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GiUliANO AGRESti, UN vEScOvO AttENtO Ai SEGNi dEi tEMPi

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Veramente l’Agresti è stato uomo e vescovo del dialogo e dell’apertura al nuovo<br />

e tuttavia porterà sempre una certa fatica ad accogliere subito e senza resistenze<br />

le voci profetiche più dirompenti che la Chiesa germinava dal suo stesso interno.<br />

Certo s’imponeva un’opera di leale discernimento per riconoscere l’opera<br />

della grazia nella tumultuosa vicenda dell’Isolotto e in alcuni scomposti atteggiamenti<br />

postconciliari. Era attento a cogliere la lezione esemplare di don Facibeni e<br />

del suo amato cardinale, come anche l’apporto spirituale di Barsotti, di Lazzati e<br />

di Giuseppe Dossetti, ma, come riconoscerà con umiltà in seguito, non aveva strumenti<br />

adeguati per accogliere con tempismo l’antipolitica di La Pira, la parresia<br />

sapienziale di don Mazzolari e, soprattutto, la dissonante voce profetica di don Milani.<br />

Più che di resistenze, dovute a ottusità e pregiudizi davanti a chi non aveva<br />

ritegno a uscire dagli schemi preordinati, si trattava per l’Agresti di riluttanze per<br />

una concezione idealizzata e schierata della Chiesa e del cristiano che ancora assegnava<br />

uno spirito di operosa conquista alla generosa azione pastorale del ministro,<br />

immaginando che le risorse umane poste al servizio dell’apostolato potessero<br />

generare frutti di conversione abbondanti e genuini. Concezione “interventista”<br />

dell’azione pastorale che vagheggiava di superare il ritardo epocale della chiesa<br />

con una rinnovata offerta di disponibilità del cristiano al servizio disinteressato.<br />

La lotta alle forze ostili del mondo si tramutava in una ricerca di consenso, in<br />

un’attesa di successo pastorale procurato da una dubbia voglia di piacere agli uomini<br />

oltre che a Dio: dov’è scritto che i preti si devono fare amare? Carità pelosa e<br />

ambigua che rischiava di offuscare la differenza cristiana e di rendere innocuo il<br />

Vangelo, come gridava inascoltato don Milani.<br />

In quest’ottica chiaroscurale si deve riconoscere la costanza con cui da pastore<br />

perseguirà questo disegno di benevola e fiduciosa apertura al mondo e ai fratelli,<br />

ma anche verso chi si dichiarava lontano o era nell’afflizione e nella prova.<br />

L’hanno sperimentata in molti la tenacia quasi infantile con cui non si rassegnava<br />

a perdere chi si diceva in crisi, specie tra i suoi preti. Ma anche la sua scorata<br />

e penosa rinuncia quando i ponti venivano spezzati e la sua eccessiva timidezza<br />

ostacolava la ripresa di un contatto. Vocazione al dialogo e attitudine alla riconciliazione<br />

quasi come imperativo pastorale, dovuto, più che a una comprensione ingenua<br />

della storia, alla innocenza della sua visione provvidenziale di bimbo povero<br />

che aveva conosciuto i rigori del freddo e i morsi della fame, come descriverà con<br />

schiettezza e pudore nell’Elogio della fatica. Una coscienza candida conservata in<br />

un cuore di fanciullo, sempre capace di meraviglia, che non finiva di stupirsi degli<br />

splendori del creato così come di crucciarsi delle ordinarie bugie dei suoi preti e<br />

dell’invincibile doppiezza del mondo clericale. La disciplina di severa ascesi volontaristica<br />

in cui era stato formato doveva stemperarsi un po’ per volta in un abbandono<br />

fidente e lo sforzo personale di sequela doveva lasciare sempre più spazio<br />

all’umile richiesta di aiuto. Il passaggio dalla conflittualità all’accordo, dalla distanza<br />

alla fiducia non era automatico e soprattutto non poteva ignorare o saltare<br />

lo scandalo della croce. C’era già qualcuno che a metà degli anni 50, ammoniva che<br />

la ricreazione era finita e che doveva cambiare il modo di vivere il ministero, anche<br />

se ancora oggi qualcuno, in alto e in basso, non se n’è accorto. Il ritardo nel capire<br />

la dissonanza della provocazione profetica era servito all’Agresti; lo aveva<br />

educato a riconoscere per tempo la mutazione epocale avvenuta nel tessuto sociale<br />

delle nostre Chiese, come si può vedere dalla lucida Lettera inviata in occasione<br />

della Visita pastorale del 1979.<br />

Uno scritto, indirizzato «al Popolo di Dio» della sua Chiesa che segna, a mio<br />

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