“... versò l'acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai suoi ...

Anno XXXIII · Marzo-Aprile 2010
Periodico della Missione Cattolica Italiana di Ginevra
“... versò l’acqua
in un catino
e cominciò
a lavare i piedi
ai suoi discepoli”

FOTO: Stefano CAVAPOZZI
la vostra città,
la vostra missione
2
Missione cattolica italiana
• 15, rue de la Mairie · 1207 GENEVE
tel. 022 736 83 82 · mci.geneve@bluewin.ch
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P. Martino SERRAGLIO
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Istituto italiano
Ch. J. Attenville 20, 1218 Grand-Saconnex,
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Ch. J. Attenville 20, tel. 022 788 01 30
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Comunità Suore Francescane
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ch. de l‘Erse 2, 1218 Grand-Saconnex
tel. 022 595 41 00
Direttore: M. Eric Marti
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
Sommario
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20
Il pane di ieri
Il cammino
delle
Unità Pastorali
La ASCS: agenzia
scalabriniana per
la cooperazione
allo sviluppo
A sud di
Lampedusa
Foto copertina: ILO - Lavanda dei piedi, Duccio
Periodico della Missione Cattolica Italiana di Ginevra
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CENERE IN TESTA E ...
ACQUA SUI PIEDI
editoriale
Cenere in testa e acqua sui piedi. Tra questi due riti si snoda la strada della quaresima. Una strada
lunga apparentemente, poco meno di due metri, ma in verità molto più lunga e faticosa, perché
si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri.
A percorrerla non bastano i quaranta giorni che vanno del mercoledì delle ceneri al giovedì santo.
Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Pentimento e servizio sono le due grandi prediche che la chiesa affida alla cenere e all’acqua, più
che alle parole. Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le
altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste invece no: perché espresse con
simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.
È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo
con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa
che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”.
Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate
dai rami di ulivo benedetti dell’ultima domenica delle palme. Se no le allusioni all’impegno
per la pace, all’accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza
di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diventerebbero itinerari ben più concreti di un
cammino di conversione.
Quello “shampoo alla cenere”, comunque rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui,
tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare
per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato. Così pure rimane indelebile
per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino.
È la predica più antica che ognuno di noi ricordi: da bambini l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni
di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le
emozioni della gente.
Una predica, quella del giovedì santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia.
Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi
di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il
sigillo di un bacio.
Una predica strana, perché a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della
povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.
Miraggio o dissolvenza? Abbaglio provocato dal sonno o simbolo per chi veglia nell’attesa di Cristo?
“Una Tantum” per la sera dei paradossi o prontuario plastico per le nostre scelte quotidiane?
Potenza evocatrice dei segni!
Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul
capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnere l’ardore, mettiamoci alla
ricerca dell’acqua da versare ... sui piedi degli altri.
Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua: ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una
conversione completa, che vuole afferrarci, finalmente, dalla testa ai piedi.
+ Tonino Bello
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 3

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quaresima
IL PANE DI IERI
In un mondo sempre più abitato da suoni nuovi e persuasivi è facile
perdere, o non udire, le voci antiche che scandivano lo scorrere
del tempo: il canto del gallo all’alba, il rintocco delle campane
che annunciava momenti lieti o tristi, il grido dell’acciugaio e il
richiamo del venditore ambulante di carta da lettere.
Suoni quotidiani, destinati a tutti.
Quest’ultimo libro di Enzo Bianchi, priore di Bose, riporta il suono,
il profumo e il sapore di stagioni, che, per chi ha passato da
tempo gli “anta”, non diventano solo nostalgia, ma si fanno lezione
tuttora valida in questo nostro caotico e frenetico mondo.
Riportiamo una parte di un capitolo che farà venir voglia a tanti di
leggere anche gli altri.
Chi è il padrone
del tempo?
“Che tempo fa?”: domanda che
risuona sovente fin dal mattino,
quando uno si alza e va alla finestra
per osservare il cielo, domanda
pronunciata tra sé e sé, la
cui risposta è cercata nelle previsioni
meteorologiche alla televisione
o nelle pagine dei quotidiani.
Da sempre, l’essere umano
sa che il suo modo di abitare “il
tempo che passa” dipende anche
dal “tempo che fa”, un tempo,
quest’ultimo, che condiziona
il lavoro, gli spostamenti, l’umore
di ciascuno.
Oggi questi condizionamenti
sembrerebbero minori di una
volta: il lavoro in campagna riguarda
una percentuale esigua
degli abitanti dell’Occidente industrializzato,
i mezzi di trasporto
e le strade consentono
spostamenti anche in condizioni
atmosferiche un tempo proibitive
... eppure l’interesse per
“il tempo che fa” non è affatto
diminuito, anzi è aumentato al
punto che per alcuni è diventato
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
un’autentica ossessione. Si, ci si
tiene costantemente aggiornati
sul “meteo”, se ne parla molto:
la capacità - sconosciuta nei secoli
passati - di prevedere il tempo
con un anticipo di almeno una
settimana spinge infatti a “sapere”,
a commentare, a discutere,
anche se poi assai raramente ci
si lascia determinare dal tempo
nelle scelte e nei comportamenti.
Ma all’interno di questa “ossessione”
c’è un altro aspetto che riguarda
la lettura che ognuno di
noi compie del “tempo che fa”:
questa dipende essenzialmente
da quanto ci dicono i mass media,
verso i quali c’è un atteggiamento
di fiducia quasi fideistica
che toglie la possibile oggettività,
il discernimento personale, la
capacità di giudicare da se stessi
a partire dall’esperienza e dal ricordo
degli anni precedenti.
Così, quando sta piovendo e noi
leggiamo, ascoltiamo e vediamo
servizi su piogge torrenziali, alluvioni,
inondazioni e diluvi, siamo
presi da paura e sgomento come
se la pioggia in sé “fosse una novità
imprevedibile”; oppure la
pioggia tarda a venire e subito ci
vien fatto intravedere il deserto
che avanza: allora immaginiamo
già le nostre verdi colline riarse,
senza piu viti né alberi ...
Se poi in estate fa caldo, assieme
al televisore accendiamo il condizionatore
e ci angosciamo per il
surriscaldamento del pianeta e lo
scioglimento dei ghiacciai.
Previsioni disastrose, pessimistiche
mettono in movimento una
grammatica apocalittica che preannuncia
“eventi biblici” (tra
l’altro non si capisce perché gli
eventi biblici, che sono eventi
umani, devono essere tutti disastrosi,
epocali ...).
C’è sempre un’apocalisse meteorologica
incombente, così le
nostre paure del domani si concentrano
ancora una volta sul
tempo: non più la fine deI tempo
- questo ormai è divenuto
un œternum continuum - ma il
“che tempo fa?” è divenuto l’oggetto
delle nostre paure.
E la gente si ritrova a ripetere le
frasi di sempre: “Il tempo è cambiato
... Non ci sono più le stagioni
... Mai visto un tempo simile ...
Non c’è più il tempo di una volta
... ormai il tempo è matto ...”.
Parole che ritroviamo già ai tempi
di Lucrezio, attento osservatore
delle cose della natura,
quando si ammoniva a non dire:
“quand’ero piccolo nevicava
tantissimo, adesso non nevica
più ...”; quando si è piccoli, infatti,
anche se la neve è poca,
sembra sempre molto alta!
ln realtà siccità, pioggia, inondazioni,
tempeste sono emergenze
periodiche di tutte le epoche e
di tutti i luoghi: emergenze che
cancelliamo dalla nostra memoria
e che così ci appaiono ogni
volta come novità inedite. Se le
variazioni climatiche avvengono
dunque su cicli ben più ampi che
il semplice volgere di un paio di
generazioni, è il rapporto che
oggi si ha con “il tempo che fa” a
essere cambiato rispetto a quello
che viveva anche solo la mia ge-

nerazione fino a quarant’anni fa,
soprattutto in campagna.
Per me, che abitavo in Monferrato,
tra colline coperte di filari
di vite e piccole pianure chiazzate
da campi di grano, il tempo
meteorologico era anche allora,
soprattutto d’estate, una vera
ossessione: ma ossessione di paura
preventiva che accompagnava
tutti, da maggio fino a ottobre.
Dal tempo dipendeva “il pane”,
ovvero la sussistenza alimentare
della gente contadina, e del
tempo la radio dava sì qualche
previsione, ma molto incerta, per
vaste aree, sovente fallace, per
cui non ci si fidava di quel che
diceva. Ma di cosa ci si fidava, allora?
Della religione, deI prete,
della preghiera ... DeI resto sappiamo
che in tutte le culture si
sono sempre praticati riti per implorare
la pioggia, per chiedere
il sole, per ottenere il regolare e
pacifico scorrere dei fiumi.
L’essere umano, infatti, si è sempre
sentito impotente a dominare
il tempo e, quindi, portato
a ricorrere agli dèi come aIl‘unica
e ultima speranza.
A fine aprile, per San Marco, iniziavano
le cosiddette “rogazioni”:
al mattino presto si partiva
in processione attraversando le
campagne, cantando le lunghe
litanie dei santi e chiedendo
un’annata feconda di frutti.
Il prete cantava in latino il Vangelo
sulla porta della chiesa:
“Quale padre, tra voi, se il figlio
gli chiede un pane, gli darà una
pietra? O se gli chiede un uovo
gli darà uno scorpione?”.
“Dunque, occorre chiedere, -
proseguiva il prete, - chiedere
con insistenza a Dio, e Dio concederà
il tempo propizio e raccolti
abbondanti ...”.
Se poi qualcuno gli faceva osservare
di aver chiesto e di non
essere stato esaudito, il prete rispondeva
che questo dipendeva
dal fatto di aver chiesto male
oppure dall’essersi compor-
tati in modo tale da meritarsi il
mancato esaudimento. E ai più
sembrava che le parole deI prete
fossero fondate perché a volte
succedeva - e non si mancava
di farlo notare - che la grandine
colpisse i filari di quelli che “non
prendevano messa” o che erano
soliti bestemmiare, allora si temeva
ancor di più quel Dio che
“castigando guariva” (castigando
sanas).
Certo, non mancavano quelli che
irridevano questi atteggiamenti
e ne mostravano la contiguità
con la superstizione, ma resta il
fatto che al prete allora veniva
riconosciuta autorevolezza ed
efficacia, quasi fosse un nuovo
profeta Elia, capace di chiudere
e aprire il cielo per il bene del
proprio gregge.
L’angoscia per un evento atmosferico
che in pochi minuti poteva
distruggere un anno di lavoro
era motrice di parole e azioni
straordinarie che oggi fatichiamo
non solo a credere ma perfino
a immaginarci. Quando, da
maggio in poi, appariva all’orizzonte
“lo scuro”, cioè le avvisaglie
di un temporale, tutti uscivano
di casa e stavano sull’uscio ad
osservare il cielo: se la minaccia
veniva da Nizza, si annunciava
un temporale particolarmente
cattivo, se invece saliva da Acqui
era meno pericoloso.
E mentre la banderuola sull’asta
della croce della chiesa cigolava
sotto i colpi deI vento, quando
ormai il temporale era incombente
e apparivano le terribili
nubi più basse color caffelatte,
nuvole piene di grandine, il
parroco chiamava il chierichetto
- quasi sempre ero io, perché abitavo
proprio di fronte alla parrocchiale
ed ero già Iì sulla soglia
di casa a scrutare a mia volta il
cielo -, si vestiva con i paramenti
liturgici, in particolare il piviale
viola, e partiva risoluto incontro
al temporale, con me accanto
che portavo il secchiello dell’acquasanta.
Tra tuoni e lampi che
scuotevano la terra, il parroco
avanzava deciso fendendo l’aria
con l’aspersorio e con voce ferma
implorava che Dio fermasse
la grandine: “Per Deum verum,
per Deum vivum ...!”.
Rivedo ancora oggi quelle immagini:
il parroco con il volto duro,
carico delle ansie e delle attese
di tutti i suoi parrocchiani, le
vesti scosse dal vento, incurante
della pioggia che cominciava a
cadere, affrontava a viso scoperto
il demone della “tempesta”.
Io ero impressionato dalla sua
fede, la sua convinzione, la sua
forza d’animo ... mentre la perpetua
contribuiva con scongiuri
più “popolari”, come il bruciare
rami di olivo benedetti.
E così, il più delle volte la grandine
era scongiurata: il mio parroco,
don Montrucchio, aveva fama
nella zona di essere uno dei preti
piu efficaci in queste suppliche e
io attribuivo questo suo potere
alla sua preghiera intensa, alla
sua ricca umanità, al suo saper
farsi carico morale e materiale
dei cristiani a lui affidati.
Mi appariva davvero come un
amico di Dio e allora, mi dicevo,
come potrebbe un amico negare
un favote all’amico?
(Enzo Bianchi, “Il pane di ieri“
Einaudi - pag. 17-20)
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 5

6
quaresima
IL DIGIUNO FA BENE
Il benedettino Anselm Grün riabilita il digiuno come esercizio spirituale
per accedere alla “sorgente della forza interiore”.
L’invitato di onore delle Assises Chrétiennes du Jeûne ci propone
un cammino di fede liberatore.
Padre Grün, leggendo i suoi
scritti e anche incontrandola,
abbiamo la sensazione
che la fede cristiana le dia
una grande pace interiore.
È sempre stato per lei così?
La fede cristiana mi è stata trasmessa
sin dalla culla, se posso
esprimermi così. I miei genitori
erano persone molto pie. E, naturalmente,
i loro sette figli passavano
molto tempo in chiesa.
I miei tre fratelli ed io, eravamo
chierichetti. La Chiesa era la mia
casa. Quando stavo in un internato
dall’età di 10 anni, volevo
già diventare sacerdote. Certo
che ho conosciuto anche le crisi
della fede. Alla pubertà, come
tutti. Ma anche più tardi, in Monastero,
quando sono diventato
benedettino. Mi sono chiesto in
particolare se la preghiera non
fosse nient’altro che una costruzione
mentale che avesse come
fine il sentirsi meglio. Col tempo,
però, una certezza interiore si è
impossessata di me con forza.
Quella di avere una fiducia totale
nella Bibbia, in certi scritti
di Santi, quali Sant’Agostino o
Santa Teresa d’Avila. Abitare nel
paese della fede. Esserle riconoscente
che questa, attraverso i
dubbi che spuntavano qua o là,
s’imponeva comunque a me come
un’evidenza. Di essere riconoscente
per la libertà che mi ha
dato. E che mio padre stesso mi
aveva dato. Perché egli era davvero
un uomo libero.
Da dove proviene il suo
interesse per il digiuno?
Dal noviziato in monastero, dove
sono entrato nel 1964, sono stato
iniziato alla pratica dell’ascesi.
Ma nel 1968, i miei giovani confratelli
ed io, ci siamo posti molte
domande.
Abbiamo quindi cercato di capire
come la psicologia del profondo
di C.-G. Jung e la meditazione
Zen potevano aiutarci a vivere
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
meglio la vita monastica. Parallelamente,
abbiamo riletto gli
scritti degli antichi monaci. Attenti
al discernimento, di come
- anche mediante questi testi -
questi potevano esserci di aiuto.
Così ho riscoperto il digiuno.
Ho capito che il senso di questa
pratica immemorabile non è di
farmi violenza e che non è contro
natura. Ma che, al contrario,
è un cammino di trasformazione
fisica e di “pulizia” interiore.
Con l’esperienza, posso dire che
il digiuno mi fa bene.
E che mi conduce verso l’io profondo,
verso la camera interiore
del silenzio.
Con quale ritmo
digiuna e come?
Il digiuno non occupa, per l’esattezza,
un posto centrale nella
mia vita spirituale. Ma non lo
trascuro neanche. Comincio sempre
la quaresima animando una
sessione di digiuno nel silenzio,
alla quale partecipano 35 persone.
Da parte mia, digiuno da 8 a
10 giorni di seguito. Non mangio
niente e bevo solo acqua, tè e un
po’ di succo di frutta o di verdura.
È un buon modo per introdurmi
nell’astinenza. Infatti, durante
tutta la quaresima, mi privo di
carne, di alcol e di dolci.
Alla fine, sperimento veramente,
anno dopo anno, che questa disciplina
mi ha fatto del bene.
Quale beneficio ne ricava?
Il digiuno permette di percepire
una libertà interiore. Quando digiuno,
non sono più dipendente
dal caffé, dall’alcol, dal cibo.
Smetto di compensare il mio sentimento
di frustazione con gli
alimenti. Sono maggiormente in
stato di veglia. I miei sogni diventano
più nitidi. E sento maggiormente
la prossimità di Dio. In verità
mi sento come naturalmente
portato a pregare. In particolare
la preghiera di Gesù nella quale
entro con più intensità e facilità.
Questo mi aiuta ad avvicinarmi
alla mia camera interiore, evocata
in precedenza, dove Cristo
abita in me.
Come può questa pratica
prendere posto
nella nostra vita interiore?
Ciò che è fondamentale, quando
digiuniamo, è di pervenire a
decentrarci. Certo, la prima re-

azione è quella di curarsi di sé,
del proprio corpo e del proprio
spirito. Ma ciò che dà senso è la
ricerca di una maggiore apertura
agli altri. Perciò, invito sempre le
persone che digiunano e di cui
sono l’animatore, all’inizio della
quaresima, a digiunare per una
giornata intera e per una persona
precisa, pregando per lei.
Costringo me stesso alla stessa
disciplina. L’intercessione, vissuta
digiunando, mi collega intimamente
all’altro e mi dà la speranza
che questa persona possa
essere penetrata anche lei dallo
Spirito di Cristo.
Si potrebbe dire che il digiuno
può aiutarci a ritrovare la
“Sorgente della forza interiore”,
riprendendo il titolo di una delle
sue ultime opere?
Certamente sì. Ci aiuta ad andare
in profondità. Se rimaniamo alla
superficie, troveremo solo acqua
torbida, anche se questa ci sembra
chiara all’inizio. Digiunare
ci permette di distinguere meglio
le emozioni e le attitudini
negative che ci imprigionano: la
paura, l’ambizione mal posta, la
dipendenza dal lavoro, il perfezionismo,
la tendenza a piegarsi
troppo facilmente alle esigenze
altrui per mancanza di fiducia in
sé stessi. E, di conseguenza, l’incapacità
di assumere i conflitti.
A costo di mascherare questi
conflitti invocando la carità cristiana,
facendola passare per pietà
o per una forza spirituale.
Al contrario, possiamo farci dominare
dalla nostra tendenza a
porci come rivali degli altri, a voler
sottometterli.
Il digiuno ci aiuterà a prendere
coscienza di questi condizionamenti
che prendono radice dalla
nostra storia familiare più o
meno dolorosa. Questo sovrappiù
di lucidità potrà, se necessario,
condurci a intraprendere una
psicoterapia. Tuttalpiù, il digiuno
ci permetterà d’intravedere una
sorgente di forza, di freschezza
e di chiarezza. Per esempio, attivando
in noi il ricordo dei momenti
felici della nostra infanzia
sui quali potremo appoggiarci
per relazionarci al nostro cuore.
Cosa consiglierebbe
a coloro che non riescono
a privarsi di cibo?
Non è mia intenzione di convincere
a tutti i costi le persone a digiunare.
Alcuni sono veramente
angosciati quando non mangiano.
In questo caso, consiglio loro
di fare piccoli passi. Devono porsi
la domanda in un primo tempo
per sapere da che cosa sono dipendenti
e che cosa impedisce
loro di dominarsi. Poi, possono
provare a rinunciare all’alcol o ai
dolci per un certo tempo. Si sentiranno
bene. In ogni caso, sono
invitati a percepire il tempo della
quaresima come un momento
di allenamento fisico. Un allenamento
che porta alla libertà
interiore. Ma ci si può esercitare
a “digiunare” di televisione, o rinunciare
alla macchina! Il digiuno
ha sempre qualcosa a che vedere
con l’idea di esercizio fisico.
Faccio un programma e lo seguo.
E questo cambia qualcosa in me.
In un mondo dove circa
un miliardo di uomini ha fame,
la pratica del digiuno,
per noi ricchi occidentali,
ha ancora senso?
Certo che, per noi che siamo ben
nutriti, digiunare è più facile
che per tutti coloro che soffrono
della fame. I miei confratelli
monaci, ex-prigionieri di guerra,
sono prevenuti contro il digiuno
perché riattiva in loro l’angoscia,
troppo a lungo provata, di non
potersi nutrire. Il digiuno spirituale
è tra l’altro sempre molto
strettamente legato alla solidarietà.
Non digiuneremo solo per
noi, ma anche per gli altri. Perciò
il digiuno assume tutto il suo senso
quando è accoppiato all’elemosina,
com’era già il caso nella
spiritualità ebraica. Quando digiuniamo,
dobbiamo porci la domanda:
di che cosa non abbiamo
bisogno e che potrei offrire agli
altri? Quanti soldi possono essere
messi da parte per servire a un
progetto di sviluppo?
In questo inizio dell’anno 2010,
di fronte alle temibili sfide
che l’umanità dovrà affrontare,
quale parola di speranza
desidera dare ai notri lettori?
Auguro alle vostre lettrici e ai vostri
lettori di avere come “angelo”
accompagnatore quello della
speranza. È lui che ci introduce
in questa attitudine cristiana così
fondamentale, senza la quale
non possiamo vivere. Infatti, senza
speranza, la vita diventa presto
un inferno. La speranza non
può capitolare.
Speriamo in ciò che non vediamo
ancora, come dice San Paolo
(Rm 8, 24-25). Per questo auguro
a tutti coloro che leggono la
vostra bella rivista di aver fiducia,
nella speranza, allo spirito di
Gesù presente e che agisce - anche
se in modo invisibile e discreto
- nel nostro cuore e in quello
di tutti gli uomini. La nostra speranza
può cambiare il mondo. È
come un lievito che lieviterà tutta
la pasta. Permette agli uomini
di intravvedere una vita più felice,
una vita ricca di promesse.
(Da Prier n° 318 - gennaio/febbraio 2010
Intervista di Jean-Claude Noyè
ad Anselm Grün - Nostra traduzione)
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 7

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calendario parrocchiale
settimana santa
28 marzo: domenica delle palme
Ginevra SS. Messe ore 8.30, 10.00, 11.30 e 18.00
Carouge: SS. Messe ore 10.00 e ore 18.00
liturgia penitenziale
Carouge: lunedi 29 marzo, ore 20.30
Ginevra: martedì 30 marzo, ore 20.30
1 o aprile: giovedì santo
cena del Signore
Ginevra: S. Messa ore 20.30
Carouge: S. Messa ore 20.30
2 aprile: venerdì santo
Ginevra: Celebrazione della Passione, ore 15.00.
Via crucis, ore 20.30
Carouge: Celebrazione della Passione, ore 15.00.
Via crucis, ore 20.30
3 aprile: sabato santo
messa della veglia pasquale
Ginevra: S. Messa, ore 20.30
Carouge: S. Messa, ore 20.30
4 aprile: domenica di pasqua
Ginevra: SS. Messe ore 10.00, 11.30 e ore 18.00
Carouge: SS. Messe ore 10.00 e ore 18.00
5 aprile: lunedì di pasqua
Ginevra: S. Messa ore 10.00
Carouge: S. Messa ore 19.00
gruppo insieme
Ogni 3° giovedi del mese alle ore 14.30 a Ginevra
donne di azione cattolica
Ogni 2 a domenica del mese alle ore 17.00 a
Ginevra
gruppo biblico
Rivolgersi in segreteria per conoscerne gli orari e
le date.
battesimi
Zachary Léger, Penelope Hill, Delcia Manis,
Azzurra Pinto
lutti
Bruno Agostino (82), Giovanni A. Andreola (89),
Giuseppa Puglisi (74), Giuseppe D’Inca (75), Cosimo
Coronese (71), Gina C. Claisen (89), Maria Bertani
(80), Ilario Beltramello (78), Graziella Rey-Mermet
(60), Antonio De Giorgi (70), Giuseppe Rizzo (84),
Mirella Salone (58), Giovanna Giacomin (96),
Germaine Aversano (93), Armando Maggiora (88),
Armando Cirfera (64), Giovanni Tordeli (80)
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
il biglietto
Un volto nuovo della chiesa
Gilles Rebêche conta ormai una trentina d’anni
di apostolato nel Var-Toulon. Si è buttato
tra gli ultimi, creando una rete di solidarietà, e
richiamando l’attenzione di coloro che vedono
in lui l’amico di chi è senza speranza nei quartieri
difficili delle città.
È diacono, ma non esercita il suo ministero nelle
sacrestie delle chiese, bensì offrendo mani
e speranza tra i disperati e gli indifesi. Sta
tracciando un nuovo cammino nella chiesa. Di
passaggio tra di noi, ci ha fatto capire che, in
questo tempo di crisi religiosa, il ricupero della
fede e dei grandi valori cristiani passa attraverso
l’accompagnamento fraterno di chi fa fatica
a vivere.
È la strada maestra da percorrere, quella di chi
si fa compagno di viaggio rallentando il passo
su misura dei piccoli.
La parola ai genitori
Per una volta sono stati loro ad aprire il dibattito.
Hanno accolto volentieri la proposta
di otto incontri di formazione cristiana, praticamente
in concomitanza con quelli dei loro
figli.
Ne sentono la necessitä: si capisce che desiderano
dare un’anima e un indirizzo preciso ai
figli. Ma questi, come reagiscono? Se vengono
volentieri al catechismo, la Messa risulta loro
noiosa, il linguaggio liturgico incomprensibile.
È su questo punto che la discussione ha preso
molto tempo. Non sono mancate le proposte,
che impegneranno a lungo chi ha a cuore la
catechesi e la liturgia.
Tempo di conversione
Non si deve pensare che la conversione passi
attraverso una serie di rinunce, anche se qualche
sacrificio non guasta per tenere sveglio lo
spirito.
La vera conversione parte dal cuore, dove colpa
e risurrezione abitano insieme.
Per questo, almeno in questo tempo di quaresima,
qualche buon esame di coscienza sarà
più che mai opportuno per mettere un po’ di
ordine dentro di noi.
Nei prossimi giorni mediteremo la Passione del
Signore. Lo faremo in compagnia di gente che
ci assomiglia tanto: Simone di Cirene, il Centurione,
Pietro, le donne sotto la croce, Giuseppe
d’Arimatea. Con loro avvertiremo l’urgenza di
ritrovare la vocazione perduta. È Gesù stesso
ad avvertirci: c’è ancora tempo per vivere da
uomini.
Ma il tempo è adesso, prima che il deserto ci
rubi tutta l’anima.
p. Luciano

Generazioni dialogano
Un paio di mesi fa padre Luciano
ha lanciato un’iniziativa rivolgendosi
ad un gruppetto di persone
che avevano manifestato il
desiderio di approfondire alcuni
temi legati alla fede, alla vita spirituale,
alla vita di chiesa (intesa
come comunità cristiana).
C’era già qui un elemento interessante:
non ci proponeva di
aderire ad un progetto esistente,
ma di scegliere liberamente
se quest’idea corrispondeva al
nostro interesse e alla nostra ricerca.
La proposta non era precisa, anzi
a voler essere critici era piuttosto
vaga. In questa imprecisione personalmente
ho letto l’apertura
alla libertà di ciascuno, senza inquadramento
particolare.
E mi è piaciuto.
Date le risposte sufficientemente
positive, si è deciso di dare il
“via” a queste riunioni, scegliendo
come primo argomento la domanda
“chi è Gesù per me?”.
Abbiamo avuto una seconda riunione
che prendeva lo spunto
da un testo di Mons. Decourtray:
“Jamais homme n’a respecté les
autres comme cet homme”, dove
si parla dell’atteggiamento di
Gesù verso gli altri, del suo modo
di vedere ed incontrare la gente,
roba bellissima e parole di miele,
ma terribili come sassate quando
paragonate alla nostra povera
vita di cristiani in formazione.
È stato per me sorprendente e
quasi comico, quando queste
belle parole dell’autore sono state
spietatamente accostate alle
nostre incapacità da un primo intervento
di un partecipante.
È ovviamente troppo presto per
fare una specie di valutazione di
questi incontri.
È interessante notare le differenze,
anche di età, dei partecipanti,
ma tutti con il comune
sincero desiderio di approfondire
la propria fede, nel portare
la propria testimonianza di vita
e nell’ascolto degli altri.
Per quanto mi riguarda, mi auguravo
da questi incontri essenzialmente
due cose: la libertà e
la sincerità.
Per essere più chiari: il fatto di
non essere legati da obblighi di
partecipazione, o da doveri più
o meno morali di parlare “religiosamente
corretto” e di essere
sinceri.
Ognuno poi parla e ascolta come
può, con le proprie conoscenze
ed esperienze.
Chi più colto, chi più semplice,
chi parla un pò di più, chi ascolta
un pò di più.
L’importante è parlare, e sentir
parlare, e che ognuno possa trovare
lo spazio per portare il proprio
contributo alla riunione.
Oltre alla sincerità e alla libertà è
ovviamente essenziale la capacità
di ascolto.
Per ora non è stato necessario
avere un “moderatore”, l’atteggiamento
di rispetto e attenzione
agli altri mi è parso sempre
presente.
Altra caratteristica che spero ci
accompagni è la concretezza della
nostra riflessione; cioè, anche
vita di comunità
appoggiandoci su conoscenze
teologiche o filosofiche interessanti,
rimanere però sempre al
livello delle nostre vite concrete.
E ancora, il non voler suggerire
risposte o consigli, non voler a
tutti i costi finire la riunione con
una morale, come nelle favole,
ma lasciare liberi gli interventi,
senza giudizio o buone parole di
circostanza.
Mi sembra che, dopo due riu-nioni
siamo in una fase di esplorazione.
Ci chiediamo alla fine degli incontri
se è stato qualcosa di positivo
e Luciano scru-polosamente
e regolarmente si informa se è
bene continuare o no.
Anche in questa richiesta di conferma
vedo l’appello rispettoso
alla libertà di ciascuno.
E per adesso continuiamo, con
gioia e con curiosità.
L’argomento scelto per la prossima
riunione: vita di fede nella
comunità cristiana.
Giovanni Gambaro
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 9

10
vita di chiesa
IL CAMMINO
DELLE UNITÀ PASTORALI
Gladys Théodoloz
ci aiuta a capire come sono nate
le UP e come si stanno muovendo
Lanciato cinque anni fa, su richiesta di Mons. Genoud,
il processo di pianificaione pastorale trova
la sua sorgente nelle linee programmatiche
dell’Assemblea diocesana AD 2000.
Il Forum diocesano del 2003, svoltosi a Ginevra,
contribuì a comprendere meglio l’iniziastiva diocesana.
Il DUP (Dipartimento delle UP) si organizzò per
discutere della nuova ripartizione territoriale con
i diretti interessati, i parrocchiani.
Durante diverse serate di presentazione si è messo
in evidenza l’importanza delle équipes pastorali
(EP) e della presenza dei delegati laici delle
parrocchie.
Nel 2005, una guida scritta dai responsabili della
pastorale fu largamente diffusa, insieme ad un
documento dell’autorità diocesana.
In seguito il DUP intraprese una visita presso tutte
le Unità Pastorali già formate o in via di composizione,
per condividere preoccupazioni e domande
che un tale progetto faceva emergere.
Un primo bilancio di queste visite rivela una grande
diversità, soprattutto nella composizione delle
EP, nel ritmo degli incontri, nei rapporti tra istanze
pastorali e quelle amministrative.
In primo piano è venuto fuori il problema
dell’identità parrocchiale.
Ci si interroga pure sulle “zone grigie” costituite
da alcune UP difficili da realizzare, sul sostegno
da dare alle équipes pastorali per favorirne la formazione,
la creatività, i rapporti tra delegati laici
e i sacerdoti, e la gesione dei cambiamenti, a
volte troppo frequenti, creando disorientamento
nella vita della parrocchia.
Questi scambi hanno offerto l’occasione per formulare
numerose proposte, in particolare nell’ambito
dell’informazione, dell’organizzazione,
e della relazione tra quanti sono al lavoro in questo
settore.
Hanno messo in evidenza, tra l’altro, il ruolo pastorale
e non solo amministrativo dei segretari
delle UP, l’importanza delle particolarità locali,
che è giusto rispettare, delle paure da superare,
delle esperienze “riuscite” da promuovere, dei
progetti da incoraggiare.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
Jean-Marie Viénat
lâche le gouvernail du Caré
par Eric Budry
A 68 ans, l’abbé Viénat, l’âme du Caré, quitte la direction
du havre de paix des démunis.
Enfant de Porrentruy, Jean-Marie Viénat est devenu
en trente ans une figure de cette Genève qu’il apprécie
tant. Pas celle du strass et des paillettes, celle de
l’ouverture, celle qui n’oublie pas tout à fait ceux que
le destin n’a pas épargnés.
Pour ces cabossés de la vie, l’abbé s’est donné sans
compter depuis qu’il a fondé en 1977 avec d’autres
le Caré.
Aujourd’hui, à 68 ans, il en confie le gouvernail à
une autre équipe, avec Daniel Gosteli à sa direction.
Mais il ne quitte pas le bateau: il reste au comité et
conserve son ministère dans le social.
“Diriger ce lieu est un travail passionnant, mais épuisant,
confie-t-il de sa voix douce. Quitter cette fonction
m’enlève un poids important”.
Voilà pour l’actualité. Voyons l’homme qui en est l’acteur,
cet abbé des pauvres, ce roc de tendresse dont
la générosité semble si naturelle qu’elle en devient
contagieuse.
Jeunesse pauvre mais heureuse
Né à Porrentruy dans une famille ouvrière, le jeune
Jean-Marie connaît une enfance rude: “Nous étions
peut-être pauvres, mais nous étions très entourés
et aimés, mon frère et moi. Et puis à l’époque, la
pauvreté n’était pas vécue comme maintenant. On
n’était donc pas malheureux“.
Jean-Marie Viénat aiuta i partecipanti al centro di taglio

Sa foi, cette force intérieure, est un don qu’il attribue
à sa mère. Mais c’est à une rencontre qu’il doit son engagement
dans la prêtrise: “Ma mère avait accueilli
chez nous une dame âgée qui avait été expulsée de
son logement. C’est en parlant avec elle que je me
suis décidé, à 11 ans, à suivre cette voie. Moi qui rêvais
d’être boxeur ou coureur cycliste …”. L’amour des
autres, l’amour de Dieu. L’amour au carré en somme.
Les deux piliers sur lesquels s’est construite sa vie ont
donc leurs fondations dans son enfance. Quand il définit
ce qu’est un prêtre pour lui, ils resurgissent: “Il y
a deux aspects. Le premier, c’est un don de soi-même,
se mettre au service des autres. Le second est propre à
la vie intérieure, à la méditation, à la prière”.
Admirateur de Guy Gilbert, le prêtre éducateur de
rue français, Jean-Marie Viénat ne pouvait se contenter
d’un engagement trop institutionnel. Porté par
Caritas, le projet du Caré était fait pour lui, jeune diplômé
en travail social. D’abord installé aux Pâquis, à
la rue Plantamour dès 1977, le Caré déménagera en
1983 aux Acacias. “C’est un lieu alternatif, différent
d’un service social classique, dit-il. Caré, comme Caritas
(amour), Accueil, Rencontres, Echanges, tout ce
que nous voulons offrir. Nous recevons les gens pour
des activités ou des repas en ayant un regard positif
sur eux. Ils reprennent confiance, se relèvent et se remettent
en route”.
“Beaucoup s’en sortent”
Après trente-trois ans de Caré, le découragement ne
gagne pas Jean-Marie Viénat. “Beaucoup plus que
je ne pensais au départ s’en sortent, assure-t-il. C’est
chaque fois quelque chose d’extraordinaire. Moi ce
qui m’étonne, c’est la capacité de résistance de ces
personnes”.
Loin de reculer, la misère prospère pourtant aussi
en Suisse. Et là, une étincelle d’indignation s’allume
dans le regard de l’abbé: ”Oui, ça m’interpelle. Depuis
le début je n’aime pas la mondialisation, cette
recherche du profit avant tout“.
Il n’en dira pas davantage. Tant pis pour la leçon politique,
merci pour la leçon de vie!
(Tribune de Genève du 08.02.2010; page 18)
“Siete una lettera di Cristo”
Alcuni operatori pastorali della diocesi si
sono riuniti a Saint Maurice per capire come
la chiesa debba mettersi al servizio degli altri
oggi. Catherine Menoud prende lo spunto
dalla famosa espressione di san Paolo nella
seconda lettera ai Corinti per offrire un’immagine
dei lavori questo Convegno.
Marcel Durrer ci ha detto che la chiesa è
partita da una pastorale secondo la quale
le persone non credono perché non sanno,
passando alla diaconia come crocevia della
tenerezza di Dio, sottolineando che la Chiesa
non è solo i servizi che rende, ma è prima
di tutto la serva del Signore, nel senso in cui
rivela all’altro chi è Dio a partire dal proprio
modo di agire.
La pagina bianca con l’inchiostro del cuore,
inzuppata dal soffio dello Spirito (2 Cor.3,3),
si riempie di parole e di frasi che cantano la
bellezza del servo, rivelata attraverso la vetrata
della Parola di Dio. Visto sotto l’angolo
della diaconia, la Parola di Dio fa percepire
dei colori inattesi e delle nuove sfumature. Il
suo splendore mi invita a seguire il cammino
che, cosciente della mia umanità di luce e di
ombre mi porta ad accogliere l’altro con le
sue ricchezze e le sue debolezze, instaurando
un rapporto di verità. Sosterrò il fratello
e prenderò cura di lui se so farmi capace di
amore e di autenticità, lasciando le redini
della mia sicurezza, delle mie certezze, dei
miei punti di vista.
Rivestita dallo sguardo di Cristo, assumo un
nuovo modo di vedere che mi fa prendere in
considerazione il cammino che intraprendo
con gli altri, quando imparo la lingua dell’altro.
Così gli permetto di rivelarsi a sé stesso
con i caratteri della sua umanità.
I cammini di una relazione non sono mai gli
stessi. Non hanno la stessa distanza, né la
stessa intensità, ma il cuore brucia per la vita
che è più forte della morte.
C’è ancora posto per scrivere su questa pagina,
molto posto e spazio per crescere ancora
in umanità. In questo senso la speranza non
può fare altro che stabilirsi nel mio impegno
quotidiano, nel mio servizio pastorale. Questo
mi permette di gustare il lasciarmi generare
da Colui che mi precede in ogni giorno
della mia vita.
Sì, ciascuno di noi è una lettera aperta. Cristo
si rivolge a ciascuno: “Sei mio figlio, mia figlia.
Io, oggi, adesso, ti genero. Alzati, ti chiamo
a generare a tua volta la mia Presenza di
vita, a svelarla, a distribuirla. Va’ con fiducia,
perché ho iscritto il tuo nome sul palmo delle
mie mani”.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 11

12
pasqua
(da: Rappresentazione della Croce di Giovanni Raboni)
Giuda
Teneteli a mente, questi tre numeri:
uno, dodici, trenta.
Potreste giocarli al lotto: è un bel terno
per tutte le ruote, compresa quella
del supplizio. L’unico inconveniente
è che io non sono un sogno, sono uno
dei dodici (uno dei dodici, appunto)
che hanno lasciato tutto per seguire
il più dolce e terribile degli uomini
e il mio nome prima era solo un nome:
Giuda. Sì, Giuda, cosa c’è di strano?
Io mi chiamavo Giuda come gli altri
Si chiamavano Pietro, Giacomo, Andrea,
Bartolomeo, Giovanni ... Prima quando?
Domanda legittima. E vi rispondo:
prima che il summit dei gran sacerdoti
mi versasse i denari pattuiti
(trenta, ecco il terzo numero del terno)
per il più inspiegabile e necessario
dei crimini. Ora li ho qui, in questa borsa
oscenamente gonfia e tintinnante,
e aspetto fra le quinte, con il cuore in tumulto,
di recitare la mia parte -
quella che mi sono assegnato.
Non chiedetemi, vi prego, perché l’ho fatto.
L’ho fatto perché m’andava di farlo.
L’ho fatto per comprare un campo vicino a casa
che da un bel pezzo mi faceva gola.
L’ho fatto per vedere se ne ero capace.
L’ho fatto ... mah, così, tanto per fare.
L’ho fatto perché forse, chi può escluderlo?
Ho moglie e figli a carico.
L’ho fatto perché qualcuno doveva pur farlo
e il mio nome è Giuda. Troppe risposte,
lo so, perché una sia anche vera.
E allora, se proprio ci tenete, eccone un’altra
l’ultima, la più buffa: l’ho fatto per amore.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
TRIDUO SANTO
Apostoli
Andrea
Svégliati, Pietro, svegliami. Svegliamoci.
Non possiamo starcene qui a dormire
mentre lui veglia.
Giacomo
Non possiamo starcene
qui a dormire
mentre lui veglia e soffre
e suda la sua agonia.
Andrea
Non possiamo
starcene qui a dormire
mentre lui veglia e soffre e suda e muore.
Pietro
Svegliami, ch’io possa svegliarti.
Svègliati per potermi svegliare.
Giacomo
Presto, prima che s’apra quella porta
E ci svegli la sua ira.
Andrea
Svegliamolo
dalla sua veglia cruenta.
Pietro
Svegliateci,
voi che forse vegliate,
dalla nostra crudele anestesia.
Giuda
Lo so, tocca a me di nuovo.
Nessuno meglio di me può raccontarlo -
e poi è compreso nel prezzo.
Mi hanno mandato avanti: come un re,
come una majorette, come un ostaggio.
Gli altri - sacerdoti, soldati, servi -
tutti dietro, con le spade e i bastoni.
Io niente, io armato solo
dell’aculeo tremendo del mio bacio ...
Così doveva andare, e così è andata:
il mio turpe segnale, il suo rimprovero,
oh quanto dolce! e poi le cento mani
tese per afferrarlo, per legarlo,
per trascinarlo via.

Maria
Non so più quante volte t’ho perduto.
Ricordo la prima, a Gerusalemme:
era un bambino, e l’abbiamo trovato
che insegnava ai dottori ...
Ma dopo, chi può contarle?
Da quando ha smesso di essere il mio Gesù
per andare in giro a cambiare il mondo,
ogni sera che non c’era, che a tavola
il suo posto era vuoto, che di là
nel suo letto non dormiva nessuno
era un’altra emorragia un’altra perdita.
Ma esistevi. Troppo grande per me
come per tutti gli altri, ma esistevi.
Esistevi! Anche se hai fatto dire
a me e ai tuoi fratelli che non avevi
né madre né fratelli, esistevi.
In qualche parte del mondo
in riva al mare o in cima a una montagna,
esistevi, e io lo sapevo.
E adesso che i soldati ti hanno portato via
e i preti confabulano di morte,
adesso so che aspettarti ogni sera
fin quando la lanterna si spegneva,
che ascoltare il silenzio dei tuoi passi,
che spiare un mattino dopo l’altro
i segni del tuo ritorno impossibile
era nell’anche per me inaccessibile
segreto del mio cuore
semplicemente la felicità.
Pilato
Poteva andare peggio. O forse no
- non per lui, in ogni caso.
Il fatto è che volevano il suo sangue,
non un sangue qualsiasi; e lo volevano
non solo per loro ma per i figli
e i figli dei figli fino a chissà
quale sventurata generazione
quale inimmaginabile sterminio ...
Ma basta. Mi fa orrore
questa sacra ossessione del futuro,
o che non voglio averne,
io che spero di restare soltanto
in qualche trascurabile iscrizione ...
Basta, ho detto. Anna e Caifa, quei furboni,
vorrebbero che assistessi al supplizio.
Presto, spada e mantello!
in attesa che tutto sia finito
Ponzio Pilato, più furbo di loro,
se ne va qualche giorno
dal suo nuovo amico, il Tetrarca Erode.
(Foto: Via Crucis di Amarillo-Texas)
Maddalena
Dio mi dia la forza di raccontare
tutto quello che ho visto, e a chi mi ascolta
quella di cancellare le parole
che ho potuto dire quando smaniavo
d’una febbre non celeste. Quel sabato
successivo al venerdì del supplizio
mi procurai gli aromi
per ungere il suo corpo; e il giorno dopo,
che era il primo della settimana,
venuta che è ancora il buio al sepolcro
vedo la pietra che lo sigillava
rotolata da un lato;
e visto questo corsi a perdifiato
da Pietro e da Giovanni, suoi discepoli,
e gridavo che il corpo del Signore
era stato rubato.
Ma come, si stupiscono, e i soldati
che i sacerdoti hanno messo da ieri
a guardia del sepolcro? Io non li ho visti,
risposi; e loro corsero al sepolcro
e Giovanni, che è più svelto, arrivato
all’imboccatura, vede le bende
sul pavimento. Ma fu Pietro ad entrare,
e oltre le bende vede anche il sudario
ripiegato lì accanto; e tutti e due,
visto quello che c’era da vedere,
tornarono indietro senza capire.
Io sola rimasi, e piangevo, fuori
del sepolcro, e piangendo mi chinai
a scrutare quella penombra e vedo
qualcosa che né Pietro né Giovanni
hanno visto: due angeli vestiti
di bianco e seduti uno
dov’era stato il capo del Signore,
l’altro dov’erano stati i suoi piedi.
Accortisi di me mi domandarono
perché piangevo, ma mentre rispondo
un’altra voce, da dietro, sussurra:
Donna perché piangi? E io allora vedo
che alle spalle degli angeli
c’è lì, infatti, un altro, ma in piedi, che
penso sia l’ortolano di quell’orto
dov’era il sepolcro. Così gli dissi:
se l’hai portato via, dimmi, ti prego,
dove l’hai portato, ch’io possa prenderlo.
Ma lui disse: Maria!
E, dalla voce, vedo che è Gesù.
Queste sono le cose
che ho visto, e che il Signore mi ha ordinato
di raccontare a tutti i tuoi fratelli.
So bene che non è facile crederle;
non è per me che dovete crederle,
ma per la vostra vita.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 13

14
pagina della bibbia
IN PRIMA FILA
Qualche settimana fa, mentre
partecipavo alla messa nella cappella
di Carouge, la mia attenzione
è stata attratta dalla prima
fila: una linea di sedie a rotelle
con signore molto anziane, ospiti
della casa di riposo.
Alcune sembravano assopite, altre
avevano lo sguardo assente;
molte facevano fatica a star persino
sedute; qualcuna biascicava
parole indistinte, forse preghiere,
che non davano l’impressione
di avere molto a che vedere con
lo svolgimento della messa. Più
d’una emetteva lamenti di tanto
in tanto. Oltre all’infermiera, si
tenevano vicino ad alcune di loro
delle signore, forse loro familiari,
non più troppo giovani, pronte a
raddrizzarle se scivolavano, ad
asciugare loro la bava, ad assisterle
se si lamentavano.
Mi è venuto spontaneamente da
pensare a un’altra prima fila, che
avevo visto in televisione qualche
tempo prima.
Al congresso del maggior partito
politico italiano, lo scorso anno,
le prime file erano state riservate
a giovani, maschi e femmine, di
bell’aspetto, scelti appositamente
da quella che si chiama una società
di casting, cioè un’impresa
specializzata nel trovare persone
che hanno il “physique du rôle”,
ad esempio per uno spettacolo.
Non ho potuto trattenermi dal
riflettere che al di là delle dichiarazioni
più o meno interessate di
difesa dei valori cristiani da parte
di questa o quella organizzazione
politica, sono forse dettagli
come questi che svelano davvero
la prossimità o la lontananza rispetto
al vangelo.
Mi sembra difficile, infatti, mettere
in vetrina giovinezza, bellezza
fisica, prestanza, eleganza,
ricchezza, come fa quel partito
ma come si fa un po’ dappertutto
intorno a noi - e come forse talora
facciamo noi stessi; e al tempo
stesso pretendere di considerarsi
fedeli al modo in cui l’apostolo
Paolo caratterizza la comunità
cristiana di Corinto:
“Non ci sono fra voi molti sapienti
dal punto di vista umano, né
molti potenti, né molti nobili. Ma
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
quello che è stolto per il mondo,
Dio lo ha scelto per confondere
i sapienti; quello che è debole
per il mondo, Dio lo ha scelto
per confondere i forti; quello
che è ignobile e disprezzato per
il mondo, quello che è nulla, Dio
lo ha scelto per ridurre al nulla
le cose che sono, perché nessuno
possa vantarsi di fronte a Dio”
(Prima lettera ai Corinzi 1,26-29).
Ma il cristianesimo è contro la
bellezza, allora? È quanto gli
riproveravano, già nell’antichità,
i suoi avversari: i credenti in
Gesù, scrivevano, sono ignoranti,
di bassa condizione, di aspetto e
comportamento spregevoli, incapaci
di apprezzare e ricercare ciò
che è bello e nobile. Prediligono
la gente insignificante, meschina,
brutta, i rifiuti della società,
quelli che non contano.
Un difensore del cristianesimo,
Tertulliano, verso il 200 dalla veemenza
della sua risposta a tali
accuse si lasciò trasportare a sostenere
che, ebbene sì, anche
Gesù era stato brutto e deforme.
Io non credo proprio che il cristianesimo
sia ostile alla bellezza.
Penso che sia contro la bellezza
fisica vissuta ed esibita come perfezione,
come potere, come potenza,
come affermazione di sé
contro la bruttezza o meglio la
debolezza fisica dell’altro. Come
strumento di successo. Contro la
(presunta) bellezza che oppone
di Enrico Norelli
e separa gli esseri umani tra di
loro, che schiaccia e deride.
Quello che forse facciamo talvolta
fatica a capire è, oserei dire,
che per il cristianesimo non ci
sono né brutti, né belli.
I vangeli ci lasciano scorgere che
Gesù ha saputo vedere la bellezza
di ciascuno: della vecchia che
getta la sua monetina nella cassetta
del Tempio (e le vecchie,
nell’antichità in cui non c’erano
molti mezzi per mantenere giovane
il corpo, e soprattutto le
vecchie povere come quella, erano
davvero fisicamente “brutte”)
come del brigante indurito
dai suoi misfatti e orribilmente
deformato dall’atroce sofferenza
della crocifissione.
Gesù vede gli esseri umani come
li vede Dio: come persone la cui
essenza è quella di essere amati
da Dio. E, come tali, capaci di essere
buoni. E dunque, tutti belli.
Non bada alla loro prestanza fisica,
all’armonia del loro corpo.
Le disprezza? Non mi pare. Non
trovo nulla nei vangeli che svilisca
la bellezza esteriore. Sarebbe
da fanatici.
La bellezza di quelle signore allineate
in chiesa era nella loro fragilità.
Nel non avere alcun mezzo
d’imporsi: nulla di cui vantarsi,
scriverebbe Paolo.
Nel lasciare tutto lo spazio - questo
è il senso del discorso dell’apostolo
- a Dio. Nel catalizzare
l’amore di altre persone, che si
prendono cura di loro. Nello sfidarci
con la loro apparente nullità,
la quale ci pone la domanda
ineluttabile: chi non ha nessuno
dei caratteri che secondo l’opinione
comune “fanno” una persona:
bellezza, capacità, forza,
potere, non è nulla?
Il vangelo risponderebbe con
una controdomanda: ciò che crediamo
di possedere grazie a noi
stessi - ciò di cui possiamo vantarci,
come direbbe Paolo - è più
grande o più piccolo di ciò che
Dio mette in noi? La risposta non
può essere dubbia. Meno abbiamo
in termini di valori “nostri”,
più c’è spazio per quel che ci
mette Dio.
Ecco perché è giusto che proprio
quelle persone siano in prima
fila là dove la comunità si riunisce
con Gesù. Sono quanto di più
bello essa ha da mostrare.

un libro per voi
La bellezza del Crocifisso
Ci stiamo velocemente avvicinando
alla Pasqua e
questo può rappresentare
il periodo più adatto per
meditare sulla figura di
Gesù sulla croce.
Ce ne dà l’occasione un libro
edito dalla Casa Editrice
Àncora, che si intitola La
bellezza del Crocifisso, che
verrà presentato il 20 Marzo
alle 15 nelle sale della
Missione Cattolica Italiana
aux Eaux Vives.
Si tratta di un libro fra arte
e teologia in cui, accanto
ad un’introduzione sulla
bellezza del Crocifisso,
vengono presentate 16 opere
di altrettanti artisti,
che hanno dato una lettura
particolarmente significativa
della crocifissione di Cristo.
Si parte da una delle più antiche
rappresentazioni della
Crocifissione, un affresco
in Santa Maria Antiqua a
Roma, fino a giungere al
Cristo di San Giovanni della
Croce di Salvador Dalì.
Cristo crocefisso,
dipinto di Diego Velázquez, 1631
Per ogni opera considerata
vengono indicate meditazioni
o preghiere che avvicinano
il lettore alla figura del Redentore,
mentre alla fine del
volume trova spazio un breve
dizionario dei simboli legati
all’iconografia della Crocifissione.
La tesi contenuta in questo libro
è che al di là della visione
della Croce come segno scandaloso
(la crocifissione, infatti,
all’epoca di Gesù e per molti
secoli dopo, era il peggiore
supplizio che potesse essere
inferto), la rappresentazione
del Crocifisso emana una bellezza
profonda, che cattura il
fedele e ne tocca il cuore profondamente,
poiché è l’immagine
di Dio fattosi uomo, che
come uomo soffre e muore
per la salvezza dell’uomo, è
un’esperienza del bello che
responsabilizza lo spettatore,
che lo costringe a stare nella
realtà di Colui che ha accettato
fino all’estrema conseguenza
il progetto del Padre.
Giovanni Paolo II affermò
che “il linguaggio della
bellezza, messo al servizio
della fede, è capace di raggiungere
il cuore degli uomini,
di far conoscere loro
dal di dentro Colui che noi
osiamo rappresentare nelle
immagini, Gesù Cristo”,
è dunque lecito pensare
che possa esserci una bellezza
nel Crocifisso, capace
di raggiungerci e di farci
comprendere a pieno e immediatamente
il significato
del suo sacrificio attraverso
la visione del suo supplizio.
Il Crocifisso così diviene un
simbolo salvifico ricco di
significati e speranza che
conduce direttamente alla
resurrezione e alla vittoria
di Gesù sulle tenebre della
morte e del peccato.
Enrica Fasano
Crocifisso di S. Giovanni
della Croce, di Salvatore Dalì
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 15

16
mondo scalabriniano
LA ASCS: AGENZIA SCALABRINIAN
PER LA COOPERAZIONE ALLO SVI
Fondata nel mese di febbraio e costituita nel
mese di giugno 2004, la ASCS è il braccio operativo
nel settore sociale, culturale e della cooperazione
e sviluppo degli Scalabriniani che operano
in Europa ed in Africa.
Essa è stata costituita per svolgere un servizio
tecnico alle posizioni missionarie scalabriniane,
che operano nel campo migratorio e della mobilità
umana (migranti economici, sfollati, rifugiati
e profughi) nei vari continenti: in particolare
ad Haiti (Port-au-Prince), Colombia (Bogotà,
Cucuta e Tibù), Argentina (Buenos Aires, Jujuy,
Mendoza), Bolivia (La Paz), Sud Africa (Cape
Town) e Mozambico (Nampula).
La ASCS realizza questo scopo principalmente
attraverso tre tipi di intervento:
1. Attraverso uno specifico Ufficio di Cooperazione
e Sviluppo, dà il suo apporto per la formulazione
dei progetti, per la ricerca di finanziamenti
pubblici e/o privati, per la rendicontazione dei
progetti realizzati agli enti ed istituzioni che li
hanno finanziati.
In questo ambito, la ASCS mette a disposizione
alcuni operatori a tempo pieno, che, alle dirette
dipendenze dei responsabili scalabriniani locali,
sono in grado di realizzare i progetti che hanno
ottenuto un finanziamento.
2. Attraverso un apposito Ufficio di Volontariato
Internazionale: la ASCS, fin dalla sua nascita ha
realizzato Corsi di formazione al volontariato internazionale
scalabriniano, al fine di formare, inviare
ed accompagnare volontari internazionali,
che svolgono un servizio di appoggio e di aiuto
nei vari progetti gestiti dalle missioni scalabriniane
locali.
3. La ASCS svolge un’azione di sensibilizzazione e
di informazione sulle problematiche che riguardano
la cooperazione e lo sviluppo, soprattutto
in Europa.
Questa azione di sensibilizzazione ed informazione,
attraverso varie manifestazioni, è anche
in funzione della ricerca di fondi per le opere
missionarie scalabriniane e per la promozione
del volontariato internazionale.
La ASCS svolge questo suo compito di servizio in
stretta collaborazione con le istituzioni scalabriniane:
non solo con la Regione Beato Giovanni Battista
Scalabrini che l’ha promossa, ma anche con la
Direzione generale dei Missionari scalabriniani e
con lo Scalabrini International Migration Network
(SIMN) e con le varie Direzioni Provinciali della
Congregazione Scalabriniana.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
Ragazzi della Lawrence House a Cape Town
Al presidente dell’Associazione, p. Beneamino Rossi,
scalabriniano, abbiamo rivolto alcune domande.
Quando è nata l’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione
allo Sviluppo (A.S.C.S.) e con quali obiettivi?
Beniamino Rossi - I missionari Scalabriniani fin dall’inizio
della loro storia, accanto all’azione tipicamente
religiosa e pastorale hanno sviluppato iniziative
di tipo culturale, assistenziale e sociale, secondo la
visione globale sull’emigrazione del loro fondatore.
Nell’epoca dell’emigrazioni globalizzate diventano
importanti alcune opere che si situano nelle “frontiere
migratorie” soprattutto nel terzo mondo.
Da qui la necessità di sostenere opere ed iniziative
in alcuni punti caldi che riguardano gli spostamenti
forzati, i profughi e i rifugiati nell’ottica della cooperazione
e dello sviluppo.
Come si esprime la vostra presenza tra le diverse Associazioni
e Agenzie che si occupano di emigrazione?
Beniamino Rossi - La ASCS non ha progetti propri,
ma su richiesta dei missionari Scalabriniani si sforza
▲ Bolivia: attività scolastiche
▲

A LUPPO
La scuola di Haiti
di formulare dei progetti da presentare ad enti pubblici
e/o privati al fine di reperire finanziamenti per i
progetti stessi.
Dopo alcuni anni di intensa attività quali iniziative
concrete, significative avete realizzato?
Beniamino Rossi - Il fiore all’occhiello degli interventi
della ASCS è lo Scalabriniani Centre of Cape
Town, si tratta di una NPO Sudafricana promossa dagli
Scalabriniani di Cape Town e gestita da un team
di laici locali, che nel corso degli anni ha progettato
e realizzato un modello articolato di intervento per
i rifugiati e profughi africani in Sud Africa: dalla prima
accoglienza, all’assitenza legale e alla ricerca di
lavoro, alla formazione professionale e di inserimento
lavorativo, alla formazione linguistica come pure
all’accompagnamento di categorie sfavorite quali le
donne e sopratutto i minori (due case famiglia per
bambini e adolescenti rifugiati).
Altri internventi significativi sono stati l’aiuto a progetti
formativi e di sviluppo, progettati e gestiti localmente,
in Colombia ed Haiti. L’aiuto della ASCS si è
sviluppato anche in Argentina, Bolivia e Mozambico.
Il dinamismo dell’A.S.C.S. vi porta sempre più lontano,
nel cuore dell’Europa, per meglio sensibilizzare
altre istituzioni europee e mondiali?
Beniamino Rossi - Si tratta di promuovere non solo
un lavoro in rete all’interno della congregazione
ma di promuovere e organizzare collegamenti e collaborazioni
e partenariati con “gli uomini di buon
volere” (come li chiamava Scalabrini) e con le organizzazioni
internazionali che si occupano di “emigrazione
e sviluppo”.
Progetti ASCS
L’elenco è lungo e ci limitiamo ad alcune indicazioni
Colombia
Il più drammatico e sconosciuto effetto collaterale di un conflitto
che dura da 50 anni, sono i 3 milioni di sfollati interni che modificano
la geografia umana colombiana.
Il Nido del Gufo - Bogotà
Bogotá è la destinazione di gran parte di questi profughi che ingigantiscono
la sua periferia nella quale povertà, violenza, ingiustizie
e frantumazione dei valori sono i comuni denominatori.
Con la convinzione che l’educazione e la cultura sono gli elementi
principali per stimolare un cambiamento sociale, Il Nido del Gufo
è attivo con la biblioteca, ludoteca e centro culturale.
Barrio El Camin - Bogotà
Quest’anno la ASCS ha cominciato a sostenere una Casa di Accoglienza
per rifugiati, attraverso un servizio di prima accoglienza, di
supporto morale, psicologico, medico, sociale e di documentazione.
Coopejubasca - Cúcuta - Tibù
La crisi colombiana è allargata a tutta la regione; anche nelle città
di frontiera - come Cúcuta - il sogno di un lavoro oltre confine si
infrange con la realtà delle baraccopoli senza alcun servizio.
La cooperativa Coopejubasca tenta di superare questo stato di
marginalità nel campo dell’educazione, della salute, dell’alimentazione
e dell’attenzione agli sfollati attraverso 8 scuole d’obbligo,
Comedor - mense per i bambini, attività ludiche e parascolastiche
di animazione, azioni sanitarie per i bambini, atelier di taglio e cucito,
fabbrica di mattoni, progetto agricolo e di allevamento.
Le finalità principali del progetto attraverso il “Laboratorio di
Emancipazione e Sviluppo” sono quelle di favorire l’apprendimento,
la socializzazione e l’espressione emotiva dei bambini e adolescenti
desplazados o comunque residenti nei barrios.
Sud Africa - Cape Town
Il Sud Africa è il polo di attrazione per molte popolazioni dell’Africa.
L’ASCS sostiene le attività dello Scalabrini Centre of Cape Town
attraverso:
· Per la Lawrence House, una casa per bambini rifugiati
· Il “Progetto Zimbabwe”, che prevede aiuti alle popolazioni
delle Zimbabwe e mini progetti di sviluppo delle zone
di frontiera per i tanti rifugiati.
Bolivia - La Paz
Il progetto consiste in un Casa di Accoglienza per il Migrante, luogo
di prima assistenza creato soprattutto per rispondere alle situazioni
di emergenza per i migranti in transito da una frontiera all’altra.
Il progetto si prefigge anche di sostenere corsi professionali e di
formazione (telaio, panetteria e cucina).
Argentina - Buenos Aires - Jujuy - Mendoza
L’ASCS opera in Argentina con progetti rivolti alla protezione e
difesa dei diritti umani dei bambini e delle donne migranti, i soggetti
più esposti al rischio di coinvolgimento nella tratta e nel
traffico di persone alle frontiere (Argentina-Bolivia e Argentina-
Cile) e nelle grandi città (Buenos Aires e Mendoza).
Haiti - Port au Prince
Gli interventi ASCS ad Haiti sono a sostegno dei bambini e degli
adolescenti emarginati di Port au Prince.
Contestualmente ASCS interviene a favore del miglioramento dell’assistenza
sanitaria e dell’istruzione di base.
(A parte le emergenze del dopo terremoto)
Nampula - Mozambico
· In collaborazione con l’Archidiocesi la ASCS è impegnata, dopo
la realizzazione della scuola “Aldeia da Esperanza” a contribuire
alla realizzazione di un orfanotrofio per bambine e ragazze
(40 posti) e ad ingrandire l’orfanotrofio per bambini e ragazzi
(dagli attuali 20 posti a 40 posti).
· In collaborazione con l’Archidiocesi la ASCS è impegnata a lanciare
un progetto di sviluppo agricolo (irrigazione, macchine agricole,
sementi, formazione all’agricoltura) e di allevamento dei
polli e maiali (pollaio e porcilaia, compera di pulcini e maialini,
alimentazione).
· Si intende portare a termine il “Centro comunitario di Maratane”
per l’abitazione dell’operatore e dei volontari, e per un mini progetto
di conservazione del cibo
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 17

18
TUTTO QUELLO
CHE VORRESTE SAPERE
SULL’ULTIMO
ACCELERATORE
DEL CERN
Tunnel e LHC
Succede. Vai in Italia, ti chiedono dove vivi e, quando dici Ginevra,
le domande finiscono su banche, organismi internazionali e Cern.
E noi facciamo ... gli esperti, anche se al Cern non abbiamo mai
messo piede. Abbiamo chiesto allora al professor Ugo Amaldi di
farci capire qualcosa di quanto sta succedendo in questo immenso
laboratorio e ne è nata questa intervista dalle risposte non facili
per noi profani, ma che ha il fascino dei misteri più profondi di
questo nostro mondo e apre cuore e mente alla meraviglia.
Da più di un anno si legge e si
sente molto parlare, specie qui
a Ginevra, dell’ultimo acceleratore
di particelle del CERN.
Di cosa si tratta?
Amaldi: Il Large Hadron Collider
(abbreviato in LHC, che si legge
“Elle-Acca-Ci”) è stato costruito in
un tunnel di 27 chilometri di circonferenza
che si trova a cento
metri sottoterra tra l’aeroporto di
Ginevra e il Jura.
Il progetto, iniziato trent’anni fa,
è stato diretto fino al 1995 dall’Ing.
Giorgio Brianti.
L’Elle-Acca-Ci è fatto di migliaia
di potentissimi elettromagneti,
alcuni dei quali lunghi quindici
metri. Per non consumare troppa
energia elettrica, i cavi “superconduttori”
dei magneti, in cui
passano migliaia di ampere, sono
mantenuti alla temperatura di
271 gradi sotto zero, che è inferiore
alla temperatura dello spazio
intergalattico.
Durante il funzionamento, questi
magneti piegano le traiettoie dei
due “fasci” di protoni che circolano
per ore in verso opposto e
si incrociano in otto punti.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
In questi “punti di interazione” un
protone di un fascio collide, ogni
miliardesimo di secondo, con un
protone dell’altro fascio liberando
una quantità di energia mai
prima raggiunta.
Quindi lo scopo è quello di produrre
energia?
Amaldi: Nient’affatto. Il CERN,
fondato negli anni cinquanta da
12 Paesi - tra cui l’Italia - e finanziato
ora da 20 Stati europei, si
occupa soltanto di ricerca in fisica
fondamentale, senza alcun immediato
scopo applicativo. (Tuttavia
è al CERN che vent’anni fa è stato
inventato il Web, che ha cambiato
in profondità le nostre società.)
Scopo del CERN è lo studio sperimentale
(che ha bisogno di acceleratori
di particelle sempre più potenti)
e teorico (con la matematica
e i computer) delle proprietà delle
particelle subatomiche e delle forze
con cui esse interagiscono.
Mi spiego.
Fu Einstein a scoprire cento anni
fa che, per il solo fatto di avere
una massa, un corpo possiede
una enorme quantità di energia,
che si calcola con la famosa formula
E = mc 2 .
Qui m rappresenta la massa del
corpo mentre c rappresenta la velocità
della luce, che vale ben
300.000 chilometri al secondo.
Si vede subito che c 2 - ottenuto
moltiplicando il valore di c per se
stesso - è un 9 seguito da moltissimi
zeri ed è quindi un numero
astronomico, tanto che se si potesse
convertire tutta la massa di un
chilo di petrolio in energia elettrica
si alimenterebbe il Cantone di
Ginevra per un anno. (Purtroppo
la combustione è un fenomeno
molto inefficiente: nelle rezioni
chimiche si libera soltanto un decimiliardesimo
dell’energia di massa
che è potenzialmente disponibile.)
Bene, in una collisione protoneprotone
dell’Elle-Acca-Ci ci si libera
invece praticamente tutta la
“massenergia”, che è la somma
dell’energia di massa dei protoni
e dell’enorme energia cinetica
che essi posseggono in quanto si
muovono con velocità vicinissima
a quella della luce.
Per quantificare l’aggettivo “enorme”
bisogna dire che i fisici chiamano
“GeV” l’energia di massa
di un protone; l’energia di massa
dei due protoni vale quindi 2 GeV.
Ma poiché l’energia cinetica con
la quale nel 2010 circoleranno i
protoni è pari a 3500 GeV, in ogni
collisione entrano in gioco ben
7002 GeV. Questa energia si trasforma
immediatamente nelle
masse ed energie cinetiche di de-

cine, talvolta centinaia, di particelle
che si allontano velocemente
dal punto della collisione.
Quindi non vogliamo produrre
energia, ma concentrare una piccolissima
frazione dell’energia
presa dalla rete elettrica su particelle
subatomiche in modo che
nelle collisioni si liberino massenergie
che sono “enormi” rispetto
all’energia di massa delle
particelle stesse, rimanendo
tuttavia piccolissime sulla scala
del mondo macroscopico: un moscerino
in volo ha un’energia cinetica
pari a circa 10.000 GeV.
Ma se l’Elle Acca Ci non produce
energia ma la consuma per concentrarne
una piccolissima frazione
su questi protoni, a cosa serve?
Amaldi: A comprendere le prime
fasi di esistenza del nostro Universo,
cioè quello che è accaduto
14 miliardi di anni fa.
Per spiegarlo, devo cominciare col
dire che le energie liberate nelle
collisioni dei nostri due protoni
sono le stesse che si avrebberro in
una “bottiglia” che, piena di gas
idrogeno, fosse portata alla inimmaginabile
temperatura di 30 milioni
di miliardi di gradi.
A queste temperature i protoni
e gli elettroni che costituiscono
l’idrogeno sarebbero separati e -
nella loro danza sfrenata dovuta
all’altissima temperatura - si urterebbero
continuamente con energie
simili a quelle dell’Elle-Acca-Ci.
Quindi, nelle otto zone di interazione
nelle quali si incontrano
i fasci di protoni avvengono gli
stessi fenomeni che accadevano
nella “zuppa cosmica” primordiale
subito dopo quella esplosione
di spazio e di massenergia che è
stata chiamata “Big Bang”.
La massenergia - che adesso ci appare
come distribuita tra cento
miliardi di galassie, ciascuna fatta
da cento miliardi di stelle - era
allora concentrata in un volume
infinitamente più piccolo e la temperatura
era appunto di 30 milioni
di miliardi di gradi dopo un milionesimo
di milionesimo di secondo.
In quegli istanti iniziali le energie
in gioco nelle collisioni erano tanto
grandi che nella zuppa cosmica
non vi erano protoni, che sono
particelle composte fatte ciascuno
di tre “quark”.
Le violentissime collisioni impedivano
ai quark di rimanere legati
nei protoni e, addirittura, creavano
continuamente tutte le particelle
semplici che abbiamo scoperto
negli ultimi cinquant’anni
facendo collidere particelle subatomiche
a energie inferiori a quelle
dell’Elle-Acca-Ci.
Ho perso il filo. Cosa sono tutte
queste nuove particelle? Pensavo
che la materia fosse fatta di
protoni e di elettroni, come l’idrogeno
della bottiglia.
Amaldi: Sono andato troppo
in fretta perché non ho ricordato
che i nuclei degli atomi sono fatti
di protoni e che intorno al nucleo
ruotano gli elettroni. Ma i protoni
e i neutroni sono a loro volta fatti
di tre quark di due tipi diversi, detti
quark-u e quark-d.
A partire dagli anni 50 in molti
laboratori del mondo i fisici hanno
fatto collidere protoni ed elettroni
a energie sempre più elevate,
per esempio, al “Protosincrotrone”,
entrato in funzione al
CERN cinquant’anni fa, si osservavano
collisoni protone-protone
nelle quali si liberavano 5 GeV di
energia e poi.
Questa vastissima attività di ricerca
ha fatto vedere il mondo
delle particelle subatomiche in
una luce completamente diversa.
Abbiamo infatti appreso che la
massenergia liberata in queste
collisioni si trasforma in una ventina
di tipi di particelle fondamentali
diverse; le particelle del tipo
più pesante hanno addirittura una
massa eguale a quella di 180 protoni
tutti concentrati in un punto!
Per questo i fisici l’hanno chiamata
“quark top”.
Soltanto le tre particelle fondamentali
che ho appena nominato
(elettroni, quark-u e quark-d) costituiscono
oggi quella che chiamiamo
“la materia” perché tutte
le altre, essendo pesanti e contenendo
quindi più massenergia,
entro il primo milionesimo di secondo
si sono disintegrate in quelle
più leggere. Ma a tempi ancora
più brevi nella zuppa cosmica
tutte le particelle erano presenti
e le loro continue collisioni producevano
altre particelle, le quali
decadevano in quelle più leggere
che, urtandosi violentemente, ne
creavano a loro volta altre più pesenti,
e così via. In queste fasi iniziali
tutti i tipi di particelle hanno
avuto un ruolo, anche se esse oggi
non formano la materia intorno
a noi perché si sono disintegrate.
Ed è importante sottolineare che,
se uno solo di questi tipi di particelle
fosse stato assente, la zuppa
- espandendosi e raffreddandosi -
non avrebbe, probabilmente, portato
all’Universo che osserviamo.
A questo serve quindi l’Elle-Acca-
Ci. A scoprire di quali particelle
era fatta la zuppa cosmica iniziale
e a studiare le collisioni e i decadimenti
di tutti i tipi di particelle
allora presenti e poi subito scomparse.
Per far questo sono stati
montati intorno a quattro punti di
interazione dei “rivelatori” grandi
come un palazzo di sette piani
che “vedono” elettronicamente
e ricostruiscono traiettorie e caratteristiche
delle decine e decine
di nuove particelle che sono prodotte
in ogni collisione protoneprotone.
Non è stimolante pensare che proprio
qui, a Ginevra, più di diecimila
fisici e ingegneri lavorano giorno
e notte allo scopo di risalire nel
tempo e conoscere meglio
i primissimi stadi dello sviluppo
del nostro meraviglioso Universo?
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 19

20
migrazioni
A SUD DI
LAMPEDUSA
A prima vista sembra una buona
notizia: secondo i calcoli dell’organizzazione
Fortress Europe, ai
confini dell’Unione Europea, in
particolare nel Mediterraneo, nel
2009 sono morti meno migranti
e potenziali richiedenti asilo rispetto
agli anni precedenti.
Certamente diversi fattori contribuiscono
a questa evoluzione.
Gli esperti fanno notare che
a breve termine l’attuale crisi
economica, con l’aumento della
disoccupazione in Europa, scoraggia
una parte dei possibili migranti
dal mettersi in cammino.
A lungo termine, invece, assume
un ruolo rilevante la politica dell’Unione
Europea volta ad aumentare
i controlli ai suoi confini
esterni, a stringere con gli stati
vicini accordi di riammissione dei
migranti irregolari e, infine, a
sostenere con mezzi tecnici e finanziari
i paesi di partenza e di
transito perché blocchino loro
stessi i movimenti migratori.
Attualmente i numeri sembrerebbero
confermare che i respingimenti
attuati nell’Atlantico e
nel Canale di Sicilia abbiano praticamente
interrotto gli arrivi alle
Canarie e a Lampedusa.
Rimangono, però, molte questioni
aperte. La prima riguarda
la probabilità che le rotte delle
migrazioni cambino. Gli attuali
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
Luisa Deponti,
CSERPE
Come cambiano i movimenti migratori.
Paesi di transito, stanno diventando
via via Paesi di destinazione,
come avviene in Nord Africa.
Al tempo stesso gli itinerari si
fanno più lunghi e complessi.
Si è già registrato, ad esempio,
un aumento dei passaggi al confine
tra Turchia e Grecia, dove
non transitano più solo persone
provenienti dal Medio Oriente,
ma anche africani.
Inoltre, ormai si moltiplicano le
testimonianze drammatiche dei
migranti o profughi bloccati nei
vari Paesi del Nord Africa. Come
il caso di 31 somali che, ormai
sulla rotta verso Malta, sono stati
intercettati da una nave italiana
e consegnati ai libici. Un volta in
Libia sono riusciti ad inviare un
messaggio al Refugee Service dei
Gesuiti a Malta, avvertendo di essere
in prigione. “Salvati”, dunque,
da un eventuale naufragio
sono ora in uno dei carceri libici,
noti per le violenze e le torture.
In un altro di questi luoghi, 105
cittadini eritrei, che sono fuggiti
dalla dittatura nel loro Paese,
invece di poter chiedere asilo,
hanno ricevuto la “visita” di funzionari
dell’ambasciata eritrea e
costretti con la violenza a compilare
dei moduli in vista del loro
rimpatrio forzato.
In Mauritania un centro di detenzione
soprannominato “Guan-
tanamito” è stato messo sotto
accusa da Amnesty International
per le condizioni in cui vivono gli
800 migranti irregolari reclusi.
È, poi, incalcolabile il numero dei
morti nel Sahara, dove la sabbia
ricopre in pochi giorni i corpi
dei migranti. Come mostra un
recente reportage del settimanale
italiano Oggi, gli incidenti
dei fuoristrada che trasportano i
clandestini sono molto frequenti
e conducono il più delle volte
all’abbandono e alla morte dei
viaggiatori. Attualmente, a causa
dei respingimenti, è aumentato
il flusso di ritorno di coloro
che non hanno prospettive a
nord. Dunque, il mancato viaggio
in mare significa per molti
un secondo attraversamento del
Sahara verso sud. Chi rimane in
Nord Africa, soprattutto se di
pelle nera e di religione cristiana,
può trovare forse lavoro, ma in
condizioni di sfruttamento e di
discriminazione molto forti.
Si può, dunque, affermare che alcune
scelte politiche da parte europea
hanno come diretta conseguenza
la violazione dei diritti
umani dei migranti e dei rifugiati.
Tuttavia, secondo il proverbio
“Lontani dagli occhi lontani dal
cuore”, ben pochi sembrano preoccuparsene:
in tempo di crisi
economica la concorrenza per i
posti di lavoro e soprattutto per
le risorse sociali si fa più dura e il
risentimento verso gli ultimi arrivati
più forte. Si dimentica, però,
che la causa della crisi non è da
imputare all’immigrazione, bensì
all’irresponsabilità dei settori
finanziari. La ricerca del profitto
ad ogni costo, senza attenzione
per il bene comune, ha causato
i gravi danni all’economia reale,
di cui tutti portiamo le conseguenze,
ma che pesano maggiormente
proprio sulle spalle
dei paesi più poveri. La voglia di
solidarietà non è venuta meno:
lo si vede nella generosità delle
offerte raccolte per Haiti.
La solidarietà si esprime, però,
anche nell’attenzione ad una
maggiore giustizia a livello globale,
al rifiuto di erigere muri
sempre più alti nelle nostre città
e ai nostri confini, trovando nelle
occasioni piccole come in quelle
grandi strade per una maggiore
condivisione con gli altri.

ecap
La Fondazione ECAP lancia nella circoscrizioni consolare
di Losanna il progetto “EFIS: Service de formation
pour l’Employabilité Féminin des Italiennes en
Suisse”. Progetto finanziato dal Ministero del lavoro
e delle Politiche Sociali Italiano nell’ambito degli
Interventi a favore di Italiani residenti in Paesi non
appartenenti all’Unione Europea.
La Fondazione ECAP, la terza grande istituzione nella
formazione degli adulti in Svizzera, lancia a partire
da marzo 2010 il progetto EFIS, un percorso formativo
finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali Italiano a sostegno dell’occupabilità delle donne
italiane della Svizzera romanda nel mercato del
lavoro locale.
Le attività formative di EFIS si rivolgono a donne italiane
disoccupate, in cerca di prima occupazione o
con un lavoro precario e si pone l’obiettivo di facilitarne
l’inserimento/reinserimento lavorativo fornendo
competenze e conoscenze informatiche, linguistiche
e professionali immediatamente spendibili nel
contesto di riferimento locale.
L’intervento formativo è strutturato modularmente e
prevede accanto all’acquisizione o al consolidamento
della conoscenza della lingua francese e inglese, anche
l’acquisizione e l’approfondimento di conoscenze
informatiche, la conoscenza delle dinamiche occupazionali
e del mercato del lavoro locale, l’istruzione
nell’uso del telelavoro e il modulo di creazione, gestione
e marketing d’impresa.
Le attività corsuali sono strutturate in maniera tale da
fornire un valido supporto non solo a quante siano
alla ricerca di un’attività lavorativa di tipo dipendente,
ma anche a quante volessero maturare l’idea di
avviare un’attività autonoma.
Accanto alle ore di formazione in aula, le donne riceveranno
un coaching individuale e verranno affiancate
da formatori in grado di garantire operativamente
un servizio di orientamento al lavoro.
A conclusione del percorso di formazione le partecipanti
verranno collocate in azienda per uno stage
della durata di una settimana (quaranta ore).
Le donne con un’occupazione part-time riceveranno
la possibilità di alternare il classico stage in azienda
con l’E-Stage, una metodologia innovativa di realizzazione
di attività di training on-the-job in telelavoro.
La maggior parte dei moduli formativi si svolgerà in
modalità blended, vale a dire intrecciando le lezioni
in aula con la formazione a distanza (FaD).
La FaD verrà erogata tramite l’utilizzo di un’apposita
piattaforma su cui verranno depositati materiali didattici,
esercizi, supporti audiovisivi, a sostegno dello
studio individuale e dell’apprendimento individualizzato.
associazioni
I corsi verranno avviati nelle città di Ginevra, Losanna,
Vevey e Friburgo a partire dal mese di marzo e sono
completamente gratuiti.
Al termine della formazione verrà rilasciato un attestato
di frequenza, ma il percorso offre la possibilità
di certificare alcuni segmenti didattici al fine di rafforzare
il profilo in uscita delle partecipanti (possibilità
di conseguire la certificazione ECDL per l’informatica
o di certificare le conoscenze linguistiche acquisite).
Per maggiori informazioni o per una preiscrizione ai
corsi, Vi invitiamo a contattare i coordinatori del progetto,
Andrea Leoni allo 021 320 13 27 o Antonella
Thomas allo 079 418 55 71, oppure inviate un mail a
efis@ecap.ch.
Giuliana Tedesco-Manca
Resp. Coordinamento Progetti MdL
alpini
Presso la chiesa della missione cattolica Italiana si è
celebrata la tradizionale messa di commemorazione,
per gli Alpini andati avanti del gruppo di Ginevra, e
per tutti i soldati e volontari morti nell`adempimento
del propio dovere.
Il capogruppo Franco Vola, gli Alpini presenti e il numeroso
pubblco, hanno seguito con commozione la
celebrazione.
Al termine, dopo la preghiera dell’alpino e le foto di
rito, gli Alpini hanno invitato tutti i presenti al bar della
Missione, per condividere il bicchiere dell`amicizia.
La 46 ma assemblea generale del gruppo alpini di Ginevra
si é svolta come di consueto nel salone della
Maison du Général Dufour.
Si è proceduto al rinnovo del consiglio per i prossimi
2 anni. Franco Vola dopo 20 anni ai vertici del consiglio
rassegna le dimissioni e rimane in comitato come
vice capogruppo.
Antonio Strappazzon è eletto assieme a un nuovo
consigliere Antonio Cavalli, il resto del comitato resta
invariato.
Consegna i diplomi di benemerenza a Franco Vola per
la sua grande dedizione alla società degli Alpini e a
Dario Innocente per i suoi 50 anni di fedeltà all’Associazione.
Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 21

associazioni
22
grande successo della
“giornata della solidarietà”
Batte forte il cuore della comunità italiana per i “Meninos
da rua” di suor Rita.
Anche quest’anno, il gruppo di sostegno a suor Rita,
ha organizzato una giornata di solidarietà a favore
dei bambini dell’istituto Daniele Comboni, dove suor
Rita opera. La comunità Italiana che da qualche anno
oramai conosce suor Rita, ha risposto all’invito del
gruppo di sostegno in maniera generosa.
Domenica 31 gennaio, appuntamento presso la Missione
Cattolica Italiana, per la messa delle ore 11,30
ed a seguire il pranzo di beneficenza.
Quest’anno, ben 150 persone hanno raccolto l’invito,
a malincuore siamo stati costretti a rifiutare alcune
prenotazioni a causa del numero di posti limitato
Indirizzi utili
Consolato Generale d’Italia a Ginevra, rue Charles-Galland 14, a 1206 Ginevra,
tel. 022 839 67 44.
Orari di apertura:
Lunedì: 09.00-12.30 · Martedì: 14.30-17.30 · Mercoledì: 09.00-12.30
Giovedì: 14.30-17.30 · Venerdi: 09.00-12.30 - Sabato e domenica: chiuso.
Ente italiano Socio-assistenziale
Rue de l’Athénée 26, 1206 Genève, tel. 022 346 89 49
Aperto martedì, giovedì e venerdì dalle ore 9.00 alle ore 11.00.
COMITES - Comitato per italiani all’estero
Rue de l’Athénée 26, 1206 Genève, tel. 022 346 99 13
Patronato ACLI - 76 rue de Carouge, 1205 Ginevra, tel. 022 781 09 32
Patronato INCA-CGIL
Ch. Surinam 5, case postale 346, 1211 Genève 13, tel. 022 344 71 72
Patronato ITAL-UIL - Rue J.-Necker 15, Case postale 1941,
1211 Genève 1, tel. 022 738 69 44
Couple et famille - 12 rue Adrien Lachenal, 1207 Genève, tel. 022 736 14 55
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Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010
dalle dimensioni della sala. Subito dopo il pranzo, la
lotteria è stato un ulteriore momento di beneficenza
e solidarietà. Qualche ora passata assieme, appuntamento
ormai fisso, grazie al costante impegno ed alla
passione del gruppo di sostegno, ha permesso a tutti i
presenti di vivere un giorno diverso, in allegria e semplicità,
ed allo stesso tempo ha consentito di raccogliere
7315 franchi, che saranno devoluti interamente
all’istituto Comboni, dove suor Rita opera.
Un grazie a tutti i presenti e l’appuntamento al 2011
per un’altra grande giornata di solidarietà.
Giuseppe Plaia
acli
Il direttivo del Circolo ACLI è lieto di presentarsi a voi.
È stato eletto Presidente: Mario Menossi; Vice Presidente:
Luciano Gatto; Segretario Amministrativo:
Arturo Vicidomini; Consigliere spirituale: Padre Martino;
Alfiere: Giovanni Lalicata.
calabresi
invitano alla Festa di Primavera sabato 20 marzo alla
Salle Communale d’Aïre, Chemin Grand-Champs,
1219 Lignon dalle 19.30.
La serata sarà allietata dal Duo di Casa Nostra.
Per informazioni e prenotazioni rivolgersi a Silvio Isabella
( 022 320 15 87 o 079 611 24 62) o a Gino Isabella
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1219 Châtelaine (GE)
tél. 022 797 17 87
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tél. 022 788 77 70
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Presenza Italiana Marzo-Aprile 2010 23

È Pasqua!
Aiutami, o Signore,
a sorridere alla Pasqua che celebriamo,
a non pensare a ciò che ho lasciato,
ad essere felice di ciò che ho trovato.
JAB 1207 Genève
Aiutami, o Signore risorto,
a non volgermi indietro perchè l’ieri non c’è più
se non come briciola di lievito per il pane di oggi.
Aiutami a sorridere alla vita che avanza,
sempre così ricca di sorprese e di novità.
Aiutami a sorridere alla poesia che canta nel cuore
per spingermi alla ricerca di spazi sconfinati.
Aiutami, o Signore risorto,
a sorridere ai tentativi che compio
per essere e restare creatura nuova.
Aiutami, o Signore, che sento vivo dentro di me,
perché ora so che, se vengo e resto con te,
ogni giorno è Pasqua,
ogni giorno è “primo mattino del mondo”.
Buona Pasqua!
Missione Cattolica Italiana
15, rue de la Mairie · 1207 Genève