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GiUliANO AGRESti, UN vEScOvO AttENtO Ai SEGNi dEi tEMPi

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do ti lascia la speranza perché lì è Dio stesso che, infine, ti abbandona. Come fu<br />

per Abramo, come accadde al Figlio sulla croce.<br />

E ancora: «Che storia è quella dell’uomo di Cirene, che c’entra lui con la croce»?<br />

— Sì, francamente la sua vicenda è banale, la sua volontà irrisa, il disegno solo<br />

casuale; non per suo desiderio o per scelta intrepida condivise le sofferenze di<br />

Cristo e ne portò la croce; ma perché costretto, perché forzato, perché violato ci dicono<br />

i vangeli (Mc 15,21; Mt 27,32e Lc 23,26).<br />

Allora s’acquietava e dalla sua pudica mutezza traeva un mormorio litanico<br />

che diveniva quasi un canto che gli procurava luce e pace:<br />

«solo così, solo così», ripeteva,<br />

«solo perché forzati<br />

si porta la sua croce;<br />

solo così, solo così».<br />

Poi fu il buio e un attendere ansioso la luce del cuore più che il bruzzolo dell’alba<br />

fino a quel suo progressivo spegnersi e tacere dove ha conosciuto la prova finale<br />

che lo ha consacrato vescovo e discepolo. L’ardente cantore del dono che aveva<br />

scritto pagine elevate sulla “santa morte” come ultima risposta d’amore da offrire<br />

all’Amore crocifisso sperimentava adesso la sua afasia interiore davanti al silenzio<br />

della Parola che «tutto scopre e taglia» e chiedeva inesausto: «quanto manca<br />

al mattino, quanto ancora»?<br />

Quando parlava della fede, anzi della «fede terribile» che lo spingeva a descrivere<br />

anche la fredda estate dei morti come dolce e gaudiosa; quando si attardava<br />

a contestare il rifiuto della morte di certa cultura disegnando scenari di speranza<br />

dove pessimisti e apocalittici erano gentilmente congedati; quando invitava ad<br />

ascoltare i mistici illuminati della fede per cacciare ogni forma di turbamento e di<br />

malinconia che facevano precipitare l’incontro con la fine in tragedia, non aveva<br />

ancora fatto esperienza del morire come continuo finire. Ma quando sorella morte<br />

per lui si svestì di ogni orpello letterario, di ogni figurazione simbolica e di ogni enfasi<br />

spirituale e, spiccia e gelida, accennò a mostrare il nulla del suo volto, allora<br />

per lui fu subito la fine. Due svuotamenti progredivano in lui di pari passo raggiungendo<br />

vertici di “vanità” e di non senso tragici e opprimenti: quello del suo incessante<br />

sciogliersi ma, soprattutto, l’impressionante e reale svuotamento divino<br />

della sancta et individua trinitas. Il suo luogo teologico di riferimento era diventato<br />

il libro del Qohelet che accostava con estremo riserbo accompagnandolo con il<br />

sospiro dei Salmi.<br />

Nell’ultima settimana il suo parlare era divenuto sempre più fioco e indistinto<br />

e mormorava suoni, fonemi per noi incomprensibili e oscuri. E quando finalmente<br />

Marisa, la sorella tenerissima, riuscì a connettere le sillabe di quello che a<br />

noi sembrava un bofonchìo lento e svigorito e gli chiese: «o Giulianino, o che tu sei<br />

tentato»? La sua risposta, accompagnata da uno sguardo che invocava conforto e<br />

sostegno, fu nitida e implorante: «a la grande, a la grande»! Per molti giorni, nell’ora<br />

della morte, aveva di continuo borbogliato quella preghiera per noi lontana e<br />

impensabile sulle sue labbra: «non c’indurre in tentazione». Uscì da questo affannoso<br />

e cupo torpore d’improvviso una mattina della metà di settembre, quando sollevandosi<br />

da solo sul letto e fissando con occhi grandi la bianca e nuda parete, con<br />

voce inaspettatamente forte e chiara, carico di stupore ci gridò: «allora c’è; l’è vero,<br />

l’è vero», appena contrariato dal nostro smarrito non capire e non vedere nulla,<br />

continuando a dire «l’è vero, l’è vero»!<br />

Negli ultimi due giorni, fu un affiorare e uno sprofondare, accompagnato da<br />

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