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GiUliANO AGRESti, UN vEScOvO AttENtO Ai SEGNi dEi tEMPi

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Ignazio di Antiochia lo spingeva verso una riflessione teologica innamorata del<br />

bello, verso un’estetica teologica vivida, fervida d’immagini e ricca di simboli nuovi<br />

e coinvolgenti che tendevano a trasfigurare l’ordinarietà della testimonianza<br />

cristiana in un percorso di luce e di gloria, di cui fanno fede anche i suoi dipinti segnati<br />

da lievità e innocenza oltre che i suoi scritti agiografici. Dal Ritratto di un’espropriata<br />

della povera Gemma, alla Vita nuova di Francesco d’Assisi, dall’Eroismo<br />

della carità di don Pietro Bonilli alla vita di S. Antonino Arcivescovo dei ronzini,<br />

si possono trovare in queste opere dal valore discontinuo, come in altri scritti<br />

di più sicura presa come l’Elogio della gratuità e Le fragole sull’asfalto, i suoi<br />

sempre più pressanti e convinti riferimenti al mistero ricapitolativo di tutta l’esperienza<br />

cristiana: il perdersi a motivo di Cristo e della sua Parola, quello svuotamento<br />

progressivo del discepolo che consegna, scrive l’Agresti, il dilatarsi schivo<br />

della gloria di Cristo nell’uomo in proporzione dell’espropriazione umile e povera<br />

accolta per amore del Vangelo.<br />

Si diceva in principio di quel filo rosso che collega in sequenza unitaria gli atti<br />

scomposti e isolati di un’esistenza cristiana; una traccia toccante di questo percorso<br />

inclusivo resta nell’immaginetta ricordo della sua ordinazione sacerdotale<br />

del ’45, dove scrive che «il vero Prete […] tanto più grande più soffre»; pensiero ripreso,<br />

forse inavvertitamente, nelle parole del suo congedo terreno nella Lettera<br />

ai diocesani pochi mesi prima di morire: «quando il vescovo più soffre, tutta la sua<br />

Chiesa viene misteriosamente promossa». E a non pochi di noi confidava: «solo ora<br />

sto imparando a essere e a fare il vescovo». Chi ha potuto ascoltare o leggere le sue<br />

ultime omelie e i suoi ultimi scritti può valutare le tappe di questo percorso di<br />

svuotamento, di rimpicciolimento che lo ha preparato a vedere «quel volto di Dio<br />

che quaggiù ha cercato con entusiasmo». Apertura ai «segni dei tempi» non vuol<br />

dire adattarsi alla triste e garrula mondanità del mondo, ma un aprirsi con timore<br />

e tremore, e tuttavia con «invincibile gaudio», allo scandalo della croce, per giudicare<br />

tutto secondo l’ottica inquietante de la «folie de Dieu», della stoltezza sconvolgente<br />

di un Dio che a programmi, a piani, a progetti senza amore, come ricordava<br />

la piccola Teresa, continua a preferire un amore senza progetti.<br />

Apertura che si consoliderà nei meandri dell’opaca ferialità, scontrandosi con<br />

la pesantezza del quotidiano con cui anche i vescovi si devono misurare. Un percorso<br />

che qui non possiamo seguire nel suo sviluppo storico ma che ha forgiato la<br />

speranza del vescovo Giuliano preparandolo ad aprirsi a Cristo crocifisso e al mistero<br />

del «dolore a goccia a goccia» verso «il viaggio mortale». Come ci hanno insegnato<br />

i sapienti scribi d’Israele solo «alla morte di un uomo si svelano le sue<br />

opere» (Sir 11,27). E di questo suo incontro con sorella morte si deve adesso accennare.<br />

Chi ha trascorso con lui all’ospedale Niguarda le notti interminabili dell’agonia<br />

sa di quel suo inesorabile sprofondare nel terreno sabbioso della prova che sopraggiunse<br />

repentina dopo l’ultima devastante operazione. Da quel momento la<br />

sua sofferenza dapprima smaniosa divenne remissiva, rassegnata ma ancora avida<br />

di ascolto anche se sembrava un «muto cercare senza invenimento».<br />

«Beppe, com’era la storia dei tre deserti, dei tre abbandoni»?<br />

— Tre sono i deserti nel cammino della vita. Il primo lo incontri, scabro e tormentoso,<br />

quando hai lasciato la vergogna dell’Egitto ma hai voglia delle sue cipolle.<br />

Il secondo, infido e rancoroso, quando scopri che nel viaggio sei solo, perché ti<br />

hanno lasciato i sicuri compagni dell’esodo gioioso. E il terzo deserto arriva quan-<br />

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