da scoto e suarez a rosmini i pericoli della falsa metafisica
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DA SCOTO E SUAREZ A ROSMINI<br />
I PERICOLI DELLA FALSA METAFISICA<br />
“Parvus error in principio est magnus in fine”<br />
(parte prima) - (parte secon<strong>da</strong>) - (parte terza)<br />
L’ontologismo o l’immanentismo moderno, che vanno <strong>da</strong> Cartesio a Malebranche sino a<br />
Rosmini e Gioberti, mascherati <strong>da</strong> “spiritualismo cristiano”, sono una variante del<br />
soggettivismo cartesiano e del criticismo kantiano, i quali vengono presentati -<br />
soprattutto oggi - come la “nuova” filosofia “perenne”, che avrebbe rimpiazzato la<br />
“vecchia” <strong>metafisica</strong> classica platonico-aristotelica e tomistica nella parte di ‘ancilla<br />
theologiae’. Ebbene questa è un’assurdità, evidente per quanto riguar<strong>da</strong> Cartesio e<br />
Kant, più subdolamente nascosta per Malebranche e soprattutto Rosmini. Tuttavia non<br />
si sarebbe arrivati al <strong>rosmini</strong>anesimo se non vi fosse stata l’involuzione <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong><br />
dell’essere tomistica con Scoto e Suarez, i quali aprono la via all’immanentismo e<br />
soggettivismo <strong>della</strong> modernità, pur non essendo in sé immanentisti e soggettivisti in<br />
maniera esplicita. Questo breve saggio vuole far capire il pericolo che si corre quando<br />
ci si allontana <strong>da</strong>lla <strong>metafisica</strong> dell’essere tomistica e ci si abbevera a fonti non ancora<br />
avvelenate, ma senza dubbio inquinate e torbide quali sono lo scotismo e il<br />
<strong>suarez</strong>ismo, che possono condurre all’avvelenamento.<br />
*<br />
1
I Parte<br />
Introduzione allo scotismo<br />
*<br />
La vita<br />
Personalmente Duns Scoto (+ 1308)<br />
fu un uomo di Dio, un vero mistico,<br />
un gran mariologo, specialmente per<br />
quanto riguar<strong>da</strong> la ‘Immacolata<br />
Concezione’ di Maria, la sua<br />
‘Corredenzione’ secon<strong>da</strong>ria e<br />
subordinata a quella di Cristo e la di<br />
lei ‘Mediazione universale’ di ogni<br />
grazia.<br />
La dottrina scotista<br />
Tuttavia, <strong>da</strong>l punto di vista<br />
strettamente filosofico e più<br />
specificatamente metafisico, la<br />
dottrina scotista è “alternativa a<br />
quella di S. Tommaso, […] più<br />
oscura, […] meno ordinata e<br />
sistematica”. Le sue opere più<br />
famose sono i tre Commentari al<br />
Libro delle Sentenze di Pietro<br />
Lombardo. Di questi tre commenti il<br />
più importante è il primo o Opus<br />
oxoniense. Purtroppo nel 1277 il<br />
vescovo di Parigi Stefano Tempier<br />
con<strong>da</strong>nnò 219 proposizioni che,<br />
secondo lui, avrebbero riassunto la<br />
dottrina di S. Tommaso d’Aquino, confusa <strong>da</strong>l Tempier con il razionalismo di Sigieri di<br />
Brabante (+ 1284). La censura metteva in netta contrapposizione filosofia e teologia,<br />
ragione e fede e con<strong>da</strong>nnava come cattive la filosofia e la ragione naturale per affermare<br />
la validità <strong>della</strong> sola Rivelazione soprannaturale e <strong>della</strong> teologia. Una sorta di fideismo o<br />
“tradizionalismo francese” ante litteram. Assieme a Sigieri di Brabante (una regione divisa<br />
attualmente in due parti di cui una appartenente al Belgio e l’altra ai Paesi Bassi) veniva<br />
con<strong>da</strong>nnato il razionalismo di Avicenna (+ 1037) ed Averroè (+ 1198) e si confondeva<br />
l’aristotelismo interpretato in maniera razionalista <strong>da</strong> questi due pensatori arabi con la<br />
<strong>metafisica</strong> aristotelica e soprattutto tomistica. Il pensiero di S. Tommaso fu frainteso <strong>da</strong><br />
Stefano Tempier ed accomunato, ingiustamente, a quello di Averroè ed Avicenna.<br />
2
Partecipazione, causalità e analogia<br />
L’Angelico distingue nell’ente finito o creato l’essenza che ha o riceve l’essere. Mentre<br />
l’Ente infinito o increato, che è Dio, è un Essenza che è il suo stesso Essere. Ogni ente<br />
creato riceve o partecipa l’essere <strong>da</strong> Dio.<br />
Da questa prima distinzione reale di essenza ed essere negli enti creati, l’Aquinate arriva<br />
alla nozione di causalità (Dio è incausato e Causa prima di ogni ente finito) e al concetto di<br />
partecipazione: Dio è partecipato <strong>da</strong> tutti gli enti, i quali sono partecipanti o effetti di Dio.<br />
L’ente finito o causato riceve, ha o partecipa in maniera limitata l’essere <strong>da</strong> Dio che è<br />
incausato. Come ogni effetto anche l’ente creato partecipa alla Causa che è Dio, ossia<br />
possiede, ha o riceve solo un effetto dell’Essere infinito (“partem-capere, ricevere una<br />
parte”), che è la Causa prima incausata.<br />
Partecipazione, causalità e analogia si richiamano a vicen<strong>da</strong>. Infatti l’analogia entis dice<br />
somiglianza relativa e dissomiglianza sostanziale tra causa ed effetto, partecipato e<br />
partecipante, Creatore e creature. L’analogia tomistica riprende la distinzione tra analogia<br />
di proporzionalità, che è di derivazione aristotelica, ed è piuttosto orizzontale in quanto<br />
mostra la composizione nella struttura dell’ente, l’ente è composto in ens ab alio ed Ens a<br />
se, ossia l’ente la cui essenza è distinta <strong>da</strong>ll’essere e l’Ente la cui Essenza è l’Essere<br />
stesso. Il concetto analogo di essere è predicato degli analogati simili solo relativamente al<br />
fatto di esistere, ma essenzialmente diversi nella loro sostanza. Per esempio Dio, l’angelo,<br />
l’uomo, la bestia, la pianta e il minerale sono simili quanto al fatto di essere/esistere ma<br />
la loro sostanza è totalmente diversa. Questa è la composizione nella struttura orizzontale<br />
dell’ente. Il Dottore Comune riprende anche il concetto di analogia di attribuzione che è<br />
tipicamente platonico ed è piuttosto verticale, in quanto mostra la dipendenza dell’ente<br />
<strong>da</strong>ll’essere. In senso stretto l’analogia di attribuzione riguar<strong>da</strong> un concetto analogo (per<br />
esempio la salute) che è predicato di un analogato principale (per es. l’uomo)<br />
intrinsecamente e formalmente. Ossia l’uomo è formalmente e in se stesso sano<br />
(attribuzione intrinseca). Mentre il concetto analogo è attribuito agli analogati secon<strong>da</strong>ri<br />
(colorito, passeggiata, clima, bistecca, urina) solo estrinsecamente, cioè la bistecca… non<br />
sono sani in se stessi e formalmente, ma la salute è predicata di loro in quanto sono<br />
effetto, segno, causa, mantenimento, analisi di essa (attribuzione estrinseca). Tuttavia per<br />
quanto riguar<strong>da</strong> l’essere l’analogia di attribuzione è chiamata anche analogia mista, ossia<br />
l’essere è formalmente in Dio, che lo causa nelle creature, le quali hanno l’essere in<br />
maniera limitata e finita, ma intrinsecamente e formalmente (l’angelo, l’uomo, la bestia,<br />
l’albero e il minerale) sono enti o hanno l’essere in maniera finita, ma realmente,<br />
formalmente, intrinsecamente e non solo per attribuzione estrinseca. Perciò il concetto<br />
analogo di essere si trova nell’analogato principale (Dio) formalmente, intrinsecamente ed<br />
eminentemente (Dio è l’Essere sommo o a se), mentre esso si trova negli analogati<br />
secon<strong>da</strong>ri (enti creati) per partecipazione e in maniera limitata o ab alio. Gli enti creati<br />
hanno, ricevono o partecipano l’essere in maniera finita, ma reale, intrinseca e formale,<br />
però non eminentemente.<br />
L’oblio <strong>della</strong> distinzione reale di essenza ed essere nelle creature (v. Scoto e Suarez) porta<br />
a dimenticare l’essere come atto ultimo e perfezione di ogni essenza, per focalizzare solo<br />
l’essenza dell’ente finito, che senza l’essere partecipato ab alio, ha fatto giungere la<br />
speculazione filosofica sino alla modernità (essenza umana scissa <strong>da</strong> Dio, il “panteismo<br />
3
immanentistico”) e al nichilismo <strong>della</strong> post-modernità (ente umano contro Dio, la “morte<br />
di Dio”). Invece l’essere come atto ultimo di ogni essenza e perfezione ci aiuta a cogliere e<br />
a parlare sulla verità oggettiva e reale di Dio, l’Essere stesso per sua essenza, il quale si è<br />
definito “Io sono colui che è ” (Ex., III, 14).<br />
Fede e ragione secondo Scoto<br />
Siccome Scoto aveva iniziato a studiare alla Sorbona di Parigi verso il 1280, quasi quando<br />
uscì la con<strong>da</strong>nna del Tempier (1277), ne fu influenzato enormemente e si formò in uno<br />
spirito eccessivamente anti-filosofico, come se la ragione e la filosofia fossero cattive in sé<br />
e non solo imperfette e perfezionabili <strong>da</strong>lla teologia e <strong>da</strong>lla Rivelazione. Perciò il sistema<br />
scotista fu un’antifilosofia, una ‘sola theologia’, una reductio philosophiae in theologiam<br />
ed un anti-tomismo radicale, avendo frainteso la vera dottrina tomistica. Quindi, mentre la<br />
<strong>metafisica</strong> tomistica è opera <strong>della</strong> ragione naturale, come deve essere la filosofia, ma<br />
conforme alla Fede, poiché non esiste una “doppia verità”: una di ragione e una di Fede,<br />
contrarie ma entrambe vere, la dottrina filosofica di Scoto, invece, è assorbita <strong>da</strong>lla<br />
Rivelazione quanto alla sostanza, anche se quanto al modo è rigorosamente ‘logica<br />
formalmente’, facendo una certa commistione e confusione tra ragione e Fede, filosofia e<br />
teologia, le quali invece sono distinte ma non contraddittorie.<br />
La ragione quasi distrutta <strong>da</strong>l peccato originale<br />
La ragione per il Dottor Sottile dopo il peccato originale è talmente guasta, che può<br />
filosofare correttamente solo se sottomessa alla Rivelazione. Invece la dottrina comune<br />
cattolica insegna che il peccato a<strong>da</strong>mitico ha ferito l’uomo, ma non ha distrutto le sue<br />
facoltà naturali. Quindi la ragione può riuscire <strong>da</strong> sé a conoscere la realtà e cogliere la<br />
verità naturalmente accessibile, senza dover necessariamente essere aiutata<br />
intrinsecamente <strong>da</strong>lla Rivelazione, la quale gioca un ruolo ausiliario estrinseco alla<br />
filosofia, come il paracarro di una via aiuta l’automobile a non uscire fuori stra<strong>da</strong>, o come<br />
la soluzione riportata alla fine del problema di matematica aiuta lo studente a vedere se<br />
nello svolgere il suo compito ha errato o ha colto la verità. Se il professore suggerisse ogni<br />
passo del problema allo studente, questi non imparerebbe mai la scienza matematica (al<br />
massimo la “crederebbe”) e la sua intelligenza si atrofizzerebbe, e se la gui<strong>da</strong> dell’auto<br />
fosse lasciata <strong>da</strong>ll’autista al paracarro, l’automobile non si sposterebbe di un passo.<br />
Certamente le circostanze storiche <strong>della</strong> con<strong>da</strong>nna di S. Tommaso <strong>da</strong> parte del Tempier<br />
hanno influito sullo scotismo, portandolo ad un eccessiva svalutazione <strong>della</strong> ragione e <strong>della</strong><br />
filosofia, ad un’erronea comprensione del tomismo, alla confusione di quest’ultimo col<br />
razionalismo di Sigieri, Avicenna ed Averroè e quindi ad una <strong>falsa</strong> lettura dell’aristotelismo<br />
concepito in totale contraddizione <strong>metafisica</strong> colla Fede e del quale si salva solo la ‘logica<br />
formale’ o le regole di ragionare correttamente.<br />
Per S. Tommaso la <strong>metafisica</strong> e la ragione umana non possono conoscere tutta la realtà e<br />
verità, poiché esiste una realtà soprannaturale e una verità che supera la capacità <strong>della</strong><br />
ragione naturale. Quindi la filosofia <strong>da</strong> sola non basta a conoscere tutto, però può<br />
conoscere realmente le sostanze <strong>della</strong> realtà naturale. La teologia è scienza di Dio: Dio<br />
rivelante e rivelato è il suo oggetto. La filosofia ha per oggetto l’esse ut actus omnium<br />
4
formarum, ossia l’ente, che è un’essenza finita habens esse per participationem, e come<br />
termine arriva all’Essere stesso sussistente, risalendo <strong>da</strong>gli effetti alla Causa. Ma il Dio<br />
<strong>della</strong> filosofia è solo l’Autore <strong>della</strong> natura e non è il Dio rivelante e rivelato o Deus sub<br />
ratione Deitatis, ossia conosciuto nei suoi Misteri o nella sua Natura intima (Trinità…). Per<br />
Scoto, invece, la filosofia non può nulla e tutto si risolve in teologia: «Scoto pensa che il<br />
filosofo, […] giungerà fatalmente a risultati intrinsecamente inaccettabili». Per questo<br />
scrive il padre francescano Efrem Bettoni: «Duns Scoto diffi<strong>da</strong> di una filosofia pura o<br />
separata [<strong>da</strong>lla teologia] ed è sempre attento a denunciarne non solo i limiti, ma anche gli<br />
inevitabili errori». Secondo padre Bettoni, Scoto ritiene che «ogni filosofia, la quale si<br />
fon<strong>da</strong> sulle risorse <strong>della</strong> ragione umana [ha] dei limiti insuperabili […], nella concreta<br />
situazione in cui è venuta a trovarsi in conseguenza del peccato originale». Etienne Gilson<br />
<strong>da</strong>l canto suo ammette che «Scoto prepara l’affacciarsi delle filosofie moderne e la sua<br />
dottrina è una spiegazione <strong>della</strong> loro esistenza».<br />
L’oggetto <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong> scotistica<br />
Qual è l’oggetto proprio dell’intelletto umano? Per S. Tommaso è l’ente e quindi anche<br />
“l’essenza intelligibile <strong>della</strong> cosa sensibile”, poiché l’uomo è composto di anima e corpo e<br />
nihil est in intellectu nisi prius non fuerit in sensu; niente si trova nell’intelletto se prima<br />
non sia passato attraverso i sensi. Ossia l’intelletto agente astrae una specie intelligibile<br />
<strong>da</strong>ll’immagine sensibile presente nella nostra fantasia e proveniente <strong>da</strong> un’immagine<br />
impressa nei sensi esterni <strong>da</strong> un oggetto reale ed extramentale. Scoto, invece, rigetta la<br />
dottrina tomistica sulla conoscenza umana ed insegna che l’oggetto proprio e primario<br />
dell’intelletto umano è l’essere in genere o universale, l’essere nella sua totalità . Mentre<br />
per S. Tommaso l’uomo conosce anche mediante l’astrazione di idee razionali <strong>da</strong> immagini<br />
sensibili perché è naturalmente composto di anima e corpo. La dottrina del Dottor Sottile,<br />
perciò, può portare all’errore (che Scoto non ha esplicitato) secondo cui anche Dio e<br />
l’Angelo, siccome sono enti, possono essere conosciuti naturalmente per sé e direttamente<br />
<strong>da</strong>ll’intelletto umano (ontologismo), senza un sillogismo o dimostrazione che risale<br />
<strong>da</strong>ll’effetto alla Causa per quanto riguar<strong>da</strong> Dio o con un argomento di pura convenienza<br />
per quanto riguar<strong>da</strong> gli Angeli (conviene che tra Dio ‘Atto puro’ e l’uomo, composto di<br />
materia e forma o ‘atto misto’, vi sia una forma senza materia, ma non pura <strong>da</strong> ogni<br />
potenza, bensì composta di atto e potenza, che è l’Angelo). Padre Efrem Bettoni riconosce<br />
che se l’oggetto proprio dell’intelletto umano è l’essere nella sua totalità «l’intelligibilità<br />
coincide con la realtà e nessun essere, sia pure l’Essere immateriale per eccellenza,<br />
l’Essere divino, è, in linea di diritto, escluso <strong>da</strong>ll’orizzonte intellettuale dell’uomo».<br />
È per questo motivo che padre Efrem Bettoni scrive: «Questa è la ragione per cui molti<br />
storici del pensiero del medioevo si sentirono autorizzati a vedere in Duns Scoto il primo<br />
responsabile <strong>della</strong> decadenza <strong>della</strong> scolastica». Mentre S. Tommaso nella sua <strong>metafisica</strong> si<br />
basa sul concetto forte e intensivo di essere (esse ut actus) come atto ultimo di ogni<br />
essenza e perfezione di ogni perfezione, Scoto si basa sul concetto debole di essere (esse<br />
commune seu in genere; l’essere comune o generale).<br />
Debolezza <strong>della</strong> ‘teologia naturale’ scotista<br />
5
Da tutto ciò segue la debolezza <strong>della</strong> “teologia naturale” o teodicea scotista, che non<br />
riesce, come invece S. Tommaso (S. Th., I, q. 2, a. 3), a provare positivamente l’esistenza<br />
e la conoscenza di qualche attributo di Dio mediante l’analogia dell’essere; anzi Scoto<br />
mette eccessivamente in rilievo la Trascendenza di Dio così <strong>da</strong> renderlo assolutamente<br />
inaccessibile alla ragione umana. Ora il Concilio Vaticano I (sess. III, can, 2) ha definito di<br />
Fede divina e cattolica che “la ragione umana può dimostrare con certezza l’esistenza di<br />
Dio mediante un ragionamento, che risale <strong>da</strong>lle creature o effetti al Creatore o Causa”. In<br />
breve la Chiesa ha canonizzato le “cinque vie” di S. Tommaso, che provano l’esistenza di<br />
Dio, come si trova anche rivelato nella Sapienza, cap. XIII, e in San Paolo, Rom., cap. I.<br />
Volontarismo scotista<br />
D’altro canto «Scoto ritiene che l’uomo non può vedere naturalmente l’essenza di Dio a<br />
causa di un decreto <strong>della</strong> Volontà divina. Infatti per Scoto Dio avrebbe potuto volere che<br />
l’intelligenza umana potesse vederlo naturalmente e che il Lumen gloriae e la Visio<br />
beatifica fossero una proprietà <strong>della</strong> nostra natura, ma di fatto Dio non l’ha voluto. Così la<br />
distinzione tra l’ordine naturale e quello soprannaturale sarebbe contingente e si<br />
fonderebbe sopra un libero decreto di Dio (cfr. D. Scotus, In Ium Sent., dist. 3, q. 3, nn.<br />
24-25)». Anche il francescano padre Efrem Bettoni ammette: «La dimostrazione [scotista<br />
su Dio] farà capo, invece che all’esistenza, alla possibilità dell’Essere in-causabile. […]<br />
Scoto lascia S. Tommaso per proseguire in compagnia di S. Anselmo: se un Essere incausabile<br />
è possibile […], dobbiamo concludere che esiste di fatto». Inoltre per la<br />
concezione volontaristica di Scoto «la volontà dell’uomo non è necessitata <strong>da</strong> nessun<br />
oggetto, neppure <strong>da</strong>lla Beatitudine, che è un bene senza difetti». Sempre<br />
volontaristicamente Scoto scrive che “è bene ciò che Dio vuole e coman<strong>da</strong>”.<br />
Desiderio naturale di Dio secondo Scoto<br />
Infine, secondo Scoto, «c’è nell’anima nostra un appetito innato e naturale <strong>della</strong> Visione<br />
beatifica (cfr. D. Scotus, Prologus Sent., q. 1, In IVum Sent., dist. 49, q. 10). Un residuo di<br />
questa dottrina scotista peggiorata si trova nella potenza obbedienziale attiva di Suarez<br />
(cfr. F. Suarez, De gratia, Lib. VI, cap. 5)». La dottrina tomista, insegna, invece, che<br />
l’appetito naturale <strong>della</strong> Visione beatifica è inefficace <strong>da</strong> parte dell’uomo e condizionato<br />
<strong>da</strong> parte di Dio, ossia se Dio vuole liberamente chiamare l’uomo alla Grazia santificante e<br />
alla Gloria del Cielo tramite la Visione beatifica, allora l’uomo può giungervi non con le sue<br />
forze naturali, infinitamente sproporzionate all’ordine soprannaturale, ma solamente<br />
aiutato <strong>da</strong>lla mozione soprannaturale di Dio. Questa dottrina è stata ripresa <strong>da</strong>l Magistero<br />
ecclesiastico già nella con<strong>da</strong>nna (1567) <strong>da</strong> parte di San Pio V di Michele Bajo, che parlava<br />
di esigenza naturale <strong>della</strong> Grazia, la quale sarebbe dovuta e non gratuita (DB, 1001-1080),<br />
poi nella con<strong>da</strong>nna del modernismo (S. Pio X, Pascendi, 1907) e infine del neo-modernismo<br />
(Pio XII, Humani generis, 1950) e specialmente del libro Le surnaturel di padre Henry de<br />
Lubac del 1946 (v. sì sì no no, 30 novembre 2009, pp. 1-4), che riprendeva la tesi scotista e<br />
<strong>suarez</strong>iana sulla potenza obbedienziale non passiva, ma in atto imperfetto. Inoltre il<br />
concetto scotista di desiderio naturale <strong>della</strong> Visione beatifica e il concetto <strong>suarez</strong>iano di<br />
potenza obbedienziale attiva sono contraddittori nei termini. Infatti essi sarebbero nello<br />
stesso tempo essenzialmente naturali e soprannaturali. Quod repugnat, per il principio di<br />
6
non-contraddizione. Quindi la potenza obbedienziale è puramente passiva e giunge all’atto<br />
solo se mossa <strong>da</strong> Dio (“ens in potentia non reducitur ad actum nisi per ens in actu; l’ente in<br />
potenza passa all’atto solo per mezzo di un ente già in atto”; “omne quod movetur ab alio<br />
movetur; tutto ciò che si muove è mosso <strong>da</strong> un altro”). Da tale errore filosofico, oltre<br />
Bajo, i modernisti e i neo-modernisti, anche Antonio Rosmini (v. sì sì no no, 15 ottobre<br />
2009, pp. 1-5 e 15 giugno 2011, pp. 1-6) ha tratto delle conclusioni dogmaticamente<br />
erronee. Per esempio Rosmini pensava che l’uomo con la ragione naturale può dimostrare<br />
positivamente la possibilità <strong>della</strong> SS. Trinità (e non solo la sua non-ripugnanza o nonimpossibilità).<br />
Invece il Magistero ha definito che ciò che è essenzialmente soprannaturale<br />
non può essere dimostrato naturalmente. Infatti i Misteri soprannaturali quanto alla<br />
sostanza superano infinitamente la capacità dei princìpi <strong>della</strong> ragione naturale (DB, 1816 e<br />
1795).<br />
L’univocità dell’ente secondo Scoto<br />
«Scoto si discosta nettamente <strong>da</strong>ll’intera tradizione <strong>metafisica</strong> sia classica che scolastica<br />
quando sostiene che quello di ente non è un concetto analogo ma univoco». Padre Bettoni<br />
scrive: «I concetti univoci sono lo strumento logico, che mette l’intelletto umano in<br />
condizioni di […] conoscere l’essere nella sua totalità».<br />
“Il principio <strong>da</strong> cui Scoto prese le mosse per negare la distinzione reale tra essenza ed<br />
essere è l’univocità dell’essere”. Scoto intende l’essere come essere comune o generale e<br />
indeterminato, che sta alla base di ogni ulteriore determinazione; esso è predicabile di<br />
tutto ciò che è, quindi di Dio come di tutte le creature, <strong>da</strong>ll’Angelo alla pietra. Esso è<br />
anche univoco: “esse est unius rationis, l’essere ha un solo significato” ed “è predicato allo<br />
stesso modo di ogni cosa; ens dicitur per unam rationem de omnibus de quibus<br />
praedicatur”. Scoto «tende ad ammettere, anzi ammette un certa univocità fra Dio e le<br />
creature (Opus oxoniense, I, dist., 3, q. 2, n. 5 ss; dist. 5, q. 1; dist. 8, q. 3)», mentre S.<br />
Tommaso ha come oggetto <strong>della</strong> sua <strong>metafisica</strong> l’esse ut actus omnium formarum, inteso<br />
come perfezione massima, determinata e determinante, specifica. L’Esse ha un primato<br />
ontologico sull’ente, che è un’essenza la quale ha l’esse ut actus, cioè che l’attua e la<br />
rende ente realmente esistente. S. Tommaso studia l’ente, ma sempre in rapporto alla sua<br />
perfezione, l’essere: quindi studia l’esse intensivo e non comune o indeterminato, ossia<br />
come atto ultimo dell’essenza. L’essere tomistico supera e perfeziona originariamente e<br />
ultimamente l’essenza. In ciò l’Aquinate supera lo Stagirita. Certamente il primo concetto<br />
che ci formiamo è l’essere comune o universale dell’ente. Ma l’Angelico ha capito subito<br />
che quest’essere comune e universale è un concetto vago e indeterminato, che abbraccia<br />
tutti gli enti e non dà loro la perfezione ultima. Quindi l’Aquinate scruta a fondo l’esse<br />
dell’ens e vede che vi è l’esse come atto ultimo, il quale, a differenza dell’esse commune,<br />
ha un valore intensivo e una perfezione, che supera tutte le altre perfezioni, forme,<br />
essenze, sostanze ed enti. L’esse ut actus è l’actualitas omnium actuum, è la più perfetta<br />
di tutte le cose ; l’essere come atto, e non quello comune, è veramente la perfezione<br />
ultima e la radice di ogni altra perfezione. Scoto, invece, mette al centro del suo pensiero<br />
l’esse commune seu in genere, ossia una perfezione minima, indeterminata, universale e<br />
generale o comune a tutte le cose. Ora l’essere comune è condiviso <strong>da</strong> tutti gli enti, <strong>da</strong> Dio<br />
sino al minerale, e quindi l’errore filosofico scotista può aprire le porte al monismo<br />
panteista, mentre la <strong>metafisica</strong> tomistica dell’essere come atto ultimo di ogni perfezione<br />
le sbarra inequivocabilmente.<br />
7
Dimostrazione scotista dell’esistenza di Dio<br />
Scoto definisce Dio come Ente infinito in atto. Ma, «pur cercando di costruire una prova<br />
rigorosamente razionale, il contesto in cui Scoto si colloca è quello religioso: Dio è già<br />
pienamente riconosciuto in tutta la sua grandezza […] sul piano <strong>della</strong> Fede. Così l’esordio<br />
del De principio di Scoto presenta molte analogie con quello del Proslogion di S. Anselmo».<br />
La prova scotista è o vuol essere una rielaborazione scientifica o strettamente filosofica<br />
<strong>della</strong> conferenza di spiritualità di S. Anselmo ai suoi monaci contenuta nel Proslogion e<br />
chiamata “prova ontologica”, poiché <strong>da</strong>ll’idea dell’Essere perfettissimo, cui nulla può<br />
mancare (neppure l’essere), si risale alla Sua esistenza reale. I filosofi e S. Tommaso in<br />
primis hanno obiettato che non è valido il passaggio <strong>da</strong>ll’idea alla realtà (passaggio su cui<br />
si fon<strong>da</strong> la filosofia di Rosmini dell’idea di essere) e che inoltre l’uomo, il quale ha idee e<br />
concetti finiti e limitati, non può avere come punto di partenza un’idea (la quale coglie<br />
l’essenza <strong>della</strong> res) di Dio che è Ente infinito. Quindi si può arrivare all’esistenza di Dio e<br />
alla conoscenza di qualche sua proprietà, e non <strong>della</strong> sua Essenza, solo per un<br />
ragionamento che risale <strong>da</strong>gli effetti alla Causa. Scoto, però contrappone filosofia e<br />
teologia, ragione e Fede. Ora la ragione umana possiede dell’in-finito solo un concetto<br />
negativo (come di ciò che è ‘non-limitato’) e perciò non può dire nulla di positivo<br />
sull’esistenza di Dio e sui suoi attributi o qualità, ma solo che Egli è in-finito o nonlimitato.<br />
Apofatismo scotista<br />
La prova dell’esistenza di Dio in Scoto, quindi, rischia di far scivolare verso l’apofatismo<br />
maimonideo o il nichilismo teologico (v. sì sì no no, 31 gennaio 2010, pp. 1-4): nulla si sa su<br />
Dio, tranne che Egli è l’In-finito. Per sapere qualcosa di positivamente più consistente su<br />
Dio, occorre la Rivelazione e la Fede. Inoltre Scoto nega la possibilità di provare<br />
razionalmente l’immortalità dell’anima. Infine Scoto, come poi Francisco Suarez (v. sì sì no<br />
no, 15 febbraio 2011, pp. 1-5), «si rifiuta di ammettere la distinzione reale tra essenza ed<br />
esistenza, tranne che in Dio». Scoto riprende <strong>da</strong> Avicenna la concezione <strong>della</strong> nondistinzione<br />
reale tra essenza ed essere nelle creature e con tale teoria prelude a Suarez e<br />
alle involuzioni antimetafisiche <strong>della</strong> modernità. Secondo Gilson - che è stato uno dei più<br />
grandi studiosi <strong>da</strong>l punto di vista storico/filosofico <strong>della</strong> filosofia medievale e di Scoto - lo<br />
scotismo è il diffusore di una <strong>metafisica</strong> dell’essenza, che segna un ritorno ad Aristotele ed<br />
un’involuzione rispetto alla <strong>metafisica</strong> dell’esse ut actus di S. Tommaso, la quale dà il<br />
primato all’essere; una <strong>metafisica</strong> “agli antipodi di quella del primato dell’esse come era<br />
quella di S. Tommaso d’Aquino”. Gilson ha colto bene l’essenzialismo o il ritorno alla<br />
<strong>metafisica</strong> <strong>della</strong> sostanza o dell’essenza di Aristotele <strong>da</strong> parte di Scoto e l’abbandono<br />
dell’ascesa tomistica alle vette <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong> come filosofia dell’esse quale “perfezione<br />
suprema di ogni perfezione, atto ultimo di ogni atto, essere ultimo di ogni essenza e<br />
forma”. Tutto ciò a partire <strong>da</strong>lla negazione scotista <strong>della</strong> distinzione reale tra essenza ed<br />
essere nelle creature, dichiarata <strong>da</strong> S. Tommaso, come insegna anche la XXIII Tesi del<br />
tomismo: “L’Essenza di Dio è identica al Suo Essere, cioè Dio è lo stesso Essere per Sé<br />
Sussistente”.<br />
8
Beatificazione di Scoto ma non dello scotismo<br />
Per quanto riguar<strong>da</strong> la beatificazione di Scoto, avvenuta nel 1991, Gilson nel 1953, dopo<br />
aver concluso la sua opera di oltre ottocento pagine su Scoto, scriveva: “Si riuscirà a far<br />
beatificare Scoto, nella misura in cui non vorranno cercar di far canonizzare anche lo<br />
scotismo o la dottrina dell’uomo Duns Scoto”. Infatti già nel 1920 la ‘Congregazione dei<br />
Riti’ aveva respinto la Positio super scriptis presentata <strong>da</strong>l Postulatore generale <strong>della</strong> causa<br />
di beatificazione di Duns Scoto. Scoto come uomo è stato un vero cristiano ed ha<br />
sviluppato la vita <strong>della</strong> Grazia pienamente, ma come filosofo ha partorito una dottrina<br />
lontana <strong>da</strong>lla realtà e <strong>da</strong>lla verità, anche se come teologo non ha errato esplicitamente<br />
nella Fede. Gilson concludeva: “Giacché devo scegliere tra l’ens ut ens senza l’esse e l’ens<br />
come essentia habens esse, scelgo quest’ultimo. Lo scotismo è una posizione dottrinale in<br />
opposizione alla vera <strong>metafisica</strong> dell’essere di S. Tommaso. Resto contrario alla <strong>metafisica</strong><br />
scotistica dell’essere universale. […]. Sentiendum est de theologia Scoti, sicut sentit<br />
Romana Ecclesia”. Ora la Chiesa, come vedremo oltre, ha approvato ufficialmente e<br />
magisterialmente le ‘XXIV Tesi del Tomismo’.<br />
Considerazioni conclusive su Scoto<br />
Scoto con il suo volontarismo, il suo criticismo, il suo fideismo, «si trova a cavallo tra la<br />
grande scolastica e quella decadente, spalanca le porte alla ‘via moderna’». Secondo Van<br />
Steenberghen Scoto apre le porte sia al nominalismo di Occam (+ 1350) sia al falso<br />
misticismo apofatico di Eckhart (+ 1327). Il padre francescano Efrem Bettoni valuta<br />
criticamente e severamente lo scotismo: «Scoto [ha] l’onore di essere considerato il<br />
Dottore più rappresentativo <strong>della</strong> scuola francescana. In cambio però i punti deboli e i<br />
compromessi del suo sistema […], oggi rendono molti studiosi assai perplessi sull’intrinseca<br />
coerenza e solidità del suo pensiero. Scoto più che insegnare, incita a pensare».<br />
Perciò se vogliamo veramente e non solo verbalmente sentire cum Ecclesia dobbiamo ire<br />
ad Thomam, non a Scoto e Suarez, e volgere le spalle a Rosmini. «Molti teologi quando<br />
giungeranno all’altro mondo, si renderanno conto di aver disconosciuto il valore <strong>della</strong><br />
grazia fatta <strong>da</strong> Dio alla sua Chiesa <strong>da</strong>ndole il Doctor Communis».<br />
d. CURZIO NITOGLIA<br />
4 ottobre 2011<br />
http://www.doncurzionitoglia.com/<strong>scoto</strong>_<strong>suarez</strong>_<strong>rosmini</strong>_1.htm<br />
9
II Parte<br />
SUAREZ ESPLICITA GLI ERRORI METAFISICI DI SCOTO<br />
Introduzione al <strong>suarez</strong>ismo<br />
*<br />
Il principale equivoco <strong>della</strong> filosofia di Francisco Suarez (+ 1617) consiste nella<br />
negazione <strong>della</strong> distinzione reale nell’ente creato di materia/forma;<br />
accidente/sostanza; potenza/atto; essenza/essere. Tale distinzione, al contrario, è<br />
l’essenza <strong>della</strong> filosofia tomistica, che facendo dell’essere l’atto ultimo di ogni essenza<br />
sorpassa persino Aristotele, il quale si era fermato alla distinzione reale tra potenza e<br />
atto e alla <strong>metafisica</strong> <strong>della</strong> sostanza.<br />
Da tali errori filosofici, che in Suarez non hanno avuto conclusioni teologicamente<br />
eterodosse, si può passare all’errore nella fede, come è successo con i Beguardi, il<br />
panteismo, l’apofatismo, l’ontologismo, il monismo spiritualista, il razionalismo, il<br />
fideismo e il modernismo, con<strong>da</strong>nnati nel 1311 <strong>da</strong>l Concilio di Vienne (DB 475); <strong>da</strong><br />
Benedetto XI nel 1336 (DB 530); <strong>da</strong>l Concilio di Firenze nel 1438-1445 (DB 693) e <strong>da</strong>l<br />
Vaticano I nel 1869 (DB 1806); <strong>da</strong> S. Pio X nel 1907 (Pascendi) e 1910 (giuramento<br />
antimodernista, DB 2145) e <strong>da</strong> Pio XII nel 1950 (Humani generis, DS 3891).<br />
10
Materia e forma secondo Suarez<br />
Secondo Suarez la ‘materia prima’ possiede una certa sua attualità (Disputationes<br />
Metaphysicae, dist. 13, sez. 5) onde la ‘materia prima’ non è realmente distinta <strong>da</strong>lla<br />
‘forma sostanziale’, mentre per S. Tommaso (De spiritualibus creaturis, a. 1; S. Th., I,<br />
q. 45, a. 4; De Potentia, q. 3) la ‘materia prima’ è pura potenza senza alcun atto, che<br />
riceve l’attualità solo tramite la ‘forma sostanziale’, per cui materia e forma sono<br />
realmente distinte (In Physic., lc. 9, n. 60; De spiritualibus creaturis, a. 1).<br />
Quindi nella <strong>metafisica</strong> di Suarez manca la nozione vera e precisa di potenza (Disp.<br />
Meth., dist. 30, sez. 13) come termine medio tra atto e nulla (“medium inter purum<br />
non-ens et ens in actu”, In I Physicorum, lc. 9, n. 60) la quale fu elaborata <strong>da</strong> Aristotele<br />
per sorpassare l’antinomia di Parmenide (solo essere senza alcun divenire) e di Eraclito<br />
(solo divenire senza alcun essere stabile).<br />
Conseguenze teologiche <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong> <strong>suarez</strong>iana<br />
Se <strong>da</strong> un punto di vista puramente filosofico tale errore può portare o al monismo<br />
fissista e spiritualista parmenideo o al divenire perpetuo e materialistico eracliteo, due<br />
facce (una statica e l’altra dinamica) dello stesso panteismo. Da un punto di vista<br />
teologico essa pre-contiene l’errore modernistico <strong>della</strong> esigenza dell’ordine<br />
soprannaturale <strong>da</strong> parte di quello naturale, in quanto la potenza obbedienziale secondo<br />
Suarez (De Gratia, lib. 6, c. 5) non è più solo pura potenza senza alcun atto, ma una<br />
potenza che contiene in sé un atto anche se imperfetto. Così la natura pre-contiene in<br />
sé la grazia anche se imperfettamente.<br />
La potenza obbedienziale <strong>da</strong> Suarez a de Lubac<br />
Il teologo neo-modernista che ha studiato e approfondito più di tutti gli altri, sino a<br />
farne il suo cavallo di battaglia, il problema del rapporto tra natura e grazia o ordine<br />
naturale e ordine soprannaturale è Henry de Lubac. Già San Pio X aveva con<strong>da</strong>nnato<br />
l’errore modernista che confonde i due ordini ed afferma che la natura esige la grazia o<br />
l’ordine naturale quello soprannaturale «trattasi […] del vecchio errore, che concedeva<br />
alla natura quasi un diritto all’ordine soprannaturale» (Pascendi, 8 settembre 1907).<br />
Ancor prima di papa Sarto il Concilio Vaticano I nel 1869 aveva definito infallibilmente e<br />
irreformabilmente: «Se qualcuno osa dire che l’uomo non ha bisogno di essere elevato<br />
<strong>da</strong> Dio ad un ordine che supera la natura, ma che può e deve <strong>da</strong> se stesso giungere al<br />
possesso del Sommo Vero e Bene, sia anatema» (De Revelatione, can. III, DB 1806, è un<br />
dogma formale, divinamente rivelato e infallibilmente proposto a credere <strong>da</strong>lla Chiesa,<br />
chi lo nega è eretico). Invece De Lubac ha ripreso tale eresia e ne ha fatto il cuore del<br />
suo sistema teologico. Il card. Pietro Parente ha scritto: «in questi ultimi tempi si rivela<br />
la tendenza di alcuni teologi a fare del soprannaturale uno sviluppo necessario <strong>della</strong><br />
natura, eliminando così la distinzione entitativa tra i due ordini (cfr. de Lubac,<br />
Surnaturel, Parigi, Aubier, 1946). Pio XII nell’enciclica Humani generis (12 agosto 1950)<br />
11
individua e deplora tale tendenza». Nel 1893 Maurice Blondel (con<strong>da</strong>nnato nel 1924 <strong>da</strong>l<br />
S. Uffizio) aveva avanzato la pretesa <strong>della</strong> esigenza del soprannaturale <strong>da</strong> parte <strong>della</strong><br />
natura umana, quando nel 1946 de Lubac riprese tale errore fu sospeso<br />
<strong>da</strong>ll’insegnamento e con<strong>da</strong>nnato <strong>da</strong>lla Humani generis. De Lubac affermava nel suo libro<br />
che l’ordine naturale è necessariamente implicato in quello naturale, non è gratuito, è<br />
dovuto alla natura, esclude così la gratuità <strong>della</strong> grazia santificante. Ma come poteva<br />
dimostrare tale asserto? Grazie alla nozione <strong>suarez</strong>iana di potenza, che ha in sé un certo<br />
atto, anche se imperfetto. A partire <strong>da</strong> questa erronea definizione filosofica di potenza<br />
che è solo pura capacità di ricevere l’atto, ma non contiene nessun atto in sé neppure<br />
imperfettamente (s. Tommaso), de Lubac <strong>da</strong>va una definizione teologicamente erronea<br />
<strong>della</strong> potenza obbedienziale, che per la dottrina cattolica è pura capacità o potenza<br />
passiva a ricevere la grazia, invece per de Lubac la potenza obbedienziale è attiva,<br />
poiché la potenza - secondo Suarez - dice atto in se stessa. Onde <strong>da</strong> una iniziale <strong>falsa</strong><br />
concezione filosofica <strong>suarez</strong>iana, de Lubac ne tira un’eretica conclusione teologica<br />
finale: l’uomo una volta creato ha <strong>da</strong> se stesso il diritto o l’esigenza o la capacità attiva<br />
alla grazia, senza bisogno di riceverla gratuitamente <strong>da</strong> Dio. Pio XII rinnovò la con<strong>da</strong>nna<br />
di tale eresia (già espressa <strong>da</strong>l Concilio Vaticano I e <strong>da</strong> san Pio X) nella Humani generis<br />
scrivendo: «alcuni deformano la vera nozione <strong>della</strong> gratuità dell’ordine soprannaturale,<br />
quando pretendono che Dio non può creare esseri intelligenti senza dotarli<br />
necessariamente <strong>della</strong> grazia ed ordinarli alla visione beatifica» (DS 3891). Secondo la<br />
fede cattolica rivelata e definita l’uomo può dimostrare con certezza l’esistenza di Dio a<br />
partire <strong>da</strong>lle creature (Concilio Vaticano I, DB 1806). Inoltre ha un “desiderio naturale”<br />
di vedere l’essenza o la faccia di Dio. Ma non ha la capacità di giungervi con le sue forze<br />
naturali (tale dottrina è stata definita come dogma divinamente rivelato e proposto a<br />
credere <strong>da</strong>l Concilio di Vienne, DB 475; Benedetto XI costituzione dogmatica “Benedictus<br />
Deus” DB 530; Concilio di Firenze, DB 693, chi la nega è eretico). Questo desiderio che<br />
segue la conoscenza dell’esistenza di Dio è condizionale, ossia vi si può arrivare solo e<br />
soltanto a condizione che Dio con un dono gratuito elevi l’uomo all’ordine<br />
soprannaturale <strong>da</strong>ndo alla potenza obbedienziale umana che è puramente passiva la<br />
grazia santificante e poi il lumen gloriae. Invece per de Lubac e la “nouvelle théologie”<br />
tale desiderio è assoluto o incondizionato (non dipendeva nessuna condizione posta <strong>da</strong><br />
Dio) ed efficace <strong>da</strong> parte dell’uomo. È una necessità che l’uomo <strong>da</strong> sé abbia la capacità<br />
attiva di partecipare alla natura divina e poi di vedere la faccia di Dio, senza alcun dono<br />
gratuito di Dio e senza alcuna condizione che Dio gli dia la grazia santificante e il Lumen<br />
gloriae. Come abbiamo visto sopra S. Tommaso filosoficamente distingue realmente<br />
potenza passiva <strong>da</strong> atto al contrario di Suarez ed inoltre teologicamente distingue il fine<br />
ultimo soprannaturale <strong>da</strong>l fine naturale (S. Th., I, q. 23, a. 1; ivi, q. 12, a. 2, ad 4; ivi,<br />
q. 5, a. 5; De Veritate, q. 14, a. 2) al contrario di de Lubac. Padre Reginaldo Garrigou-<br />
Lagrange ha scritto giustamente: «Padre de Lubac non sembra mantenere la vera<br />
nozione di natura umana; essa non sembra avere per lui alcun limite determinato. […].<br />
Non si può vedere ove finisca per lui il naturale e cominci il soprannaturale, dove finisca<br />
la natura e cominci la grazia» (L’immutabilité des formules dogmatiques, in<br />
“Angelicum”, n. 24, 1947). Lo stesso p. Garrigou-Lagrange si doman<strong>da</strong>va: «Dove va la<br />
nouvelle théologie? Essa ritorna la modernismo» (La nouvelle théologie ou va-t-elle?, in<br />
“Angelicum, n. 23, 1946, p. 144) e porta alla «apostasia completa» (Verité et<br />
immutabilité du dogme, in “Angelicum”, n. 24, 1947, p. 137) che è il panteismo<br />
teilhardiano, maestro di de Lubac e padre <strong>della</strong> nouvelle théologie. “Parvus error in<br />
principio magnus est in fine”.<br />
12
Potenza e atto in Suarez<br />
Oltre alla confusione filosofica tra materia e forma, che porta all’errore <strong>della</strong> nongratuità<br />
<strong>della</strong> grazia, Suarez confonde filosoficamente potenza e atto onde asserisce che<br />
l’ente è semplicissimo ed è ente in atto (Disp. Meth., dist. 15, sez. 9). Questa<br />
confusione filosofica può sfociare in un vero e proprio panteismo teologico, poiché tende<br />
a fare di ogni ente un Atto puro sine ulla potentia, ma l’Atto puro è solo Dio e se ogni<br />
ente è Atto puro, allora Dio coincide col creato e viceversa. Invece S. Tommaso<br />
distingue realmente la potenza <strong>da</strong>ll’atto, di modo che ogni ente creato è composto di<br />
potenza e atto, mentre solo l’Increato o Dio è Atto puro <strong>da</strong> ogni potenza (S. Th., I, q.<br />
77, a. 1; In VII Metaph., lc. 1; In IX Metaph., lc. 1 e lc. 9). In tutte le sue opere<br />
l’Angelico non si stanca di ripetere “solus Deus est suum esse, non solum habet esse, sed<br />
est suum esse. In solo Deo essentia et esse sunt idem” (S. Th. I, q. 3, a. 4; ivi, q. 7, a. 1<br />
ad 3).<br />
Essenza ed essere<br />
Inoltre Suarez nega la creatura sia composta di essenza ed essere (Disp. Meth., dist. 31,<br />
sez. 4, 6 e 13), invece S. Tommaso tocca il culmine <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong>, sorpassando lo<br />
stesso Aristotele che si era fermato all’essenza, giungendo al concetto di essere come<br />
“atto ultimo e perfezione di ogni essenza” (Contra Gent., l. I, cc., 38, 52-54; S. Th., I,<br />
q. 50, aa. 2-3; De ente et essentia, c. 5) e in tal modo distingue ogni ente creato anche<br />
di natura angelica, composta di essenza ed essere, <strong>da</strong> Dio che è il suo stesso Essere per<br />
essenza (S. Th., I, q. 50-51, 54), Suarez nega esplicitamente la composizione di essenza<br />
ed essere negli Angeli (Disp. Meth., dist. 31, sez. 13).<br />
L’analogia dell’ente <strong>suarez</strong>iana<br />
Suarez nega l’analogia, poiché il concetto di essere - secondo lui - non è univoco,<br />
equivoco e analogo, ma assolutamente uno (Disp. Meth., dist. 2, sez. 2-3). Al contrario<br />
san Tommaso grazie all’analogia riesce a poter discorrere su Dio il quale è analogo alle<br />
creature, ossia sostanzialmente diverso poiché infinito, ma relativamente simile quanto<br />
al fatto di esistere. Negando l’analogia si tende al nichilismo teologico o apofatismo,<br />
che ritiene del tutto impossibile all’uomo dire qualcosa su Dio o conoscere qualche suo<br />
attributo divino (Contra Gent., l. I, cc. 32-34; S. Th., I, q. 4, a. 3 ad 3; ivi, q. 13, a. 5).<br />
L’anima umana è di per sé operativa?<br />
Lo scolastico spagnolo nega anche la distinzione reale tra l’anima e le sue facoltà<br />
(intelletto e volontà), onde per lui l’anima è direttamente operativa (Disp. Meth., dist.<br />
13
14, sez. 5). Ora se l’anima che è una sostanza sempre in atto fosse direttamente e per<br />
se stessa operativa l’uomo agirebbe (conoscendo razionalmente e volendo) sempre in<br />
atto, ma solo Dio è Conoscenza e Volontà sempre in atto, l’uomo invece secondo san<br />
Tommaso agisce con le facoltà soggettate nell’anima come gli accidenti (azione e<br />
passione) nella sostanza e le facoltà non agiscono sempre in atto, ma sono capacità<br />
attive di azione e per agire debbono passare <strong>da</strong>lla potenza all’atto (S. Th., qq. 77-79;<br />
Contra Gent., l. II, c. 72; De Anima, aa. 12 ss.).<br />
*<br />
Conclusione riguardo al <strong>suarez</strong>ismo<br />
Non desta meraviglia la frase di p. Cornelio Fabro: “[Suarez] col suo vuoto metafisico,<br />
ha una parte di responsabilità nell’aver stimolato - sia pure a distanza - il soggettivismo<br />
moderno”. Ciò <strong>da</strong> un punto di vista filosofico. Teologicamente i suoi allievi si son serviti<br />
<strong>della</strong> sua autorità, poiché Suarez è stato molto qualificato e stimato per la filosofia<br />
morale sociale, il diritto naturale-divino e per la santità di vita e profondità di<br />
spiritualità ignaziana e controriformistica, per poter far passare i loro errori nella fede o<br />
addirittura eresie, sposando il soggettivismo filosofico al dogma cattolico ed erodendo<br />
quest’ultimo <strong>da</strong>ll’interno, modernisticamente. Tutto ciò deve farci capire come <strong>da</strong> una<br />
<strong>falsa</strong> <strong>metafisica</strong> ne consegua necessariamente anche se non immediatamente una <strong>falsa</strong><br />
teologia. L’antidoto è il ritorno al tomismo genuino e alla Tradizione apostolica <strong>della</strong><br />
Chiesa, che soli ci fanno distinguere il grano <strong>da</strong>l loglio. S. Pio X dopo aver con<strong>da</strong>nnato il<br />
modernismo nel 1907, poco tempo prima di morire «<strong>della</strong> gravità <strong>della</strong> situazione e<br />
prescrisse il 29 giugno del 1914 che si insegnassero i principia et pronuntiata majora<br />
<strong>della</strong> dottrina di S. Tommaso. […]. Alcuni tomisti [p. Guido Mattiussi] proposero allora<br />
alla S. Congregazione degli Studi XXIV Tesi fon<strong>da</strong>mentali. La S. Congregazione le<br />
esaminò, le sottopose al S. Padre e rispose che quelle Tesi contenevano i princìpi e le<br />
grandi affermazioni <strong>della</strong> dottrina del S. Dottore. […]. Poi nel febbraio del 1916, la S.<br />
Congregazione degli Studi decise che […] le XXIV Tesi dovessero essere proposte come<br />
regole sicure di direzione intellettuale». La distinzione reale tra potenza/atto,<br />
materia/forma, essenza/essere non è una pura opinione ma «una verità necessaria ed<br />
evidente […] fon<strong>da</strong>mento di tutte le altre Tesi». Essa tocca il suo culmine nella<br />
affermazione secondo cui «l’essenza finita non è il suo essere, ed è realmente distinta<br />
<strong>da</strong>lla medesima. Dio solo, quale Atto puro, è il suo Essere, Egli è l’ipsum Esse subsistens,<br />
irreceptum et irreceptivum: “Ego sum qui sum”». Sempre Garrigou-Lagrange cita S. Pio<br />
X il quale, riprendendo l’assioma tomistico, asseriva “parvus error in principio magnus<br />
est in fine” e commenta: «se si rigetta la distinzione potenza/atto, tutte le altre Tesi<br />
perdono il loro valore. […]. Per il discredito in cui si riteneva la <strong>metafisica</strong> tomistica, un<br />
relativismo estremamente virulento si era introdotto, quasi senza essere notato,<br />
nell’insegnamento. […]. Per arrestare e correggere sì funesto errore S. Pio X fece un<br />
gesto brusco e definitivo. Oggi si può vedere <strong>da</strong>llo spettacolo del neo-modernismo a<br />
quali spaventevoli distruzioni avrebbe rischiato di condurci il relativismo dottrinale, se<br />
non fosse intervenuta la S. Sede. [….]. Il Papa segnalando e sintetizzando l’errore<br />
modernista, costrinse la teologia ad esaminare le nozioni fon<strong>da</strong>mentali <strong>della</strong> religione,<br />
molto abilmente pervertite <strong>da</strong>i modernisti. L’ossatura filosofica appariva sempre più<br />
indispensabile a tutto l’organismo <strong>della</strong> teologia. S. Pio X aveva ammonito i professori a<br />
14
non abbandonare la dottrina tomistica, specialmente nella <strong>metafisica</strong>, sotto pena di<br />
correre un grave pericolo e detrimento». Ecco spiegata l’importanza <strong>della</strong> sana filosofia<br />
tomistica per la purezza <strong>della</strong> Fede e il pericolo che la <strong>falsa</strong> filosofia <strong>suarez</strong>iana fa<br />
correre indirettamente ma implicitamente alla Fede. Parvus error in principio fit magnus<br />
in termino: <strong>da</strong>lla filosofia <strong>suarez</strong>iana si può facilmente giungere al modernismo, avendo<br />
negato la distinzione reale tra materia/forma, potenza/atto, essenza/essere. Infatti «<br />
l’errore fon<strong>da</strong>mentale con<strong>da</strong>nnato <strong>da</strong>lla Humani generis è il relativismo filosofico, il<br />
quale conduce al relativismo dogmatico». Se vogliamo uscire <strong>da</strong>lla crisi in cui versa<br />
l’ambiente cattolico, dobbiamo ritornare alle fonti pure e cristalline <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong><br />
genuinamente tomistica, che è il baluardo inespugnabile per combattere ogni forma di<br />
soggettivismo filosofico e di immanentismo teologico modernistico. “Tolle Thomam et<br />
dissipabo Ecclesiam”!<br />
d. CURZIO NITOGLIA<br />
5 ottobre 2011<br />
http://www.doncurzionitoglia.com/<strong>scoto</strong>_<strong>suarez</strong>_<strong>rosmini</strong>_2.htm<br />
III Parte<br />
15
Il sistema filosofico di Rosmini<br />
Antonio Rosmini (+ 1885) ha voluto rinnovare la filosofia perenne, in crisi dopo<br />
l’epoca illuministica, non approfondendola e servendosi di essa per confutare la<br />
novità <strong>della</strong> modernità, ma tentando di dialogare e non di combattere, con la<br />
filosofia moderna, cartesiano-kantiana essenzialmente soggettivistica. Egli voleva<br />
ammodernare e aggiornare o a<strong>da</strong>ttare la tradizione cattolica in maniera eterogenea,<br />
tenendo conto delle nuove esigenze culturali (Cartesio e Kant) e desiderava non uno<br />
scontro con la modernità, ma un incontro tra cristianesimo e mondo moderno,<br />
contravvenendo all’ultima proposizione del Sillabo di Pio IX secondo cui “il Papa non<br />
può e non deve venire a patti col liberalismo, col progresso[ismo] e con il mondo<br />
moderno [o filosofia <strong>della</strong> modernità]”. Invece, la sua filosofia si avvale del ‘metodo<br />
sintetico’ kantiano, ossia opera una ‘sintesi’ tra l’essere reale e l’essere ideale<br />
(“l’idea di essere”) kantiano-idealista ed in ciò è un vero precursore del modernismo<br />
classico, con<strong>da</strong>nnato <strong>da</strong> S. Pio X, come spurio connubio di kantismo e dogma<br />
cattolico (Pascendi, 1907). Onde nel suo sistema filosofico il primato spetta -<br />
cartesianamente - all’idea o alla teoria <strong>della</strong> conoscenza (gnoseologia) e non alla<br />
realtà o <strong>metafisica</strong> dell’essere. Infatti, anche per il Roveretano viene,<br />
cartesianamente, prima il cogito e poi l’essere o il reale. L’essere <strong>rosmini</strong>ano è<br />
chiamato più giustamente “idea di essere”, poiché egli applica all’essere dei concetti<br />
soggettivi o ‘a priori’. Come scrive padre Battista Mondin, Rosmini tentò «un<br />
difficilissimo dialogo con il pensiero post-cartesiano, intrinsecamente<br />
immanentistico. […], un incontro tra cristianesimo e mondo moderno. […]<br />
Diversamente <strong>da</strong> Aristotele e S. Tommaso […], Rosmini ricorre al metodo sintetico,<br />
[…] come sintesi tra l’essere ideale e l’essere reale». Inoltre «Rosmini ritorna alla<br />
tesi classica [dell’essere, n<strong>da</strong>], ma la ripropone in un nuovo contesto che è quello di<br />
Kant. […] Rosmini è d’accordo sulla necessità che nella conoscenza ci sia un<br />
elemento ‘a priori’, che egli riduce alla sola idea di essere». In breve il<br />
<strong>rosmini</strong>anesimo è un miscuglio di realismo e idealismo, antesignano del tomismo<br />
“trascendentale” o kantiano, di Joseph Maréchal e Karl Rahner, che di tomistico non<br />
ha più nulla, tranne il nome. Tuttavia, mentre Kant forniva alla conoscenza<br />
intellettiva un certo numero (dodici per l’esattezza) di categorie soggettive o ‘a<br />
priori’, l’idea di essere <strong>rosmini</strong>ana è unica, innata nell’uomo e intuita <strong>da</strong> lui.<br />
Inoltre il Roveretano confonde ente ed essere, come fossero sinonimi<br />
interscambiabili, onde capovolge la <strong>metafisica</strong> tomistica. Nega il valore delle cinque<br />
vie tomistiche (riprese e definite dogmaticamente <strong>da</strong>l Concilio Vaticano I, e perciò<br />
stesso infallibilmente, come capacità reale dell’intelletto umano di risalire - con<br />
certezza - <strong>da</strong>gli effetti creati alla Causa Increata e Creatrice, DB 1806) quanto alla<br />
dimostrazione dell’esistenza di Dio, per seguire l’argomento ontologico, che per S.<br />
Anselmo d’Aosta aveva solo un significato spirituale-apologetico, mentre lui ne fa un<br />
argomento filosofico in senso stretto e probante, passando <strong>da</strong>l concetto di Dio alla<br />
sua esistenza, ossia <strong>da</strong>ll’ideale al reale. Per quanto riguar<strong>da</strong> gli attributi o i Nomi<br />
divini, segue la via apofatica o il nichilismo teologico maimonideo o di Dionigi (I Nomi<br />
di Dio) malamente interpretato, per il quale Dio è totalmente inconoscibile; mentre<br />
la filosofia perenne e il Dogma definito <strong>da</strong>l Vaticano I insegnano che la ragione<br />
umana, oltre l’esistenza di Dio, può conoscere non tutti, ma alcuni suoi attributi,<br />
16
perfezioni o ‘Nomi’ (Essere, Verità, Bontà, Bellezza).<br />
Rosmini e il S. Uffizio<br />
Nel 1848 (sotto Pio IX) due opere in cui Rosmini propugnava un “aggiornamento”<br />
politico <strong>della</strong> Chiesa (Costituzione secondo la giustizia sociale e Le cinque piaghe<br />
<strong>della</strong> Chiesa), furono mese all’Indice, soprattutto ma non esclusivamente per motivi<br />
storico-politici, legati alle vicende del Risorgimento, che stava sviluppandosi proprio<br />
allora. Sofia Vanni Rovighi scrive che Rosmini «era fautore di un moderato<br />
liberalismo. […] Nel 1848 ebbe una missione diplomatica <strong>da</strong>l governo piemontese per<br />
indurre Pio IX ad appoggiare una confederazione di Stati italiani. […] La<br />
confederazione doveva avere carattere di aiuto al Piemonte contro l’Austria, e<br />
questo non poteva non creare difficoltà al Papa, capo religioso di tutti i cattolici».<br />
Gianfranco Radice specifica che: «Queste differenziazioni spiegano, anche, il giudizio<br />
pesante, formulato <strong>da</strong> Rosmini, subito dopo il suo ritorno a Stresa <strong>da</strong>lla infelice<br />
missione romana, sulla personalità di Pio IX [come] “poco coerente, di poca<br />
istruzione…”» (“Archivio Rosminiano di Stresa”: A. Rosmini, Missione diplomatica,<br />
manoscritto, f. 73, in <strong>da</strong>ta 27 febbraio 1850, cit. in “Studi Piani”. Pio IX e Antonio<br />
Rosmini, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1974, p. 11). Il Malusa dice<br />
che «papa Mastai Ferretti […] nell’esilio di Gaeta, subì [quasi fosse un minus habens,<br />
n<strong>da</strong>] la con<strong>da</strong>nna degli scritti <strong>rosmini</strong>ani». Invece qualsiasi persona non prevenuta<br />
riesce a capire che Pio IX non poteva ammettere la conciliazione <strong>rosmini</strong>ana tra<br />
cattolicesimo e liberalismo, essendo il Papa <strong>della</strong> con<strong>da</strong>nna assoluta di ogni cattoliberalismo.<br />
Nel 1854 (sempre sotto Pio IX) un esame delle sue opere filosoficoteologiche<br />
si terminò con un Dimittantur, ovvero senza con<strong>da</strong>nna ecclesiastica. «Il<br />
senso del decreto Dimittantur non era quello di una garanzia illimitata di ortodossia<br />
sugli scritti di Rosmini, ma di una semplice sospensione di giudizio sulla possibile<br />
eterodossia di dottrine in essi contenute». Invece nel 1887 (sotto Leone XIII, in<br />
questo tema più fermo di Pio IX, onde crolla la storiella di Leone XIII Papa liberale,<br />
tanto cara ai discepoli di Charles Maurras), il decreto Post obitum con<strong>da</strong>nnò 40<br />
proposizioni estratte <strong>da</strong> opere, anche postume, del Roveretano, come eterodosse Nel<br />
1° luglio del 2001 una Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e<br />
le opere del Reverendo Sacerdote Antonio Rosmini Serbati, <strong>della</strong> Congregazione per<br />
la dottrina <strong>della</strong> fede, apportava delle precisazioni sulla con<strong>da</strong>nna, delle quaranta<br />
proposizioni <strong>rosmini</strong>ane, del 1888, <strong>da</strong> parte del S. Uffizio e voluta fortemente <strong>da</strong><br />
Leone XIII. La Nota del 2001 spiegava che la con<strong>da</strong>nna del 1887, più che una vera e<br />
propria con<strong>da</strong>nna delle proposizioni in se stesse, era piuttosto un’espressione di<br />
cautela su un possibile uso eterodosso delle dottrine <strong>rosmini</strong>ane, soprattutto quelle<br />
postume, che a prima vista potevano sembrare erronee, ma nel contesto complessivo<br />
- come si dice oggi, “storicizzate” - erano libere <strong>da</strong> contenuti ereticali. Il decreto<br />
<strong>della</strong> Congregazione per la dottrina <strong>della</strong> fede, presieduta <strong>da</strong>ll’allora card. Joseph<br />
Ratzinger, del 2001 «in nulla sconfessava la con<strong>da</strong>nna emanata il 14 dicembre 1887<br />
[e pubblicata nel 1888], ma attribuiva [ossia, limitava e restringeva, n<strong>da</strong>] il suo scopo<br />
al motivo prudenziale di non fare incorrere gli studiosi ed i lettori di Rosmini in<br />
equivoci. La con<strong>da</strong>nna non era riformata, cosa impossibile […], ma solo spiegata»,<br />
17
onde la filosofia e teologia <strong>rosmini</strong>ana resta con<strong>da</strong>nnata anche se re-interpretata alla<br />
luce <strong>della</strong> “ermeneutica <strong>della</strong> continuità”, che soggettivamente interpreta ogni cosa,<br />
anche contraddittoria (‘idea’ <strong>rosmini</strong>ana ed ‘essere’ tomistico) con la dottrina<br />
cattolica, come potenzialmente ‘conforme’ ad essa, poiché il contesto storicoermeneutico,<br />
unisce tutto, anche i contrari (capre e cavoli), nello ieri, oggi e domani<br />
che formano un continuum o tutt’uno (cf. Schleiermacher, Dilthey e Ga<strong>da</strong>mer).<br />
Luciano Malusa, dell’Università di Genova, nel libro citato, spiega come la con<strong>da</strong>nna,<br />
differita <strong>da</strong> Pio IX fu voluta <strong>da</strong> Leone XIII. Papa Pecci (autore <strong>della</strong> enciclica Aeterni<br />
Patris, 1879), secondo il Malusa, era un tomista “stretto” (ossia non accettava il<br />
“tomismo trascendentale” che voleva coniugare S. Tommaso col kantismo, come<br />
invece Rosmini cercò di fare) e non tollerava dottrine che si allontanassero <strong>da</strong>l più<br />
sano e genuino tomismo, per imbastardirlo mediante lo spurio connubio con la<br />
modernità, che è la natura del modernismo con<strong>da</strong>nnato <strong>da</strong> S. Pio X nell’enciclica<br />
Pascendi Dominici gregis (1907), in quanto cerca di sposare il dogma cattolico con la<br />
filosofia moderna e soggettivista, specialmente kantiana, la quale relativizza il<br />
significato delle formule dogmatiche e le erode <strong>da</strong>l di dentro. Leone XIII, come<br />
Gregorio XVI e Pio IX, con<strong>da</strong>nnò il liberalismo (Libertas praestantissimum, 1888), la<br />
massoneria (Humanum genus, 1884), il laicismo (Diuturnum, 1881; Immortale Dei,<br />
1885; Sapientiae christianae, 1890) inoltre - filosoficamente - papa Pecci fu<br />
coadiuvato <strong>da</strong> vari teologi domenicani e gesuiti nella sua idea <strong>della</strong> rinascita del<br />
tomismo o ‘terza scolastica’ che fu portata a termine <strong>da</strong> S. Pio X con l’encicliche<br />
Acerbo nimis, 1905; Il fermo proposito, 1905; Pieni l’animo, 1906, Pascendi e il<br />
Decreto Lamentabili, 1907 per finire con Le XXIV Tesi <strong>della</strong> filosofia tomista e <strong>da</strong> Pio<br />
XI con l’enciclica Studiorum ducem, 1923. Tale irreconciliabilità è stata riaffermata<br />
ultimamente <strong>da</strong> p. Cornelio Fabro (L’enigma Rosmini, 1988). Ebbene tutti costoro<br />
scorsero nelle opere anche postume di Rosmini le tracce dell’ontologismo e del<br />
panteismo. Ora, come giustamente si doman<strong>da</strong> il Malusa «che senso ha oggi occuparsi<br />
<strong>da</strong> un punto di vista storico del decreto Post obitum? […]. Un mutamento di rotta <strong>da</strong><br />
parte dell’autorità <strong>della</strong> Chiesa cattolica si ebbe dopo il Concilio Vaticano II, con la<br />
fine, fra l’altro, dell’egemonia, in ambito filosofico, del tomismo intransigente». Ma<br />
dov’è allora (se si parla di “mutamento di rotta”) la tanto “conclamata e non<br />
provata” “continuità”?.<br />
*<br />
Conclusione sul Rosminianesimo<br />
Il <strong>rosmini</strong>anesimo - oggettivamente parlando - è “l’anti-tomismo” radicale e<br />
ribaltato. Vale a dire, Rosmini prende la propria ‘idea di essere’ per la realtà, onde<br />
la sua “filosofia” è una chimera o un ircocervo di idealismo-realista o una ‘sintesi’<br />
kantiana di ideale e reale. Dal punto di vista teologico, idealizzando le formule<br />
dogmatiche, le trasforma e ne rende il significato non più oggettivo e reale, ma lo<br />
svuota sostanzialmente <strong>da</strong>ll’interno, lo soggettivizza e ne cambia il senso in maniera<br />
modernizzante, lasciando intatte le apparenze o la forma accidentale estrinseca di<br />
esse.<br />
Quindi, il sistema <strong>rosmini</strong>ano - oggettivamente e sostanzialmente - è realmente un<br />
18
‘enigma’ apparente, ma un errore reale dei più pericolosi, <strong>da</strong>cché altamente<br />
ingannatore, in quanto si cela sotto sembianze di “spiritualismo cristiano”, essendo<br />
invece un errore ontologista e panteista ben nascosto e camuffato, poiché espresso<br />
‘quoad modum’ in maniera meno radicale e chiara del malebranchismo e<br />
giobertismo.<br />
Come ha scritto uno dei maggiori teologi del XX secolo: «Rosmini […], non ha saputo<br />
seguire S. Tommaso; troppo autodi<strong>da</strong>tta, non ha veduto la profondità, l’esattezza, il<br />
vigore, né l’altezza del pensiero del Maestro e poi egli forse amava un po’ toppo la<br />
libertà <strong>della</strong> mente per essere il discepolo docile d’un grande pensatore. Un filosofo<br />
mi ha scritto recentemente: “[…] voi Domenicani per ritrovare la libertà avete<br />
dovuto aspettare Campanella”.- Questo stravagante di Campanella sarebbe dunque<br />
un’intelligenza superiore ai maggiori commentatori di S. Tommaso? […]. Ma questa<br />
riflessione dimostra quanto molti filosofi tengano alla libertà dell’intelligenza [più<br />
che alla verità e alla buona volontà, n<strong>da</strong>], e non sono facilmente discepoli di S.<br />
Tommaso. La potenza intellettuale di lui, invece di attrarli, impedisce loro di<br />
avanzare. Han paura di legarsi e perdere la loro libertà. Tuttavia non bisogna<br />
preferire la libertà alla verità [<strong>da</strong>cché “La verità rifarà liberi”, dice il Vangelo, n<strong>da</strong>]»<br />
(R. Garrigou-Lagrange, La Sintesi Tomistica, Brescia, Queriniana, tr. it., 1953, p.<br />
493).<br />
*<br />
Parvus error in principio fit magnus in fine<br />
Da qualche fiocco di neve nasce una valanga, <strong>da</strong> qualche goccia un fiume, <strong>da</strong> un<br />
piccolo errore iniziale una grave deviazione finale. Tale assioma vale per Scoto e<br />
Suarez inizialmente, mentre in Rosmini lo si trova attuato allo stato terminale.<br />
Vediamo, riassumendo il tutto, perché.<br />
*<br />
a) Duns Scoto (+ 1308)<br />
1°) Separa e quasi contrappone ragione e Fede. La teologia assorbe la filosofia. La<br />
ragione è svalutata eccessivamente, sino ad aprire le porte al fideismo.<br />
2°) L’oggetto <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong> è l’essere generale o comune, in tutta la sua<br />
estensione. Quindi l’uomo potrebbe conoscere con la sua capacità naturale e senza<br />
l’aiuto <strong>della</strong> Grazia e del Lumen gloriae anche Dio, che è un Ente o un Essere. Scoto,<br />
perciò, passa <strong>da</strong> un difetto di svalutazione <strong>della</strong> ragione umana ad un eccesso, che<br />
potrebbe rendere Dio sub ratione Deitatis oggetto dell’intelletto naturale.<br />
3°) Rifiuta, tuttavia, la prova dell’esistenza di Dio a partire <strong>da</strong>lle creature o effetti<br />
risalendo al Creatore o alla Causa prima. L’uomo, che potrebbe vedere Dio nella sua<br />
19
essenza non è capace di dimostrare la sua semplice esistenza e non può conoscere<br />
nessuno dei suoi attributi o Nomi divini, tornando implicitamente al nichilismo<br />
teologico di Mosè Maimonide.<br />
4°) Il desiderio di vedere Dio faccia a faccia si trova naturalmente nell’uomo, esso<br />
potrebbe essere efficace e assoluto. Tuttavia Scoto non tira tutte le conclusioni <strong>da</strong><br />
questa premessa. Esse saranno esplicitate <strong>da</strong> Suarez circa 300 anni dopo.<br />
5°) Il concetto di essere è univoco e non analogo. Quindi l’uomo potrebbe conoscere<br />
naturalmente tutti gli enti nella loro natura, anche Dio, che è univoco alle creature.<br />
6°) Riprende e rende strettamente filosofico l’argomento ontologico di S. Anselmo.<br />
Quindi prepara il passaggio <strong>da</strong>ll’ideale al reale, che sarà il cavallo di battaglia di<br />
Rosmini (l’idea di essere prima dell’essere stesso), circa 600 anni dopo.<br />
*<br />
b) Francisco Suarez (+ 1617)<br />
1°) Nega la distinzione reale tra materia e forma, potenza e atto, essenza ed essere.<br />
Da questo errore metafisico ne tira la conseguenza teologica secondo cui l’uomo<br />
avrebbe un potere di conoscere naturalmente la Natura stessa di Dio (ontologismo).<br />
Siccome la materia o potenza contiene una certa forma o atto imperfetto, il<br />
desiderio umano di vedere l’Essenza di Dio sarebbe naturalmente efficace ed<br />
assoluto.<br />
3°) Poiché la potenza contiene l’atto anche se imperfettamente, l’uomo che è atto<br />
misto a potenza potrebbe coincidere con l’Atto puro <strong>da</strong> ogni potenzialità e si<br />
potrebbe scivolare verso il panteismo.<br />
4°) Il concetto di essere è univoco, con tutte le conseguenze già aperte <strong>da</strong> Scoto.<br />
*<br />
c) Antonio Rosmini (+ 1885)<br />
1°) Cerca il dialogo, l’aggiornamento e l’a<strong>da</strong>ttamento <strong>della</strong> filosofia classica<br />
(Platone/Aristotele) e patristico-scolastica (S. Agostino/san Tommaso) con quella<br />
moderna (Cartesio/Kant). La conseguenza di tale a<strong>da</strong>ttamento è il cattolicesimoliberale<br />
e modernismo o “spurio connubio di cristianesimo e kantismo” (san Pio X).<br />
2°) Il pensiero l’idea, il “cogito” vengono prima dell’essere, dell’oggetto e <strong>della</strong><br />
realtà. La sua è la filosofia dell’idea di essere e non è la <strong>metafisica</strong> tomistica<br />
dell’essere reale.<br />
3°) Cerca un metodo filosofico “sintetico” tra ente ideale e reale, precorrendo<br />
20
l’idealismo e il “tomismo” trascendentale di Joseph Maréchal e Karl Rahner.<br />
4°) Lo “spiritualismo cristiano” cui ha <strong>da</strong>to nascita il <strong>rosmini</strong>anesimo non è il<br />
realismo aristotelico-tomistico, non riconosce l’ilemorfismo (l’uomo è composto di<br />
anima e corpo, forma e materia), fa dell’uomo un angelo o una pura sostanza<br />
spirituale separata, come aveva fatto Cartesio. Confonde la filosofia (o la ragione<br />
naturale) con la teologia (la Rivelazione approfondita con l’intellezione).<br />
5°) La con<strong>da</strong>nna delle 40 proposizioni <strong>rosmini</strong>ane del 1888 <strong>da</strong> parte di Leone XIII non<br />
è stata annullata <strong>da</strong>l card. Joseph Ratzinger nel 2001, ma l’ex prefetto <strong>della</strong><br />
‘Congregazione per la dottrina <strong>della</strong> Fede’ ha soltanto messo in guardia <strong>da</strong>l fare<br />
attenzione ad un possibile uso eterodosso delle teorie <strong>rosmini</strong>ane, annacquando la<br />
con<strong>da</strong>nna di papa Pecci senza averla abrogata. Infatti la 40 proposizioni di Rosmini<br />
sono oggettivamente erronee filosoficamente e teologicamente in sé e non solo<br />
virtualmente. Soggettivamente solo Dio sa se Rosmini era cosciente del disordine che<br />
avrebbe provocato con la sua <strong>falsa</strong> filosofia dell’idea di essere.<br />
●Ecco come <strong>da</strong> piccoli errori iniziali in campo puramente filosofico (Scoto e Suarez)<br />
si è giunti oggettivamente a gravi deviazioni teoretiche e dogmatiche terminali<br />
(Rosmini), anche se si spera soggettivamente in buona fede. Cosa che solo Dio sa e<br />
sulla quale non possiamo né dobbiamo pronunciarci.<br />
●“O Signore, che illumini la Tua Chiesa con l’ammirabile dottrina del Beato Tommaso<br />
[…], concedici di comprendere i suoi insegnamenti e di imitarne la vita” (Colletta<br />
<strong>della</strong> Messa di S. Tommaso d’Aquino, al 7 di marzo).<br />
NOTE<br />
d. CURZIO NITOGLIA<br />
6 ottobre 2011<br />
http://www.doncurzionitoglia.com/<strong>scoto</strong>_<strong>suarez</strong>_<strong>rosmini</strong>_3.htm<br />
[1] Cfr. R. Zavalloni – E. Mariani, La dottrina mariologica di G. Duns Scoto, Roma, 1987; cfr. sì sì no no,<br />
30 settembre 2011, pp. 1‐8.<br />
[2] B. Mondin, Storia <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong>, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1998, II vol., p. 664.<br />
[4] S. Tommaso d’Aquino, C. G., I, 3 e 7; S. Th., I‐II, q. 2, a. 4; De Ver., q. 14, a. 10. Contro cui, Duns<br />
Scotus, Opus ox., Prol., q. 3, a. 8, n. 25.<br />
[5] Per il concetto di “causalità” in San Tommaso d’Aquino v. S. Th., I, q. 14, a. 8; ivi, q. 19, a. 4; q. 44; q.<br />
65, a. 3; II‐II, q. 9, a. 2; ivi, q. 45, a. 1; q. 46, a. 2; III, q. 7, a. 1; II Phys., lect. X, n. 240; I Sent., d. 18, q. 1,<br />
a. 5; IV Sent., d. 3, q. 1, a. 1, sol. 1; De Pot., q. 5, a. 1.<br />
21
[6] Per la nozione di “partecipazione” in San Tommaso v. In Johann., Prol., n. 5.<br />
[7] Per l’analogia di proporzionalità in san Tommaso v. S. Th., I, q. 13, a. 5 e 10.<br />
[8] Per l’analogia di attribuzione in s. Tommaso v. S. Th., I, q. 5, a. 6; ivi, I‐II, q. 61, a. 1; q. 88, a.1.<br />
[9] Cfr. S. Th., I, q. 13, a. 10, ad 4.<br />
[10] Cfr. S. Th, I, q. 13, a. 6, ad 3.<br />
[11] S. Th., I, q. 1, a. 1, ad 2um.<br />
[12] S. Tommaso d’Aquino, I Sent., d. 37, q. 1, a. 1, sol.; S. Th., I, q. 4, a. 2, ad 3; I, q. 5, a. 1, ad 1; I, q. 29,<br />
a. 2; C. Gent., II, 15.<br />
[13] B. Mondin, cit., p. 672.<br />
[14] E. Bettoni, Duns Scoto filosofo, Milano, Vita e Pensiero, 1966, p. 35.<br />
[15] E. Bettoni, voce ‘Scoto, Giovanni Duns’, in “Dizionario Enciclopedico di Filosofia” del ‘Centro di<br />
Studi Filosofici di Gallarate’, II ed., Roma, Lucarini, 1982, VII vol., col. 526.<br />
[16] E. Gilson, La filosofia medievale (1922), tr. it., Firenze, La Nuova Italia, 1947; Id., Lo spirito <strong>della</strong><br />
filosofia medievale (1932), tr. it., Brescia, Morcelliana, 1947.<br />
[17] S. Tommaso d’Aquino, De Pot., q. 7, a. 2, ad 9; C. G., I, 26;<br />
[18] S. Th., I, q. 84, a. 7.<br />
[19] D. Scotus, Ordinatio oxoniensis, Prol. q. I, art. 1., ibidem, I, d. 3, p. 1, n. 113; In Ium Sent., dist. 3, q.<br />
5.<br />
[20] D. Scotus, Ordinatio, I, d. 3, p. 1, n. 126, 137 e 186.<br />
[21] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 80, 82‐83; De Malo, qq. 3 e 6; De Ver., q. 22.<br />
[22] S. Tommaso d’Aquino, S. Th. I, q. 85, a. 1; De Anima, 4; Quodl., VIII, q. 2, a. 2. Al contrario, D.<br />
Scotus, Opus ox., I, d. 3, q. 6, n. 2, 5, 8, 9‐14.<br />
[23] D. Scotus, Opus ox., I, d. 3, q. 3, a. 1, n. 2, 4 e 7.<br />
[24] S. Tommaso d’Aquino, De spirit. creat., S. Th., I, qq. 54‐64, 98‐103; Comp. Theologiae, cap. 73‐78.<br />
[25] E. Bettoni, voce ‘Scoto, Giovanni Duns’, in “Dizionario Enciclopedico di Filosofia”, cit., col. 526.<br />
[26] E. Bettoni, cit., p. 44.<br />
[27] D. Scotus, Opus oxoniense, II, d. 3, q. 1, n. 8‐9.<br />
[28] Cfr. T. Tyn, Metafisica <strong>della</strong> sostanza. Partecipazione e analogia entis, Bologna, ESD, 1991; rist.,<br />
Verona, Fede & Cultura, 2009; S. Tommaso d’Aquino, S. Th. .I, q. 3, a. 1, ad 3; I. Sent., d. 19, q. 5, a. 2, ad<br />
22
1; ivi, d. 8, a. 1, ad 4.<br />
[29] R. Garrigou‐Lagrange, La sintesi tomistica (1950), tr. it., Brescia, Queriniana, 1953, p. 89.<br />
[30] E. Bettoni, voce ‘Scoto, Giovanni Duns’, in “Dizionario Enciclopedico di Filosofia”, cit., col. 529. Cfr.<br />
D. Scotus, Op. ox., I, d. 2, q. 2, n. 11 e 16.<br />
[31] P. De Töth, Errori e <strong>pericoli</strong> dello scotismo, Firenze, Mealli & Stianti, 1932, p. 41.<br />
[32] D. Scotus, Reportatio parisiensia, IV, dist. 28 (“Voluntas divina est causa boni et ideo eo ipso quod<br />
Deus vult aliquod, ipsum est bonum”); cfr. Opus oxoniense, 3, dist., 37.<br />
[33] R. Garrigou‐Lagrange, La sintesi tomistica (1950), tr. it., Brescia, Queriniana, 1953, pp. 92‐93.<br />
[34] S. Th., I, q. 12, a. 1.<br />
[35] S. Tommaso d’Aquino, C. Gent, III, 26; S. Th., I‐II, q. 62, a. 1; III Sent., d. 27, q. 2, a. 2, ivi, d. 33, q. 1,<br />
a. 2, sol.; De Ver., q. 28, a. 8, ad 2.<br />
[36] Cfr. R. Garrigou‐Lagrange, cit., pp. 91‐94; Id., L’appetit naturel et la puissance obédientielle, in<br />
“Revue thomiste”, n. 35, 1928, pp. 474‐478; P. Parente, voce ‘Desiderio di Dio’, in “Dizionario di<br />
teologia dommatica”, Roma, Studium, 1947.<br />
[37] B. Mondin, cit., p. 676. Cfr. D. Scotus, Ordinatio oxoniensis, I, d. 3, p. 1, n. 26; ib., I, d. 3, q. 2, n. 5‐6,<br />
8, 10; ib., I, d. 3, q. 3, n. 6, 8‐9, 12; ib., I, dist., 8, q., 3.<br />
[38] E. Bettoni, voce ‘Scoto, Giovanni Duns’, in “Dizionario Enciclopedico di Filosofia”, cit., col. 527. Cfr.<br />
D. Scotus, Op. ox., I, d. 3, q. 7, n. 20 e 26; Id., Quaestiones in Metaph., l. VII, q. 18, n. 11<br />
[39] S. Tommaso d’Aquino, I Sent., d. 19, q. 2, a. 2; De Ver., q. 27, a. 1, ad 8.<br />
[40] P. De Töth, Errori e <strong>pericoli</strong> dello scotismo, cit., pp. 64‐65.<br />
[41] R. Garrigou‐Lagrange, La sintesi tomistica (1950), tr. it., Brescia, Queriniana, 1953, p. 94.<br />
[42] S. Tommaso d’Aquino, III Sent., d. 6, a. 2; C. Gent., I, 12; S. Th., I, q. 3, a. 4, ad 2. Invece, D. Scotus,<br />
Opus ox., I, d. 3, q. 7; Op. ox., d. 3, q. 4, ibidem, I, d. 39, q. unica, n. 13, ib, IV, d. 43, q. 2, n. 10.<br />
[43] De ente et essentia, cap. VI.<br />
[44] De pot., VII, 2, ad 9; De ente et essentia, cap. VI; De pot., II, 2, ad 9; In I Sent., XVII, 1, 2, ad 3; C. G.,<br />
III, 56; In I Sent., XIX, 2, 2; C. G, I, 36; S. Th., I, q. 7, a. 1; Quodl., XII, 5, 1; S. Th., I, q. 4, a. 1, ad 3. Invece,<br />
D. Scotus, Op. ox., d. 3, q. 2, n. 24; ib., I, d. 3q. 3, n. 8, 12, 24.<br />
[45] D. Scotus, Op. ox., I, d. 3, q. 6, n. 17; Quaest. in Metaph., Prologo, n. 5 e 9; Q. in Metaph., lib. II, q.<br />
3, n. 22; ibid., lib. IV, q. 1, n. 5.<br />
[46] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 2, a. 3.<br />
[47] d. Scotus, Op. ox., I, d. 3, q. 2, n. 5; ib., I, d. 3, q. 2, n. 6‐17; ib., I, d. 2, n. 43, 53, 57‐58, 71‐73, 118,<br />
23
130‐133, 136, 147.<br />
[48] D. Scotus, De primo principio, I, 1; III, 42; IV, 80; IV, 155.<br />
[49] B. Mondin, cit., p. 682.<br />
[50] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 7, aa 1‐2.<br />
[51] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 1; I Sent., Prol, aa. 1‐5; De Trin., q. 2, aa. 1‐3; C. G., I, 3‐8; Quodl.,<br />
IV, q. 9, a. 3; De Pot., q. 9, a. 5.<br />
[52] Contro cui cfr. S. Tommaso d’Aquino, In De Trin., q. 1, a. 2, ad 1; De Pot., q. 7, a. 5, ad 13 e 14; I<br />
Sent., d. 8, q. 1, a. 1, ad 4.<br />
[53] D. Scotus, Ordinatio oxoniensis, I, d. 2, p. 1, q. 1; q. 2, n. 43; ivi, nn. 111‐113 e 125; ivi, nn. 130‐131<br />
e 137; De primo principio, IV, nn. 134‐135.<br />
[54] D. Scotus, Opera omnia, Ed. Vivès, vol. XIII, p. 66; vol. XIII, p. 79; vol. XX, p. 26; vol. XXIV, p. 499;<br />
Opus ox., II, d. 17, q. 1, n. 3. Cfr. M. Cordovani, Il Salvatore, Roma, Studium, II ed., 1946, p. 399. S.<br />
Tommaso invece la prova nel suo De anima, XIV, ad 16 e ad 18; C. G, II, 55 e 79; S. Th., I, , q. 75, a. 6; ivi,<br />
q. 104, a. 4.<br />
[55] R. Garrigou‐Lagrange, La sintesi tomistica (1950), tr. it., Brescia, Queriniana, 1953, p. 88.<br />
[56] Cfr. E. Gilson, L’essere e l’essenza (1948), tr. it., Milano, Massimo, 1988, pp. 119‐131.<br />
[57] E. Gilson, La filosofia medievale (1922), tr. it., Firenze, La Nuova Italia, 1947; Id., Lo spirito <strong>della</strong><br />
filosofia medievale (1932), tr. it., Brescia, Morcelliana, 1947. Cfr. il magistrale articolo di padre G. Perini,<br />
Thomae doctrinam Ecclesia suam fecit, in Aa. Vv., L’Enciclica “Aeterni Patris” nell’arco di un secolo, vol.<br />
I degli “Atti dell’VIII Congresso Tomistico internazionale”, Città del Vaticano, 1981, pp., 89‐121.<br />
[58] E. Gilson, L’essere e l’essenza (1948), tr. it., Milano, Massimo, 1988, p. 122.<br />
[59] Cfr. E. Gilson, Giovanni Duns Scoto (1952), tr. it., Milano, Jaca Book, 2008, pp. 222‐227.<br />
[60] L. K. Shook, Etienne Gilson (1984), Milano, Jaca Book, 1991, p. 143.<br />
[61] Cfr. P. De Töth, Errori e <strong>pericoli</strong> dello scotismo, cit., p. 80.<br />
[62] Cfr. L. K. Shook, Etienne Gilson (1984), Milano, Jaca Book, 1991, p. 451.<br />
[63] B. Mondin, cit., p. 698.<br />
[64] Cfr. C. Giacon, Occam, Brescia, La Scuola, 1945.<br />
[65] F. Van Steenberghen – A. Forest – M. De Gandillac, Il movimento dottrinale nei secoli IX‐XIV, in<br />
Storia <strong>della</strong> Chiesa, a cura di A. Fliche – V. Martin, Milano, Siaie, vol. XIII, p. 496.<br />
[66] E. Bettoni, voce ‘Scoto, Giovanni Duns’, in “Dizionario Enciclopedico di Filosofia”, cit., col. 531.<br />
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[67] R. Garrigou‐Lagrange, La sintesi tomistica, cit., p. 410.<br />
Chi volesse approfondire il tema dello scotismo può consultare:<br />
C. Balic, “La scolastica post‐tomistica: Giovanni Duns Scoto”, in Grande Antologia filosofica, Milano,<br />
Marzorati, 1989, vol. IV, p. 1349; Id., voce “Scotismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano,<br />
1953, vol. XI, coll. 151‐162; G. Lauriola, Introduzione a Duns Scoto, ‘Antologia’, Alberobello, 1996; G.<br />
Zavalloni, Giovanni Duns Scoto, maestro di vita e pensiero, Bologna, 1992; D. Scaramuzzi, D. Scoto.<br />
Summula scelta di scritti coordinati in dottrina, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1932; O. Todisco, Lo<br />
spirito cristiano <strong>della</strong> filosofia di Giovanni Duns Scoto, Roma, 1975; Id., La nozione <strong>metafisica</strong> di essere<br />
nell’ascesa a Dio del beato Giovanni Duns Scoto, Napoli, 1966; M. Damiata, I e II tavola. L’etica di G.<br />
Duns Scoto, Firenze‐Pistoia, 1973; B. Bonansea, L’uomo e Dio nel pensiero di Duns Scoto, Milano, 1991;<br />
P. Stella, L’ilemorfismo di Duns Scoto, Torino, 1955; Antonio Coccia, Attualità di Duns Scoto: conoscere<br />
per amare, in “Ideali politici e problemi religiosi in alcuni grandi Filosofi”, Roma, Miscellanea<br />
Francescana, 1977; Id., L’uomo di fronte all’Infinito, Palermo‐Roma, Mori, 1969; Id., Contributi<br />
scotistici. Storia, dottrina, spiritualità, Roma, “Miscellanea Francescana”, 1966; L. Jammarrone, Il<br />
problema <strong>della</strong> creazione nel pensiero di Giovanni Duns Scoto, Roma, “Miscellanea Francescana”, 1966;<br />
Id., Contingenza e creazione nel pensiero di Duns Scoto, Roma, “Miscellanea Francescana”, 1966; Id.,<br />
Giovanni Duns Scoto metafisico e teologo, Roma, “Miscellanea Francescana”, 1999; S. Vanni‐Rovighi, La<br />
Filosofia Patristica e Medievale, Giovanni Duns Scoto, in “Storia <strong>della</strong> Filosofia”, diretta <strong>da</strong> C. Fabro, I<br />
vol., Roma, Coletti, 1954, pp. 242‐247; S. Vanni‐Rovighi, L’immortalità dell’anima nel pensiero di<br />
Giovanni Duns Scoto, in “Rivista di Filosofia neoscolastica”, Milano, 1931, pp. 78‐104; G. Pini, Scoto e<br />
l’analogia, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2002; P. De Töth, Errori e <strong>pericoli</strong> dello scotismo, Firenze,<br />
Mealli & Stianti, 1932; N. Petruzzellis, Studi sull’etica di Scoto, in “Archives de Philosophie”, Parigi,<br />
1940, pp. 68‐87; Andrea Dalledonne, Duns Scoto, in “Grande Antologia Filosofica”, Milano, Marzorati,<br />
Aggiornamento bibliografico*, vol. XXXII, 1984, pp. 675‐682. Il più acuto confutatore dello scotismo è<br />
Johoannes Capreolus (+ 1444), chiamato princeps thomistarum, che nelle sue Defensiones theologiae<br />
Divi Thomae Aquinatis (ultima edizione Tours, 1900‐1908) accosta al ‘Commento alle Sentenze’ di<br />
Pietro Lombardo’ fatto <strong>da</strong> S. Tommaso i testi <strong>della</strong> ‘Somma Teologica’ e delle ‘Questioni disputate’<br />
dell’Angelico, difendendoli contro gli scotisti e i nominalisti, tanto che gli scolastici hanno creato il<br />
motto scherzoso: “si Scotus non sonasset, Capreolus non saltasset; se Scoto non avesse suonato,<br />
Capreolo non avrebbe <strong>da</strong>nzato”; cfr. R. Garrigou‐Lagrange, De Revalatione, Roma, Ferrari, 1918:<br />
sull’univocità dell’ente secondo Scoto, vol. I, pp. 303, 363; sul Desiderio naturale efficace di veder Dio,<br />
vol. I, p. 390; sulla confusione tra ordine naturale e soprannaturale, vol. I, p. 340, 365, 482.<br />
[68] Se generalmente i gesuiti seguono la dottrina di Suarez non sono mancati tra loro quelli che si son<br />
distinti per la fedeltà e penetrazione del tomismo, specialmente con la terza scolastica e il neotomismo<br />
rilanciato <strong>da</strong>ll’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII (1879): il card. Giuseppe Pecci, fratello di Leone XIII,<br />
p. Luigi Taparelli D’Azeglio, p. Serafino Sordi, p. Matteo Liberatore, p. Giuseppe Kleutgen, p. Giovanni<br />
Cornoldi, p. Vincenzo Remer, p. Guido Mattiussi, p. Carlo Giacon, p. Paolo Dezza.<br />
[69] Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4a ed., 1957, voce “Soprannaturale”.<br />
[70] Cfr. B. Mondin, I grandi teologi del ventesimo secolo, Torino, Borla, 1969, 1° vol. I teologi cattolici;<br />
H. Urs von Balthasar, Il padre Henry de Lubac. La Tradizione fonte di rinnovamento, Milano, Jaca Book,<br />
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1978; A. Russo, Henry de Lubac: teologia e dogma nella storia. L’influsso di Blondel, Roma, Studium,<br />
1990.<br />
[71] Cfr. G. Siri, Getsemani, Roma, Fraternità <strong>della</strong> SS. Vergine Maria, 1980, p. 54.<br />
[72] Introduzione a San Tommaso, Milano, Ares, 1983, p. 321.<br />
[73] R. Garrigou‐Lagrange, Sintesi tomistica, Brescia, Queriniana, 1953, p. 400.<br />
[74] Ibidem, p. 403.<br />
[75] Ibid., p. 405.<br />
[76] Ibid., p. 409.<br />
[77] Ibid., p. 541.<br />
[78] Cfr. B. Mondin, Storia <strong>della</strong> Metafisica, Bologna, ESD, 1998, 3° vol., pp. 426‐427.<br />
[79] Ibidem, pp. 426‐427.<br />
[80] Ibidem, p. 429.<br />
[81] Ibidem, pp. 430‐432.<br />
[82] Storia <strong>della</strong> filosofia contemporanea, <strong>da</strong>ll’Ottocento ai giorni nostri, Brescia, La Scuola, 3a ed., 1°<br />
vol., 1990, p. 34.<br />
[83] L. Malusa, (a cura di), Antonio Rosmini e la Congregazione del Santo Uffizio, Milano, Franco Angeli,<br />
2008, p. 33.<br />
[84] L. Malusa, cit., p. 35.<br />
[85] Cfr. L. Malusa, (a cura di), Antonio Rosmini e la Congregazione del Santo Uffizio, Milano, Franco<br />
Angeli, 2008.<br />
[86] Ibidem, pp. 13‐14.<br />
[87] È quello che si cerca di fare anche col Vaticano II, non con<strong>da</strong>nnare o rettificare le novitates in esso<br />
contenute, ma re‐interpretarle alla luce <strong>della</strong> “ermeneutica <strong>della</strong> continuità”, che tutto concilia,<br />
storicizzando e relativizzando ogni cosa. Se l’idea di essere <strong>rosmini</strong>ana è compatibile con l’essere<br />
intensivo tomistico, allora anche il Vaticano II è in continuità “ermeneutica‐soggettiva”, ma non “reale‐<br />
oggettiva” con la “Traditio Ecclesiae”.<br />
[88] Cfr. G. Mattiussi, Il veleno kantiano, Monza, 1907.<br />
Id., Le XXIV tesi <strong>della</strong> filosofia di San Tommaso, Roma, 1917.<br />
«S. Pio X, nell’enciclica Pascendi, aveva notato come la causa principale degli errori modernisti era stato<br />
l’abbandono dei princìpi fon<strong>da</strong>mentali <strong>della</strong> filosofia tomista; perciò incaricò il Mattiussi di raccoglierli<br />
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in brevi proposizioni. Egli allora re<strong>da</strong>sse appunto le 24 tesi: individuò, con acume penetrante, i primi<br />
princìpi <strong>della</strong> <strong>metafisica</strong> tomistica e li formulò, con ferrea logica, nel modo più sistematico e preciso»<br />
(AA. VV., Dizionario dei filosofi, Firenze, Sansoni, 1976, p. 801).<br />
[89] Tra le proposizioni con<strong>da</strong>nnate nel 1897 si legge: «Nella sfera del creato si manifesta<br />
immediatamente all’intelletto umano qualcosa di divino in se stesso, ossia che appartiene alla Natura<br />
divina. […] Quando parlo di divino nella natura, non uso questo termine ‘divino’ per significare un<br />
effetto creato ‘non‐divino’ di una Causa divina e neppure ‘divino per partecipazione’ [ma per essenza,<br />
ossia Dio in Sé, n<strong>da</strong>]. […] L’Essere che l’uomo intuisce, deve essere necessariamente qualcosa di<br />
necessario ed eterno: e questo è Dio». Come si vede queste frasi che sono estratte <strong>da</strong>lle opere di<br />
Rosmini. (Ciò è un “fatto dogmatico”, ossia quando la Chiesa decide circa il senso ortodosso o meno di<br />
alcune tesi, formule o libri, dogmaticamente rilevanti. Il Magistero in tali casi può prendere decisioni<br />
vincolanti ed obbliganti, ossia infallibili. Alessandro VII nel 1656 ‐ riguardo al libro Augustinus di<br />
Giansenio ‐ dichiarò solennemente che le proposizioni con<strong>da</strong>nnate <strong>da</strong>lla Chiesa sono esattamente<br />
quelle che si trovano nel libro con<strong>da</strong>nnato nello stesso senso o significato e non in un altro significato,<br />
cfr. Denz. 1092‐1098 e 1350; così le 40 proposizioni di Rosmini con<strong>da</strong>nnate nel 1887, si trovano<br />
infallibilmente sia nelle opere di Rosmini stesso e sia nello stesso significato per il quale sono state<br />
con<strong>da</strong>nnate), non sono solamente suscettibili di interpretazioni erronee, ma sono panteiste e<br />
ontologiste in se stesse. Onde “il <strong>rosmini</strong>anesimo riassunto nelle 40 proposizioni” è e resta<br />
infallibilmente con<strong>da</strong>nnato <strong>da</strong> Leone XIII e il card. J. Ratzinger nel 2001 ha solo cercato di mettere in<br />
guardia <strong>da</strong> ulteriori, estrinseche, interpretazioni eterodosse di Rosmini, senza poter cassare la<br />
con<strong>da</strong>nna intrinseca del Roveretano, che è un fatto dogmatico e quindi irreformabile. Il card. Pietro<br />
Parente scrive: «Non si può negare che l’oscuro sistema <strong>rosmini</strong>ano (almeno nella sua oggettiva<br />
espressione) presti il fianco all’accusa di Ontologismo, quando asserisce che l’intelletto umano intuisce<br />
l’essere indeterminato […]. La Chiesa ha con<strong>da</strong>nnato esplicitamente l’Ontologismo riassunto in 7<br />
proposizioni (Decreto del S. Uffizio del 1861, DB 1659 ss.) e in altre 40 proposizioni (Decreto del S.<br />
Uffizio del 1887, DB 1891 ss.) ha rigettato il pensiero <strong>rosmini</strong>ano, […] Filosoficamente l’Ontologismo<br />
confondendo l’essere in generale o comune con l’Essere divino, porta al Panteismo» (Dizionario di<br />
Teologia Dommatica, Roma, Studium, 4a ed., 1957, p. 292). .<br />
[90] L. Malusa, cit., p. 58.<br />
Altri autori seri, profondi e ben preparati, ma ‘limitati’ <strong>da</strong> un certo filo <strong>rosmini</strong>anismo, sono soprattutto<br />
il geniale Michele Federico Sciacca ed anche Pier Paolo Ottonello, Adelaide Raschini e molti altri<br />
specialmente dell’Università di Genova ove ha insegnato per lungo tempo lo Sciacca che può essere<br />
considerato il caposcuola dello ‘spiritualismo cristiano’. Anche Augusto Del Noce, grande e lucido critico<br />
<strong>della</strong> modernità e postmodernità, dà un’interpretazione positivamente riabilitatrice ma scarsamente<br />
convincente di Rosmini, cercando di riconquistare Cartesio alla sana filosofia e leggendolo in linea di<br />
paternità spirituale‐filosofica con Malebranche e Rosmini, in funzione spiritualista e antimaterialista.<br />
●Purtroppo anche Romano Amerio, che apprezzo molto per quanto riguar<strong>da</strong> il suo “Iota unum”, non è<br />
immune <strong>da</strong>ll’influsso <strong>rosmini</strong>ano, anche se temperato <strong>da</strong> una profon<strong>da</strong> conoscenza del Dottor Comune,<br />
cfr. E.M. Ra<strong>da</strong>elli, Romano Amerio. Della verità e dell’amore, Lungro di Cosenza, Marco Editore, 2005,<br />
p. XIX e p. 238. Quanto alle obiezioni che l’Editore di Amerio è stato il laicista esoterico e in odore di<br />
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massoneria Raffaele Mattioli suocero di Enrico Cuccia (cfr. G. Galli, Il banchiere eretico. La singolare vita<br />
di Raffaele Mattioli, Rusconi, Milano, 1998; Id, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di<br />
Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano, 1995; S. Gerbi, Raffaele Mattioli e il filosofo<br />
domato, Milano, Rizzoli, 2002), con la casa editrice Riccardo Ricciardi, rispondo che non si può<br />
identificare l’Editore con l’Autore. Se vi sia stata amicizia tra i due, occorre distinguere un’amicizia<br />
privata (transeat) <strong>da</strong> un’amicizia o comunanza dottrinale, la quale per quel che ne so è tutta <strong>da</strong> provare<br />
e solo allora sarebbe significativa. Se qualcuno ha le prove di quest’ultima le fornisca oggettivamente e<br />
se ne parlerà serenamente, sine ira et studio. Infine quanto al fatto che l’Editrice Lin<strong>da</strong>u di Torino, la<br />
quale tra l’altro stampa i testi dei teo e neo conservatori ebraico‐americanisti, stia ripubblicando<br />
l’opera omnia di Amerio, vale lo stesso discorso di sopra, con l’aggiunta che Amerio non c’è più e<br />
dunque non gli può essere imputato.<br />
[91] Cfr. B. Gherardini, Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso <strong>da</strong> fare, Casa Mariana Editrice,<br />
Frigento, 2009.<br />
[92] Cfr. F. Marìn Sola, L’évolution homogène du dogme catholique, Friburgo, 1924.<br />
[93] Per quanto riguar<strong>da</strong> il Campanella cfr. Opere di Gior<strong>da</strong>no Bruno e Tommaso Campanella, a cura di<br />
Augusto Guzzo e Romano Amerio, Milano‐Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1966.<br />
Id. Il sistema teologico di Tommaso Campanella, Milano‐Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1972.<br />
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