichieri. Un po’ ovunque si possono trovare vipere, bisce, serpenti, e ragni di varie<br />
razze e dimensioni.<br />
AGRICOLTURA<br />
Circa l’uno e mezzo per cento del territorio peruviano è adibito a coltura, un terzo di esso<br />
si trova lungo la costa. Qui si trovano coltivazioni di cotone, canna da zucchero, riso, e<br />
altro. Lungo le vallate vi sono piantagioni di banane o di palme da dattero, ananas, palme<br />
da olio come la aguaje, e caffé, nelle zone caldo-umide; oppure agrumi, coca, o vigneti<br />
nelle valli più temperate. Inoltre piante da frutta, come i fichi, le albicocche, le pesche,<br />
papaie e manghi e altro, e fagioli, manioca e yucca. Sulla sierra patate, maìs, coltivazioni<br />
di anice, liquerizia, grano, orzo, quinoa, ma anche cacao. Nelle zone montagnose più<br />
elevate e sugli altopiani si coltivano erbe medicinali o curative, come la kiwicha, la maca,<br />
e la chinchona (da cui si estrae il chinino). Tra la produzione di legname vi è il cedro, il<br />
mogano e il cetico nei territori forestali a clima equatoriale di tipo pluviale.<br />
RECURSOS NATURALES, cioè le risorse minararie<br />
Sono moltissime e ancora da valorizzare. Si va dall’oro all’argento, al ferro, piombo, rame,<br />
zinco, al petrolio, al metano, ai fosfati. E’ ancora in corso la identificazione di giacimenti, e<br />
non è facile poi comunque la loro valorizzazione e il loro sfruttamento e conseguente<br />
lavorazione, distrubu-zione e infine commercializzazione. E’ dunque ancora in atto una<br />
corsa selvaggia ad appropriarsi di tali immense ricchezze naturali di questo sterminato e<br />
variato paese che è ancora privo delle necessarie infrastrutture per le cominicazioni, per il<br />
rifornimento di energia elettrica, nonchè privo di tecnologie, professionalità specifiche,<br />
attrezzature, e infine finanziamenti. Si sta intanto completando la sua conoscenza con<br />
carte tratte da foto satellitari, e con la prospezione di vaste aree. Inoltre la scarsa<br />
diffusione e densità della popolazione rende il lavoro di valorizzazione ancora più<br />
difficoltoso.<br />
Lungo la costa e <strong>sulle</strong> isole è abbondantissima la presenza di guano prezioso per<br />
l’agricoltura e l’industria chimica. Grandi le prospettive per l’industria peschiera e ittica<br />
nelle acque dell’oceano pacifico. Immensa la potenzialità della selva amazzonica per i<br />
suoi fiori, cortecce e legname, nonchè per lo sconosciuto sottosuolo.<br />
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