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TERREMOTO E CONSERVAZIONE: INCANNUCCIATE ...

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<strong>TERREMOTO</strong> E <strong>CONSERVAZIONE</strong>: <strong>INCANNUCCIATE</strong>, CASSETTONATI E<br />

CAPRIATE IN LEGNO<br />

Marina D‘APRILE<br />

Dipartimento di restauro e costruzione dell‘architettura e dell‘ambiente, Facoltà di Architettura,<br />

Seconda Università di Napoli, Aversa, Italia<br />

marina.daprile@unina2.it<br />

Earthquake and conservation: “incannucciate”, wooden lacunar floors and trusses<br />

The paper illustrates the methods and processes that have been used in the last thirty years to tackle<br />

the damages to wooden historical structures in Campania caused by the earthquakes 1980-81. The<br />

present work is based on my recent studies on historical roofs, attics and floors of the region, where I<br />

developed the appropriate tools for dating these interventions in a range between C15 and early C20,<br />

according to their metrical, material and structural characteristics.<br />

I took stock of the main experiences in this field from the extensive production of documents and<br />

graphics made by the Soprintendenza BB.BB.AA.AA. of Caserta and Benevento. This attests the<br />

intense activity of this institution which was promptly established after the date of the seism 23th<br />

November 1980. Different repair approaches, ranging from rebuilding with iron, reinforced concrete<br />

and wooden components to a careful conservation of the historical wooden elements, have been<br />

studied in detail taking into account also the long run effects related to their performances and<br />

compatibility as well as the comparison with the most recent similar repairs with FRP, CFRP and<br />

GFRP materials, executed in other contests. This study represents a useful tool to ―repair the last<br />

repairs‖ today. This should be based on the respect of the ―materical‖ genuineness of each<br />

component, in its actual structure and shape and on a sustainable approach that considers the long<br />

term effects of the repair.<br />

Parole chiave: miglioramento antisismico, codici di pratica, tecniche tradizionali, CFRP e GFRP<br />

La volontà di ricostruire, attraverso l‘analisi di un determinato contesto, i materiali, i protocolli e le<br />

procedure che, a partire da un evento particolarmente gravoso come il terremoto del 23 novembre<br />

1980, hanno contraddistinto l‘intervento di restauro post-sismico sulle strutture lignee di un ricco<br />

patrimonio chiesastico, di diversa consistenza e tipologia, risponde a molteplici istanze. Attraverso una<br />

lettura storica delle prestazioni, dei comportamenti alle sollecitazioni telluriche e degli interventi subiti,<br />

questo approfondimento estende lo studio dei tetti e dei solai della tradizione campana dalla<br />

qualificazione cronotipologica degli esemplari realizzati tra XVI e XX sec. alla definizione delle carenze<br />

strutturali, quindi, delle vulnerabilità specifiche [1]. Rappresentando queste ultime le predisposizioni di<br />

un‘architettura o di suoi elementi, nello stato attuale, a subire un danno a fronte di determinate<br />

sollecitazioni, la loro definizione, come fattori moltiplicatori e condizionanti del danneggiamento,<br />

sostanzia un obiettivo preliminare e prioritario della conservazione. La trattazione delle strutture lignee<br />

portate (cassettonati e incannucciate), limitatamente alle realizzazioni in cameracanne, solo di<br />

recente, inoltre, ha trovato spazio nella ricerca scierntifica [2]. L‘analisi degli apparati materici<br />

tradizionali e la ricostruzione dei trattamenti che, dagli anni Ottanta ad oggi, ne hanno contrassegnato<br />

recupero e salvaguardia documentano allora manualità e accorgimenti di un patrimonio che, ad<br />

eccezione delle superfici intradossali, é stato generalmente sacrificato dalla prassi restaurativa,<br />

sebbene testimonianza preziosa di una cultura costruttiva avvezza ai dissesti di origine dinamica, la<br />

comprensione della quale risulta imprescindibile ad una lettura storica efficace. Le componenti e i<br />

materiali tradizionali più poveri - intonaci, impasti, elementi lignei, etc. - nella pratica comune<br />

dell‘ultimo ventennio del Novecento hanno costantemente subito rifacimenti estesi e manomissioni<br />

significative, quanto meno, di apparecchi e strutture, dedicando ai soli eventuali apparati figurativi<br />

pregiati le dinamiche di salvaguardia. Non diversamente da quanto accaduto con il sisma friulano del<br />

1


1976, ciò si é verificato anche negli interventi seguiti agli eventi del 1980-81, dove il rifacimento anche<br />

con materiali e procedure diverse di coperture, orizzontamenti e incannucciate ha comportato la<br />

perdita di un ricco repertorio di soluzioni e varianti del quale, se si eccettuano le riprese fotografiche, si<br />

é autorizzato il sacrificio senza alcuna preventiva documentazione [3].<br />

L‘ampiezza dell‘area investita dai terremoti 23 novembre 1980 e 14 febbraio 1981 e la consistenza del<br />

patrimonio culturale danneggiato evidenziarono, fin da subito, l‘inadeguatezza dell‘Amministrazione<br />

ordinaria. Per potenziarne l‘azione, il 4 luglio 1981 il Ministro Scotti istituì tre nuovi uffici campani,<br />

trasformati in Soprintendenze con la L. 456 dell‘8 agosto 1981. Si attivarono così le Soprintendenze<br />

per i Beni ambientali, architettonici e artistici delle provincie di Caserta e Benevento, quella<br />

archeologica di Pompei e, nella zona più colpita, la Soprintendenza per i Beni ambientali, architettonici<br />

e artistici delle provincie di Salerno e Avellino, che andarono ad affiancare le Amministrazioni vigenti<br />

[4]. Esperienze e applicazioni dirette dall‘Ente competente per la riparazione dei danni nei comparti<br />

casertano e beneventano, in un contesto segnato, cioè, da crolli parziali reiterati e quadri fessurativi<br />

diffusi, in riferimento ad una tipologia architettonica precisa, quella chiesastica, che per la peculiare<br />

conformazione, ben più di altre, concentra vulnerabilità e danneggiamenti proprio nelle coperture e<br />

negli orizzontamenti sottostanti, é sembrato allora uno spaccato adeguato agli intenti proposti.<br />

1. Vulnerabilità specifiche ed apparati costruttivi<br />

La disamina degli interventi condotti tra gli anni Ottanta e Novanta – un intervallo congruo anche per<br />

una ricostruzione delle pertinenti impostazioni culturali - consente alcune riflessioni di merito, non<br />

soltanto per la conoscenza delle prassi restaurative e per la valutazione del relativo soddisfacimento<br />

dei requisiti di durabilità e compatibilità, bensì pure per l‘accertamento delle vulnerabilità specifiche,<br />

frutto cioè delle peculiarità costruttive che, proprio attraverso la verifica dei danni indotti dal sisma,<br />

queste fabbriche nel complesso evidenziano. Le forme di vulnerabilità tipiche di determinate tipologie<br />

architettoniche esprimono la predisposizione a sviluppare meccanismi di danno peculiari, coinvolgenti<br />

intere parti dell‘edificio (macroelementi), qualificate da risposte meccaniche sostanzialmente<br />

autonome rispetto all‘assetto complessivo, le cui proprietà tipologiche, geometriche e costruttive<br />

condizionano l‘innesco o l‘inibizione dei vari comportamenti possibili [5]. Lo studio delle singole<br />

risposte alle sollecitazioni dinamiche attraverso il meccanismo effettivamente riscontrato in manufatti<br />

di conformazione e struttura determinate autorizza la previsione per analogia del comportamento<br />

sismico di organismi di affini composizione e logica costruttiva. Per valutare la qualità dei danni che<br />

ciascun terremoto può produrre occorre completare l‘attenta lettura materica e strutturale del costruito<br />

con l‘individuazione delle carenze specifiche, esprimendo anche in forma quantitativa le caratteristiche<br />

che comportano le fragilità individuate, per determinare le procedure per rimuovere o, almeno, limitare<br />

i rischi dedotti [6]. In generale, le analisi più efficaci dei comportamenti dei macroelementi - definiti in<br />

base allo studio degli effetti indotti su un‘ampia gamma di architetture chiesastiche da alcuni grandi<br />

terremoti (Friuli 1976, Irpinia 1980, Umbria e Marche 1997) – riguardano facciata, parete laterale, arco<br />

trasversale e abside [7]. Le volte e le coperture non rientrano nell‘elenco poiché, sebbene essenziali al<br />

comportamento simico globale, sostanziano strutture, più che altro, danneggiate dall‘attivazione di<br />

meccanismi di collasso propri delle sezioni contigue.<br />

Le chiese offrono soluzioni interessanti alla verifica della vulnerabilità, trattandosi in media di ambienti<br />

vasti, con pareti poco vincolate rispetto alla loro estensione [8]. Tanto più nel repertorio considerato,<br />

questi manufatti sono dotati di incavallature, per luci modeste, o capriate che, piuttosto diffusamente,<br />

risultano spingenti sia per peculiari deficienze costruttive dei nodi catena-puntone e delle pertinenti<br />

sedi murarie, sia per il marcato debito manutentivo che, in maniera davvero indifferenziata, si direbbe<br />

abbia caratterizzato questi invasi, come documentato anche dai resoconti tecnici sin dai primi<br />

sopralluoghi. Non diversamente da molti casi odierni, la cronica assenza di manutenzione coinvolse,<br />

in particolare, i manti in cotto, le componenti strutturali lignee, soprattutto le testate, i rivestimenti<br />

parietali esterni e interni (intonaci e stucchi) e gli impianti, specie i dispositivi per lo smaltimento delle<br />

acque meteoriche, tutti fattori determinanti, quindi, per l‘innesco di processi degenerativi ed, altresì,<br />

condizionanti le risposte statiche e dinamiche delle singole membrature [9].<br />

A giudicare dai documenti di cantiere, dai disegni e dalle relazioni che definiscono i progetti indagati,<br />

nel complesso, si segnalano sistemi largamente caratterizzati da ripetute discontinuità strutturali<br />

incidenti sugli assetti globali proporzionalmente alla qualità ed all‘uniforme distribuzione di connessioni<br />

e unioni, nonché in ragione delle vicende costruttive proprie d‘ogni sito [10]. Specialmente in presenza<br />

di manufatti sorti per ampliamenti e aggregazioni successive – come nella chiesa di S. Lorenzo<br />

martire a Casolla, tra le più antiche della diocesi casertana che, al pari di tanti altri edifici danneggiati,<br />

proprio in virtù degli effetti tellurici fu fatta oggetto di una prima lettura stratigrafica degli elevati [11] –<br />

nonché di fabbriche segnate da trasformazioni, aggiornamenti e restauri risolti con materiali e<br />

configurazioni di diverso peso e rigidezza, frutto magari degli interventi seguiti al sisma 1857 o alle<br />

ristrutturazioni di primo Novecento, la vigenza di ripetute e significative discontinuità, ovviamente, ha<br />

amplificato in maniera consistente le conseguenze sismiche, determinando quadri fessurativi diffusi e<br />

articolati, altresì aggravati, come si diceva, da locali fenomeni degenerativi di pregressa formazione,<br />

2


tipici di coperture e malte, segnatamente, nelle porzioni di coronamento, dove gli impasti sono spesso<br />

descritti come disgregati e polverizzati.<br />

Nella gran parte degli organismi censiti, i maggiori danni si concentrarono, difatti, nelle porzioni apicali,<br />

investendone murature e incavallature lignee tant‘é che, sovente, soltanto per il crollo di queste ultime,<br />

anche i sottostanti orizzontamenti subirono crolli e distruzioni di varia entità.<br />

Le orditure e le componenti secondarie di tetti e controsoffitti, secondo le pertinenti cronologie,<br />

verificano le proprietà materiche e costruttive caratterizzanti l‘affine repertorio storico regionale. Le<br />

coperture, in genere a capriate, mediamente risultano in castagno. Sotto il profilo temporale, all‘epoca<br />

del terremoto 1980, questi manufatti ascrivevano, al più, al Seicento, con ripetute e spesso sostanziali<br />

ristrutturazioni settecentesche e ottocentesche, sovente conseguenza di interventi approntati in<br />

seguito a eventi tellurici di una certa gravità, come le calamità del 1688, 1732 e 1857. Tranne poche<br />

eccezioni - come, almeno in parte, nella chiesa beneventana di S. Agostino - si riscontravano orditure<br />

grezze, tipiche anche degli episodi più recenti: catene, puntoni e saette, quando presenti, erano<br />

scorzati e attestati, soltanto il monaco subiva una grossolana asciatura. Come nel repertorio campano<br />

tradizionale, le apparecchiature si segnalano per la generalizzata adozione di soluzioni costruttive di<br />

estrema semplicità e persistenza, scarsamente declinate, infatti, sia sul piano tipologico sia in<br />

relazione alle essenziali modalità di assemblaggio e connessione. Solo nel caso di luci significative, si<br />

rinvengono soluzioni appena più complesse, con catene ammecciate unite a dardo di Giove. La<br />

piccola orditura si componeva del solo sistema di ginelle inchiodate ai puntoni, sulle quali era<br />

direttamente allestito il manto in cotto, risolto con embrici e coppi oppure a coppi e canali.<br />

Interessante in proposito, anche perché coincidente con uno dei rari episodi dove si evitò il sacrificio<br />

delle strutture lignee di copertura, é l‘esempio offerto dalla chiesa di S. Lorenzo a Casolla,<br />

documentata dal primo Trecento, ma di fondazione certamente pregressa. Al primitivo impianto,<br />

coincidente con l‘attuale navata sinistra, alla metà del XVII sec. si aggregò la nave adiacente, oggi<br />

centrale, coperta con tetto a due falde su capriate e sottostante controsoffitto ligneo – rimosso, ma<br />

documentato dagli antichi fori di alloggiamento – sostituito, forse alla metà del Settecento,<br />

contestualmente ad altre trasformazioni ed ampliamenti, con una volta ad incannucciata, realizzata<br />

pure sui vani presbiteriale ed absidale. Il sisma del 1857 evidenziò, evidentemente, le peculiari<br />

carenze delle porzioni apicali dell‘invaso barocco. Di conseguenza, si dispose la rimozione della<br />

controsoffittatura e la realizzazione di una volta a botte di mattoni in foglio che, constatato l‘aumento di<br />

peso e rigidezza prodotto, tanti problemi verificò poi con il sisma 1980, provvedendo altresì allo<br />

smantellamento delle capriate dell‘invaso centrale e della navata più antica.<br />

Fig. 1. Benevento, chiesa di S. Agostino, navata centrale, particolare del tetto danneggiato dal sisma 1980. Le<br />

capriate comprendevano alcune membrature squadrate (catene e puntoni) ed altre scorzate e attestate, a<br />

testimonianza delle ristrutturazioni subite. Da notare, oltre agli agganci lignei della controsoffittatura, sulla<br />

controfacciata la doppia fila di fori di alloggiamento dei diversi orizzontamenti che hanno definito l‘invaso nelle<br />

distinte fasi.<br />

3


Fig. 2. Caserta (Loc. Casolla), Chiesa parrocchiale di S. Lorenzo maggiore, Progetto di risanamento,<br />

consolidamento e restauro (arch. G. Sarnella; ing. A. Del Monaco). Variante di progetto, sezione longitudinale,<br />

1986. Come d‘uopo in quegli anni, le murature furono soggette a significativi incrementi di rigidezza, in virtù della<br />

generalizzata adozione di perforazioni armate, iniezioni di miscele cementizie e cordoli in c.a. In rosso sono<br />

indicate le opere realizzate con il primo lotto di lavori.<br />

Il progetto degli ingegneri G. Rossi e A. Ruggi, oltre a riconfigurare parzialmente l‘invaso interno per<br />

restituirvi una presunta unitarietà di stile, sempre nella navata centrale dispose l‘adozione di capriate<br />

con controcatena (ascialone) chiodato ai puntoni, secondo una configurazione particolarmente<br />

caratterizzante il panorama regionale ottocentesco, specialmente in Terra di Lavoro, limitatamente ad<br />

episodi di luce non superiore a circa 7 m, concordemente al caso in parola. In quell‘occasione, anche i<br />

manti furono totalmente sostituiti.<br />

Secondo le stime elaborate in occasione del lavoro pubblicato nel 1994, proprio nella provincia di<br />

Caserta, il dato statistico evidenzia che i danneggiamenti degli organismi chiesastici investirono, più<br />

che altrove, coperture e controsoffittature, determinandone, quasi costantemente, rifacimenti e<br />

sostituzioni, altresì favoriti dal peggioramento degli stati conservativi, in ragione della particolare<br />

tempistica degli interventi, per l‘intermittenza e la consistenza dei finanziamenti approntati troppo<br />

spesso dopo lunghi periodi di completa esposizione alle aggressioni atmosferiche [12]. Ovviamente, le<br />

connessioni tra apparecchi sommitali e tetti (orditure primarie, secondarie ed impalcati delle falde)<br />

sono fondamentali per l‘equilibrio, in particolare, di fabbriche prive di solai, con pareti libere lunghe e<br />

snelle, senza cortine trasversali di controvento, com‘è appunto comune nelle tipologie esaminate,<br />

dove la copertura sostanzia l‘unica o la principale occasione di solidarizzazione orizzontale tra<br />

paramenti opposti [13]. D‘altro canto, trattandosi di orditure non adeguatamente vincolate agli<br />

appoggi, sia nel caso di nodi catena-puntone sia, ancor di più, in presenza di incavallature prive di<br />

catena, durante il terremoto queste membrature hanno indotto spinte localizzate sulle parti murarie<br />

adiacenti, provocando spostamenti progressivi verso l‘esterno, la perdita dell‘appoggio e, quindi, lo<br />

sfilamento della singola trave. Identicamente rilevanti risultano, inoltre, i cinematismi provocati sui muri<br />

d‘ambito dalla deformazione per inflessione degli elementi di colmo, anch‘essi condizionanti i<br />

meccanismi di danno.<br />

Riguardo alle volte in cameracanne, le specificità costruttive non rivelano, invece, deficienze<br />

particolari, ad eccezione forse dello stato di conservazione di centine lignee e stuoiati. Si registrano<br />

spesso agressioni biologiche, disgregazioni e polverizzazioni delle fibre legnose, soprattutto laddove<br />

l‘esposizione agli agenti atmosferici conseguente al crollo dei sistemi di copertura é stata<br />

particolarmente prolungata. Sotto il profilo costruttivo, secondo le modalità di assemblaggio più<br />

ricorrenti, le centine, ricavate da essenze di poco pregio, sono composte dall‘abbinamento chiodato<br />

(con chiodi ribattuti o a testa larga) di due o più tavole, in funzione della misura dell‘interasse,<br />

4


grossolanamente rifinite, poste di coltello e con giunti sfalsati, per spessori singoli di circa 2-4 cm. In<br />

qualche caso, come nella volta del presbiterio della chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro a Falciano, la<br />

struttura é irrigidita da un‘orditura secondaria di travetti di composizione, geometrie e lavorazioni molto<br />

diversificate. Lo stuoiato di supporto all‘intonaco é in genere realizzato con il cosiddetto arellato, cioé<br />

con stuoie di canne sottili spaccate longitudinalmente ed intrecciate a formare un ordito ortogonale<br />

oppure, più frequentemente, in presenza di elementi particolarmente sottili, le canne sono affiancate<br />

l‘una all‘altra secondo un tessuto monodirezionale. Non mancano le soluzioni particolari, come la<br />

pseudo-volta a botte sulla navata centrale della chiesa del SS. Salvatore a Benevento, il cui stuoiato é<br />

composto da vimini intrecciati, agganciati a centine lignee, annegate in una cappa d‘irrigidimento<br />

superiore, che tanti problemi causò per la sua rimozione nella fase d‘intervento post-sisma [14].<br />

Un‘altra declinazione originale poteva rintracciarsi nella struttura voltata ad incannucciata di sezione<br />

tonda, posta a copertura dell‘aula unica della chiesa di S. Maria di Costantinopoli a Piedimonte<br />

Matese, realizzata nel XVIII secolo con sottili ramoscelli forse di salice, diametri medi pari a 1 cm,<br />

sagomati secondo la curvatura delle centine lignee, in linea con una tradizione presente anche in altri<br />

areali.Superiormente, era un massetto di spessore robusto (3-4 cm), mentre all‘intradosso era una<br />

finitura a stucco con decorazioni [15]. Lo stato piuttosto compromesso del manto in cotto che, già<br />

prima del sisma, aveva causato una diffusa aggressione biologica delle orditure lignee di copertura,<br />

agevolò il crollo parziale del tetto che, rovinando, provocò ampi e ripetuti squarci sulla descritta<br />

controsoffittatura, finendo per investirne anche gli strati intradossali, la cui condizione ulteriormente si<br />

aggravò per la prolungata esposizione alle intemperie, denotandosi diffusi distacchi sia della superficie<br />

in stucco sia del massetto estradossale, unitamente alla generalizzata disgregazione della<br />

componente lignea della struttura, a quanto pare, in grado di polverizzarsi alla minima pressione.<br />

Probabilmente, come pure rivelò il progettista e direttore dei lavori (arch. S. Buonomo), l‘adozione dei<br />

ramoscelli sagomati non rappresentò un vantaggio rispetto all‘uso dei tessuti di canne, avendo<br />

agevolato piuttosto il distacco degli strati estradossali in ragione di prestazioni in campo elastico<br />

senz‘altro minori rispetto alle comuni canne e, per di più, con pesi specifici maggiori.<br />

Il quadro delle vulnerabilità rilevate comprende anche le partizioni murarie, le cui intrinseche fragilità<br />

finirono per ampliare i già gravosi effetti dinamici riscontrati nelle sezioni apicali. Generalmente in<br />

pietre di tufo locale di differente morfologia, pezzatura e lavorazione in funzione delle singole<br />

cronologie, i registri analizzati, sotto il profilo strutturale, sono costituiti, sostanzialmente, da paramenti<br />

solo accostati, con spessori composti da materiale rustico, eterogeneo per volumetria e, più di rado,<br />

per qualità, accatastato o gettato e costipato ad intervalli grossomodo regolari, apparecchiato con<br />

rilevanti quantità di malta, spesso di granulometria medio-grande, e con assai limitata distribuzione di<br />

elementi di ingranamento trasversale. A ciò si aggiunga che il bordo superiore di queste murature non<br />

appare specificamente conformato e che le solite importanti carenze sul piano costruttivo ricorrono<br />

anche agli appoggi delle orditure principali, in media, non alloggiate a sufficiente profondità e prive di<br />

specifici elementi di ripartizione del carico. In caso di terremoto, allora, la disuguale distribuzione dei<br />

pesi in sezione causa il prevalere della componente sismica orizzontale che, considerando<br />

l‘inadeguatezza dell‘ingranamento trasversale della muratura, non può non portarla a separarsi dal<br />

nucleo e a comportarsi come una parete snella, crollando localmente per effetto di azioni inerziali fuori<br />

piano o per le spinte localizzate trasmesse dal tetto.<br />

2. Coperture, orizzontamenti e incannucciate: metodologie d’intervento postsisma<br />

a confronto<br />

Dai primi anni Settanta (L. n. 64 - 2 febbraio 1974), nel nostro paese si é assistito alla progressiva<br />

omologazione delle tecniche di intervento sul patrimonio esistente, come documentato pure dalle<br />

esperienze post-terremoto di Ancona, dopo l‘evento del 1972, e del Friuli (1976). Considerando<br />

secondario e ininfluente il confronto con lo specifico contesto edilizio, i progetti di riabilitazione<br />

strutturale ricorsero, cioè, in maniera indifferenziata a tipologie e protocolli realizzativi predefiniti e<br />

generalizzati. Nella pratica corrente, le costruzioni in muratura tradizionale furono assimilate alle<br />

modalità di calcolo delle costruzioni intelaiate, agevolando l‘applicazione di elementi costruttivi tipici<br />

dell‘edificato contemporaneo, certo, favoriti dallo sviluppo tecnologico, dalla disponibilità di nuovi<br />

mezzi di calcolo e, più in generale, dalle istanze economiche e dalla facilità esecutiva. Non è un caso,<br />

quindi, che all‘adeguamento sismico, definito proprio in occasione del sisma 1980, come «complesso<br />

di opere tali da rendere l‘edificio atto a resistere alle azioni sismiche» (D.M. LL.PP. 2 luglio 1981, n.<br />

39), siano in quegli anni associate le modalità di intervento della ristrutturazione edilizia (L. 457 del 5<br />

agosto 1978) e della riparazione (D.M. LL.PP. 2 luglio 1981, n. 39), portando, in verità, l‘adeguamento<br />

alla coincidenza effettiva con il consolidamento medesimo, quindi, con la restituzione dell‘efficienza<br />

strutturale conseguita con ogni mezzo. Soltanto successivamente e con estrema gradualità si impose,<br />

infatti, l‘adozione del miglioramento sismico come unica categoria operativa possibile per il patrimonio<br />

culturale nel suo complesso, sebbene la sua definizione risalga a quello stesso periodo (D.M. LL.PP.<br />

24 gennaio 1986).Troppo spesso, con i restauri post-terremoto degli anni Settanta-Ottanta,<br />

approntando indistintamente materiali e strutture di rigidezze diverse rispetto alle qualità dell‘impianto<br />

5


preesistente, allorché quegli stessi edifici hanno affrontato fenomeni dinamici ulteriori, si sono<br />

evidenziati meccanismi di collasso più pericolosi di quelli vigenti precedentemente, con l‘innesco di<br />

cinematismi collaterali, frutto della presenza di apparecchi misti. In verità, proprio la valutazione dei<br />

danni indotti da tali ibridazioni strutturali ha poi reso possibile l‘attento riesame delle implicazioni<br />

scaturite dall‘uso di questi presidi, aprendo il campo alla ricerca della compatibilità, della reversibilità e<br />

ed al rispetto dell‘autenticità materiale delle testimonianze, tutti requisiti fondamentali del progetto<br />

restaurativo.<br />

Il repertorio di esperienze qui analizzato é perfettamente in linea con questi enunciati, facendo<br />

registrare un‘omologazione pressoché totale delle procedure e dei materiali adottati, in risposta invece<br />

a vulnerabilità specifiche e locali. Cordolature di coronamento in c.a., spesso completate dall‘aggancio<br />

tramite cuciture armate delle porzioni murarie apicali alle parti sottostanti, rifacimenti in c.a. o con<br />

elementi reticolari delle orditure dei tetti - nonché, in misura assai minore, la loro parziale sostituzione<br />

con elementi lignei, integrati con unioni e connessioni metalliche - definiscono quasi univocamente il<br />

protocollo d‘intervento nelle sezioni superiori degli alzati, solo di rado, investite dal restauro delle<br />

componenti lignee originali di copertura, come nella chiesa di San Lorenzo maggiore a Casolla. Dopo<br />

una prima ipotesi di sostituzione delle orditure, ne fu approvato infatti il restauro, anche sulla base<br />

della convinzione della datazione barocca delle membrature ottocentesche. L‘operazione previde lo<br />

smontaggio delle incavallature, la bruciatura a fiamma con scartavetratura, la carbolineatura o<br />

catramatura delle sezioni da murare, il ripristino delle chiodature e l‘applicazione di piastre metalliche,<br />

con rifazione della piccola ordutura in abete e con parziali reintegrazioni del manto in cotto (arch. F.<br />

Berardelli) [16]. Nel 1987, la sensibilità del medesimo progettista dispose poi un analogo trattamento<br />

per le capriate della navata più antica, anch‘esse ristrutturate alla metà del XIX secolo, liberando<br />

l‘invaso dalla controsoffittatura realizzatavi, in sostituzione, in età contemporanea. Altrettanto<br />

sistematico, nell‘insieme delle operazioni svolte sul patrimonio censito, risulta il ricorso alle iniezioni di<br />

miscele cementizie, impiegate pure in episodi murari non particolarmente connotati dalla<br />

degradazione e dall‘incosistenza degli impasti. Identicamente costante, infine, il ricorso alle<br />

perforazioni armate, utilizzate nella connessione di martelli, incroci e cantonali, come nella<br />

ristrutturazione di pareti e membrature centinate.<br />

Per quanto concerne incannucciate, cassettonati e controsoffittature in legno, a fronte della<br />

generalizzata tendenza, vigente almeno fino alla fine degli anni Ottanta, all‘esteso o completo<br />

rifacimento con nuovi materiali dell‘apparecchio strutturale ed al restauro dei soli intradossi di pregio,<br />

particolarmente per gli elementi in cameracanne, si evince l‘adozione di metodologie di sostituzione<br />

diversificate, fondamentalmente, in funzione dello stato di conservazione delle superfici da salvare e<br />

delle caratteristiche delle strutture soprastanti a cui agganciare le centinature di sostegno.<br />

Sistematicamente, quindi, l‘intervento avvenne dall‘estradosso, agevolato anche dallo smontaggio o<br />

dal crollo delle coperture. Provvedendo alla rimozione degli strati superiori, la volta veniva ricostituita<br />

mediante l‘inserimento di un nuovo sistema di centine – sagomato secondo le orginarie curvature –<br />

generalmente realizzato con fasce metalliche munite di sostegni per la sospensione alle orditure di<br />

copertura, soprattutto qualora queste ultime fossero state sostituite da elementi reticolari (Piedimonte<br />

Matese, chiesa di S. Maria di Costantinopoli). Altrettanto spesso tale sostituzione si avvantaggiò di<br />

elementi tipo nervometal o pernervometal, rifinendo poi a stucco l‘intradosso, previa increspatura di<br />

malta cementizia (Casolla, chiesa di S. Lorenzo maggiore, pseudo-volta del presbiterio). Solo dalla<br />

fine degli anni Ottanta e, più decisamente nei Novanta, si approntarono interventi di rifacimento<br />

parziale delle parti lignee ammolarate, sostituite con centine in legno, sostenute da tiranti metallici<br />

agganciati alle orditure superiori, conservando, altresì, dove possibile gli originari elementi lignei di<br />

sospensione (Casolla, chiesa di San lorenzo maggiore, pseudo-volta sull‘abside centrale). Così pure<br />

nella chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro a Falciano, dove l‘incannucciata a botte lunettata con<br />

decorazioni intradossali in stucco posta sul presbiterio, a partire dal 1985, oltre alla reintegrazione<br />

delle mancanze ed alla parziale sostituzione delle centine lignee, agganciate con opportuni tenditori<br />

ad una superiore orditura di putrelle, per una sua maggiore solidarizzazione, dopo una mano di resina<br />

epossidica, subì altresì l‘applicazione estradossale di uno strato di 1 cm di betoncino armato con rete<br />

elettrosaldata 5x5, impregnato con funghicida e insetticida, con evidenti ripercussioni sul piano dei<br />

pesi e delle rigidezze [17]. Più conservativo, invece, l‘intervento attuato a partire dal 1992 sulla<br />

psuedo-volta a botte dell‘invaso centrale della chiesa beneventana del SS. Salvatore, colpita dal crollo<br />

parziale del manto in cotto. La presenza della cappa di irrigidimento che, come evidenziato, ricopriva<br />

l‘orditura lignea di sostegno cui si agganciava il tessuto in vimini rese più complesse le procedure<br />

restaurative. Si procedette, quindi, per cantieri, rimuovendo a piccoli tratti il massetto estradossale per<br />

scoprire le centine, poi trattate con impregnazione di miscela indurente e disinfestante e rafforzate con<br />

inserimento di piattine centinate in acciaio zincato. Ulteriori provvedimenti si intrapresero in presenza<br />

di pseudo-volte e controsoffitti di fattura contemporanea, in contesti in cui i danni subiti evidenziarono<br />

il posizionamento degli orizzontamenti pregressi e, magari, le antiche decorazioni parietali. Anche<br />

prescindendo dallo stato di conservazione delle dipinture apicali, la volontà di mostrare i ritrovamenti<br />

più significativi portò spesso alla ricostruzione più in alto del nuovo orizzontamento, come pure alla<br />

6


Fig. 3. Caserta (Loc. Falciano), Chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro, volta a incannucciata, particolare<br />

dell‘estradosso. Si noti l‘orditura lignea secondaria di tambocci.<br />

Fig. 4. Piedimonte Matese, Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, particolare dell‘estradosso della volta a<br />

incannucciata.<br />

7


Fig. 5. Caserta (Loc. Falciano), Chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro, particolare della nuova controsoffittatura.<br />

Fig. 6. Benevento, Chiesa del SS. Salvatore, navata centrale, scorcio dell‘incannucciata durante il restauro.<br />

8


sua sostituzione con pannelli in grigliato lamellare sostenuti da travetti reticolari, in grado di ricostituire<br />

la percezione della spazialità originaria senza obliterare le coperture, anche quando rifatte, come nel<br />

Sant‘Agostino beneventano, ed evidenze stratigrafiche superiori. Gli stessi presupposti, in presenza di<br />

tetti ricostruiti in c.a. o in metallo, predisposero quindi alla realizzazione di controsoffittature lignee di<br />

nuovo progetto e conformazione, posizionate, in media, in corrispondenza degli alloggiamenti più<br />

antichi. Dal 1984, per esempio, sulla navata centrale della chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro a<br />

Falciano, si procedette alla rimozione delle parti residue dell‘incannucciata a sesto molto ribassato,<br />

sostituendovi un cassettonato in compensato di abete russo placcato, su supporto di truciolato, con<br />

fasce a rilievo di chiusura interna e perimetrale, agganciato al solaio superiore con elementi metallici.<br />

2.2. Il restauro delle incannucciate: limiti e prospettive del ricorso ai materiali compositi<br />

Attraverso le esperienze condotte dalla Soprintendenza competente per le provincie di Caserta e<br />

Benevento, si è ricostruito un interessante spaccato sulle modalità di riabilitazione strutturale postsismica<br />

tipiche dei sistemi citati. Per completare il bilancio delle esperienze fatte, dai rifacimenti con<br />

elementi metallici, in c.a. e in legno fino al trattamento conservativo delle membrature originali,<br />

sempre valutati per tenuta e compatibilità specifiche, é opportuno però riferire anche ai provvedimenti<br />

che, più di recente, in altri contesti hanno affrontato diversamente le medesime problematiche<br />

strutturali, particolarmente per quanto concerne l‘uso dei materiali compositi fibrorinforzati (FRP,<br />

CFRP e GFRP). Il sisma che nel 1997 ha colpito le regioni delle Marche e dell‘Umbria, provocando<br />

ripetuti danneggiamenti, tra l‘altro, alle tante volte a incannucciata e agli intradossi affrescati o in<br />

stucco, ha rappresentato un‘occasione importante per sperimentare tecniche di riabilitazione<br />

strutturale, sostanzialmente, mutuate dall‘uso delle fasciature in FRP sulle volte in muratura. In<br />

genere, si è intervenuti disponendo, uniformemente, all‘estradosso della superficie voltata e sulla<br />

struttura lignea fasciature, o anche nastri, compositi in fibra di vetro (GFRP) con resina epossidica,<br />

consentendo così la riadesione dell‘incannucciata all‘intonaco e delle canne stesse all‘ossatura lignea,<br />

così come delle canne fra loro. Recenti studi hanno dimostrato, però, che questo provvedimento può<br />

determinare alcuni impatti negativi, specialmente, se in presenza di superfici intradossali pregiate,<br />

giacché l‘uso estensivo di sistemi fascianti GFRP sugli estradossi di volte leggere induce all‘intradosso<br />

l‘instaurarsi di stati tensionali imprevisti, tali da provocare quadri fessurativi per sollecitazioni<br />

inesistenti prima dell‘intervento [18]. Con le sperimentazioni in laboratorio su modelli in scala<br />

appositamente costituiti, pur rilevando la dipendenza del comportamento anche dalle specifiche<br />

modalità di tessitura dello stuoiato di canne, si è dimostrato, in sostanza, che il ricorso alle fasciature<br />

estradossali in GFRP sulle volte ad incannucciata ne modifica il comportamento meccanico, causando<br />

coazioni precipue all‘intradosso [19]. Gli studi del DACS (Dipartimento di Architettura, Costruzioni e<br />

Strutture) dell‘Università Politecnica delle Marche hanno evidenziato come gli attuali interventi di<br />

consolidamento di sistemi costruttivi realizzati in canne e intonaco rivelino due principali tipi di<br />

conseguenze indesiderate per l‘intradosso di pregio. Innanzitutto, vige un‘eccessiva solidarizzazione<br />

dei materiali che, a parità di sollecitazioni, induce maggiori deformazioni all‘intradosso, con<br />

conseguente aumentato rischio di fessurazione di affreschi, pitture e stucchi. Inoltre, cosa altrettanto<br />

pericolosa, l‘intervento comporta una modifica anche del comportamento termoigrometrico del<br />

sistema, con la conseguente possibilità di marcescenza per le canne o di sfarinamento dell‘intonaco e,<br />

di conseguenza, di distacco e degrado degli intradossi. Servendosi altresì di strumenti diagnostici non<br />

distruttivi, come del vibrometro laaser doppler per valutare il grado di collegamento tra gli strati<br />

costitutivi, é possibile quindi una più attenta valutazione degli effetti indotti dall‘adozione dei cosiddetti<br />

materiali innovativi, comunque preziosi constatatane la sostanziale leggerezza e la notevole flessibilità<br />

d‘uso.<br />

Riferimenti bibliografici e documentari<br />

[1] D‘APRILE, M., Solai e coperture in legno a Napoli e in Terra di Lavoro in FIENGO, G.,<br />

GUERRIERO, L., (a cura di), Atlante delle tecniche costruttive tradizionali. Napoli, Terra di Lavoro<br />

(XVI-XIX), Napoli, Arte Tipografica 2008, t. I, pp. 295-368; D‘APRILE, M., Solai e tetti lignei in<br />

Campania tra XVI e XIX secolo, in VARAGNOLI, C. (a cura di), Muri parlanti. Prospettive per l’analisi e<br />

la conservazione dell’edilizia storica, Atti del Convegno di Studi - Pescara, 26-27 settembre 2008,<br />

Programma di ricerca COFIN 2005: ―Conoscenza delle tecniche costruttive storiche: protocolli e<br />

strumenti innovativi per la diffusione e l‘applicabilità al processo di conservazione‖, Editrice Alinea,<br />

Firenze, 2009, pp. 121-130, ISBN 978-88-6055-480-2.<br />

[2] QUAGLIARINI, E., D'ORAZIO M. Recupero e conservazione di volte in “camorcanna”. Dalla<br />

“regola d’arte” alle tecniche di intervento. Editrice Alinea, Firenze, 2005, ISBN 88-6055-007-6;<br />

QUAGLIARINI, E., D‘ORAZIO, M., STAZI, A. Rehabilitation and consolidation of high–value<br />

9


‗‗camorcanna‘‘ vaults with FRP. in Journal of Cultural Heritage, vol. 7, issue 1, January-March 2006,<br />

Elsevier Press, Paris, France pp.13-22..<br />

3] BALLARDINI, R., CAPPELLARO, M.R., ATTIUSSI, D., Il restauro architettonico nella ricostruzione<br />

del Friuli, Udine, 1990.<br />

[4] PROIETTI, G., (a cura di), Dopo la polvere. Rilevazione degli interventi di recupero (1985-89) del<br />

patrimonio artistico-monumentale danneggiato dal terremoto del 1980-81, Ministero per i Beni<br />

Culturali e Ambientali, Soprintendenza Generale agli interventi post-sismici in Campania e Basilicata,<br />

ed. Poligrafico dello Stato, Roma 1994, t. I, p. 398.<br />

[5] Schema di Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri inerente l‘allineamento delle ―Linee<br />

guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale‖ (2007) alle nuove<br />

―Norme Tecniche sulle Costruzioni‖, di cui al D.M. 14 gennaio 2008, Suppl. ord. Gazzetta Ufficiale n.<br />

24 del 29 gennaio 2008, approvata dal Consiglio Superiore dei LL.PP. il 23 luglio 2010.<br />

[6] DOGLIONI, F., Nel restauro. Progetti per le architetture del passato, Marsilio Editori, Venezia,<br />

2008.<br />

[7] DOGLIONI, F., (a cura di), Codice di Pratica (Linee Guida) per la progettazione degli interventi di<br />

riparazione, miglioramento sismico e restauro dei beni architettonici danneggiati dal terremoto umbromarchigiano<br />

del 1997, B.U.R. Marche, Ed. straordinaria n.15 del 29 settembre 2000, pp. 53 sgg..<br />

[8] DOGLIONI, F., MORETTI, A., PETRINI, V. Le chiese e il terremoto. Dalla vulnerabilità constatata<br />

nel terremoto del Friuli al miglioramento antisismico nel restauro, verso una politica di prevenzione,<br />

Edizioni Lint, Trieste, 1994, pp. 91-259.<br />

[9] DOGLIONI, F., cit., 2008, pp. 127-129.<br />

[10] Per ulteriori approfondimenti sull‘incidenza delle discontinuità strutturali e costruttive di una<br />

fabbrica sul comportamento sismico delle sue membrature, Commissario Delegato per i Beni Culturali<br />

- Ufficio del Vice Commissario per la Regione Umbria, Danno sismico e vulnerabilità delle chiese<br />

dell’Umbria, 1998, CD-ROM a cura del Gruppo Nazionale per la difesa dai Terremoti (CNR) - Unità di<br />

Ricerca di Genova.<br />

[11] Archivio corrente della Soprintendenza BB.AA.AA.AA.SS. per le provincie di Caserta e Benevento<br />

(ASoprCE), Caserta (Loc. Casolla), Chiesa di San Lorenzo maggiore, Lavori.<br />

[12] PROIETTI, G., op. cit., t. 2.<br />

[13] MORO, L., (a cura di), Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del<br />

patrimonio culturale, Gangemi Editori, Roma, 2006.<br />

[14] Si ringrazia l‘arch. Flavia Berardelli, progettista e direttore dei lavori per conto della locale<br />

Soprintendenza, per la collaborazione fornita allo studio dell‘episodio in parola.<br />

[15] ASoprCE, Piedimonte Matese, Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, Lavori.<br />

[16] ASoprCE, Caserta (Loc. Casolla), Chiesa di San Lorenzo maggiore, Lavori. Restauro del<br />

complesso parrocchiale (archh. G. Peluso, N. Federico), Progetto preliminare, Relazione (2004).<br />

[17] ASoprCE, Caserta (Loc. Falciano), Chiesa dei SS. Giuseppe e Gennaro, Lavori.<br />

[18] QUAGLIARINI, E., D'ORAZIO, M., STAZI A., Rehabilitation and consolidation of high-value<br />

―camorcanna‖ vaults with FRP, Journal of Cultural Heritage, Elsevier Press, vol. 7, issue 1, January-<br />

March 2006, pp. 13-22,.<br />

[19] QUAGLIARINI, E., D'ORAZIO, M. Light Vaults With Frescoes or Stuccoes Strengthened by Glass<br />

Fiber-Reinforced Polymer (GFRP) — the Role of the Reinforcement on Intrados Strains: First<br />

Experimental Data, International Journal of Architectural Heritage, vol. 4: issue 4, 2010, pp. 320-336,<br />

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