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GiUliANO AGRESti, UN vEScOvO AttENtO Ai SEGNi dEi tEMPi

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3. Canto dell’anima. Poesie e concerto<br />

Abbiamo inoltre curato la stampa di un piccolo ma prezioso documento. Sono<br />

15 poesie scritte e lette dallo stesso Agresti. Ci sembrava doveroso ricordare la personalità<br />

poliedrica di mons Agresti anche con uno sguardo alla sua spiccata attitudine<br />

artistica. Questo sguardo all’amore di Agresti per l’arte ci fa conoscere un<br />

lato, forse meno noto, ma che è essenziale per cogliere il senso del suo magistero.<br />

Infatti è centrale nella vita di Agresti la ricerca del bello. Abbiamo per questo voluto<br />

iniziare il ricordo di Agresti con un concerto di musiche bachiane a lui dedicato.<br />

Al termine del concerto, ho raccolto la testimonianza – non richiesta ma<br />

spontanea – del maestro Herbert Handt il quale commosso mi ha voluto dire quanto<br />

avesse stimato Agresti, e quanto fosse stato colpito dalla sua musicalità. «Era<br />

un vero musicista, mi ha detto, con lui abbiamo parlato di Musica e quando si è<br />

trattato di aiutare e favorire la musica l’ha sempre trovato disponibile».<br />

A fronte di questa sua spiccata capacità artistica, testimoniata dalle sue poesie<br />

dai suoi quadri, colpisce il fatto che non abbia dedicato al tema della bellezza<br />

una particolare riflessione. Senza dubbio sono onnipresenti nelle sue opere e nelle<br />

sue omelie i riferimenti alla bellezza. Quello che intendo dire è che, a fronte della<br />

centralità che la bellezza ha avuto nella vita di Agresti, manca una approfondita<br />

considerazione teologica del tema. Ha scritto l’elogio della fatica, della gratuità,<br />

una teologia della gioia, ma non una teologia della bellezza, pur avendo tutta la<br />

competenza e la sensibilità per farlo. Se da una parte manca in Agresti una “teologia<br />

estetica”, si può dire che la sua sia stata una “estetica teologica”, dove il contenuto<br />

di ciò di cui di volta in volta parlava o scriveva fa tutt’uno con la bellezza<br />

della forma. Si perde la ricchezza del contenuto se si prescinde dalla sua forma.<br />

Oserei di più: non solo in Agresti forma e contenuto sono inscindibili, ma anche<br />

il suono della sua voce è parte integrante di forma e contenuto. In Agresti anche<br />

il tono della voce contribuisce a dare forza e a comunicare in maniera quasi<br />

performativa. Certo si può leggere e troviamo sempre incredibilmente bello, il suo<br />

modo di scrivere ma attraverso la sua voce le parole si caricano di profondità e di<br />

significati particolari. Leggevo sulle pagine di Avvenire di due domeniche fa questo<br />

giudizio riferito a Henry Newman:<br />

«La sua voce dal pulpito possedeva un fascino veramente speciale. Sono sicura<br />

che nulla di tale fascino sia andato perduto e anche che, col passar del tempo,<br />

esso sia ulteriormente cresciuto: infatti, se c’è un tratto comune che emerge dagli<br />

scritti, è che tutti hanno una “voce”, una voce che è sua e di nessun altro. E perlomeno<br />

per me, questa voce non manca mai di risuonare con eccezionale intensità<br />

dalle sue pagine, per quanto vecchio e ammuffito sia il libro che le contiene»<br />

Per non perdere questa «inconfondibile» voce, abbiamo corredato il fascicolo<br />

con la voce stessa di Agresti che recita le sue poesie. Ma non solo. In occasione di<br />

questo anniversario abbiamo fatto una ricerca presso le teche della RAI. Cercavamo<br />

la registrazione di quei colloqui mattutini che andarono in onda nell’estate del<br />

1987 che poi Cittadella ha pubblicato nel volume “Tempo pellegrino”. Abbiamo sco-<br />

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