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Edizioni R.E.I.<br />
3
4<br />
Ti Sento<br />
Cassidy McCormack<br />
ISBN 978-88-97362-15-9<br />
Copyright 2011 - Edizioni R.E.I.<br />
www.edizionirei.webnode.com<br />
Stampa: Greco & Greco - Milano
CASSIDY McCORMACK<br />
<strong>TI</strong> <strong>SENTO</strong><br />
Edizioni R.E.I.<br />
5
A Riccardo Martino<br />
con immensa gratitudine<br />
7
1<br />
Non c’è niente di peggio di un telefono che si ostina a<br />
squillare ogni giorno alle sei. Scherzo beffardo e crudele<br />
di chi al mattino non ha di meglio da fare che<br />
interrompere il sonno altrui.<br />
Dovrò decidermi a cambiare la suoneria del cellulare,<br />
questa canzone ormai non la passano neanche più alla<br />
radio.<br />
Sì, sì, ho sentito, adesso mi alzo. Dammi solo un altro<br />
minuto.<br />
Ma dove ho messo gli occhiali? Sono certo di averli visti<br />
sul comodino ieri sera, dietro la videocamera. Che li<br />
abbia fatti cadere mentre dormivo? Diamo una sbirciata<br />
sotto il letto, non si sa mai. Ah, ecco dove sono finite le<br />
sigarette. Dio, quanta polvere qua sotto. Devo proprio<br />
prendermi un po’ di tempo per dare una pulita qua dentro.<br />
Sì, sì, adesso scendo, smettila di rompere! Che strazio che<br />
sei.<br />
Ma dove diamine sono finiti i miei occhiali?<br />
Brrr!<br />
Voglio la moquette. Voglio la moquette.<br />
Eccoti birbante! Volevi giocare a nascondino sta mattina?<br />
Pessima idea, basto già io per fare ritardo.<br />
Beh, adesso va decisamente meglio. Questa luce mi<br />
acceca.<br />
Aggiungere alla lista: cambiare tende di mamma. Quel<br />
giallino è troppo femminile.<br />
A proposito, dovrei proprio passare a vedere come sta, è<br />
da un po’ che non la sento.<br />
9
Chissà se si è ricordata del vaccino, c’era il richiamo la<br />
settimana scorsa.<br />
Mi sa che non faccio in tempo a fare una doccia. Sta volta<br />
mi ammazza davvero, ho un ritardo mostruoso.<br />
Ha smesso di chiamare, brutto segno.<br />
Ha ragione mia madre: devo smetterla di lasciare i vestiti<br />
sparsi per casa quando mi spoglio, ci metto ore a<br />
ritrovare tutto quello che mi serve.<br />
Giubbotto o cappotto? Cappotto, non dovrebbe piovere<br />
anche oggi. Però così devo cambiare scarpe. Ma sì,<br />
minuto più, minuto meno, tanto la ramanzina mi tocca lo<br />
stesso.<br />
Camicia, maglione, jeans, cintura, calzini e scarpe uguali,<br />
cappotto, capelli ok, occhiali, portafoglio, cellulare. Mi<br />
sembra di avere preso tutto.<br />
Chiavi, chiavi, chiavi.<br />
Giusto! In bagno, sul ripiano dello specchio.<br />
Un’ultima rimirata? Perché no?<br />
Uff! Ancora?<br />
><br />
><br />
Ma che ti strilli? Chi te l’ha chiesto di presentarti a casa<br />
mia all’alba? ><br />
><br />
Possibile che sia perennemente incazzato quest’uomo?<br />
Acc…! Ma dove ho la testa sta mattina? Vabbeh, adesso è<br />
tardi per rientrare a prendere il libro di genetica. Tanto<br />
l’esame è saltato ormai. Me le sono già giocate le mie tre<br />
assenze.<br />
> Che stronza. Sempre con la solita puzza<br />
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sotto il naso. Mai un cenno, un saluto. Vorrei vedere se<br />
faresti ancora tanto la preziosa se sapessi che tuo marito<br />
se la fa con la figlia del portiere del palazzo di fronte. Sei<br />
piacevole quanto un petardo nel sedere. Fattene una<br />
ragione, quell’uomo ti odia. Almeno è quello che dice<br />
Sofia.<br />
Ecco che ho scordato! La sciarpa. Che freddo che fa. Si<br />
sta meglio quando piove.<br />
Mmm, di male in peggio, è furioso.<br />
><br />
Ma rilassati ><br />
><br />
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…<br />
><br />
Conto fino a dieci prima di risponderti che detesto te e<br />
odio questo lavoro, ma non ho voglia di litigare oggi,<br />
quindi è meglio che sto zitto dai, tira fuori il tuo solito taccuino. Dio!<br />
Come sei prevedibile. Sarebbe anche il caso di comprarne<br />
uno nuovo, ti pare? I fogli scarseggiano.<br />
><br />
><br />
><br />
> ma allora perché cavolo mi hai svegliato<br />
a quest’ora?<br />
><br />
E…? Dai, continua. Tanto ti si legge in faccia che non mi<br />
digerisci. Mi stai stressando dal primo giorno in cui ho<br />
iniziato questo maledetto lavoro.<br />
11
Non direi proprio ><br />
><br />
No che non capisci.<br />
><br />
E questo che vuole?<br />
><br />
><br />
><br />
Non mi sembra<br />
><br />
><br />
E mica sono un visionario? Ci siamo solo noi due sul<br />
marciapiede, e tu gli dai le spalle. Ergo…<br />
><br />
><br />
Ah sì, e che vuole da me? Se ne vada per la sua strada<br />
><br />
><br />
Addirittura!<br />
><br />
><br />
Chissà dove va con quella fretta?<br />
><br />
><br />
Oppure no, chissà se…<br />
12
><br />
><br />
><br />
><br />
E di che ti preoccupi? Cosa potrei mai fare?<br />
><br />
><br />
Uff! È successo una volta sola<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
E vattene!<br />
><br />
13
14<br />
2<br />
Inutile affannarti tanto, caro il mio professor Melluso. Per<br />
quanto tu possa mettercela tutta, quest’aula sarà sempre<br />
troppo grande per te.<br />
Se non fosse per il Branco in prima fila - che ti presta<br />
qualche attenzione per ottenere un trenta troppo scontato<br />
per risultare reale perfino a te – e qualche sadico<br />
avventuriero, saresti costretto a decantare la tua scarsa<br />
sapienza a duecento posti vuoti.<br />
Non credere che non l’abbia capito il tuo gioco. Vuoi<br />
tenermi incatenato a questo corso perché hai capito che<br />
già dal secondo anno ne so molto più di te. Eppure sarai<br />
costretto a concedermelo quest’esame prima o poi, ed io<br />
non ti darò tregua finché non ti stancherai della mia<br />
faccia. Diventerò il tuo incubo ricorrente. Ti sveglierai di<br />
notte urlando di non poterne più di me. Non puoi<br />
incastrarmi per sempre. Dovrai pur prendere di mira<br />
qualcun altro e lasciarmi andare. Tanto io non mollo.<br />
Sono paziente, aspetterò.<br />
Ah, ecco la piccola Denise. Tocca a te oggi la levataccia<br />
all’alba per correre a occupare i posti in prima fila per il<br />
tuo branco. E brava la piccoletta! Sarebbe anche ora che<br />
te li sistemassi quei capelli ogni tanto. Se li sciogliessi poi,<br />
non saresti neanche così poco gradevole come sembri<br />
ultimamente, nascosta sotto il multistrato di fondotinta che<br />
usi per nascondere la pelle bianchiccia che ti eviteresti se<br />
ti decidessi a prendere un po’ di sole.<br />
È la terza volta questa settimana che ti tocca venire ad<br />
aprire le porte. Poverina! Dopotutto a te tocca faticare un<br />
po’ più delle altre per quel trenta, giusto? Garantirti un<br />
posto nel branco per te è come arruffianarti il professore,
una ruffiana fra i ruffiani. Se solo curassi un pochino di<br />
più il tuo aspetto come un tempo…<br />
Ammettilo, tesoro, avresti preferito rimanere a letto sta<br />
mattina. Ma perché non lo fai allora? Ribellati al sistema!<br />
Fregatene di perdere il tuo sgabello al bar col professore.<br />
Tanto la lode non te la da. Non hai le caratteristiche<br />
genetiche fondamentali per questo. Perché mai un<br />
insegnante che da fondamento alla sua vita sulla genetica<br />
dovrebbe lodare proprio uno scherzo della natura come<br />
te? Smettila di studiare per tutti. Pensa a te stessa e<br />
abbandona il branco. Sei cento volte migliore di tutti loro<br />
messi assieme.<br />
Guardati, sei talmente attenta ai particolari da non<br />
accorgerti del mondo che ti vive intorno. Non potresti<br />
vedermi neanche se lo volessi davvero. Anche se<br />
continuassi a fissarti per le prossime due ore, tu<br />
continueresti a non accorgerti di me. Potremmo essere io<br />
e te soltanto in quest’aula oggi, potrei sedermi accanto a<br />
te - a uno dei posti che hai occupato con i fogli pieni dei<br />
tuoi appunti disordinati - e tu continueresti a non vedermi.<br />
E perché mai dovresti farlo? Sono anni che entri in aula<br />
senza concedere il tuo sguardo a niente che non sia un<br />
blocco per appunti, uno schermo di tela bianca per i lucidi<br />
o la faccia di uno qualunque dei professori. Sei patetica.<br />
Non so come facessi a ritenerti interessante l’anno scorso.<br />
Sembravi così diversa, così poco scontata. Ora sei banale,<br />
proprio il requisito che si richiede per far parte del<br />
Branco. Hai fatto presto a conformarti al gruppo, a<br />
impararne il linguaggio, le leggi.<br />
Che delusione vedere una mente così brillante offuscata<br />
dall’umiliazione. Non vince sempre il più forte, Denise. A<br />
volte – anche se devo ammettere che succede molto di<br />
rado – il più forte perde perché è troppo convinto che non<br />
possa accadere, e il perfido Ivan riesce a individuare lo<br />
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spiraglio di luce dove poter puntare il proiettile della<br />
propria fionda.<br />
Tu non sei Golia, Denise, tu potresti mangiartelo vivo quel<br />
furbacchione di Ivan, ma allora perché sei ancora lì a fare<br />
la schiava?<br />
Ah, certo. Che sciocco! Quasi dimenticavo. Eccolo che si<br />
fa avanti con tutti gli altri, il tuo Adone. Marco Tosti, che<br />
di tosto ha soltanto il nome. Dì un po’, li hai ancora i<br />
segni della nostra ultima scazzottata. Non fai più lo<br />
strafottente quando te le suonano, non è vero? Peccato<br />
che i tuoi amici non abbiano potuto vedere come incassi<br />
bene. Eppure non credere che sia finita, ho ancora un<br />
conto in sospeso con te.<br />
Ma come fa a piacerti quella specie di sorcio, Denise.<br />
Perché continui a volerti così male? Per lui sei invisibile<br />
tanto quanto lo sono io per te. Non gli importa niente<br />
degli appunti che gli passi, dei favori che gli fai. Uno così<br />
non ha occhi che per se stesso. Come fai a non<br />
accorgertene? Che rabbia che mi fai!<br />
E questo qui che vuole? Va a sederti da un’altra parte. Ci<br />
sono centinaia di posti liberi davanti. Non l’hai notato che<br />
è dall’inizio dei corsi che qui dietro ci sto solo io? Ma…<br />
aspetta un attimo, tu non sei uno di noi. È la prima volta<br />
che ti vedo. Hai accompagnato qualcuno e vuoi startene<br />
qui ad aspettarlo in disparte? Hai l’aria sveglia, che ci fai<br />
qui, va a farti un giro. Non sprecare due ore della tua vita<br />
qui dentro, non ne vale la pena. Stai pensando alla mia<br />
proposta, vero? Ti mordicchi il labbro inferiore,<br />
pensieroso sul da farsi. Beh, te lo dico io cosa devi fare:<br />
vattene. Fuggi finché sei in tempo. Tanto fra due ore la<br />
ritroverai di nuovo lì seduta. Non la mangia nessuno. Va<br />
pure tranquillo, amico. Qui dentro solo la noia potrebbe<br />
farle del male.<br />
16
Ehi! Ma dove sei finita? Mi distraggo un istante e mi<br />
sparisci così? Non è per niente gentile da parte tua.<br />
Vediamo un po’! Il resto del Branco è tutto ai propri posti,<br />
solo il tuo è vuoto, anche se sulla sedia hai lasciato la<br />
Gucci nuova, regalo di papà per il compleanno della<br />
settimana scorsa. Com’eri tenera quando la sventolavi<br />
davanti alle altre ruffiane. Per una settimana l’hai<br />
protetta con fare maniacale, quasi fosse il più debole della<br />
cucciolata di accessori costosi piovuti per il tuo giorno<br />
speciale. Se l’hai abbandonata così significa che non sei<br />
lontana o che è diventata grande abbastanza da<br />
permetterti di occuparti di un nuovo nato. So che puoi<br />
tenerla d’occhio in qualunque momento, ma allora dove<br />
sei? Perché non riesco a vederti? Cosa è successo di tanto<br />
importante da costringerti ad abbassare la guardia sulla<br />
cucciolata? Forse il fatto che sia accanto a Marco ti rende<br />
stupidamente più tranquilla. Non riusciresti mai a credere<br />
che quel sorcio non alzerebbe un dito per salvarla, vero?<br />
Eppure è così, te l’assicuro.<br />
Mmm… c’è un movimento strano nell’aria. Cosa mi sono<br />
perso? Perché Melluso non ha ancora iniziato a dare<br />
sfoggio alla sua mediocrità? Non si aspetterà mica che<br />
arrivi qualcun altro? Ci vorrebbe un intervento divino per<br />
questo.<br />
No! C’è dell’altro, ne sono certo. C’è qualcosa che non<br />
va, ma che cosa?<br />
Ah, ecco dov’eri finita? Cosa sono tutti quei fogli?<br />
Ohhh! Ma certo. Che stupido! È la solita verifica a<br />
sorpresa. Come ho fatto a non arrivarci prima? Ho fatto<br />
proprio bene a venire oggi. Mi farò due risate.<br />
Guarda che occhi strabuzzati? Poveri novellini. Non<br />
immaginate neanche che da questa prova dipenderà tutto<br />
il vostro futuro. Avrei potuto avvertirvi all’inizio del<br />
corso. Informarvi che chi non supera questa verifica<br />
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diventerà l’ennesimo nome sulla lista nera di quel<br />
maledetto. Quando toccò a me, nessuno si premurò di<br />
farmi notare questo insignificante particolare, quindi<br />
perché per voi dovrebbe essere diverso? Sono certo che<br />
rivedrò molte delle vostre facce al prossimo giro. Si da<br />
sempre una seconda possibilità. Sono proprio curioso di<br />
stare a vedere chi sarà di voi a resistere per più di due<br />
anni prima di mollare.<br />
Ti senti più sicura ora che sei tornata al tuo posto accanto<br />
a lui, vero? Non sembri minimamente preoccupata. E<br />
perché dovresti? Di certo voi del Branco eravate al<br />
corrente di questo colpo basso da settimane. Avrei dovuto<br />
accorgermene quando ti ha fatto posto accanto a sé. Ti<br />
concede l’onore solo quando in giro c’è puzza di verifiche.<br />
Continuo a non capire come fai a non vedere. Come fa a<br />
piacerti uno così? Non lo fai solo perché è un bel ragazzo,<br />
altrimenti noteresti me, che non passo di certo<br />
inosservato. Lo fai per i soldi? Lo fai perché sarebbe<br />
perfetto da presentare a mamma e papà?<br />
Che rabbia mi fai! Sciocca e arrivista.<br />
Ah! Ben ti sta. Ora ti tocca anche distribuire i compiti. Ti<br />
piace proprio il tuo ruolo di maggiordomo del Branco,<br />
vero? Poco ti importa se non avrai mai il loro rispetto. Ti<br />
basta farne parte e fare contento papà.<br />
Ti muovi fra i banchi e quasi sembri un fantasma. Sei<br />
dimagrita? Non me ne ero accorto, avvolta come sei in<br />
tutti quei vestiti sempre di un paio di taglie più grandi. A<br />
che cosa ti serve sfoggiare tutte quelle marche se non sei<br />
in grado di indossarle? È solo uno spreco di soldi.<br />
L’antitesi del buon gusto.<br />
Finito? Sembri sempre un po’ sperduta quando ti guardi<br />
intorno a quel modo. Come se non passassi quattro ore<br />
della tua vita in quest’aula quasi tutti i giorni da almeno<br />
due anni. Ti riscopri a guardarla ogni volta come se fosse<br />
18
la prima, cogli nuovi dettagli che prima ti erano sembrati<br />
insignificanti e li aggiungi al quadro della tua visuale<br />
contorta della realtà che ti circonda.<br />
E adesso che fai? Non ti sei mai spinta con lo sguardo<br />
oltre la settima fila. Cos’è che ti turba? Ti senti osservata<br />
da me? Non sarebbe la prima volta. Perché oggi è diverso<br />
allora?<br />
Ehi! Ma mi stai fissando davvero. O c’è qualcos’altro qui<br />
dietro che cattura la tua attenzione? No no, è proprio me<br />
che guardi adesso. Che c’è piccola? Tutto il mondo non ti<br />
basta? La BMW nuova non ti basta? Che te ne fai di uno<br />
come me?<br />
Sì, è proprio me che guardi. Sorridi al mio sorriso.<br />
Oh, no tesoro, non ho bisogno del compito io. Sono già<br />
stato marchiato da tempo. Potrei farlo a occhi chiusi<br />
ormai, potrei essere impeccabile, e non servirebbe a<br />
niente.<br />
Che strano! È la prima volta che oltrepassi il confine. Sta<br />
attenta! Il Branco potrebbe avvertire l’odore del nemico<br />
su dite e non riaccettarti nel gruppo. Rischi grosso<br />
continuando ad avvicinarti così. Torna da loro, è meglio<br />
per tutti.<br />
Che ti prende? Ti piacciono così tanto i miei occhi? È la<br />
prima volta che ti soffermi a fissare qualcuno negli occhi<br />
così a lungo, così sfrontatamente. Smettila! Mi metti a<br />
disagio.<br />
Riesco già a sentire l’aroma del tuo profumo costoso.<br />
Smettila di guardarmi. Smettila di guardarmi.<br />
><br />
Mi parli anche? Allora vuoi giocare. Piccola sfacciatella!<br />
><br />
><br />
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Ah, ma allora non sono poi così invisibile. Devo<br />
ricredermi, non sei così poco attenta come immaginavo. È<br />
tutta finzione. Quello che mi sfugge è perché ti fai avanti<br />
proprio adesso, dopo tutto questo tempo. ><br />
><br />
E allora perché sorridi ancora?<br />
><br />
Mille grazie prof. Ti devo un caffè.<br />
><br />
Ehi, ma che fai, arrossisci? Quell’impudente ti ha messo<br />
in imbarazzo? > è un’impressione o ti ho<br />
davvero sentita fremere quando le mie dita si sono fermate<br />
sulla tua mano ancora poggiata sul foglio del test davanti<br />
a me > sarò sembrato abbastanza<br />
sincero?<br />
Adesso ti ho imbarazzata io però. Non te l’aspettavi vero?<br />
Eh no! Non sei abituata a chi ti presti attenzione. Ti mette<br />
sempre a disagio.<br />
20
3<br />
Ha un certo fascino scoprire come l’intera esistenza di<br />
qualcuno possa essere influenzata da un dettaglio<br />
insignificante come il sorriso di uno sconosciuto.<br />
Quella mattina avevo fatto tutto proprio come in<br />
quell’ultimo anno della mia vita. Avevo brontolato un po’<br />
prima di alzarmi, avevo fatto innervosire Massimo e –<br />
come quando non c’era lavoro – ero andato a lezione. Mi<br />
ero seduto all’ultima fila di banchi, quella evitata come un<br />
morbo contagioso da tutti quelli che prendono l’università<br />
un po’ più seriamente di me, che fin dall’inizio mi sono<br />
sempre sentito troppo al di sopra di quelle teste vuote per<br />
trovarle abbastanza interessanti da desiderare conoscerne<br />
qualcuna.<br />
Ho sempre guardato tutti dall’alto in basso. Lo ammetto.<br />
Eppure detesto quelli con la puzza sotto il naso, ma forse<br />
solo perché li ritengo inferiori a me.<br />
Ho scelto una facoltà scientifica perché mio padre<br />
insisteva affinché scegliessi Giurisprudenza. È stato un<br />
dispetto, ma almeno ho scoperto la mia vera passione: la<br />
Medicina.<br />
Non ho mai avuto alcuna difficoltà rilevante durante il mio<br />
corso di studi, mi veniva naturale, quasi studiassi cose che<br />
conoscevo già. Avevo meditato di cambiare ateneo la<br />
quarta volta che Melluso si rifiutò di farmi passare<br />
l’esame, ma – come con mio padre – ho preferito<br />
dichiarare guerra e stare a vedere quanto resisterà al mio<br />
assedio.<br />
Senza il suo esame, propedeutico, non posso frequentare i<br />
corsi dell’ultimo anno, lui lo sa e gli leggo negli occhi<br />
un’ardente soddisfazione ogni volta che incrocia i miei.<br />
21
Pezzo di m…. mmm… è meglio se non ci penso.<br />
Non ho mai saputo a che ora arrivasse in aula. Io di solito<br />
mi presento presto, visto che con Massimo tra i piedi, da<br />
un anno esco da casa sempre mentre il resto del mondo<br />
dorme.<br />
I cancelli vengono aperti alle 7:30 circa, ed io di solito<br />
sono già da mezz’ora in attesa seduto al bar di fronte. Non<br />
l’ho mai visto arrivare, eppure tutte le mattine, quando<br />
varco la soglia dell’aula lui è già lì, con la sua giacca<br />
pesante sullo schienale della sedia, il sigaro in mano,<br />
rigorosamente spento, e gli occhiali quasi in equilibrio<br />
sulla punta del naso, mentre affonda la testa in uno dei<br />
quotidiani in pila nell’angolo alto a sinistra della cattedra.<br />
Se ne sta così per ore, storcendo il naso di tanto in tanto a<br />
una brutta notizia o liberando una smorfia quasi sempre<br />
illeggibile. Le brutte notizie gli fanno venir voglia di<br />
fumare, lo si capisce perché tutte le volte che ne legge una,<br />
da un’annusata al sigaro fino a quando i tratti del suo viso<br />
teso si distendono per riassumere la forma della maschera<br />
inespressiva di sempre.<br />
Di certo è sposato. Il suo abbigliamento è sempre<br />
impeccabile. Abiti puliti, camicie stirate. Non credo viva<br />
ancora dai suoi. È un uomo piacente dopotutto e gli<br />
piacciono troppo le donne per non desiderarne una tutta<br />
per sé. Chissà se ha anche dei figli? Non ha ancora l’età<br />
per essere mio padre, ma ne ha abbastanza per avere un<br />
bambino che va già a scuola. Mi piacerebbe sapere se è<br />
uno da foto nel portafoglio.<br />
Se non fosse che mi disprezza senza motivo, non mi<br />
sembrerebbe così sgradevolmente irritante.<br />
Ma che ti ho fatto? Lasciami andare.<br />
È da due anni che conosco Denise. Frequentava il corso di<br />
chimica generale del primo anno ed io, al secondo, facevo<br />
22
da assistente al Professore. Tenevo i corsi pomeridiani per<br />
le esercitazioni in vista dell’esame scritto. Non è mai stata<br />
molto socievole. Sceglieva sempre la fila di banchi più<br />
vuota per essere certa che nessuno potesse distoglierla dai<br />
suoi doveri. Mi vedeva scrivere formule sulla lavagna, ma<br />
non mi guardava mai. Mi ascoltava spiegare la lezione, ma<br />
non mi sentiva. Viveva in un mondo tutto suo, fatto di<br />
appunti, libri, internet. Era capace di seguire i miei<br />
logorroici discorsi, prendere appunti e allo stesso tempo<br />
cercare approfondimenti sul pc portatile da tremila euro<br />
che si portava sempre dietro con noncuranza. Mi aspetto<br />
ancora di vederglielo lanciare sul banco come fosse un<br />
libro vecchio.<br />
Mi sforzavo meno allora di capirla che adesso. Nonostante<br />
le sue stranezze aveva un modus operandi molto<br />
elementare. Ogni suo gesto, anche banale, - o che fatto dai<br />
più sarebbe potuto risultare perfino… goffo - era<br />
aggraziato, perché spontaneo. Al contrario di adesso, che<br />
sembra inadeguata anche nel movimento più spontaneo,<br />
come camminare, respirare. Più cerca di sembrare<br />
interessante, affascinante, più finisce col diventare ridicola<br />
e grossolana.<br />
All’esame finale capitò con me. Lo scritto era il caos di<br />
formule e numeri che avevo sempre immaginato<br />
aleggiasse nella sua mente scombinata, ma nei risultati era<br />
stata precisa al millesimo. Mi ci volle un pomeriggio<br />
intero per capire il ragionamento applicato a ogni singola<br />
formula. Una metodica ragionata, non studiata, rese la<br />
correzione del compito una battaglia in campo aperto. Non<br />
seguiva nessuno dei miei schemi ed io davanti a quel<br />
compito mi sentivo come i primi giorni di università,<br />
quando cercavo di decifrare gli appunti nella speranza di<br />
capire il metodo applicato dal professore per svolgere<br />
determinati esercizi.<br />
23
Quando il professore mi chiese il giudizio sul suo compito<br />
feci un po’ lo stronzo. Mi sentivo poco coinvolto, come il<br />
docente che deve esaminare un candidato esterno. Che ci<br />
fossi stato o no, in aula in quei tre mesi, a lei non era<br />
interessato affatto.<br />
Dissi che l’esame era più che discreto – non volevo<br />
ammettere che fosse perfetto, e sapevo che il professore si<br />
fidava troppo di me per andare a controllare – però troppo<br />
caotico per una valutazione troppo soddisfacente.<br />
Optammo quindi per un ragionevole 27, che sapevo<br />
l’avrebbe mandata su tutte le furie. Si sarebbe chiesta dove<br />
aveva sbagliato, mandandola in totale confusione per una<br />
volta tanto.<br />
Il giorno dell’orale posò il libretto dal lato della cattedra<br />
dov’era seduto il professore. L’occhiataccia che mi lanciò<br />
mentre lo faceva era abbastanza chiara da farmi capire che<br />
aveva incassato il colpo come speravo.<br />
Non mi feci nessuno scrupolo neanche in quel caso. Chiesi<br />
al professore il permesso di esaminarla io – non avrebbe<br />
rifiutato mai di togliersi una di quelle rogne di torno -.<br />
Quando fu il suo turno, l’occhiataccia si fece più arcigna.<br />
Era stata una delle prime ad arrivare in aula, eppure io la<br />
chiamai per ultima. Il professore aveva altri due studenti<br />
da esaminare, e di solito non prestava attenzione ai miei.<br />
Si mise seduta con movimento pesante, giurerei d’averla<br />
sentita sbuffare. Non c’era la minima paura nei suoi occhi.<br />
Mi sfidava la sfacciata. Troppo sicura di sé per avere<br />
timore in un esito negativo.<br />
> dissi per stuzzicarla ancora ><br />
Senza un attimo di esitazione, tirò fuori dalla sua borsa<br />
una cartelletta arancione. Me la porse senza troppi<br />
24
complimenti, ma nel farlo guardò il professore con la coda<br />
dell’occhio per assicurarsi che fosse distratto da altro.<br />
Mossa poco accorta la sua, perché me ne accorsi e sfruttai<br />
a mio favore quel briciolo di imbarazzo che sotto sotto<br />
covava, dopotutto.<br />
Mi sporsi leggermente in avanti facendole cenno di<br />
avvicinarsi e dissi piano, per non farmi sentire ><br />
Mi guardò impietrita.<br />
Io non riuscii a trattenermi dal sorridere divertito dalla sua<br />
espressione offesa.<br />
Fece no con la testa, ma non guardava me. Era troppo<br />
attenta a non insospettire il professore.<br />
Allora mi feci avanti di nuovo per farle capire che volevo<br />
parlarle ancora in privato > stavo per<br />
scoppiare a ridere e mi si leggeva in faccia.<br />
> sussurrò dopo aver riflettuto troppo per<br />
cercare una risposta abbastanza diplomatica da non<br />
costarle l’esame.<br />
> dissi con una specie di ghigno.<br />
Si fece subito indietro facendo rumore con la sedia.<br />
> chiese il professore al mio fianco.<br />
Mentre noi ci eravamo persi in quell’innocente preambolo<br />
lui aveva già quasi finito di esaminare il suo ultimo<br />
studente. Non che gli ci volesse molto, dato che si limitava<br />
a giudicare la preparazione di un esaminando con non più<br />
di due domande.<br />
Denise raggelò.<br />
> risposi ><br />
> cercò di spronarla ><br />
25
Arrossì talmente da farmi sentire perfino un po’ in colpa.<br />
> infierii ><br />
Era furente. Imbarazzata e furente. Il mix perfetto per<br />
scatenare una crisi di pianto.<br />
Decisi di affondare il colpo di grazia solo quando sentii la<br />
sedia dell’ultimo candidato muoversi all’indietro. Il<br />
professore sbuffava mentre sul libretto tracciava con la<br />
penna nera un 18 strappato con le pinze.<br />
><br />
Senza rispondere, il professore firmò la camicia e raccolse<br />
il giaccone dalla sedia accanto. Sbirciò ancora una volta<br />
quella tremolante figura sottile incollata alla sedia di<br />
fronte a me e, mugugnando qualcosa di incomprensibile, si<br />
avviò all’uscita.<br />
Il 18 stava riordinando le sue cose per andarsene, ma fui<br />
costretto a trattenerlo ancora qualche minuto. La mia<br />
vendetta era vincolata alla presenza di testimoni.<br />
> dissi cercando di risultare il più odioso<br />
possibile ><br />
Annuì, nonostante una lacrima sfuggisse al suo controllo<br />
bagnandole la guancia. La maschera strafottente che aveva<br />
osato sfidarmi era finalmente sparita da quei lineamenti<br />
altolocati.<br />
Sorrisi. Avevo ottenuto quello che volevo. Ero stato<br />
carogna abbastanza.<br />
Il 18 sbuffò dal fondo dell’aula nel quale si era rifugiato ad<br />
ascoltare un po’ di musica nell’mp3<br />
> mormorai per essere certo che mi<br />
sentisse solo lei.<br />
26
Scosse la testa nel vano tentativo di recuperare un minimo<br />
di dignità.<br />
afferrai un pacco di fazzolettini dalla<br />
mia borsa e lo posai sulla cattedra invitandola a prenderne,<br />
se ne volesse <br />
Continuava a stare in silenzio. Si vedeva lontano un miglio<br />
che lottava ferocemente con quel demone interiore che<br />
voleva staccarmi la testa a morsi.<br />
><br />
L’esame durò meno del previsto. La sua testa non era poi<br />
così caotica quando si trattava di esprimere dei concetti a<br />
parole. Provai a prenderla in castagna più di una volta, ma<br />
riuscì sempre a farla franca. Era evidente che sapeva di<br />
cosa stavamo parlando.<br />
Avrei voluto rimediare alla carognata dello scritto, ma mi<br />
sentii ancora più carogna quando mi accorsi di non poterle<br />
dare la lode a causa di quel 27 <br />
Fece spallucce come a dire che non le importava granché,<br />
ma io sapevo che non era vero, lo dimostrava la collezione<br />
di 30 cum laude sul libretto.<br />
Nonostante si sforzasse però, la calma durò troppo poco.<br />
Appena le riconsegnai il libretto, infatti, si alzò di scatto.<br />
Rabbiosa. Se ne accorse perfino il 18 che nel frattempo si<br />
era appisolato sulla sedia.<br />
> dissi ><br />
Fu un attimo ><br />
Ma come? Conosceva il mio nome? Questa nuova<br />
prospettiva mi stupì più di quanto avrei desiderato.<br />
Scavalcai la cattedra con un balzo- sotto gli occhi del 18<br />
ancora assonnato - e la afferrai per un braccio per<br />
27
fermarne la corsa verso l’uscita. Sembravo pazzo perfino a<br />
me stesso mentre provavo a riesaminare dall’esterno<br />
quella mia reazione improvvisa e senza controllo.<br />
> strillò adirata.<br />
In quel momento entrò Salvatore, l’addetto alle pulizie del<br />
turno di pomeriggio. Mi guardò in cagnesco prima di<br />
indicarmi con la mazza dello spazzolone <br />
Mollai la presa > risposi con lo stesso<br />
tono burbero che aveva usato lui.<br />
Il 18 uscì dall’aula senza badare minimamente a noi. Non<br />
lo odiai mai come in quel momento. Avrebbe anche potuto<br />
dire la sua, no? Aveva visto com’era andata. Perché<br />
scappare in quel modo? Farmi fare la parte del maniaco<br />
rientrava nei suoi piani di vendetta per averlo costretto a<br />
trattenersi più del dovuto?<br />
Denise non rispose niente, si limitò a seguire il ragazzo,<br />
ma non prima di affondare un’ultima volta il suo sguardo<br />
gelido nel mio. Ed effettivamente, per quanto mi sforzi di<br />
ricordare, credo proprio che quella fu l’ultima volta che mi<br />
guardò. L’ultima prima di quella stramba mattina di metà<br />
gennaio. Al contrario di me, che da quel giorno non le tolsi<br />
più gli occhi di dosso. Ossessionato d’averla ferita in<br />
modo irreparabile.<br />
28
4<br />
Alle scuse, quella mattina, avrei voluto aggiungere di stare<br />
attenta, di non commettere i miei stessi errori, ma dentro<br />
di me sapevo che non ne avrebbe avuto bisogno. Mi<br />
sforzavo di crederlo almeno. Forse era solo una scusa<br />
inconscia per trattenerla ancora un momento lì accanto a<br />
me. Il senso di colpa per quanto le avevo fatto mi bruciava<br />
dentro, vivo come il primo giorno. Quanto aveva influito il<br />
mio crudele comportamento sul suo cambiamento? Ero<br />
stato io a trasformarla nell’essere vuoto e frivolo che<br />
vedevo allontanarsi da me un passo dopo l’altro, con<br />
quell’andatura ondeggiante, incerta, innaturale… che non<br />
le apparteneva. Ero stato io a gettarla in pasto al branco?<br />
Non avrei mai potuto chiederglielo apertamente senza<br />
risvegliare in lei quell’ira furibonda nei miei confronti che<br />
l’aveva tenuta così distante in questi ultimi due anni. Però<br />
ero curioso di sapere cosa le avesse fatto cambiare idea<br />
proprio quel giorno. Cos’era successo?<br />
Una sbirciatina?<br />
Che ora fosse istintivamente attratta dalla mia vicinanza<br />
era logico come un’addizione elementare. E questo<br />
pensiero più che altro mi irritava, ma non come quando<br />
vedevo Marco posare le sue zampacce su di lei – troppo<br />
certo di ottenere il favore che cercava - era un’irritazione<br />
più simile a quella che sentivo quando quel sorcio la<br />
ignorava.<br />
Man mano che i minuti scorrevano verso la fine della<br />
seconda ora, cresceva in me l’irritazione per<br />
quell’innocente saluto.<br />
Che cosa l’aveva portata a quella decisione così drastica?<br />
Volevo saperlo. Dovevo saperlo. Quel pensiero iniziò a<br />
martellarmi la mente, già sovraccarica di preoccupazioni.<br />
29
Mi sentivo un lupo in gabbia. Dovevo fare qualcosa o<br />
assecondare le sue scelte? Ma soprattutto, potevo fare<br />
qualcosa? Ne sarei stato in grado se avessi voluto?<br />
Ero stato crudele con lei, lo ammetto, ma lei lo era stata<br />
altrettanto, rifiutando le mie scuse per tutto quel tempo.<br />
Imponendosi di credere che non esistessi, che fossi<br />
invisibile.<br />
E allora perché aveva improvvisamente deciso di vedermi?<br />
Dovevo saperlo, o sarei impazzito.<br />
Ringraziai Melluso per la sua poca pazienza di fronte al<br />
tempo perso a far niente. Aveva terminato di leggere i<br />
quotidiani che aveva lasciato da parte e i dieci minuti<br />
successivi gli parvero tanto interminabili da decidere che il<br />
tempo a disposizione per il test era a sufficienza.<br />
Non potei trattenermi dal ridere di fronte alle facce<br />
esterrefatte di chi sperava in un colpo di genio dell’ultimo<br />
minuto.<br />
Lei si voltò, disturbata dalla mia risata sfacciata. Ma era<br />
davvero disturbata? Non avrebbe potuto essere<br />
qualcos’altro invece? Quell’espressione fredda avrebbe<br />
potuto essere il riflesso dell’insoddisfazione,<br />
dell’afflizione per non aver terminato il test.<br />
Certo che avrebbe potuto essere questa la causa, ma non ci<br />
credevo abbastanza. Ero più sicuro che avesse terminato<br />
già prima dell’inizio della prima ora. Lo doveva al branco,<br />
dopotutto. Era lei che aveva la responsabilità di superare<br />
gli scritti anche per gli altri.<br />
Scappa, stupida snob che non sei altro! Continuavo a<br />
pensare mentre incrociavo i suoi occhi ancora una volta.<br />
Non ridevo più però. Sentivo chiaramente la mia mascella<br />
irrigidirsi mentre nella mia testa lottavo tra disgusto e<br />
disapprovazione.<br />
30
Si alzò Simona per raccogliere i compiti. I suoi movimenti<br />
erano molto più aggraziati di quelli di Denise, si vedeva a<br />
distanza che non applicava nessuno sforzo in quello che<br />
faceva. Era naturale. Naturale come la sua innata<br />
superficialità. Tanto superficiale e vuota da sembrare<br />
perfino attraente. Con quelle sue movenze armoniose<br />
sarebbe riuscita a incantarmi di nuovo se avesse voluto, e<br />
di nuovo mi sarei lasciato chiedere qualsiasi cosa, e privo<br />
di ogni volontà l’avrei assecondata, sentendo che era<br />
ingiusto non accontentare un esserino così grazioso.<br />
Forse in questo sono perfino più superficiale di lei. O forse<br />
sono solo un essere umano. Un uomo, più precisamente,<br />
che freme dal desiderio di far emergere il cavaliere che è<br />
in sé per salvare la fanciulla indifesa.<br />
Credo che fosse questo che mi irritasse davvero di Denise.<br />
Irritava e attraeva allo stesso tempo. Lei non sembrava mai<br />
indifesa, ed io mi sentivo troppo stupidamente uomo per<br />
reprimere il fanatico impulso di possedere qualcosa di<br />
delicato e fragile da proteggere per appagare il mio<br />
orgoglio maschile.<br />
Per un breve momento si voltò di nuovo a guardarmi,<br />
quasi riuscisse a sentire le mie parole come se le stessi<br />
urlando e non soltanto pensando.<br />
Non sembrava più irritata adesso, piuttosto… incuriosita.<br />
Accennai un sorriso, pentendomene subito. Però avevo<br />
bisogno di una prova. Dovevo essere certo che fossi<br />
davvero io l’oggetto della sua attenzione. Forse era stato<br />
solo un breve momento il suo. Che male ci sarebbe stato<br />
ad ammetterlo? Si cambia idea per molto meno, dopotutto.<br />
La risposta alle mie domande giunse quando la vidi<br />
chiaramente rispondere al mio sorriso.<br />
Sfacciata come al solito! pensai. A quanto pare mi ero<br />
sbagliato ancora. Aveva proprio deciso di tornare a<br />
vedermi. Non credo di essermi sentito più inquieto di<br />
31
allora in passato. Sapevo di dover reagire in qualche<br />
modo, ma l’unica reazione che continuava ad assecondare<br />
i miei sensi era quella di fissarla. Ogni movimento, per<br />
quanto impercettibile si imprimeva nella mia mente come<br />
un’immagine sul rullo di negativo delle vecchie macchine<br />
fotografiche.<br />
Alzati e vattene! Continuavo a ripetermi mentre - come se<br />
avessi altri occhi a disposizione - me ne stavo a guardare<br />
la piccola folla di facce sconsolate abbandonare l’aula<br />
dalla porta secondaria, quella che da direttamente<br />
all’aperto, sull’atrio lastricato interno dell’istituto.<br />
Con gli altri occhi invece, continuavo a guardare lei.<br />
Immobile al suo posto. Il Branco l’aveva lasciata sola, ma<br />
per poco. Erano appena le 11:00, troppo presto per riunirsi<br />
al bar a pranzare. Forse, semplicemente, non aveva<br />
particolare voglia della loro compagnia quel giorno.<br />
Dall’alto della mia presuntuosa arroganza giurai che stesse<br />
ancora rimuginando sul test.<br />
L’aula rimase vuota in un lampo. Eravamo rimasti solo noi<br />
due. Lei alla prima ed io all’ultima fila di banchi. Non<br />
avrei potuto raffigurare meglio per immagini la nostra<br />
evidente differenza. Una il perfetto opposto dell’altro. E,<br />
come la fisica insegna…<br />
Inevitabilmente mi sentii attratto dalla mia carica opposta<br />
e, prima ancora che riuscissi a realizzare questo concetto<br />
nella mia testa, ero già accanto a lei.<br />
> chiesi sperando fortemente in una risposta<br />
affermativa.<br />
E invece mi sorrise.<br />
Piccola impudente! ><br />
nonostante tutto sembrava non prestarmi attenzione. La<br />
testa china su un blocco per appunti aperto nel centro.<br />
32
aggiunsi inclinando appena la testa per<br />
osservare quale fosse il punto del programma che la<br />
impensieriva.<br />
Esattamente come con la chimica però, anche in questo<br />
caso usava metodi tutti suoi per risolvere gli esercizi. Era<br />
ancora impossessata dal caos dei suoi ragionamenti.<br />
Non mi guardava, non parlava, eppure - non mi spiego<br />
come - riusciva a prestarmi quel minimo di attenzione che<br />
bastava a trattenermi lì.<br />
> chiesi ancora, cercando di<br />
sembrare disinvolto e il più possibile ambiguo.<br />
Naturalmente rispose la cosa più ovvia per la domanda più<br />
ovvia ><br />
Non era sufficiente, ma per il momento avrei potuto<br />
accontentarmi.<br />
> chiesi, quasi esitante.<br />
Spinse il blocco verso di me, che potei chinarmi un poco<br />
per esaminare il problema. Scivolò leggermente verso di<br />
me col busto. Voleva mostrarmi il passaggio che l’aveva<br />
frenata dalla sua corsa per chissà quanti giorni. Nel farlo<br />
quasi mi sfiorò, ma la schivai senza che se ne accorgesse.<br />
Mi indicò il punto con la gomma un po’ consumata della<br />
matita. Mi trovai di nuovo stupidamente in difficoltà.<br />
Avevo bisogno di più tempo di quanto immaginassi per<br />
decodificare il suo ragionamento contorto. Da lì a un<br />
attimo se ne sarebbe accorta anche lei e avrei fatto una<br />
pessima figura. Avrebbe preso la mia esitazione per<br />
ignoranza e il mio ego ne sarebbe rimasto profondamente<br />
ferito.<br />
Non potevo vedermi, ma ero certo che in quel momento<br />
sul mio viso ricomparve il ghigno infastidito di quando mi<br />
trovai il suo compito di chimica fra le mani. Le sfilai<br />
33
accanto, un po’ brusco, cercando di mantenere la calma,<br />
per quanto possibile.<br />
Se ne accorse? Se ne accorse, ma ormai era tardi per<br />
rimediare. Sulla cattedra del professore c’erano i soliti<br />
fogli spazzatura ammonticchiati in un angolo. Ne tirai uno<br />
verso di me mentre mi mettevo a sedere. Arraffai<br />
nervosamente la penna del blocco delle firme e le chiesi -<br />
sperando di sembrare tranquillo e gentile - di dettarmi la<br />
traccia dell’esercizio.<br />
Credevo rimanesse al suo posto a violentarsi il cervello nel<br />
tentativo di dimostrare che avrebbe potuto risolverlo anche<br />
da sola, invece sentii il rumore della sedia spostarsi e i<br />
suoi passi incerti avvicinarsi alla cattedra. Avvicinarsi a<br />
me.<br />
Fece strisciare un’altra sedia accanto alla mia e si mise in<br />
ginocchio, in equilibrio sugli avambracci, attenta a<br />
osservare la mia mano muoversi nervosa sul foglio di<br />
fortuna.<br />
Curvata com’era, riuscivo a sentire il suo respiro<br />
profumato sul viso.<br />
Allontanati! Allontanati! Continuava a dire la voce nella<br />
mia testa. La stessa voce che un attimo prima mi aveva<br />
sconsigliato di avvicinarmi.<br />
Mi voltai appena per osservarla – mi era quasi impossibile<br />
averla così vicina e non fissare i particolari, che fino ad<br />
allora ero stato costretto a cogliere solo da lontano, ora che<br />
ne avevo l’occasione. –<br />
Quando la guardai era ancora concentrata sull’esercizio,<br />
che prendeva piano piano significato sul foglio, ma si<br />
accorse che c’era qualcosa di strano quando osservò la mia<br />
mano fermarsi senza motivo.<br />
Sollevò piano il mento a cercarmi, e mi trovò.<br />
34
Riprenditi! Sembri un maniaco. Niente di più vero.<br />
Scrollai istintivamente la testa nella speranza di cancellare<br />
quell’espressione troppo curiosa sul mio viso.<br />
Credevo che l’avrei vista ritrarsi, indispettita dal modo<br />
morboso in cui l’avevo guardata, invece non si mosse. Era<br />
sorpresa, questo sì, imbarazzata - forse sotto tutto quel<br />
fondotinta era perfino arrossita -, ma affatto disturbata.<br />
> chiese.<br />
Perché mi ero fermato? Ah sì. Giusto!<br />
> mentii.<br />
><br />
Certo che no! Perché mai avresti dovuto scegliere di<br />
seguire il metodo più semplice, più intuitivo? Che gusto<br />
c’era?<br />
Non gliel’avrei data vinta neanche sta volta e il mio ego<br />
perfido rideva di soddisfazione di fronte a quella certezza<br />
> dissi,<br />
ma fu più un mormorio, come se dentro di me, avessi<br />
saputo che dirlo ad alta voce era tanto sbagliato quanto<br />
appagante.<br />
Mi preparai a farmi investire da un’esplosione di rabbia,<br />
ma non arrivò.<br />
Mi fissò con occhietti curiosi invece.<br />
> chiesi. Mi aveva disorientato. Mi sentivo<br />
come perso nel vicolo buio di una grande città in cui non<br />
ero mai stato prima. Sensazione nuova. Ho troppo senso<br />
dell’orientamento.<br />
> sembrava sinceramente sorpresa.<br />
E adesso? Come facevo a risponderle senza offenderla<br />
almeno un pochino? > fu l’unica risposta<br />
che riuscì a elaborare il mio cervello in una frazione di<br />
secondo.<br />
35
Sono sempre stato talmente presuntuoso da dire quasi<br />
sempre quello che mi passa per la testa, ma con lei era<br />
diverso. Con lei avevo capito quanto potesse essere<br />
meschina a volte la verità. Meglio mentire.<br />
Le persone si sentono appagate dalle menzogne, quindi<br />
che c’è di male nel poter concedere loro quello che<br />
desiderano? Se solo non mi risultasse sempre così<br />
faticoso…<br />
Avrei mentito spudoratamente anche quel giorno.<br />
Dopotutto mi ero ripromesso che non avrei più permesso<br />
al mio ego crudele di farle del male. Era giusto così! Ma<br />
allora perché mi sentivo in colpa?<br />
> non riuscivo proprio ad essere meno<br />
garbato di così.<br />
><br />
rispose subito.<br />
E chi te l’ha chiesto? ><br />
><br />
><br />
e il mostro parlò inorridendo la fanciulla!<br />
Stupido, stupido, stupido e cattivo che non sei altro.<br />
Non rispose. Non mi guardò. Teneva lo sguardo basso,<br />
rossa di vergogna.<br />
Chi ero io per giudicare? Perché mai avrei dovuto<br />
interferire? Che male c’era se era quello il suo approccio<br />
alla vita? Perché devo sempre dedurre che sia<br />
36
semplicemente sbagliato tutto ciò che non rientra nel<br />
campo visivo della mia prospettiva d’insieme?<br />
E adesso che faccio? > che le dico? Non<br />
sarebbe meglio che me ne stessi zitto invece, prima di<br />
peggiorare la situazione? > mi inorridiva<br />
pronunciare il suo nome ad alta voce. Non volevo che mi<br />
sentisse, che le risultasse disgustoso pronunciato da me > ma ce la fai o no a dire qualcosa di sensato? > ecco, originale come sempre.<br />
Complimenti. Mi sentivo davvero un mostro.<br />
> rispose lei, e mi sembrò di congelare > aggiunse poi. Disarmata. Vulnerabile.<br />
Vulnerabile? Denise?<br />
No! Mi rifiutavo di crederci. Non lei, non la Denise che<br />
conoscevo io.<br />
Senza dire altro la sentii muoversi. Tornò al suo banco<br />
senza mai alzare lo sguardo su di me. Io naturalmente non<br />
le toglievo gli occhi di dosso.<br />
La vidi radunare le sue cose distrattamente - come se<br />
stesse ancora pensando a quello che le avevo detto - poi<br />
uscì dall’entrata principale per raggiungere l’aula di<br />
matematica per la prossima lezione.<br />
Avrei volentieri passato un paio d’ore a flagellarmi se la<br />
mia attenzione non fosse stata attirata dall’orologio alla<br />
parete. 11:38.<br />
11:38?<br />
Come al solito ero in ritardo per il lavoro.<br />
37
38<br />
5<br />
Quanto si può tenere una maschera sul viso prima che inizi<br />
a prudere tanto da immobilizzarti la mente sull’unico,<br />
convulso desiderio di strappartela via?<br />
Ventuno anni, più o meno.<br />
La mia maschera è molto sofisticata. Ha l’aspetto di un<br />
ragazzo per bene, colto, altolocato, tanto affascinante da<br />
suscitare il tipico chiacchiericcio delle signore quando la<br />
indosso per presenziare a uno dei tanti noiosissimi<br />
ricevimenti di qualche magnate dell’alta società. È l’unica<br />
maschera che mi è permesso indossare in pubblico,<br />
soprattutto se in presenza di mio padre. Mi sono nascosto<br />
dietro quel viso perfetto per oltre vent’anni e rimpiango<br />
ognuno di quei giorni per la mia identità occultata per<br />
onore di madama Apparenza.<br />
Mio padre!<br />
Non ho mai parlato molto con lui. Il lavoro assorbiva quasi<br />
ogni secondo del suo tempo, quando ero a casa. Gli<br />
concedeva qualche istante giusto per non fargli perdere la<br />
mano con le solite paternali.<br />
Se qualcuno mi chiedesse, ancora oggi, “Pensi che tuo<br />
padre ti voglia bene?” mi verrebbe troppo spontaneo<br />
rispondere con un secco “No!”<br />
Non ci siamo mai andati a genio, questa è la verità. Troppo<br />
diversi. Troppo diverso io dall’idea di figlio che lui si è<br />
costruito negli ultimi vent’anni.<br />
Spesso mi chiedo se mio fratello Stefano l’abbia concepito<br />
per riprovare un esperimento fallito piuttosto che per il<br />
desiderio di avere un altro figlio.<br />
Non è mai stato molto presente fisicamente nelle nostre<br />
vite, quindi mi sembra strano provare a guardarlo da una
nuova angolazione e ammettere che forse, dopotutto,<br />
Stefano sia nato come entità a sé stante e non come<br />
sostituzione di un pezzo difettoso del puzzle della sua<br />
esistenza impeccabile.<br />
Stefano è tutto ciò che lui ha sempre voluto che fossi io.<br />
Estremamente elegante, educato, rispettoso, prevedibile.<br />
Nauseante aggiungerei se non fosse mio fratello, se non<br />
fosse che è l’unica persona al mondo per cui senta un<br />
sincero affetto senza riserve.<br />
I primi anni sperimentati con me sono serviti a mio padre<br />
come rodaggio per la sua nuova macchina. Sapeva<br />
perfettamente dove aveva sbagliato ed è stato ben attento a<br />
non commettere una seconda volta gli stessi errori. Abolito<br />
ogni respiro quindi. Ogni traccia di libertà. Nulla sarebbe<br />
andato storto sta volta.<br />
Anche Stefano ha vissuto il proprio periodo nero<br />
dell’adolescenza, questo è certo, ma è passato troppo in<br />
fretta per lasciare tracce significative nei nervi labili di<br />
nostro padre.<br />
La vita di Stefano e, di riflesso, la mia, è sempre stata<br />
basata su due condizioni fondamentali.<br />
Punto primo: la reputazione di Stefano non può essere<br />
macchiata dalla mia condotta. Di conseguenza, per quanto<br />
non potesse interessargli nulla di me, la sua stessa<br />
condizione gli imponeva di garantirmi tutto il necessario<br />
per costruire attorno alla mia persona la reputazione degna<br />
di un principe ereditario. Da qui, la maschera.<br />
Per quanto assurdo, io che sono il figlio che non esiste, fui<br />
costretto a frequentare un collegio privato troppo vicino a<br />
casa per impedirmi di farvi ritorno in ogni occasione<br />
concessa, mentre Stefano si godeva dieci mesi l’anno, un<br />
prestigioso collegio londinese. Il perché di quella scelta è<br />
limpidamente spiegato nella seconda condizione.<br />
Punto secondo: nessuna cattiva influenza su Stefano.<br />
39
Ha cercato di tenerci lontani l’uno dall’altro, o meglio, ha<br />
cercato di tenere Stefano lontano da me, il più possibile.<br />
Mio padre disapprovava praticamente tutto ciò che facessi.<br />
Persino i miei pensieri, le mie idee sembravano<br />
infastidirlo. Era come un riflesso incondizionato. Oggi<br />
sono arrivato a credere che sotto sotto non ci facesse<br />
neanche più caso.<br />
Se volevo suonare la chitarra, mi iscriveva a conservatorio<br />
per studiare pianoforte. Se volevo frequentare la scuola<br />
d’arte mi iscriveva a equitazione. Se volevo la moto mi<br />
comprava la macchina.<br />
Giorgio, sei sicuro che in fondo anche questo sia un modo<br />
per farmi capire che pensa a me?<br />
Effettivamente deve impegnargli molto tempo trovare<br />
sempre il modo giusto per rovinarmi la vita.<br />
Intanto però, mentre Stefano proseguiva il suo esilio<br />
forzato per spianarsi la strada che l’avrebbe reso il grande<br />
uomo che mio padre vede ereditare le chiavi del suo regno<br />
perfetto, io smettevo di nascosto la mia maschera e<br />
sperimentavo le prime droghe, le prime ubriacate con gli<br />
amici, il primo tatuaggio, la prima infezione da piercing, i<br />
primi rapporti occasionali.<br />
Avrei provato di tutto pur di mandare mio padre fuori di<br />
testa.<br />
40
6<br />
Mi infilai tra la folla degli studenti che si spostavano da<br />
un’aula all’altra per la lezione successiva. Avevo un<br />
ritardo spaventoso. Mi muovevo svelto cercando di non<br />
badare troppo alla delicatezza con cui spintonavo qualcuno<br />
che mi ostruiva il passaggio. Assurdo! Dovevo ancora<br />
passare a casa a prendere la macchina. Sentivo già il fiato<br />
di Massimo sul collo, i suoi occhi ardenti sulla pelle. Ero<br />
talmente concentrato a sgattaiolare via da vedere tutto<br />
offuscato attorno a me, un arcobaleno di macchie più o<br />
meno brillanti, non avrei riconosciuto neanche mio padre<br />
se mi fosse passato accanto. Una di quelle macchie però,<br />
riuscì ad attirare la mia attenzione, era diversa dalle altre.<br />
Familiare. Mi fermai un istante per osservarla meglio. La<br />
seguii fino al viale dei parcheggi, un po’ in disparte.<br />
Alex sei in ritardo!<br />
Lo trovai appoggiato, mani incrociate al petto, allo<br />
sportello anteriore della mia macchina.<br />
Ma come…?<br />
> esclamai<br />
avvicinandomi.<br />
><br />
><br />
Ivan si spostò dallo sportello portando le mani nelle tasche<br />
dei pantaloni ><br />
Detestavo il fatto che Massimo non si fidasse ancora di<br />
me, ma più di tutto odiavo che usasse Ivan per mettermi in<br />
carreggiata.<br />
> brontolai rabbioso.<br />
> ghignò. Si mosse per uscire dal<br />
parcheggio.<br />
41
chiesi insospettito.<br />
Scosse la testa divertito ><br />
> gli urlai dietro, più di<br />
quanto ce ne fosse stato bisogno.<br />
Ivan si voltò col suo solito ghigno sulle labbra ><br />
> chiesi senza raccogliere la provocazione.<br />
> rispose<br />
riprendendo ad allontanarsi.<br />
><br />
Non si voltò neanche per rispondere ><br />
Quasi volai per arrivare in tempo a casa dell’Ingegnere.<br />
Mi stava aspettando inquieto, per fortuna c’era un suo caro<br />
amico a fargli compagnia e non innervosirlo per il ritardo.<br />
Ero dovuto passare a prendere prima il signor Modilano.<br />
> dissi sfoderando il mio<br />
perfetto sorriso da agente immobiliare.<br />
Aspettai un minuto che dicesse qualcosa a sua moglie,<br />
intanto tenevo lo sportello della macchina aperto per far<br />
salire il suo amico sul sedile posteriore.<br />
> esclamai per frenare sul<br />
nascere i rimbrotti di Massimo per l’ennesimo ritardo.<br />
> rispose brusco.<br />
><br />
><br />
42
Si portò la sigaretta alle labbra, noncurante delle mie<br />
domande ><br />
><br />
Non mi rispose.<br />
> dissi con tono<br />
accusatorio.<br />
><br />
Tranquillo! Respira. ><br />
><br />
Sapevo che aveva ragione, non potevo dargli torto, ma non<br />
potevo neanche continuare a guardarlo, quindi mi voltai a<br />
fissare il panorama dalla finestra del suo ufficio.<br />
><br />
Sbuffai ><br />
><br />
Chinai il capo a guardare il pavimento. Non avrei ottenuto<br />
altro da lui >.<br />
43
Intravidi Paolo con la coda dell’occhio, mentre uscivo<br />
dall’agenzia. Parlottava fitto fitto con un cliente. Si voltò<br />
appena si accorse d’essere osservato. Con un cenno<br />
leggero del capo mi invitò a raggiungerli.<br />
> mi chiese senza tirarla troppo<br />
per le lunghe. Il suo sorriso incoraggiante mi ridiede un<br />
po’ di speranza.<br />
> risposi secco, sempre un po’ troppo ostile.<br />
><br />
><br />
Si rabbuiò ><br />
><br />
> indicò con lo sguardo la porta chiusa<br />
dell’ufficio del capo.<br />
A quanto pare le mie intuizioni erano giuste. Voleva<br />
tenermelo nascosto di proposito. Ma a che scopo?<br />
Frequentando le lezioni era impossibile che non me ne<br />
accorgessi da solo ><br />
><br />
Sospirai pensieroso ><br />
><br />
Vero anche questo. Era già successo in passato di voler<br />
convincere un cliente al punto da rafforzare le sue<br />
convinzioni.<br />
> chiesi, con<br />
tono troppo retorico per indurlo a rifiutare la mia richiesta.<br />
><br />
44
Annuì > e indicò di nuovo<br />
l’ufficio.<br />
><br />
Annuì di nuovo, più convinto di prima.<br />
> mi urlò dietro mentre mi<br />
affrettavo verso l’uscita.<br />
45
46<br />
7<br />
Così come per Stefano anche per me fin da piccolissimo si<br />
scelse una carriera scolastica accademica. Ero destinato<br />
all’Ancharos – così si chiama, in onore del capostipite<br />
della famiglia che lo ha istituito – in quanto primogenito<br />
maschio, in quanto nipote di mio nonno più che in quanto<br />
figlio di mio padre, che non l’aveva frequentato. Non avrei<br />
potuto scegliere diversamente neanche se avessi voluto.<br />
Ricordo bene il primo giorno che misi piede all’Ancharos.<br />
Avevo sei anni. Avevo assistito al primo giorno di scuola<br />
di tutti i miei amichetti che, zainetto in spalla si lasciavano<br />
accompagnare semplicemente alla scuola più vicina. Non<br />
che a quel tempo frequentassi altri bambini all’infuori<br />
delle mie cugine e dei figli dei domestici. Volevo andare<br />
anch’io con loro. Poter tornare a casa fra le braccia di mia<br />
madre per l’ora di pranzo, ma a me non era concesso.<br />
Stefano aveva appena iniziato a farfugliare frasi<br />
comprensibili di senso compiuto. Eppure quella mattina<br />
sembrava rendersi conto che stava per cambiare qualcosa<br />
nella sua quotidianità.<br />
Era un lunedì di settembre e il cielo mandava giù pioggia<br />
da far invidia a una tempesta tropicale.<br />
Fu mio nonno ad accompagnarmi mi disse <br />
Questa era la trasposizione letterale della considerazione<br />
che la mia famiglia aveva di me.<br />
Varcammo il grande cancello in ferro battuto nero intorno<br />
alle 7:00. Procedemmo molto lentamente lungo il viale<br />
alberato per raggiungere il portone d’ingresso.
Dall’aspetto aveva tutta l’aria d’essere un bel posto.<br />
Guardai mio nonno con attenzione prima di scendere dalla<br />
macchina con un saltello.<br />
> mi disse accennando un<br />
sorriso per incoraggiarmi > e mi mise in mano un’agendina dalla<br />
rilegatura raffinata ><br />
Dovevo avere l’aria stravolta e affatto convinta, perché<br />
non mi aveva mai parlato a quel modo. Ero abituato a<br />
sentirlo tuonare rimproveri non a elargire carezze gratuite.<br />
Quell’improvvisa gentilezza più che rassicurarmi mi<br />
inquietò.<br />
Vidi degli uomini scendere le mie cose dal bagagliaio.<br />
Solo più tardi mi sarei accorto che le avevano portate in<br />
quella che da quel giorno sarebbe stata la mia stanza per<br />
quasi tredici anni.<br />
Una donna poi si avvicinò a mio nonno per stringergli la<br />
mano. Parlarono di qualcosa, dopodiché mi accorsi dalle<br />
loro facce che era giunto il momento dei saluti. Credevo<br />
mi accompagnasse dentro e invece non ebbi che qualche<br />
breve momento per salutare il nonno prima che se ne<br />
andasse.<br />
La donna mi prese per mano e mi accompagnò all’interno,<br />
in un lussuoso androne disse<br />
sollevandomi appena per mettermi a sedere su una<br />
panchina di legno dall’imbottitura in pelle.<br />
Rimasi nell’atrio interno dell’edificio ad aspettare che<br />
qualcuno venisse a chiamarmi per quasi tutta la mattina.<br />
Ebbi, nel frattempo, modo di dare una prima occhiata a<br />
quella che sarebbe stata la mia nuova casa per i prossimi<br />
anni. Vedevo solo ragazzi salire e scendere la grande<br />
scalinata di marmo al centro dell’androne, in silenzio, libri<br />
47
in bella mostra. Erano tutti rigorosamente in divisa, di<br />
colore diverso, per ogni sezione di corso.<br />
Sabbia era il colore delle divise dei più grandi. Mi<br />
sembravano estremamente eleganti, rivestiti di quegli abiti<br />
d’alta sartoria. Mi strinsi le ginocchia al petto, intimorito<br />
dalle espressioni dure sui loro volti.<br />
Il colore dei ragazzi di metà corso era il verde scuro:<br />
pantalone grigio fumo e maglione verde. Camicie, tutte<br />
rigorosamente bianche.<br />
Mentre per i più piccoli, tipo me, il maglione era<br />
bordeaux.<br />
L’unico particolare comune in tutti gli allievi era lo<br />
stemma del collegio cucito su giacche, maglioni gilet e<br />
camicie, proprio sulla parte alta sinistra del petto.<br />
Un’immagine che non dimenticherò mai, anche perché mi<br />
fu tatuata sul dorso della mano destra una settimana dopo<br />
il mio ingresso all’Ancharos.<br />
Avevo deciso di toglierlo una volta uscito dal collegio, ma<br />
poi sono successe tante di quelle cose che quel tatuaggio è<br />
diventato l’ultimo dei miei pensieri.<br />
Intorno alle 11.30 arrivò un uomo distinto con in mano un<br />
paio di opuscoli. > mi chiese.<br />
><br />
><br />
Attraversai con lui un lungo corridoio. Col tempo ho<br />
imparato a guardare il collegio con occhi diversi, ma quel<br />
giorno mi sembrò tutto molto più maestoso di quanto non<br />
fosse realmente.<br />
Ci fermammo dinanzi ad una porta, con lo stemma in bella<br />
vista intagliato direttamente nel legno.<br />
48
spiegò ><br />
Io annuii senza badarci troppo e mi sedetti lì accanto su<br />
una panchina identica a quella nell’ingresso.<br />
Il silenzio non mi è mai piaciuto granché. Mi rende<br />
nervoso. A quei tempi invece mi spaventava. Più i minuti<br />
scorrevano e più in me accresceva l’ansia e la paura per<br />
quell’incontro. Ma non volevo mettermi a frignare come<br />
uno stupido, cercai quindi un modo per distrarmi da quel<br />
pensiero e lo feci iniziando a guardarmi intorno.<br />
Le pareti erano affrescate di immagini mitologiche. Poco<br />
rassicuranti per un bimbo di sei anni impaurito e<br />
disorientato.<br />
L’attesa a un certo punto divenne snervante, tentai perfino<br />
di sentire cosa si stessero dicendo di tanto importante, ma<br />
parlavano un linguaggio che allora ancora non conoscevo.<br />
Era un parlare fitto fitto il loro, come di due che hanno<br />
molto da dirsi.<br />
Aspettai ancora qualche minuto, poi fu finalmente il mio<br />
turno. > è così che mi hanno sempre<br />
chiamato lì dentro da quel momento in avanti.<br />
Bussai quindi, ed entrai quando mi fu chiesto di entrare.<br />
Del discorso del Rettore Lombardi ricordo solo un sacco<br />
di bla bla bla bla. Un particolare rimasto indelebile come il<br />
primo giorno invece, è che mi diede un grosso libro dalla<br />
copertina rigida in pelle marrone con lo stemma marchiato<br />
a fuoco al centro. Era il Libro degli Ancharos, una sorta di<br />
manuale con incise tutte le ferree regole dell’istituto, o<br />
della Setta, perché era questo che si nascondeva dietro<br />
quella facciata elegante.<br />
Lo conservo ancora. Non come ricordo, ma come monito<br />
per il futuro.<br />
49
Terminato il colloquio, il segretario mi diede uno dei tre<br />
opuscoli – se si può chiamare opuscolo un libro di<br />
duecento pagine - che aveva tra le mani e si decise a farmi<br />
strada per mostrarmi la mia camera<br />
All’inizio quando mi accorsi che avrei diviso la stanza con<br />
qualcuno fui contento, ma quando vidi il mio compagno di<br />
stanza mi scivolò via di dosso tutto l’entusiasmo.<br />
Signor Marrui si chiamava, il suo nome non l’ho mai<br />
saputo. Era un ragazzetto di dieci anni, tutto eccitato<br />
perché l’anno dopo sarebbe entrato a far parte del gruppo<br />
di allievi di metà corso. Mi guardò dall’alto in basso non<br />
appena mi vide e continuò a farlo fino al suo ultimo giorno<br />
di permanenza all’Ancharos.<br />
Purtroppo mi resi conto fin troppo presto che la vita lì<br />
sarebbe mutata in un inferno.<br />
Per tutto il resto della giornata mi lasciarono libero di<br />
disfare i bagagli e ambientarmi a quella nuova situazione.<br />
Ricordo che il Signor Marrui non mi rivolse la parola per<br />
tutto il giorno e anche per quello successivo, e in seguito,<br />
quando lo fece, usò la voce solo per offendere.<br />
Sistemata la mia roba mi coricai sul letto e sfogliai curioso<br />
l’opuscolo che mi era stato dato. Mi stupii nel notare che<br />
vi erano semplicemente annotate una serie di norme di<br />
buona condotta e gli orari con le aule dei corsi che<br />
dall’indomani avrei frequentato con i miei nuovi<br />
compagni.<br />
Sveglia alle 6:00.<br />
Colazione alle 7:00.<br />
Si lascia la stanza solo se in perfetto ordine.<br />
Orario lezioni mattutine: 8:00-12:00<br />
Pranzo 12:30<br />
Ritiro in stanza 13:30 –15:00<br />
50
Orario lezioni pomeridiane 15:30-18:00<br />
Tempo libero 18:00-19:00<br />
Cena 19:00<br />
Palestra (solo per allievi del secondo e terzo corso) 20:00-<br />
22:00<br />
Ritiro in dormitorio 22:30 (21:00 per allievi del primo<br />
corso)<br />
Le luci si spengono alle 23.00. (22:00 per allievi del primo<br />
corso)<br />
Ogni Venerdì riunione nell’atrio esterno dell’istituto dalle<br />
21:00 alle 23.00 per assemblee di ordine generale gestite<br />
dai cinque rappresentanti del corpo studentesco (riservato<br />
esclusivamente agli allievi del terzo corso).<br />
Un solo giorno al mese è concesso saltare l’intero ciclo<br />
delle lezioni per dedicarsi ad altro. Senza ripercussioni.<br />
Una specie di assenza giustificata.<br />
Non è possibile per nessun motivo correre all’interno<br />
dell’edificio se non in palestra o durante le esercitazioni<br />
in campo aperto.<br />
Non è permesso chiamare un proprio compagno o un<br />
superiore senza l’appellativo “Signore”.<br />
Non è tollerato per nessun motivo alcun tipo di rissa tra<br />
allievi.<br />
Non è permesso mangiare oltre l’orario stabilito.<br />
Non è permesso proferire parola in presenza di un<br />
superiore a meno che non sia stato egli stesso a chiederti<br />
di farlo.<br />
Non è permesso piangere, ridere smodatamente o<br />
lamentarsi.<br />
In altre parole non era permesso vivere.<br />
(Solo per gli allievi del secondo e del terzo corso) Sono<br />
concesse 8 settimane di licenza l’anno, ripartite in modo<br />
51
da tornare a casa almeno una settimana ogni due mesi.<br />
L’ultima settimana di novembre, febbraio aprile e giugno.<br />
Le ultime due settimane di agosto e settembre.<br />
All’infuori di quei giorni non c’era peste che tenesse, non<br />
era permesso lasciare l’istituto.<br />
Tra gli allievi vi era una sorta di elementare gerarchia in<br />
base all’anno di corso. Ti era superiore chiunque fosse<br />
almeno un anno più avanti di te.<br />
Essendo io uno dei più piccoli, parlavo poco e sgobbavo<br />
troppo per ubbidire ai fastidiosi capricci dei ragazzi più<br />
grandi. Mi consolava però, l’idea di non essere l’unico di<br />
quell’età a essere trattato così, era una ruota che girava per<br />
tutti allo stesso modo. L’anno dopo, infatti, anch’io ho<br />
avuto il mio novello schiavetto.<br />
Ogni violazione delle regole aveva la sua specifica<br />
punizione, in base alla gravità del caso, dalle umiliazioni<br />
più degradanti alle pene corporali. Ce ne erano di tutti i<br />
gusti ed io come ogni studente che si rispetti, nei tredici<br />
anni passati lì, le ho provate davvero tutte.<br />
La punizione più esemplare la subii a quindici anni,<br />
quando una sera di marzo, per non ricordo più neanche<br />
quale motivo, tentai di fuggire da quell’orrore.<br />
Naturalmente non riuscii a evadere, le guardie armate<br />
addette alla sicurezza mi ripresero ancora prima che<br />
riuscissi ad avvicinarmi anche solo di qualche centinaio di<br />
metri al cancello. Per punirmi per quello che avevo tentato<br />
di fare, e forse anche per dare un esempio concreto agli<br />
altri ragazzi e inibirli anche solo nel pensare di provare la<br />
mia medesima impresa, mi legarono a un palo, in cortile e<br />
mi diedero tante di quelle cinghiate che, ancora adesso, se<br />
ci penso mi vengono i brividi.<br />
52
Riportai escoriazioni di secondo grado su tutto il corpo che<br />
mi costrinsero a rimanere in infermeria per oltre tre mesi.<br />
Saltai quindi le due settimane di licenza di aprile e giugno.<br />
Non avevo il permesso di dire a nessuno cosa fosse<br />
accaduto davvero, quindi mi toccò inventarmi una scusa<br />
qualunque per giustificare la mia assenza da casa quel<br />
periodo. Mio nonno probabilmente immaginò che c’era di<br />
mezzo qualche magagna, sapeva cosa succedeva lì dentro<br />
e non riesco ancora a perdonargli il fatto di avermici<br />
mandato con la consapevolezza di quello che sarebbe<br />
successo.<br />
Nulla di quello che accade all’interno delle mura<br />
dell’Ancharos deve essere rivelato all’esterno.<br />
La pena per questa trasgressione non l’ho mai saputa,<br />
probabilmente ne è venuto al corrente solo il diretto<br />
interessato. Se ce n’è mai stato uno tanto coraggioso da<br />
affrontare il sistema. Io non lo sono stato.<br />
Brevemente ho riassunto oltre quattrocento regole<br />
stampate sull’opuscolo di presentazione del collegio.<br />
Quattrocento regole che, in fin dei conti, se seguite alla<br />
lettera riescono a salvarti la vita.<br />
Non sono mai stato visto di buon occhio in collegio. Ero<br />
definito il classico figlio di papà, un raccomandato.<br />
Sicuramente ero il più facoltoso dell’istituto e questo non<br />
era tollerato dai miei compagni. Gli insegnanti poi, non<br />
avevano alcun potere, il loro unico compito era insegnare<br />
e fingersi estranei a tutto il marciume in cui galleggiava il<br />
buon nome della scuola.<br />
Il primo compito di responsabilità assegnatomi<br />
all’Ancharos fu di accogliere i nuovi arrivati e farli rigare<br />
dritto finché non si fossero ambientati a dovere. Ero una<br />
sorta di supervisore anziano. Avevo 16 anni e, a parte<br />
l’episodio della fuga, a quell’età ero riuscito a<br />
guadagnarmi quel briciolo di fiducia nei superiori<br />
53
sufficiente a garantirmi di vivere almeno con un minimo di<br />
dignità i miei pochi giorni riamasti lì dentro.<br />
Anch’io ho avuto un supervisore a mio tempo. Il Signor<br />
Wellingthon. Era un ragazzo irlandese di quindici anni. È<br />
stato fortunato con me, non gli ho mai dato problemi, e di<br />
conseguenza lui non ne ha dati a me.<br />
Mio nonno, mio padre, sono sempre stati uomini molto<br />
autoritari ed io ho dovuto imparare fin da piccolissimo a<br />
obbedire agli ordini senza replicare e questo mi ha aiutato<br />
tanto in quegli anni difficili.<br />
Ero un ribelle senza speranze, questo lo devo ammettere a<br />
me stesso prima che agli altri, ma in fin dei conti non ero<br />
cattivo. Avevo solo un’innaturale capacità di mettermi nei<br />
guai. Allora come oggi, non ho mai saputo dire di no a una<br />
sfida, quale che fosse la conseguenza della sconfitta, mi<br />
buttavo a capofitto in quell’impresa ogni volta come se<br />
fosse l’ultima. Ne ho prese tante da bambino. Soprattutto<br />
da mio padre che, esasperato dai miei continui tentativi di<br />
farmi ammazzare da qualcosa o qualcuno, cercava di<br />
mettermi giudizio con un ceffone o due, ben assestati.<br />
Quando ero su di giri era l’unica cosa che mi tenesse a<br />
freno. Se ero particolarmente nervoso, a volte cercavo<br />
perfino lo scontro di proposito. Non aveva importanza con<br />
chi, andavo a caccia di risse per sfogare la rabbia che<br />
accumulavo in collegio ogni giorno. Lo dimostra il fatto<br />
che non c’era una volta che non rientrassi all’Ancharos<br />
senza un nuovo trofeo di guerra: un livido, qualche punto,<br />
escoriazioni di ogni tipo. Forse è in quel periodo che mi è<br />
venuta la passione per la medicina, ma non saprei dirlo<br />
con certezza.<br />
I ragazzetti affidati alla mia supervisione erano alquanto<br />
vivaci e spesso sono stato punito a causa loro. Una in<br />
particolare di quelle pesti si impegnava più di tutte a<br />
mettermi nei guai, il Signor Nosph, un ragazzino austriaco<br />
54
di soli undici anni, così tremendo che in un solo anno<br />
riuscì a demolire tutto l’Impero di stima che mi ero<br />
costruito intorno. Adorava farmi uscire dai gangheri,<br />
godeva nel vedermi perdere il controllo, era un vero genio<br />
nel creare scompiglio e far ricadere la colpa su di me. Per<br />
dodici interminabili mesi non passò un giorno che non<br />
finissi in punizione a causa sua. Per mia fortuna, il periodo<br />
di supervisione durava solo un anno.<br />
Non era il massimo della correttezza il regime disciplinare<br />
dell’Ancharos, ma il percorso scolastico non aveva eguali.<br />
Ho imparato a fare di tutto nei tredici anni trascorsi tra<br />
quelle mura, anche se sembrava più un’accademia militare<br />
che un collegio. Si studiava di tutto però: dallo spionaggio<br />
alla lotta armata e non, dalla medicina alla filosofia, dal<br />
latino ai geroglifici egizi. Ho perfino imparato a dialogare<br />
correntemente in Inglese, Francese, Tedesco e Spagnolo,<br />
oltre il Peres che ci venne insegnato come seconda lingua<br />
madre. Un linguaggio segreto ideato più di seicento anni<br />
fa dallo stesso capostipite della setta. I giovani del terzo<br />
corso, infatti, potevano comunicare solo in Peres. Era una<br />
strategia che preparava all’iniziazione dell’ultimo anno.<br />
Come ho già accennato in precedenza, l’Ancharos è una<br />
Setta, una potente Setta istituita per preparare un’elite di<br />
predestinati a proseguire il delicato incarico che da<br />
generazioni portavano avanti con scrupolo e assoluta<br />
segretezza.<br />
In tredici anni d’istituto ho avuto un solo amico, l’unico di<br />
cui conoscessi il nome, l’unico che si sia degnato di<br />
rivolgermi la parola come se fossi un ragazzo normale e<br />
non una piaga da evitare a tutti i costi.<br />
Trascorremmo insieme tutto l’ultimo anno, stando<br />
ovviamente accorti a non far trapelare in pubblico la nostra<br />
segreta complicità.<br />
55
Si chiamava Mark, giunto in Italia direttamente<br />
dall’Oregon, dove non tornava ormai da più di un anno.<br />
Aveva diciassette anni come me. Un bel ragazzo, alto,<br />
fisico asciutto e due occhi penetranti, molto espressivi.<br />
L’unico vero amico che in ventitre anni abbia avuto mai.<br />
Lo notai in palestra, durante un’esercitazione di lotta. Lui<br />
non era molto abile in quella disciplina. La violenza non<br />
era proprio nella sua indole. Il suo avversario lo stava<br />
pestando a sangue. Gli aveva già rotto il naso con un<br />
calcio in pieno volto quando entrai in palestra con il mio<br />
gruppo per la lezione. Perdeva sangue a fiumi. Credo non<br />
ci vedesse neanche più dal dolore e a fatica riusciva a<br />
tenersi in piedi.<br />
L’istruttore lo guardava fisso, lo vedeva barcollare sfinito,<br />
ma non si decideva a interrompere l’incontro, al contrario,<br />
si compiaceva nel vedere l’altro ragazzo che si avventava<br />
come un cane rabbioso su un corpo ormai stremato.<br />
Quando Mark cadde a terra privo di sensi sotto l’ennesimo<br />
colpo di Siloni, non riuscii a trattenere la rabbia e mi<br />
scagliai su di lui. Avevamo un piccolo conto in sospeso<br />
noi due. L’ultima volta che ci eravamo trovati uno contro<br />
l’altro su quel tappeto, mi aveva battuto fratturandomi il<br />
metacarpo della destra con una pedata.<br />
All’istruttore parve piacere questo improvviso cambio di<br />
programma e non mi fermò, ed io non mi fermai finché<br />
non vidi quel bastardo andare a tappeto senza avere più la<br />
forza di rialzarsi da solo.<br />
Mi sentii meglio, mi sentii appagato per quello che avevo<br />
fatto, ma allo stesso tempo mi sentii strano, perché ogni<br />
giorno che passava percepivo un’incontrollabile rabbia<br />
crescermi dentro. Ultimamente, infatti, perdevo il<br />
controllo troppo facilmente. Stava cambiando qualcosa in<br />
me e questo non mi piaceva.<br />
56
Fu in quell’occasione che il Rettore mi convocò nel suo<br />
ufficio per comunicarmi personalmente che ero pronto,<br />
che da lì a un anno avrei potuto affrontare l’iniziazione e<br />
guadagnarmi il mio tanto sudato congedo. Sapevano che<br />
non vedevo l’ora di andarmene, sapevano che avrei fatto<br />
qualunque cosa pur di lasciare quel posto orrendo.<br />
Ho conservato solo dei confusi ricordi degli anni trascorsi<br />
all’Ancharos, il mio inconscio e due anni di psicoterapia<br />
devono aver rimosso gli incubi di quel periodo. Però i sei<br />
mesi che precedettero l’iniziazione non sono riuscito a<br />
dimenticarli, quelli sono ancora vivi nella mia mente.<br />
Dolorosi come il primo giorno.<br />
Lo scopo della preparazione era inibire totalmente le mie<br />
facoltà mentali. Dovevo giungere alla rinascita, mi dissero,<br />
avrei dovuto risvegliare il mio vero Essere e soccombere<br />
l’anima di Comune che aveva prevalso per diciotto anni<br />
sulla mia mente.<br />
La loro prima azione fu di buttarmi fuori dalla mia stanza.<br />
La seconda fu condurmi in un sotterraneo buio e umido.<br />
Mi fecero entrare in una delle celle disponibili, chiusero la<br />
porta a chiave e andarono via.<br />
Non mi dissero cosa sarebbe successo da quel momento in<br />
avanti, non mi accennarono nulla, potevo solo sentire di<br />
tanto in tanto dei lamenti strazianti provenire dalle stanze<br />
vicine e dar libero sfogo all’immaginazione.<br />
Ben presto divenni anch’io uno di quei lamenti.<br />
Torture, digiuni, abusi, pestaggi ingiustificati sarebbero<br />
serviti a renderci più forti secondo un loro macabro e tetro<br />
pensiero.<br />
Più cattivo! Pensavo io.<br />
57
Trascorsi sei mesi in quelle condizioni, ma un giorno mi<br />
fecero uscire. Mi sentivo tutt’altro che forte, ma di sicuro<br />
ero diventato cattivo, pronto a sfogare tutta la mia rabbia.<br />
L’uomo che venne ad aprire la cella non l’avevo mai visto<br />
prima, anche se la sua voce mi suonava piuttosto familiare<br />
> mi disse ><br />
Da iniziato sarei divenuto un autentico Ancharos, un<br />
Nocchiero per la precisione, uno dei tanti.<br />
Nella stanza da bagno dove mi condussero prima della<br />
cerimonia c’erano tre donne dal volto coperto. Mi<br />
ripulirono per bene prima della vestizione. Indossai un<br />
saio bianco allacciato in vita. Il cappuccio mi pendeva<br />
sulla schiena a coprire una parte dell’immagine in nero<br />
dello stemma della Setta.<br />
Ero nauseato, ancora provato dalle fatiche degli ultimi<br />
giorni, ma nessuno parve farci caso mentre venivo<br />
accompagnato in un enorme salone con le pareti ricoperte<br />
di drappi scuri.<br />
A presiedere il rito c’era il Rettore, appoggiato dalla<br />
presenza di altri sei uomini incappucciati di cui non<br />
conosco tuttora l’identità.<br />
Mi stavo ancora guardando intorno incuriosito e un po’<br />
inquieto quando uno degli incappucciati, il più basso, mi<br />
fece segno di avvicinarmi al tavolo di marmo al centro<br />
della stanza.<br />
Obbedii senza esitare. Volevo finire in fretta e<br />
abbandonare quel posto per sempre.<br />
Avanzai finché un altro incappucciato, il secondo da<br />
sinistra, mi fece cenno di fermarmi. Solo allora il Rettore<br />
iniziò a recitare il testo Peres per l’iniziazione.<br />
Conoscevo quel testo, il significato di quelle parole: era<br />
presente nel libro degli Ancharos a caratteri cubitali. Mi<br />
preparavo a quel giorno dal settimo anno.<br />
58
Alla formula del rettore io avrei dovuto solo rispondere:<br />
Caris modi not seiu punor mei<br />
Terminato il rito mi fecero segno di togliermi la tunica.<br />
Indossavo solo un paio di pantaloni bianchi. Su torace e<br />
schiena avevo ancora i segni delle ultime torture.<br />
Lasciai cadere a terra la tunica e rimasi immobile in attesa<br />
di nuove disposizioni. Dopo un paio di minuti,<br />
l’incappucciato in fondo a destra si avvicinò per porgermi<br />
una coppa piena di una sostanza fluida e scura. L’ultimo<br />
ricordo che ho è la sua mano che mi invita a bere. Devono<br />
avermi drogato, perché da lì al mio risveglio ho solo il<br />
vuoto nella testa. Non ho la più pallida idea di cos’altro<br />
accadde in quella sala.<br />
Quello che ricordo invece è tutto ciò che accadde dopo il<br />
mio risveglio.<br />
Mi girava la testa. Provai a tirarmi su dal pavimento<br />
freddo, ma un ginocchio mi faceva male, così mi<br />
aggrappai alla prima cosa che trovai tastoni lì intorno.<br />
La luce intensa, dopo la prolungata incoscienza, mi<br />
impediva di mettere a fuoco le immagini. Ero talmente<br />
frastornato da non ricordare dove fossi, tantomeno cosa<br />
fosse successo. Pian piano la luce smise di infastidirmi e<br />
riuscii ad aprire completamente gli occhi. Anche la stanza<br />
sembrava aver smesso di vorticarmi intorno. Guardando<br />
meglio mi resi conto d’essere sporco di sangue. Il<br />
pantalone, le scarpe, ne erano quasi ricoperti. La vista di<br />
tutto quel sangue mi spaventò. C’erano nuovi lividi sulle<br />
braccia e un graffio piuttosto profondo sul petto.<br />
Iniziai a respirare con affanno. Sentivo il panico<br />
impossessarsi di me piano piano. Il pavimento era una<br />
59
pozza di sangue fresco. Persi il controllo e mi chinai per<br />
vomitare. Mi sentivo malissimo, sembrava come dopo un<br />
pestaggio.<br />
Mi appoggiai di nuovo al tavolo di marmo perché le<br />
gambe si stavano rifiutando di sostenermi. Urtai qualcosa<br />
di freddo con la mano e la ritrassi d’istinto, alzando lo<br />
sguardo a cercare cosa fosse.<br />
Un nuovo conato di vomito mi piegò a terra, in ginocchio.<br />
Tremavo tanto da battere i denti. Ero talmente sotto shock<br />
da non avvertire neanche il dolore ai legamenti rotti del<br />
ginocchio flesso sul pavimento. Non volevo credere a<br />
quello che avevo visto, non riuscivo a concepire che fosse<br />
davvero così. I miei occhi potevano essersi sbagliati.<br />
Dopotutto avevo dato solo un’occhiata fugace. Ero esausto<br />
e probabilmente ancora sotto l’effetto delle droghe che<br />
avevo ingerito. Poteva trattarsi di semplice allucinazione.<br />
Non poteva, non doveva essere altrimenti.<br />
Cercai di riprendere il controllo sui muscoli e mi costrinsi<br />
a rialzarmi.<br />
Guardare di nuovo però non mi diede le certezze che<br />
speravo. Era davvero Mark il corpo disteso sul tavolo.<br />
Mi sforzai ad avvicinarmi. Intontito, incredulo. Non<br />
realizzai subito cosa fosse successo. Il cervello non<br />
reagiva a nessuno dei miei comandi. Si rifiutava di<br />
credere, di capire, di ricordare.<br />
Mark se ne stava incosciente con le braccia penzolanti dal<br />
tavolo, che lasciavano scorrere sul pavimento anche le<br />
ultime gocce di sangue rimastegli in corpo.<br />
Lo guardai inorridito. Rimasi lì immobile per qualche<br />
minuto, poi cominciai tremare di nuovo, mentre gli<br />
accarezzavo il volto pallido e freddo, tremendamente<br />
freddo. Dovetti far fede a tutte le mie forze per non<br />
60
scoppiare a piangere, per non mettermi a gridare come un<br />
matto in preda allo smarrimento.<br />
Continuavo a guardarlo, a ripetere dolcemente il suo<br />
nome, come per sperare che riuscisse a sentirmi e si<br />
svegliasse da quell’eterno sonno.<br />
Stetti a contemplarlo per non so quanto tempo, poi<br />
all’improvviso, mi sentii stringere debolmente la mano.<br />
Non era morto!<br />
In un attimo fui invaso dal panico, iniziai a chiamarlo, a<br />
scrollarlo per farlo rinvenire, ><br />
Sapevo che non c’era un minuto da perdere. Mi avventai<br />
con forza contro il portone della sala. Lo prendevo a calci<br />
nonostante il dolore lancinante al ginocchio, a spallate, ma<br />
niente, non voleva saperne di aprirsi. Iniziai a gridare aiuto<br />
allora, gridai fino a perdere la voce, tentai di forzare il<br />
portone fino a farmi male.<br />
Molto presto dovetti rassegnarmi all’idea che non sarebbe<br />
arrivato nessuno.<br />
Mi asciugai il viso cercando di ritrovare un po’ di<br />
contegno prima di tornare a sedermi accanto al mio amico<br />
morente. Potevo solo parlargli per fargli sentire che c’ero,<br />
che non l’avrei lasciato morire da solo. ><br />
riuscivo appena a sussurrare > mentii. Cos’altro potevo<br />
fare. Non volevo che fosse il terrore lo stato d’animo che<br />
l’avrebbe condotto all’aldilà > non riuscii più a trattenermi e scoppiai in un<br />
pianto quasi isterico
adesso. Resta con me amico, resta con me…>> lo<br />
supplicai di resistere con quel filo di voce che mi era<br />
rimasto, continuai ad accarezzarlo, a stringergli la mano.<br />
Mi voltai a cercare qualcosa per coprirlo, per riscaldarlo e<br />
quando mi voltai ancora… lui mi stava guardando, con i<br />
suoi occhi grandi e attenti, mi stava concedendo un suo<br />
ultimo sguardo. > strillai senza voce > continuava a guardarmi,<br />
ma i suoi occhi erano sempre meno attenti. Lo vedevo<br />
spegnersi ogni secondo che passava e non potevo fare altro<br />
che stare a guardarlo morire > singhiozzai. Ormai avevo<br />
totalmente perso il controllo ><br />
Mi fissò tutto il tempo > sussurrò con la<br />
voce strozzata dal dolore, mi tese la mano e con gli occhi<br />
mi implorò di non lasciarlo morire.<br />
> non riuscii ad aggiungere di più. Il cuore<br />
mi stava martellando il torace. Riuscivo appena a<br />
respirare.<br />
All’improvviso vidi un’aura azzurra irradiare dal suo<br />
corpo e divenire sempre più scura.<br />
62
strillai. Due calde lacrime gli<br />
accarezzarono il viso per l’ultima volta, prima di spirare<br />
esausto tra le mie braccia.<br />
Il panico… lasciò spazio alla disperazione.<br />
Implorai perdono fino allo sfinimento, piansi fino a farmi<br />
mancare il fiato, lo strinsi forte per un ultimo abbraccio,<br />
gli diedi un bacio sulla fronte e stetti lì, accovacciato sulle<br />
sue freddi spoglie, fino all’arrivo di qualcuno che mi<br />
facesse uscire.<br />
Lo avevo ucciso io. Avevo acquistato il mio biglietto per<br />
la libertà versando il sangue del mio unico amico. Non<br />
poteva essere andata diversamente. Sono sicuro d’aver<br />
lottato ferocemente contro di lui, lo testimoniavano i<br />
lividi, le ferite su entrambi i corpi. Io ne ero uscito<br />
vincitore. Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto a<br />
Mark e non mi consola l’idea di sapere che non ero in me<br />
quando è successo, anche se la sua morte mi regalò la<br />
libertà.<br />
63
64<br />
8<br />
Sono sempre soprappensiero ultimamente. Non mi<br />
stupisce quindi che non me ne sia neanche accorto quando,<br />
correndo per le scale, l’ho urtata e fatta cadere. Non che ci<br />
voglia un uragano per far vacillare l’equilibrio già precario<br />
di Denise sui tacchi alti.<br />
Ah, le donne!<br />
Avvertii l’allarme nel vociare dietro di me e mi voltai per<br />
curiosità.<br />
> mi accusò un compagno<br />
di corso di cui non mi è mai interessato neanche saperne il<br />
nome.<br />
Stavano tutti guardando me.<br />
Che c’è?<br />
Mi bastò spostare un po’ lo sguardo da quelle facce<br />
accigliate per accorgermi di cosa era successo.<br />
Oh oh!<br />
Tornai indietro con un paio di falcate e mi piegai sulle<br />
ginocchia ><br />
> tentava di rimettersi in piedi per<br />
mettere fine a quello spettacolo pietoso ><br />
><br />
Stringeva la caviglia strizzando gli occhi per il dolore.<br />
><br />
> tesi le braccia per aiutarla ad alzarsi, ma mi<br />
schivò.<br />
><br />
Sì, come no!
dissi sorridendo dei suoi continui tentativi a<br />
vuoto di mettersi in piedi.<br />
Senza dare troppo peso alle sue occhiatacce, la premetti<br />
dolcemente con la schiena al muro e le sfilai gli stivali.<br />
> chiese indisponente.<br />
><br />
Che fai? La rimproveri? L’hai fatta cadere tu!<br />
Provai a rimediare ><br />
Non rispose, provò solo ad alzarsi di nuovo, e sta volta<br />
non rifiutò il mio appoggio. Le sfuggì un gemito acuto<br />
quando provò a posare il piede a terra. Le cedettero le<br />
ginocchia sotto il peso del dolore e mi si accasciò fra le<br />
braccia. La sollevai senza sforzo e mi si aggrappò con le<br />
braccia al collo sprofondando il viso imbarazzato tra spalla<br />
e collo.<br />
Era così leggera, così minuta.<br />
><br />
Federica ci seguì fino alla macchina con le cose di Denise<br />
in mano.<br />
> le chiesi gentilmente.<br />
> mi<br />
ricordò.<br />
Cavolo, il test!<br />
><br />
><br />
Dovetti mettere a terra Denise per aprire la macchina e lei<br />
ne approfittò per saltellare fino all’altro sportello.<br />
> dissi.<br />
><br />
65
Sorvola, Alex!<br />
><br />
Si accomodò sul sedile anteriore con delle smorfiette che<br />
mi fecero ridere.<br />
> disse<br />
dispiaciuta.<br />
Io stavo ancora cercando di trattenermi > notai la sua<br />
auto parcheggiata poco distante ><br />
><br />
><br />
Mio padre era di turno in clinica quel giorno, quindi la<br />
portai direttamente da lui. Mi guardò strano quando mi<br />
vide uscire dall’ascensore con Denise in braccio, ma feci<br />
finta di niente. Non mi andava di litigare.<br />
> chiese sarcastico.<br />
> risposi io infilandomi nel suo studio<br />
senza badargli.<br />
Mi seguì in silenzio, aspettando che adagiassi Denise sul<br />
lettino all’estremità destra dalla stanza.<br />
> chiese tornando al suo solito tono<br />
rigido ><br />
><br />
Denise guardava prima me, poi lui, poi di nuovo me. Non<br />
capiva.<br />
><br />
la caviglia si è gonfiata e non riesce a posare il piede a<br />
terra.>><br />
A sentirmi pronunciare la parola “papà”, Denise spalancò<br />
gli occhi verso di me e subito dopo tornò a fissare prima<br />
uno poi l’altro, forse a cercare i tratti somiglianti.<br />
><br />
><br />
Non rispose. Fece cenno a Denise di mettersi distesa > lo disse con<br />
un tono così gentile da non sembrare neanche lui ><br />
risposi<br />
<br />
><br />
> confessai evitando i suoi occhi.<br />
intervenne Denise <br />
Mi guardò ed io confermai.<br />
> tornò a occuparsi di Denise ><br />
Meno male! ><br />
><br />
Denise balzò a sedere come una molla ><br />
Santa pazienza!<br />
> spiegai.<br />
><br />
><br />
67
Guardava ansiosa l’orologio alla parete ><br />
Mio padre stemperò gli animi un attimo prima che potessi<br />
dire qualcosa di troppo ><br />
Prima di lasciarci andare, riuscì perfino a strapparmi la<br />
promessa che avrei cenato in Villa quella sera.<br />
> aggiunse.<br />
><br />
> mi ricordò.<br />
Giusto. Thomas!<br />
Mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato ><br />
><br />
Il lampeggiare del semaforo attirò la mia attenzione<br />
invitandomi a rallentare: il rosso sarebbe scattato a<br />
momenti.<br />
Meglio non rischiare.<br />
Denise sbirciava curiosa tra le mie cose, ma senza osare<br />
toccare niente.<br />
> dissi sorridendo > sapere di non<br />
averle arrecato danni importanti mi aveva messo di buon<br />
umore. Tra guidare fino al mattino dopo e tornare in Villa,<br />
preferivo di gran lunga la prima, ma Denise non era dello<br />
stesso avviso.<br />
68
> chiesi con le dita sulla manopola del<br />
riscaldamento. Era un po’ troppo alto.<br />
Annuì sventolandosi il viso con un cd ><br />
Sorrisi > non le piacque molto la battuta, infatti<br />
si rabbuiò all’improvviso, distogliendo lo sguardo che fino<br />
a un attimo prima teneva fisso su di me ><br />
Non rispose, continuò a guardare fuori dal finestrino, in<br />
silenzio.<br />
Cos’ho detto di tanto grave? Boh!<br />
Provai a sdrammatizzare ><br />
Niente! Nessuna risposta. Accostai l’auto lungo la strada<br />
con una manovra sconsiderata, che mi fece piovere contro<br />
i clacson e gli insulti degli automobilisti dietro di me.<br />
Denise rimase impassibile, indifferente.<br />
> chiesi un po’ alterato ><br />
Invece di rispondere aprì lo sportello e scese dall’auto,<br />
scalza. Potevo vederla appoggiata con la schiena allo<br />
sportello posteriore.<br />
Prima di scendere presi qualche boccata d’aria per<br />
mantenere la calma necessaria <br />
Mantieni la calma, Alex! Porta pazienza.<br />
69
La raggiunsi uscendo direttamente dal suo lato.<br />
Ma che fa, piange?<br />
> le porsi un fazzoletto, ma lei lo<br />
rifiutò perché ne aveva già uno in mano > per fortuna mi fermò perché avrei finito col<br />
peggiorare tutto come il mio solito.<br />
><br />
> le carezzai il viso col dorso<br />
della mano ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Silenzio.<br />
><br />
><br />
><br />
Mi guardò dritta negli occhi ><br />
Eh?<br />
><br />
><br />
Era meglio se mi allontanavo un po’. Non ho mai imparato<br />
a nascondere la rabbia, mi si legge in faccia quando sto per<br />
perdere la calma, ma piano piano sto almeno imparando a<br />
70
tenerla a freno. Devo convincermi del fatto che non<br />
possono pensarla tutti come me, che se qualcuno mi<br />
risponde in modo sgarbato non vuol dire necessariamente<br />
che ce l’ha con me o che mi sta sfidando. Devo imparare<br />
ad abbassare la guardia ogni tanto. Il mondo non è in<br />
guerra con me, sono io in guerra con lui.<br />
Giorgio mi sta insegnando l’autocontrollo. Non è come<br />
Carrie, lui è davvero in gamba nel suo lavoro. Sono in cura<br />
da lui da talmente tanto tempo che non ricordo più<br />
quand’è iniziata. Mi sembra di conoscerlo da tutta la vita.<br />
Dice che sono sempre pronto ad attaccare perché mi sento<br />
costantemente in pericolo. Dice che sono intrattabile<br />
perché ho talmente tanta rabbia accumulata dentro di me<br />
da cercare continuamente una valvola di sfogo, e la mia<br />
valvola di solito è mio padre, perché non l’ho mai<br />
perdonato. Ultimamente, infatti, stiamo proprio lavorando<br />
sul concetto di perdono. È sicuro che se riuscirò a<br />
perdonare mio padre sarò in grado di applicarlo anche<br />
sugli altri.<br />
È stato difficilissimo per lui imparare a interagire con me.<br />
Mi ha conosciuto nel momento peggiore della mia vita e,<br />
in quel periodo, non mi potevo certo definire un agnellino.<br />
Una delle prime dritte che mi ha dato è stata “contare”.<br />
Consiglio utilissimo per chi si infervora con troppa<br />
facilità. Mi ha insegnato a riconoscere i momenti perfetti<br />
per iniziare a contare, in modo da concedermi il tempo<br />
necessario per riflettere e rendermi conto che forse non mi<br />
è stato detto qualcosa di così grave da reagire con ostilità.<br />
Quella sera, fuori dalla macchina, era proprio uno di quei<br />
momenti.<br />
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…<br />
Ho capito che muovermi mi aiuta a calmarmi e, infatti,<br />
quando sento che sto per perdere il controllo inizio a<br />
71
camminare avanti e indietro, ma il più delle volte finisco<br />
per sembrare in preda a confusione mentale.<br />
><br />
Appunto! …undici, dodici, tredici…<br />
><br />
Un bel respiro!<br />
><br />
Attento ai toni.<br />
> Bravo,<br />
così va bene ><br />
Con le buone potranno non ottenersi le cose importanti,<br />
ma le piccolezze di tutti i giorni sono garantite.<br />
Mi tremavano ancora un po’ le mani mentre mettevo in<br />
moto, ma il peggio era passato.<br />
Denise non parlò fin quando non intravide casa sua.<br />
Pessimo quartiere!<br />
Forse l’avevo spaventata e non voleva turbarmi di nuovo<br />
><br />
il peggio era passato anche per lei, perché le era tornato il<br />
sorriso.<br />
><br />
Rise ><br />
><br />
Fece una smorfia di scherno ><br />
> risposi<br />
sorridendo.<br />
><br />
Poco, molto poco. ><br />
72
Il cancello di casa era aperto, quindi mi fermai all’interno<br />
per non costringerla a sforzare il piede.<br />
Feci per scendere e aiutarla, ma mi fermò > scherzai <br />
><br />
>><br />
><br />
E adesso che c’è che non va?<br />
><br />
><br />
Non insistere.<br />
><br />
Riaffiorò l’occhiataccia.<br />
Ben ti sta!<br />
><br />
Rise forte ><br />
Mi arresi e la lasciai andare, ma non mi sentivo per niente<br />
tranquillo. Quando c’è qualcosa che non capisco mi<br />
assorda un fastidioso campanello d’allarme. Non avevo<br />
tempo per dargli retta però, avevo un’incombenza perfino<br />
più fastidiosa ad attendermi: la cena con i miei.<br />
73
74<br />
9<br />
Ero finalmente a casa, eppure l’unica cosa a cui riuscivo a<br />
pensare era il modo in cui vendicarmi per tutto il male che<br />
mi avevano fatto.<br />
“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per<br />
dente. Io invece vi dico di non resistere al male; anzi, se<br />
uno ti colpisce alla guancia destra, volgi anche la<br />
sinistra.”<br />
Chi non concepisce il perdono, non può non apprezzare la<br />
vendetta. Io ero uno di quelli che credeva che vendicarsi di<br />
un torto subito fosse rispettoso nei confronti di chi ha<br />
subito il suddetto torto.<br />
Trascorsi due mesi a escogitare un efficace piano per la<br />
vendetta.<br />
Misi mano a tutte le più sofisticate tecniche di sterminio<br />
che avevo imparato.<br />
Doveva essere tutto perfetto, altrimenti difficilmente sarei<br />
tornato vivo a casa.<br />
Feci arrivare tutto l’occorrente da Londra.<br />
Conoscevo ogni singolo mattone di quell’edificio. Non<br />
sarebbe stato difficile entrare, avrei dovuto solo aspettare<br />
il momento giusto.<br />
Più precisamente il ventidue di aprile. 23:00 in punto. Il<br />
giorno dopo tutti gli allievi sarebbero partiti per la<br />
settimana di licenza di aprile.
Era il momento perfetto. Soprattutto perché, in quei<br />
periodi, a guardia dei cancelli restavano solo due sentinelle<br />
armate.<br />
Per cui, armato fino ai denti, mi appostai per il resto della<br />
notte nel boschetto fuori il confine del parco dell’istituto,<br />
così da poter avere sotto controllo ogni spostamento.<br />
La mattina seguente, puntualmente alle 7:30, iniziò un via<br />
vai di auto che durò fino al tardo pomeriggio. Erano alle<br />
17:00 quando tutto quel frenetico movimento si arrestò.<br />
Calò la sera e alle 18:45 arrivarono nuovamente delle auto,<br />
ma questa volta non avrebbero condotto via nessun<br />
ragazzo.<br />
Mi arrampicai su una quercia per vedere meglio all’interno<br />
delle mura di cinta e da quelle auto vidi scendere sei<br />
uomini. Col binocolo potei scorgere i visi di ognuno di<br />
loro, ma non saprò mai se quei volti erano gli stessi che<br />
avevano presieduto alla mia iniziazione.<br />
Di sicuro però, sarebbe stata una di quelle notti.<br />
Di colpo alla smania di vendetta si unì il forte desiderio di<br />
salvare la vita a un altro Mark, che come lui non avrebbe<br />
avuto via di scampo.<br />
Mi era rimasto poco tempo e per di più i piani avevano<br />
subito un improvviso cambio di programma. Dovevo agire<br />
al più presto.<br />
Non appena i sei membri scomparirono tutti oltre il<br />
portone, scesi dall’albero e mi diressi verso il cancello<br />
principale.<br />
Dovevo mettere fuori gioco le sentinelle, ma non fu<br />
difficile, avevo un conto in sospeso da più di tre anni con<br />
quella gente. Un lavoro pulito, libero da ogni<br />
ripensamento o rimorso.<br />
75
“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai;<br />
infatti chi uccide è sottoposto a giudizio. Io invece vi dico:<br />
Chiunque s’adira con il suo fratello sarà sottoposto al<br />
giudizio.”<br />
Mi avvicinai cauto al cancello. Giocai l’effetto sorpresa,<br />
perché la consapevolezza che non ci fosse più nessun<br />
allievo in istituto poteva solo andare a sfavore della loro<br />
concentrazione. Prima che potessero accorgersi di cosa<br />
stava accadendo, recisi la gola di uno e sparai all’altro un<br />
attimo prima che mettesse mano alle armi. Ero talmente<br />
accecato dalla rabbia che in fondo al cuore sentii perfino<br />
una punta di piacere.<br />
Abbandonai e corpi dietro una siepe e tornai a recuperare<br />
lo zaino con tutto l’occorrente per portare a termine il mio<br />
piano. Ero solo all’inizio.<br />
Quanto mi pesano sulla coscienza oggi quegli uomini.<br />
Oggi non lo rifarei, ne sono certo, ma allora l’istinto<br />
guidava la mia mano e il mio cuore credevo mi dettasse<br />
questo.<br />
Ora so che la cattiveria era mia complice, non il mio<br />
cuore.<br />
Non appena mi ritrovai di nuovo all’interno della cerchia<br />
di mura dell’Ancharos fui trafitto da tutti gli spettri del<br />
passato.<br />
Mi ci volle qualche minuto per recuperare la lucidità e<br />
convincermi che stavo facendo la cosa giusta. Dopo quel<br />
breve momento di esitazione però, fui più determinato che<br />
mai nel proseguire.<br />
Ero inferocito, riuscivo solo pensare al piacere che avrei<br />
provato quando fosse tutto finito.<br />
76
A fatica varcai la soglia del portone dell’ingresso, ma una<br />
volta dentro pensai solo a fare quello per cui ero tornato.<br />
Non avevo margini d’errore. Doveva andare tutto alla<br />
perfezione. Non potevo permettermi che qualcuno avesse<br />
anche solo il vago sospetto della mia presenza. La più<br />
piccola distrazione mi poteva costare la vita.<br />
Riuscii a salire ai piani anche troppo facilmente. Mi<br />
accertai che le stanze fossero tutte vuote e in ognuna di<br />
esse posizionai con cautela una carica d’esplosivo.<br />
Cilindretti della dimensione di un accendino arrivati<br />
direttamente dall’Australia per l’occasione. Le posizionai<br />
in tutte e trecento le stanze, e altre dodici nascoste lungo i<br />
corridoi, per essere ancora più sicuro della riuscita del<br />
risultato finale.<br />
Posizionavo le ultime quattro cariche quando l’antico<br />
orologio a pendolo nell’atrio suonò le 21:30. Mi erano<br />
rimaste solo un paio d’ore per montare l’ordigno e lasciare<br />
l’edificio.<br />
Mi precipitai quindi, molto silenziosamente, nei<br />
sotterranei del palazzo.<br />
Non mi aspettavo certo che filasse tutto liscio, e, infatti,<br />
non avevo notato che c’erano altre tre guardie armate<br />
all’interno. Le notti dell’iniziazione probabilmente<br />
aumentavano la sorveglianza. Mi nascosi appena in tempo.<br />
Spezzai il collo del primo appena mi passo abbastanza<br />
vicino da poterlo cogliere alle spalle. Non fece in tempo a<br />
dare l’allarme. Gli altri due temo soffrirono un po’ di più.<br />
Feci uscire i ragazzi rinchiusi nelle celle, li accompagnai<br />
di sopra e mi accertai che lasciassero incolumi l’edificio.<br />
Scesi nuovamente di sotto e posizionai gli ordigni come<br />
sopra, tranne che nel salone dei riti.<br />
Non sarebbe dovuto rimanere in piedi un solo masso di<br />
quel palazzo infernale.<br />
77
Attesi nascosto in un angolo che i sei membri e il rettore<br />
scendessero regolarmente nel salone per prepararsi alla<br />
cerimonia d’iniziazione.<br />
Non erano ancora suonate le 23.00 e fino alle 23.30 non si<br />
sarebbero accorti della mancanza degli allievi<br />
imprigionati.<br />
Era la prassi! Avrebbero atteso nel salone fino alle 23.30,<br />
solo allora avrebbero fatto preparare l’iniziato per<br />
procedere con il rito.<br />
Alle 23.00 in punto, come calcolato, scesero tutti e sette<br />
nel sotterraneo.<br />
Avevo solo mezz’ora per montare l’ordigno nell’atrio<br />
all’ingresso e fuggire.<br />
23:27. Accesi il dispositivo e corsi fuori più in fretta che<br />
potevo.<br />
Non appena fui a distanza di sicurezza poi, dopo un’ultima<br />
occhiata ancora al mio incubo ricorrente, premetti il<br />
pulsante del detonatore.<br />
E … … BHUM…!<br />
Un boato inaudito, l’intera struttura si accartocciò su se<br />
stessa come un castello di carte.<br />
C’ero riuscito! Avevo finalmente abbattuto i miei incubi,<br />
mi ero finalmente risvegliato da quell’orrendo sogno.<br />
Credevo davvero che da allora in avanti quei brutti ricordi<br />
non mi avrebbero più tormentato, ma non è stato così.<br />
Mi avvicinai a quel cumulo di macerie in fiamme, mi<br />
sedetti sull’erba e stetti lì tutta la notte, ad aspettare che<br />
smettesse di ardere, ad aspettare che le grida disperate di<br />
aiuto del rettore e degli altri, rimasti imprigionati incolumi<br />
nel salone cessassero, proprio come cessarono le mie<br />
quella notte, quando l’aiuto che cercavo non arrivò.<br />
78
Morirono soffocati tra fumo e macerie ed io provai un<br />
senso di piacere che non avrei mai creduto si potesse<br />
provare.<br />
Quindici persone morirono quella notte. Litri e litri di<br />
sangue che tuttavia non bastarono a lavare anni di<br />
malvagità e soprusi subiti. Servì solo a restituirmi un po’<br />
di quella dignità che mi era stata sottratta.<br />
Per quanto ne so, nessuno più ha messo piede tra quelle<br />
macerie, neanche per curiosità, e questo per molto tempo<br />
mi permise di dormire tranquillo.<br />
La notizia della distruzione dell’Ancharos non trapelò mai<br />
dai media. Personalità molto influenti riuscirono a<br />
insabbiare l’accaduto in modo impeccabile. L’ubicazione<br />
isolata della struttura facilitò il compito delle autorità<br />
preposte, che non faticarono a vietare l’accesso ai curiosi a<br />
un’area privata e lontana chilometri dai complessi abitati.<br />
Seppi che il boato si udì fino in città, ma mai nessuno<br />
seppe di cosa si trattò realmente.<br />
79
80<br />
10<br />
Il piano era semplice, elementare. Mi sarei trattenuto quel<br />
tanto che bastava a pronunciare un saluto e approfittando<br />
dell’ora, mi sarei ritirato di sopra con Thomas. Alla cena<br />
avrei pensato al momento.<br />
L’espressione sorpresa di Michele, quando mi vide al<br />
cancello, la diceva lunga su quanto tempo avessi fatto<br />
passare dalla mia ultima visita.<br />
Mia madre era già stata avvertita del mio arrivo, infatti, mi<br />
aspettava fuori. Si percepiva l’odore dell’impazienza fin<br />
dentro la macchina.<br />
Nonostante una voce insistente dentro la mia testa mi<br />
consigliasse di fuggire, feci un respiro profondo e aprii lo<br />
sportello per scendere. Lungo la strada mi ero fermato a<br />
prendere qualcosa per non presentarmi a mani vuote.<br />
Quella non era più casa mia da così tanto tempo che non<br />
riuscivo mai a non sentirmi un ospite.<br />
Mia madre mi abbracciò con affetto prima ancora che<br />
potessi dire una parola. La lasciai fare, ricambiando<br />
l’abbraccio con piacere. Era l’unica a cui concedessi quel<br />
lusso.<br />
><br />
È incredibile come, dopo tutto quello che le faccio passare,<br />
si preoccupi ancora per me ><br />
In meno di un secondo il mio piano era già naufragato a<br />
picco nell’oceano.<br />
><br />
><br />
Mi prese per mano >
Sorrise ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Era vero. Dall’incidente il nostro rapporto era cambiato. In<br />
peggio.<br />
Mi chiese di attenderla in salotto mentre faceva preparare<br />
una tisana per entrambi.<br />
Thomas era seduto sul tappeto a giocare con La fattoria<br />
degli animali che gli avevo comprato l’ultima volta che lo<br />
avevo tenuto un po’ con me.<br />
Appena mi vide gli occhietti si ridussero a una fessurina,<br />
mentre la bocca si modellava in un raggiante sorriso.<br />
Barcollò nel mettersi in piedi e corse verso di me, che<br />
spalancai le braccia per afferrarlo al volo e tirarlo su.<br />
> disse Beatrice, che nel<br />
frattempo mi aveva raggiunto in salotto ><br />
> osservai.<br />
><br />
><br />
Thomas mi indicò con la manina il pacco che avevo<br />
lasciato a terra prima di prenderlo in braccio.<br />
><br />
Lo feci scendere per scartare il regalo > mormorai ><br />
81
Si rattristò a quelle mie parole ><br />
><br />
Mi sentii tirare la mano verso il basso ><br />
Annuii sforzandomi di sorridere.<br />
Beatrice si schiarì la voce.<br />
Allarme rosso. Allarme rosso. Scappa finché sei in tempo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Mi abbracciò di nuovo ><br />
Uno dopo l’altro rientrarono tutti. Zio Sergio tornò con<br />
mio nonno, mentre mio padre si trattenne una mezz’ora in<br />
clinica per controllare dei documenti. Stefano era stato il<br />
primo a rincasare. Era seduto con me sul tappeto del<br />
salotto a giocare con Thomas. Gli avevo comprato dei<br />
nuovi lego e Stefano sembrava più emozionato di Thomas<br />
all’idea di darsi alla costruzione di una nuova opera d’arte.<br />
L’ultima volta che ero stato in Villa stava lavorando alla<br />
riproduzione in scala della torre di Pisa. A Thomas<br />
affascinava starlo a guardare mentre, mattoncino dopo<br />
mattoncino creava costruzioni meravigliose con cui poter<br />
giocare. Io non sono un ingegnere e il massimo che so fare<br />
è qualcosa simile a un castello. Niente a che vedere con i<br />
draghi di Stefano e gli altri mostri.<br />
La velocità con cui procedeva era impressionante.<br />
Sembrava che non facesse altro da mattina a sera. Anche<br />
se, di sicuro, aveva più tempo libero di me da dedicare a<br />
82
certe cose. Era un modo come un altro per distrarsi,<br />
comunque. Da quando Papà l’aveva fatto rientrare da<br />
Londra si era ritrovato improvvisamente con molto tempo<br />
libero e scarse alternative per occuparlo.<br />
Appena rientrò anche papà ci spostammo tutti in sala da<br />
pranzo. Teneva Thomas in braccio e lo riempiva di baci.<br />
Non è mai stato così affettuoso con me, neanche con<br />
Stefano, il che la dice lunga sull’affetto che nutre per il<br />
bambino.<br />
Le lasagne di Susanna sono imbattibili. Mi fecero tornare<br />
un po’ di appetito, ma non riuscii a mangiare il resto.<br />
Proprio no.<br />
Naturalmente la mia mancanza di appetito fu oggetto di<br />
discussione per almeno venti minuti. Era sempre così, mia<br />
nonna iniziava la lamentela, gli altri la appoggiavano<br />
cercando di farmi mangiare un po’ di più ed io la<br />
terminavo alzandomi furioso per lasciare la sala.<br />
Fu lo stesso anche questa volta, ma riscrissi il finale.<br />
Invece di protestare, presi una fetta di arrosto dal vassoio e<br />
ne mangiai una metà zittendo tutti. Giorgio ha ragione, era<br />
molto più semplice così.<br />
> mi chiese mio nonno.<br />
><br />
><br />
Perché stai sempre sul piede di guerra, Alex?<br />
><br />
><br />
Che conversazione lunga e piena di spessore. Non che io<br />
sia d’aiuto nel produrre qualcosa di meglio, però…<br />
83
La mia ostilità scaturiva tutta dal terrore che potessero<br />
sentirsi incoraggiati ad affrontare argomenti più spinosi.<br />
Tabù.<br />
Eppure ce n’era uno di cui volevo discutere io, ma che era<br />
tabù assoluto per loro. Tutte le volte era finita con me che<br />
mi congedavo sbattendo la porta dopo esserci detti di tutto<br />
e di più.<br />
Avevo voglia di litigare quella sera? Avevo voglia di<br />
veder piangere mia madre? Avevo voglia di offendere mio<br />
padre, mio nonno e mio zio? Avevo voglia di coinvolgere<br />
Stefano in quella guerra soltanto mia?<br />
No! Quella sera no.<br />
> dissi a<br />
Beatrice.<br />
><br />
Il tappeto sulle scale era stato cambiato. Non me ne ero<br />
neanche accorto. Chissà da quanto tempo era stato<br />
sostituito? Non potrei giurarlo, ma non mi sembra che ci<br />
fosse prima dell’incidente.<br />
Thomas già sonnecchiava sulla mia spalla mentre lo<br />
portavo di sopra.<br />
La sua stanza era un’esplosione di colori. Sarebbe stato<br />
difficile perfino per me avere degli incubi lì. Sugli scaffali<br />
della libreria c’erano ancora più libri di quanti ne<br />
ricordassi. Gliene compravo spesso, ma a quanto pare ci<br />
pensavano anche gli altri. Il volume di Billy il coniglio e la<br />
ricerca del tesoro di Azkaban era sul cassettone. Più volte<br />
sono stato tentato di comprargliene uno nuovo, perché<br />
quello era stato aperto talmente tante volte che la copertina<br />
era tutta rovinata, ma alla fine non ho mai avuto il<br />
coraggio di farlo davvero.<br />
84
Gli misi il pigiama cerando di non farlo svegliare troppo,<br />
poi aspettai che riprendesse sonno leggendogli l’avventura<br />
di Billy che gli piaceva di più, quella dell’incontro con<br />
l’orso e il furto del barattolo del miele incantato. Si era<br />
fatto raccontare quella storia tante di quelle volte da<br />
saperla a memoria, eppure continuava a chiedere che gliela<br />
leggessero, emozionandosi sempre come fosse la prima<br />
volta che la ascoltava.<br />
Abitudinario. Come me.<br />
> disse tirando in basso il libro dalle mie<br />
mani.<br />
><br />
Annuì sorridendo.<br />
><br />
><br />
><br />
Scosse la testolina col broncio ><br />
Lo presi in braccio ><br />
85
86<br />
11<br />
Uno dei pensieri che mi aveva tenuto in vita durante gli<br />
anni in collegio era il sogno di viaggiare e vedere il mondo<br />
che fino ad allora mi era stato negato. Con Mark avevamo<br />
stilato un itinerario dettagliato, ma a quel punto non<br />
sembrava avere più alcun senso per me.<br />
Il fatto certo era che dovevo andare via per un po’.<br />
Dovevo togliermi le grida delle mie vittime dalla testa.<br />
Dopotutto avevo ancora due anni prima che acquisissi i<br />
miei poteri, e volevo sfruttare quel tempo comportandomi,<br />
per una volta nella mia vita, come un ragazzo normale.<br />
Quella normalità avrei potuto trovarla solo lontano dalla<br />
mia attuale quotidianità, e l’America sembrava abbastanza<br />
distante per inseguire quel sogno. Tuttavia, ero<br />
perfettamente consapevole che non sarebbe stato facile.<br />
All’Istituto ero venuto a conoscenza dell’esistenza del<br />
Clan, una società segreta, nata nel X secolo in Gran<br />
Bretagna, con l’unico scopo di eliminare la discendenza<br />
diretta degli Ancharos: Giudici, Esecutori, Nocchieri.<br />
Col tempo si nascosero dietro il falso nome di alchimisti<br />
alla ricerca del mito della pietra filosofale, di templari alla<br />
ricerca del Graal, di stregoni alla ricerca dell’elisir di<br />
lunga vita. Tutti nomi per celare un’organizzazione con<br />
l’unico scopo di annientare i discendenti umani della stirpe<br />
dei Cherubini preposti a servizio di nostra Signora Morte.<br />
Non c’è condanna a morte per l’uomo senza la sentenza<br />
del Giudice, non c’è morte senza la mano dell’Esecutore,<br />
non c’è trapasso senza la guida del Nocchiero.<br />
Il Clan mira proprio a questo: eliminare gli Ancharos per<br />
garantire l’immortalità dell’uomo sulla terra.
Nonostante la Tregua di Fermoy firmata oltre duecento<br />
anni fa da entrambe le fazioni, negli ultimi anni la faida si<br />
è riaccesa, si è fatta più agguerrita, perché sono scese in<br />
campo entrambe le parti in causa sta volta. Gli Ancharos,<br />
che fino a qualche anno fa si erano limitati a stare<br />
nell’ombra per sfuggire agli Agenti del Clan e rispettare il<br />
trattato di pace, ora sono usciti allo scoperto e sfidano il<br />
nemico apertamente.<br />
Il giorno che ho deciso di partire per New York però,<br />
eravamo ancora obbligati all’anonimato. Costretti a<br />
strisciare nella notte per non dare nell’occhio, per non<br />
rischiare una cattura che avrebbe significato solo torture e<br />
morte.<br />
Solo quell’anno avevamo perso più di trenta dei nostri.<br />
Non mi stupiva quindi, che mio padre si ostinasse a<br />
impedirmi di partire.<br />
Era passato un anno dal giorno dell’iniziazione. Avevo<br />
appena compiuto diciannove anni e a vent’uno avrei<br />
ereditato in pieno i miei poteri di Nocchiero. La mia vista<br />
avrebbe subito irreversibili cambiamenti. Mi sarebbe stata<br />
assegnata un’area di azione in cui avrei agito per<br />
adempiere il mio compito di guidare le anime fino<br />
all’Hahicòs, la dimensione spirituale creata per ospitare le<br />
anime dei trapassati prima del giorno del giudizio.<br />
Nient’altro che una proiezione immateriale del mondo<br />
terreno.<br />
Se fossi sopravvissuto a sufficienza da vedere quel giorno,<br />
naturalmente.<br />
Non sono ancora immortale. Ho le stesse probabilità di<br />
chiunque altro di finire accidentalmente investito da un<br />
autobus di linea in qualsiasi momento.<br />
Sapevo a cosa andavo in contro mentre consegnavo il<br />
biglietto aereo all’hostess di terra dell’aeroporto. Sapevo<br />
che così lontano da casa non avrei goduto della stessa<br />
87
protezione che avevo in Italia, e sapevo anche che l’unico<br />
potere di cui disponevo già dal mio diciottesimo anno -<br />
comune in tutti gli Ancharos –, un flusso energetico di<br />
morte imprigionato nel palmo della mia mano destra, non<br />
era sufficiente a difendermi dagli Agenti del Clan,<br />
abilmente addestrati, grazie a secoli e secoli di studi sulla<br />
nostra gente. Si combatteva ad armi pari, per quanto possa<br />
sembrarmi ancora assurdo.<br />
Ho sempre odiato profondamente il collegio, – e non<br />
l’avrei mai raso al suolo se non fosse stato per vendicare<br />
Mark - ma se sono ancora in vita lo devo sicuramente agli<br />
anni di insegnamenti che ho ricevuto lì.<br />
Riuscii a convincere mio padre a lasciarmi partire<br />
permettendogli di strapparmi la promessa che minimo tre<br />
volte la settimana avrei trovato il tempo di fargli una breve<br />
telefonata, tanto per accertarsi che stavo bene. Avrebbe<br />
potuto azzardare una pretesa più soddisfacente, ma mi<br />
conosceva troppo bene per sapere che se avessi avuto<br />
anche solo il sentore che stesse tirando la corda di<br />
proposito mi sarei messo sul piede di guerra negandogli<br />
qualsiasi condizione. Non sarei partito, certo, ma avrei<br />
accettato di tutto pur di non dargliela vinta. Gli anni<br />
all’Ancharos mi avevano profondamente incattivito. Ero<br />
un arco teso al limite, bastava un soffio a farmi scattare.<br />
Oggi sono convinto che fosse sinceramente preoccupato<br />
per me all’idea di sapermi tutto solo in una città grande e<br />
affollata come New York, brulicante di Agenti. Quel<br />
periodo però, credevo cedesse perché temeva la mia<br />
cattiva influenza su Stefano.<br />
Oggi capisco perché lo tennero lontano da casa, lontano da<br />
me, ma fino a cinque anni fa ero solo un ragazzo geloso<br />
delle attenzioni particolari riservate al fratello minore.<br />
88
Quando ho messo piede a New York per la prima volta, mi<br />
sono sentito gelare il sangue nelle vene, non avevo mai<br />
visto dal vivo dei palazzi così alti e ammassati tutti<br />
insieme. La mia conoscenza della città era limitata alle<br />
immagini concesse dalla Tv. Non potevo dire lo stesso<br />
dell’inglese, anche se il mio accento era marcatamente<br />
britannico.<br />
Prima di partire mi ero ripromesso che non avrei fatto fin<br />
da subito la figura del turista dall’organizzazione<br />
maniacale. Sbarcai con un borsone soltanto. Il resto lo<br />
avrei acquistato all’occorrenza strada facendo.<br />
Iniziavo una vita nuova e volevo lasciarmi alle spalle tutto<br />
ciò che mi ricordasse il passato. Dell’Ancharos portai con<br />
me solo la placchetta d’acciaio di Mark, avremmo dovuto<br />
farlo insieme quel viaggio e quel piccolo ciondolo me lo<br />
faceva sentire accanto.<br />
Subito fuori dall’aeroporto, dopo aver compilato con cura<br />
un assurdo questionario, fui investito dal caotico vivere<br />
Newyorkese. Un’interminabile coda di taxi pronti a<br />
scattare lungo il marciapiede al primo richiamo. Il<br />
chiacchiericcio assordante di migliaia di persone che mi<br />
scorrevano frenetiche quasi attraverso. Palazzi tanto alti e<br />
maestosi da dare il capogiro. Un impatto davvero forte per<br />
chi ci arriva la prima volta.<br />
Non avevo mai preso un taxi prima di allora. C’erano<br />
quattro autisti a servizio della mia famiglia. Vedevo tutte<br />
quelle mani alzate sul ciglio del marciapiede…<br />
Sarei mai stato capace di tuffarmi fra la folla e reclamare il<br />
mio passaggio? Rimuginavo su questo quando sentii<br />
afferrarmi il braccio da qualcuno alle spalle. Prima ancora<br />
che il cervello potesse avvertire il pericolo avevo già<br />
stretto quel polso scaraventando con forza l’uomo in<br />
avanti per poterlo bloccare alle spalle torcendogli il<br />
braccio fino a farlo inginocchiare a terra. Se avessi<br />
89
volontariamente voluto dare nell’occhio non avrei saputo<br />
fare di meglio. L’uomo gemette sotto la mia stretta. Il<br />
braccio doveva sembrargli immerso nei carboni ardenti,<br />
perché man mano che realizzavo cosa fosse successo, la<br />
collera si impadroniva di me, lasciando fluire un po’ di<br />
influsso di morte dal palmo della mano che immobilizzava<br />
il braccio dell’uomo.<br />
> riuscì a dire chinandosi in<br />
avanti fino a toccare la fronte sul marciapiede freddo,<br />
tormentato dal bruciore sempre crescente.<br />
> domanda<br />
inutile, non riusciva più a parlare. Allentai la presa per<br />
fargli riprendere fiato, ma non mi allontanai di un<br />
centimetro, sempre sulla difensiva.<br />
Si teneva il braccio premendolo a terra per trovare un po’<br />
di sollievo ><br />
farfugliò nel tentativo di rimettersi in piedi ><br />
Nella fretta non avevo neanche avuto il tempo di guardarlo<br />
in faccia. Appena lasciai che si alzasse potei notare che il<br />
suo viso non mi era poi sconosciuto, lo avevo visto molte<br />
volte fra i tirapiedi di mio Zio > risposi seccato ><br />
><br />
Prima che potesse finire di parlare il mio braccio era<br />
attorno al suo collo ><br />
ringhiai ><br />
><br />
90
><br />
Era vero > lo liberai,<br />
allontanandomi di qualche passo.<br />
> chiese mentre si<br />
dava una sistemata nervosa al vestito di Armani.<br />
><br />
Avevo una prenotazione per la suite dell’Hotel più<br />
lussuoso della città. Tipico di mio padre.<br />
Sapevo che Federico – a quanto pare mio padre si fidava<br />
tanto delle mie capacità di sopravvivenza da assegnarmi<br />
una guardia del corpo - avrebbe potuto tenermi d’occhio<br />
finché fossi rimasto lì. Fuggii dall’hotel dopo una<br />
settimana. Non era così che avevo programmato il mio<br />
viaggio. In quel modo mi sembrava di non essere mai<br />
uscito di casa e io volevo fuggire da quel mondo, volevo<br />
mescolarmi un po’ tra la gente normale.<br />
Avevo almeno quattro intollerabili guardaspalle alle<br />
costole. Sentivo il loro fiato sul collo ovunque andassi,<br />
benché fossero assurdamente in gamba a non farsi<br />
identificare.<br />
Mi diedi alla fuga in piena notte. Passando, abilmente<br />
inosservato, dall’area di servizio del ristorante. Uscii dalla<br />
porta sul vicolo destinato alla raccolta dei rifiuti del<br />
ristorante. Non sapevo da che parte andare, mi spinsi a<br />
naso nella direzione opposta alle illuminazioni del corso<br />
principale e mi inoltrai per la città in cerca di un<br />
appartamento più umile.<br />
Non impiegai molto a trovarne uno nel centro, i soldi non<br />
mi mancavano, era al trentaduesimo piano di un palazzo<br />
molto raffinato, non come l’Hotel, ma non era male, dalla<br />
91
mia finestra c’era una bella vista e a due passi c’era<br />
Central Park, dove avrei potuto fare jogging la sera prima<br />
di uscire.<br />
Era perfetto per me, ora dovevo solo tornare all'Hotel,<br />
chiudere la prenotazione e ritirare le mie cose dalla<br />
camera.<br />
Avendo ben chiaro dove andare, non mi sarebbe stato<br />
difficile seminare i quattro carcerieri e far perdere le mie<br />
tracce. New York è così grande e affollata che la rende<br />
perfetta per nascondersi.<br />
Avevo calcolato tutto e, infatti, mi ritrovai all’aperto, solo,<br />
borsone in spalla, pronto finalmente a iniziare una nuova<br />
vita.<br />
Sarebbe andato tutto liscio, se non fosse che, mentre mi<br />
dirigevo verso la mia nuova sistemazione, un balordo mi<br />
strappò il borsone dalla spalla con tutta la mia roba, carte<br />
di credito comprese.<br />
Oh oh!<br />
Lo rincorsi per oltre tre isolati, e l’avrei raggiunto se non<br />
fosse saltato in sella alla moto del suo compare.<br />
Buon per lui che non mi è capitato tra le mani, perché<br />
infuriato com’ero non sarebbe mai tornato a casa.<br />
Non ho più rivisto né lui né il mio bagaglio.<br />
E adesso?<br />
Come il più sciocco dei dilettanti avevo tolto il portafoglio<br />
dalle tasche per non rischiare di essere derubato e non<br />
avevo pensato che avrebbero potuto tranquillamente<br />
rubarmi il borsone.<br />
Mi sentii molto stupido in quel momento, e ammetto che<br />
per una frazione di secondo mi balenò in mente il pensiero<br />
di rinunciare e tornare a casa. Non ci sarebbe stato niente<br />
di male nell’ammettere di aver fallito. Mio padre poteva<br />
avere mille difetti, ma non si era mai burlato dei miei<br />
92
errori. Era tipo da rimproveri, spesso alzava le mani, ma<br />
mai una volta aveva osato ferire il mio orgoglio<br />
rinfacciandomi d’aver fallito in qualcosa. Nonostante ciò,<br />
il mio orgoglio era sempre andato oltre quel banale atto di<br />
cortesia, spingendomi ogni volta al limite delle mie<br />
capacità, portandomi spesso ad avanzare quando avrei solo<br />
dovuto arrendermi e farmi da parte, mettendomi spesso in<br />
situazioni di estremo pericolo. Mio padre mi aveva tirato<br />
fuori dai guai tante di quelle volte da non ricordarne il<br />
numero esatto. Lo avrebbe fatto di nuovo se avessi avuto il<br />
coraggio di ammettere che aveva ragione ancora, che,<br />
dopotutto, avevo davvero bisogno del suo aiuto.<br />
Lo chiamai? Assolutamente no!<br />
Ciò non toglie che fossi precipitato in un attimo dalle<br />
stelle alle stalle più fetide. Non avevo più niente, solo<br />
qualche contante che mi bastò appena per soggiornare<br />
prima di notte in una squallida locanda nel quartiere più<br />
malfamato della città.<br />
Ho visto qualcuno dei miei in azione quel giorno. Non<br />
nascondevano il tatuaggio sul polso come me. Agivano<br />
indisturbati, anche se sempre in gruppo. La reputazione<br />
del quartiere giustificava molto la loro presenza. Sarebbe<br />
stato facile per gli Agenti del Clan venire a scovarli<br />
proprio lì, eppure li vedevo agire senza alcun timore. Forse<br />
sapevano cosa aspettarsi, cosa cercare. Forse in gruppo<br />
sapevano difendersi senza troppe difficoltà. Forse erano<br />
solo semplicemente abituati a svolgere il lavoro con<br />
estrema attenzione, niente di più.<br />
Ricordo ancora il cattivo odore proveniente dalla cucina<br />
della locanda, un misto di broccoli e carne vecchia.<br />
Il locandiere non mi accompagnò neanche alla porta della<br />
mia stanza. Intascò i miei ultimi soldi e mi indicò<br />
semplicemente la strada. Parve perfino seccato di ciò.<br />
93
Non descrivo il disgusto provato una volta varcata la<br />
soglia di quello schifo di camera. Il letto non era neanche<br />
stato rifatto dall’ultimo pernottamento, le lenzuola non<br />
erano state cambiate e da quello che ho visto dovevano<br />
essersi divertiti abbastanza quella notte.<br />
Le pareti erano grigie per la nicotina imprigionata da anni.<br />
Scarafaggi mostruosi passeggiavano indisturbati sul<br />
pavimento e sui muri. Il bagno era un misto di urina e<br />
vomito accozzati da settimane, la doccia poi, era<br />
impraticabile, a dire il vero in quella stalla era tutto<br />
impraticabile, c’era un buon 98% di probabilità di<br />
prendere una peste se solo avessi provato a toccare<br />
qualcosa. In confronto, le celle dei sotterranei<br />
dell’Ancharos erano suite imperiali.<br />
Tuttavia non avevo molta scelta, dovevo starmene buono<br />
al sicuro per qualche ora e quello era l’unico posto che ero<br />
riuscito a trovare per pochi dollari.<br />
La locanda era vuota a quell’ora di mattina, non mi<br />
sorprendeva che non fosse abitata dalla mia gente,<br />
Ancharos come me. Noi siamo più raffinati.<br />
Attesi impaziente che calasse il sole, sbirciando curioso i<br />
movimenti dei miei nel vicolo sotto la mia finestra, e non<br />
appena si fecero vive le prime ombre, abbandonai per<br />
sempre quel posto.<br />
Era gennaio, sentivo freddo ed ero tremendamente<br />
affamato. E vivere nella città dei venditori di cibo<br />
ambulanti è una tortura per chi soffre la fame da giorni.<br />
Avrei dato qualunque cosa anche solo per un bel bicchiere<br />
di latte caldo. Non mi ero mai trovato in una situazione<br />
simile. Il collegio in quei momenti non mi sembrava<br />
neanche tanto brutto e per un breve istante - solo uno e<br />
molto molto breve -, mi dispiacque perfino d’averlo<br />
distrutto.<br />
94
Però non era tanto la fame a darmi noia quella sera. Mi<br />
scioccava soprattutto l’idea di non avere un tetto sulla<br />
testa. Di giorno ero troppo esposto alla vista degli Agenti.<br />
Era passata la mezzanotte e non mangiavo niente da due<br />
giorni. Mi stringevo nel cappotto vagabondando per le<br />
strade del centro. Passai davanti ad un carretto di hot dog<br />
e, istintivamente, mi assalirono brutti pensieri. Non<br />
sarebbe stato difficile mettere fuori combattimento<br />
l’ambulante e concedermi almeno un morso di quei panini<br />
dall’odore invitante. Ritrovai la ragione ricordando che<br />
avevo giurato a me stesso che, per quanto possibile, non<br />
avrei più ucciso nessuno dopo la strage dell’Ancharos.<br />
Proseguii dritto per la mia strada, nonostante continuassi a<br />
voltarmi involontariamente nella direzione del carretto. Mi<br />
stupii nel constatare che New York di notte è ancora più<br />
viva che di giorno. I locali gridavano la loro musica<br />
invitando chiunque volesse entrare. Chiunque avesse<br />
denaro, si intende.<br />
La calca all’ingresso di uno di quei locali mi incuriosì al<br />
punto da provare a dare una sbirciatina all’interno.<br />
Credevo fosse di libero accesso, poi, all’entrata un<br />
bestione mi chiese di esibirgli i documenti ed io come un<br />
cretino glieli mostrai. Quelli per fortuna li avevo lasciati in<br />
tasca insieme a una parte dei contanti il giorno che ero<br />
stato derubato.<br />
><br />
Che scoperta! Stupido io che non ci avevo pensato. Non<br />
ero mai stato buttato fuori da un locale prima d’allora. In<br />
Italia potevo entrare ovunque, soprattutto perché nessuno<br />
avrebbe mai osato rifiutare l’ingresso a un componente<br />
della famiglia Renzi.<br />
Qui sei solo uno dei tanti, sciocco!<br />
Ammetto di esserci rimasto male!<br />
95
Erano quasi le 2:00, non avevo ancora messo nulla sotto i<br />
denti e il mio stomaco cominciava a emettere capricci<br />
rumorosi e imbarazzanti.<br />
Che strazio! Sarebbe stato così semplice aggredire<br />
qualcuno nella notte e procurarmi il denaro di cui avevo<br />
bisogno e, invece, mi ostinavo a fare il bravo ragazzo, a<br />
rispettare le regole.<br />
Le 2:00 divennero presto le 4:00. Mi trovavo nella<br />
snervante posizione di dover abbandonare l’idea della<br />
colazione e mettermi in cerca di una sistemazione.<br />
Non potevo permettermi neanche qualche ora nella stalla<br />
del giorno prima e poi, avevo tutta l’intenzione di trovare<br />
qualcosa di meglio, ma era tardi e non avevo più tutto<br />
questo tempo.<br />
Voltato un vicolo cieco nella 34 a udii dei lamenti<br />
provenire da dietro un cassonetto. Mi avvicinai cauto e<br />
vidi una ragazza di colore accovacciata a terra priva di<br />
forze. Non gli avrei dato più di diciassette anni.<br />
Era terrorizzata. Aveva avvertito la mia presenza, ma non<br />
alzò gli occhi per guardarmi, era troppo spaventata, magari<br />
all’idea di ritrovarsi davanti il suo aggressore.<br />
> le chiesi stranamente<br />
intimidito. Lei non rispose, fece solo cenno di no con la<br />
testa, sollevandola appena per guardarmi.<br />
Le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi e quando l’afferrò,<br />
notai che aveva la sua leggermente arrossata.<br />
Ebbi tutto chiaro poi, appena si alzò. > mi<br />
rispose lei singhiozzando.<br />
Non era una ferita grave la sua e dalla profondità<br />
dell’ustione sull’addome capii che l’aggressione era stata<br />
solo superficiale, forse l’aggressore era stato disturbato da<br />
qualcosa e costretto a fuggire prima di finire il lavoro. Non<br />
96
ne fui sorpreso, avevo sentito molte volte di aggressioni di<br />
questo tipo da parte della mia gente: una vita in cambio di<br />
un’altra. Non mi turbò affatto trovarmi di fronte a una<br />
queste realtà, ma mi scioccarono i suoi occhi… vi si<br />
leggeva il terrore stampato a chiare lettere.<br />
> le chiesi.<br />
> mi<br />
rispose ingenuamente.<br />
> dissi io.<br />
><br />
Te ne sei resa conto solo ora?<br />
> la rassicurai.<br />
> mi chiese incuriosita dalla<br />
mia insolita cultura su quell’argomento.<br />
Risposi col sorriso più rassicurante che avessi.<br />
Ricambiò il sorriso, fissando la sua mano ancora stretta<br />
nella mia. D’un tratto però la vidi raggelare.<br />
> esclamò impaurita.<br />
Vidi il mio tatuaggio sbucare dalla manica del cappotto > provai a spiegarle, ma<br />
ormai lei aveva già tratto le sue conclusioni e non ne<br />
voleva sapere delle mie spiegazioni.<br />
> gridò incattivita dalla paura.<br />
Quello era esattamente il tipo di reazione che mi<br />
indisponeva > le urlai contro sperando di calmarla. Naturalmente<br />
servì solo a farla spaventare di più. Feci qualche passo<br />
indietro aprendogli la via di fuga. Senza rispondere,<br />
97
afferrò al volo il suggerimento e fuggì senza più voltarsi<br />
indietro.<br />
Albeggiava ormai da qualche minuto ed io avevo solo<br />
perso tempo.<br />
Tirai su il cappuccio della felpa e continuai la mia ricerca.<br />
Erano le 6:20 e il sole di gennaio era ancora timido e<br />
gelido a quell’ora.<br />
Alle 7:00 poi, mi ritrovai davanti l’ingresso di una chiesa.<br />
Non vi entravo da così tanto tempo. Comunque, che male<br />
poteva farmi?<br />
Stetti ancora qualche minuto a pensare, poi entrai.<br />
Era maestosa al suo interno, eppure da fuori non sembrava<br />
così grande. Le vetrate in alto, vicino al soffitto, erano in<br />
vetro colorato. Emanavano luce, ma impedivano ai raggi<br />
del sole di penetrare direttamente all’interno dell’edificio.<br />
Mi piacevano le chiese, ma dalla morte di Mark ero<br />
talmente in collera con Dio da averlo ripudiato dal mio<br />
cuore.<br />
Mi sedetti su una delle panche e me ne stetti tranquillo per<br />
un po’.<br />
Vi regnava un silenzio surreale, come se nessuno avesse<br />
mai potuto infrangere la pace che sprigionava quel posto.<br />
Di tanto in tanto qualche fedele entrava per portare dei<br />
fiori, accendere qualche cero o semplicemente per pregare.<br />
Avevano tutti un’area gentile e in pace con se stessi.<br />
Mi piaceva guardarli, mi rassicurava sapere che non<br />
esisteva solo violenza in questa città.<br />
All’improvviso poi, devo essermi addormentato, perché<br />
ricordo solo di essere stato svegliato dal reverendo.<br />
> mi chiese, preoccupato che mi<br />
fossi sentito poco bene.<br />
98
risposi fregandomi gli occhi assonnati.<br />
> mi domandò.<br />
><br />
><br />
> mormorai sincero.<br />
Il reverendo non mi capì e a dire il vero, questo non poteva<br />
che farmi piacere.<br />
><br />
continuò insistente.<br />
> risposi.<br />
> mi disse.<br />
> come facevo a dire a un<br />
sacerdote che ero arrabbiato con Dio perché aveva<br />
permesso che uccidessi il mio miglior amico?<br />
><br />
disse gentilmente.<br />
Aveva degli occhi stupendi quell’uomo, il suo sguardo mi<br />
ricordava quello di Mark. Non riuscivo a distogliergli lo<br />
sguardo di dosso, mi sentivo stregato. Sentivo che per<br />
nulla al mondo avrei voluto perdere di nuovo quegli occhi.<br />
Eppure ritrovarli sul viso di qualcun altro mi spezzava il<br />
cuore ><br />
Mi guardò stranito, non riusciva a capire, e quella<br />
conversazione, o più probabilmente il modo in cui lo<br />
fissavo, cominciava a metterlo a disagio.<br />
> mi disse.<br />
99
insistei alzandomi in piedi.<br />
> mi<br />
rassicurò.<br />
> risposi avviandomi verso<br />
l’uscita e lasciandolo lì con tutte le sue domande.<br />
Mentre ero in cerca di un nuovo nascondiglio non riuscivo<br />
a non pensare alla ragazza del vicolo.<br />
Erano quasi le 14:00<br />
Vagavo per Central Park. Stavo congelando.<br />
Mi rendevo conto che non avrei potuto continuare così,<br />
dovevo trovare dei soldi, un appartamento e soprattutto<br />
qualcosa da mangiare.<br />
Avrei potuto chiamare mio padre, ma ero ancora troppo<br />
stupidamente orgoglioso per farlo.<br />
Mi misi a sedere sotto un albero, aspettando che arrivasse<br />
finalmente il tramonto per mettermi in cerca di qualcosa.<br />
Mi addormentai di nuovo e, di nuovo fui svegliato da una<br />
voce.<br />
><br />
Quando aprii gli occhi mi trovai di fronte cinque ragazzoni<br />
dall’aspetto spavaldo.<br />
> li avvertii.<br />
> disse uno di loro con un coltello in<br />
mano. I miei abiti firmati dovevano avergli dato la falsa<br />
illusione di poter ricavare un bel bottino.<br />
><br />
Al ché uno di loro mi prese per il cappotto e mi tirò su.<br />
> disse.<br />
Non lo feci neanche finire di parlare, con un paio di mosse<br />
il mio ginocchio destro era sulla sua gola e il coltello<br />
puntato al petto.<br />
100
ipetei ancora<br />
digrignando i denti.<br />
Gli altri quattro ragazzi erano rimasti impietriti, il loro<br />
compagno era almeno due volte più grosso di me, eppure<br />
non era riuscito a muovere un muscolo.<br />
> propose uno di loro.<br />
Mi guardai intorno, non c’era nessuno. Non so…, forse la<br />
rabbia del momento, forse l’idea di essere stato rapinato<br />
due volte in meno di due settimane, sarà stato il freddo o<br />
forse semplicemente la fame, ma sentii un’irrefrenabile<br />
voglia di affondare la lama in quel collo pallido.<br />
Non lo uccisi naturalmente, lo lasciai fuggire con i suoi<br />
amici, ma dopo averli spaventati a morte mi sentii molto<br />
meglio.<br />
Imbacuccato com’ero non mi avrebbero mai riconosciuto,<br />
ma di certo non mi avrebbero dimenticato.<br />
> esclamai soddisfatto prima di<br />
andarmene.<br />
Erano le 16:32, il sole sarebbe calato a momenti ed io ero<br />
pronto ad affrontare un’altra nottata per le strade gelide di<br />
New York.<br />
101
102<br />
12<br />
Il compleanno di mio nonno è sempre un evento in città.<br />
Sono presenti le maggiori cariche politiche nazionali e<br />
personaggi di prestigio internazionali non rinunciano mai<br />
al piacere di trascorrere una giornata fra i più illustri<br />
personaggi del mondo che conta. Si inizia a preparare la<br />
lista degli inviti già tre mesi prima. Giuro d’aver visto, due<br />
anni fa, la moglie di un’alta carica dell’esercito tirarsi i<br />
capelli con una vedova, che non nominerò, perché la<br />
seconda insinuava che lei non sarebbe mai stata invitata a<br />
causa di un piccolo battibecco tra suo marito e mio zio<br />
Sergio.<br />
Tutti quelli che contano vogliono partecipare al party e<br />
sarebbero disposti a tutto pur di figurare in quella dannata<br />
lista.<br />
Mio nonno decide personalmente chi è dentro e chi fuori e,<br />
giuro, è molto semplice rimanere fuori.<br />
Ho sempre odiato quel giorno, anche perché un party di<br />
dodici ore può reggerlo solo quella folla di svitati, che al<br />
mattino dopo non ha niente da fare.<br />
Io sono sempre stato costretto a partecipare. Sono l’Erede,<br />
e la mia gente deve imparare a vedere in me il successore<br />
del capostipite della mia famiglia. A poco importa che non<br />
mi interessino quelle dimostrazioni pubbliche.<br />
Gli Ancharos di stirpe pura sono sempre più rari. Le<br />
unioni con i comuni rendono sempre più frequenti le<br />
nascite di sangue misto. I poteri di un Impuro sono più<br />
deboli e soggetti a svanire col tempo. Un impuro, infatti,<br />
potrà generare solo eredi di sangue misto, che a sua volta<br />
genererà altri eredi dal sangue sempre più sporco. I poteri<br />
con le generazioni future finiranno con lo scomparire del
tutto, portando all’estinzione della specie, e questo è<br />
inaccettabile.<br />
Questo pericolo però andava a favore della mia famiglia,<br />
che godeva del rispetto indiscusso dei tre capistirpe. La<br />
famiglia Renzi è una delle più antiche, seconda solo alla<br />
famiglia Darwood, Giudici d’Irlanda. La terza è la<br />
Vonkhander, ma sta attraversando momenti difficili a<br />
causa di una disgraziata coincidenza di nascite femminili<br />
negli ultimi decenni. So che stanno pensando di ricorrere a<br />
fecondazioni assistite per garantire continuità alla<br />
famiglia, ma forse sono solo pettegolezzi.<br />
Per il party il giardino e il parco sarebbero stati addobbati<br />
a festa. Anche se il tempo non era dei migliori a febbraio,<br />
non mancava mai la famosa caccia al tesoro nel parco.<br />
Neanche quest’anno sarebbe mancata, ma a differenza<br />
delle precedenti, la posta in gioco sarebbe stata molto più<br />
ricca. Il tesoro in palio era un diamante rosa delle<br />
dimensioni di una pallina da golf, ordinato personalmente<br />
dal più grande trafficante di diamanti attualmente in<br />
circolazione. Aveva donato il pezzo alla causa in cambio<br />
di un invito alla festa che, a sua detta, gli avrebbe fruttato<br />
dieci volte tanto. Alla caccia al tesoro si partecipa in<br />
coppie, perché solo per coppie è l’invito, che sia una<br />
moglie, un fratello, un amico, uno sconosciuto, non<br />
importa, purché ci si presenti accompagnati e,<br />
naturalmente il compagno è scelto da mio nonno. Tre anni<br />
fa più di una coppia era composta da persone che non<br />
avevano la minima idea di chi fosse il proprio compagno.<br />
Si presentavano al cancello da soli e se il compagno<br />
designato non era ancora arrivato, erano costrette ad<br />
attendere fuori con le guardie e gli altri invitati solitari.<br />
Solo una mente sadica può concepire certi meccanismi di<br />
gioco, perché solo di questo si trattava per mio nonno, di<br />
un gioco.<br />
103
Gli invitati puntuali sono snervanti. Eppure sono<br />
personaggi di un certo spessore. Non sanno che si arriva<br />
sempre con un ragionevole margine di ritardo agli eventi<br />
importanti? Non li abbiamo mica invitati a cena!<br />
Ero in Villa da un’ora e mezza e già mi sentivo soffocare.<br />
Stefano si stava ancora preparando e Thomas giocava con<br />
una delle animatrici che avrebbero intrattenuto i baby<br />
miliardari d’oltreoceano, mentre i genitori erano impegnati<br />
nella caccia al tesoro.<br />
Avevo bisogno di qualche attività che mi distraesse per far<br />
trascorrere più velocemente quella nottata folle. Più di<br />
tutto però, volevo evitare i saluti forzati dei puntuali.<br />
Anche se li conoscevo abbastanza, non avevo voglia di<br />
intrattenermi a conversare con loro, perché il più delle<br />
volte si finiva col parlare di niente.<br />
Gli addetti all’allestimento del gioco erano ancora immersi<br />
nel boschetto del parco per sistemare le trappole e i<br />
depistaggi. Io non avrei partecipato, quindi per me l’area<br />
non era off limits come per gli invitati.<br />
Non sopportavo l’atmosfera frenetica che si respirava in<br />
casa, l’odore dell’ansia era troppo fastidioso per le mie<br />
narici.<br />
Fare la statua in giardino però era altrettanto fastidioso per<br />
via del freddo, così mi decisi a fare una passeggiata lungo<br />
i sentieri del bosco addobbati a festa. Non potevo<br />
inoltrarmi all’interno della boscaglia per non far scattare le<br />
trappole, ma i sentieri silenziosi erano più che sufficienti a<br />
farmi passare quel senso di claustrofobia che sentivo ogni<br />
volta che varcavo il cancello della Villa.<br />
Il giardino era affollato. Uomini e donne in abiti da sera e<br />
gioielli pregiati fluttuavano sul prato all’inglese per posare<br />
104
i regali sul lungo tavolo rivestito di teli di seta e motivi<br />
orientali, accanto al grande drago di ghiaccio al centro<br />
della tavolata delle bevande.<br />
Lucerne cinesi dondolavano al venticello leggero dai rami<br />
del viale alberato per accompagnare gli ospiti al centro del<br />
giardino.<br />
L’oriente era il tema della serata.<br />
Dal bosco riuscivo a sentire il chiacchiericcio delle<br />
pettegole. Mio nonno le invitava di proposito, tutti gli<br />
anni, per conoscere le ultime novità sul mondo che conta.<br />
Il sentiero est del parco, a circa trecento metri, si divide in<br />
due viuzze più strette che si perdono nel folto del bosco.<br />
Non potevo proseguire, così mi voltai per tornare indietro.<br />
Avrei preso il sentiero a sud fino al laghetto di ninfee. Non<br />
avevo ancora voglia di mescolarmi agli invitati, forse<br />
l’avrei fatto quando il pesante Gong avrebbe dato inizio<br />
alla caccia al tesoro.<br />
Dopo una cinquantina di metri mi chinai a terra a<br />
raccogliere un braccialetto che non avevo notato prima,<br />
ma appena mi rialzai mi sbucò davanti una creatura<br />
mostruosa.<br />
Mi balzò il cuore in gola > gridai<br />
tra rabbia e spavento.<br />
Carmine si sfilò la maschera e scoppiò a ridere.<br />
Sentivo ancora il cuore battermi forte contro il petto, ma<br />
non riuscii a non ridere a mia volta > dissi strappandogli la maschera di mano per<br />
guardarla meglio.<br />
Non riusciva smettere di ridere ><br />
Gli feci una smorfia di scherno e mi infilai la maschera. La<br />
fessura per gli occhi era talmente stretta da premettere una<br />
105
visuale solo frontale ><br />
> sorrise ><br />
><br />
><br />
><br />
> e rise di nuovo.<br />
><br />
Mi indicò un punto in alto alla nostra destra.<br />
><br />
><br />
><br />
Inutile, continuava a ridere.<br />
Il Gong suonò dopo il discorso di benvenuto del<br />
festeggiato. Erano stati distribuiti degli opuscoli con il<br />
regolamento di gioco e il primo indizio era stato distribuito<br />
sotto forma di biscotto della fortuna. Ci misero un po’<br />
prima di capire che il messaggio all’interno dei biscotti era<br />
uguale per tutti solo perché si trattava dell’indizio per<br />
iniziare la ricerca del tesoro. Il primo che se ne accorse<br />
diede il via ai giochi, perché si precipitarono tutti alla<br />
tavolata dei dolci per prenderne uno. Il Gong, infatti,<br />
suonò proprio quando la folla che ancora non ne aveva<br />
preso neanche uno si mosse verso il vassoio di biscotti.<br />
Carmine si fece restituire la maschera per tornare in<br />
postazione. Io lo seguii dopo aver rimesso a terra il<br />
bracciale che avrebbe fatto scattare la trappola.<br />
106
I tranelli più spaventosi erano stati posti lungo i percorsi<br />
giusti, per far fuggire i giocatori e allontanarli dal tesoro.<br />
Devo ammettere che fu davvero divertente vederli crollare<br />
uno dopo l’altro. Le grida stridule di certi uomini non<br />
potevano suscitare altro che ilarità. Ma forse mi<br />
divertivano perché sono un po’ sadico anch’io.<br />
Per un momento il divertimento passò quando vidi<br />
attraversare il sentiero dall’unica persona che non mi sarei<br />
mai e poi mai aspettata di vedere lì quella sera. Solo un<br />
momento però.<br />
><br />
><br />
Sorrisi ><br />
Denise si aggirava circospetta. Era sola. Non sembrava<br />
aver voglia di proseguire, perché nella nostra direzione il<br />
bosco era tenuto al buio di proposito. Si guardò alle spalle,<br />
forse attendeva il compagno. Non c’era nessuno. Era<br />
abbastanza vicina da sentirne l’odore della paura. Mi<br />
sporsi di un paio di passi più vicino al sentiero, ma<br />
calpestai un ramoscello secco e il rumore la immobilizzò.<br />
Improvvisamente fu come se ogni ronzio risuonasse al suo<br />
udito come un botto di capodanno. Si accorse d’avere<br />
paura. Era rimasta ferma nell’unico tratto illuminato. Il<br />
buio dietro di sé e il buio davanti. Era già abbastanza<br />
spaventata, senza che ci mettessi del mio. Mi sfilai la<br />
maschera e la lanciai a Carmine, che l’afferrò al volo. Era<br />
ancora immobile. Andare avanti o tornare indietro? Che<br />
atroce dilemma. Eppure mi aspettavo che tornasse verso<br />
gli altri, invece si mosse verso di me, a passo svelto. Le<br />
labbra si muovevano in modo quasi impercettibile. Che<br />
stesse pregando? Però adesso il suo sguardo era fiero e<br />
coraggioso. La velocità dell’andatura dimostrava che era<br />
in allarme, ma sembrava aver ripreso il pieno controllo<br />
della situazione. Si aspettava il peggio ormai, per questo<br />
107
iusciva a mantenere la calma. Dopotutto, era<br />
perfettamente cosciente che si trattasse solo di un gioco.<br />
Non volevo spaventarla, così feci rumore di proposito e la<br />
chiamai.<br />
Si voltò a cercarmi nel bosco. Un gran sorriso le illuminò<br />
il volto appena mi riconobbe fra gli alberi.<br />
Mi avvicinai sorridendo. Ero sinceramente contento di<br />
vederla.<br />
> chiese.<br />
><br />
><br />
Risi ><br />
Stava sorridendo, ma all’improvviso cambiò espressione.<br />
Sentivo indistinto il battito del suo cuore accelerare.<br />
> chiesi preoccupato.<br />
Continuava a fissarmi, dritto negli occhi. Mi era capitato<br />
solo una volta di vedere due occhi così. Il suo sguardo mi<br />
penetrò dentro come un ferro rovente.<br />
Rimasi a fissarla serio per un istante. Perché era<br />
spaventata?<br />
Chinò la testa intimidita. Intimorita da me. L’avevo tolta<br />
davvero la maschera, o era ancora sul mio viso e non me<br />
ne rendevo conto?<br />
La vidi abbassarsi a raccogliere il bracciale a terra. Ero<br />
talmente immerso nei miei pensieri che non badai a<br />
fermare Carmine, che sbucò dal nulla, più mostruoso della<br />
prima volta.<br />
Il grido di Denise si perse nella boscaglia.<br />
Riuscii ad afferrarla un attimo prima che toccasse terra<br />
priva di conoscenza.<br />
> strillai.<br />
108
La adagiai piano a terra ><br />
Non riuscivo a toglierle lo sguardo di dosso, sembrava<br />
appena uscita da un sogno. L’abito lungo color lavanda,<br />
drappeggiato alla romana, coperto da una mantella bianca<br />
dai bordi di pelliccia, la faceva sembrare una Cappuccetto<br />
rosso ambientata nell’antica Roma. Non c’era traccia sul<br />
suo viso della ragazza sciatta e artificiale che vedevo<br />
all’università da quasi un anno. Era la Denise che mi<br />
aveva affascinato al corso di chimica > le carezzavo il viso che tornava a riprendere<br />
colore sotto il tocco delle mie dita. Aprì gli occhi<br />
lentamente. Rabbrividii. Non so se mi fece più<br />
impressione il suo aspetto serio o i suoi occhioni tristi di<br />
ghiaccio.<br />
Era una sensazione strana la mia, perché volevo<br />
allontanarmi da lei. Subito. Eppure non riuscivo a farlo.<br />
><br />
Mi mise un braccio attorno al collo e la aiutai ad alzarsi.<br />
><br />
Non riusciva a dire una parola e non riusciva a smettere di<br />
fissarmi. Ma perché? Poi finalmente parlò. ><br />
><br />
> rispose scrollandosi<br />
un po’ di sabbia dal mantello.<br />
><br />
> disse<br />
ingenuamente.<br />
> mormorai abbozzando un sorriso. ><br />
Spalancò gli occhi per la sorpresa. Mi sembrarono ancora<br />
più belli. ><br />
><br />
109
><br />
><br />
Dopotutto è quello che cerchi, no?<br />
><br />
> mormorò triste fra sé, guardando verso il<br />
buio dietro di noi.<br />
> chiesi distogliendola per un attimo<br />
dai suoi cupi pensieri.<br />
><br />
><br />
Non rispose.<br />
Rammenta l’undicesimo comandamento! ><br />
> disse<br />
guardandomi la mano destra fasciata ><br />
> risposi sorridendole.<br />
Sentii arrivare altri giocatori, così la tirai da parte dopo<br />
aver posato il bracciale al suo posto ><br />
Scelse di imboccare il sentiero nord della biforcazione. Era<br />
la direzione sbagliata, perché svoltava a est riportando al<br />
sentiero principale, ma, come promesso, la lasciai fare.<br />
> chiesi.<br />
><br />
110
Solo carina?<br />
Era passato così tanto tempo che non ricordavo neanche<br />
più l’ultima volta che avevo fatto un complimento sincero<br />
a una donna. Avrei facilmente ammesso che era<br />
bellissima, se non fossi sempre così orgoglioso.<br />
> Da quando ci eravamo messi in cammino<br />
non mi aveva più guardato, ma non perché fosse occupata<br />
nelle ricerche, era evidente che evitava il mio sguardo.<br />
Meglio cambiare argomento!<br />
><br />
><br />
Questo è cambiare argomento?A che serve tergiversare,<br />
vai al sodo, no? Quando ti ricapita un’occasione come<br />
questa?<br />
> chiesi d’un fiato.<br />
Mi guardò inorridita dalla domanda.<br />
Spesso dimentico di pensare e basta. Ancora più spesso<br />
poi, mi rendo conto che le premesse per i discorsi che<br />
faccio le creo solo nella mia testa, lasciando il mio<br />
interlocutore nella più buia confusione.<br />
Idiota!<br />
><br />
><br />
> ammisi ><br />
Sì, adesso ti sei proprio spiegato meglio.<br />
L’occhiataccia di Denise era la prova del contrario.<br />
Sbuffai.<br />
Riprova, la prossima sarai più fortunato.<br />
><br />
111
ALEX!<br />
Rise ><br />
Mi mordicchiavo il labbro inferiore. Doveva pur essere<br />
rimasto un minimo di buon senso nel mio cervello.<br />
><br />
><br />
><br />
Perché è uno degli Agenti del Clan e forse tu sei<br />
d’accordo con loro per eliminare la mia gente.<br />
><br />
><br />
A pugni? Voleva spararmi quel bastardo. Mi pedina da<br />
due anni. Lo sai che va in giro armato?Ma certo che sì,<br />
non ci sono segreti fra i membri del Branco.<br />
Probabilmente il tuo improvviso interesse per me ha una<br />
spiegazione molto più logica di quella che ho creduto<br />
finora. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?<br />
> chiese curiosa.<br />
><br />
><br />
Per fortuna sbucammo sul sentiero centrale del bosco. A<br />
una ventina di metri da noi si era formata una piccola calca<br />
di giocatori.<br />
> disse indicandomelo con l’indice<br />
mentre prendeva un po’ le distanze.<br />
Non lo avevo mai visto prima, così come non avevo mai<br />
visto un’aura nera come la sua.<br />
Celine era seduta su una delle panchine di marmo del viale<br />
sterrato. Mi fissava. Arrabbiata. Offesa. Contrariata. Si<br />
alzò senza smettere un attimo di guardarmi.<br />
112
chiese Denise, ma io stavo fissando Celine andare via.<br />
><br />
><br />
> risposi serio e con lo sguardo un po’<br />
preoccupato.<br />
><br />
><br />
E adesso perché fai lo scontroso? Che colpa ne ha lei?<br />
Sta con loro, ecco la sua colpa.<br />
> esclamò dispiaciuta ><br />
> risposi fingendo un mezzo<br />
sorriso, poi mi allontanai a nord del viale per cercare<br />
Celine. Le dovevo delle spiegazioni e, belle o buone,<br />
avrebbe dovuto starmi a sentire.<br />
><br />
Celine camminava nervosamente in camera nostra.<br />
Braccia incrociate al petto, il respiro affannato dalla<br />
tensione.<br />
><br />
> sbottò, fermandosi a pochi centimetri da<br />
me.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> stava<br />
gridando.<br />
113
><br />
Scossi la testa ><br />
><br />
><br />
><br />
Non ne potevo più. Vederla era uno dei motivi che mi<br />
teneva lontano dalla Villa. Ne uscivo sempre distrutto,<br />
come se tutti gli sforzi per risalire a galla non fossero<br />
serviti a niente. ><br />
> disse seria ><br />
> gridai col fiato mozzato da un<br />
magone che mi riempiva gli occhi di lacrime. Mi lasciai<br />
cadere ginocchia a terra. La fronte sul pavimento ><br />
114
13<br />
Fin dai primissimi giorni a New York mi resi conto di non<br />
saper vivere a quel modo.<br />
Mi costava ammetterlo, ma non ero ancora in grado di<br />
provvedere economicamente alle mie esigenze da solo,<br />
dopotutto, non lo avevo mai fatto prima. L’idea di<br />
trovarmi un lavoro poi, non mi aveva mai sfiorato la mente<br />
neanche per sbaglio. Ero in vacanza!<br />
Dopo l’ennesima aggressione decisi di mettere da parte<br />
l’orgoglio. Non mi restava altra scelta che trovare qualche<br />
spicciolo e chiamare i rinforzi.<br />
Non dovetti neanche ingegnarmi troppo per trovarli, mi<br />
bastò aspettare che calasse la notte, terrorizzare il primo<br />
malcapitato, farmi dare gentilmente qualche dollaro e<br />
trovare un telefono pubblico da cui telefonare.<br />
Il ruolo da teppista mi è sempre calzato a pennello. Ci<br />
voleva poco a farmi perdere la pazienza, e rendermi<br />
odioso, mi risultava spaventosamente naturale.<br />
Per fortuna i soldi per la telefonata non erano molti,<br />
altrimenti starei ancora lì a sorbirmi la ramanzina di mio<br />
padre.<br />
La sera dopo però, come stabilito, ero già all’aeroporto ad<br />
aspettare Federico e i suoi. Mio padre aveva promesso<br />
rifornimenti alla mia altezza. Uno dei tanti rifornimenti fu<br />
mio nonno.<br />
Con la scusa di dover risolvere delle questioni importanti<br />
ne approfittò per braccarmi due settimane intere.<br />
> fu la prima cosa che chiesi.<br />
> mi squadrò ><br />
115
Provai a fare un rapido calcolo, ma non ne ero sicuro, la<br />
mia mente era troppo provata dalla mancanza di zuccheri,<br />
potevo aver facilmente trascurato un giorno o due ><br />
><br />
> lo corressi.<br />
Alzò gli occhi al cielo sbuffando ><br />
I primi due giorni pernottammo nell’Hotel che aveva<br />
prenotato al mio arrivo. Giusto il tempo per le trattative di<br />
affitto di un magnifico appartamento a West Park. Averlo<br />
tra i piedi non fu terribile come mi aspettavo, perché non<br />
c’era quasi mai e quando mi rivolgeva la parola era solo<br />
per darmi qualche dritta fondamentale per vivere in città<br />
senza correre il rischio di farmi ammazzare dal primo<br />
teppista di strada che incontravo sul mio cammino.<br />
Una settimana dopo il suo arrivo, iniziò l’andirivieni di<br />
corrieri per consegnare il resto della mia roba. Dovevo<br />
potermi muovere in sicurezza, quindi avevo bisogno di<br />
una macchina. Tra le altre cose, la mia Mercedes Benz SL<br />
SV12 S Biturbo roadster.<br />
Il pensiero più apprezzato.<br />
Dall’Italia giunsero perfino tre cameriere, un autista – con<br />
la mia macchina appunto - e sei guardie del corpo. Il<br />
personale era elegantemente alloggiato in tre lussuosi<br />
appartamenti adiacenti al mio, uno per le donne e due per<br />
gli uomini.<br />
Aveva ricreato un piccolo Impero totalmente a mia<br />
disposizione e quella volta non fui tanto stupido da<br />
rifiutare.<br />
116
In breve mi sentii di nuovo me stesso, finalmente riuscivo<br />
a riconoscermi, dopo un bagno caldo e dei vestiti puliti ero<br />
tornato a essere l’Alessandro di sempre. Ero stato povero<br />
per meno di una settimana e avevo già assaporato la<br />
malignità umana.<br />
Era una situazione tutta nuova per me, non ero mai stato<br />
per così tanto tempo a contatto con la gente comune e quel<br />
poco che avevo visto non mi era piaciuto.<br />
Ero stato derubato, aggredito, ero stato scacciato,<br />
maltrattato e tutto in un pugno di giorni.<br />
Mio padre mi aveva avvertito, lo ammetto, mi aveva<br />
messo in guardia ancor prima di lasciare l’Italia. E più mi<br />
incitava a restare, più mi ostinavo a partire. Non volevo<br />
credergli fino in fondo. Ero troppo convinto che cercasse<br />
di spaventarmi per impedirmi di partire, e aveva<br />
perfettamente ragione.<br />
> mi ripeteva ><br />
Capire cosa? Non riuscivo a mettere a fuoco i suoi giri di<br />
parole, non riuscivo a vedere le cose come le vedeva lui,<br />
ma solo perché non avevo ancora visto quello a cui aveva<br />
assistito lui.<br />
Le morti atroci dei componenti della nostra gente le avevo<br />
sempre vissute come meschini atti vandalici. Mi<br />
trastullavo tra l’idea d’essere tremendamente sfortunato e<br />
l’idea di vivere in un mondo barbaro. Non avevo mai<br />
ancora associato le mie sciagure al mio essere Ancharos.<br />
Mi rifiutavo di credere che potesse esistere davvero<br />
un’organizzazione millenaria che desiderasse a tutti i costi<br />
solo la nostra estinzione.<br />
117
Le settimane che mio nonno rimase a New York filò tutto<br />
liscio come l’olio, sembrava conoscesse tutti in città, tutta<br />
la gente importante, s’intende.<br />
Aveva le porte spalancate per ogni cosa.<br />
Mi presentò a molte di quelle persone e a ognuna chiese<br />
un occhio di riguardo, > diceva.<br />
Quegli uomini conoscevano la vera natura di Tommaso<br />
Renzi, avrebbero preferito staccarsi a morsi un braccio<br />
piuttosto che scatenare la sua ira.<br />
Mi sentivo un po’ a disagio in quel frangente, ero una<br />
specie di raccomandato speciale, ma almeno avevo la<br />
sicurezza che non mi sarebbe accaduto nulla di male.<br />
Ricordo che uno di quegli uomini, un signore molto<br />
distinto, sulla cinquantina, gli rispose > si<br />
lisciava i baffetti fini e scuri come dovevano esserlo stati i<br />
suoi capelli prima di tingersi di zone grigiastre. Aveva<br />
uno sguardo molto severo >.<br />
> gli rispose mio nonno seccato.<br />
Se qualcuno si stesse chiedendo da chi abbia ereditato il<br />
mio caratteraccio, beh…<br />
Appena sentii nominare gli Agenti mi permisi di<br />
intromettermi nella discussione, ma fui prontamente<br />
ammutolito da un’occhiataccia di mio nonno, che mi<br />
invitava gentilmente a chiudere il becco e farmi gli affari<br />
miei.<br />
Non emisi più un fiato per tutto il tempo.<br />
118
Quando fummo a casa si prese finalmente la briga di<br />
spiegarmi quali fossero le regole riguardo al Clan lì a New<br />
York.<br />
È chiaro tutto quello che ti ho detto? Hai qualche<br />
domanda? Non sto scherzando, Alessandro, se vuoi<br />
davvero rimanere qui devi seguire alla lettera le mie<br />
indicazioni. Perché al primo passo falso te ne torni dritto a<br />
casa. Capito?>><br />
Io annuii, anche se mi sentivo un po’ confuso. Mio nonno<br />
mi aveva illustrato un mondo troppo contorto, differente<br />
dalla realtà che avevo sempre vissuto in Italia.<br />
Ero libero di fare tutto quello che volevo, ma nulla<br />
avrebbe potuto implicare in nessun caso un<br />
coinvolgimento con la gente comune.<br />
Assurdo! Impossibile!<br />
Andai a letto molto turbato, nella testa ancora mi<br />
ronzavano nitide le sue parole. Improvvisamente non mi<br />
sembrava più una grande idea rimanere lì. Che senso<br />
aveva? Avrei dovuto continuare a frequentare solo la<br />
famiglia, mentre io era da loro che ero fuggito.<br />
La sera successiva mi portò con sé al “Penit bi Oros”. È un<br />
locale molto “in”, frequentato da tutti, Ancharos e non.<br />
Mio nonno mi spiegò che il locale aveva due entrate, una<br />
principale, di copertura, per la selezione della gente<br />
comune e l’esclusione degli Agenti e una secondaria per<br />
gli Ancharos che desiderassero passare inosservati.<br />
All’ingresso principale, infatti, i comuni venivano<br />
marchiati con un timbro sul dorso della mano.<br />
Temporaneamente insolubile, l’inchiostro era un composto<br />
di particolari pigmenti che si sarebbero dissolti<br />
spontaneamente solo dopo qualche giorno, così da non<br />
rischiare che il tatuaggio si cancellasse lavandosi le mani<br />
durante il corso della serata.<br />
L’unico scopo del timbro era di consentire a noi di<br />
riconoscerli.<br />
120
Appena entrammo, il padrone del locale, Gerry, un uomo<br />
magrolino, con gli occhi infossati e delle profonde rughe<br />
che gli solcavano la fronte quando incrociava gli occhi,<br />
salutò affettuosamente mio nonno e mi fece un qualche<br />
complimento che ora non rammento.<br />
> disse scherzoso.<br />
> rispose mio nonno.<br />
Si vide chiaramente che Gerry non era intenzionato a<br />
scatenare quale che sia battibecco con lui, infatti, cambiò<br />
subito discorso > disse poggiandomi una mano<br />
sulla spalla e ci invitò a entrare nell’enorme salone<br />
affollato.<br />
La musica era assordante, centinaia di persone brulicavano<br />
ovunque, e non si riusciva a sentire nulla oltre quel<br />
frastuono. I miei timpani non erano abituati a tanto<br />
rumore, e non capivo come facessero a sopportarlo.<br />
Cominciai a gironzolare per la sala, guardarmi intorno, per<br />
non pensare al fastidio, ma d’un tratto vidi Gerry<br />
avvicinarsi. Non capii cosa mi stesse dicendo, ma dai gesti<br />
intuii che voleva che lo seguissi. Obbedii senza riflettere.<br />
Entrammo in un’altra sala. Appena la porta si richiuse alle<br />
nostre spalle non si udì più nulla.<br />
> spiegò.<br />
><br />
> mi porse due di quei piccoli<br />
miracoli della tecnologia moderna.<br />
> stava<br />
finendo di parlare quando un uomo entrò di colpo nella<br />
121
stanza da una porta nascosta nella parete. Aveva una<br />
donna priva di conoscenza tra le braccia.<br />
> ringhiò ferocemente<br />
Gerry.<br />
La donna aveva la camicia sporca di sangue, mentre<br />
l’uomo era in una sorta di estasi incontrollata. Gli occhi<br />
sbarrati e un sorriso inebetito sul viso sudato.<br />
> ordinò Gerry.<br />
> chiese quell’uomo con una calma<br />
quasi raccapricciante.<br />
> chiese Gerry senza scomporsi, quasi fosse<br />
un’informazione di poco conto.<br />
><br />
><br />
Ma che storia è questa?<br />
Gerry non parve affatto sconvolto dall’accaduto,<br />
evidentemente non era estraneo a quel tipo di incidenti nel<br />
suo locale.<br />
> mi disse ignorando totalmente la<br />
mia espressione turbata. Non disse più nulla, mi<br />
accompagnò di nuovo nel salone.<br />
Effettivamente quei tappi funzionavano, riuscivo a sentire<br />
sia la musica che quello che dicevano gli altri.<br />
Non parlai con mio nonno di quello che avevo appena<br />
visto. Pensai che anche per lui fosse una cosa normale<br />
come per Gerry e non volli aprire un dibattito in proposito.<br />
Non mi rimaneva che cancellare dalla mente quel bizzarro<br />
ricordo. Mi misi a osservare quella moltitudine di corpi<br />
sinuosi in frenetico movimento. Che altro potevo fare?<br />
Non mi sarei mai buttato nella mischia a dimenarmi come<br />
un folle lasciando che schizzi di sudore di estranei mi<br />
imbrattassero viso e abiti nuovi. Potevo dare un’occhiata<br />
in giro più approfondita però.<br />
122
Dal salone principale diramavano varie salette private, che<br />
di tanto in tanto si popolavano di anime finemente<br />
selezionate da uomini all’esterno.<br />
Non capivo come ai comuni potesse passare tutto<br />
inosservato, a me appariva così palese quello che<br />
succedeva in quel locale.<br />
A un certo punto della serata quindi, lasciai mio nonno -<br />
con il Times aperto tra le mani -, discutere di non so che<br />
affari con un uomo dall’aspetto molto autoritario e mi<br />
aggirai curioso per il locale.<br />
Buttai anche un occhio in una delle salette vuote.<br />
All’apparenza era un normalissimo salottino<br />
insonorizzato, all’interno del quale la musica veniva<br />
filtrata da casse che smorzavano vigorosamente il suono<br />
della musica, ma notai una seconda porta all’interno.<br />
Incoscientemente aggirai il buttafuori e decisi di curiosare,<br />
mi infilai così, di nascosto, nel corridoio che apriva quella<br />
porta, per vedere dove andasse a finire. Era buio, ma io<br />
riuscivo perfettamente a vedere tutt’intorno a me. Ai lati<br />
del corridoio si aprivano quattro porte, delle quali, in quel<br />
momento solo una era chiusa. All’interno delle altre si<br />
scorgevano degli altri salottini ciechi, cioè senza finestre o<br />
ulteriori uscite, illuminati solo da debolissimi neon azzurri.<br />
Mentre sbirciavo, dal salottino chiuso si udì un rantolo.<br />
Per un istante il mio cuore smise di battere, intuii subito<br />
cosa stesse accadendo e fui preso da un inaspettato eccesso<br />
di buonismo.<br />
Irruppi in un istante nella stanza e trovai un Ancharos con<br />
la mano violentemente stretta attorno al collo delicato di<br />
una ragazza.<br />
Lei era già terribilmente pallida e priva di sensi e lui non<br />
accennava a lasciarla. L’avrebbe uccisa se non fossi<br />
intervenuto in tempo.<br />
123
L’intento era quello: succhiarne il flusso vitale fino a<br />
ucciderla, per garantirsi una maggiore energia e<br />
un’occasione di vita in più.<br />
Il flusso di morte di cui disponiamo ha un duplice<br />
vantaggio per gli Ancharos: può dare la morte a un<br />
comune essere umano e al contempo risucchiarne l’energia<br />
vitale che gli garantirebbe, in caso di ferita mortale, una<br />
riserva di energia sufficiente a salvargli la vita.<br />
La parte migliore di questo potere è che un Ancharos può<br />
utilizzare la stessa energia per sé o per salvare la vita di<br />
qualcun altro. Non è un brutto potere se non fosse che per<br />
salvare una vita è necessario sottrarne un’altra.<br />
Con gli Agenti alle calcagna, era evidente che<br />
quell’escamotage venisse utilizzato dai nostri per<br />
garantirsi una chance in più contro il nemico. Senza<br />
dimenticare che immagazzinare energia vitale conferisce<br />
una forza disumana.<br />
> esclamai.<br />
Non fu felice di vedermi > ringhiò.<br />
> dissi serio.<br />
Non lo vidi neanche lasciare la presa e far cadere la<br />
ragazza a terra, me lo ritrovai solo addosso inferocito.<br />
Credo non fosse la sua prima vittima quella, perché era<br />
davvero forte.<br />
Una delle discipline fondamentali imparate all’Ancharos<br />
era la lotta e, per sua sfortuna, io ero stato abituato a<br />
scontrarmi con fanatici peggiori di quello.<br />
Tuttavia, mi ci volle tutta la forza che avevo per<br />
togliermelo di dosso, ma quando ripresi il controllo della<br />
situazione, con un paio di colpi ben assestati lo stesi senza<br />
ripensamenti.<br />
124
Sarebbe rimasto a terra solo per qualche minuto però.<br />
Dovevo sbrigarmi a portare in salvo quella ragazza,<br />
sempre che ci fosse stato qualcosa da salvare.<br />
La presi in braccio e la portai fuori da quel macello.<br />
Quando il guardiano del salottino mi vide uscire si allarmò<br />
accorgendosi che ero diretto all’uscita principale. Mi fece<br />
infilare in uno stanzino per non dare nell’occhio.<br />
Non mi chiese cosa fosse successo, mi fece sparire e basta,<br />
facendomi uscire da una porta che dava direttamente<br />
sull’esterno.<br />
Dovevo avere l’aria del novellino, perché si affrettò a<br />
spiegarmi cosa farne del cadavere > mi disse accigliato.<br />
Mi nascosi con lei in un vicolo cieco, completamente<br />
avvolto dalle spire della notte e aspettai che riprendesse<br />
conoscenza. Il battito del cuore era ridotto a un silenzioso,<br />
lento martellio. Ma almeno, per il momento, era ancora<br />
viva.<br />
Non potevo starmene lì fuori per molto, mi ero allontanato<br />
da mio nonno da più di un’ora e di sicuro si era chiesto che<br />
fine avessi fatto, mandando qualcuno a cercarmi.<br />
La ragazza stava peggio di quanto immaginassi,<br />
nonostante i minuti passassero non mostrava alcun tipo di<br />
miglioramento.<br />
Aveva assolutamente bisogno di liquidi, era gravemente<br />
disidratata ed io non sapevo come comportarmi.<br />
Non avrei potuto accompagnarla in ospedale anche<br />
volendo, mi avrebbero fatto troppe domande e poi, dopo<br />
quello che mi aveva detto mio nonno, non avrei osato.<br />
La presi nuovamente in braccio, uscii sulla strada e riuscii<br />
a fermare un taxi prima che qualcuno si avvicinasse per<br />
prestare aiuto. La adagiai delicatamente sul sedile<br />
125
posteriore dell’auto sotto le lamentele irritanti del tassista,<br />
che aveva meno voglia di me di accollarsi rogne di alcun<br />
genere > dissi<br />
categorico, allungandogli una mazzetta di trecento dollari,<br />
che afferrò all’istante mutando il suo viso contrariato in<br />
compiaciuto e accondiscendente.<br />
Stavo per chiudere lo sportello e permettergli di partire,<br />
ma prima che potessi farlo lei aprì gli occhi e rimase a<br />
fissarmi sofferente per un lunghissimo istante.<br />
Non riuscivo a chiudere lo sportello, la guardavo<br />
ammaliato e disorientato.<br />
> disse allarmato il tassista.<br />
Mi ripresi da quell’incanto e lasciai che partisse a razzo<br />
verso l’ospedale.<br />
Fu in quel preciso momento che scoprii cos’era l’amore.<br />
Un immenso tesoro racchiuso in uno sguardo.<br />
Mi sentii come se avessi finalmente trovato quel qualcosa<br />
che mi era sempre mancato dopo aver vagabondato nel<br />
buio per una vita intera.<br />
Rimasi in strada a fissare il vuoto per non ricordo quanto<br />
tempo. Il cuore mi batteva forte come non aveva mai fatto<br />
prima, mi mancava il respiro e non riuscivo a pensare a<br />
niente, rivedevo sempre e solo quegli occhi. Due<br />
meravigliosi occhioni verdi.<br />
Quando tornai nel vicolo a riprendere la giacca che avevo<br />
lasciato a terra, mi accorsi che c’era anche il portafoglio<br />
della ragazza. Doveva esserle caduto quando l’avevo<br />
portata in strada.<br />
Lo raccolsi e tornai nel locale cercando di sembrare<br />
disinvolto. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere.<br />
Fortunatamente mio nonno era ancora intento nella sua<br />
conversazione.<br />
126
Lo presi un momento da parte > dissi.<br />
><br />
Lasciai il locale che erano quasi le 4:00 del mattino.<br />
A casa non persi neanche tempo a spogliarmi, mi gettai sul<br />
letto, esausto, ciononostante, non riuscii a chiudere occhio.<br />
Il profumo di lei era dappertutto, imprigionato ai vestiti<br />
che non avevo la forza, o forse la voglia, di togliere.<br />
127
128<br />
14<br />
Ah! Beato sabato sera. Il mio giorno libero. L’unico<br />
momento in cui posso mettere da parte il lavoro e<br />
dedicarmi un po’ ad altro.<br />
> Clarissa<br />
quella sera si era intestardita per andare all’Errol’s e non<br />
c’era verso di farle cambiare idea.<br />
Bruno spalleggiava la mia idea di andare a vedere<br />
l’anticipo Roma - Juventus allo stadio ma Clarissa era un<br />
secco e sonoro NO.<br />
> insisteva.<br />
Dopo quasi due ore di tira e molla mi accorsi che avevamo<br />
perso la battaglia quando Bruno si lasciò cadere , esausto,<br />
sulla poltrona del suo salotto ><br />
Martedì?<br />
> la schernii ><br />
> biascicò lei, prima di<br />
fulminare Bruno con un’occhiataccia malefica ><br />
Bruno scoppiò a ridere, divertito e per niente preoccupato<br />
dalle minacce di Clarissa. Sapevo che mi sarebbe bastato<br />
pungolarlo appena per farlo parlare > Clarissa gli balzò addosso<br />
premendogli la mano sulla bocca per non fargli dire altro.<br />
Potei vederlo solo alzare le braccia in segno di resa.
mi affrettai a dire prima che Clarissa lo<br />
facesse a pezzi. Ma non riuscii a non riderne ><br />
Mi arrivò un cuscino dritto in faccia ><br />
strillò. Il viso paonazzo e le mani tremanti.<br />
><br />
><br />
Bruno approfittò del momento per scrollarsela di dosso<br />
<br />
><br />
Zavorra! Se solo non fossi così dolce…<br />
><br />
Oh, oh! Bruno, sta volta hai proprio esagerato!<br />
><br />
La porta della camera di Clarissa sbatté così forte che per<br />
poco non fece saltare i cardini.<br />
Non volevo certo che finisse così. Stavamo giocando ><br />
><br />
> Che guaio! ><br />
><br />
> scherzai<br />
<br />
><br />
129
precisai serio ><br />
><br />
Infilai il giubbetto appeso allo schienale della sedia ><br />
><br />
Ridevo mentre uscivo da casa, perché già lo sentii<br />
elemosinare le prime suppliche di perdono.<br />
Uscii dal portone del palazzo quasi correndo. Piovigginava<br />
e avevo la macchina sull’altro lato della strada.<br />
Mancò davvero poco che non la urtassi di nuovo.<br />
Appena mi vide trasalì e si fermò sul marciapiede. Era<br />
buio, ma posso azzardare d’averla vista arrossire. Era in<br />
compagnia di due ragazze del Branco. Facevano shopping.<br />
Aveva almeno dieci buste griffate in mano.<br />
E adesso che fai?<br />
Il momento era abbastanza critico. Non ero sicuro che<br />
avesse informato il Branco della nostra conoscenza.<br />
Probabilmente, se la mia ipotesi di complotto fosse stata<br />
errata, le avrebbe creato dei problemi.<br />
O la saluti, o ti levi da lì, fermo come un imbecille.<br />
Se Celine aveva ragione invece, e anche Denise era nel<br />
giro come suo padre, come Marco, avrei fatto meglio a<br />
evitare ogni contatto con lei.<br />
Ma allora perché non lo fa lei il primo passo?<br />
Erano passati solo tre giorni dal party in villa, dopotutto.<br />
Forse era ancora risentita per come mi ero congedato<br />
quella sera.<br />
Ti dai una mossa?<br />
Mi sentivo tremendamente a disagio e forse il suo rossore<br />
derivava dal medesimo imbarazzo.<br />
La saluti o fai finta di niente? Non mi sembra una<br />
decisione così difficile da prendere.<br />
130
Sei un genio, salutale tutte così ognuna penserà che ce<br />
l’hai con le altre. Un tantino troppo smielato, ma va bene<br />
lo stesso.<br />
Non dissi altro, accennai una specie di inchino con la testa<br />
in attesa di una sua reazione. Avevo fatto il primo passo,<br />
stava a lei dimostrarmi che mi sbagliavo sul suo conto.<br />
Attesa inutile. Le altre due mi risposero con una smorfia<br />
disgustata e lei rimase impietrita e inespressiva,<br />
esattamente come tutte le volte che era in loro compagnia.<br />
Jennifer fu ma prima a muoversi per oltrepassarmi, le altre<br />
la seguirono a ruota. Solo Barbara, passandomi accanto<br />
accennò qualcosa che sembrava un sorriso, ma non saprei<br />
dire se era contenta del saluto o della reazione sprezzante<br />
di Jennifer.<br />
Denise? Inespressiva.<br />
Naturalmente non ero affatto sorpreso dalla loro reazione,<br />
però, ammetto che qualcosa di più da parte sua me<br />
l’aspettavo.<br />
Mi ero trattenuto anche troppo per i miei gusti poco<br />
pazienti, quindi ripresi la mia corsa verso la macchina.<br />
Mentre afferravo le chiavi dalla tasca interna del giubbotto<br />
però sentii un debole “Ciao”. Era lei, riconoscevo la sua<br />
voce ormai.<br />
Mi voltai a cercarla. Era immobile, da sola, di fronte la<br />
vetrina di Armani. Le sorellastre probabilmente erano<br />
entrate.<br />
Il suo saluto era troppo silenzioso perché potesse<br />
immaginare che riuscissi a sentirlo, infatti, quando mi<br />
voltai distolse subito lo sguardo che teneva puntato su di<br />
me con avidità.<br />
A un tratto spalancò gli occhi, sempre su di me, come se<br />
avesse appena visto un fantasma. Un clacson mi ricordò<br />
131
che ero in mezzo alla strada. L’alfa 175 mi sfrecciò<br />
accanto senza rallentare. Con un balzo saltai sul<br />
marciapiede. Quando mi voltai di nuovo nella sua<br />
direzione, Denise aveva una mano davanti la bocca e una<br />
sul petto.<br />
Allargai le braccia e feci un giro su me stesso. Ero ancora<br />
tutto intero, per fortuna.<br />
Lei sorrise sollevata, ma Barbara si affacciò dalla porta del<br />
negozio sventolandole un maglioncino in faccia e fu<br />
costretta a seguirla all’interno.<br />
Ero riuscito a convincere solo Nicola ad abbandonare il<br />
proposito della partita per unirsi alla nostra nottata<br />
all’Errol’s. Com’era prevedibile, gli altri erano stati<br />
irremovibili.<br />
Avevamo appuntamento davanti la chiesa di quartiere e<br />
Bruno, Clarissa ed io stavamo già aspettando da un quarto<br />
d’ora che Nicola si decidesse a prelevare di peso Serena e<br />
trascinarla con sé. Per quel che ci riguardava avrebbe<br />
potuto portarsi dietro anche lo specchio del bagno, purché<br />
si sbrigasse.<br />
Almeno aveva smesso di piovere.<br />
Celine sedeva sul mio stesso gradino e, tenendosi stretta al<br />
mio braccio destro, sonnecchiava impaziente sulla mia<br />
spalla.<br />
> esclamò Bruno appena si accorse della<br />
BMW z4 roadster, grigia, parcheggiare davanti alla<br />
pizzeria di Fabrizio.<br />
Conoscevo troppo bene quell’auto per sapere che non si<br />
trattava di Nicola. Infatti, non mi sbagliavo. Denise scese<br />
dall’auto e si strinse nel cappotto Versace per non<br />
congelare.<br />
Mangia piccola. Stai dimagrendo troppo in fretta.<br />
132
Guanti di pelle e cellulare non sono un buon connubio per<br />
nessuno. Se lo lasciò quasi cadere quando lo prese per<br />
avvertire che, visto il freddo pungente, avrebbe atteso<br />
direttamente all’interno del cinema.<br />
Ti mandano in avanscoperta a caccia di posti anche in<br />
queste occasioni? Ma non ti hanno proprio fornito di<br />
amor proprio alla nascita?<br />
Il cinema era a un centinaio di metri nella nostra direzione.<br />
Avanzava spedita, lottando contro il freddo che le tagliava<br />
il viso. Teneva gli occhi bassi e non ci notò, ma quando li<br />
alzò per un’occhiata furtiva, mi scorse fra i miei amici e<br />
tentennò un istante prima di cambiare direzione.<br />
Come se non me ne fossi accorto. Che intenzioni hai? Vuoi<br />
fare il giro del quartiere al freddo pur di non passarmi<br />
accanto?<br />
Sentii Celine stringermi il braccio. Chinai il capo a<br />
guardarla. Teneva gli occhi chiusi, ma sapevo che l’aveva<br />
vista anche lei. Sapevo che la infastidiva.<br />
In quel momento mi sembrò un gesto sincero il mio, ma<br />
oggi sono sempre più convinto che fosse solo per dispetto.<br />
> chiamai.<br />
È inutile che fingi di non aver sentito. So che<br />
riconosceresti la mia voce fra mille anche se non ti<br />
chiamassi ad alta voce. Non puoi fare a meno di<br />
rispondere al mio richiamo se non voglio. Non nelle tue<br />
condizioni.<br />
Mi alzai per seguirla ><br />
Si voltò, ma ormai ero già alle sue spalle > balbettò ><br />
Sorrisi divertito > sapevo che non avrebbe gradito l’epiteto<br />
133
fiabesco per ognuna delle sue finte amiche, ma mi<br />
piacevano troppo le sue occhiatacce. Ne ero cosciente, ed<br />
era troppo semplice per me crearne una da gustare.<br />
><br />
Dai, dillo! Che problema c’è?<br />
><br />
Allora non sei poi così bugiarda come credevo. Vediamo<br />
fin dove arriva la tua sincerità.<br />
Sorrisi ><br />
Arrossì evitando il mio sguardo.<br />
Mmm… così non va bene, piccola. Tu mi nascondi<br />
qualcosa.<br />
><br />
dissi prendendola per mano per condurla più vicino alla<br />
gradinata. Si lasciò guidare senza obiezioni, ma le sentivo<br />
tremare la mano.<br />
Nel frattempo erano arrivati anche Nicola e Serena, che<br />
stavano già discutendo su chi avesse o meno la colpa per il<br />
ritardo all’appuntamento.<br />
><br />
Celine naturalmente era andata via.<br />
> disse stringendo la mano a<br />
tutti, con gentilezza.<br />
> propose Bruno.<br />
><br />
> continuò scherzoso<br />
><br />
> intervenni ><br />
Era esitante. Era evidente che stesse cercando una maniera<br />
garbata per rifiutare l’invito ><br />
134
Lo vedemmo tutti il Branco attraversare la strada, fiero e<br />
impavido come sempre. Sciocchi! Si credevano intoccabili<br />
perfino nel nostro quartiere.<br />
Il tremore di Denise aumentò appena li vide avanzare<br />
verso di noi.<br />
Non cercavano mai lo scontro diretto, pubblico, ma uno<br />
dei loro cuccioli si era smarrito in territorio nemico. Era<br />
loro dovere intervenire per salvarlo dalle grinfie del<br />
Branco rivale.<br />
Nicola e Bruno mi affiancarono coprendo Denise con la<br />
loro stazza.<br />
> chiese nuovamente Bruno,<br />
senza guardarla. Era concentrato su Federico, Armando,<br />
Carmine e Marco in testa al gruppo.<br />
Liberai la mano di Denise per lasciarla libera di scegliere<br />
come meglio credeva ><br />
Mi guardava incerta, come se si aspettasse che prendessi<br />
io una decisione al suo posto.<br />
> Aguzzini ><br />
Mi sentii afferrare la mano e stringerla forte. Mi fissava,<br />
combattuta fra il dovere verso il Branco e il palese piacere<br />
di stare con me. Aveva gli occhi lucidi.<br />
> chiesi sottovoce.<br />
Annuì.<br />
Sorrisi ><br />
Feci cenno a Clarissa di tenerla indietro con lei e Serena,<br />
mentre io raggiungevo gli altri per risolvere quel piccolo<br />
contrattempo.<br />
Non mi era mai piaciuto il modo in cui Marco guardava<br />
Denise, quella sera meno che mai.<br />
135
Erano fermi a due metri circa da noi. Non ci toglievano gli<br />
occhi di dosso.<br />
> chiesi con una calma che<br />
sorprese perfino me.<br />
> rispose Marco con altrettanta<br />
freddezza.<br />
><br />
> la chiamò.<br />
><br />
><br />
Feci un passo avanti seguito dai miei amici. Quel gesto li<br />
mise tutti sulla difensiva ><br />
><br />
Lasciai trapelare un ghigno dal volto serio e accigliato ><br />
Il ricordo della scazzottata che gli era costata dieci giorni<br />
di ospedale gli scompose il viso in una smorfia rabbiosa.<br />
Rincarai la dose ><br />
Conoscevo abbastanza quel ghigno sfacciato, da farmi<br />
ribollire il sangue nelle vene ogni volta che lo vedevo ><br />
> intervenne<br />
Nicola, che era rimasto con Bruno un passo dietro di me.<br />
><br />
aggiunse Bruno affiancandomi. La semiautomatica puntata<br />
al petto di Marco.<br />
> ordinai calmo > guardai gli occhi feroci<br />
di Marco ><br />
136
Bruno tornò a nascondere l’arma appena si accorse che<br />
alle spalle del branco avanzavano Stefano e Simone. Li<br />
aveva avvisati Clarissa.<br />
> chiesi ancora.<br />
Simone mi raggiunse a grandi falcate, facendo<br />
indietreggiare Bruno. Fissò prima Marco, poi me ><br />
><br />
Simone ha trentacinque anni. È molto più esperto e forte di<br />
noi quattro messi insieme. Troppo perfino per il Branco al<br />
completo.<br />
> chiese a Marco.<br />
Marco accennò a Denise con un movimento strafottente<br />
del capo.<br />
><br />
><br />
Ci guardammo in cagnesco per un momento. Avrebbe<br />
avuto tutto il tempo di darmi una strigliata la mattina dopo,<br />
in quel momento però, era costretto, suo malgrado, a<br />
spalleggiarci.<br />
Riportò la sua attenzione su Marco ><br />
Sorrise compiaciuto ><br />
Non ci vidi più ><br />
Simone mi richiamò all’ordine ><br />
Stefano e Nicola mi tenevano fermo.<br />
Simone si fece avanti di un altro passo senza il minimo<br />
timore ><br />
137
propose Marco ><br />
> Simone le fece segno di avvicinarsi e lei<br />
obbedì subito > e alla parola infantile<br />
guardò me e subito dopo Marco > e stavolta guardò solo il branco.<br />
Si schiarì la voce. Mi guardò. Guardò i suoi amici.<br />
Simone aveva fretta. Era cosciente del fatto che ogni<br />
secondo in più che passava avrebbe potuto scatenarsi<br />
l’inferno ><br />
> farfugliò inquieta. Guardò Marco<br />
<br />
Marco annuì tranquillo. Giurerei che dentro fremesse tanto<br />
quanto me, ma doveva uscirne a testa alta, così finse di<br />
non dare alcun peso al tradimento di Denise > disse rivolto ai<br />
suoi ><br />
Restammo immobili a guardarli mentre uno dopo l’altro<br />
rimontavano in macchina e sfrecciavano via dal quartiere<br />
con al coda fra le gambe. Il nostro quartiere.<br />
Credo proprio che avrebbero gradito lo spettacolo se si<br />
fossero trattenuti ancora un po’.<br />
Simone era fuori di sé > vociò contro<br />
di me.<br />
><br />
Denise si era ritirata in un angolo con le altre.<br />
138
Simone strillava così forte che Fabrizio uscì dalla pizzeria<br />
a controllare.<br />
><br />
> chiese Fabrizio.<br />
><br />
><br />
><br />
Rientrò scrollando la testa mentre borbottava qualcosa a<br />
denti stretti.<br />
Guardò Denise, poi me, rabbioso, ma cercando di<br />
controllare i toni per non allarmare gli Ancharos del<br />
quartiere ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
No! Effettivamente no.<br />
><br />
><br />
Denise mi fissò, confusa.<br />
Se non fossi un Renzi, sono sicuro che Simone un pugno<br />
me l’avrebbe dato volentieri. Gli si leggeva in faccia che<br />
moriva dalla voglia di colpirmi > ordinò ><br />
Clarissa provò una mezza obiezione.<br />
> ribadì gridando ><br />
e quest’ultimo ordine era rivolto a me.<br />
139
dissi<br />
porgendo una mano a Denise. Tremava tanto da non<br />
riuscire neanche ad alzarsi. > mi afferrò la mano.<br />
><br />
><br />
Non rispose.<br />
><br />
Eravamo rimasti solo noi due in piazza.<br />
><br />
><br />
> bisbigliò. ><br />
> dissi aprendole lo sportello della mia<br />
auto per farla salire ><br />
Dalla sua espressione interrogativa mi accorsi che non era<br />
stata ancora messa al corrente dei dettagli, non tutti<br />
almeno.<br />
Guidai in silenzio per qualche minuto. Avevo troppi<br />
pensieri per la testa. Il chiodo fisso però, era smascherare<br />
lei, quindi approfittai della situazione favorevole per<br />
indagare.<br />
><br />
><br />
140
E che altro sai?<br />
><br />
><br />
Le sfiorai il mento per farla voltare verso di me, senza<br />
togliere l’attenzione dalla strada. La guardai serio un<br />
istante ><br />
Aveva gli occhi immersi nei miei ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Mi lasciai sfuggire un sospiro, mentre accostavo a qualche<br />
metro dalla recinzione di casa sua. Non potevo correre il<br />
rischio che suo padre o qualcun altro mi riconoscesse ><br />
><br />
Mi sporsi sul sedile del passeggero prima che chiudesse lo<br />
sportello ><br />
><br />
><br />
Sorrise ><br />
><br />
141
Arrossì ><br />
Sorrisi anch’io ><br />
><br />
Aspettai un paio di minuti che rientrasse in casa, così da<br />
farle luce con i fari dell’auto, poi schizzai via da quel covo<br />
di sanguinari.<br />
142
15<br />
La mattina seguente me ne stetti rintanato in casa fino a<br />
notte fonda, mi sentivo strano, non riuscivo a togliermi<br />
dalla testa l’immagine di quella ragazza, che mi fissava<br />
dritta negli occhi come se volesse dirmi qualcosa.<br />
Mi fece tornare alla mente il povero Mark qualche istante<br />
prima che morisse.<br />
Ricordo che i giorni immediatamente dopo quell’episodio<br />
non mangiai, non dormii, non feci nulla all’infuori di<br />
piangere. Fu un periodo terribile, non credevo che avrei<br />
trovato la forza di riprendermi.<br />
Mark mi manca tuttora, ma il dolore l’ho accantonato da<br />
qualche parte dentro di me, insieme al triste ricordo di<br />
quegli anni.<br />
Dopo Mark mi ero imposto di non legarmi più<br />
sentimentalmente a nessuno. Mi ero imposto di mantenere<br />
un atteggiamento freddo e distaccato con tutti da allora in<br />
avanti.<br />
La stupidaggine in tutto questo era che, di tutte le mie<br />
sciagure, continuavo a incolpare mio padre.<br />
Ero fermamente convinto che, in fondo al cuore, non<br />
covassi un briciolo d’affetto per lui. Io stimavo tantissimo<br />
mio padre, ma provare sentimenti che vanno oltre la stima<br />
per quell’uomo sarebbe un’impresa ardua per chiunque.<br />
Non so se il suo atteggiamento nei miei confronti fosse<br />
condizionato dal mio essere un Ancharos. Mio zio non<br />
aveva avuto figli maschi ed io in quanto primo discendente<br />
maschio della famiglia avevo ereditato un dono che a lui,<br />
nato per secondo, era stato negato. Credo sia per questo<br />
motivo che il suo legame con Stefano è sempre stato così<br />
forte. Erano legati da un destino comune, mentre io gli<br />
143
icordavo tutto il rancore che aveva provato da ragazzo per<br />
suo fratello, invidiando la complicità unica che poteva<br />
facilmente ottenere con mio nonno. Forse la competizione<br />
continua con zio Sergio l’ha indurito, fatto sta che, da che<br />
mi ricordi, è sempre stato un uomo estremamente severo e<br />
autoritario, incapace di compiere un qualsiasi gesto<br />
d’affetto, con me! Non dico che fosse mai stato cattivo nei<br />
miei confronti, ma solo che probabilmente non riusciva a<br />
esternare i suoi sentimenti, non riusciva a dimenticare il<br />
passato.<br />
Oggi sono più maturo di allora e sono convinto che in cuor<br />
suo un po’ di bene me ne abbia sempre voluto.<br />
Eppure c’è stato un periodo in cui l’ho seriamente<br />
detestato. Credo d’aver fermamente smesso di stimarlo<br />
qualche giorno dopo essere arrivato all’Ancharos. Quel<br />
periodo, un po’, credo anche d’averlo addirittura odiato.<br />
Secondo una mia contorta linea di pensiero, infatti, lui<br />
avrebbe dovuto leggermi dentro e capire che io in quel<br />
postaccio non ci volevo stare, anche se continuavo a dirgli<br />
che andava tutto benone, lui avrebbe dovuto capire che<br />
mentivo.<br />
A quei tempi ancora non sapevo che lui non poteva avere<br />
la minima idea di cosa accadesse lì dentro. Ero un<br />
bambino, pretendevo che sapesse. A dispetto di tutto, lui<br />
avrebbe dovuto capire.<br />
Me ne stavo lì a rimuginare sul passato tenendo gli occhi<br />
fissi sul portafoglio della ragazza, che rigiravo tra le mani.<br />
Pensai a tutto quello che era successo quella notte e mi resi<br />
conto del pericolo che avevo corso nell’affrontare da solo<br />
quello squilibrato.<br />
Eppure, l’avrei rifatto in quell’istante se si fosse presentata<br />
l’occasione.<br />
144
Dopotutto lo avevo fatto con Mark quando ancora non lo<br />
conoscevo, quindi lo avrei fatto con chiunque.<br />
Era più forte di me, se qualcuno era in pericolo io dovevo<br />
intervenire.<br />
L’ho già detto, mi invadeva un eccessivo senso di<br />
buonismo ingiustificato.<br />
Ancora oggi non ho imparato a tenere a bada<br />
quell’impulso.<br />
D’un tratto mi ripresi da quel vegetativo stato di trance e<br />
decisi di aprire il portafoglio per sbirciare dentro. Non lo<br />
avevo ancora fatto, il ché, data la mia prorompente<br />
curiosità, era molto strano.<br />
Non avevo mai guardato nel portafoglio di una donna,<br />
immaginavo chissà che diavolerie ci tenesse dentro.<br />
Era di dimensioni molto ridotte, di Gucci.<br />
Lo aprii facendo scattare il bottoncino metallico. In un<br />
momento la stanza si riempì di dolce profumo femminile.<br />
Frugai per cercare dei documenti.<br />
Volevo vedere ancora una volta quel viso che per un<br />
attimo era riuscito a stregarmi.<br />
Volevo poter associare un nome a quel volto.<br />
Celine Madison era il suo nome, aveva diciassette anni e<br />
viveva al 128 nella 42 a strada.<br />
Oltre alla patente, nel portafoglio c’erano la tessera della<br />
biblioteca, l’abbonamento del tram, la tessera del New<br />
York fitness club e venticinque dollari e trentadue<br />
centesimi.<br />
Se avevo avuto anche la minima speranza di lasciarmi<br />
quell’episodio alle spalle, ora non sarebbe stato più<br />
possibile. Oggi lo so che è un errore farsi vincere dalla<br />
curiosità di conoscere dettagli privati, anche insignificanti,<br />
di qualcuno che vuoi dimenticare un attimo dopo averci<br />
avuto a che fare. Sapere anche solo il suo nome te lo rende<br />
145
familiare, apprendere anche le sue abitudini poi, te lo<br />
rende un conoscente. Io cerco di non sapere mai niente<br />
delle anime con cui lavoro, mi accontento del minimo<br />
indispensabile che possa aiutarmi a condurli al meglio<br />
nella porzione dimensionale in cui sono stati assegnati.<br />
Nessuna conoscenza, nessun coinvolgimento emotivo.<br />
Quando conobbi Celine ero ancora inesperto, soprattutto<br />
in rapporti interpersonali. Avevo diciannove anni e non<br />
avevo mai avuto una ragazza. Mi sentivo fatalmente<br />
attratto da quella giovane sconosciuta e non avevo idea di<br />
quale reale sentimento si trattasse.<br />
Mi sentivo nervoso, sofferente, impaziente e<br />
fastidiosamente irritabile.<br />
Non sapevo perché avessi perso l’appetito, a cosa fossero<br />
dovuti i crampi allo stomaco, l’insonnia. Ciondolavo per<br />
casa senza meta, assente e solitario. Se qualcuno mi faceva<br />
una domanda, la rara volta che la percepivo, rispondevo in<br />
modo sgarbato e tornavo a chiudermi in camera mia,<br />
sdraiato apaticamente sul letto, con lo sguardo fisso sul<br />
nulla e la mente ferma a un interminabile flash di vita<br />
passata.<br />
La sola idea che avesse potuto non farcela quella notte,<br />
che la corsa in ospedale fosse risultata inutile, mi mozzava<br />
il fiato togliendomi il sonno e la pace. Per la mia salute<br />
mentale, in bilico sul burrone della pazzia, dovevo<br />
rivederla, dovevo sapere se fosse ancora viva. Non che<br />
sapere della sua morte mi avrebbe aiutato, ma almeno<br />
avrei potuto iniziare a rassegnarmi.<br />
L’idea illusoria di rivederla era più forte della<br />
consapevolezza di non sapere dove e come poterla<br />
rintracciare.<br />
Quando l’avevo lasciata sul taxi, infatti, non avevo idea di<br />
dove l’avrebbe portata. Se si era ripresa era tornata a casa<br />
146
però, ma questa seconda ipotesi era anche peggiore. Che<br />
cosa mai avrei potuto dirle?<br />
“ Ciao, mi chiamo Alessandro, sono uno di quelli che ti ha<br />
aggredito l’altra notte, tanto piacere.” Magari avrei<br />
accompagnato il saluto con un mazzo di fuori. No! Non<br />
era davvero il caso di esordire a quel modo.<br />
Eppure ero convinto che fosse ancora in ospedale. Stava<br />
troppo male e avrebbe impiegato qualche giorno prima di<br />
riprendersi abbastanza da stare in piedi da sola. Se era<br />
sopravvissuta, ovvio. Anche se mi rifiutavo di prendere in<br />
considerazione l’eventualità di una sua dipartita non<br />
potevo permettermi di illudermi inutilmente, ci avrei<br />
sofferto solo di più se si fosse rivelata esatta.<br />
Prima di ogni altra cosa dovevo scoprire in che ospedale<br />
era stata ricoverata la notte dell’aggressione.<br />
Delegai Margherita per quest’incombenza. Non avevo i<br />
nervi saldi a sufficienza per sentire la notizia del decesso<br />
per telefono.<br />
Fu deliziosamente in gamba, in pochi minuti prese a<br />
telefonare a tutti gli ospedali della città, in ordine<br />
alfabetico, finché la trovò. Era ricoverata al “New York<br />
General Hospital”.<br />
Sapevo tutto quello che c’era da sapere, era viva e questo<br />
mi rallegrò il cuore. Dovevo solo trovare il modo di<br />
vederla, magari con la scusa di riportargli il portafoglio.<br />
Tuttavia, dovetti considerare l’idea che forse non<br />
ricordava nulla di quella notte, forse era troppo debole per<br />
ricordare e probabilmente non si sarebbe ricordata di me.<br />
Mi stavo riempiendo la testa di aspettative inutili.<br />
Non dissi a Margherita chi fosse Celine, come mai la<br />
conoscessi e lei non me lo chiese, lavora per la nostra<br />
famiglia da più di trent’anni e, come tutti gli altri<br />
domestici e dipendenti a servizio in villa, ha imparato a<br />
147
sue spese a essere molto discreta. Mi fidavo di lei, era la<br />
persona più vicina a una madre che avessi, dopo la mia.<br />
Era sempre stata molto affettuosa con me e credo sia<br />
l’unica persona che non abbia mai sofferto i miei cambi<br />
d’umore. Non riesco a essere troppo sgarbato con lei, le<br />
voglio troppo bene.<br />
Alla notizia che Celine era salva, esplosi in manifestazioni<br />
d’affetto inaspettate perfino per me stesso. Abbracciai<br />
forte Margherita riempiendola le guance di baci<br />
riconoscenti.<br />
Devo esserle sembrato così… così… diciamo solo folle.<br />
Non stavo più nella pelle. Ero deciso a precipitarmi<br />
all’ospedale in quel momento stesso. Mi vestii come<br />
meglio non potevo, afferrai al volo il cappotto dalla<br />
stampella dell’armadio e corsi verso l’uscita, ma, varcata<br />
la soglia di casa, ecco uscire mio nonno dall’ascensore.<br />
> mi chiese incuriosito. Ogni<br />
cellula del mio corpo tradiva la mia insana impazienza.<br />
> mentii.<br />
Di certo avrei potuto trovare una scusa più elaborata, ma<br />
mi colse talmente di sorpresa che buttai fuori la prima cosa<br />
che mi venne in mente e lui se ne accorse, > ma non indagò oltre > si<br />
raccomandò serio.<br />
Lo diceva sempre, non c’era una volta che vedendomi<br />
uscire non mi dicesse “Sta attento”. Dopotutto mi<br />
conosceva abbastanza da sapere che sarei riuscito a<br />
combinare guai anche da solo nel bel mezzo del deserto.<br />
Annuii e imbucai frettolosamente l’ascensore per timore<br />
che ci ripensasse e cominciasse a chiedere qualche<br />
spiegazione in più.<br />
Arrivai in strada col fiatone, come se avessi sceso di corsa<br />
tutti i trentadue piani del palazzo.<br />
148
Mi guardai un po’ intorno e scorsi la Mercedes<br />
parcheggiata sull’altro lato della strada. Paul, l’autista, era<br />
ancora lì, stava controllando il livello dell’acqua prima di<br />
portarla in garage.<br />
> lo chiamai ><br />
Si vedeva lontano un miglio che non aveva alcuna voglia<br />
di rimettersi di nuovo alla guida > annuì.<br />
Non conoscevo ancora bene le strade in città, tantomeno<br />
sapevo come raggiungere l’ospedale, ma anche volendo<br />
non avrei potuto portarlo con me, era un fedele scagnozzo<br />
di mio nonno, gli avrebbe spiattellato tutto non appena<br />
tornati a casa > tesi la mano verso di lui ><br />
Rimase per un attimo a guardarmi con aria confusa, da un<br />
lato sentiva il dovere di rifiutare la mia richiesta per<br />
fedeltà al suo Capo, dall’altro lato però era davvero<br />
esausto e sarebbe andato molto volentieri a dormire. Fu<br />
combattuto per questa ardua decisione per troppo, troppo<br />
tempo.<br />
> lo incitai.<br />
><br />
> mi ribellai.<br />
Erano quasi le 3:00 e quel demente non voleva mollare<br />
quelle maledette chiavi. Eppure avrebbe dovuto saperlo<br />
che non sono tipo da trattative > vociai > lo minacciai. Non lo avevo mai fatto prima, non<br />
così palesemente almeno.<br />
149
Mi guardò ancora un attimo e poi si decise ><br />
Lo vedevo che era spaventato, glielo leggevo chiaro negli<br />
occhi. Cercai di calmare il tono della voce per fargli capire<br />
che il peggio era passato ><br />
Il primo muro era stato abbattuto, rimaneva solo un<br />
problemino da nulla: trovare l’ospedale. Non avevo<br />
assolutamente idea di dove fosse.<br />
Per strada poi, mi fermai da un fioraio per prendere una<br />
raffinata composizione floreale – niente rose, troppo<br />
impegnative -, Margherita mi aveva consigliato di non<br />
presentarmi a mani vuote.<br />
Dopo aver chiesto a vari passanti nottambuli la via per il<br />
New York General Hospital varcai finalmente l’entrata<br />
dell’edificio. Erano le 4:25.<br />
Come un perfetto idiota non avevo calcolato che a<br />
quell’ora l’orario delle visite è terminato, la maggior parte<br />
della gente normale a quell’ora dorme. Ero così abituato a<br />
entrare e uscire dalla clinica di famiglia a qualsiasi ora che<br />
avevo trascurato quell’insignificante dettaglio.<br />
Ne approfittai però per chiedere informazioni al pronto<br />
soccorso.<br />
Entrai dal portone principale con il mio bel mazzo di fiori<br />
in mano. Dentro mi trovai davanti quasi cento persone<br />
tutte accalcate nella sala d’attesa, tutte malate, molte ferite<br />
e sanguinolenti.<br />
C’erano bambini che piangevano, vecchi morenti su lettini<br />
di fortuna, uomini e donne di ogni razza e colore in salute<br />
poco rassicurante. Un uomo bianco, sulla quarantina aveva<br />
addirittura perso una mano, si teneva stretta stretta sul<br />
polso un asciugamano e sua moglie – almeno credevo che<br />
150
lo fosse -, in una bustina per il congelatore custodiva<br />
gelosamente, in un mare di ghiaccio, l’arto mutilato di suo<br />
marito. Se l’era tagliata nell’officina di casa con una sega<br />
circolare, disse a una delle infermiere.<br />
Con un’occhiata rapida scrutai i visi dei presenti alla<br />
ricerca di Ancharos. Dovevano essercene almeno una<br />
dozzina in quella folla. Scorsi solo un esecutore al lavoro.<br />
Gli altri, con molta probabilità, erano perfettamente<br />
mimetizzati tra la gente comune.<br />
Dopo qualche minuto arrivarono due ambulanze con le<br />
vittime di un incidente d’auto. La donna era in un lago di<br />
sangue, necessitava di un intervento d’urgenza, perché due<br />
costole le avevano perforato un polmone. L’uomo invece -<br />
credo fosse suo marito, ma che lo fosse o no era un<br />
dettaglio irrilevante per me -, aveva solo un brutto taglio<br />
alla testa, riusciva a camminare da solo. Rimasi shockato<br />
quando all’accettazione gli chiesero se fosse coperto da<br />
assicurazione sanitaria per poter operare sua moglie.<br />
Sapevo che negli Stati uniti le spese mediche dei cittadini<br />
erano sostenute dalle assicurazioni sanitarie, ma sentir<br />
parlare di soldi in una situazione d’emergenza come quella<br />
mi fece venire i brividi.<br />
Era un vero pandemonio lì. A me non impressionava certo<br />
la vista di tutto quel sangue in giro, ma non capivo come<br />
potessero reggere le persone normali a tutto quello.<br />
Mi avvicinai al banco dell’accettazione e con educazione<br />
chiesi a un uomo se avesse qualche minuto per darmi delle<br />
informazioni.<br />
> mi rispose<br />
sgarbato ><br />
Non avevo fatto tutta quella strada per farmi buttare fuori<br />
da un incivile come quello. Mi ero ripromesso di fare il<br />
151
avo però, anche se… una piccola lezione… … No! Non<br />
mi sarei sporcato le mani per uno così.<br />
Dopo un ultimo sguardo a tutti quei relitti, mi resi conto di<br />
essere l’unico in perfetta salute lì dentro. Per di più me ne<br />
stavo ancora col mio stupido mazzo di fiori in mano.<br />
Forse aveva ragione dopotutto, avrei fatto meglio a tornare<br />
più tardi. Stavo per uscire, quando entrò una donna di<br />
colore, in preda al panico, con un bambino di circa sei anni<br />
tra le braccia, privo di conoscenza.<br />
Gridava disperata > Il piccolo si era sentito male durante la notte e a<br />
un certo punto aveva smesso di respirare.<br />
La donna non aveva l’auto ed era arrivata con un taxi fino<br />
all’ospedale e il tassista la rincorreva per farsi pagare la<br />
corsa.<br />
Due medici presero il bambino e lo portarono in una delle<br />
salette.<br />
Il tassista invece borbottava ><br />
Quella povera donna, confusa com’era, non riusciva<br />
neanche a rispondergli, continuava solo a guardare i<br />
medici che entravano e uscivano di corsa dalla saletta<br />
dov’era suo figlio.<br />
> insisteva il tassista.<br />
> gli chiesi serio.<br />
> rispose.<br />
Presi il portafoglio dalla tasca e gli diedi un biglietto da<br />
cinquanta > ringhiai ><br />
Non gli importò nulla di quello che era successo, intascò i<br />
suoi soldi e andò via continuando a manifestare il proprio<br />
scontento.<br />
152
Mi voltai per scorgere la madre del bambino e la vidi<br />
parlare con uno dei medici. Mi concentrai per riuscire a<br />
sentire cosa stessero dicendo > le disse il medico senza mezzi<br />
termini.<br />
La donna scoppiò in lacrime > cominciò<br />
a gridare.<br />
> le chiese<br />
cauto il medico.<br />
> balbettò lei in lacrime.<br />
La accompagnarono da suo figlio e la lasciarono qualche<br />
minuto da sola. La udivo piangere disperata dalla sala<br />
d’attesa e mi si strinse il cuore nel sentirla. Io avevo già<br />
assistito a quella scena e per nulla al mondo avrei voluto<br />
rivivere quell’esperienza.<br />
Il ricordo di Mark tornò violento a oscurarmi la mente.<br />
Dovevo uscire da lì, lasciare quel mare di lacrime.<br />
> mi sentii chiedere alle spalle.<br />
Mi voltai e vidi un’infermiera, ><br />
ripeté sorridendo.<br />
> balbettai ancora sconvolto ><br />
> mi chiese dirigendosi verso i<br />
computer dell’accettazione.<br />
> risposi seguendola.<br />
Giocherellò un po’ col computer > disse.<br />
> ripetei in un soffio.<br />
153
Non so perché fossi così sorpreso della sua risposta.<br />
Sapevo cosa le era successo, sapevo che era molto grave<br />
quando l’avevo lasciata, eppure mi turbava l’idea di<br />
saperla lottare tra la vita e la morte.<br />
> chiesi preoccupato.<br />
> mi domandò<br />
continuando a cercare non so cosa tra le varie finestre del<br />
Pc.<br />
> risposi.<br />
> mi chiese<br />
curiosa.<br />
> mentii.<br />
> osservò.<br />
> mentii ancora.<br />
><br />
Prendemmo l’ascensore e salimmo al terzo piano.<br />
Quando le porte dell’ascensore si chiusero dietro di noi fui<br />
assalito da un silenzio inquietante. Non si sentiva volare<br />
una mosca, solo il bip costante di qualche macchinario<br />
rompeva quella quiete.<br />
Seguii l’infermiera lungo un ampio corridoio, sempre con i<br />
miei fiori in mano. Erano incartati altrimenti, agitato<br />
com’ero, le avrei consegnato un mazzo di fiori appassiti.<br />
Ci fermammo infine, davanti un finestrone che faceva<br />
intravedere all’interno una fila di letti occupati. Quasi nel<br />
centro riuscii a riconoscere Celine, distesa esanime nel suo<br />
letto, con una moltitudine di tubicini in plastica che le<br />
entravano e uscivano da tutte le parti.<br />
> esordì un’infermiera del<br />
reparto
notte. Era ridotta davvero male. È un vero miracolo che sia<br />
ancora viva. Se fosse arrivata in ospedale un minuto più<br />
tardi non ce l’avrebbe mai fatta. Non capisco ancora cosa<br />
le sia successo, nessuno qui l’ha capito.>><br />
Mentre parlava io me ne stavo lì immobile a fissare il<br />
monitor che scandiva nitido ogni debole battito del suo<br />
cuore.<br />
> chiesi sottovoce.<br />
><br />
L’infermiera del pronto soccorso intanto stava sistemando<br />
i fiori in un vaso sul tavolinetto circolare accostato alla<br />
finestra del corridoio delle visite.<br />
> mi chiese l’altra donna.<br />
> risposi senza riflettere.<br />
L’infermiera rimase a guardarmi andar via, mentre venivo<br />
inghiottito dall’ascensore. Non capiva! Ma come avrebbe<br />
potuto, come avrebbe potuto anche solo immaginare.<br />
155
156<br />
16<br />
Il getto sottile della doccia mi colpiva il torace arrossato<br />
dal calore dell’acqua. Domenica sera avevo fatto tardi con<br />
Stefano e gli altri, così mi ero fermato a dormire in Villa.<br />
Avevamo trascorso la giornata a pianificare una strategia<br />
d’attacco nel caso si ripresentassero situazioni come quelle<br />
della sera prima. Non potevamo premetterci di farci<br />
cogliere impreparati un’altra volta. Evitare lo scontro col<br />
Branco era una priorità, ma sopravvivere era una<br />
necessità. Eravamo tutti d’accordo su quest’ultimo punto.<br />
Non avremmo attaccato per primi, ma non ci saremmo<br />
tirati indietro qualora avessero manifestato intenzioni<br />
ostili. Simone doveva accettare il fatto che abbassare la<br />
guardia era anche più pericoloso che scatenare una rissa.<br />
Le rappresaglie si possono sedare, dopotutto. Era successo<br />
in passato e poteva ripetersi in futuro senza difficoltà. Gli<br />
esponenti del Clan in Italia sono meno inclini ad attirare<br />
l’attenzione creando i presupposti per scontri diretti contro<br />
gli Ancharos. L’inferiorità numerica li rende più prudenti,<br />
soprattutto perché il loro Quartier Generale è tenuto sotto<br />
tiro dai nostri da più di dieci anni. Ne consociamo i<br />
movimenti e sono coscienti che ci sono infiltrati Ancharos<br />
nelle loro file di fedelissimi. Senza l’identificazione del<br />
marchio, non sono ancora in grado di riconoscerci, e<br />
questo li rende vulnerabili, perché fino a cinque anni fa<br />
non avevano la minima idea che potessimo trasmettere il<br />
dono ad altri. Non era mai stato necessario farlo prima, ma<br />
la morte di molti dei nostri ci ha costretto a prendere<br />
qualche provvedimento che loro non avevano mai preso in<br />
considerazione. In America come in altre nazioni, per<br />
ovvie ragioni di spazio, è più difficile tenerli d’occhio, ma
l’Italia diventa un luogo in cui è impossibile nasconderti se<br />
il tuo nemico e uno dei vicini di casa.<br />
La difficoltà di convivenza era tale sia per loro che per<br />
noi. Il Clan arruolava sempre nuovi Agenti e noi avevamo<br />
sempre nuovi nemici da controllare. Sono<br />
duecentoventiquattro gli Ancharos di sangue misto in città,<br />
ma la setta è molto più numerosa. I Comuni coinvolti nella<br />
causa sono almeno cinque volte tanto.<br />
Il Clan, in città, ha circa cinquecento membri. Sa di non<br />
poter agire con la forza per annientarci, perché ne<br />
uscirebbe sconfitto, quindi si limita a tenere d’occhio il<br />
nostro operato, limitandolo al minimo. Dopotutto, se<br />
riesce a scoprire chi sarà il prossimo Destinato, per<br />
annullare l’effetto della sentenza, gli basta impedire che<br />
agisca l’Esecutore preposto. Ricatti, minacce, qualunque<br />
bassezza che possa far desistere l’Esecutore dal portare a<br />
termine il lavoro toccando la vittima, è applicata per il<br />
bene del Destinato, creando così, un automa privo di<br />
energia vitale. Un destinato è tale perché il suo flusso<br />
vitale si è esaurito. A meno che un Ancharos non ne<br />
ristabilisca l’equilibrio energetico, l’individuo è morto<br />
comunque, dentro. Lottano per creare una terra di Zombie<br />
e non se ne rendono conto. Sordi a ogni spiegazione, si<br />
ostinano a ostacolare il piano divino che muove tutte le<br />
cose, creando squilibri che, col tempo, condurranno<br />
l’uomo all’estinzione che hanno tanto in orrore.<br />
Quando l’anta della cabina della doccia si aprì, non mi<br />
voltai. Attesi di sentire le sue mani sottili sul mio petto, le<br />
sue labbra sulla schiena.<br />
Il corpo si scosse in un brivido nonostante il calore<br />
dell’acqua. La punta della sua lingua ora risaliva il mio<br />
collo accaldato, lentamente, man mano che la mia testa si<br />
chinava all’indietro a cercare la sua spalla, troppo in basso<br />
per me.<br />
157
sussurrai con voce strozzata, mentre<br />
sentivo la pressione delicata della sua mano scivolare dal<br />
petto lungo l’addome.<br />
><br />
Mi voltai piano verso di lei. Il getto, in alto per lei, le<br />
aveva bagnato i capelli e il viso era un luccichio di perle<br />
liquide.<br />
Mi allacciò le braccia al collo.<br />
La sollevai facilmente per avere il suo volto alla mia<br />
altezza. Ci baciammo a lungo. Le sue cosce strette alla mia<br />
vita, mentre si muoveva sinuosa, come in una danza<br />
seducente, al ritmo delle nostre lingue intrecciate in un<br />
connubio di passione e desiderio. Era da più di un anno<br />
che non si concedeva a me in quel modo. Forse la gelosia<br />
per Denise era riuscita a risvegliare in lei quel diritto di<br />
possesso che si era imposta di reprimere per me.<br />
Chiusi l’acqua appena mi accorsi che stava intiepidendo.<br />
Celine tolse le labbra dalle mie, dispiaciuta.<br />
Sorrisi ><br />
Il broncio mutò in un sorriso eccitato. Si slacciò da me per<br />
uscire dalla doccia. Mi passò un telo che avvolti attorno<br />
alla vita, mente lei se ne allacciava un altro sul petto per<br />
tamponare i capelli dall’eccesso di acqua. Mi fissava con<br />
la stessa voglia che le avevo visto in passato, quando<br />
stavamo ancora insieme.<br />
><br />
Lo sapevamo entrambi che non sarebbe tornata con me<br />
dopo quella mattina, ma non avrei mai osato negare quel<br />
fugace piacere né a lei, ne a me. Ne avevo bisogno. Dopo<br />
avrei fatto i conti con le ferite che avrebbe lasciato<br />
quell’incontro, ma non avrebbero potuto essere più<br />
dolorose di quanto non fossero già.<br />
158
Mi avvicinai. Le tolsi l’asciugamano bagnato dalle mani e<br />
i capelli ricaddero morbidi sulle sue spalle nude. Mentre le<br />
toglievo il respiro con un bacio, sciolsi il telo che<br />
l’avvolgeva e sollevandola fra le braccia la portai in<br />
camera da letto per continuare il nostro gioco da dove<br />
l’avevamo interrotto.<br />
L’aula di Genetica era gremita di studenti, in piedi attorno<br />
alla cattedra del professore. Avevo fatto un po’ tardi quella<br />
mattina e ignoravo totalmente il motivo di quell’insolito<br />
affollamento.<br />
Marco e i suoi mi fissavano più accigliati del solito, così<br />
mi avvicinai alla cattedra per cercare spiegazioni. Man<br />
mano che avanzavo avvertivo l’atmosfera tesa del Branco<br />
e il dolore nell’animo degli altri studenti.<br />
Scrutai avidamente nella folla in cerca di Denise. Non<br />
c’era. Non riuscivo a vederla. Accelerai il passo senza<br />
smettere un attimo di cercarla. Non mi fermai dai miei<br />
amici di corso, come avrei fatto in altre circostanze come<br />
quella. Puntai dritto su Marco. Lo afferrai senza<br />
complimenti per un braccio, per trarlo da parte.<br />
> chiesi con tono forse anche troppo grave.<br />
><br />
><br />
Odiava quando lo chiamavo così. Ma cos’altro era? Il suo<br />
Clan era una peste per l’umanità.<br />
><br />
Vittima?<br />
><br />
><br />
159
Torna in te, Alex. Ha detto “vittima” un attimo fa.<br />
> chiesi, ma sta volta c’era<br />
preoccupazione, non rabbia nella mia voce.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Scossi involontariamente la testa. Non riuscivo a crederci.<br />
Ero convinto che Ivan fosse lì per Denise e neanche per un<br />
attimo mi era venuto in mente che potesse trattarsi di<br />
qualcun altro.<br />
Fissavo immobile la parete di fronte, perso in mille<br />
pensieri. C’eravamo sentiti in settimana. Era euforica per<br />
aver superato l’esame di Fisiologia che le mancava prima<br />
di poter chiedere l’argomento della tesi in Microbiologia.<br />
Sfilai il cellulare dalla tasca. Composi il suo numero a<br />
memoria. Spento.<br />
Marco si chinò sul mio orecchio ><br />
sussurrò.<br />
Senza pensarci un attimo lo afferrai per il colletto della<br />
camicia e lo avvicinai alla mia faccia per guardarlo dritto<br />
negli occhi > Carmine<br />
e Armando si misero in mezzo per scongiurare il peggio.<br />
Mollai la presa spintonandolo all’indietro con tanta forza<br />
da fargli sbattere la schiena contro la parete alle sue spalle<br />
> ringhiai, stringendo forte il<br />
pugno della mano che sentivo bruciare.<br />
160
Sbattei con forza il portone della Villa, senza<br />
preoccuparmi dei rimbrotti di Teresa, la governante, che<br />
mi seguirono fino al piano di sopra, per spegnersi<br />
definitivamente quando mi chiusi alle spalle con violenza<br />
anche la porta della mia stanza.<br />
Per la fretta avevo lasciato l’altro cellulare sulla scrivania.<br />
Stava squillando. Lo fracassai contro la parete per farlo<br />
smettere. Non volevo rispondere. Non se la sarebbe cavata<br />
con una semplice spiegazione a telefono. Se aveva<br />
qualcosa da dire, doveva avere il coraggio di dirmela in<br />
faccia.<br />
Ma a Massimo avrei pensato in un secondo momento.<br />
Dovevo prima rimettere a posto le cose con Federica.<br />
I funerali avrebbero avuto luogo nel pomeriggio. Avevo<br />
tutto il tempo per andare da lei e parlare un po’. Dopo il<br />
trapasso, l’anima può interagire esclusivamente col<br />
proprio nocchiero. Passano diversi anni prima che possa<br />
farlo anche con gli altri, ma Paolo era un amico, mi<br />
avrebbe concesso del tempo con lei, quindi non avevo<br />
motivo di preoccuparmi.<br />
Non erano trascorsi che pochi secondi da quando ero<br />
entrato in stanza e scaraventato il cellulare contro il muro.<br />
Il pianto spaventato di Thomas mi riportò alla realtà.<br />
Erano appena le 8:30, stava ancora dormendo e tutto quel<br />
trambusto l’aveva svegliato. La sua stanza era accanto alla<br />
mia, il letto proprio di fianco alla parete dove avevo<br />
lanciato il cellulare.<br />
Sei il solito stupido!<br />
Preso dal nervosismo non avevo minimamente pensato al<br />
fatto che era troppo presto perché Thomas fosse sveglio.<br />
L’asilo privato apre alle 9:00.<br />
I passi leggeri di Beatrice si mossero lungo il corridoio.<br />
Uscii.<br />
161
dissi baciandole una guancia ><br />
Mi scrutò con i suoi occhi attenti ><br />
><br />
Annuì ><br />
><br />
><br />
La giornata va di bene in meglio!<br />
><br />
> rimbrottò.<br />
Scossi la testa. Non avevo alcuna voglia di iniziare una<br />
discussione sull’assoluto non rapporto con mio padre ><br />
Al funerale di Federica c’erano tutti i nostri compagni di<br />
corso. I professori avevano fatto preparare un’elegante<br />
corona di fiori con le insegne della facoltà. Parenti, amici,<br />
conoscenti… erano presenti più di settecento persone.<br />
Federica pianse tutto il tempo, addolorata e commossa allo<br />
stesso tempo. Paolo era stato dolcissimo con lei.<br />
Rispettando i suoi tempi e spiegandole con estrema<br />
delicatezza tutto ciò che c’era da sapere. È un nocchiero da<br />
qualche anno più di me, e l’esperienza giocava molto a suo<br />
favore. Ne aveva accompagnati a centinaia nei suoi otto<br />
anni di lavoro.<br />
Federica rimase accanto a noi tutto il tempo. Non si<br />
avvicinò neanche ai suoi genitori, ai parenti. Non ne aveva<br />
la forza. Non si era preparata a quell’addio. Come<br />
biasimarla? A ventitré anni la morte sembra così lontana<br />
da farti sentire così immortale da rischiare di ucciderti da<br />
solo.<br />
162
Denise era tornata al suo posto nel Branco. Marco aveva<br />
mantenuto la parola: nessuna ripercussione. Ne fui<br />
contento, anche se non riuscivo a capire a cosa fosse<br />
dovuta tutta l’insoddisfazione, l’amarezza, la paura, la<br />
rassegnazione che emanava il suo spirito.<br />
Mi scorse in lontananza e sollevò appena il mento per un<br />
cenno di saluto.<br />
Le sorrisi.<br />
Paolo si accorse di quel breve scambio di tenerezze e mi<br />
posò una mano sulla spalla ><br />
sussurrò.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Lo guardai, allarmato ><br />
><br />
Federica sussultò al mio fianco. Si stringeva al mio<br />
braccio. Stavano spingendo il feretro all’interno dello<br />
stretto loculo di cemento. Sobbalzava a ogni spinta. Quasi<br />
potesse avvertire fisicamente gli scossoni dati alla cassa<br />
per farla scivolare in quel cunicolo buio.<br />
> sussurrò fra i singhiozzi.<br />
Un lamento straziante si propagò fino a noi. Acuto.<br />
Insostenibile.<br />
> esclamò in un sospiro soffocato dal pianto.<br />
La strinsi forte in un abbraccio e lei si lasciò cullare fra le<br />
mie braccia per qualche minuto. Il tremore convulso si<br />
spense pian piano che prendeva coscienza della realtà. Io<br />
le sussurravo all’orecchio le parole più dolci e rassicuranti<br />
che conoscessi, ma era come se ognuna di quelle parole mi<br />
163
stracciasse l’anima, riportando alla coscienza tutti gli<br />
orrendi ricordi del passato.<br />
Paolo intervenne quando si accorse che ero sul punto di<br />
crollare.<br />
Sapeva bene quanto fossi vulnerabile agli attacchi feroci di<br />
quei momenti.<br />
> disse tranquillo.<br />
Una tranquillità di cui non ero capace. Una quiete che<br />
avrebbe placato anche l’animo più in tumulto. Una pace<br />
che non conoscevo. Una serenità che cercavo da tutta una<br />
vita.<br />
Giornate come questa mi annientavano completamente. Di<br />
solito finivo col chiudermi nel mio appartamento in città,<br />
chiudere le tapparelle, e mandare a quel paese il mondo<br />
intero, almeno fino al giorno dopo.<br />
Diventavo intollerante, inavvicinabile. Ne ero cosciente, e<br />
lo sapeva anche chi aveva imparato a conoscermi, che<br />
restava prudentemente a distanza.<br />
La mattinata con Celine, però, mi aveva fornito un<br />
appiglio per non sprofondare di nuovo nello sconforto.<br />
Forse, dopotutto, potevo rimanere a galla. Non sarei uscito<br />
dall’oceano di costernazione che mi opprimeva, ma c’era<br />
una possibilità, seppur remota, di rimanere a galla.<br />
Non ero costretto ad affondare.<br />
Mi tenni alla larga dal quartiere per non farmi tentare dalle<br />
vecchie abitudini. Dovevo trovare un modo per distrarmi<br />
che mi facesse ritrovare un contatto con la realtà. Ci<br />
dovevo provare almeno.<br />
Tornai in villa a cambiarmi. Thomas piangeva di nuovo.<br />
Era caduto mentre giocava con Stefano. Aveva inciampato<br />
correndo per casa e ora strillava perché papà gli medicava<br />
il ginocchio sbucciato.<br />
164
dissi sedendomi sulla poltrona<br />
per mettermi Thomas sulle gambe.<br />
><br />
Sì<br />
><br />
> esclamò alzandosi. Aveva applicato un<br />
cerotto colorato al bambino e ora liberava il tavolino basso<br />
del salotto dalle garze sporche e la boccetta di<br />
mercurocromo.<br />
Stefano se ne stava in silenzio seduto sul divano. Non si<br />
intrometteva mai nei nostri brevi battibecchi. L’ultima<br />
volta che l’ha fatto ci siamo quasi presi a pugni. Per<br />
fortuna Beatrice è intervenuta appena in tempo per<br />
calmare le acque.<br />
Stefano, quando si trattava del mio rapporto con nostro<br />
padre, non era mai d’accordo con me. Anche se non lo<br />
diceva, io sapevo bene che era dalla sua parte e non dalla<br />
mia.<br />
Se fossi stato meno cocciuto, sono sicuro che, perfino io<br />
sarei andato contro me stesso in quelle circostanze. Sono<br />
in grado d’essere un vero stronzo quando voglio, e Dio<br />
solo sa quanto mi ostinassi a esserlo con mio padre.<br />
> dissi cercando di<br />
rimanere calmo ><br />
Mio padre e Stefano si scambiarono uno sguardo furtivo.<br />
Mi innervosì, ma non lo diedi a vedere ><br />
Mio padre scosse la testa tranquillo ><br />
><br />
165
Colpito e affondato!Questo non lo sapevo.<br />
Con cosa fa merenda un bambino di tre anni? Da quando<br />
mi ero trasferito al quartiere ero stato troppo poco tempo a<br />
casa per saperlo.<br />
><br />
Inutile, era sempre un passo avanti al mio.<br />
Mi alzai dalla poltrona tenendo il bambino in braccio > dissi fingendo di ignorare la<br />
punzecchiata.<br />
Bruno e Clarissa mi diedero buca dieci minuti dopo aver<br />
varcato l’ingresso del centro commerciale. Una telefonata<br />
di scuse e via. Come se si potesse liquidare un amico in<br />
quel modo così incivile.<br />
Se fossi stato da solo me la sarei legata al dito una<br />
scortesia simile, ma non mi dispiaceva l’idea di dedicarmi<br />
un po’ a Thomas. Non avevamo mai molto tempo da<br />
passare insieme da soli.<br />
Beatrice ci avrebbe sgridati entrambi appena rientrati a<br />
casa, ma non riuscii proprio a resistere dal fare una tappa<br />
al Maxi Store di giocattoli più grande della regione<br />
all’interno del centro commerciale. Un intero piano di<br />
giochi per tutte le età. Io c’ero entrato spesso per<br />
prendergli qualcosa quando passavo a trovarlo in Villa, ma<br />
lui non c’era mai stato prima.<br />
Non avevo notato che Thomas avesse imparato a correre<br />
così. Sfrecciava da un corridoio all’altro del negozio,<br />
indicando ora questa, ora un’altra scatola colorata. Non<br />
toccava niente, le indicava soltanto con un sorrisetto<br />
166
eccitato, che faceva a brandelli le mie forze ogni volta che<br />
lo rivedevo sul suo faccino. I boccoli castani li aveva presi<br />
dalla madre, anche se il colore chiaro era decisamente di<br />
suo padre. Erano pochi i tratti della mia famiglia nel suo<br />
viso. Troppo angelico per appartenere a un discendente<br />
Ancharos. Neanche in Stefano, da piccolo, avevo visto<br />
quell’espressione così innocente. Più lo osservavo con<br />
attenzione, più mi rendevo conto di quanto i geni di sua<br />
madre si fossero imposti sui nostri. Come se il carattere di<br />
una persona possa influenzare anche la genetica.<br />
Sarebbe stato tutto più semplice se fosse stato un po’ più<br />
simile a noi.<br />
Aveva approfittato della mia breve distrazione per correre<br />
su una piccola moto azzurra a batteria.<br />
Già lo viziavamo alle griff. Sembrava una pubblicità della<br />
Nike: Giubbetto, salopette di jeans, felpetta e scarpine da<br />
ginnastica. Perfino l’intimo era firmato. Una piccola<br />
debolezza a cui non sapevamo proprio resistere.<br />
> disse tastando i pulsanti colorati sul<br />
manubrio della moto. > e dava il<br />
via al simpatico suono del clacson ><br />
> dissi sorridendo, mentre lo<br />
prendevo in braccio prima che la commessa che ci<br />
guardava di sottecchi venisse a rimproverarci.<br />
> protestò sporgendosi in avanti per<br />
costringermi a farlo scendere.<br />
Rischiava di cadere testa a terra se non si fermava. Lo misi<br />
giù e mi abbassai alla sua altezza, tenendolo fermo per le<br />
spalle > dissi serio.<br />
Obbedì, nonostante il sorriso fosse stato sostituito da un<br />
broncio dispettoso.<br />
167
Sbuffò per il rimprovero, ma fu così tenero che dovetti<br />
trattenere a fatica un sorriso.<br />
><br />
><br />
Annuii ><br />
><br />
Gli arruffai la cascata di boccoli ><br />
Mi sfoderò il broncio più teatrale che avesse ><br />
Sorrisi, rassegnato.<br />
> sentii dire alle mie spalle.<br />
Mi rialzai.<br />
><br />
> scherzò > chiese chinandosi<br />
all’altezza del bimbo, che vedendola si era nascosto dietro<br />
i miei polpacci.<br />
> risposi prendendolo in braccio > immerse il faccino nella mia spalla.<br />
Risi ><br />
><br />
><br />
esclamai sorridendo al piccolo, mentre gli scansavo un<br />
ricciolo dalla fronte.<br />
Mi fissò un momento incuriosita. ><br />
168
Secondo tentativo di socializzazione > fece no con la testolina.<br />
Quest’ostilità l’aveva ereditata decisamente da me.<br />
><br />
><br />
><br />
Sorrideva divertita ><br />
chiese curiosa.<br />
> risposi solleticandolo sul pancino > lo sentii irrigidirsi ><br />
> mi assecondò.<br />
> protestò lui.<br />
Denise si avvicinò per fare una carezza al bambino ><br />
Era un compromesso troppo a suo favore per rifiutare.<br />
Soprattutto dopo che i primi cinque minuti di vergogna<br />
erano belli che passati.<br />
Bacio concesso. Adesso toccava a me rispettare la seconda<br />
parte dell’accordo. Feci segno alla commessa di<br />
avvicinarsi. Si segnò il numero di serie dell’articolo e andò<br />
in magazzino a recuperarne uno confezionato da portare<br />
alla cassa.<br />
> chiesi mettendolo giù. Ti serve<br />
nient’altro?<br />
169
Si guardò un po’ intorno con l’avidità tipica di un bambino<br />
che viene invitato a scegliere una sola cosa fra un mare di<br />
giocattoli.<br />
Naturalmente la mia era una provocazione.<br />
Fece per scattare verso uno scaffale, ma a metà strada si<br />
fermò. Mi guardò in cerca di approvazione,<br />
incoraggiamento a proseguire. Non la ottenne. Sapeva<br />
bene che non avrebbe ottenuto altro. Beatrice era sempre<br />
stata molto rigida in questo: non più di un gioco per volta.<br />
Tornò indietro, ma non era scontento > era<br />
solo impaziente di tornare a casa e provare la moto.<br />
Sollevò le braccia per farsi sollevare di nuovo.<br />
> chiesi a Denise > Non me la sentivo di parlare di Federica davanti<br />
al bambino.<br />
><br />
><br />
Si accigliò ><br />
><br />
><br />
><br />
Scusarmi con lei era sempre come parlare al vento ><br />
Annuii lasciando che si allontanasse.<br />
><br />
Si voltò.<br />
Non fare sciocchezze.<br />
170
Sorrise. Annuì. Tempesta placata.<br />
><br />
><br />
> ammiccai ><br />
><br />
Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh? ><br />
Quando svoltò l’angolo del corridoio sistemai meglio<br />
Thomas, che nel frattempo si era addormentato.<br />
Ops. La merenda! Porca pu….mmmmmmmm, gli hai fatto<br />
saltare la merenda.<br />
Mentre mi avviavo alla cassa, liberai una mano per<br />
afferrare la stazione dei pompieri che mi aveva chiesto<br />
subito appena entrati prima che la sua attenzione venisse<br />
folgorata dalla piccola moto a batteria.<br />
Dovevo comprarmi il suo silenzio in qualche modo o<br />
rischiavo che mio padre mi scorticasse vivo.<br />
171
172<br />
17<br />
Uscii dall’ospedale che albeggiava ormai. Mi infilai di<br />
corsa in macchina e sfrecciai verso casa.<br />
Era stata una nottata terribile, ero uscito con tanto<br />
entusiasmo e tornavo con i lamenti disperati di una madre<br />
che aveva appena perso suo figlio.<br />
Non mi importava l’aver visto Celine. Certo, ero felice di<br />
sapere che stava bene, ma le grida di quella donna mi<br />
risuonavano fastidiosamente in testa impedendomi anche<br />
il più banale pensiero.<br />
Desideravo solo andarmene a letto e lasciarmi per sempre<br />
alle spalle quell’orrore.<br />
Tornato a casa invece, dovetti prima sorbirmi il terzo<br />
grado di mio nonno, che mi rimproverò per essere stato<br />
fuori da solo tutto quel tempo, senza avvertire.<br />
Naturalmente non gli dissi dov’ero stato e questo lo mandò<br />
praticamente si tutte le furie.<br />
> fu l’unica risposta al suo<br />
interrogatorio.<br />
Mi mollò un ceffone, ma poi, finalmente, dopo essersi<br />
sfogato, mi permise di ritirarmi nella mia stanza.<br />
Sono convinto che, dopotutto, sia stato un bene per me<br />
trascorrere l’intera adolescenza all’Ancharos. Se fossi<br />
rimasto in Villa, con mio nonno ci saremmo scannati a<br />
vicenda. Siamo troppo uguali, troppo cocciutamente<br />
orgogliosi e istintivi.<br />
Tentai invano di prendere sonno quella mattina, provai<br />
perfino a battere la testa contro il muro, ma niente, quella<br />
donna non si decideva a lasciarmi in pace.
Credo d’aver ceduto al sonno per sfinimento, perché mi<br />
svegliai nella stessa posizione in cui mi ricordavo d’essere<br />
prima di cadere tra le braccia di Morfeo.<br />
Mi destai a causa del continuo bussare di mio nonno<br />
contro la porta della mia stanza.<br />
> risposi bruscamente, aprendo.<br />
><br />
Ero arrabbiatissimo con lui. A ricordarmi il motivo c’era<br />
ancora il livido sullo zigomo, ma come al solito non se ne<br />
rese conto, anche se comincio a pensare che facesse finta<br />
di non capire, forse per non accendere ulteriori<br />
discussioni.<br />
Mi vestii brontolando.<br />
Per la prima volta da quando era a New York uscimmo a<br />
piedi, anche se con sei guardaspalle a qualche metro di<br />
distanza.<br />
> mi fece notare.<br />
> chiesi curioso.<br />
> mi<br />
spiegò.<br />
> esclamai esaminando con<br />
attenzione il suo collo ><br />
> rispose mostrandomelo per la<br />
prima volta.<br />
><br />
><br />
173
><br />
><br />
<br />
Non capivo, ma, dopotutto, era l’enigma che mi<br />
perseguitava da tutta la vita. Mio padre non è un<br />
Ancharos, eppure l’unione con mia madre, mortale<br />
anch’essa, gli ha ugualmente permesso di dare alla luce un<br />
Discendente Puro. Mio zio Sergio invece, primogenito e<br />
pertanto erede legittimo del singolare patrimonio genetico<br />
che dimora nelle nostre cellule semi-immortali, non è<br />
riuscito a trasmettere il suo potere ai propri discendenti. È<br />
anche vero che ha avuto solo due figlie femmine e che la<br />
discendenza si tramanda ai primogeniti maschi, ma… ><br />
> fu costretto a<br />
tacere perché stavamo attraversando una piccola folla di<br />
passanti. Quando riprese a parlare usò più prudenza<br />
più di un Ancharos nella stessa famiglia, sia esso un<br />
Impuro o un Discendente autentico.>><br />
><br />
Si guardò intorno con attenzione prima di rispondere ><br />
><br />
><br />
> volevo davvero saperlo?<br />
><br />
><br />
><br />
Eccome se l’ho capito. ><br />
><br />
Non volli sapere altro in proposito, quello che avevo<br />
sentito me lo sarei fatto bastare per il resto dei miei giorni.<br />
Era una manovra estremamente pericolosa per entrambe le<br />
parti in causa, non avevo bisogno di sapere altro per farmi<br />
desistere dallo sperimentare l’esperienza.<br />
Sempre quella mattina, allo stesso modo mi insegnò a<br />
riconoscere anche i Giudici e gli Esecutori impuri e ibridi.<br />
Il criterio era identico, ma il marchio differente.<br />
175
Arrivò il giorno in cui mio nonno dovette fare ritorno in<br />
Italia.<br />
Mi aveva spiegato tutto quello di cui avevo bisogno per<br />
sopravvivere in quel posto, quindi non aveva più scuse per<br />
rimanere.<br />
Non andò via tranquillo, nonostante mi avesse lasciato alle<br />
costole i suoi gorilla.<br />
Ero contento di rimanere finalmente da solo, ma un po’ mi<br />
dispiacque vederlo partire, dopotutto era una delle colonne<br />
portanti della mia vita. Sapevo che se mi fossi trovato nei<br />
guai avrebbe potuto aiutarmi e data la mia inesperienza<br />
sapevo che avrei attirato i guai come una calamita.<br />
Da allora in avanti, avrei dovuto far fede solo sulle mie<br />
forze e questo un po’ mi lasciava perplesso, considerate le<br />
recenti esperienze.<br />
Erano un paio di giorni che non avevo notizie di Celine.<br />
Non ero più tornato in ospedale dopo quella notte e<br />
l’avevo lasciata in condizioni ancora critiche. Non avevo<br />
voglia di rimettere piede in quel calvario e allo stesso<br />
tempo volevo rivederla. Continuavo a pensare a lei<br />
nonostante avessi potuto e desiderato impiegare il mio<br />
tempo in altre attività. Era diventata un’ossessione quasi<br />
fastidiosa. Come se la mia mente si fosse inceppata e<br />
continuasse a mostrarmi di continuo i brevi istanti di<br />
ricordi catturati con avidità dai miei occhi invaghiti di lei.<br />
È assurdo che dovetti perfino far leva sul mio coraggio per<br />
convincermi a fare almeno una telefonata.<br />
Non mi riconoscevo più.<br />
Mi rispose un uomo. Disse che Celine si stava riprendendo<br />
- era stata trasferita al reparto di medicina generale -, e che<br />
176
molto probabilmente avrebbe trascorso in ospedale solo un<br />
altro paio di giorni.<br />
Lo ringraziai per le informazioni e ne approfittai anche per<br />
chiedere gli orari serali per le visite.<br />
Dalle 17.00 alle 20.00 nei giorni lavorativi.<br />
Dalle 16.00 alle 21.00 nei giorni festivi.<br />
Avevo solo due giorni per incontrarla, e poi, chissà quando<br />
si sarebbe presentata di nuovo l’occasione di farlo.<br />
Ero seduto in cucina a sorseggiare una tazza di cioccolata<br />
calda. Riflettevo sul da farsi. Ero talmente immerso nei<br />
miei pensieri che non sentii Margherita entrare.<br />
> esordì<br />
attraversando il salotto. Li sistemò in bagno e mi<br />
raggiunse in cucina.<br />
> mi chiese premurosa.<br />
Margherita allora aveva all’incirca quarant’anni, era la<br />
confidente fidata di mia madre, aiutata dal fatto che ha<br />
solo due anni più di lei.<br />
È una donna molto gentile, sempre disponibile, fin troppo<br />
a volte. Quando tornai dal collegio lei fu una di quelle che<br />
mi stette più vicina. Andavamo d’accordo e questo mi<br />
faceva sentire meno solo.<br />
> ripeté.<br />
Non mi andava di spiattellarle ogni cosa, ma non riuscivo<br />
proprio a tenermi tutto quel peso dentro. Avevo il<br />
disperato bisogno di fidarmi di qualcuno.<br />
Le raccontai tutto, non tralasciai nulla, il mio fu uno sfogo<br />
con i fiocchi e lei stette teneramente in silenzio ad<br />
ascoltare.<br />
> intervenne d’un tratto.<br />
177
Volevo con tutto il cuore salire in auto e raggiungere<br />
Celine, eppure continuavo a tirare fuori una scusa dopo<br />
l’altra per rimandare quel momento.<br />
> chiese.<br />
> domandai dopo un momento di<br />
esitazione.<br />
> rispose<br />
sorridendo.<br />
Erano le 17:30, il sole era alto in cielo, anche se non<br />
sarebbe rimasto lì ancora molto. Feci una doccia calda e<br />
mi preparai per uscire.<br />
Come previsto, alle 18:20 il sole era già andato a nanna e<br />
le ombre cominciavano a prendere il sopravvento sulla<br />
città, invitandomi finalmente a uscire.<br />
Salimmo in auto e con una scusa chiedemmo a Paul di<br />
accompagnarci fino all’ospedale. Eravamo in tre, quindi<br />
prendemmo la SL cinque porte nera.<br />
Quella volta, al posto dei fiori portai un delizioso pacco di<br />
cioccolatini, sempre sotto consiglio di Margherita.<br />
Soprattutto, entrammo dall’entrata principale dell’ospedale<br />
evitando il pronto soccorso.<br />
Perché non ci avevo pensato io fin dall’inizio?<br />
Dall’accettazione venimmo a sapere che il reparto di<br />
medicina generale era al quarto piano, e Celine era<br />
ricoverata nella stanza numero nove.<br />
Quando arrivammo al reparto, io e Margherita ci<br />
guardammo un po’ in giro per capire com’erano disposte<br />
le camere e, sulla sinistra, seguendo il corridoio numerato<br />
178
arrivammo velocemente alla nove. La porta era aperta, ma<br />
io me ne stavo qualche metro indietro.<br />
Mi detestavo in quel momento, non osavo farmi avanti.<br />
Ero in uno stato catatonico, vergognoso a guardarsi.<br />
Margherita si sporse per dare un’occhiata al posto mio. La<br />
stanza era deserta, il letto ancora disfatto e vari oggetti<br />
poggiati qua e là, come se qualcuno avesse lasciato la<br />
camera in tutta fretta.<br />
Mi feci avanti per esaminare la stanza a mia volta.<br />
Codardo!<br />
Appena posai una mano sullo stipite della porta, un<br />
insolito brivido gelido mi percorse la schiena e fui colto da<br />
un bruttissimo presentimento.<br />
Margherita si accorse del mio disagio e chiese<br />
informazioni a un’infermiera di passaggio. Mentì<br />
confidano di essere una zia, ><br />
precisò con furbizia.<br />
> rispose<br />
l’infermiera ><br />
Non riuscivo a crederci, stava accadendo di nuovo…<br />
Scesi di corsa al terzo piano, Margherita non capiva cosa<br />
avessi in mente e mi seguì senza fare domande.<br />
L’avevano trasferita in una stanza singola e davanti la<br />
vetrata erano accalcate una decina di persone.<br />
Parenti di lei?<br />
Capii la gravità del problema dall’espressione dei loro<br />
volti.<br />
179
Mi avvicinai al vetro e la vidi. Era lì, esattamente come<br />
l’avevo lasciata l’ultima volta. Se non avessi saputo la<br />
verità avrei giurato che stesse come allora. Solo il monitor<br />
tradiva quell’illusione. Il suo bip era molto più lento, più<br />
debole, un battito ogni due, tre secondi.<br />
Non c’erano dubbi! Stava morendo. Stava succedendo di<br />
nuovo ed io ancora una volta non potevo fare nulla per<br />
evitarlo.<br />
Sua madre e suo padre le erano seduti accanto, le<br />
stringevano forte le mani e continuavano a parlarle.<br />
Non sarebbe servito a niente, io lo sapevo.<br />
Una ragazzina sui dodici anni, se ne stava in corridoio a<br />
pregare un’immagine sacra che risparmiasse la vita di sua<br />
sorella.<br />
L’atmosfera era soffocante, le luci calde dei neon poi, mi<br />
impedivano quasi di respirare.<br />
Margherita mi prese da parte ><br />
> esclamai sconvolto.<br />
><br />
><br />
> esclamò contrariata ><br />
Un modo per salvarla c’era, avrei dovuto infonderle<br />
abbastanza energia vitale da permetterle di riacquistare<br />
una parte dell’influsso sottrattogli durante l’aggressione.<br />
C’era un dettaglio però - che allora mi sembrò irrilevante –<br />
che avrebbe potuto rendere vano ogni mio tentativo. Io<br />
non avevo mai immagazzinato energia vitale da nessuno.<br />
L’unica che potevo infondergli era la mia.<br />
180
Se avessi messo in atto il mio piano ci sarebbero state<br />
conseguenze gravi per tutti e due: rischiavo di scoprire di<br />
non possedere abbastanza energia per tenere in vita<br />
entrambi, perché lei ne era talmente sprovvista che<br />
salvarla avrebbe potuto richiedere una quantità di energia<br />
tale da lasciare a secco me.<br />
Sacrificare qualcuno per lei era fuori questione però.<br />
Nonostante ciò – se non fosse ancora abbastanza da farmi<br />
rinunciare a quella follia -, c’era da considerare anche<br />
l’effetto collaterale del mio gesto. Sono un Discendente<br />
puro, infonderle la mia energia significava avvelenarla di<br />
un potere che forse non voleva, senza togliere il fatto che<br />
si trattava di una donna. Che io sappia, non è mai stata<br />
infettata una donna.<br />
Chi ero io per condannarla a una vita nell’ombra?<br />
Costretta a guardarsi le spalle di continuo per sfuggire a un<br />
esercito di sanguinari che volevano solo la sua morte.<br />
Come avrei potuto contagiarla e lasciare che vivesse<br />
nell’oblio, impazzendo nel momento in cui iniziava a<br />
sperimentare i suoi nuovi poteri, ignara di tutto, perfino<br />
pericolosa per chi le viveva attorno?<br />
Chi ero io per decidere della sua vita?<br />
Non sei Dio! Lo sai cosa accade a quelli che osano<br />
sostituirsi a Lui.<br />
Forse lei avrebbe preferito morire piuttosto che vivere …<br />
come me.<br />
Margherita aveva ben chiara in testa quale fosse la<br />
decisione più giusta, più logica
come quello che le ha fatto tutto questo? Fatti da parte,<br />
figliolo, lascia che il destino si compia.>><br />
Era vero, tutto spaventosamente giusto, però… > sbottai irritato ><br />
La scostai in malo modo e mi avvicinai al vetro facendomi<br />
largo tra la folla. Dopo una breve esitazione, entrai nella<br />
stanza senza badare a chi provava inutilmente a<br />
trattenermi.<br />
Suo padre quando mi vide irrompere a quel modo si alzò<br />
infuriato.<br />
><br />
ringhiò.<br />
La signora Madison, invece, non si accorse neanche di me.<br />
Aveva lo sguardo perso in chissà quale particolare del<br />
volto di Celine, incurante di tutto ciò che le accadeva<br />
intorno.<br />
><br />
risposi sicuro.<br />
> disse con le lacrime agli occhi. Poi guardò<br />
fuori, e nel corridoio vide il cappellano dell’ospedale.<br />
> spiegai.<br />
La mia mente vagava per conto suo ormai, parlavo senza<br />
neanche rendermi conto di quello che dicevo.<br />
> domandò.<br />
><br />
Al suono delle mie parole scoppiò in un pianto disperato.<br />
182
disse serio,<br />
nonostante i singhiozzi gli scuotessero il petto > esclamò in preda al panico afferrandomi<br />
per il bavero del cappotto.<br />
><br />
E se andasse male? Guarda quest’uomo, Alex! Con quale<br />
coraggio alimenti nel suo cuore false speranze?<br />
Io non avevo mai infettato nessuno, sapevo per sentito dire<br />
quello che avrei dovuto fare, ma non lo avevo mai fatto<br />
prima.<br />
> dissi serio.<br />
L’uomo annuì. Sollevò di peso sua moglie e la portò in<br />
corridoio con gli altri.<br />
È incredibile quello che era disposto a fare quell’uomo per<br />
sua figlia. Quella gente non mi conosceva, eppure<br />
affidavano la vita di Celine nelle mie mani senza replicare.<br />
Avrebbero accettato tutto pur di riaverla sana e salva a<br />
casa. Questo pensiero bastò per darmi il coraggio che mi<br />
serviva a proseguire.<br />
Chiusi a chiave la porta della stanza e tirai la tendina della<br />
vetrata sul corridoio.<br />
Eravamo rimasti soli. Io e lei soltanto.<br />
Mi sfilai il capotto e lo lasciai cadere sulla sedia dove un<br />
attimo prima era seduta sua madre.<br />
Il bip del monitor continuava a rallentare, non avevo molto<br />
tempo, ogni secondo che aspettavo perdeva energia che<br />
avrei potuto immagazzinare per me prima di infonderle la<br />
mia.<br />
Rimasi ancora un momento a guardarla, forse era l’ultima<br />
volta che potevo posare i miei occhi sul suo bel viso. Le<br />
sfiorai la fronte con un bacio.<br />
Stavo tremando. Mi misi a sedere sul bordo del letto.<br />
Ormai il danno è fatto! Vada come deve andare!<br />
183
Senza indugiare oltre le tolsi delicatamente gli aghi delle<br />
flebo dalle braccia. Le strinsi una mano fra le mie e iniziai<br />
a prendere quell’alito di vita che le era rimasto.<br />
Per un istante il battito del suo cuore si arrestò, poi riprese<br />
a battere, sempre più lentamente. Decisi che era quello il<br />
punto limite, rifiutandomi di sottrarre di più. Dovetti fare<br />
molta forza per invertire il flusso, sarebbe bastata una<br />
banale distrazione a lasciarla del tutto prosciugata della<br />
propria giovane vita. Per fortuna riuscii a fermarmi appena<br />
in tempo.<br />
Era ora giunto il momento di invertire i ruoli, ma ero più<br />
tranquillo, perché, da allora sarei stato in pericolo soltanto<br />
io.<br />
Sentivo la mia energia fluire violenta attraverso il palmo<br />
della mia mano. Stetti lì seduto per qualche minuto, poi,<br />
avvertii le forze mancare e mi stesi sul letto accanto a lei,<br />
cercando di non perdere i sensi. Se non avessi tolto in<br />
tempo la mano, al momento opportuno, sarei morto.<br />
Per rimanere sveglio mi misi a canticchiare qualcosa.<br />
Sarò il sole che illumina il tuo volto pallido.<br />
Sarò quell’ombra di mistero che si cela nei tuoi occhi.<br />
Sarò il tuo più grande sogno, quello che ti fa battere il<br />
cuore attimo dopo attimo, giorno dopo giorno.<br />
Sarò la tua più bella canzone, quella che canti sottovoce<br />
quando con sguardi d’amore mi osservi.<br />
Sconfiggerò il mio orgoglio, abbatterò le paure e quel mio<br />
muro di menzogne.<br />
E tu non avrai più paura… perché io sarò lì… con te e non<br />
ci lasceremo mai.<br />
Rimasi quasi un’ora lì con lei.<br />
184
La guardavo riprendere un roseo colorito sul volto. Il<br />
monitor aveva ripreso a cantare, si stava riprendendo.<br />
Si mosse.<br />
Feci scivolare lentamente la mia mano dalla sua,<br />
sciogliendo a fatica le mie dita deboli dalle sue. Rimasi<br />
ancora qualche minuto disteso sul letto. Non riuscivo a<br />
muovermi, ero distrutto.<br />
Svenni credo, o mi addormentai, ma mi svegliarono i<br />
richiami convulsi del Signor Madison. Mi ero<br />
completamente dimenticato di lui, di tutti loro.<br />
Mi feci forza, sorreggendomi prima sulle sbarre del letto e<br />
lungo la parete per raggiungere il fondo della stanza. Aprii<br />
la porta. Non feci in tempo a dire niente, perché svenni<br />
appena mi investì il primo spiraglio delle luci del<br />
corridoio, almeno così mi raccontarono quando mi ripresi.<br />
Mi risvegliai nel mio letto con la febbre alta e Margherita<br />
che mi dormiva accanto.<br />
Ricordo bene la ramanzina che mi fece nei giorni seguenti,<br />
ebbe due intere settimane per ridire sul mio<br />
comportamento ed io non potevo fare a meno di ascoltarla<br />
perché ero confinato a letto senza un briciolo di forze. Gli<br />
unici suoni che riuscivo a emettere erano un misto di<br />
mugugni e lamenti.<br />
Volevo sapere com’era andata all’ospedale, ma non<br />
riuscivo a chiederlo e lei non me lo diceva di proposito.<br />
Solo due settimane dopo – quando gli sembrò d’avermi<br />
punito abbastanza – mi disse che Celine stava bene. Era<br />
stato suo padre a portarmi di sotto fino alla macchina e,<br />
come stabilito, non aveva fatto domande.<br />
Margherita disse che ci aveva ringraziato più di quelle<br />
volte da darle alla testa.<br />
185
Si era fatto lasciare il nostro numero di telefono per<br />
potermi ringraziare poi di persona, quando fossi stato<br />
meglio.<br />
Non credo avrebbe avuto ancora così tanta voglia di<br />
ringraziarmi se avesse saputo cosa era successo in realtà,<br />
ma a questo piccolo particolare non avevo proprio voglia<br />
di pensare. Celine era viva, questo contava, nient’altro.<br />
Il signor Madison telefonò cinque giorni dopo per<br />
informarci che Celine era stata dimessa, ma io stavo<br />
ancora troppo male per alzarmi dal letto o parlare con<br />
chicchessia. Margherita li ringraziò con premura anche da<br />
parte mia.<br />
Ah, la mia Margherita! Cosa farei senza di lei?<br />
186
18<br />
Si può impazzire in venti minuti? Io rischiavo di farlo se<br />
Denise non si decideva a varcare la soglia dell’aula di<br />
Fisica. Era sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad<br />
andarsene, quel ritardo era anormale e angosciante.<br />
Che fosse successo qualcosa?<br />
Ma no, di sicuro era solo in ritardo.<br />
Non farti prendere dalle solite paranoie. Sta calmo.<br />
Arriverà. Aspetta un altro po’.<br />
Aspettare? Ma se ero già pronto a dare in escandescenza.<br />
Arriverà, fidati.<br />
Fermai Lorenzo mentre mi sfilava davanti per prendere<br />
posto con i suoi amici ><br />
><br />
Avrei voluto chiedergli di più, ma quando scorsi Celine<br />
avvicinarsi dal fondo dell’aula, lo lasciai andare.<br />
> disse ancor prima di raggiungermi.<br />
Dal tono allarmato della sua voce pensai fosse successo<br />
qualcosa a casa. Mi alzai di scatto.<br />
> sbottò.<br />
Non ci fu bisogno che aggiungesse altro. La seguii di corsa<br />
fuori dall’aula. Salimmo al quarto piano. Non capivo dove<br />
stesse andando fino a quando non vidi l’insegna dei bagni<br />
sulle porte. Il quarto piano è del corso di Scienze della<br />
vita, che fa lezione nel nostro istituto solo il mercoledì,<br />
giovedì e venerdì. Noi di solito usavamo le aule vuote di<br />
187
lunedì e martedì, per studiare indisturbati, ma gli addetti al<br />
piano erano stati chiari “ I bagni sono off limits”.<br />
Complimenti. Ti sei scelta proprio un bel posto.<br />
Spalancai la porta del bagno delle donne.<br />
Denise era seduta sul ripiano di marmo dei lavandini.<br />
Ginocchia al petto. Piangeva a dirotto.<br />
Scambiai un breve sguardo d’intesa con Celine. Ci lasciò<br />
soli.<br />
Mi avvicinai con estrema calma. Non ero neanche sicuro<br />
che si fosse accorta della mia presenza.<br />
Le carezzai i capelli ><br />
Affondò la fronte sulle ginocchia, scossa dai singhiozzi.<br />
Le presi delicatamente una mano per controllare la<br />
profondità del taglio sul polso. La lametta era ancora nel<br />
lavandino sporco di sangue.<br />
Mi sciolsi la garza dal palmo della mano e ne feci due<br />
lacci per arrestare l’emorragia su entrambe le braccia.<br />
Gli inservienti avrebbero avuto di che lamentarsi quando<br />
l’indomani avrebbero trovato tutto quel sangue in giro.<br />
Pulii alla meglio le ferite bagnando degli asciugamani di<br />
carta. Non erano lacerazioni profonde, un paio di punti o<br />
una fasciatura stretta avrebbero risolto il problema.<br />
Non avevo il coraggio di parlare. Ero troppo arrabbiato.<br />
Lo avrebbe notato dal mio tono di voce, e non era il<br />
momento adatto per le ramanzine.<br />
La feci scendere delicatamente, poi la avvolsi nel mio<br />
cappotto. Conciata com’era avrebbe dato troppo<br />
nell’occhio.<br />
Provò a muoversi da sola, ma barcollava. Feci per<br />
prenderla in braccio, ma mi scansò, quasi inorridita.<br />
Ero troppo arrabbiato per darle retta, così la sollevai con la<br />
forza. Provò a resistere qualche secondo, ma era così<br />
188
debole che si accasciò con la guancia sulla mia spalla e si<br />
arrese a farsi portare via da lì.<br />
Sei una stupida!<br />
Dio solo sa quanto avrei voluto dirglielo.<br />
Era la prima volta che portavo nel mio appartamento una<br />
donna che non fosse Celine. Non potevo portarla al pronto<br />
soccorso in quelle condizioni. Se il padre l’avesse vista<br />
con me, avrebbe di sicuro frainteso. Portarla in clinica dai<br />
miei avrebbe suscitato le stesse reazioni, quindi…<br />
La posai dolcemente sul letto.<br />
In bagno avevo una cassetta del pronto soccorso ben<br />
fornita. Dopo l’incidente, mio padre aveva insistito<br />
affinché la tenessi in casa, ma non l’avevo mai usata.<br />
Le iniettai un tranquillante, che la aiutò ad addormentarsi.<br />
Chiusi le ferite con delle graffette, poi le avvolsi i polsi in<br />
garze pulite dopo aver disinfettato tutta la parte con del<br />
mercurocromo.<br />
Tremava nel sonno.<br />
Attento a non svegliarla, le sfilai la camicetta e la gonna<br />
sporche per tenerla al caldo sotto le coperte.<br />
Dei grandi lividi sulle spalle mi mandarono su tutte le<br />
furie. Ce n’erano di vecchi e nuovi sul resto del corpo.<br />
Ero tentato a svegliarla per chiedergli chi fosse la causa di<br />
quella violenza, ma non osai.<br />
Non volevo saperlo in realtà. Non volevo ritrovarmi ad<br />
aggiungere nemici alla mia lista.<br />
Come hai fatto a non accorgertene? Stava gridando da un<br />
anno, come hai potuto non sentirla?<br />
Ero così concentrato su me stesso da non aver saputo<br />
leggere il dolore impresso nella sua aura. Non avevo<br />
189
neanche capito che era se stessa il proprio carnefice. Se<br />
non fosse stato per Celine…<br />
Non ci pensare adesso. Quel che è fatto è fatto. È viva.<br />
Questo è l’importante.<br />
Avrebbe riposato tranquilla per qualche ora. Me ne andai<br />
in bagno per una doccia calda. Bollente.<br />
Dormiva ancora quando tornai in camera da letto. Si era<br />
voltata su un fianco. Il blu intenso della sua aura era<br />
mutato completamente in un azzurro sbiadito. Il pericolo<br />
era passato, anche se non del tutto. La sua energia vitale<br />
era quasi esaurita. La sofferenza ne risucchia a sufficienza<br />
da ucciderti.<br />
Avrei parlato con mio zio, più tardi. Forse lui ne aveva in<br />
servo abbastanza per rendergliene un po’. Io non mi ero<br />
ancora ripreso del tutto dall’incidente. Non ne avevo a<br />
sufficienza neanche per me.<br />
Infilai il pantalone di seta del pigiama e mi misi a letto. Il<br />
continuo andirivieni da una dimensione all’altra mi<br />
stancava ancora troppo.<br />
Erano da poco passate le due del pomeriggio quando la<br />
sentii muoversi nel letto. Si voltò nel sonno, dalla mia<br />
parte. Tornai a chiudere gli occhi anch’io. Potevo<br />
concedermi ancora un po’ di tempo.<br />
Non passarono che diedi minuti quando mi svegliai di<br />
nuovo. Denise non era più accanto a me.<br />
Mi sollevai a sedere al centro del letto. Mi concentrai un<br />
istante per sentire la sua presenza in casa. Era ancora viva.<br />
Riuscivo a sentirla. Fece cadere qualcosa in bagno,<br />
bisbigliando un borbottio per il rumore.<br />
Mi rilassai. Stava bene.<br />
190
Andai in cucina a preparare qualcosa da mangiare. Doveva<br />
essere affamata, vista l’ora e la debolezza per la perdita di<br />
sangue.<br />
La sentii chiamarmi dalla camera da letto.<br />
> risposi.<br />
Mi raggiunse lì. Indossava la giacca del mio pigiama. Le<br />
stava grande. Aveva i capelli umidi. Doveva aver fatto la<br />
doccia per togliersi il sangue coagulato sulla pelle.<br />
><br />
Scosse la testa.<br />
Risposta sbagliata, piccola. Devi mangiare. > insistei, con tono un po’ più serio.<br />
Si strinse nelle spalle ><br />
L’acqua del rubinetto si riversava copiosa nella pentola<br />
alta dal doppio fondo in acciaio.<br />
> chiesi ancora.<br />
Mi guardò interrogativa.<br />
><br />
Tentò di mascherare un sorriso ><br />
Se sperava di cogliermi in fallo le era andata male. Tirai<br />
fuori dal frigorifero quattro confezioni di panna<br />
<br />
Rise ><br />
> agitai le scatoline fra<br />
le dita ><br />
><br />
><br />
><br />
191
Sorrisi ><br />
Si mise in ginocchio sullo sgabello della penisola a<br />
osservarmi armeggiare tra i fornelli ><br />
><br />
><br />
È il momento di parlarne signorina. ><br />
Abbassò gli occhi a guardare il bancone di marmo ><br />
><br />
Non parli più? Questo è tutto quello che avevi da dire?<br />
Vuoi dimenticare l’accaduto con un “Tu non puoi<br />
capire?”<br />
><br />
Non rispondeva.<br />
><br />
Iniziò a piangere silenziosamente.<br />
Basta così, Alex.<br />
Continuai a preparare il pranzo senza aggiungere altro.<br />
Aspettavo che si calmasse e che decidesse da sola se<br />
continuare quel discorso o cambiare argomento.<br />
> chiese mentre<br />
scolavo i tortellini nella padella con pancetta e la panna ai<br />
funghi.<br />
><br />
> confessò.<br />
Era la prima volta che esprimeva curiosità per il mio<br />
essere. Il Branco doveva averla messa al corrente in<br />
qualche modo, specie dopo la sera del tradimento.<br />
192
chiesi con tono tranquillo, mentre i<br />
tortellini saltavano in padella.<br />
><br />
Non la lasciai finire ><br />
Silenzio.<br />
Tirai a indovinare ><br />
> si affrettò a rispondere.<br />
><br />
Sollevò i piatti verso di me ><br />
È per lui che l’hai fatto?<br />
><br />
Si allarmò ><br />
Suicidio, Denise. Si chiama “Suicidio”.<br />
><br />
Addentò un tortellino ><br />
><br />
Arrossì ><br />
Credevo peggio. Fin troppo prevedibile.<br />
> chiesi calmo.<br />
><br />
><br />
Chiaramente sperava in un’altra risposta, ma se volevo che<br />
si confidasse con me era giusto iniziare a mostrarle la mia<br />
di sincerità.<br />
193
Le menzogne, fino allora, mi avevano sempre portato a<br />
percorrere sentieri pericolosi.<br />
><br />
Continuava a mangiare, ma non sollevava più lo sguardo a<br />
guardarmi ><br />
Lasciai la forchetta nel piatto per intrecciare le braccia al<br />
petto nudo.<br />
><br />
Scacciai il nervosismo con un sospiro.<br />
Sospirò anche lei > esclamò delusa.<br />
><br />
Mi era passato l’appetito. Non riuscivo proprio a digerire<br />
le accuse per la morte di Federica, nonostante fossero<br />
giustificate.<br />
><br />
><br />
Ci mise un po’ a trovare il coraggio di rispondere > e si fece<br />
istintivamente il segno della croce.<br />
Demone! Che epiteto orrendo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
194
Buttai il contenuto del mio piatto nel secchio della<br />
spazzatura ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Trasalì > non riuscì a continuare.<br />
><br />
Sincerità per sincerità. Perché continuare a nasconderlo?<br />
Si coprì il volto con le mani per nascondere la vergogna.<br />
Sarò stato forse un po’ troppo crudo nel parlarle, ma<br />
argomenti così, affrontati con troppa delicatezza, portano<br />
solo a una maggiore chiusura della vittima sul mondo.<br />
Suscitarne la rabbia la fa parlare, reagire, uscire dalla<br />
corazza che si è costruita per nascondere la sua vergogna<br />
interiore. Che piangesse non era importante, purché ne<br />
parlasse. Purché si sfogasse.<br />
><br />
><br />
singhiozzò.<br />
><br />
><br />
> suggerii ><br />
><br />
195
E invece sì.<br />
Sospirai<br />
Mi guardò.<br />
><br />
Scosse la testa con decisione.<br />
Non vuoi saperlo. Tu non vuoi e non devi saperlo.<br />
> dissi ><br />
196
19<br />
Per fortuna né Margherita, né Paul fecero la spia<br />
informando la mia famiglia dell’accaduto. Di sicuro<br />
sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso<br />
versandomi addosso un’intera valanga di rabbia. Non me<br />
lo avrebbero mai perdonato e nel giro di poche ore sarebbe<br />
stato organizzato, senza diritto di repliche, il mio<br />
definitivo ritorno a casa.<br />
La convalescenza fu un vero tormento.<br />
Rigettavo di continuo non appena provavo a ingerire<br />
qualcosa. La febbre era troppo alta e non accennava a<br />
calare. Non riuscivo a muovere un muscolo e<br />
un’insopportabile emicrania mi stava facendo diventare<br />
matto. Non ero mai stato così male, neanche all’Ancharos<br />
mi ero mai sentito così debole e indifeso.<br />
Dopo una decina di giorni cominciai a stare un po’ meglio,<br />
non riuscivo ancora a muovermi, ma avevo ripreso a<br />
mangiare.<br />
Fu una di quelle mattine che ricevetti una graditissima<br />
visita.<br />
Il Signor Madison aveva accompagnato Celine a casa mia.<br />
Aveva saputo da Margherita che stavo ancora poco bene e<br />
in qualche modo voleva sdebitarsi.<br />
Ricordo il tonfo al cuore che mi prese quando la vidi<br />
varcare la porta della mia stanza. Era bellissima! Molto<br />
più di quanto ricordassi.<br />
In effetti, avevo avuto modo di vederla solo in condizioni<br />
pessime, eppure mi era sembrata uno splendore, figurarsi<br />
ora che aveva riacquistato il roseo colorito naturale e che<br />
camminava sulle sue gambe.<br />
197
Non si ricordava di me, non ricordava nulla della notte<br />
dell’aggressione, sapeva solo, per sentito dire, che le<br />
avevo salvato la vita.<br />
Se non avessi mai visto un angelo in vita mia, quel giorno<br />
avrei potuto giurare che Celine fosse una di loro.<br />
Indossava una camicetta ciclamino appena sbottonata sul<br />
davanti, tanto aderente da lasciare indovinare le sue<br />
morbide curve.<br />
Una morbida gonna di pelle nera poi, le stringeva i fianchi<br />
e la nascondeva ai miei occhi fino a sotto il ginocchio, per<br />
poi lasciare scoperti due polpacci slanciati e sodi, resi<br />
incantevoli da un delizioso stivaletto con tacco alto e<br />
sottile, che richiamava un’ampia cintura che le cadeva<br />
dolcemente sui fianchi ad accentuare la perfezione<br />
maniacale del suo corpicino di un metro e sessantacinque<br />
d’altezza.<br />
I capelli li portava raccolti in un fermaglio di cuoio, e solo<br />
due soffici riccioli castani coccolavano il suo volto<br />
d’angelo.<br />
Era un vero incanto ed io nelle mie condizioni ero un vero<br />
orrore.<br />
Se solo si fosse ricordata di quella notte, avrebbe saputo<br />
che normalmente non ero così sgradevole.<br />
Mi vedeva invece, pallido, privo di forze, con i capelli<br />
sporchi e in disordine, sudaticcio perfino, a causa della<br />
febbre che negli ultimi due giorni andava e veniva.<br />
Ero consapevole di essere tutt’altro che così.<br />
Avrei di gran lunga preferito nascondermi in qualche<br />
angolo sperduto di mondo piuttosto che farmi vedere in<br />
quello stato.<br />
Quando fu nella stanza però, invece di scappare via<br />
disgustata, mi sorrise con i suoi incantevoli occhioni verdi.<br />
> mi disse sottovoce.<br />
198
La sua voce mi risuonava ancora un po’ rimbombata. A<br />
causa della febbre, infatti, si erano acutizzati ulteriormente<br />
i sensi e un bisbiglio mi disturbava come una cannonata.<br />
Dalle tende scure, chiuse, entrava appena quel tanto di<br />
luce che bastava a illuminare a sera la stanza. A me non<br />
importava, ma notai che per i suoi occhi era un po’<br />
complicato mettere a fuoco immagini nitide, così accesi<br />
maldestramente la debole lampada sul comodino.<br />
> le dissi cercando<br />
di attirare la sua attenzione ed impedirle di guardarsi<br />
troppo intorno.<br />
> mi chiese rattristata.<br />
> mentii.<br />
Si avvicinò al letto e si sedette sul bordo giocherellando<br />
con le mani.<br />
> sussurrò.<br />
Non mi ero mai sentito così in imbarazzo, non sapevo cosa<br />
dirle o che fare. Lei era lì, a meno di un metro da me ed io<br />
non riuscivo a pensare a nulla di sensato da dirle per<br />
mantenere un po’ viva quella conversazione.<br />
> continuò lei.<br />
Niente! Non riuscivo a dire niente, mi sentivo un’idiota<br />
totale.<br />
Avrei voluto dirle la verità, ma non era proprio quello il<br />
momento di gettarle addosso quel macigno, era così piena<br />
di buone intenzioni nei miei confronti, che preferii<br />
affrontarla quando fossi stato almeno in grado di<br />
difendermi verbalmente.<br />
> disse.<br />
Oh oh!<br />
Le cose si complicavano. Mi resi improvvisamente conto<br />
che forse avevo preso la decisione sbagliata.<br />
199
continuò.<br />
Non feci in tempo a capire quello che stava per fare. Tirò<br />
via le tende e spalancò la finestra.<br />
Per fortuna riuscii a coprirmi tempestivamente con le<br />
coperte o mi avrebbe accecato.<br />
> gridai spaventato.<br />
Margherita mi sentì e corse dentro a vedere cos’era<br />
successo.<br />
> esclamò preoccupata.<br />
Il Signor Madison non ci capì poi molto e Celine si<br />
intimorì per la nostra reazione ritirandosi in un angolo ad<br />
aspettare che le cose tornassero in ordine.<br />
><br />
continuava a scusarsi dispiaciuta.<br />
> si affrettò a rassicurarla Margherita<br />
><br />
> continuò a balbettare Celine.<br />
Il Signor Madison ritenne più opportuno tornare un’altra<br />
volta. Si scusò di nuovo per l’incidente e andarono via.<br />
Era andato assolutamente tutto storto.<br />
Passarono altri cinque o sei giorni e, finalmente,<br />
ricominciai ad alzarmi da solo. Ero ancora un po’ debole,<br />
ma mi sentivo molto meglio.<br />
Non avevo più avuto notizie di Celine e mi rassegnai<br />
all’idea di non vederla più. Dopo quello che ara successo<br />
sarebbe stata una vera follia immaginare che avrebbe<br />
avuto ancora voglia di vedermi.<br />
Una mattina telefonò mio padre, mi chiese se andava tutto<br />
bene, e gli mentii spudoratamente, quando poi mi chiese di<br />
passargli Margherita, che ormai da quasi un mese si era<br />
200
trasferita nel mio appartamento per tenermi d’occhio,<br />
temetti che potesse lasciarsi scappare la verità, ma l’avevo<br />
sottovalutata, era più furba di quanto credessi. Confermò,<br />
infatti, la mia menzognera versione.<br />
Era ormai da una settimana che mi ero ripreso del tutto da<br />
quello spiacevole episodio, ma non avevo ancora il<br />
permesso di uscire.<br />
><br />
mi diceva Margherita.<br />
><br />
replicai una sera.<br />
Non mi piaceva disobbedirle, dopotutto era stata un tesoro<br />
con me, però, non ne potevo davvero più di quella<br />
prigionia, volevo respirare un po’ d’aria di strada.<br />
Era da poco tramontato il sole e il tepore del sole<br />
primaverile mi faceva impazzire di piacere.<br />
Riuscii a convincere Margherita, promettendole che sarei<br />
stato fuori solo un paio d’ore.<br />
Appena rimisi piede in strada mi sentii nuovamente vivo,<br />
il caotico gironzolare dei cittadini, il mormorio fitto dei<br />
passanti, l’odore pungente di smog e vari profumi<br />
mescolati tutti insieme, mi facevano sentire parte di questo<br />
mondo.<br />
Vagabondai senza meta per un’ora circa, poi, incrociando<br />
un gruppo di ragazze intente a fare shopping frenetico mi<br />
venne in mente Celine.<br />
Sapevo dove abitava, avrei potuto dare un’occhiata al suo<br />
mondo e magari, se ne avessi trovato il coraggio, avrei<br />
potuto chiederle scusa per il mio comportamento<br />
imperdonabile. Avrei perfino potuto farle vedere che non<br />
ero quel mostriciattolo che aveva visto, avrei potuto<br />
201
chiederle di fare due passi con me per qualche minuto,<br />
così avrei avuto l’occasione di conoscerla meglio e magari<br />
di dirle la verità.<br />
La verità!<br />
Quella spada di Damocle continuava a pendermi sulla<br />
testa impedendomi di dar retta al buon senso e tenerla il<br />
più possibile fuori dalla mia vita.<br />
Prima o poi sarebbe dovuto arrivare quel momento e anche<br />
se cercavo di rimandarlo il più possibile con tutte le mie<br />
forze, sapevo che non mi sarei potuto sottrarre a quella<br />
rivelazione, prima o poi avrei dovuto dirglielo, prima o poi<br />
avrei dovuto affrontare quegli occhi, il suo sguardo<br />
collerico. Non avrei potuto evitarlo.<br />
Mentre riflettevo su tutto questo mi ritrovai all’incrocio tra<br />
la 42 a e la 43 a , avrei solo dovuto decidere se continuare<br />
dritto o girare a destra.<br />
Non ci pensai poi molto e … turn right<br />
A piedi impiegai un po’ per arrivare davanti casa di<br />
Celine, ma nel frattempo, ne approfittai per gustare uno di<br />
quei tanto desiderati Hot dog da un ambulante. Sembrava<br />
trascorso un secolo dai miei giorni da vagabondo per le<br />
strade di New York.<br />
Inconsciamente credo di essermi fermato per quello<br />
spuntino per ritardare in qualche modo un incontro che<br />
apparentemente credevo di desiderare.<br />
Stava per scattare il mio coprifuoco, avevo promesso di<br />
tornare dopo un paio d’ore, ma mi vedevo costretto a<br />
dover disobbedire di nuovo, non avevo alcuna intenzione<br />
di tornare indietro proprio adesso che ero a un passo da lei.<br />
Mi concessi qualche respiro profondo prima di afferrare il<br />
cellulare per avvertire Margherita del mio ritardo. Mi<br />
aspettavo qualche grido di dissenso, ma quella donna<br />
202
iuscì a stupirmi di nuovo. Mi liquidò con un semplice >.<br />
Odio quella frase!<br />
Mi incamminai quindi con passo lento verso la mia temuta<br />
meta, 122…, 124…, 126…, ero arrivato, 128.<br />
Una villetta di due piani con un ampio balcone sul davanti<br />
e una veranda abbastanza spaziosa sul lato sinistro.<br />
Il cancello era enorme, con un laborioso motivo in ferro<br />
battuto a decorarlo.<br />
Era scesa la sera intanto, si scorgevano delle ombre in<br />
movimento dalle finestre. Erano in casa. Però non c’erano<br />
macchine sul vialetto, anche se avrebbero potuto essere<br />
semplicemente in garage.<br />
Stetti un po’ lì fuori a osservare. Qualche volta provavo ad<br />
avvicinarmi al citofono, ma non appena ero in procinto di<br />
suonare mi ritiravo di buon ordine nel mio angolino.<br />
“ To ring or not to ring? This is the question!”.<br />
Smettila di fare il cretino e SUONA!<br />
Mentre scioccamente riflettevo su questo dilemma, mi<br />
sentii suonare improvvisamente alle spalle con un colpo di<br />
clacson.<br />
Saltai per lo spavento, mi voltai furioso, pronto a sbranare<br />
il pazzo al volante, e invece vidi il faccione sorridente del<br />
Signor Madison che mi faceva ciao con la mano da dentro<br />
l’auto.<br />
Mi fece segno di avvicinarmi ed io ancora confuso dallo<br />
spavento di prima ubbidii senza riflettere.<br />
> gli riusciva difficile dire “Alessandro”<br />
> mi chiese euforico.<br />
Oh mio Dio!<br />
203
Risposi la prima scemenza che mi venne in mente >.<br />
Mi sono perso?<br />
Le mie balle non erano più fantasiose come un tempo.<br />
> si offrì.<br />
E come fai a rifiutare adesso? Sali in macchina, vigliacco!<br />
Durante il tragitto ne approfittai per chiedere notizie di<br />
Celine.<br />
> mi confidò.<br />
Avevo impiegato quasi tre ore per arrivare a casa sua e con<br />
l’auto ci mettemmo venti minuti soltanto per tornare<br />
indietro.<br />
> dissi<br />
gentilmente, cercando di apparire sincero.<br />
><br />
Ci salutammo e tornai a casa, molto… troppo prima del<br />
previsto, in tempo per la cena.<br />
204
20<br />
Esame saltato!<br />
Fantastico!<br />
E adesso chi glielo dice?<br />
Miseria ladra!<br />
><br />
Certo professore, non vedevo l’ora di sfotterla sta mattina.<br />
Il fatto Alex è che non avresti mai dovuto bussare alla<br />
porta del suo ufficio. Credevi davvero che, dopo la<br />
seconda buca che gli hai dato, accettasse di nuovo di farti<br />
recuperare l’esame?<br />
Maledizione! Non ho proprio voglia di starlo a sentire.<br />
Che gli racconto sta volta?<br />
Dopotutto è stato fin troppo chiaro per fingere di non aver<br />
afferrato la pericolosità del suo discorso:<br />
><br />
Ce l’ha ancora con me per non aver scelto Giurisprudenza<br />
come voleva lui.<br />
Ma davvero mi ci vedeva a difendere una legge che non<br />
applico?<br />
Dannate apparenze!<br />
Che vadano tutti all’Inferno. Melluso a capo di quella fila<br />
di maledetti.<br />
Sette miseri esami e quel disgraziato mi tiene incatenato a<br />
quei banchi come un condannato all’ergastolo. Quanto<br />
vorrei che la sua aura fosse di un verde meno brillante.<br />
Un bell’azzurrino sbiadito, come quello di Denise, un blu<br />
acceso come Federica.<br />
Maledetto, maledetto e ancora maledetto.<br />
205
Ma guarda questo ><br />
Calmati, Alex. Respira. Siamo quasi arrivati.<br />
Duecento metri. Non sono niente duecento metri. Ce la<br />
posso fare. Ce la posso fare. Spero solo di non trovare<br />
parcheggio troppo lontano. Ah, eccone uno. Ce la posso<br />
fare. Ce la posso fare.<br />
><br />
Non ti ci mettere anche tu. Fidati, non è giornata. ><br />
Non perdere tempo con lui. Sbrigati.<br />
><br />
Mollalo Alex. Non sei qui per fare a botte. Mollalo, sta<br />
diventando blu. Lascialo respirare. ><br />
Aleeex!<br />
Ok, ok. Meglio se tengo le mani in tasca. Non si sa mai.<br />
Guardalo come se la da a gambe adesso. Presuntuoso! Se<br />
non avessi tanta fretta mi sarebbe piaciuto fermarmi a<br />
insegnarti un po’ di educazione.<br />
Accidenti, è tardi! Speriamo che non sia già occupato.<br />
Dai, rispondi. Rispondi, rispondi, rispondi…<br />
><br />
Grazie al cielo ><br />
><br />
><br />
Ascensore libero? A cosa si deve questo miracolo?Ma<br />
forse è meglio se faccio le scale. Sono così nervoso che<br />
206
forse quattro piani di scale mi scaricheranno un po’. Ma<br />
no! Non sono ancora così fuori di testa.<br />
Ascensore tutta la vita.<br />
><br />
E questa da dove è sbucata? ><br />
><br />
Se vuoi arrivare su prima di pasqua ti conviene aiutarla a<br />
caricare sull’ascensore le buste della spesa.<br />
> Terzo, piano. Ricordati<br />
che scende al terzo. Premi il pulsante giusto.<br />
Si mantiene bene, nonostante l’età. Da giovane dev’essere<br />
stata una bellissima donna. Ha dei lineamenti delicati,<br />
sofisticati. È felice. Brilla come una stella. Buon per lei.<br />
Ma quanto ci mette questo catorcio a salire?<br />
><br />
Vuoi fare conversazione? In un ascensore?<br />
><br />
><br />
><br />
Marco? Vent’uno? Che fosse lo stesso? No, non credo.<br />
Questo non è il suo quartiere. Potrebbe avere una nonna<br />
che abita qui? Certo che potrebbe, ma il suo Marco non è<br />
il tuo Marco, quindi smettila di pensarci. Aiutala a<br />
scaricare le buste sul piano e schizza di sopra, anzi, lascia<br />
stare l’ascensore, che ci mette troppo, e fatteli di corsa gli<br />
ultimi gradini.<br />
><br />
><br />
Io spero proprio di no. ><br />
Basta chiacchiere adesso. Sali.<br />
207
Brava la mia Sonia. Mi ha lasciato la porta socchiusa.<br />
><br />
Oggi niente abbracci, Sonia, te ne prego.<br />
Ok, come non detto.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Gli manca tanto sì. E adesso che faccio? Non posso<br />
restare qui ad aspettare. Non con Sonia nelle vicinanze<br />
poi.<br />
><br />
No, affatto. Stammi lantana. ><br />
><br />
Forse se starà al posto suo non succederà niente.<br />
><br />
><br />
Meglio così, visto che sto andando a fuoco.<br />
><br />
><br />
Troppo.<br />
><br />
><br />
Di male in peggio.<br />
><br />
Come no.<br />
208
Brutte notizie?<br />
><br />
Tieni le mani in tasca.<br />
><br />
Mani in tasca.<br />
><br />
Mani in tasca.<br />
><br />
Mani in tasca, mani in tasca, mani in tasca.<br />
Shhh! Ti scongiuro. Mi si sta spaccando la testa in due.<br />
Concentrati su qualcos’altro.<br />
Cos’è stato?<br />
><br />
Ah, è solo l’ascensore. Stai andando fuori di testa. Datti<br />
una calmata.<br />
Pensa a qualcos’altro. Quest’uomo ad esempio.<br />
Concentrati su di lui. Le sue scarpe. Osserva le sue<br />
scarpe. Hanno qualcosa che non va, te ne sei accorto?<br />
Certo che sì, dai, fai uno sforzo. Cos’hanno che non va?<br />
Non guardarlo in faccia, non hai bisogno di sapere chi è.<br />
Seguilo in sala d’attesa e continua a concentrarti sulle sue<br />
scarpe. Sono abbastanza anonime da distrarti per altri<br />
venti minuti. Non te ne servono di più. Venti possono<br />
bastare. Poi sparirà nello studio di Giorgio e non dovrai<br />
più preoccuparti di lui.<br />
Venti minuti. Posso resistere venti minuti.<br />
209
Ora cerca di tranquillizzare Sonia, si sta agitando troppo.<br />
> se sorridessi sarebbe<br />
meglio.<br />
><br />
Non ha funzionato. Dai Alex, puoi fare di meglio.<br />
> Scusa<br />
patetica! Ma almeno te la terrà lontana.<br />
Siediti lentamente. Sì, qui sei abbastanza distante da lui.<br />
Non guardarlo in faccia.<br />
Ha un’aura deliziosa. Sembra un mandarino.<br />
A te non piacciono i mandarini.<br />
Sì che mi piacciono.<br />
No.<br />
E invece sì.<br />
Smettila. Non puoi averlo. Smettila di pensare a lui in quel<br />
modo. Non è un frutto. È un uomo.<br />
Forse se riesco a mettere qualcosa sotto i denti riuscirò a<br />
calmarmi.<br />
Ne dubito, ma possiamo sempre provare.<br />
Sonia potrebbe scendere al bar a prendermi qualcosa.<br />
Ehi! Non ci provare. Non attacca. Se vuoi una scusa per<br />
rimanere da suolo con lui almeno inventane una meno<br />
patetica.<br />
Forse mi sbagliavo. Venti minuti sono troppi per me.<br />
Sono diventati dieci.<br />
Non so neanche se riesco a resistere altri dieci secondi.<br />
Sì che ce la fai.<br />
No, non ce la faccio. Non ce la faccio più.<br />
Shhh… calmati. È tutto a posto. Tranquillo. Respira.<br />
L’idea delle scarpe era pessima. Passa al piano B.<br />
210
Non ho un piano B.<br />
Sì che ce l’hai.<br />
Ce l’ho?<br />
Certo!<br />
Perché mi devo torturare così.<br />
Quanti secondi hanno dieci minuti?<br />
Non lo so.<br />
Pensaci.<br />
Non saprei…dieci minuti sono dieci volte sessanta<br />
secondi… seicento. Sono seicento. Troppo semplice. Era<br />
questo il piano B? Ma che schifo di piano è?<br />
Fa come ti ha spiegato Giorgio. Conta fino a seicento.<br />
Non mi va! Non ne ho voglia. Voglio liberarmi di questo<br />
schifo.<br />
Fra meno di seicento secondi.<br />
No! Voglio farlo adesso.<br />
Adesso non si può.<br />
Ne libero solo un pochino. Non lo cedo tutto. Promesso.<br />
Lui ne ha tanta, non sentirà neanche la differenza, mentre<br />
per me sarebbe una differenza enorme.<br />
Non riusciresti a fermarti, lo sai. Non nelle condizioni in<br />
cui sei ora.<br />
Mi fermo. Giuro. Mi fermo.<br />
No!<br />
Quanto manca?<br />
Ho perso il conto.<br />
><br />
><br />
È finita. Visto? È finita. Senti la porta che si apre?<br />
Non voglio aspettare qui fuori un’altra ora. Che faccio se<br />
ne arriva un altro?<br />
211
Ecco Giorgio. Non fare il maleducato. Saluta.<br />
Ce l’ha con me? ><br />
><br />
Non correre. Respira. Ringrazialo per la cortesia. Non ti è<br />
dovuto. Avresti dovuto aspettare il tuo turno.<br />
Cos’è c’è?<br />
Non è niente, è solo la porta che si chiude.<br />
><br />
Hai avuto quello che volevi. Adesso che aspetti? Sputa il<br />
rospo.<br />
><br />
Smettila di guardarlo così! Sta cercando solo di essere<br />
gentile.<br />
><br />
Grazie.<br />
<br />
><br />
><br />
Davvero incoraggiante!<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Respira. Non dimenticarti di respirare.<br />
><br />
212
Abbassa la voce. Non è con lui<br />
che te la devi prendere ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Perché il bruciore non passa?<br />
><br />
Dillo! Tanto non puoi stare peggio di così. ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
213
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Non piangere. Non t’azzardare. ><br />
><br />
214
Cravatta nuova? Peggio di quella che esibivi l’ultima<br />
volta. Uno squilibrato potrebbe ucciderti per una cravatta<br />
così. È un invito a tagliarti la gola per sfilartela<br />
direttamente dal collo mozzato.<br />
Ma a che ti metti a pensare?<br />
Devo distrarmi.<br />
Concentrati su Giorgio.<br />
Non posso. È troppo vicino.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Tutto il tempo che vuoi ><br />
><br />
Hai una bella voce. ><br />
><br />
È difficile, senza perdere la calma. ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
215
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> Dillo, Alex. Togliti questo peso dal cuore.<br />
Dillo. ><br />
><br />
216
21<br />
Passò più di una settimana prima che ricevessi di nuovo<br />
notizie di Celine. Non fui io a cercarla, ricevetti una<br />
telefonata dalla signora Madison, sua madre, che mi<br />
invitava a cena per quella sera.<br />
Avrei voluto rifiutare, anzi, avrei dovuto rifiutare, ma non<br />
riuscii proprio a dirle di no.<br />
> le risposi prima di salutarla e<br />
rimettere giù la cornetta.<br />
Sapevo che sarebbe stato il solito fiasco, la solita serata<br />
imbarazzate, ma il desiderio di vedere quell’angelo si<br />
portava via ogni brutto pensiero.<br />
Impiegai tutto il giorno per prepararmi a dovere a quella<br />
serata. Feci lucidare a specchio la macchina, mandai Loris,<br />
uno dei miei gorilla, in un’enoteca a scegliere la migliore<br />
bottiglia di vino disponibile e mandai Lucia, una delle<br />
cameriere, a scegliere tre splendidi mazzi di fiori, uno per<br />
ogni donna della casa.<br />
Non mancava proprio niente, erano quasi le 17:00 ed io<br />
avevo appuntamento per le 19:00. Dovevo impiegare le<br />
due ore mancanti con qualche attività che impedisse<br />
all’agitazione di prendere il sopravvento.<br />
Decisi quindi di scendere in strada a fare due passi prima<br />
dell’ora fatidica.<br />
Uscii in macchina, per non rischiare di sporcarmi.<br />
Ogni giorno che passava mi stupivo sempre di più della<br />
massiccia popolazione che dimora a New York,<br />
nonostante la mia si possa definire una Città<br />
sovrappopolata.<br />
Verso le 18:30, al calare del sole, scesi dall’auto e<br />
proseguii a piedi continuando a guardarmi intorno. Senza<br />
217
endermene conto mi ritrovai davanti l’ingresso della<br />
chiesa in cui avevo conosciuto il reverendo qualche giorno<br />
dopo il mio arrivo in città.<br />
Entrai a dare un’occhiata, sperando di incontrare di nuovo<br />
quell’uomo e magari riuscire ad avere un colloquio civile<br />
con lui.<br />
Scrutai attentamente l’interno in cerca del reverendo ma<br />
sedute sulle panche c’erano solo una decina di signore<br />
anziane in preghiera.<br />
Mentre cercavo, appoggiato a una colonna vicino l’uscita,<br />
vidi entrare una donna e la fermai ><br />
esordii a voce bassa per attirare la sua attenzione >.<br />
> sussurrò<br />
sorridente > si offrì.<br />
La ringraziai per la disponibilità e la seguii fino alla<br />
canonica. Il mio uomo era davvero lì.<br />
Già in precedenza dissi d’essere rimasto affascinato dai<br />
suoi occhi e questo trasposto mi permise di confidarmi<br />
sinceramente con lui, a discapito di tutte le<br />
raccomandazioni di mio nonno sulla pessima idea di<br />
rivelare a chicchessia la mia vera identità.<br />
Gli raccontai tutto, chi ero, da dove venivo, perché mi<br />
trovavo proprio lì. Lessi stupore nei suoi occhi fin dal<br />
principio, ma mai paura. Tempo dopo scoprii perché, e<br />
soprattutto capii perché mi sentivo così attirato da lui.<br />
Chiacchierone!<br />
Avevo del tutto dimenticato l’invito a cena dai Madison.<br />
Quando guardai l’orologio, infatti, notai che erano le<br />
19:30.<br />
Ero tremendamente in ritardo, mi ero allontanato molto<br />
dalla 42 a e col traffico di quell’ora avrei impiegato più di<br />
mezz’ora per arrivare.<br />
218
Le mie previsioni si rivelavano esatte: la serata iniziava<br />
decisamente male!<br />
Quando giunsi a destinazione notai che non c’erano auto<br />
sul vialetto, sperai che il Signor Madison non fosse ancora<br />
tornato dal lavoro così che il mio ritardo non fosse l’unico<br />
intralcio per l’inizio della cena.<br />
Suonai il citofono e mi rispose una ragazzina, Molly, la<br />
sorellina minore di Celine > mi disse<br />
aprendo il cancello automatico.<br />
Come avevo previsto, il Signor Madison non era ancora<br />
rientrato > mi spiegò la signora<br />
Madison.<br />
Mi scusai per il ritardo e le consegnai i miei doni.<br />
Fu molto sorpresa dei fiori e la piccola Molly fu euforica<br />
per non aver ricevuto il solito pensierino infantile > esclamò fiera del proprio mazzo di fiori.<br />
È chiaro che io non avevo assolutamente idea di cosa si<br />
potesse regalare a una bimba di dodici anni. La mia era<br />
stata solo una decisione dettata dall’inesperienza, oggi,<br />
infatti, probabilmente le avrei regalato qualcosa di più<br />
consono alla sua età.<br />
Linda, la signora Madison, mi fece accomodare in salotto<br />
e lasciò Molly a farmi compagnia mentre lei metteva a<br />
scaldare l’arrosto e controllare che a tavola fosse tutto in<br />
perfetto ordine.<br />
Il profumo di arrosto proveniente dalla cucina era davvero<br />
invitante.<br />
Aspettammo ancora un po’ che arrivassero Celine e suo<br />
padre, ma quegli istanti sembravano non passare mai.<br />
219
Ero stranamente agitato, continuavo a guardarmi intorno<br />
senza pace, controllavo di continuo l’orologio, mi alzavo<br />
puntualmente ogni cinque minuti per guardare fuori dalla<br />
finestra ma tutta quella frenesia non accelerò il loro ritorno<br />
a casa.<br />
Ero inspiegabilmente inquieto.<br />
Linda iniziò a scusarsi per il ritardo di suo marito e un po’<br />
– agitata soprattutto dalla mia ansia - prese a preoccuparsi.<br />
Erano quasi le 21:00 l’ultima volta che guardai l’orologio.<br />
Linda camminava agitatamente nel salotto con lo sguardo<br />
fisso sul vialetto oltre la finestra > cominciò a dire ad alta voce.<br />
> cercai di rassicurarla. Senza successo,<br />
perché ero molto più in allarme di lei.<br />
Sentivo distintamente che c’era qualcosa che non andava,<br />
ma non sapevo cosa. Sentivo che il loro non era un ritardo<br />
dettato dal traffico, ma sapevo anche che non era nulla di<br />
cui avrei dovuto preoccuparmi.<br />
Facile a dirsi!<br />
Linda stava per uscire di senno quando alle 21.30 non si<br />
aveva ancora nessuna notizia della sua famiglia, ma non lo<br />
dava a vedere, voleva evitare a Molly quella<br />
preoccupazione.<br />
Se solo fosse riuscita a rintracciare Celine al cellulare<br />
sarebbe stata più tranquilla, ma l’apparecchio risultava<br />
spento e questo servì solo ad accrescere il suo tormento.<br />
Fortunatamente quell’angoscia non imboccò i viali della<br />
disperazione, infatti, non più tardi delle 21.45 l’auto del<br />
Signor Madison si parcheggiò sul vialetto della villa.<br />
> esclamò Linda<br />
tirando giù un gran sospiro di sollievo.<br />
220
Quando furono in casa Celine spiegò che la colpa del<br />
ritardo era stata in parte lei, era rimasta più a lungo del<br />
previsto in biblioteca per terminare una relazione per il<br />
corso di storia e durante il tragitto avevano bucato una<br />
ruota dell’auto.<br />
Rimasi un po’ in disparte con Molly lasciando che<br />
risolvessero la questione da soli.<br />
Chiarito il malinteso Celine salì in camera per cambiarsi e<br />
il Signor Madison mi raggiunse in salotto > esclamò col suo accento simpatico. Mi<br />
abbracciò, ma un abbraccio vero, non uno di cortesia ><br />
Tutte quelle effusioni mi mettevano in imbarazzo. Sono<br />
troppo sfacciato per essere uno che arrossisce facilmente,<br />
ma quella era proprio una di quelle situazioni in cui non<br />
riuscivo a controllare il disagio.<br />
Molly si accorse del cambiamento di colore sul mio viso e<br />
mi prese un po’ in giro.<br />
><br />
scoppiò in una fragorosa risata ><br />
Linda e suo marito si sedettero a capotavola. Sulla sinistra<br />
di Linda sedevano Celine e Molly, mentre io ero<br />
accomodato dalla parte opposta.<br />
Prima di servire, il Signor Madison riuscì a mettermi in<br />
crisi un’altra volta ><br />
Per quanto a uno come me possa risultare imbarazzante<br />
ammettere certe debolezze, non posso nascondere che a<br />
quel tempo io ero assolutamente estraneo a questo tipo di<br />
riti. In Italia non si usa dopotutto.<br />
221
Già ti sento, Giorgio, mentre fra un mugugno e l’altro ti<br />
lamenti di quanto fosse vergognosa la mia giustificazione.<br />
Lo so che non è neanche lontanamente scusabile non avere<br />
neanche una parola in merito in una situazione così<br />
semplice e pacifica come quella ma… … ohi, lasciami in<br />
pace, ero già abbastanza a disagio e sotto stress per<br />
pensare anche a Lui. Mi ero già confessato per quella sera,<br />
se è stato in grado di perdonare tutti i miei casini<br />
precedenti figuriamoci se si fa problemi a perdonare<br />
questa insignificante mancanza.<br />
Comunque…<br />
…mi schiarii la voce per nascondere la difficoltà di quel<br />
momento ><br />
E adesso come ne esco?<br />
> Mi stavo<br />
incartando. Speravo solo di non offenderli.<br />
Per fortuna Linda intervenne per togliermi da<br />
quell’imbarazzo e fece recitare la preghiera alla piccolina<br />
di casa.<br />
Fu una cena tranquilla per fortuna, parlammo del più e del<br />
meno, mi fecero molte domande sulla mia vita in Italia, la<br />
mia famiglia, il mio passato ed io stetti ben attendo a<br />
giostrare le menzogne.<br />
Non avrei voluto mentire, ma non avevo scelta.<br />
Mi ero ripromesso che avrei approfittato della serata per<br />
prendere da parte Celine e dirle la verità su quello che era<br />
successo in ospedale, ma per tutta la sera non mi rivolse<br />
una sola parola, neanche un minimo di attenzione, come se<br />
non fossi stato due ore seduto alla sua stessa tavola, come<br />
se non l’avessi avuta di fronte tutto il tempo. Non so<br />
ancora oggi come fece, ma riuscì a non incrociare il mio<br />
sguardo neanche una volta.<br />
Frustrante!<br />
222
Erano quasi le undici quando mi congedai ringraziando<br />
cordialmente per la cena e la compagnia.<br />
Celine era salita al piano di sopra da una mezz’ora circa<br />
con non ricordo quale scusa e quindi non potei salutarla. Il<br />
Signor Madison mi accompagnò fino all’auto e poi tornò<br />
in casa ad aprire il cancello dal videocitofono.<br />
Raggiunta la strada deserta e feci un ultimo saluto a Linda<br />
che era rimasta sulla soglia dell’ingresso.<br />
Stavo per dare gas all’auto quando vidi Celine, era<br />
appoggiata al muro di cinta all’esterno della villa. Mi fece<br />
segno con la mano di fermarmi e quando lo feci,<br />
raggiuntala, si accostò al finestrino.<br />
> disse sicura.<br />
Rimasi a fissarla per un attimo, disorientato.<br />
><br />
><br />
mi rispose sorridente.<br />
Ma che significa?<br />
><br />
> disse senza rispondere.<br />
><br />
bisbigliò.<br />
Tornò dentro frettolosamente e, come promesso, dopo<br />
qualche minuto era di nuovo con me. Era rientrata per<br />
avvertire i genitori che sarebbe stata fuori fino a tardi con<br />
le sue amiche.<br />
> le domandai.<br />
> esclamò sicura.<br />
Celine non ricordava quello che era successo l’ultima<br />
volta, le era stato detto di essersi sentita male all’uscita del<br />
locale e lei ci aveva creduto.<br />
223
Cercai di dissuaderla dal tornare in quel posto > dissi ><br />
> rispose scocciata.<br />
Non le risposi, non volevo che cambiasse idea e mi<br />
chiedesse di riaccompagnarla a casa e poi, che pericolo<br />
c’era? Finché sarebbe rimasta con me non le sarebbe<br />
accaduto nulla.<br />
Arrivammo al locale che era già pieno di gente. Fuori<br />
c’era una fila interminabile.<br />
> esclamò sconsolata.<br />
> le chiesi e lei mi rispose<br />
con un’occhiataccia.<br />
Mi avvicinai alla folla tenendola per mano e mi feci largo<br />
fino all’entrata dove mostrai il tatuaggio sul polso agli<br />
Ancharos di guardia alla porta.<br />
I giovani in fila non capirono perché mi facessero passare<br />
e cominciarono a lamentarsi, ma i quattro buttafuori si<br />
schierarono intorno per evitare che si avvicinassero a noi.<br />
Anche Celine rimase sorpresa da quell’atteggiamento, ma<br />
non mi fece domande, era stata infettata, dentro di sé, nel<br />
profondo del suo inconscio aveva già tutte le risposte.<br />
Entrammo quindi e ci mescolammo a quel tafferuglio di<br />
anime in estasi.<br />
> mi gridò in un orecchio<br />
><br />
Quel chiasso era insopportabile, dovevo trovare subito<br />
Gerry prima che mi scoppiassero i timpani.<br />
224
mi chiese.<br />
> risposi sofferente.<br />
> disse.<br />
><br />
Arrivai al salone privato di Gerry tenendomi le orecchie<br />
tappate con i palmi delle mani > chiesi<br />
allo scagnozzo fuori la porta.<br />
> chiese lui.<br />
><br />
Esisti solo tu?<br />
> aggiunsi.<br />
> sparì veloce oltre la porta.<br />
Aspettammo solo un paio di minuti, poi il buttafuori mi<br />
fece cenno di entrare > precisò.<br />
> dissi con un sorriso<br />
premendo le labbra sull’orecchio di Celine. Non ero per<br />
niente tranquillo però, quindi presi qualche precauzione in<br />
più > dissi al gorilla mostrandogli il simbolo<br />
senza che lei se ne accorgesse ><br />
><br />
Uscii poco dopo visibilmente più tranquillo. Neanche in<br />
quel caso Celine fece domande.<br />
Ballammo per un’oretta – forse per me “ballare” è un<br />
termine troppo grosso, mi mossi per un’oretta è più adatto<br />
- e quando arrivarono i 30 Second to Mars sul palco<br />
andammo a sederci al tavolo che ci aveva riservato Gerry.<br />
> le chiesi dopo aver ordinato due<br />
bicchieri di Coca.<br />
225
chiese Celine. Una smorfia spiritosa la<br />
rese, se possibile, ancora più bella ><br />
> risposi secco > insistei cercando di cambiare<br />
discorso.<br />
><br />
><br />
Le urla della folla e di Jared rendevano quasi assurdo<br />
sperare in una conversazione.<br />
><br />
chiesi notando le sue perplessità ><br />
> gridò ><br />
Mentre parlava la vedevo giocherellare con le mani. Era<br />
nervosa, ne sentivo l’odore e la giugulare, sul collo,<br />
pulsava ritmicamente con il suo nervosismo. Su e giù, su e<br />
giù…<br />
Le feci cenno col capo di proseguire nel suo discorso e lei<br />
continuò > Celine continuava a parlare senza<br />
sosta, io la guardavo, cercavo di stare attento, di seguire<br />
226
scrupolosamente tutto il suo discorso, ma più mi<br />
concentravo e più mi ritrovavo a fissare la sua bocca.<br />
Cercavo di distogliere lo sguardo, ma il mio pensiero<br />
rimaneva fisso sull’interrogativo di quanto fosse delizioso<br />
poter assaporare quelle labbra, tastarne la morbidezza.<br />
Credo proprio che se non fosse giunto tempestivamente il<br />
cameriere con le ordinazioni le sarei saltato addosso.<br />
> mi chiese d’un tratto lei,<br />
notando la mia disattenzione. Io conoscevo le risposte alle<br />
sue domande. Certo che le conoscevo.<br />
Conoscevo le sensazioni che la tormentavano.<br />
L’avevo infettata, per la miseria!<br />
L’ansia che avvertiva era la mia ansia, era la mia<br />
inquietudine a turbarla.<br />
Era la mia energia vitale quella che fluiva indisturbata nel<br />
suo corpo e questo la legava a me più di quanto potesse<br />
immaginare. Probabilmente, nascosti da qualche parte,<br />
possedeva anche una buona parte dei miei ricordi. Il suo<br />
spirito vitale era legato al mio ormai e lo sarebbe rimasto<br />
per sempre.<br />
Da infettata sarebbe stata legata a me fino alla morte,<br />
avrebbe sofferto con me, avrebbe gioito con me, avrebbe<br />
saputo cosa pensavo ancor prima che me ne fossi reso<br />
conto io.<br />
Avvertiva i miei stati d’animo come io facevo con i suoi e<br />
in quel momento sentiva il mio insano desiderio ed io<br />
potevo avvertire il suo disagio, che ai miei occhi la<br />
rendeva ancora più desiderabile.<br />
Dovevo assolutamente mettere fine a quello strazio,<br />
dovevo riuscire a reprimere quell’istinto > le chiesi.<br />
> ribatté dispiaciuta.<br />
227
la rassicurai prendendola<br />
per mano e trascinandola con me sulla pista.<br />
> tirò fuori anche qualche altra domanda che si<br />
esaurì nel nulla sotto le note del gruppo.<br />
Ascoltammo solo un paio di canzoni prima di tornare al<br />
tavolo. Io ripresi a sorseggiare la mia coca e lei ordinò<br />
delle noccioline.<br />
> esclamò d’un tratto.<br />
I salottini privati brulicavano di Ancharos, entravano e<br />
uscivano in continuazione, ora in compagnia, ora da soli.<br />
Sapevo cosa si consumava in quelle stanze e<br />
vigliaccamente accettavo quello scempio, accettavo tutto<br />
pur di essere lasciato in pace.<br />
> mi chiese Celine vedendo la<br />
mia mente vagare altrove.<br />
> domandai<br />
deviando il discorso.<br />
> confessò.<br />
><br />
Scosse la testa disgustata ><br />
> le feci<br />
notare.<br />
Parlando mi voltai per chiamare il cameriere e in fondo<br />
alla sala vidi l’Ancharos che l’aveva aggredita. Entrava nel<br />
locale con un gruppo di amici.<br />
Non gli era rimasto un buon ricordo di me, di sicuro se ci<br />
avesse visti avrebbe trovato modo di vendicarsi.<br />
228
mentii.<br />
><br />
> cercai di<br />
essere persuasivo. Dovevamo uscire subito o si sarebbe<br />
scatenato l’inferno.<br />
><br />
> gridai, e lei si<br />
spaventò.<br />
Ci alzammo e la guidai verso l’uscita sul retro, stando ben<br />
attento a non farci vedere.<br />
><br />
> Risposi.<br />
Sarebbe stata questione di minuti e quell’Ancharos,<br />
guidato dagli antichi rancori avrebbe riconosciuto fra mille<br />
l’odore della sua vecchia preda.<br />
Arrivammo al portone dell’uscita secondaria e uno dei<br />
gorilla notò che Celine non era stata marchiata. > chiese irritato.<br />
> gli ringhiai contro<br />
mostrandogli il polso.<br />
La guardia allora mi fece un cenno d’inchino di<br />
sottomissione e si fece da parte. ><br />
Mentre stavamo per varcare il portone mi sentii chiamare.<br />
> era Gerry.<br />
> risposi.<br />
><br />
aggiunse.<br />
229
Non avevo scelta, non potevo rifiutarmi, Gerry era uno dei<br />
pezzi forti della città, il braccio destro di mio nonno, ma<br />
allo stesso tempo…<br />
Sbrigati, sbrigati, sbrigati…<br />
Ora so che se avessi chiesto aiuto a lui non sarebbe<br />
successo niente quella notte.<br />
> dissi frettolosamente.<br />
> disse lui porgendole la mano.<br />
> rispose lei afferrandola.<br />
> disse ancora ><br />
Mi voltai per stringergli la mano e salutarlo quando<br />
incrociai lo sguardo dell’Ancharos da cui stavo scappando.<br />
Mi riconobbe subito e scambiò qualche parola con i suoi<br />
amici, che sparirono tra la folla.<br />
La mia espressione incattivita mise in allarme Gerry ><br />
Annuii senza togliere gli occhi dal mio nemico.<br />
Mi affrettai a salutare e uscimmo velocemente dal locale.<br />
> le chiesi continuando a<br />
guardarmi intorno.<br />
> domandò ancora più<br />
preoccupata.<br />
><br />
Affrettammo il passo, ma come temevo quel pazzo ci<br />
sbucò incontro con i suoi scagnozzi. Avevano l’aria<br />
tutt’altro che pacifica.<br />
Ci fermammo a qualche metro di distanza. Celine iniziò a<br />
tremare e si nascose dietro di me, avvertendo il pericolo.<br />
> chiese uno dei suoi.<br />
230
esclamò ironico.<br />
><br />
> continuò ><br />
><br />
ringhiai.<br />
><br />
><br />
> gridò isterico.<br />
> chiese Celine in lacrime.<br />
> lo<br />
istigai, accrescendo ancora di più il terrore negli occhi di<br />
Celine.<br />
> singhiozzò. Non<br />
mi chiamava quasi mia col mio nome per intero.<br />
Indietreggiai di qualche passo > dissi<br />
indicandogli un cassonetto della spazzatura. ><br />
><br />
> le sussurrai all’orecchio e la lasciai<br />
accovacciata a terra tremante.<br />
Dilan continuava a fissarmi sempre più incattivito > rise ><br />
> risposi avvicinandomi.<br />
Tolsi il cappotto e mi feci ancora avanti per allontanarmi il<br />
più possibile da Celine.<br />
231
disse sferrando l’attacco per primo.<br />
Aspettai finché non furono abbastanza vicini e mi gettai<br />
nello scontro.<br />
Sapevo che non avrebbero avuto scampo, dopo aver<br />
trascorso tredici anni all’Ancharos, uno scontro quattro<br />
contro uno era una passeggiata per me e, soprattutto, adoro<br />
quel genere di ammucchiate.<br />
Non sto qui a raccontare come, ti evito i dettagli, ti basti<br />
sapere che li misi fuori gioco uno dopo l’altro, lasciandoli<br />
rantolare a terra con qualche osso rotto.<br />
><br />
lo minacciai.<br />
Celine aveva visto tutto e quando tornai da lei non volle<br />
che la aiutassi ad alzarsi, non volle che la sfiorassi neanche<br />
con un dito.<br />
Aveva ricordato tutto. Lo so perché stavo rivivendo nella<br />
mia mente tutto quello che le era successo.<br />
A New York regna un terrore raccapricciante nei confronti<br />
della mia gente.<br />
E come dargli torto?<br />
Sicari ci chiamano, è il nome che usa il Clan di sede negli<br />
Stati uniti per alimentare la paura nei nostri confronti.<br />
Un abitante sopravvissuto su dieci, in città, giura d’essere<br />
stato aggredito almeno una volta nella vita, ma non lo<br />
spaventa tanto l’idea del fenomeno, quanto il terrore di<br />
rivivere quell’esperienza.<br />
Se solo non fossero così incoscienti e ingordi da arrivare<br />
perfino a uccidere…<br />
Si alzò di scatto e indietreggiò di un paio di metri da me.<br />
232
Io non le forzai la mano e rimasi in disparte aspettando<br />
una sua parola.<br />
> balbettò incredula. > chiese in totale<br />
confusione.<br />
> risposi convinto<br />
d’essere stato ormai smascherato.<br />
> sbottò.<br />
> cercai di spiegare.<br />
> disse sempre più spaventata.<br />
><br />
> strillò.<br />
Non potevo fare altro che arrendermi ><br />
Arrivammo alla macchina in totale silenzio e arrivammo a<br />
casa accompagnati dal medesimo silenzio. Quando scese<br />
dall’auto non mi salutò neanche, si infilò nel cancello della<br />
villa e sparì.<br />
Tornai a casa furibondo. Ancora una volta era andato tutto<br />
storto e peggio, avevo avuto l’occasione perfetta per dirle<br />
la verità e me l’ero fatta scivolare dalle mani come uno<br />
stupido.<br />
233
Dormii tutto il giorno e a sera tardi scesi in strada per fare<br />
due passi per fermarmi a comprare qualche rivista prima di<br />
tornare a casa a guardare un po’ di sport in TV.<br />
Dopo qualche giorno di apatia decisi di riprendere in mano<br />
la situazione.<br />
Celine aveva terrore degli Ancharos, avrebbe avuto terrore<br />
di me una volta saputa la verità e mi avrebbe odiato per<br />
averla mutata in uno di noi.<br />
Tutte le affermazioni di Margherita apparivano finalmente<br />
chiare ai miei occhi.<br />
Dovevo assolutamente abbattere quella montagna di<br />
menzogne costruite intorno a quell’orrendo mito.<br />
Per farlo però, avrei dovuto conoscere la sorgente delle<br />
sue paure, avrei dovuto immergermi nel suo mondo e<br />
scrutare fin dove si era spinta la fantasia Comune.<br />
Passai due settimane alla Pierpont Morgan Library. Mi era<br />
stato detto che in quella biblioteca erano custoditi preziosi<br />
manoscritti sull’argomento.<br />
Trovai lì tutte le mie risposte, tra libri e articoli su internet<br />
mi resi conto della vastità oceanica di fandonie che<br />
dimorano nelle teste dei Comuni sull’argomento.<br />
234
22<br />
È vero, lo ammetto. Non ho saputo farmi gli affari miei<br />
come avrei dovuto. Quando ho riaccompagnato Denise a<br />
casa quel pomeriggio ero preoccupato che potesse tornare<br />
a farsi del male. Non le ho creduto quando mi ha giurato<br />
che non l’avrebbe rifatto.<br />
> le dissi prima che scendesse dalla<br />
macchina.<br />
><br />
><br />
Quando sorride in quel modo è palese che mi stia<br />
prendendo in giro ><br />
><br />
Rise e scese dalla macchina tenendo lo sportello aperto<br />
ancora un momento. Tentennava a lasciarlo andare.<br />
> domandai uscendo a mia volta per<br />
raggiungerla dall’altra parte.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Le passai le dita fra i capelli ><br />
><br />
235
Posò la fronte sul mio petto. Abbattuta.<br />
><br />
Due lacrimoni le percorsero le guance, pesanti. ><br />
><br />
><br />
Le presi il viso fra le mani ><br />
sussurrai ><br />
L’idea di avermi lì nelle vicinanze sembrava averla<br />
tranquillizzata. Aveva smesso di tremare. Non piangeva<br />
più.<br />
Stefano, Nicola e Bruno mi raggiunsero da Denise<br />
mezz’ora dopo che mi decisi a lasciarla entrare in casa.<br />
Col fuoristrada di Stefano davamo un po’ meno<br />
nell’occhio, perché l’ottanta per cento degli Agenti del<br />
Clan ne possiede uno.<br />
Bruno lo rimandammo a casa con la Mercedes. In tre<br />
eravamo più che sufficienti. Quattro sarebbe stato ancora<br />
meglio, ma se fosse successo qualcosa a Bruno,<br />
Margherita me l’avrebbe fatta pagare anche nella tomba.<br />
Per certi versi, quella donna è più pericolosa del Clan<br />
quando si tratta di proteggere i suoi figli. Come ogni<br />
madre, suppongo.<br />
> confessò Nicola ><br />
> rispose Stefano, se possibile,<br />
più elettrizzato di lui all’idea.<br />
Non era un gioco. Se ci avessero scoperto, in meno di un<br />
minuto ci saremmo trovati alle calcagna decine di Agenti<br />
236
col fucile puntato addosso ><br />
mi raccomandai.<br />
Stefano sedeva al posto di guida, pronto a dare gas al<br />
primo segnale d’allarme ><br />
Simone era l’ultimo dei miei problemi in quel momento.<br />
> chiese<br />
Nicola.<br />
><br />
><br />
> risposi con un’occhiataccia.<br />
><br />
Passò una mezz’ora tranquilla. Ci scorreva di fianco di<br />
tanto in tanto una macchina. La moglie di qualcuno che<br />
tornava a casa dopo essere passata a riprendere i bambini<br />
da qualche attività extrascolastica.<br />
Stefano e Nicola si punzecchiavano di continuo,<br />
scherzando fra loro. Io tenevo lo sguardo fisso sulla<br />
villetta di Denise. Attento al minimo rumore. Tutto troppo<br />
tranquillo e silenzioso.<br />
> dissi ><br />
><br />
Stefano non era uno di noi. Mio nonno avrebbe anche<br />
rischiato il contagio con lui, ma Stefano preferiva<br />
collaborare in veste di Comune. Stesse responsabilità,<br />
meno effetti collaterali. Mio padre aveva sempre agito allo<br />
stesso modo e non si era mai pentito della sua scelta, se<br />
non in un’occasione.<br />
Mio zio non era mai stato d’accordo. Voleva Stefano nella<br />
squadra a tutti gli effetti, in quanto erede maschio della<br />
famiglia, ma non è mai riuscito a convincere mio fratello e<br />
237
a far cedere mio padre dal suo proposito di lasciare a<br />
Stefano la scelta.<br />
Nicola invece era un discendente legittimo. Suo padre e<br />
sua madre sono Ancharos nocchieri di sangue misto e lui<br />
ha ereditato la condanna come noi altri.<br />
Mi misi comodo sul sedile posteriore del fuoristrada e<br />
cercai la concentrazione di cui avevo bisogno per passare<br />
nell’Hahicòs e uscire indisturbato in perlustrazione.<br />
L’interno della villa era fin troppo appariscente per i miei<br />
gusti moderni. La padrona di casa sembrava fissata con<br />
l’arredamento in stile vittoriano.<br />
In casa regnava un silenzio quasi tombale. Almeno al<br />
piano di sotto, perché dal primo piano percepivo il delicato<br />
suono di un pianoforte.<br />
In un’altra occasione mi sarei soffermato per curiosare un<br />
po’ in giro, ma ero lì per una ragione precisa differente dal<br />
semplice curiosare.<br />
Salii le scale senza badare troppo al rumore, che nessuno<br />
avrebbe potuto sentire. Seguivo la musica. Conoscevo la<br />
canzone che suonava. Conoscevo la voce che cantava<br />
quelle parole, era The kill dei 30 second to mars.<br />
Era riuscita a trasformare un grido di ribellione in un<br />
lamento, una supplica.<br />
Sedeva al pianoforte in jeans e maglietta. Suonava a occhi<br />
chiusi, anche se le lacrime difficilmente le avrebbero<br />
permesso di leggere uno spartito, se ci fosse stato.<br />
Aveva fatto un’altra doccia. Aveva ancora i capelli<br />
bagnati.<br />
La sua camera era molto spaziosa e l’arredo non stonava<br />
col resto della casa. Il pesante specchio alla parete era<br />
238
otto. Dal segno al centro verso l’alto si capiva che c’era<br />
stato scagliato qualcosa contro.<br />
Era successo anche a me di frantumarne qualcuno, ma ne<br />
avevo fatto sparire i resti subito dopo, mentre quello era<br />
ancora lì, come la firma indelebile di un momento di vita<br />
da non voler cancellare.<br />
Riprese la canzone dall’inizio. La stessa. Non avrei<br />
resistito di nuovo a quel supplizio.<br />
Mi sedetti accanto a lei e posai una mano sulla sua. Avrei<br />
tanto voluto che la sentisse, che si fermasse, ma non lo<br />
fece, e il lamento che mi aspettavo si manifestò in tutta la<br />
sua rabbia.<br />
Mi avrebbe sentito gridare quel canto con lei se avesse<br />
potuto.<br />
L’ultima nota le morì fra le dita appena vide i fari di una<br />
macchina sul vialetto.<br />
Si alzò di scatto e corse a spegnere le luci del corridoio,<br />
poi tornò in camera e chiuse la porta a chiave. Accese lo<br />
stereo a tutto volume. Linkin Park questa volta.<br />
Era stesa sul letto con le mani incrociate sugli occhi.<br />
Concentrata solo sulla musica che gli scorreva nelle vene<br />
fino a modificarne il battito cardiaco.<br />
La porta dell’ingresso si aprì. Mi affacciai alla finestra<br />
della stanza per accertarmi che i ragazzi stessero bene. Il<br />
fuoristrada era ancora al suo posto. Tutto tranquillo.<br />
Quando riportai la mia attenzione su Denise, mi accorsi<br />
che muoveva le labbra in silenzio. Mi avvicinai per<br />
sedermi sul bordo del letto, accanto a lei. Tremava.<br />
Stai pregando? Hai paura!<br />
Passi in corridoio. Colpi leggeri alla porta.<br />
Non poteva sentirli con la musica a quel volume.<br />
Altri colpi, più forti, sempre più forti, più violenti.<br />
239
Suo padre.<br />
><br />
È solo tuo padre, Denise.<br />
La preghiera risuonò più forte dalle sue labbra.<br />
Denise?<br />
><br />
Denise è tuo padre.<br />
><br />
> strillò.<br />
> sbraitò ><br />
Cristo Santo! Denise? È tuo padre! È tuo padre?<br />
Spalancai gli occhi, inorridito. Saltai fuori dalla macchina<br />
senza pensarci un attimo. Stefano e Nicola capirono solo<br />
che c’era qualcosa che non andava.<br />
Scavalcai la recinzione e corsi al portone. Era chiuso.<br />
La musica era ancora alta, ma riuscivo a sentire anche le<br />
sue grida mescolate a quelle note rabbiose.<br />
Fracassai il vetro di una finestra con una gomitata e mi<br />
fiondai all’interno della villa.<br />
> la chiamai.<br />
La musica cessò.<br />
Sentii suo padre ><br />
> gridò lei guardandomi.<br />
240
Mentre il padre si voltava, io l’afferrai per le spalle e<br />
glielo tolsi da dosso, scaraventandolo con forza contro la<br />
parete.<br />
Era a terra e l’effetto sorpresa lo mandò in confusione.<br />
Il primo calcio lo colpì allo stomaco.<br />
Si rannicchiò su se tesso per il dolore, ma ne arrivarono<br />
altri, seguiti da pugni sempre più rabbiosi.<br />
Avevo già il suo sangue sulle mani quando Denise mi<br />
prese le spalle per cercare di fermarmi.<br />
> gridava ><br />
Se non fossero intervenuti Stefano e Nicola a togliermelo<br />
dalle mani, probabilmente l’avrei ammazzato.<br />
> mi disse Nicola tirandomi<br />
via da lui.<br />
> osservò Stefano mi rimproverò<br />
Nicola.<br />
Io ero totalmente fuori controllo. Ci volle la forza di<br />
entrambi per tenermi fermo e impedirmi di portare a<br />
termine il mio assassinio. Lo volevo morto, Dio sa quanto<br />
odio covassi nel cuore in quel momento.<br />
Denise era in ginocchio accanto al padre incosciente. In<br />
preda al panico.<br />
> la tranquillizzò Stefano ><br />
Annuì, asciugando il viso sanguinante del padre con la<br />
stessa maglietta che le aveva strappato da dosso.<br />
> disse Stefano a Nicola.<br />
Poi a lei ><br />
241
><br />
> esclamò lei, nonostante continuasse a<br />
piangere.<br />
><br />
><br />
Le arruffò i capelli in disordine ><br />
> disse guardandomi. Distolsi lo sguardo, non<br />
volevo che mi vedesse in quello stato.<br />
> suggerì Nicola ><br />
Stefano le mise sulle spalle un plaid che aveva trovato sul<br />
letto > disse con dolcezza, poi,<br />
pistola alla mano, ci fece strada verso l’uscita.<br />
242
23<br />
Dovetti aspettare sei settimane prima di rincontrare di<br />
nuovo Celine e la seguente fu la settimana più bella e<br />
tormentata della mia vita.<br />
La rividi una sera al Metropolitan Opera House, a<br />
Manhattan, davano l’Otello di Shakespeare.<br />
Margherita mi aveva procurato dei biglietti come regalo<br />
per il mio compleanno. Le ultime settimane erano state<br />
una sofferenza per lei. Ero più morto di quando avevo<br />
rischiato di morire davvero. Non uscivo mai, troppo stanco<br />
a causa delle notti insonni passate a scacciare invano i<br />
continui pensieri di Celine, agitatissima per gli esami di<br />
fine anno. Si tormentava notte e giorno per riuscire a<br />
rimettersi in pari con gli altri. Senza contare che la sua<br />
preoccupazione era amplificata dalla mia sofferenza, dai<br />
miei continui cambi d’umore. Non so se le emicranie<br />
fossero mie o sue, ma di sicuro sapevo che se non si fosse<br />
tranquillizzata un po’ sarei impazzito con lei.<br />
Neanche quella sera ero nello stato d’animo per godermi<br />
qualcosa, ma accettai di uscire per ringraziare Margherita<br />
della premura che mi dimostrava in ogni occasione. Ci<br />
andai con Filippo, una delle guardie del corpo di mio<br />
nonno che non mi irritasse solo a sentirne l’odore. Era<br />
poco più grande di me e sapeva stare al posto suo quando<br />
c’era da farsi da parte per lasciarmi un po’ di spazio.<br />
Vidi Celine dalla platea, era in compagnia della sua<br />
famiglia e stavano prendendo posto tutti insieme.<br />
Mandai da loro Filippo per chiedere se avessero voluto<br />
salire da me per gustare lo spettacolo dall’alto.<br />
Celine rifiutò – non c’era traccia di risentimento nel suo<br />
cuore - e Linda preferì rimanere a terra a causa delle<br />
243
vertigini. Accettarono di far salire la piccola Molly però,<br />
che sembrava entusiasta di vedere la rappresentazione con<br />
il binocolo come le signore distinte che si vedono a teatro.<br />
Era molto graziosa nel suo vestitino elegante. Mi faceva<br />
piacere passare un po’ di tempo in sua compagnia, sentivo<br />
di volerle un gran bene, ma forse era solo un riflesso<br />
dell’affetto per lei che nutriva Celine.<br />
La accolsi come si fa con una Principessa, la feci<br />
accomodare e le porsi il binocolo. Si fece raccontare la<br />
storia di Otello prima che iniziasse lo spettacolo, così da<br />
avere una visione generale di quello che avrebbe visto in<br />
seguito. Era molto sveglia per la sua età.<br />
> mi chiese<br />
contemplando il piccolo binocolo.<br />
> risposi io ><br />
><br />
> domandai<br />
cercando di restare sul vago.<br />
><br />
Il ballo?<br />
Non avevo mai avvertito in lei ansia per il ballo.<br />
Probabilmente era solo una scusa che usava per<br />
tranquillizzare i suoi.<br />
Non riuscii a trattenermi dal ridere.<br />
Tenevo gli occhi fissi su Celine ><br />
Come se fosse riuscita a sentirmi da quella distanza,<br />
Celine sollevò lo sguardo per cercarmi. La sentii una<br />
pochina irritata, e questo mi fece ridere di nuovo. Credo la<br />
innervosisse sentirmi compiaciuto e non conoscerne il<br />
motivo.<br />
Molly intanto continuava a sognare ad occhi aperti ><br />
Molly era molto loquace, fu un’impresa zittirla quando<br />
iniziò lo spettacolo. Mi piaceva starla a sentire però, anche<br />
perché mi parlava di un mondo che mi era estraneo e tutto<br />
quello che diceva non rischiava mai di cadere nel banale.<br />
L’opera terminò dopo circa quattro ore. L’intera<br />
rappresentazione fu a dir poco spettacolare.<br />
Ordinai a Filippo di aspettarmi all’uscita mentre io avrei<br />
accompagnato Molly dai suoi genitori.<br />
Ero intimorito, stavo per incontrare Celine dopo quasi due<br />
mesi di mutismo da parte di entrambi. Mi avvicinai a<br />
Linda tenendo Molly per mano per non perderla tra la<br />
folla. > la salutai.<br />
> sorrise > continuò indicando Molly.<br />
Chissà da chi avrà preso?<br />
Sorrisi ><br />
Celine se ne stava in disparte, ma di tanto in tanto alzava<br />
gli occhi per guardarmi.<br />
245
Non era in collera con me, era imbarazzata piuttosto.<br />
> dissi trattenendo un sorriso<br />
ripensando a quello che mi aveva raccontato Molly.<br />
> rispose a testa bassa.<br />
Non ci dicemmo altro per quella sera.<br />
Venne a salutarmi anche il Signor Madison e, vista l’ora,<br />
ne approfittai per ricambiare il favore e li invitai tutti per<br />
un gustoso dopo-cena all’Idyll of the gods, uno dei<br />
ristoranti più “in” di Manhattan. Resta aperto tutta la notte.<br />
Il Signor Madison accettò volentieri l’invito, Celine<br />
invece…<br />
><br />
Guastafeste! Hai paura che la carrozza ritorni zucca?<br />
Niente scuse, signorina, mi piaceresti anche vestita di<br />
stracci.<br />
Non riuscivo a capire, ero nuovo a quelle situazioni. Non<br />
c’erano dubbi che mi stesse evitando, ma non per paura,<br />
non per rancore. Allora perché?<br />
Non restò che salutarci e tornare ognuno a casa propria.<br />
La mattina seguente però ricevetti una telefonata. ><br />
Ero ancora a letto, ma balzai in piedi > dissi troppo in fretta e con troppa enfasi per<br />
nascondere la gioia.<br />
> disse tutto d’un fiato >.<br />
> risposi.<br />
><br />
><br />
246
><br />
> confermò. ><br />
> la salutai.<br />
Ci incontrammo nella sezione di volumi scientifici, stava<br />
preparando una relazione sulle soluzioni saline per il corso<br />
di chimica.<br />
Mi sedetti in silenzio accanto a lei e attesi qualche minuto<br />
che terminasse il suo compito.<br />
> esordì d’un tratto. ><br />
Non potevo fare a meno di guardarla, era stupenda come<br />
sempre, ma quella sera aveva qualcosa che la rendeva<br />
ancora più bella.<br />
Mi fece una marea di domande sulla notte dell’aggressione<br />
ed io invece di dirle la verità le feci ingoiare l’ennesima<br />
cucchiaiata di spudorate menzogne. “ mi trovavo lì per<br />
caso. Non ho nulla a che fare con quel Dilan…”<br />
Tuttavia, dopo quella barbara confessione, tra me e Celine<br />
parve tornare tutto come prima: lei riprese a fidarsi di me<br />
ed io tornai a essere tormentato dai rimorsi.<br />
><br />
propose.<br />
Stai Flirtando con me, signorina?<br />
Stava visibilmente flirtando con me ed io non riuscivo a<br />
non cedere a quella tentazione. Si arrotolava un ricciolo<br />
attorno al dito indice mentre parlava e si inumidiva<br />
dolcemente le labbra con un gioco di sguardi che metteva<br />
a dura prova le mie capacità di controllo. I suoi occhi<br />
sembravano volermi trapassare l’anima per arrivare fino al<br />
più intimo dei miei pensieri inconsci. Distolsi lo sguardo,<br />
247
come per paura che riuscisse a leggermi dentro e scoprire<br />
tutto.<br />
Sembrava una gattina in calore e in quel momento io ero<br />
l’unico oggetto dei suoi desideri.<br />
Avrei dato qualunque cosa per poter anche solo sfiorare<br />
quelle labbra. Avrei rinunciato a tutto pur di poter sentire<br />
quanto era morbida e liscia la sua pelle.<br />
Celine avvertiva la mia maniacale attrazione per lei e,<br />
credendola sua, si comportava di conseguenza. Mi voleva<br />
tanto quanto la desideravo io, non c’erano dubbi su questo.<br />
> le risposi avvicinandomi<br />
><br />
> confermò continuando a fissarmi.<br />
Chinai il capo fino a raggiungere il profilo del suo collo<br />
><br />
sussurrai annusando il profumo della sua pelle mentre le<br />
scorrevo le dita fra i capelli.<br />
Abbandonò la testa sulla mia mano, flettendo lentamente il<br />
collo su un lato per permettermi di carezzarglielo con le<br />
labbra ><br />
Tenevo la mano libera serrata con forza sulla spalliera<br />
della sedia.<br />
Non riuscivo a staccarmi da lei. Il suo respiro si faceva<br />
sempre più profondo e il mio col suo. Sentivo i commenti<br />
dei presenti seduti ai tavoli intorno a noi, ma non mi<br />
importava, non mi importava neanche mentre le risalivo il<br />
collo solleticandolo con un soffio delicato che la fece<br />
fremere fra le mie braccia ormai avvolte attorno a lei e, più<br />
di tutto, non mi importò quando raggiunsi le sue labbra<br />
calde con le mie.<br />
Mentre ci baciavamo sentivo il suo cuore batterle forte<br />
contro il mio petto e mi piaceva, soprattutto quella<br />
248
sensazione di abbandono che cancellava qualsiasi pensiero<br />
dalla mia mente. Capii che era il momento di fermarsi<br />
quando una mano le scivolò lungo la schiena in cerca della<br />
sua pelle. Ero già al limite del punto di non ritorno, non<br />
potevo indugiare un secondo di più > esclamai in un soffio.<br />
Sorrise ><br />
Un ultimo bacio prima di afferrare frettolosamente la felpa<br />
e congedarmi da quel delizioso supplizio sotto l’applauso<br />
spontaneo dei nostri spettatori.<br />
Arrivato a casa, dopo una doccia gelida provai a<br />
concentrarmi sullo sport in TV, sperando di riuscire a<br />
pensare ad altro, ma lei stava ancora pensando a me ed io<br />
non potevo non sentirla.<br />
Arrivai dietro l’angolo di casa di Celine alle 19:30.<br />
Mancava almeno mezz’ora all’appuntamento e avrei<br />
potuto mandarle un sms per avvisarla che ero arrivato, ma<br />
mi sembrò ridicolo farle notare quanta impazienza avessi<br />
nel rivederla.<br />
Ero tranquillo però, le cose cominciavano a girare per il<br />
verso giusto e questo mi faceva stare bene.<br />
Attesi pazientemente che uscisse di casa. Mi aveva chiesto<br />
di non far sapere ai suoi genitori che saremmo usciti<br />
insieme, per questo avevo parcheggiato l’auto dietro<br />
l’angolo.<br />
Quando raggiunse la macchina diede ingenuamente un<br />
colpetto sul finestrino, convinta che non l’avessi sentita<br />
arrivare, e solo allora tirai giù il vetro.<br />
> confessò<br />
entrando in auto. ><br />
249
isposi.<br />
><br />
><br />
> sbottò<br />
diffidente.<br />
><br />
No che non ti crede, lo avverte che stai mentendo.<br />
><br />
250
Parlò lentamente tutto il tempo, come si fa con uno<br />
straniero che non conosce bene la lingua, e ogni sua parola<br />
rimase intrappolata nella mia mente in una cella di neuroni<br />
pazzamente eccitati.<br />
> risposi freddo ><br />
Misi in moto l’auto per arrivare il prima possibile al<br />
cinema e chiudere definitivamente con quel discorso.<br />
Avevo capito il senso delle sue parole, mi aveva aperto il<br />
suo cuore, mi aveva offerto la sua complicità se solo<br />
l’avessi voluta. Mi chiedeva di confidarmi con lei e in cuor<br />
mio sapevo che quello era il momento più adatto per farlo,<br />
perché non si sarebbe più presentata un’occasione simile.<br />
Sentivo una voce chiara nella mia testa che mi gridava<br />
“Diglielo! Dille la verità. Non fare lo stupido” eppure mi<br />
nascosi come al solito nel mio tetro regno di menzogne.<br />
Ci gustammo il film in religioso silenzio, ma la sentivo<br />
nervosa. Mi accorsi che tremava e le strinsi la mano.<br />
Non mi guardò tutto il tempo e quando terminò il film mi<br />
lasciò la mano e si avviò verso l’uscita senza dire niente.<br />
Fu la prima volta che mi resi conto di quanto fosse<br />
complicato portare avanti una relazione specie se<br />
alimentata da sole bugie.<br />
Ero negato in queste cose, a volte sembrava che non<br />
volesse altro che stare con me e altre volte pareva<br />
infastidirla la mia presenza.<br />
Forse era il veleno in circolo la causa di quei continui<br />
cambi d’umore.<br />
> le chiesi spazientito.<br />
> rispose fredda.<br />
><br />
251
sbottò.<br />
><br />
><br />
rispose quasi in lacrime.<br />
><br />
> disse lei.<br />
> le<br />
ringhiai contro collerico.<br />
><br />
> chiesi ><br />
> gridò.<br />
C’era troppa gente in giro. La accompagnai alla macchina<br />
e le tenni aperto lo sportello per farla salire.<br />
><br />
><br />
> sbraitai.<br />
><br />
> chiesi confuso.<br />
><br />
><br />
> puntualizzò arrossendo.<br />
D’un tratto mi prese un tonfo al cuore. Aveva appena<br />
confessato d’amarmi e questo faceva precipitare in un<br />
burrone senza fondo tutte le mie certezze. Ero io quello<br />
252
infatuato di lei, e non poteva essere il contrario, non<br />
ancora, non prima di averle detto la verità, non prima<br />
d’averla messa di fronte all’angoscia del suo nuovo futuro.<br />
Se ne stava lì, a pochi centimetri da me, immobile, con gli<br />
occhi bassi per l’imbarazzo della sua rivelazione ed io non<br />
potevo fare altro che pensare a come sarebbe stato bello<br />
poterla stringere forte tra le mie braccia ancora una volta.<br />
Provò a rimediare ><br />
Mi chinai su di lei ><br />
Quando alzò lo sguardo, il suo viso fu talmente vicino al<br />
mio da rimanere inondato da quello sconfinato oceano che<br />
regnava nei suoi lucenti occhi verdi, e non potei fare a<br />
meno di toglierle un ricciolo dalla fronte e zittirla con un<br />
bacio.<br />
Aprii il portone di casa senza staccare le labbra dalle sue.<br />
Era più difficile di quanto immaginassi trovare la chiave<br />
giusta e aprire una porta mentre qualcuno ti sfila i vestiti di<br />
dosso.<br />
La camicia scivolò sul pavimento dell’ingresso per attutire<br />
la caduta delle chiavi. Richiusi la porta con un piede<br />
mentre cercavo di sgrovigliarmi le sue mani dai capelli.<br />
Il tonfo del portone aveva svegliato Margherita. La sentii<br />
muoversi nel letto per alzarsi a controllare.<br />
> dissi forte per rassicurarla in modo<br />
che rimanesse a letto e tornasse a dormire. Però mi sfuggì<br />
un gemito troppo rumoroso quando Celine mi mordicchiò<br />
un capezzolo.<br />
Di nuovo il cigolio del letto di Margherita.<br />
Afferrai prontamente Celine fra le braccia e la trascinai di<br />
peso in camera mia. Lei rise troppo forte.<br />
Sentii il passo leggero di Margherita attraversare il salotto.<br />
><br />
253
chiamò Margherita, avvicinandosi alla<br />
mia stanza.<br />
Feci segno a Celine di non fare rumore.<br />
> risposi con la voce che mi tremava ancora.<br />
> chiese seria, in italiano. Era<br />
dietro la mia porta<br />
> balbettai. Celine era avvinghiata alle mie<br />
spalle e mi faceva scorrere la punta della sua lingua dal<br />
collo al lobo dell’orecchio.<br />
><br />
> risposi in fretta.<br />
> il tono che usava quando mi chiamava<br />
in quel modo non preannunciava mai niente di buono. A<br />
volte mi considerava troppo come uno dei suoi figli.<br />
> Io ero imbarazzato da morire per<br />
quell’intoppo, invece Celine sembrava perfettamente a suo<br />
agio. Forse perché non capiva quello che stavamo dicendo.<br />
> sbottò ><br />
Tornai a rilassarmi un po’ solo quando sentii la porta della<br />
sua stanza chiudersi a chiave.<br />
> chiesi quando Celine<br />
scoppiò a ridere.<br />
> rispose con un sorriso<br />
malizioso.<br />
><br />
> mi sciolse la fibbia della cintura per<br />
raggiungere i bottoni del pantalone.<br />
> sussurrai sfilandole<br />
dolcemente la maglietta per premere la sua pelle accaldata<br />
sulla mia.<br />
254
isbigliò sulle mie labbra.<br />
Sorrisi divertito, sollevandola sulle braccia per adagiarla<br />
sul letto.<br />
Quando mi svegliai l’indomani mattina, al suo posto nel<br />
mio letto trovai un bigliettino:<br />
Saprò aspettare…<br />
non temo i tuoi segreti…<br />
temo solo che possano insinuarsi nel tuo cuore<br />
e impedirti d’amarmi.<br />
Perché io già Ti amo…<br />
Celine.<br />
Lo rilessi non so più quante volte. Mi sentivo felice come<br />
non ero mai stato prima. Tanto felice da non avere la forza<br />
di uscire da quel letto che sapeva ancora di lei. Tanto<br />
felice da non avere il coraggio di rovinare tutto<br />
affrontando i rimbrotti di Margherita.<br />
255
256<br />
24<br />
Stefano spingeva fino in fondo l’acceleratore lungo la<br />
superstrada, quasi deserta fuori dall’ora di punta.<br />
Nicola mi teneva fermo sul sedile posteriore. Il bruciore<br />
alla mano era sempre più forte e si stava propagando<br />
rapidamente in tutto il corpo, risalendo il braccio,<br />
infuocando la gola, i polmoni, lo stomaco.<br />
Cercavo di strapparmi il bendaggio che copriva il palmo<br />
rovente. Lo sentivo troppo stretto, era fastidioso e<br />
sembrava aumentare il dolore. Dovevo toglierlo dalla<br />
mano ma Nicola me lo impediva con tutte le sue forze.<br />
Non ero mai stato così al limite. L’Ancharos che mi<br />
dimora dentro non si è mai manifestato in tutta la sua<br />
violenza come in quella sera. Forse ha ragione Denise a<br />
credermi un demone. Avevo quasi ucciso suo padre e,<br />
perfino quando ormai era tutto finito, non riuscivo a<br />
pensare ad altro. Lo volevo morto. Il resto non importava.<br />
Dopotutto sono una creatura di morte. Agisco per Essa.<br />
Scorre nel mio spirito. Può capitare che a volte la mia vera<br />
natura prenda il sopravvento. Posso controllarlo, ma non<br />
posso impedirlo.<br />
Del ritorno verso casa ricordo solo il dolore. Non credo di<br />
aver avuto altri pensieri oltre al desiderio di uccidere<br />
quell’uomo e alla necessità di spegnere il fuoco che mi<br />
consumava.<br />
Ricordo l’ansia di mio fratello ><br />
E lo sconcerto di Nicola ><br />
>
><br />
> spiegò Nicola.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> bofonchiò Stefano.<br />
><br />
Io nel frattempo gridavo avvolto dalle fiamme della morte.<br />
Stefano riuscì a infilarsi nella stretta fessura del cancello<br />
automatico che si apriva. Sentivo i ciottoli del viale<br />
schizzare sulla carrozzeria.<br />
Pochi secondi e il fuoristrada inchiodò sbilanciandoci in<br />
avanti.<br />
257
Riuscivo appena a stare in piedi quando varcammo il<br />
portone della villa.<br />
Mi trascinarono in salotto.<br />
> gridò Stefano.<br />
Io stringevo fra i denti un cuscino del divano per non<br />
gridare.<br />
Nostro padre sbucò dalla sala da pranzo insieme a zio<br />
Sergio e il nonno, Beatrice era di sopra, ma ci raggiunse<br />
subito. Il tono agitato di Stefano aveva messo tutti in<br />
allarme.<br />
Io ero disteso sull’ampio tappeto al centro del salone.<br />
Nicola era su di me e mi premeva i polsi a terra.<br />
> chiese subito mio padre quando mi<br />
vide. Si avvicinò inginocchiandosi accanto a me. Mi<br />
tastava il viso e la gola per controllare la temperatura del<br />
mio corpo accaldato.<br />
Né Stefano né Nicola avevano il coraggio di raccontare<br />
cosa fosse successo davvero.<br />
Mio zio fece alzare Nicola e prese il suo posto per tenermi<br />
fermo meglio.<br />
> ordinò mio<br />
padre ><br />
Ricordo che mio zio mi sussurrava qualcosa, ma non<br />
rammento cosa.<br />
> vociò<br />
mio padre.<br />
><br />
Mio nonno era l’unico a non sembrare per niente turbato<br />
dalla situazione. Afferrò Nicola per un braccio e gli ordinò<br />
di andare in cucina e farsi dare tutto il ghiaccio che<br />
258
iuscivano a trovare ><br />
> mi chiese mio padre.<br />
Le lacrime e i lamenti che riuscivano a sfuggire al cuscino<br />
rispondevano per me.<br />
><br />
Mio zio era più pesante e più forte di Nicola, ma non mi<br />
faceva male quanto lui. Non che Nicola lo facesse di<br />
proposito, ma di sicuro l’agitazione lo rendeva meno<br />
accorto alla forza da usare per immobilizzarmi le mani.<br />
Di tanto in tanto riuscivo a isolare il pensiero dal dolore e<br />
a percepire le parole dello zio ><br />
Perché continuare a ripetermelo? Non stavo respirando?<br />
Potrebbe anche essere. Dopotutto, quasi non mi rendevo<br />
neanche conto di dove fossi.<br />
A un certo punto mi accorsi che mio nonno non era più<br />
nella stanza. Forse era andato ad aiutare Nicola, non so.<br />
Non lo so neanche adesso. Non ho mai chiesto che fine<br />
avesse fatto.<br />
Vidi mio padre chinarsi su di me ><br />
Controllarmi? Non mi sentivo più padrone del mio corpo.<br />
Il mio cervello agiva di volontà propria. Mi stavo<br />
dimenando sotto la pressione dello zio e non me ne<br />
rendevo neanche conto.<br />
> disse ><br />
><br />
><br />
><br />
259
Sentii intervenire lo zio in suo favore ><br />
Mio padre annuì senza replicare ><br />
Tornò a occuparsi di me ><br />
disse ><br />
E che ne so? ><br />
Annuì.<br />
Sentii la morsa sui polsi allentarsi fino a scomparire del<br />
tutto.<br />
Decisi di concentrarmi sulla respirazione, ma i polmoni<br />
bruciavano e il dolore sembrava anche più forte di prima.<br />
Mi sentii sollevare da terra, ma non opposi resistenza. Ero<br />
esausto.<br />
Lasciai che la testa si adagiasse sulla spalla di mio padre e<br />
con i pugni stretti al petto mi lasciai cullare dalla sua<br />
andatura decisa.<br />
Sentivo lo zio parlare dietro di noi, ma non lo ascoltavo.<br />
Ero troppo concentrato a ricordare a memoria i nomi di<br />
tutte le famiglie e le sottocategorie botaniche che avevo<br />
studiato all’università. In passato era stato un compito<br />
ostico tenerle tutte a mente, ma in quel momento erano<br />
tutte fastidiosamente riaffiorate alla memoria senza<br />
difficoltà.<br />
Nella dependance trovammo mio nonno e Nicola ad<br />
aspettarci. Mio padre mi portò in bagno. La vasca era<br />
piena d’acqua. Mi ci immerse dentro completamente<br />
vestito. Non si prese neanche la briga di togliermi le<br />
scarpe da quattrocento euro che avevo comprato da meno<br />
260
di una settimana. Appena la pelle accaldata sfiorò l’acqua<br />
resa gelida dal ghiaccio che vi galleggiava mezzo sciolto,<br />
feci un sussulto che mi fece quasi balzare fuori. Ci volle la<br />
forza sua e di mio zio per tenermi fermo. Il dolore era<br />
insopportabile, ma non ricordo altro. Mi hanno raccontato<br />
che ho gridato tutto il tempo; che, per liberarmi per uscire<br />
dalla vasca, ho lasciato dei graffi sulle braccia di mio<br />
padre; che li ho inzuppati d’acqua entrambi; e che alla fine<br />
sono svenuto.<br />
Mi sono svegliato nel letto della dependance con la mano<br />
destra ammanettata alla testiera. Ero asciutto e indossavo<br />
un pigiama dei miei.<br />
Acanto a me, nel letto, c’era mio padre. Era vestito, anche<br />
se si era cambiato con abiti asciutti.<br />
Il sole che filtrava dalle tende scure delle pareti a vetro mi<br />
costringeva a tenere gli occhi chiusi.<br />
Il bruciore era molto più leggero di quando lo ricordassi,<br />
anche se non era ancora sparito del tutto. La gola, i<br />
polmoni e lo stomaco però, non bruciavano più.<br />
Mio padre si svegliò sentendomi muovere nel letto. Mi<br />
posò una mano sulla fronte. Mi tastò il braccio. Sbottonò<br />
la giacca del pigiama per controllare la temperatura<br />
dell’addome. Mi fece voltare su un fianco per controllare<br />
anche la schiena.<br />
C’erano i miei occhiali da sole sul suo comodino. Me li<br />
passò per permettermi di aprire gli occhi. Lo sforzo della<br />
sera prima mi aveva rotto molti capillari e il sangue si era<br />
riversato sulla superficie del bulbo oculare rendendolo una<br />
spessa macchia rossa. Credo sia a questo che si riferiscono<br />
quando parlano di occhi iniettati di sangue.<br />
> chiesi notando che avevo un filo<br />
appena di voce.<br />
261
Mi liberò dalle manette ed io potei andare in bagno. Avevo<br />
un aspetto orrendo quando passandomi dell’acqua sul viso<br />
incrociai i miei occhi nello specchio sul lavandino. Il<br />
pallore della mia pelle faceva sembrare il rosso degli occhi<br />
ancora più acceso, quasi diabolico. Avevo i segni della<br />
resistenza sulle braccia. I lividi mi ricordavano i punti<br />
esatti in cui le loro mani si erano strette su di me.<br />
Mi sentivo stanchissimo. Volevo tornare a dormire.<br />
Uscii dal bagno barcollando. Mio padre si era alzato e mi<br />
venne incontro per sorreggermi. Mi aiutò a rimettermi a<br />
letto.<br />
> chiesi.<br />
><br />
><br />
><br />
Sfilai gli occhiali per affondare la faccia nel cuscino.<br />
><br />
Scossi piano la testa. Mi faceva male.<br />
><br />
La sua voce era seria, ma molto pacata. A quell’ora di<br />
sicuro era venuto a conoscenza di tutti i particolari<br />
dell’accaduto. Non mi stupiva che fosse risentito con me,<br />
mi stupiva, invece, che non alzasse la voce per una delle<br />
sue lavate di testa. Forse voleva solo tenermi il più<br />
tranquillo possibile, almeno finché non fosse stato sicuro<br />
che il pericolo era passato davvero ><br />
Scossi di nuovo la testa.<br />
><br />
><br />
><br />
262
25<br />
Tutta la mia camera era invasa dal suo incantevole<br />
profumo, tanto da stordire il mio olfatto innamorato.<br />
Stetti a letto ancora qualche minuto poi, mi alzai per<br />
trovare un qualche impiego che mi facesse passare il<br />
tempo che mi separava dall’averla ancora tra le mie<br />
braccia.<br />
A quell’ora Celine doveva essere a scuola. Provai a<br />
immaginare cosa stesse facendo, ma con scarsi risultati.<br />
Non avevo mai frequentato una scuola normale e non<br />
avevo idea di come fosse organizzata lì la giornata degli<br />
studenti.<br />
Mentre me ne stavo sul divano in accappatoio a<br />
fantasticare, Margherita rientrò in casa in compagnia di<br />
Paul che la aiutava con le buste della spesa.<br />
Feci per tornare in camera mia.<br />
> mi fermò. Liquidò Paul<br />
ringraziandolo dell’aiuto, poi tornò in cucina a mettere a<br />
posto la spesa ><br />
La prendi per le lunghe?<br />
> risposi a voce abbastanza alta da<br />
farmi sentire.<br />
><br />
> rifiutai.<br />
> si allarmò.<br />
><br />
> sbottò raggiungendomi in salotto ><br />
263
Volevo mantenere la calma per non rischiare di offenderla,<br />
era l’ultima cosa che volevo, però doveva rimettere i piedi<br />
a terra e ricordare chi era a servizio di chi ><br />
><br />
> bofonchiai ><br />
><br />
Colpito!<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
I toni si stavano accendendo ><br />
Ingrato!<br />
Se ti succede qualcosa io perdo il lavoro. Quindi, se<br />
proprio la vogliamo dire tutta, non c’è niente che mi vieta<br />
di dire semplicemente la verità quando mi chiede cosa<br />
combini. E invece ti ho sempre coperto e continuerò a<br />
farlo, perché ti voglio bene e so di cosa è capace tuo padre.<br />
Ma il fatto che mi stia a cuore il tuo benessere non vuol<br />
dire che ti puoi permettere di trattarmi come l’ultima delle<br />
serve. Non mi interessa niente se sei il figlio del mio<br />
datore di lavoro, ho l’età per essere tua madre e quindi<br />
pretendo rispetto. Se parlo mi stai a sentire senza<br />
interrompermi e se ti faccio una domanda mi rispondi in<br />
modo educato. Non so se è chiaro!>><br />
Affondato!<br />
Ma non era ancora finita ><br />
Ma perché sono uscito da quel letto?<br />
><br />
><br />
Dove vuoi arrivare?<br />
Non seppi cosa risponderle.<br />
><br />
Ma come ti permetti?<br />
> gridai.<br />
><br />
Non volevo più starla a sentire. Mi infilai in camera<br />
sbattendomi la porta alle spalle. Come se questo bastasse a<br />
farla tacere.<br />
265
Uscii di nuovo per affrontarla ><br />
><br />
Non aveva poi tutti i torti. Solo a sentire quel nome, a<br />
rievocare i ricordi di quel brutto periodo, mi veniva un<br />
groppo in gola.<br />
><br />
> dissi con la voce rotta<br />
dall’emozione.<br />
Mi abbracciò con affetto ><br />
Mi lasciò riflettere da solo.<br />
Rimasi a contemplare il soffitto per un po’, poi mi feci<br />
coraggio, mi cambiai, infilai gli occhiali da sole e scesi in<br />
strada per prendere la macchina.<br />
Mi feci indicare la S. George high school da un<br />
edicolante. Volevo attenderla all’uscita quella mattina,<br />
volevo esserle accanto quel giorno e non darle modo di<br />
pensare che quella notte fosse stata solo una delle tante<br />
senza importanza, ma più mi avvicinavo e più l’ansia<br />
cresceva.<br />
Arrivai davanti scuola intorno alle 11:00, era una grande<br />
struttura con un immenso giardino alberato sul davanti. Il<br />
viale era colmo di auto e dovetti parcheggiare molto più<br />
266
avanti per trovare posto. Mi accostai proprio accanto a un<br />
fioraio che stava appena scaricando un carico di rose dal<br />
furgone del fornitore. Ne approfittai per acquistarne un<br />
mazzo. Sul bigliettino scrissi un banalissimo ma sentito,<br />
“I love you”<br />
e pagai il fattorino del negozio affinché le portasse a<br />
destinazione.<br />
Aspettai la fine delle lezioni seduto sotto l’ombra di un<br />
acero nel giardino dell’istituto.<br />
Quando Celine ricevette i fiori lo sentii, avvertii la sua<br />
gioia e quando alle 12:00 la campanella annunciò l’ora di<br />
pranzo e tutti gli studenti si riversarono in giardino per<br />
consumare il pasto all’aperto, io potei consumare di<br />
coccole il mio dolce angelo.<br />
La feci sedere in braccio a me, ancora sull’erba, con la<br />
scusa di non volere che si sporcasse.<br />
> esclamò allegra.<br />
> sussurrai<br />
giocherellando con i suoi capelli.<br />
><br />
> risposi tenendola tra le braccia.<br />
Abbassò lo sguardo, arrossendo appena ><br />
><br />
> bisbigliò.<br />
Sapevo che lo voleva e lo volevo io.<br />
Certo che lo voglio!<br />
267
Eppure sapevo che non mi avrebbe mai risposto di sì se<br />
non fosse stata davvero sicura che lo volessi anch’io.<br />
Le parole di Margherita mi martellavano la mente. Come<br />
facevo a prendere un impegno come quello senza averle<br />
prima rivelato la mia vera identità. La sua domanda<br />
presupponeva un impegno concreto. Lo stare insieme<br />
implicava un coinvolgimento sociale: avrebbe dovuto dirlo<br />
ai suoi genitori, avrebbe preteso che conoscessi i suoi<br />
amici, il suo mondo. Ecco un altro momento perfetto per<br />
parlare, anche se farlo presupponeva il rischio di un suo<br />
totale rifiuto nei miei confronti, ipotizzava una sua<br />
avversione verso tutto quello che rappresentavo. Non sarei<br />
più potuto scappare dalla verità, avrei dovuto dirle del<br />
contagio, avrei dovuto gettarle contro un mondo tutto<br />
nuovo, che non era ancora pronta ad affrontare.<br />
Avevo fatto un bel casino, ed ero lì, di fronte ad un bivio<br />
in cerca della decisione che a entrambi potesse fare meno<br />
male.<br />
Prima o poi avrei inevitabilmente dovuto dirgliela quella<br />
dannata verità, ma nel profondo del cuore preferivo di<br />
gran lunga il poi più lontano. Non dirglielo però voleva<br />
significare continuare a usarla per un mio egoistico piacere<br />
e questo non lo sopportavo.<br />
F. Ardant scrisse:<br />
Il grande amore ci fa paura<br />
perché ci mette in una situazione di pericolo,<br />
perché si diventa vulnerabili;<br />
si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo.<br />
Perché in amore si dà tutto,<br />
ma si può anche perdere, e perdere tutto.<br />
268
Era così che mi sentivo io.<br />
Sentivo l’angoscia di quel sentimento, sentivo la paura di<br />
poter mettere in pericolo la mia felicità di quel momento,<br />
mi sentivo debole e privo di certezze. Amarla per me<br />
voleva dire liberarmi della corazza di menzogne che<br />
indossavo ed espormi alla luce del suo giudizio.<br />
Ero disposto a offrirle tutto l’amore e tutte le ricchezze di<br />
questo mondo, ma il terrore di perderla mi lacerava dentro.<br />
> le risposi vigliaccamente.<br />
Codardo! Egoista che non sei altro!<br />
Ecco che una cascata di lacrime si apprestava a scavalcare<br />
le morbide dighe dei suoi occhi, ma non pianse, non<br />
davanti a me almeno.<br />
> mentì ><br />
Mi si spezzò il cuore nel vedere quell’espressione ferita<br />
sul suo volto, avrei preferito gettarmi fra i carboni ardenti<br />
piuttosto che darle quel dolore.<br />
Il richiamo della campanella della scuola la obbligava a<br />
chiudere lì quel discorso. Lei non cercò altre spiegazioni,<br />
ingoiò il boccone amaro e continuò con la sua farsa,<br />
mentre in quel momento avrei meritato solo una coltellata<br />
><br />
Mi avvicinai per salutarla con un bacio, ma si scostò.<br />
E che ti aspettavi?<br />
Misi le mani in tasca, la salutai con un cenno del capo e<br />
rimasi in piedi a guardarla allontanarsi sempre di più col<br />
mio cuore tra le mani.<br />
269
Quando morì Mark mi ripromisi che non avrei più pianto<br />
per nessuno, giurai che non mi sarei più lasciato travolgere<br />
da sentimenti avventati.<br />
Mark era un amico eppure piansi tanto per la sua morte,<br />
Celine era tutto me stesso e per uno stupidissimo orgoglio<br />
mi tenni dentro un dolore che avrei fatto bene a esternare,<br />
mi avrebbe aiutato a capire, magari l’avrei messo da parte<br />
quell’orgoglio e le sarei corso dietro per rimangiarmi tutte<br />
le idiozie che avevo tirato fuori.<br />
Mi consolai pensando che lo stavo facendo per proteggere<br />
lei e non me. Celai l’egoismo e la paura dietro le spalle<br />
dell’amore.<br />
Ma come rimproverarmi? Non avevo mai conosciuto<br />
l’amore vero e quando mi si presentò davanti non seppi<br />
riconoscerlo, o meglio, mi rifiutai di farlo.<br />
Tornai a casa in uno stato pietoso, mi chiusi in camera e<br />
me ne stetti al buio, da solo, per tutto il resto del giorno.<br />
A sera tarda poi, convocai tutto il personale per annunciare<br />
il mio ritorno a casa, in Italia.<br />
Margherita provò a chiedermi cosa fosse successo, ma<br />
evitai le sue domande tornando in camera mia. Non volevo<br />
starla a sentire.<br />
È tutta colpa tua! Hai rovinato tutto!<br />
Intorno alle 2:00 però, nonostante fossi stato molto<br />
esplicito nel mio intento di non vederla, entrò in camera e<br />
si sedette sul letto accanto a me. Io me ne stavo disteso<br />
con il viso immerso nel cuscino, respirando appena.<br />
> chiese sottovoce.<br />
Le feci cenno di no con la testa e prese a parlare lei. ><br />
270
Margherita dal mio atteggiamento aveva intuito una<br />
rottura tra noi, ma per il motivo sbagliato.<br />
In quel momento però non avevo bisogno di consigli, né di<br />
morale, volevo solo cancellare quei mesi americani,<br />
volevo solo smettere di stare così spaventosamente male.<br />
Mi lasciò solo col mio dolore e si impegnò a organizzare<br />
tutto l’occorrente per il trasferimento.<br />
Chiamò mio padre per avvertirlo del nostro ritorno, così<br />
che potesse prenotare il volo e assunse una ditta di<br />
traslochi per riportare indietro tutte le nostre cose.<br />
Passarono altri tre giorni. C’era un aereo privato<br />
parcheggiato all’aeroporto, a nostra disposizione, mancava<br />
solo un mio cenno e tutto sarebbe finito.<br />
Quando mi decisi a uscire dalla mia stanza, il terzo giorno,<br />
convocai nuovamente tutto il personale > annunciai.<br />
> esclamò Margherita<br />
><br />
> risposi con voce tremante ><br />
Uscirono tutti, tranne Margherita, ><br />
> risposi abbattuto.<br />
> disse ><br />
><br />
271
><br />
> rispose trattenendo le lacrime.<br />
Mia madre! I ricordi che ho di lei non mi appartengono.<br />
Ero troppo piccolo quando morì. Ero troppo piccolo anche<br />
per ricordare quando Beatrice è entrata a far parte della<br />
mia vita prendendo il suo posto.<br />
Non ho mai sentito la mancanza di mia madre - non senti<br />
la mancanza di qualcuno che non conosci - e Beatrice, a<br />
differenza di mio padre, non ha mai fatto differenze fra me<br />
e Stefano. L’ho sempre chiamata mamma, considerata tale<br />
e, dopotutto, lo è.<br />
Margherita è l’unica persona che si sia presa la briga di<br />
parlarmi di lei, di raccontarmi com’era – con mio padre<br />
non ho mai potuto affrontare l’argomento -.<br />
> dissi dandole un<br />
bacio affettuoso sulla guancia. Avevo troppe magagne da<br />
farmi perdonare.<br />
272
26<br />
Rivedere Denise dopo aver quasi ucciso suo padre era<br />
l’ultimo dei miei propositi del giorno. Orami era da quasi<br />
un anno che vivevo secondo una scaletta prestabilita. Ogni<br />
giorno era suddiviso in impegni più o meno importanti.<br />
Non ho mai vissuto alla giornata, nemmeno quando<br />
credevo di non avere più alcun appoggio sotto i piedi.<br />
Sono un tipo piuttosto meticoloso e mi piace organizzare e<br />
rispettare i programmi, anche se non avrei mai immaginato<br />
che un giorno avrei finito con l’organizzare la mia intera<br />
esistenza.<br />
All’Ancharos avevo vissuto in questo modo per troppi<br />
anni. Sapevo esattamente cosa avrei fatto in qualunque ora<br />
della giornata. Sempre.<br />
Le vecchie abitudini, si sa, sono dure a morire.<br />
Non mi piacciono gli imprevisti, perché non se ne possono<br />
pianificare le conseguenze. Fanno saltare uno o più<br />
programmi, se non tutti. Creano confusione, e le<br />
confusioni generano errori, anche irreparabili.<br />
Difficilmente uno come me poteva permettersi di condurre<br />
una vita organizzata. C’erano troppe incognite. Troppi<br />
ostacoli posti lungo il cammino. Nel corso degli anni non<br />
sono riuscito a prevedere nulla che poi sia accaduto. La<br />
morte di Mark non l’avevo prevista e, non prevedendola,<br />
non ho potuto impedirla e sono stato travolto dalle<br />
conseguenze che si trascinarono dietro i sensi di colpa.<br />
Celine, non l’avevo prevista – ero andato a New York per<br />
tutt’altre ragioni -. Thomas non era assolutamente<br />
previsto. La mia cattura poi, non l’avevo mai neanche<br />
presa in considerazione, così come tutto il resto.<br />
273
Tutte situazioni che avevano completamente stravolto i<br />
miei piani perfetti.<br />
Solo con Denise era stato tutto diverso. L’esame era stato<br />
pianificato, quindi, prevista la sua reazione al voto che le<br />
avrebbe irrimediabilmente rovinato la media impeccabile.<br />
Anche a sua ira e il rancore, nei miei confronti erano stati<br />
previsti. Pianificato ogni incontro, ogni parola, ogni gesto,<br />
e prevista ogni reazione.<br />
Dopo l’incidente, avevo giurato a me stesso che non mi<br />
sarei più lasciato prendere in contropiede da niente e<br />
nessuno.<br />
Il giorno che iniziò a vedermi mentre scrutavo,<br />
inosservato, nelle vite degli altri però, non l’avevo<br />
previsto. E questo mandò in frantumi tutta la mia<br />
scrupolosa organizzazione. Da quel giorno, infatti, non ero<br />
più riuscito a ridare un senso alle mie giornate, e le<br />
conseguenze iniziarono a piovere fastidiosamente<br />
inaspettate.<br />
Non era mia intenzione aggredire suo padre a quel modo<br />
quella sera. Ero troppo shockato all’idea che fosse proprio<br />
lui il suo aggressore. Persi il controllo da subito. Non mi<br />
soffermai a riflettere neanche un istante. L’impulsività è<br />
figlia degli imprevisti.<br />
Avevo provato a immaginarmi chi potesse essere il<br />
colpevole e, per rancore personale, il mio primo sospettato<br />
era Mark. Se fosse entrato lui in casa di Denise, quella<br />
sera, se fosse stato lui ad aggredirla, mi sarei comportato<br />
in modo del tutto diverso. Avrei agito secondo il preciso<br />
piano elaborato nella mia mente, e si sarebbe risolto tutto<br />
in modo molto più pacifico.<br />
L’ho già detto che odio gli imprevisti?<br />
274
Due giorni dopo l’aggressione tornai all’università. Mi era<br />
tornata un po’ di voce, ma sforzarmi per farmi sentire, mi<br />
stancava troppo, quindi scelsi di starmene in disparte ad<br />
ascoltare le lezioni e niente di più. Sarei tornato a casa<br />
subito dopo. Portavo ancora la fasciatura alla mano. Il<br />
fuoco si era placato, ma non potevo essere certo che il<br />
flusso non potesse fuoriuscire ugualmente. Lo sentivo<br />
premere contro il polso, come un’emorragia interna che<br />
cerca una via di fuga verso l’esterno.<br />
Nicola si era reso disponibile per accompagnarmi quella<br />
mattina. Non volevo stare da solo. Non mi fidavo del male<br />
che mi circolava dentro indisturbato. Ci sedemmo<br />
all’ultima fila di banchi dell’aula di Genetica. Il corso<br />
ormai era quasi finito. Il mese dopo ci sarebbero stati gli<br />
esami, finalmente.<br />
> mi chiese Nicola, fissando la schiena<br />
di Melluso, intento a scarabocchiare un riquadro di<br />
Mendel sulla lavagna.<br />
> Ero sincero. Dopo tutto quello che stava<br />
accadendo negli ultimi giorni, non me la sentivo proprio di<br />
affrontare la sua brutta faccia ><br />
><br />
> risposi accigliato. Ripensavo a tutte le volte<br />
che mi ero seduto di fronte a lui per l’esame per rialzarmi<br />
con una bocciatura sul libretto.<br />
><br />
><br />
275
Lo sentii sbuffare al mio fianco.<br />
Denise era seduta al suo solito posto in prima fila. Non le<br />
toglievo gli occhi di dosso e il cuore mi martellava il petto<br />
dal turbamento emotivo che mi mandava in confusione il<br />
cervello ogni volta che la vedevo.<br />
> disse Nicola, che<br />
aveva intuito l’oggetto della mia attenzione.<br />
><br />
><br />
Dopo l’aggressione al padre di Denise, il Clan aveva<br />
ricompattato le forze. Erano in stato d’allerta o, come<br />
diceva Simone, erano sul piede di guerra. Le pattuglie<br />
avevano ricominciato a vigilare. Gli agenti erano tornati ad<br />
andare in giro armati. Non c’era stato ancora nessuno<br />
scontro diretto fra noi, ma ciò non escludeva la probabilità<br />
che potesse accadere qualcosa da un momento all’altro.<br />
Dopotutto erano trascorsi solo due giorni.<br />
Il pretesto che aspettavano per ricominciare la battaglia<br />
glielo avevo offerto io su un vassoio d’oro, entrando in<br />
casa di uno dei loro uomini e aggredendolo fin quasi a<br />
ucciderlo.<br />
> risposi sicuro.<br />
> precisò.<br />
><br />
><br />
> mi alterai ><br />
Il professor Melluso sentì il chiacchiericcio agitato in<br />
fondo all’aula e si soffermò a guardarci con severità. Se ne<br />
276
accorsero anche gli altri, che si voltarono in massa nella<br />
nostra direzione.<br />
Nicola chinò la testa, imbarazzato. Io invece, non mi curai<br />
della curiosità dei miei compagni e sostenni, con<br />
presunzione, lo sguardo di sfida del professore.<br />
> disse dal<br />
fondo della sala ><br />
Anche Denise si era voltata, e mi guardava dritta negli<br />
occhi. Inespressiva.<br />
Melluso si aspettava una qualche risposta o reazione da<br />
parte mia, ma quando si rese conto che non mi sarei mosso<br />
di un centimetro, tornò a darmi le spalle e riprese la sua<br />
cantilenante spiegazione.<br />
Trascorsi il resto della lezione a guardarmi intorno. C’era<br />
qualche faccia nuova in aula. Ragazzi e ragazze che avevo<br />
spesso incontrato lungo i corridoi della facoltà, ma che<br />
non avevo mai incrociato ai corsi. Una di quelle facce però<br />
mi era assolutamente sconosciuta. Con una gomitata sul<br />
braccio di Nicola le indicai la ragazza seduta in disparte a<br />
mezza fila.<br />
Aveva i capelli castani, corti e tenuti in posa con la spuma<br />
e forse un po’ di gel. Non c’erano libri o block notes sulla<br />
porzione di banco davanti a sé. Non c’era neanche<br />
qualcosa di simile a una borsa nelle sue immediate<br />
vicinanze.<br />
> chiesi a Nicola.<br />
><br />
><br />
Mi guardò sorpreso ><br />
Sì!<br />
Annuii.<br />
><br />
277
Mentre parlava mi vibrò il cellulare nella tasca della felpa.<br />
Ivan?<br />
Guardai fuori dalla vetrata della parete sull’esterno e lo<br />
vidi in piedi poco distante. Avvolto nel suo giaccone CK<br />
nero, si nascondeva sotto sciarpa e berretto bianchi e<br />
occhiali da sole invernali. Mani in tasca e schiena dritta,<br />
era rivolto nella nostra direzione. Di sicuro ci stava<br />
guardando attraverso il vetro come noi guardavamo lui.<br />
Gli feci cenno di entrare e, infatti, si mosse subito per far<br />
ingresso un attimo dopo dalla porta socchiusa che dava sul<br />
cortile.<br />
Non badò minimamente al professore, che lo fissava torvo<br />
mentre si avvicinava a noi due col suo inimitabile passo<br />
elegante, sofisticato.<br />
Non si mise a sedere. Rimase in piedi davanti a Nicola, ma<br />
leggermente rivolto verso di me.<br />
> disse mentre si scioglieva la sciarpa dal<br />
collo.<br />
> chiesi.<br />
Una sedia strisciò sul pavimento > gridò il<br />
professore ><br />
> dissi, ma Ivan si voltò lo stesso a fissarlo.<br />
Melluso era in piedi, i pugni stretti sulla cattedra e il viso<br />
paonazzo dalla rabbia.<br />
Di nuovo gli sguardi di tutti su di noi.<br />
> rispose Ivan.<br />
><br />
><br />
Liberai un ghigno indignato.<br />
> chiese Nicola.<br />
> rispose guardandolo.<br />
278
Lorenzo era il Giudice preposto alle sorti dei membri del<br />
Clan. Non era vincolato dai confini di zona assegnata<br />
come Massimo e gli altri. Percepiva le anime di qualunque<br />
membro del Clan, indipendentemente dalla sua zona<br />
d’azione.<br />
> chiesi<br />
alzando un po’ troppo la voce.<br />
Melluso era sul punto di esplodere, ed io non desideravo di<br />
meglio. Portarlo all’esasperazione era l’unico scopo che<br />
mi tenesse legato a quell’aula.<br />
><br />
spiegò.<br />
><br />
Nicola teneva d’occhio ogni movimento sospetto della<br />
nuova arrivata.<br />
Presi il cellulare e composi il numero di Denise. Il<br />
cellulare suonava libero. Era in vibrazione, perché i<br />
microfoni sulla cattedra si lamentarono per l’interferenza.<br />
Lo lasciai squillare finché fu costretta a prendere il<br />
cellulare dalla borsa per spegnerlo.<br />
Vide il mio nome lampeggiare sul monitor e si voltò<br />
indietro a cercarmi.<br />
Con lei si voltò anche la ragazza misteriosa.<br />
Nicola tenne la mano erma sulla pistola e si tenne pronto a<br />
intervenire al primo cenno di attacco.<br />
Feci cenno a Denise di non muoversi da lì, ma l’avevo<br />
inquietata abbastanza da farla stare in allerta.<br />
> dissi indicando<br />
appena la ragazza di Lorenzo ><br />
279
Nicola non le toglieva gli occhi di dosso e lei se ne<br />
accorse, ricambiando lo sguardo con un’occhiataccia.<br />
Nicola le fece “no” con la testa.<br />
> aggiunse Ivan ><br />
><br />
chiesi.<br />
Ivan mi guardò come a voler riaffermare ciò che aveva<br />
appena detto. Però aggiunse ><br />
> osservò Nicola.<br />
> rispose ><br />
> dissi<br />
risoluto ><br />
Ivan si riavvolse la sciarpa attorno al collo e riinforcò gli<br />
occhiali ><br />
> risposi contrariato.<br />
280
Nicola mi diede una gomitata. La ragazza si stava alzando.<br />
La lezione era quasi finita. Di sicuro ora cercava il posto<br />
adatto per tendere il suo agguato.<br />
> disse Nicola alzandosi per seguirla ><br />
rimasi da solo con Ivan, che si mise a sedere al posto di<br />
Nicola ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Davvero una bella domanda.<br />
><br />
><br />
><br />
Ah! Sarebbe stato troppo strano il contrario.<br />
Liberai un sospiro stanco.<br />
> disse<br />
sfilandomi gli occhiali. Il bulbo oculare era ancora rosso<br />
sangue ><br />
><br />
><br />
><br />
due giorni ti fossi sentito ancora come quella sera. Perfino<br />
peggio di allora. Cosa avresti fatto se ucciderlo fosse stato<br />
l’unico modo per far cessare il bruciore?>><br />
> ammisi<br />
portandomi le mani alla fronte, i gomiti sul banco.<br />
><br />
> sbottai ><br />
Si rimise in piedi ><br />
Annuii cercando di mandare giù il boccone amaro.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Tirò fuori dalla tasca un cellulare e lo posò sul banco > spiegò ><br />
Mi alzai e infilai alla rinfusa le mie poche cose nello<br />
zaino. Il cellulare nuovo lo chiusi nella tasca del giubbotto.<br />
Avrei voluto ringraziarlo per l’aiuto che mi offriva, prima<br />
che andasse via, ma non me ne diede il tempo.<br />
La lezione era finita.
seduta stante, ma dovevo rischiare se volevo concedere a<br />
Denise una seconda occasione.<br />
Le posai una mano sul braccio.<br />
> esclamò Marco, ponendosi<br />
immediatamente fra me e lei ><br />
> guardai negli occhi<br />
Denise, alle sue spalle > le dissi<br />
ignorando il resto del Branco. Li sentivo alitarmi sul collo.<br />
Pronti a sbranarmi al primo cenno del loro capo.<br />
> rispose Marco ><br />
> usai i miei poteri su di lei. Si mosse per<br />
raggiungermi ma uno dei ragazzi la bloccò.<br />
> dissi irritato.<br />
> osservò Marco.<br />
> ripetei con più risolutezza.<br />
Denise si ribellò alla morsa del compagno e si spostò<br />
sull’ala sinistra del gruppo, verso i banchi. Uno dei ragazzi<br />
era rimasto seduto su un banco tutto il tempo. Il cappuccio<br />
della felpa tirato in testa, lo sguardo basso. Sembrava non<br />
interessato affatto alla discussione. Denise gli passò<br />
davanti per aggirare gli altri e raggiungermi. Solo allora<br />
sollevò la testa verso di lei.<br />
Avvenne tutto in un attimo. Il tempo di scorgerne il<br />
tatuaggio sul collo, sotto l’orecchio. Mi feci subito avanti,<br />
opponendomi alla spinta di Marco con una gomitata nello<br />
stomaco. Afferrai Denise a un braccio e la tirai a me<br />
facendole perdere l’equilibrio. La sollevai fra le braccia<br />
prima che si accasciasse su di me, ritraendomi un istante<br />
prima che il palmo della mano del secondo cecchino di<br />
Lorenzo potesse posarsi sulla sua spalla.<br />
283
Il ragazzo mi guardò con disprezzo e scavalcò il banco per<br />
prendere le distanze.<br />
Misi a terra Denise. Lui capì le mie intenzioni e se la diede<br />
a gambe.<br />
> dissi serio a Marco, che iniziava solo adesso a<br />
capire cosa era appena accaduto.<br />
Scavalcai subito la prima fila di banchi con un salto e corsi<br />
all’inseguimento dell’Esecutore, che stava uscendo<br />
velocemente dalla porta sull’interno.<br />
284
27<br />
Arrivammo al centro commerciale intorno alle 14:30, il<br />
sole picchiava forte quel pomeriggio e l’aria era quasi<br />
soffocante.<br />
> chiesi curioso. Non li<br />
avevo mai visti.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> rispose dandomi un tenero bacio<br />
sulla guancia.<br />
Entrammo in un negozio di elettronica, Margherita voleva<br />
acquistare un computer portatile per Clarissa e una<br />
videocamera per Bruno.<br />
La aiutai a scegliere, non capiva molto di elettronica e si<br />
fidò ciecamente del mio giudizio in proposito.<br />
Alla cassa poi, tirai fuori la carta di credito e pagai tutto io.<br />
Mentre uscivamo mi rimproverò per non averle permesso<br />
di pagare il conto con i suoi risparmi.<br />
> esclamai serio.<br />
><br />
><br />
> sorrisi.<br />
285
esclamò con la stessa espressione di<br />
una bambina in un enorme negozio di giocattoli tutto per<br />
lei.<br />
Entrava e usciva freneticamente, ora da un negozio, ora<br />
dall’altro, ora con qualche busta, ora senza, era in preda ad<br />
un’isteria da shopping.<br />
Mi divertiva vederla così, mi faceva stare bene essere la<br />
causa principale della sua felicità di quel momento.<br />
Erano le 17:30 quando si arrestò la sua febbre di acquisti.<br />
Eravamo sommersi di buste. Dovetti pregare il commesso<br />
dell’ultimo negozio di aiutarci a portare tutta la roba in<br />
macchina.<br />
La frenesia di Margherita era riuscita a togliermi Celine<br />
dalla testa per un po’. Durò molto poco però, perché<br />
mentre eravamo diretti all’uscita la vidi seduta con delle<br />
amiche su una panchina.<br />
Se non fossi stato certo che mi avesse visto avrei fatto<br />
finta di niente.<br />
> disse alzandosi.<br />
Mi paralizzò il solito tonfo al cuore.<br />
> farfugliai impacciato.<br />
Margherita approfittò della scusa di dover mostrare la<br />
macchina al commesso per lasciarmi qualche minuto da<br />
solo con lei.<br />
> disse<br />
prendendo le buste che avevo in mano.<br />
Celine intuì che c’era qualcosa di strano nell’aria > domandò ironica, ma allo stesso<br />
tempo imbarazzata.<br />
><br />
286
> precisai senza girarci troppo<br />
intorno.<br />
> balbettò confusa. ><br />
> mentii.<br />
> domandò<br />
incredula.<br />
><br />
dissi deviando discorso.<br />
><br />
bisbigliò ><br />
Mi fece sorridere. Troppo disarmante per me la sua<br />
ingenuità. La stessa innocenza che mi frenava dal dirle<br />
tutto ><br />
sussurrai ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Stavo ancora parlando quando si sentì una voce in<br />
lontananza che la chiamava.<br />
> sorrise cercando di ricomporsi.<br />
287
le chiesi<br />
incurante di quello che mi aveva appena detto.<br />
> rispose amareggiata.<br />
Quando arrivarono le ragazze Celine ci presentò come se<br />
nulla fosse successo, col suo solito sorriso amichevole.<br />
Sarebbe andato tutto come doveva se tra le sue amiche non<br />
ci fosse stata anche la ragazza che avevo aiutato nel vicolo<br />
una delle mie prime notti passate per le strade di New<br />
York.<br />
Quando mi guardò per stringermi la mano fece un balzo<br />
indietro di mezzo metro.<br />
> esclamò terrorizzata.<br />
> le chiese confusa Celine.<br />
> mi affrettai a dire, sperando che non<br />
rivelasse nulla.<br />
> continuò.<br />
Le altre ragazze si scostarono preoccupate.<br />
><br />
Sta zitta stupida ingrata.<br />
> esclamò d’un tratto.<br />
Fortunatamente eravamo in un’area dell’edificio che in<br />
parte si isolava dal resto della folla intenta negli acquisti e<br />
poi, la musica era così alta che non permise ai passanti<br />
vicini di udire le sue accuse.<br />
> continuò<br />
><br />
> esclamai in collera. ><br />
> domandò Celine sempre più<br />
disorientata.<br />
288
><br />
esclamò confusa, ma per niente sconvolta.<br />
><br />
> infierì Sarah.<br />
> disse tra se.<br />
> la chiamai, per attirare la sua attenzione su<br />
di me.<br />
> disse lei per<br />
aggrapparsi a delle conferme che non potevo darle ><br />
><br />
> le ringhiai contro.<br />
Non avevo più vie d’uscita, non avrei più potuto<br />
rimangiarmi la verità, ero stato vigliaccamente<br />
smascherato e, giustamente, Celine volle le sue prove ><br />
> esclamai. Ormai ero con le spalle al<br />
muro.<br />
><br />
Come si fa a credere alle storie che dipingono la mia gente<br />
come demoni. Degli assassini senz’anima assetati di<br />
sangue?<br />
><br />
> disse<br />
289
iniziando ad allontanarsi sempre di più da me. ><br />
><br />
> rispose in lacrime.<br />
> intervenne Sarah.<br />
> sbraitai.<br />
Era una situazione orribile, avevo l’opportunità di dirle<br />
finalmente come stavano le cose eppure non trovavo le<br />
parole adatte per farlo, tutto sembrava contro di me ><br />
> gridò.<br />
> sbraitai esasperato da tutta quella<br />
situazione ><br />
> mi interruppe.<br />
> dissi sbottonando la manica della<br />
camicia per mostrarle il polso ancora avvolto dalle garze<br />
che usavo di solito per nascondermi.<br />
Le altre ragazze, spaventate, indietreggiarono ancora di<br />
più stringendosi l’una all’altra.<br />
> rivolsi la mia attenzione sulle sue amiche
assurde sul nostro conto. Non sapete niente di noi, ma di<br />
tutte le sciocchezze a cui credete, la più ingiustificabile è<br />
quella che ci dipinge come dei crudeli demoni infernali>><br />
tornai a fissare solo lei ><br />
La presi per un braccio, suscitando il terrore delle sue<br />
amiche, e la trascinai all’aperto.<br />
> le chiesi togliendomi la<br />
camicia e restando a torso nudo sotto il sole caldo di<br />
maggio > poi, mi<br />
avvicinai, le afferrai con una mano la catenina d’oro con il<br />
crocifisso di cristallo che teneva appeso al collo ><br />
le chiesi porgendole la semiautomatica che mi portavo<br />
sempre dietro in caso di attacco imprevisto degli Agenti<br />
del Clan > la sfidai ><br />
> disse lei gettando<br />
l’arma a terra, inorridita.<br />
><br />
><br />
gridò.<br />
giudicarmi per quello che sono, perché non posso<br />
cambiare.>> risposi rimettendo la camicia, ma non gli<br />
occhiali.<br />
> sbraitò<br />
inviperita.<br />
Sarah se ne stava con le sue amiche a qualche metro di<br />
distanza a gustarsi la scena, magari aspettava che facessi<br />
un passo falso, che aggredissi Celine o qualcun altro, così<br />
avrebbe potuto rimarcare le sue ragioni. Capivo la sua<br />
collera, era stata aggredita, e non è una bella esperienza,<br />
ma non accettavo quell’accanimento nei miei confronti,<br />
che invece avevo solo cercato di aiutarla.<br />
> era sempre più difficile<br />
per me andare avanti perché sapevo che la rivelazione che<br />
l’avrebbe strappata per sempre da me stava per arrivare.<br />
><br />
Celine era immobile. Il macigno che avevo sorretto per<br />
tutto quel tempo le era appena cascato addosso<br />
trascinandosi dietro una valanga di cruda verità.<br />
292
iuscì a farfugliare<br />
confusa.<br />
><br />
> inorridì.<br />
> gridai.<br />
> chiese stanca dei miei continui<br />
tentativi di smentire tutte le sue certezze..<br />
> risposi sinceramente.<br />
> continuò.<br />
> ammisi con un bisbiglio.<br />
><br />
> esclamai, ><br />
><br />
><br />
> gridò isterica, portandosi le mani alle orecchie<br />
> era fuori di sé. Provai ad<br />
abbracciarla, ma mi respinse con una violenza<br />
impressionante > gridò.<br />
> le gridai di rimando
Ho visto morire degli amici per mano vostra e per poco<br />
non uccidevano anche me. Eravamo solo dei ragazzini con<br />
la testa piena delle tue stesse domande.<br />
Accusami di quello che vuoi, Celine, sono un assassino,<br />
sono crudele, sono spietato, quello che vuoi, ma non<br />
incolparmi di essere ciò che sono, perché non ho scelto di<br />
nascere così. Non ho scelto di trascorrere tredici anni della<br />
mia vita in un posto dove ti insegnano solo l’odio, la<br />
paura…Mi è stato imposto.>> conclusi con la voce rotta<br />
dal pianto.<br />
><br />
><br />
Tutto il trambusto che aveva avvolto per ore quell’edificio<br />
parve svanire all’improvviso inghiottito dalla disperazione<br />
che in quel momento si era accostata intorno a noi come<br />
una campana di vetro, impedendo a tutto quel dolore di<br />
fuggire lontano.<br />
Celine mi guardava interrogativa, ma non era più adirata,<br />
una calma a dir poco mostruosa si era impossessata di lei.<br />
Di colpo fui travolto da un terrore inspiegabile, mi passò<br />
davanti in un lampo tutta la mia vita, come un lunghissimo<br />
film. Rimasi lì immobile, incapace di qualsiasi gesto o<br />
parola. Sentivo solo delle taglienti lacrime sfregiarmi il<br />
viso e gli occhi mi bruciavano di un fuoco vivo e<br />
straziante. Riuscii a riprendermi da quello sconforto<br />
vegetativo solo quando Celine avvicinandosi mi abbracciò<br />
teneramente e mi lasciò buttare fuori tutto il dolore che<br />
avevo stupidamente represso.<br />
> le sussurrai.<br />
> rispose fredda ><br />
><br />
294
><br />
><br />
><br />
Non rispose.<br />
> dissi<br />
stringendola forte a me.<br />
Lei mi fissò un istante.<br />
Una parola soltanto!<br />
Mi salutò, in silenzio, con un pudico bacio sulle labbra,<br />
sotto lo guardo incredulo delle sue amiche, che ormai<br />
avevano smesso di farsi domande e si erano rassegnate a<br />
non capire.<br />
Io rimasi lì a guardarla andar via, come quella mattina a<br />
scuola, sicuro che fosse l’ultima volta che godevo della<br />
sua luce.<br />
Tornai alla macchina.<br />
Margherita era ferma da un ambulante poco distante. Salii<br />
ad aspettare che arrivasse. Volevo lasciare quel posto per<br />
sempre.<br />
Nell’attesa però potei ripensare a quello che era appena<br />
successo. Pensai allo sguardo deluso di Celine quando<br />
aveva saputo la verità. Pensai a tutto quello che aveva<br />
detto e anche alla pessima figura che avevo fatto.<br />
Pensai al pericolo che avevo corso palesandomi in quel<br />
modo, davanti a tutti. Eppure mi ero liberato da un enorme<br />
peso, avevo rivelato a Celine il mio grande segreto. Le<br />
avevo detto del contagio, ero libero da ogni obbligo nei<br />
suoi confronti, stava solo a lei in futuro decidere se voler<br />
convivere o no con quella consapevolezza. Dopotutto,<br />
295
salvandole la vita, le avevo dato almeno la possibilità di<br />
scegliere.<br />
Quando Margherita tornò in macchina mi vide più<br />
abbattuto di quanto lo fossi stato in casa negli ultimi giorni<br />
> chiese.<br />
><br />
> mormorò dandomi una pacca<br />
consolatoria sulla spalla.<br />
Trascorsi il resto del pomeriggio in casa. Margherita mi<br />
preparò qualcosa da mangiare e mi lasciò solo con i miei<br />
pensieri.<br />
Avrei tanto voluto che restasse a farmi un po’ compagnia,<br />
ma non glielo dissi … e lei non lo capì.<br />
Intorno alle 18:30 poi, tornò per aiutarmi con i bagagli,<br />
svuotò tutti i cassetti in un set di valigie e chiamò<br />
Domenico affinché le caricasse in auto.<br />
> domandò premurosa.<br />
><br />
risposi ammirando lo splendido panorama dalla vetrata del<br />
salotto. > esclamai ><br />
> chiese<br />
ancora.<br />
> sospirai.<br />
><br />
><br />
sussurrai fissando il vuoto che si estendeva davanti ai miei<br />
occhi.<br />
296
Saremmo partiti in perfetto orario, anche se l’aeroporto era<br />
stracolmo e impiegammo un po’ per il controllo dei<br />
bagagli.<br />
Attesi tutto il tempo un segno qualunque che mi facesse<br />
capire che sarei dovuto restare; sperai invano in un<br />
imprevisto che ci impedisse di partire; sperai di vedere<br />
arrivare all’ultimo minuto Celine, che correndomi incontro<br />
mi implorasse di non andare, ma queste sono scene che si<br />
vedono solo nei film e il mio non era un film, era un<br />
incubo. Nessuno venne a fermarmi.<br />
297
298<br />
28<br />
Il corridoio affollato della facoltà sembrava stringersi da<br />
entrambi i lati per schiacciare la mia corsa. L’esecutore di<br />
Lorenzo correva a una decina di metri da me, schivando<br />
gli studenti ammassati vicino le scale quasi come se<br />
potesse passarvi attraverso. Io dovevo farmi largo a<br />
spintoni per non perderlo di vista.<br />
Mi sarei aspettato che uscisse in cortile, invece afferrò al<br />
volo il corrimano della prima rampa di scale dell’ingresso<br />
e prese a salire i gradini di corsa senza il minimo sforzo.<br />
Io ero ancora molto debole e la facilità con cui si muoveva<br />
mi faceva infuriare. Lo inseguii fino al terzo piano, quasi<br />
deserto.<br />
> gridai, ma naturalmente non mi diede retta<br />
> dovetti fermarmi un<br />
istante a riprendere fiato, mentre il ragazzo saliva l’ultima<br />
rampa di scale.<br />
> avvisai. Il tetto terrazzato<br />
dell’edificio era frequentato spesso dagli studenti il<br />
periodo estivo, che ne approfittavano per prendere un po’<br />
di sole in compagnia, fra una pausa e l’altra. In inverno<br />
però, nessuno era tanto pazzo da esporsi al freddo<br />
pungente delle folate di vento del quarto piano.<br />
Ero chinato in avanti con una mano premuta stretta<br />
all’altezza della milza. Ero fuori allenamento e tre rampe<br />
di scale di corsa non erano l’ideale nelle mie condizioni.<br />
Nonostante tutto, presi qualche altra boccata d’aria e<br />
ricominciai a salire.<br />
> dissi calmo quando scorsi la sua<br />
figura affacciata al parapetto del terrazzo.<br />
Si voltò. Un ghigno vittorioso sulle labbra.
ipresi ><br />
Rise sguaiatamente, ma il suono della sua voce mi<br />
suscitava solo nervosismo ><br />
Mi accigliai.<br />
> rise ancora di gusto, poi tornò serio ><br />
><br />
Guardò di nuovo in basso, fra la folla in cortile.<br />
><br />
Di nuovo quel ghigno ><br />
> lo<br />
minacciai furioso.<br />
><br />
Si avvicinò di qualche passo. Credevo volesse affrontarmi<br />
subito, invece si voltò e prese la rincorsa per saltare oltre il<br />
parapetto.<br />
> Il grido mi uscì inconsciamente dalla gola.<br />
Lo vidi svanire nel nulla quand’era ancora a mezz’aria<br />
oltre la ringhiera.<br />
Un brivido mi fece venire la pelle d’oca. Il cuore<br />
impazzito dalla rabbia.<br />
Corsi al parapetto. Il branco era fermo in una porzione<br />
assolata del cortile. Denise era racchiusa al centro di<br />
quella barriera protettiva di corpi.<br />
299
Gridai dall’alto.<br />
Sollevò la testa a cercarmi.<br />
><br />
Non aspettai di sincerarmi che avesse sentito. Mi precipitai<br />
alle scale per raggiungere il cortile prima di Lui.<br />
Una delle caratteristiche principali dei poteri<br />
dell’esecutore è l’ubiquità. Il fatto di potersi trovare<br />
contemporaneamente in più posti diversi senza il reale<br />
bisogno di spostarsi fisicamente rendeva il loro lavoro più<br />
semplice e il mio, in quel momento, più snervante.<br />
C’ero cascato come l’ultima delle reclute. Avevo inseguito<br />
una porzione del suo spirito, mentre lui era chissà dove,<br />
pronto e in agguato per colpire la sua vittima alla prima<br />
occasione.<br />
Il cortile brulicava di studenti alla ricerca di un raggio di<br />
sole. Marco mi aveva sentito, o almeno, intuito il pericolo,<br />
perché quando raggiunsi la panchina che avevano<br />
accerchiato non c’erano più.<br />
Corsi al parcheggio e li trovai che si dividevano per<br />
raggiungere le macchine.<br />
L’esecutore ricomparve fra loro proprio mentre il branco<br />
si sparpagliava nel piazzale. Nessuno di loro avrebbe<br />
potuto vederlo, difenderla da lui.<br />
Con le ultime forze che mi erano rimaste, accelerai la<br />
corsa e con un salto le precipitai addosso rotolando con lei<br />
a terra sul lastricato bagnato dalla pioggia incessante degli<br />
ultimi giorni.<br />
Scomparve di nuovo, ma sentimmo tutti indistintamente la<br />
sua macabra risata riecheggiare nell’aria immota.<br />
Marco si chinò per sciogliere Denise dalla stretta delle mie<br />
braccia. Anche lei si era aggrappata a me nella caduta, e il<br />
terrore del momento, le impediva di mollare la presa,<br />
nonostante Marco la tirasse su per un braccio.<br />
300
Lo ignorai, carezzandole una guancia arrossata ><br />
> rispose con<br />
l’affanno nella voce. ><br />
> sbottò Marco ><br />
Denise cercò i miei occhi.<br />
Annuii.<br />
><br />
> continuò Marco ><br />
Mi rialzai, aiutandola a tirarsi su e a togliersi qualche<br />
foglia secca dal cappotto logoro ><br />
Afferrò Denise e la tirò a sé. Il Branco si ricompattò<br />
attorno a lei.<br />
><br />
Nicola avanzò verso di me, silenzioso, alle loro spalle.<br />
Erano tutti troppo concentrati su di me per accorgersi di<br />
lui.<br />
Marco le teneva stretto la mano ><br />
><br />
><br />
Scossi la testa, deluso dalla loro sciocca sicurezza.<br />
301
esclamò sicuro Nicola, la canna della<br />
pistola dritta contro le tempie di Denise.<br />
Sorrisi, ma era un sorriso amaro.<br />
Nicola abbassò l’arma, affiancandomi, mentre Marco<br />
fulminava con lo sguardo i propri compagni.<br />
><br />
> intervenne Nicola ><br />
Denise mi tese una mano, il terrore negli occhi ><br />
Marco le abbassò il braccio.<br />
><br />
Nicola scrutò alle nostre spalle. La ragazza era tornata > disse cupo ><br />
Sospirai ><br />
><br />
><br />
Il cellulare di Ivan mi squillò nella tasca. Risposi.<br />
Quando chiusi la comunicazione, Nicola mi guardò<br />
interrogativo.<br />
302
dissi ><br />
> rispose Nicola.<br />
> dissi guardando prima<br />
Nicola, poi Denise.<br />
Un gemito di terrore uscì dalla sua gola. Marco le strinse<br />
le braccia attorno alle spalle. Non l’avevo mai visto così<br />
premuroso nei suoi confronti.<br />
><br />
> chiese subito Marco.<br />
><br />
Marta fece un passo in avanti, ma Nicola le puntò la<br />
pistola contro, minaccioso. Arretrò infastidita, fino a<br />
sparire nel vicolo del dipartimento di Fisica.<br />
Marco mi fissava, indeciso. Lasciare a noi Denise e<br />
occuparsi dell’ambulante o sacrificare un Agente e<br />
sorvegliare Denise?<br />
Sapeva di potersi fidare di me. Ero sempre stato<br />
spudoratamente sincero.<br />
> disse.<br />
Nicola prese il cellulare dalla mia tasca e chiamò Ivan. Fu<br />
una telefonata breve. Mi restituì il telefono e disse
allontana mai dal quartiere. Non è in azione, è in<br />
appostamento.>><br />
> chiese Marco.<br />
><br />
Di male in peggio.<br />
><br />
Il branco taceva sconvolto.<br />
> chiesi a Marco.<br />
><br />
><br />
><br />
Gli tolsi Denise dalle braccia. Era talmente sconvolto che<br />
non oppose la minima resistenza. > ordinai a Nicola, senza togliere gli occhi da<br />
Marco, > ripresi, ancora più torvo ><br />
><br />
Mi strinsi nelle spalle con indifferenza ><br />
304
29<br />
Mio padre diede uno sfarzoso ricevimento per il mio<br />
ritorno a casa. Non l’avevo mai visto così entusiasta di<br />
riavermi a casa. Mi lasciò senza parole. Non era da lui<br />
comportarsi così. Riuscì perfino a farmi sentire in colpa<br />
con quell’inusuale manifestazione di gioia, perché io non<br />
ero assolutamente contento di essere tornato.<br />
In America avevo lasciato la parte più importante di me e<br />
difficilmente avrei potuto confidarlo a qualcuno lì.<br />
Se solo si fosse saputo che mi ero invaghito di una<br />
Comune, che l’avevo infettata per salvarle la vita; se solo<br />
avessero saputo com’erano andate a finire le cose tra noi,<br />
trasgredendo a tutte le regole fondamentali per la<br />
salvaguardia della mia gente… …non osavo neanche<br />
immaginare cosa sarebbero stati capaci di fare.<br />
Era inaccettabile un comportamento simile, perché<br />
avrebbe potuto mettere in pericolo l’intera comunità se<br />
qualcosa fosse andato storto.<br />
Effettivamente io non sapevo cosa mai Celine o le sue<br />
amiche avrebbero potuto fare. Se potevo mettere una mano<br />
sul fuoco sul comportamento di Celine, non potevo farlo<br />
per quello di Sarah e delle altre ragazze.<br />
Mi resi conto solo in Italia del guaio che avevo combinato.<br />
Se qualcuna avesse parlato, se avessero rivelato alle<br />
Autorità tutto quello che sapevano sul mio conto, non<br />
avrei mai più potuto mettere piede in America e<br />
ipoteticamente, per quanto ne sapevo, col mio gesto insano<br />
avrei potuto aver scatenato una reazione a catena che<br />
avrebbe portato alla cattura e allo sterminio di tutta la mia<br />
gente, che ignara di tutto si lanciava, senza timore alcuno,<br />
tra le grinfie del Clan.<br />
305
Iniziai a tormentarmi con questi pensieri. Non riuscivo a<br />
dormire, a mangiare, avevo un peso sullo stomaco che mi<br />
impediva qualunque gesto.<br />
Sentivo il forte desiderio di confidare a qualcuno i miei<br />
problemi, ma il terrore di una qualche reazione violenta –<br />
sebbene mi meritassi il peggiore dei castighi -, mi<br />
impietriva la mente.<br />
Parlare con mio padre era fuori discussione, ma con che<br />
coraggio avrei potuto rivelare a mio nonno quello che<br />
avevo fatto? Specie dopo tutte le raccomandazioni che mi<br />
aveva fatto durante il suo soggiorno in America. Mio zio<br />
poi… avevo troppo timore di lui per confidargli un torto<br />
simile. Per farmela pagare mi avrebbe denunciato<br />
personalmente al Gran Consiglio degli Ancharos e lasciato<br />
che fossero loro a decidere del mio destino.<br />
Non avevo bisogno di incontrarli per conoscere il verdetto.<br />
Le accuse su di me erano pesanti: manifestazione diurna,<br />
contagio non autorizzato e rivelazione in pubblica piazza.<br />
Verdetto? Tortura. Nel caso si fosse sparsa la voce<br />
dell’accaduto al centro commerciale invece, l’accusa<br />
peggiorava e modificava la sentenza in una condanna a<br />
morte.<br />
Ero rimasto troppo scottato dalle torture all’Ancharos, non<br />
avrei mai sopportato l’idea di rivivere una sola di quelle<br />
sevizie. Eppure non credevo davvero che mio nonno fosse<br />
capace di denunciarmi al Gran Consiglio senza aver prima<br />
provato a risolvere la questione a modo suo, certo era che,<br />
se l’avesse saputo, non avrebbe chiuso entrambi gli occhi.<br />
Mi avrebbe punito ed ero troppo consapevole di quanto<br />
fosse capacissimo di infliggere dolore al prossimo, quando<br />
voleva, senza badare troppo al grado di parentela.<br />
Da che lo conosco ha sempre predicato biblicamente il<br />
detto:<br />
306
“Chi sbaglia deve pagare.”<br />
E a me non andava di pagare solo per avere la colpa di<br />
essermi innamorato.<br />
Tenni tutto per me quindi.<br />
Tuttavia, il rimorso mi divorava vivo. Dovevo<br />
assolutamente sapere come stavano effettivamente le cose<br />
a New York.<br />
Avevo solo un modo per saperlo: dovevo parlare con<br />
Celine.<br />
Credevo si rifiutasse di rispondere alla mia telefonata,<br />
infatti, mi ero preparato a quell’eventualità, anche se non<br />
sarebbe servito. Sono così cocciuto che non avrei<br />
rinunciato finché non fossi riuscito a parlarle.<br />
Mi stupii la sua reazione nel sentirmi.<br />
> mi<br />
chiese.<br />
> risposi agitato.<br />
Ma dove è finito il tuo sangue freddo?<br />
Rimanemmo qualche minuto in silenzio. Ero<br />
tremendamente impacciato, non riuscivo a dire niente e il<br />
suo ritmico respiro dall’altra parte mi faceva impazzire.<br />
> disse per rompere il<br />
ghiaccio.<br />
> farfugliai.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
307
cercai di<br />
spiegare.<br />
> continuò un<br />
po’ alterata.<br />
><br />
> gridò.<br />
> risposi.<br />
><br />
><br />
><br />
> risposi.<br />
> sbraitò.<br />
> risposi<br />
irritato. ><br />
> gridò ><br />
308
Sì, sì, e ancora sì. Mi sono posto tutte queste domande e la<br />
risposta è stata sempre la stessa: Non mi importa, purché<br />
viva.<br />
> strillai.<br />
> esclamò piena di rabbia.<br />
><br />
><br />
><br />
urlai.<br />
Riprese un lunghissimo silenzio, rotto, poi, da un<br />
inconsolabile pianto di lei.<br />
> singhiozzò. ><br />
><br />
> chiese confusa.<br />
> spiegai.<br />
><br />
><br />
Egoista!<br />
><br />
><br />
><br />
309
isposi sincero.<br />
><br />
><br />
> puntualizzò.<br />
> chiesi calmo.<br />
Silenzio.<br />
><br />
><br />
Appunto!<br />
><br />
> mi implorò.<br />
><br />
> sospirò delusa.<br />
><br />
Si concluse così la nostra telefonata, con un misero “ Ok ”.<br />
Ci sentimmo ancora quella settimana. Riuscii a chiamarla<br />
un paio di volte.<br />
310
Le inviai un finto pacco con all’interno una lettera in cui le<br />
spiegavo dettagliatamente tutto ciò che a telefono non<br />
potevo dirle. Le spiegai cosa significasse essere un<br />
Ancharos, le differenze con i Comuni, le similitudini e le<br />
enormi discrepanze con il falso mito del… Sicario. Cercai<br />
di non tralasciare niente e nello stesso tempo cercai di<br />
rendere il tutto meno spaventoso possibile.<br />
Non so come avrei reagito io se mi fossi trovato al suo<br />
posto. Di certo sarei rimasto shockato.<br />
Per fortuna Celine non aveva ancora trovato il coraggio di<br />
dirlo ai suoi > mi disse.<br />
><br />
Tra una telefonata e l’altra arrivò giugno. Le cose tra noi<br />
andavano bene, non la sentivo più distaccata e fredda<br />
come le prime volte. Le telefonate erano tranquille e più<br />
passava il tempo più aspettare di poterla sentire diventava<br />
un tormento.<br />
Mi persi anche il ballo di fine anno quel mese ><br />
confessò.<br />
Mi persi la consegna del diploma ><br />
singhiozzò.<br />
Mi persi il suo diciottesimo compleanno > mi rispose quando le chiesi se<br />
avrebbe trascorso la giornata con gli amici.<br />
Mi stavo perdendo gli eventi più importanti della sua vita<br />
e questo mi faceva sentire tremendamente male.<br />
Anche giugno passò e luglio non iniziò nel migliore dei<br />
modi. Quando la chiamavo trovava sempre una scusa per<br />
non parlarmi. Le telefonate terminavano dopo massimo<br />
dieci minuti e non mi raccontava più nulla di come<br />
311
passasse le giornate. Non mi chiedeva mai come andassero<br />
le mie.<br />
La sentivo allontanarsi sempre di più e non potevo fare<br />
niente per cambiare le cose.<br />
Quando mi parlava era sempre agitata e a nulla servivano i<br />
miei continui tentativi di spronarla a dirmi quale fosse il<br />
problema che la rendesse così.<br />
La stavo perdendo e quella volta per sempre.<br />
Non potevo più restare in Italia con le mani in mano, ma<br />
non potevo neanche tornare in America: c’era stato un po’<br />
di tafferuglio con gli Agenti negli ultimi mesi, ma nulla<br />
che avesse a che vedere con me.<br />
Stavo impazzendo!<br />
L’ultima volta che la sentii fu molto dura, mi disse che<br />
andava tutto bene, che aveva avuto modo di pensare e che<br />
si era accorta che, dopotutto, non le importava poi molto<br />
che non fossi presente nella sua vita ><br />
Credo che in quel momento se mi avessero accoltellato<br />
non avrei avvertito lo stesso dolore che avevo provato nel<br />
sentirla pronunciare quelle parole.<br />
Era tipico di Celine: un istante prima si lasciava desiderare<br />
fino alla follia, l’attimo dopo ti gettava via come uno<br />
straccio vecchio.<br />
Quell’atteggiamento mi scombinava il sistema nervoso.<br />
Non sapevo mai come prenderla e qualunque direzione<br />
scegliessi sarebbe sempre stato il sentiero sbagliato.<br />
Quando provai a richiamarla giorni dopo, per chiarire, si<br />
fece negare. Si fece negare anche il giorno dopo e quello<br />
dopo ancora, per più di una settimana, finché, stanco di<br />
farmi prendere in giro, smisi di cercarla.<br />
312
Aveva scelto di voltare pagina, aveva deciso di<br />
depennarmi dal romanzo della sua vita ed io non potei fare<br />
altro che farmi da parte.<br />
Ci stetti male, è vero, ma il tempo e la lontananza<br />
riuscirono ad affievolire quel dolore.<br />
Ripresi a fare la mia vita di sempre. Tornai a frequentare i<br />
miei vecchi amici, ricominciai a fare il Signor Renzi a cui<br />
era permesso fare tutto ciò che voleva in quanto tale e<br />
ripresi a snobbare la gente normale e a diffidare della loro<br />
ipocrita amicizia.<br />
Passavo da un party all’altro senza remore, iniziai a<br />
frequentare i pezzi grossi della nostra comunità e mi gettai<br />
sulla lettura per tenere la mente occupata in qualcosa che<br />
mi piaceva davvero. Anche se il mio passatempo preferito<br />
rimaneva sempre e comunque mandare fuori di testa mio<br />
padre, sfidandolo di continuo ad affrontarmi e dirmi<br />
finalmente quello che pensava davvero di me. Volevo<br />
sentirmi dire che mi odiava, perché era questo che avevo<br />
sempre pensato che provasse per me: Odio, disprezzo.<br />
Facevo di tutto per avere ogni attimo della giornata<br />
impegnata, facevo di tutto per non pensare, ma quel<br />
dolore, che credevo fosse svanito dal mio cuore, si era solo<br />
nascosto in qualche angolo, pronto a riaffiorare nei<br />
momenti più impensabili.<br />
Anche agosto volò via e trascinò con sé gli ultimi brandelli<br />
d’estate rimasti. Era un mese e mezzo che non avevo<br />
notizie di Celine e ogni volta che vedevo un telefono mi<br />
assaliva un’angoscia che mi impediva perfino di respirare.<br />
Non sopportavo l’idea di essere stato scaricato a quel<br />
modo, senza una spiegazione. Se davvero non voleva più<br />
vedermi doveva dirmelo in faccia, doveva guardarmi negli<br />
occhi mentre lo diceva.<br />
Una mattina comunicai a mio padre l’intenzione di voler<br />
tornare a New York, ma non fu facile come la prima volta<br />
313
convincerlo. I pattugliamenti degli Agenti si erano<br />
intensificati nelle ultime settimane. Era preoccupato per<br />
me, ma sotto sotto credo che volesse farmela pagare per il<br />
supplizio che gli avevo fatto passare per tutta l’estate.<br />
Come se il caldo afoso non fosse già abbastanza.<br />
> rispose adirato.<br />
><br />
> insisté.<br />
><br />
> chiese.<br />
><br />
> s’impuntò.<br />
> sbottai.<br />
> rispose.<br />
Effettivamente aveva ragione, ogni centesimo che avevo<br />
veniva fuori dal suo conto in banca, di mio non possedevo<br />
ancora niente.<br />
> provai ad insistere, ma fu<br />
irremovibile.<br />
Dovevo partire, dovevo tornare a New York a tutti i costi,<br />
ma non potevo farlo senza il suo aiuto e non avrei neanche<br />
potuto provare a scappare, perché mi avrebbe scandagliato<br />
contro il suo esercito di gorilla, che in un attimo mi<br />
avrebbero riportato indietro, e in quel caso avrei dovuto<br />
affrontare da solo la sua furia.<br />
Dovevo convincerlo a lasciarmi andare e l’unico modo per<br />
farlo era far breccia sul suo orgoglio.<br />
314
Il mese di settembre fu un vero inferno per lui. Mi rifiutai<br />
categoricamente di partecipare ai ricevimenti ufficiali che<br />
organizzava in villa, di presenziare ai convegni con le Alte<br />
Cariche del nostro governo e, se partecipavo, facevo in<br />
modo di risultare decisamente sgradevole e indisponente.<br />
Mi dilettavo nel farlo uscire dai gangheri, non ci dormivo<br />
per pensare a come fare.<br />
Volevo metterlo nella situazione di accettare qualunque<br />
mia richiesta pur di smetterla con quel comportamento.<br />
Fu più dura del previsto farlo cedere, ma la goccia che<br />
fece traboccare il vaso fu una notte in cui aggredii<br />
Gabriella, la figlia del Presidente del suo circolo privato.<br />
Non fu né la prima né l’ultima.<br />
Il Signor Mantovani però non gradì molto e mio padre fu<br />
costretto a sborsare molto denaro per mettere a tacere<br />
l’accaduto.<br />
Il mio atteggiamento aveva superato ogni limite, me ne<br />
accorsi perché, dopo il fallimento di mio padre e mio<br />
nonno, mio zio si sentì costretto a prendere in mano la<br />
situazione.<br />
> sbraitò una sera.<br />
Ammetto d’aver avuto paura in quel frangente, non lo<br />
avevo mai visto così imbestialito.<br />
Mio padre poi, affondò il colpo di grazia > strillò ><br />
315
Non risposi a quel rimprovero e lui sentì la mia paura, mi<br />
vide tremare sotto le sue urla e ne approfittò per riprendere<br />
il controllo che inspiegabilmente gli era scivolato dalle<br />
mani.<br />
Avevo perso ancora, cominciai perfino a credere di non<br />
poter vincere contro di lui.<br />
Dopo quella strigliata fui costretto ad abbassare le armi,<br />
non mi punì come mi sarei aspettato, anche se un paio di<br />
ceffoni mentre gridava mi arrivarono. Organizzò però un<br />
party in villa e invitò tutta la comunità, obbligandomi a<br />
fare le mie pubbliche scuse a tutti.<br />
Fu umiliante, anche se effettivamente non mi era piaciuto<br />
fare quello che avevo fatto, specie alla povera Gabriella<br />
Mantovani, che cercò di evitarmi terrorizzata per tutta la<br />
serata.<br />
Passai le tre settimane successive chiuso in camera mia per<br />
punizione. Avevo due guardie armate fuori la porta, che<br />
non mi permettevano neanche di scendere per parlare con<br />
mio padre, anche perché lui aveva dato disposizioni di non<br />
volermi tra i piedi fino a nuovo ordine.<br />
Furono le tre settimane più tormentose di tutte.<br />
Intanto Novembre aveva preso a calci ottobre,<br />
imprigionandosi in città con catene di fitta nebbia scura.<br />
Quando finì il mio periodo di punizione chiesi il permesso<br />
di uscire a fare due passi in centro. Mio padre acconsentì,<br />
non troppo convinto, ma acconsentì.<br />
Presi la macchina e andai a trovare Margherita che da<br />
qualche giorno non si presentava a lavoro a causa di una<br />
fastidiosa influenza.<br />
Quando suonai alla porta venne ad aprirmi in vestaglia,<br />
con i capelli arruffati e il viso arrossato dalla febbre.<br />
316
Appena mi vide, per l’imbarazzo, cercò di darsi una<br />
sistemata > si giustificò.<br />
><br />
><br />
><br />
> esclamò ><br />
><br />
> chiese ironica.<br />
><br />
> esclamò<br />
aprendo una porta e facendo segno di accomodarmi in<br />
salotto.<br />
><br />
><br />
> risposi.<br />
Rimasi a sentirla parlare per più di un’ora e il succo della<br />
storia fu che mi ero fermato al primo gradino, o meglio,<br />
317
avevo salito la prima rampa a piedi ed ero arrivato fino in<br />
cima con un ascensore.<br />
Non mi fu d’aiuto parlare con lei, era una donna<br />
eccezionale e le volevo un gran bene, ma quando dava un<br />
consiglio riusciva sempre a farmi sentire peggio.<br />
Tornai a casa molto confuso. Riuscivo solo a pensare alla<br />
valanga di concetti strani che mi aveva inculcato in testa.<br />
Per poco non investivo un passante tanto ero distratto e<br />
assorto nei miei pensieri.<br />
Effettivamente, ero abituato a ottenere tutto quello che<br />
volevo, senza difficoltà. Il benessere mi faceva da scudo, e<br />
il fatto di sentirmi impotente nei confronti di quel<br />
sentimento… il fatto di non poter comprare col denaro<br />
l’amore di Celine, mi scombussolava.<br />
Se prima di parlare con Margherita mi ero rassegnato<br />
all’idea di non tornare, almeno per il momento, a New<br />
York, dopo averlo fatto ero più che mai deciso a partire.<br />
318
30<br />
> mi chiese Nicola quando montai<br />
in macchina al posto del guidatore.<br />
Finché Ivan fosse riuscito a distrarre Davide impedendogli<br />
di trovare la giusta concentrazione per agire mediante lo<br />
spirito, eravamo in una posizione di vantaggio. Nicola si<br />
sarebbe occupato di Marta, e il tempo che mi concedevano<br />
dovevo farmelo bastare per elaborare un piano.<br />
Denise non diceva niente, ma le si leggeva in faccia lo<br />
spavento che le soffocava le parole in gola.<br />
><br />
> chiese preoccupato.<br />
><br />
><br />
Strinsi forte i pugni attorno al volante ><br />
> ribatté ><br />
Misi in moto ><br />
Scese dalla macchina ><br />
><br />
Annuì, dando una tenue spinta allo sportello, che si chiuse<br />
dolcemente.<br />
319
Innestai la retromarcia per lasciare il parcheggio, ma prima<br />
di dare gas, mi sfilai dal collo un cordoncino d’oro dal<br />
quale pendeva un medaglione circolare: Un dischetto di<br />
tormalina nera - inciso lungo il bordo da una formula in<br />
Peres -, con una sfera di cristallo di rocca incastonata al<br />
centro.<br />
> le ordinai.<br />
><br />
><br />
><br />
Non risposi. Mi immisi sulla strada per riportarla a casa.<br />
> disse ancora ><br />
Le dita strinsero di nuovo il volante. Il piede spinse<br />
sull’acceleratore. ><br />
><br />
Non mentirmi.<br />
><br />
> cercavo di sembrare tranquillo, ma<br />
si sentiva il nervosismo nella mia voce.<br />
><br />
><br />
> si lasciò cadere contro lo<br />
schienale del sedile posteriore, incrociando le braccia al<br />
petto.<br />
320
Sbuffai ><br />
Seguì un lungo silenzio. Riprese a parlare solo quando<br />
svoltai sulla Ugo Foscolo ><br />
> risposi brusco.<br />
> disse dura ><br />
><br />
Si aggrappò al mio sedile, avvicinando la bocca al mio<br />
orecchio ><br />
Fermai la macchina bruscamente. Non volevo credere a<br />
quello che avevo appena sentito. ><br />
> osservò.<br />
><br />
><br />
Mi alterai un po’ ><br />
><br />
medaglione con la forza da qualcun altro. I comuni non<br />
sono soggetti al suo schermo protettivo.>><br />
Scesi e andai dall’altra parte per aprirle lo sportello ><br />
><br />
><br />
><br />
> il nervosismo e<br />
l’odio verso suo padre cresceva. Infatti, potevo già<br />
avvertire sulla pelle piccole scosse elettrice provenire dal<br />
medaglione. Indietreggiai di un paio di passi. ><br />
><br />
> gridai. Una scossa molto più<br />
forte mi spinse ancora più indietro.<br />
Uno degli Agenti uscì dal furgone.<br />
Denise lo vide e scese velocemente. Sollevò una mano<br />
verso di lui, per tranquillizzarlo.<br />
322
Aggirai l’auto da dietro per tornare alla guida. > le ordinai prima di mettere in moto e<br />
andare via da lì.<br />
> chiesi a Nicola, stringendo il cellulare<br />
quasi a volerlo stritolare con la sola forza della mano.<br />
<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Lasciai cadere il cellulare sul sedile accanto. Avevo il<br />
disperato bisogno di scaricare il nervosismo che mi<br />
circolava ancora nelle vene dalla sera dell’aggressione.<br />
Niente di meglio di una corsa fuori programma.<br />
323
Vediamo cosa sapete fare.<br />
Con un’inversione suicida passai sull’altra corsia puntando<br />
dritto al quartiere nemico. Da zero a cento in un lampo,<br />
sfrecciai attraverso il quartiere trascinandomi dietro<br />
almeno quattro pattuglie, che seminai una dopo l’altra fino<br />
a perdermi del tutto alla loro vista quando imboccai la<br />
superstrada affollata.<br />
Guidai per ore. Mi aiuta a pensare quando sono<br />
preoccupato oppure ho bisogno di un’idea. L’unica idea<br />
che sembrava degna di considerazione nel mio caso,<br />
tuttavia, appariva anche come la più assurda da mettere in<br />
atto: trovare un Rinnegato che annullasse la sentenza di<br />
Lorenzo.<br />
È più probabile che nella ricerca trovi il Sacro Graal.<br />
Erano le sei e mezzo di sera. Ero ancora in strada diretto<br />
verso casa. Un’unica speranza nel cuore: che i miei amici,<br />
meno coinvolti di me, avessero la mente più leggera, per<br />
elaborare un piano alternativo al mio. Accelerai per<br />
arrivare prima di loro. Se ero fortunato avrei anche avuto il<br />
tempo di farmi una doccia.<br />
324
31<br />
Affrontai mio padre come mai avevo fatto prima. Entrai<br />
violentemente nel suo ufficio e gli riversai contro tutta la<br />
mia rabbia.<br />
><br />
Mio padre se ne stette in silenzio tutto il tempo ad<br />
ascoltare. Non tentò neanche di zittirmi, come faceva di<br />
solito. Se ne stava seduto dietro la sua lussuosa scrivania<br />
con una penna tra le dita, fissandomi con occhi attenti.<br />
Quando mi accorsi che non batteva ciglio, che tutto quel<br />
mio urlare non gli smuoveva un capello, smisi di parlare,<br />
ormai rassegnato alla mia ennesima sconfitta.<br />
325
esordì con una calma raggelate.<br />
> sbuffai voltandomi per lasciare<br />
l’ufficio.<br />
> disse serio, ed io obbedii, come sempre.<br />
Mi guardò ancora a lungo, poi iniziò a fare no con la testa.<br />
><br />
><br />
> mi sgridò. > continuò. > confessò > continuò alzando sempre di più il tono di<br />
voce > strillò. > Era davvero furioso, anche più<br />
dell’ultima volta.<br />
> chiesi offeso.<br />
><br />
326
replicai.<br />
> strillò ><br />
> risposi<br />
deluso, incurante di quello che diceva.<br />
><br />
Stefano ultimamente non gli dava meno problemi di me. A<br />
Londra si era mischiato a un gruppo di teppisti ed era stato<br />
costretto a farlo rientrare prima che potesse commettere<br />
qualche sciocchezza.<br />
> precisai.<br />
><br />
sbuffò.<br />
><br />
> gridò.<br />
> dissi alzandomi per raggiungere la porta.<br />
> esclamò un attimo prima che<br />
uscissi.<br />
Rimasi di ghiaccio dopo quell’affermazione. Un brivido<br />
gelido mi risalì per la schiena, drizzandomi la scarsa<br />
peluria sul corpo.<br />
> chiesi incredulo ><br />
327
confermò. ><br />
> chiesi calmo.<br />
><br />
> chiesi ancora.<br />
><br />
><br />
> rispose ironico.<br />
Telecamere?<br />
><br />
><br />
> dissi impaziente.<br />
> confessò.<br />
Non impiegai molto a fare due conti, era novembre,<br />
eravamo stati insieme a maggio,...<br />
> mi tremava la voce.<br />
> chiese serio, ma non gli risposi.<br />
Celine aspettava un bambino. Celine aspettava un figlio da<br />
me. Perché allora non me lo aveva detto? Perché invece di<br />
chiedermi di tornare aveva preferito allontanarmi? Non<br />
capivo.<br />
Afferrai il cellulare sul comodino. Oltre alla voce mi<br />
tremavano le mani, tremavo tutto a dire il vero. Volevo<br />
parlarle assolutamente. Non mi fidavo molto di mio padre,<br />
forse aveva inventato tutto per spaventarmi e tenermi<br />
lontano da lei.<br />
Rispose sua madre a telefono ><br />
la salutai calcolando il fuso orario. > chiesi garbato.<br />
328
> insistei.<br />
><br />
> esclamai interrompendola.<br />
><br />
><br />
> domandò<br />
incredula.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Non è possibile. Non può essere vero. Non può avermelo<br />
tenuto nascosto. Perché avrebbe dovuto? Che senso aveva<br />
punirmi così?<br />
Quando provai a richiamare, come promesso, Linda<br />
convinse Celine a parlare con me.<br />
> furono le sue prime parole. Un<br />
iceberg!<br />
> risposi nervoso per<br />
quella freddezza.<br />
><br />
><br />
><br />
329
chiesi confuso.<br />
><br />
><br />
> sbottò.<br />
> ma che assurdità era mai questa?<br />
Scoppiai a ridere > le chiesi ancor prima di rendermi conto<br />
che conoscevo già la risposta.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> esclamò fredda.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Ero arrabbiatissimo. Qualcuno aveva cercato di sabotarmi<br />
e non mi fu difficile immaginare chi fosse stato.<br />
><br />
><br />
><br />
330
><br />
><br />
> mi alterai.<br />
><br />
> gridai ><br />
> esclamò alterata, ma con la voce<br />
tremante.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
331
><br />
><br />
Rimase in silenzio qualche minuto. Sentivo batterle il<br />
cuore dalla cornetta, tanto pulsava forte. Sentivo i suoi<br />
respiri lenti e profondi, la sentivo tremare.<br />
Il tempo passava e nessuno sembrava avere il coraggio di<br />
rompere quel silenzio insopportabile, ma alla fine fu lei a<br />
farlo, come tutte le volte che non sapevo cosa dire > mi chiese con un’espressione talmente<br />
dolce da farmi rabbrividire.<br />
><br />
> mi implorò.<br />
Le promisi che sarei partito nella mattinata. Erano le quasi<br />
le 4:00 e avrei avuto giusto il tempo di preparare le mie<br />
cose e prenotare il volo delle 6:00. Margherita era stata<br />
tanto cortese da prestarmi i soldi per il viaggio.<br />
Mentre mi aggiravo frenetico per casa, incrociai mio padre<br />
che rientrava con Beatrice da una delle loro nottate<br />
mondane. > mi chiese<br />
incuriosito.<br />
> risposi scortesemente senza neanche guardarlo<br />
o fermarmi per rispondere.<br />
><br />
> ringhiai.<br />
><br />
332
sbuffai.<br />
><br />
chiese impressionato dalla mia determinazione.<br />
> risposi sincero dopo averci pensato un<br />
istante.<br />
> chiese serio.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Beatrice lo colpì con una manata sulla spalla ><br />
Sospirò scuotendo la testa ><br />
><br />
> disse rassegnato.<br />
> risposi calmo.<br />
><br />
><br />
><br />
Sapevo che non mentiva in proposito alle cattive ><br />
L’aereo privato fu pronto per le 5.30, mio padre mi<br />
accompagnò personalmente all’aeroporto. Mi fece le sue<br />
333
solite raccomandazioni. Mi disse tante di quelle cose<br />
prima di decidersi a farmi salire a bordo, da ricordarle<br />
appena, ma mai mi sarei aspettato che mi chiedesse scusa<br />
per il suo comportamento.<br />
> confessò > e mi diede un buffetto sulla nuca.<br />
Non rimpiangerò mai d’averlo abbracciato prima di<br />
partire, non lo avevo mai fatto prima.<br />
Quando atterrai a New York, Celine era all’aeroporto ad<br />
aspettarmi. L’avevo avvertita che sarei arrivato quel<br />
pomeriggio.<br />
Aveva un pancino delizioso. Quando mi vide scendere mi<br />
corse incontro e mi abbracciò teneramente. Nei suoi occhi<br />
non c’era un solo granello del rancore passato. Era<br />
bellissima, più di quando l’avessi lasciata.<br />
> le sussurrai un attimo prima di baciarla<br />
tradussi poi.<br />
> mi zittì stringendomi<br />
ancora più forte ><br />
Stemmo insieme tutto il giorno.<br />
Le chiesi se avesse avuto problemi con le sue amiche dopo<br />
quel pomeriggio al centro commerciale; le chiesi se avesse<br />
avuto problemi con la gravidanza; le chiesi come avevano<br />
preso la notizia i suoi genitori e mi rassicurò in tutti e tre i<br />
casi.<br />
Le sue amiche non avevano sparso in giro la notizia, anche<br />
perché, sapendo che lei sarebbe diventata una di noi un<br />
giorno, non volevano metterla in pericolo.<br />
334
La gravidanza procedeva bene e i suoi genitori, dopo i<br />
primi giorni di panico, in cui suo padre non desiderava<br />
altro che avermi fra le mani, avevano accettato la cosa,<br />
magari non la condividevano a pieno, ma l’avevano<br />
accettata senza ostacolarla nelle sue scelte.<br />
Per quanto riguardava il mio essere Ancharos, non gliene<br />
aveva parlato, non li riteneva in grado di capire e preferiva<br />
tenerli all’oscuro di tutto.<br />
Le promisi che dopo la nascita del bimbo l’avrei messa<br />
nelle condizioni di andare all’università e di realizzare il<br />
suo sogno, ma la misi anche al corrente che per il bene del<br />
bambino saremmo dovuti tornare tutti e tre in Italia. Mi<br />
aspettavo una reazione violenta da parte sua, invece,<br />
acconsentì senza repliche.<br />
> disse.<br />
Non volevo più perdermi niente che la riguardasse.<br />
><br />
Il suo sì fu il bacio più intenso che mi avesse mai dato.<br />
Mi sentivo straordinariamente felice e allo stesso tempo<br />
terribilmente in ansia. Avevo il terrore che tutta quella<br />
felicità, un giorno, mi si rivoltasse contro.<br />
Linda e il Signor Madison non si opposero al trasferimento<br />
di Celine a casa mia, dopotutto aspettava un figlio da me.<br />
Cos’altro avremmo potuto fare che non avessimo già fatto.<br />
Passammo dei giorni stupendi insieme. Andavamo a<br />
passeggiare nel parco, la accompagnavo in giro per<br />
negozi: l’arrivo del bimbo era imminente, avevamo ancora<br />
tante cose da acquistare prima della sua nascita.<br />
La prima volta che l’accompagnai in ospedale per i<br />
controlli e potei assistere a una delle ultime ecografie, fu<br />
un’esperienza indimenticabile.<br />
La sera uscivamo regolarmente, la portavo ogni sera in un<br />
ristorante diverso. La portavo al cinema tutte le volte che<br />
335
proiettavano un film che potesse piacerle. La portavo a<br />
teatro e alle mostre nei musei più illustri di Manhattan. La<br />
ricoprivo di doni e non riuscivo a smettere di desiderarla<br />
ogni giorno di più. Ero infatuato del suo essere, non<br />
riuscivo a immaginare di poterle stare lontano per un solo<br />
giorno. Era tutta la mia vita e, grazie a lei, quella vita<br />
cominciava perfino a piacermi.<br />
Col passare del tempo iniziò a non impressionarsi più del<br />
fatto che potessi scorgere un’anima errante qua e là. I miei<br />
poteri si rafforzavano e mi capitava di tanto in tanto di<br />
vedere già qualcosa, anche se non ero ancora in grado di<br />
interagire in alcun modo con loro. Io cercavo di far finta di<br />
niente quando mi succedeva in sua presenza, ma era<br />
un’esperienza nuova anche per me e non sempre riuscivo a<br />
non sorprendermi o sobbalzare alla vista improvvisa di un<br />
estraneo in camera da letto, in bagno o in giro per casa,<br />
anche se sapevo che non sarebbe passato tanto tempo<br />
prima che anche lei iniziasse a vederli.<br />
Arrivò anche dicembre. Avevo solo vent’anni, mi sentivo<br />
già così grande eppure ero ancora così piccolo. Ero<br />
cresciuto in fretta, ero stato costretto a farlo e solo allora<br />
mi resi conto di quanto avessi bruciato le tappe. Di certo<br />
non avrei voluto che mio figlio facesse la mia stessa vita.<br />
Sarebbe stato un Ancharos, ma non per questo avrebbe<br />
dovuto saggiarne gli effetti collaterali. Gli avrei insegnato<br />
io tutto quello che c’era da sapere, senza bisogno di collegi<br />
o diavolerie varie.<br />
Quel mese passammo anche il nostro primo Natale<br />
insieme. Il mio primo vero Natale.<br />
Decidemmo di comune accordo di far battezzare il<br />
piccolo, di sposarci in chiesa come aveva sempre<br />
desiderato e di rispettare tutti i dogmi imposti dalla<br />
religione Cristiana, a cui i suoi genitori erano tanto devoti.<br />
Scegliemmo il reverendo Collins, il mio caro Reverendo,<br />
336
per officiare i riti. Prima di tutti, il matrimonio. Lo facevo<br />
per lei, non per me. Io non sentivo il bisogno di un<br />
documento per sentirmi suo. Ci appartenevamo a<br />
prescindere, condividevamo una parte di anima, dopotutto.<br />
Decidemmo di sposarci prima della nascita del piccolo,<br />
perché volevamo che già dal suo primo giorno di vita<br />
sapesse che aveva una famiglia che lo adorava e che<br />
avrebbe fatto di tutto pur di proteggerlo dalle grinfie dei<br />
malvagi.<br />
Ne parlammo con i suoi genitori prima che, se pur<br />
consigliatoci di aspettare, alla fine ci diedero il loro<br />
benestare.<br />
Anche la mia famiglia acconsentì senza repliche, al di<br />
fuori di ogni mia più tetra aspettativa.<br />
La cerimonia fu molto intima ma lussuosa e sgargiante,<br />
oltre alla sua famiglia e a qualche suo amico non cera<br />
nessun altro.<br />
Io non conoscevo nessuno in America all’infuori del suo<br />
mondo.<br />
Quando il Signor Madison accompagnò Celine all’altare<br />
sentii una fitta lancinante che mi spezzò il cuore in tante<br />
briciole insignificanti. Ero solo, anche in quel frangente<br />
non c’era nessuno che gioisse per me. Gli invitati gioivano<br />
con me, ma non per me.<br />
I miei avevano preferito non rischiare. Diventava ogni<br />
giorno più pericoloso trattenersi in città. Gli Agenti del<br />
Clan stavano rastrellando le strade sparando a vista contro<br />
i nostri. Solo quel mese avevano ucciso più di vent’otto<br />
Ancharos.<br />
Ci sposammo in gennaio, Celine aveva il pancione sempre<br />
più gonfio, pareva in procinto di esplodere da un momento<br />
all’altro, ma era deliziosa come sempre.<br />
337
Non capendone niente di gravidanze le proposi di passare<br />
gli ultimi giorni a casa sua, con sua madre. Saremmo stati<br />
tutti più tranquilli almeno.<br />
Io restai a casa nostra, misi una scusa banale per non<br />
seguirla, ma quei pochi giorni senza di lei furono eterni.<br />
Ricordo quando me la vidi arrivare a casa nel cuore della<br />
notte, avvolta in un pigiamone di flanella verde con un<br />
sacco di mucchette disegnate, che saltellavano qua e là per<br />
il prato. Era tenerissima.<br />
Aveva guidato da sola fin lì, a una settimana dal termine<br />
della gravidanza ><br />
disse lanciandomi le braccia al collo.<br />
> le ricordai perplesso.<br />
> esclamò sorridente.<br />
><br />
Sta volta tuo padre mi ammazza davvero.<br />
> bisbigliò ><br />
><br />
Celine mi fissava con aria incantata, non capivo<br />
cos’avesse, non l’avevo mai vista così su di giri, era<br />
strana. All’improvviso poi, iniziò a fare quel suo strano<br />
giochetto con i capelli, li arrotolava nervosa intorno alle<br />
dita e mi guardava fisso negli occhi, come per<br />
ipnotizzarmi.<br />
> le chiesi confuso.<br />
><br />
><br />
><br />
No, c’è qualcos’altro!<br />
338
> rispose<br />
avvicinandosi sempre di più, fino ad arrivarmi<br />
praticamente addosso.<br />
> chiesi ancora più disorientato cercando di<br />
liberarmi dalla sua morsa.<br />
><br />
Era di una sensualità stracciante, mi si raggrovigliava lo<br />
stomaco a vederla così e poi, emanava un profumo che mi<br />
trasportava i neuroni in un’estasi di desiderio.<br />
Iniziai a cedere alle sue avance e nel giro di pochi secondi<br />
l’avevo tra le braccia.<br />
Sapevo di non poter far molto nelle condizioni in cui era,<br />
ma anche solo poter assaggiare la sua morbida pelle mi<br />
bastava per placare quella fame.<br />
Proprio mentre la stavo inondando di baci, sentii un dolore<br />
tremendo sul petto, un bruciore soffocante.<br />
Se non avesse aspettato un bambino probabilmente il<br />
cambiamento sarebbe comparso dopo qualche anno, ma<br />
portava un Ancharos puro in grembo e, non volendo, le<br />
aveva accelerato il contagio.<br />
Non sapevo facesse così male quando si sottrae energia<br />
vitale.<br />
Il dolore era così forte che feci uno sforzo sovrumano per<br />
non perdere i sensi. Avrei potuto scostarla,<br />
immobilizzarla, ma sapevo che in quel momento non era<br />
nel pieno delle sue facoltà mentali, non era lei, i suoi gesti<br />
erano guidati dall’istinto di sopravvivenza del bambino.<br />
Forse dall’aggressione non ne aveva ancora assimilato<br />
abbastanza energia da garantirne a sufficienza anche per<br />
lui.<br />
Così, la lasciai fare.<br />
339
Mi tirò via molto flusso, quando finì, infatti, ero distrutto,<br />
quasi come dopo il contagio.<br />
Riuscii appena ad alzarmi dal letto e arrivare in cucina per<br />
porre del ghiaccio sul fuoco che mi ardeva sul petto.<br />
Celine invece, si addormentò subito, totalmente ignara di<br />
quello che aveva fatto.<br />
Quando mi sentii abbastanza in forze per alzarmi tornai in<br />
camera e mi stesi sul letto accanto a lei. La abbracciai<br />
forte prima di addormentarmi sfinito.<br />
La mattina seguente mi alzai, a fatica, per avvertire i<br />
Madison che Celine era con me, promettendogli che<br />
l’avrei riaccompagnata nel pomeriggio.<br />
Stava ancora dormendo e non me la sentivo di svegliarla.<br />
Come immaginavo, quando si svegliò non ricordava<br />
niente, non ricordava neanche che fosse venuta a casa da<br />
sola.<br />
Quando le raccontai tutto non volle credermi, ma fu<br />
costretta a farlo quando le mostrai il segno rosso che mi<br />
aveva lasciato sul petto.<br />
Mentre me ne stavo disteso sul divano cercando di<br />
riprendermi, la vidi gironzolare agitata per l’appartamento.<br />
> ripeteva tra se. ><br />
Io rimasi immobile a osservare la sua ansia prendere<br />
possesso della sua mente.<br />
All’improvviso poi, la vidi avvicinarsi di nuovo.<br />
> dissi allarmato, ma<br />
lei non si fermava, mirava dritta verso di me ><br />
continuai spaventato.<br />
Si sedette sul divano scostandomi un po’ e rimase<br />
immobile col suo solito sguardo raggelante, poi, si voltò<br />
340
verso il cesto di frutta sul tavolinetto del soggiorno, afferrò<br />
una mela senza pensarci troppo e la strinse con forza.<br />
Il frutto marcì nella sua mano.<br />
>chiese un po’<br />
preoccupata.<br />
> risposi calmo ><br />
Rimanemmo a letto fino a pomeriggio inoltrato, Celine si<br />
alzò molte volte per andare in bagno o per bere o mangiare<br />
qualcosa.<br />
La sentivo inquieta, era un continuo alzarsi e tornare a<br />
letto.<br />
> le chiesi all’ennesima<br />
visita al bagno.<br />
><br />
><br />
> mi rassicurò.<br />
><br />
><br />
L’inesperienza è la più brutta delle ignoranze. Se mi fossi,<br />
già in precedenza, trovato in quella situazione, senza<br />
ombra di dubbio avrei riconosciuto quei sintomi, avrei<br />
capito che stava per nascere il bambino, invece, né io né<br />
lei demmo peso a questa eventualità.<br />
> disse d’un tratto mentre giocherellava col mio<br />
petto, ma era inquieta
Promettimi che non permetterai mai a nessuno di fare del<br />
male al mio bambino.>><br />
> risposi accarezzandole il viso ><br />
Aspettammo un paio d’ore, tra contrazioni e lamenti. Solo<br />
quando iniziò a gridare per il dolore troppo forte ci<br />
convincemmo che fosse davvero entrata in travaglio.<br />
Cercai di non farmi prendere dal panico. Per prima cosa<br />
chiamai i Madison per avvertirli dell’accaduto, e parlare<br />
con Linda mi fu d’aiuto, riuscì a tranquillizzarmi e potei<br />
riprendere in mano la situazione.<br />
Quando tornai in camera da letto Celine era terrorizzata, le<br />
si erano rotte le acque e continuava a gridare per il dolore<br />
sempre più crescente > strillava ><br />
><br />
><br />
><br />
Dopo un po’ di tira e molla riuscii a convincerla ad alzarsi,<br />
l’avrei presa in braccio, ma non avevo ancora ripreso<br />
abbastanza forze.<br />
La sorressi fino all’ascensore e una volta giù la lasciai un<br />
istante in compagnia di una passante, per correre a<br />
prendere la macchina.<br />
342
Non ricordo che ora fosse, anche perché in quel momento<br />
ero in totale stato confusionale.<br />
Arrivammo subito in ospedale ma Celine era già in fase di<br />
espulsione. Quando la portarono in sala parto<br />
un’infermiera mi diede un camice da indossare per entrare<br />
ad assistere. Devo ammettere che veder dare alla luce un<br />
esserino spaventato, gracile e indifeso, che da allora in<br />
avanti affiderà tutta la sua vita nelle tue mani, è come<br />
assistere a un miracolo.<br />
> esclamò<br />
un’infermiera sorridendo.<br />
Celine ara distrutta, ma sprizzava gioia da tutte le parti e<br />
quando le misero il piccolo tra le braccia scoppiò in un<br />
pianto liberatorio.<br />
Quando le infermiere lo portarono in un’altra sala per<br />
ripulirlo e per gli ultimi controlli di routine mi avvicinai al<br />
mio tenero angelo e le sedetti accanto per riempirla di<br />
coccole.<br />
> chiese euforica.<br />
> le risposi ><br />
Non stavo più nella pelle dall’emozione, avevo promesso a<br />
Linda che sarei uscito a informarli non appena fosse nato<br />
il bimbo, ma me ne dimenticai completamente, anche se di<br />
sicuro li aveva avvertiti il dottore.<br />
Ci portarono il bambino qualche minuto dopo aver<br />
sistemato Celine nella sua stanza. Io ero seduto sul bordo<br />
del letto stringendole la mano e ascoltando Linda che<br />
raccontava del giorno in cui la diede alla luce.<br />
C’era un’atmosfera infuocata nella stanza, sembrava che<br />
tutta la felicità del mondo fosse concentrata tra quelle<br />
quattro mura.<br />
343
Quando l’infermiera tornò col piccolino potei prenderlo<br />
per la prima volta in braccio, era piccolo e fragile da far<br />
paura.<br />
Mi guardò fisso con i suoi occhioni azzurri e quando<br />
avvicinai un dito per accarezzarlo me lo afferrò con la sua<br />
minuscola manina.<br />
Non riuscii a trattenere le lacrime, era tutto troppo<br />
surreale.<br />
Linda fu gentilissima a lasciarci un po’ soli trascinandosi<br />
dietro Molly e l’eccitatissimo nonno.<br />
Quando fummo soli nella stanza potei lasciarmi andare<br />
liberamente a quel momento di commozione.<br />
> farfugliai continuando a tenere lo sguardo<br />
fisso sul bambino ><br />
> rispose arrossendo.<br />
> sussurrai dandole un bacio, e in quel caso fu<br />
lei a scoppiare in lacrime.<br />
Non capii subito perché, poi, mi accorsi che era la prima<br />
volta che glielo dicevo. Io in cuor mio sapevo d’amarla,<br />
ma ero sempre stato frenato dal dirglielo da stupide paure.<br />
Tornammo a casa dopo una settimana. Per l’occasione<br />
avevo fatto addobbare a festa tutto l’appartamento e avevo<br />
invitato i suoi amici e la sua famiglia per festeggiare<br />
insieme quel giorno. Io avrei preferito passarlo da solo con<br />
lei e il piccolo Thomas, ma sapevo che ci teneva a vantare<br />
il suo tenero capolavoro.<br />
344
32<br />
Sfilai le chiavi dalla toppa del portone del mio<br />
appartamento quando mi accorsi che era già aperto. Posai<br />
il giubbotto all’appendiabiti dell’ingresso e mi scrollai un<br />
po’ di pioggia dai capelli.<br />
> dissi dal<br />
corridoio.<br />
Lasciai le scarpe all’ingresso per non sporcare in giro per<br />
casa. Infilai scarpe da ginnastica asciutte nella scarpiera a<br />
scomparsa del corridoio.<br />
Li sentivo armeggiare in cucina.<br />
><br />
Imboccai l’arco sulla destra per raggiungerli, ma una mano<br />
mi si strinse sulla spalla, così forte da farmi piegare le<br />
ginocchia dal dolore. L’altra mano impugnava una pistola<br />
che mi premeva sulla tempia.<br />
Non c’erano Stefano e gli altri ad attendermi.<br />
Due omoni elegantemente vestiti di grigio scuro e un altro<br />
di mezza età, molto più smilzo e poco più basso degli altri,<br />
mi stavano aspettando con una certa impazienza.<br />
><br />
><br />
Le dita d’acciaio del gorilla che mi teneva a terra si<br />
conficcarono fra clavicola e scapola.<br />
Mi sa che non è il momento di fare dell’umorismo.<br />
Soffocai un gemito.<br />
Lo smilzo si avvicinò facendo segno a chi mi teneva di<br />
lasciare che mi alzassi. Il secondo gorilla, che non si era<br />
ancora mosso dalla porta finestra, si avvicinò a sua volta.<br />
345
Lo smilzo scosse la testa con espressione delusa.<br />
Un pugno allo stomaco mi fece sputare fuori la riserva<br />
d’aria dai polmoni, costringendomi a respirare mentre<br />
cercavo di placare un eccesso di tosse. In un attimo mi fu<br />
subito chiara la funzione del secondo gorilla.<br />
> chiese lo<br />
smilzo a un centimetro dalla mia faccia.<br />
> un ceffone mi rigettò le parole in gola.<br />
Lo smilzo scosse di nuovo la testa > e mi<br />
sferrò una ginocchiata all’inguine con una forza tale che<br />
non riuscii a reprimere il grido, soffocato da una mano che<br />
mi serrava le labbra. Mi reggevo in piedi solo perché il<br />
gorilla mi teneva fermo nella sua morsa.<br />
Iniziai a vederli sfocati.<br />
><br />
Il gorilla mollò la presa ed io mi accasciai a terra.<br />
Lorenzo mi afferrò i capelli per sollevarmi il volto verso di<br />
lui > disse con una smorfia<br />
disgustata ><br />
La pistola del gorilla sempre puntata su di me.<br />
segreta sia stata intercettata e ostacolata dal Clan. Sono<br />
morti tre uomini dei nostri. Ne sai niente?>><br />
Non farti venire la brillante idea di rispondere. Pensa a<br />
come toglierteli di torno piuttosto.<br />
><br />
I gorilla iniziarono a riempirmi di calci mentre ero ancora<br />
a terra.<br />
Un colpo più forte degli altri mi fece vomitare una boccata<br />
di sangue.<br />
Non so se fu il sapore ferroso di sangue in bocca o<br />
semplice rabbia, ma mi sentii invadere da una forza oscura<br />
e violenta. Schivai l’ultimo calcio e mi rimisi in piedi<br />
colpendo in pieno viso il primo dei due uomini,<br />
rompendogli il naso. Non riuscivo ad avvicinarmi a<br />
Lorenzo perché era protetto da uno dei rari medaglioni che<br />
avevo anch’io. Il mio me l’ero conquistato quando<br />
distrussi il collegio. Uno dei dodici talismani della Setta<br />
dei Rinnegati. Bottino di guerra. Ce n’erano altri nove in<br />
giro per il mondo. Quattro attualmente in possesso dei<br />
Rinnegati ancora in vita, sei nelle mani degli Ancharos,<br />
che avevano ucciso gli altri membri della setta.<br />
Fracassai una sedia di legno sul fianco di uno degli<br />
scagnozzi, facendogli cadere la pistola di mano. L’afferrai<br />
al volo e sparai un colpo alla coscia senza esitazioni,<br />
mentre con la mano destra tenevo l’altro per la gola<br />
sputandogli in corpo il fuoco rovente del mio veleno<br />
mortale.<br />
Puntai la pistola su Lorenzo, ma lui continuò a fissarmi<br />
ammirato senza scomporsi. D’un tratto prese a battere le<br />
347
mani, sorridendo ><br />
><br />
Rise di gusto > allargò<br />
le braccia per esporre il petto ><br />
><br />
Si fece serio ><br />
><br />
><br />
><br />
> gridò.<br />
><br />
Il gorilla ferito alla gamba provò ad avvicinarsi di nuovo<br />
ed io sparai un altro colpo: alla spalla.<br />
Il secondo era a terra, privo di sensi.<br />
><br />
> dissi cercando di<br />
controllare i toni.<br />
><br />
><br />
><br />
Sentii uno spostamento d’aria alle mie spalle e mi voltai<br />
appena in tempo per schivare un altro dei suoi uomini<br />
348
comparso da chissà dove, forse era rimasto nascosto nel<br />
soggiorno tutto il tempo.<br />
Non era solo. Sparai al primo, indietreggiando e tentai di<br />
atterrare il secondo, ma il caricatore era scarico. Sentii<br />
Lorenzo gridare su tutte le furie ><br />
Mi precipitai fuori dall’appartamento chiudendo il portone<br />
a chiave dall’esterno. Corsi giù per le scale, ma potevo<br />
udire gli spari contro la serratura.<br />
Lì hai fatti proprio incazzare, eh?<br />
Sapevo che ovunque mi fossi nascosto sarebbero stati in<br />
grado di scovarmi seguendo le tracce del mio campo<br />
energetico.<br />
L’unico posto dove ero sicuro che non avrebbero potuto<br />
seguirmi era il quartiere del Clan, se non fosse che ero<br />
braccato a vista anche lì, specie dopo l’ultima azione da<br />
circo della giornata.<br />
Dannazione!<br />
Convinto di uscire con i ragazzi, non avevo parcheggiato<br />
la macchina in garage, ma l’avevo lasciata nel parcheggio<br />
dietro il palazzo. Pioveva ancora a dirotto e quando<br />
raggiunsi la Mercedes ero di nuovo zuppo di pioggia dalla<br />
testa ai piedi. Avevo un vantaggio minimo sui miei<br />
inseguitori. Mi fiondai in macchina e misi in moto, mentre<br />
il primo uomo cercava di sfondare il finestrino con il<br />
calcio della pistola. Un altro cercò di sparare alle gomme,<br />
ma afferrai la pistola che avevo nel cruscotto e appena il<br />
finestrino si frantumò tirai fuori il braccio e sparai a<br />
entrambi. Uno, al braccio, per fargli perdere la presa<br />
dell’arma, e il più vicino, alla spalla che aveva infilato<br />
all’interno per afferrare le chiavi della macchina.<br />
349
Ero ferito in modo abbastanza grave. L’addome contratto<br />
da una qualche lesione che stava riversando sangue nel<br />
mio stomaco; forse una frattura all’avambraccio sinistro;<br />
la tempia destra lacerata; l’inguine in fiamme.<br />
L’adrenalina attenuava il dolore ma man mano che mi<br />
allontanavo dal pericolo, abbandonava il mio sangue<br />
risvegliando tutte le conseguenze del pestaggio.<br />
Imboccata la superstrada, certo che non mi stesse più<br />
inseguendo nessuno, afferrai il cellulare di scorta nel<br />
cruscotto e chiamai Nicola.<br />
> dissi<br />
appena rispose.<br />
> chiese cercando di non far trapelare la<br />
preoccupazione nella voce.<br />
><br />
><br />
><br />
Silenzio dall’altra parte.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> chiuse la comunicazione.<br />
Lasciai l’auto a due isolati dal quartiere nemico. Era<br />
l’unica cosa da fare se volevo intrufolarmi senza correre il<br />
rischio di aggiungere altre ferite a quelle che avevo già.<br />
Ero talmente senza forze da non riuscire a passare<br />
all’Hahicòs per dare un’occhiata in giro indisturbato.<br />
350
Non riuscivo a caricare il peso del corpo sulla gamba<br />
destra, così ero costretto quasi a saltellare sulla sinistra,<br />
sollecitando tutti gli altri muscoli contusi.<br />
A circa duecento metri dalla villa dei Marotti, la mia<br />
avanzata fu frenata da una violenta scossa che mi sbalzò<br />
via di quasi due metri.<br />
Accidenti a me!<br />
Mi nascosi dietro il cespuglio della siepe di un giardino.<br />
Per non farmi vedere dagli Agenti di pattuglia avevo<br />
deciso di abbandonare le strade e di avanzare fino alla<br />
villa attraversando le proprietà del quartiere una dopo<br />
l’altra. Composi il numero di Denise. La mano mi tremava<br />
ancora per la scossa ricevuta.<br />
E dai! Rispondi, rispondi, rispondi.<br />
> disse.<br />
Non è il momento di fare l’offesa.<br />
><br />
> si allarmò, hai detto che…<br />
><br />
><br />
No?<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> la ammonii ><br />
351
Nessuna risposta.<br />
><br />
><br />
><br />
Ci pensò su. ><br />
><br />
Mi arrampicai fino al balcone dalla quadratura in ferro<br />
battuto della pianta rampicante sulla veranda. Le camere<br />
da letto affacciavano tutte sull’ampio balcone esposto sul<br />
davanti della villa.<br />
La luce nella camera di Denise era accesa. Strisciai fino<br />
alla porta finestra e bussai sul vetro. Le tende si aprirono.<br />
La porta finestra si aprì.<br />
> chiese subito, appena mi vide<br />
> mi aiutò ad entrare in camera<br />
sua.<br />
Ero davvero a pezzi. Il viso, una maschera di dolore ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> osservò.<br />
><br />
><br />
> tagliai<br />
corto ><br />
352
Mi stesi sul pavimento, a pancia in su, per respirare meglio<br />
><br />
><br />
Un conato di vomito mi fece correre in bagno. Se il mio<br />
poteva chiamarsi correre.<br />
Tutto quel sangue nel lavandino la mise ancora di più in<br />
allarme ><br />
><br />
><br />
Sollevai una mano a palmo aperto nella sua direzione per<br />
non farla continuare. Non volevo sentirlo nominare.<br />
Il suo bagno sembrava un confetto. Il bianco e il rosa<br />
erano gli unici colori nella stanza. Soprattutto dopo aver<br />
lavato via il sangue dal lavandino.<br />
Provai a sedermi sul bordo della vasca, ma non ci riuscii.<br />
><br />
><br />
> aprì l’anta<br />
dell’armadietto e indicò una pila di asciugamani bianchi e<br />
rosa ><br />
><br />
> sorrise > chiese poi,<br />
fissando i jeans bagnati di pioggia e imbrattati di sangue.<br />
Io tossii.<br />
><br />
Un calo di pressione improvviso mi fece accasciare a terra.<br />
><br />
><br />
353
><br />
Mi posò delicatamente il dorso della mano sulla guancia<br />
><br />
Polmonite? Ho un’emorragia interna e tu ti preoccupi<br />
della polmonite.<br />
Provai a tirarmi su, senza successo.<br />
> disse ><br />
Mi sfilò la felpa, aiutandomi a sollevare il braccio<br />
fratturato. Mi tolse le scarpe e i calzini bagnati. Quando<br />
sbottonò la cintura e i bottoni del Jeans però, le fermai la<br />
mano trattenendola per il polso.<br />
><br />
Riuscì perfino a farmi sorridere ><br />
><br />
> me li sfilai con attenzione estrema. I<br />
boxer in microfibra grigi, erano un enorme macchia di<br />
sangue scuro. Sollevai un lembo per dare una controllata<br />
all’interno.<br />
><br />
><br />
><br />
Aprì l’acqua della doccia. Mi aiutò a rimettermi in piedi.<br />
><br />
Quando tornò ero disteso sul lettone al centro della sua<br />
stanza. Un telo di spugna, macchiato di sangue, allacciato<br />
354
attorno alla vita. Mi ero addormentato, ma la sentii quando<br />
si mise a sedere sul bordo. Aprii gli occhi.<br />
><br />
><br />
La doccia aveva rilassato troppo le membra doloranti e ora<br />
sentivo ancora più dolore di prima. Avevo vomitato altro<br />
sangue, ma non glielo dissi per non aumentare inutilmente<br />
la sua preoccupazione.<br />
Scartò il cerotto, mentre io provavo a mettermi seduto.<br />
L’addome mi faceva troppo male. Tornai esausto con la<br />
testa sul cuscino.<br />
> chiese.<br />
Annuii quel poco che riuscivo a muovere la testa. Non mi<br />
importava davvero che fosse lei o un altro a farlo - non<br />
avevo quel tipo di pudori -, eppure sentii il viso avvampare<br />
quando sciolse il telo.<br />
Ma che mi sta succedendo?<br />
Lei non sembrò minimamente turbata invece. > disse<br />
tranquilla.<br />
Sì, l’ho visto. > osservai con una smorfia.<br />
Rise ><br />
> scherzai.<br />
Rise ancora ><br />
><br />
scherzai ancora. ><br />
Sorrise ><br />
Feci come voleva e lei mi scivolò accanto infilandosi<br />
dall’altro lato. Indossava una camicia da notte di seta<br />
355
orientale, corta al ginocchio e con le spalline sottili. Il<br />
medaglione appena sopra l’incavo dei seni.<br />
Mi fissò il viso ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Sentii il tonfo del suo cuore.<br />
><br />
><br />
><br />
Mi passò le dita fra i capelli umidi ><br />
E invece sì.<br />
><br />
><br />
Di nuovo quel tonfo. ><br />
><br />
> sussurrò ><br />
> Le sfilai<br />
lentamente il medaglione dal collo e lo posai sul palmo<br />
della sua mano. Posai il mio sulla sua e intrecciammo le<br />
dita. ><br />
dissi > le diedi un bacio sulla fronte. ><br />
sussurrai.<br />
> rispose dolcemente.<br />
><br />
356
33<br />
Ricordo bene il giorno in cui fui catturato dagli agenti del<br />
Clan.<br />
Thomas aveva appena sei mesi. I sei mesi più belli della<br />
mia vita.<br />
Tutto procedeva per il verso giusto, eravamo una famiglia<br />
perfetta. Ci amavamo e questo ci bastava.<br />
Eravamo appena tornati a New York, io e Celine.<br />
Avevamo lasciato il piccolo dai miei e noi due tornammo<br />
per sbrigare le ultime formalità per il definitivo<br />
trasferimento.<br />
Era tutto perfetto, avremmo solo dovuto firmare dei<br />
documenti, passare a salutare i genitori di lei, qualche<br />
amico e riprendere il volo verso l’Italia.<br />
Nulla di più semplice, se solo quella notte non fossi uscito<br />
di casa.<br />
Vennero degli amici, nel cuore della notte, a informarmi<br />
che a Manhattan c’era in atto un violento scontro tra<br />
Ancharos. Mi chiedevano di intervenire in quanto Sangue<br />
Puro e discendente diretto di un membro del Gran<br />
Consiglio. Erano sicuri che di fronte a me non avrebbero<br />
osato continuare quella lite, e affrontare la furia degli<br />
Eletti. Non avrebbero osato, quindi, mettersi contro di me,<br />
contro tutto quello che rappresentavo.<br />
> mi supplicò Celine ><br />
La abbracciai ><br />
><br />
357
Le diedi un bacio per sopprimere i tremori che le<br />
scuotevano il corpo ><br />
><br />
Mi sfilai il medaglione dal collo e glielo allacciai con<br />
delicatezza, senza togliere le mie labbra dalle sue.<br />
Fine delle discussioni.<br />
Scesi in strada con i miei informatori, ma non riuscii a<br />
raggiungere l’auto, perché degli Agenti, pistola alla mano,<br />
freddarono i miei amici e ferirono gravemente me.<br />
Era una trappola!<br />
Mi risvegliai in un letto d’ospedale, ma non ero in<br />
ospedale, più che altro in un laboratorio.<br />
Avevo polsi e caviglie legate, flebo nelle braccia ed<br />
elettrodi sul petto.<br />
Sentivo un dolore lancinante su un fianco e ricordando<br />
quello che era successo, mi accorsi che era la ferita causata<br />
dallo sparo a farmi male.<br />
Nella stanza non c’era nessuno o almeno così ricordo, dato<br />
che ero stordito da qualche droga pesante.<br />
Non so quanto tempo passò prima che entrasse in camera<br />
un uomo di mezza età con un camice bianco e un vassoio<br />
colmo di strumenti medici.<br />
Provai a liberarmi dalle corde che mi tenevano immobile,<br />
ma senza successo, anzi, riuscii solo a farmi più male.<br />
> esclamò quell’uomo. > mi spiegò con calma.<br />
> chiesi allarmato.<br />
> esclamò, ma in tono pacato.<br />
><br />
> rise.<br />
358
Mi accorsi che quella era una battaglia già persa in<br />
partenza e cercai di placare i bollori col silenzio, per non<br />
rischiare troppo.<br />
Quando si avvicinò con i suoi strumenti credetti<br />
sinceramente che volesse uccidermi, invece, li usò solo per<br />
pulire e controllare la ferita.<br />
> domandò in tono<br />
professionale pressandomi l’addome.<br />
> risposi sofferente.<br />
> disse appuntando<br />
qualcosa sulla sua cartella.<br />
Mi sciolse le caviglie e mi infilò due cuscini sotto le<br />
ginocchia > disse.<br />
Passai due giorni in quella stanza e non vidi altri che lui.<br />
Il terzo giorno poi, mi trasferirono in un’altra stanza, ma<br />
senza legarmi, anche perché la porta era blindata e<br />
difficilmente sarei potuto scappare in quelle condizioni.<br />
La stanza era illuminata da un neon e di giorno riusciva a<br />
passare un po’ di luce da una finestrella in cima alla<br />
parete.<br />
Una sera, però, entrarono in stanza delle guardie armate,<br />
mi sollevarono con violenza dal letto e mi portarono in<br />
un’altra stanza blindata al piano di sotto. C’era solo una<br />
sedia di metallo al centro della stanza.<br />
Avevo immaginato un imminente spostamento, anche<br />
perché poco prima erano venute in stanza delle donne che<br />
mi avevano aiutato a indossare qualcosa di pulito.<br />
Stetti ad aspettare per ore in quel buco e dovetti sdraiarmi<br />
a terra per stare un po’ più comodo e non sentire troppo<br />
dolore.<br />
Non so dopo quanto tempo entrarono quattro uomini<br />
distinti insieme a due guardie armate, uno di loro fece<br />
359
segno a un soldato di mettermi a sedere sulla sedia e<br />
quando fui seduto un altro parlò ><br />
chiese minaccioso.<br />
> risposi.<br />
Fu decisamente una mossa infelice la mia, perché mi<br />
mollò un ceffone di una violenza inaudita.<br />
> gridò.<br />
Lentamente iniziai a capire cosa stesse succedendo.<br />
> continuò.<br />
> mormorai.<br />
><br />
Mi spiegò cosa fosse quel posto, mi spiegò qual’era il loro<br />
compito e mi fece chiaramente intendere che non sarei mai<br />
uscito vivo da lì.<br />
> disse<br />
> risposi in segno di sfida.<br />
><br />
Passai una notte atroce. Diedero disposizione alle guardie<br />
di farmi cambiare idea e questi mi pestarono a sangue. Mi<br />
avrebbero ucciso se non fosse intervenuto uno dei quattro<br />
a fermarli.<br />
Mi sbatterono in una cella del seminterrato, mi legarono la<br />
caviglia sinistra a una catena e mi lasciarono lì<br />
agonizzante per non ricordo quanti giorni.<br />
Ogni tanto veniva qualcuno a portarmi un bicchiere di latte<br />
o qualcosa da mangiare. Altre volte invece, veniva il<br />
dottore a controllare che non si infettassero le ferite.<br />
360
Non mi volevano morto, sapevo troppo e finché non mi<br />
fossi deciso a parlare avevo una minima speranza di<br />
sopravvivenza. Almeno finché non avessero catturato<br />
qualcuno che ne sapeva quanto me, o finché resistevo alle<br />
loro torture. Non sapevano chi sono veramente, ma<br />
sapevano che conoscevo le risposte alle loro domande e mi<br />
avrebbero tenuto in vita finché non avessi placato la loro<br />
sete di sapere.<br />
Mi fecero moltissimi test clinici, dalle analisi dei liquidi a<br />
quelle dei tessuti esterni e interni. Ero la loro cavia da<br />
laboratorio.<br />
Senza ombra di dubbio avranno riscontrato delle anomalie,<br />
ma non abbastanza da etichettarmi non umano.<br />
In effetti, noi Ancharos per i Comuni siamo solo una via di<br />
mezzo tra realtà e fantasia.<br />
Una sera, dopo la visita del medico, che puntualmente<br />
scendeva per controllare il mio generale stato di salute,<br />
entrarono i quattro nella cella.<br />
> disse uno ><br />
Sapevo che non potevo rispondere e non lo feci.<br />
> continuò.<br />
> mormorai esausto.<br />
terminò.<br />
> risposi.<br />
> esclamò un altro.<br />
> gridai ><br />
361
> esclamai collerico.<br />
><br />
Ero spaventato e loro, bastardi, sguazzavano nella mia<br />
paura.<br />
Mi lasciarono tranquillo per qualche giorno, poi, una<br />
mattina mi portarono in laboratorio, mi immobilizzarono<br />
su un tavolo operatorio e un medico, diverso dal solito, mi<br />
sottopose a una serie di esami. Non sentii dolore, perché<br />
mi addormentarono.<br />
Mi risvegliai con la mano destra fasciata. Dalle<br />
medicazioni capii che mi avevano esaminato il palmo per<br />
trovare delle anomalie fisiche che potessero spiegare il<br />
fenomeno dell’efflusso anche da un punto di vista<br />
scientifico.<br />
Il dolore che ho sentito nei primi giorni dell’intervento<br />
però, è indescrivibile, le lacrime mi colavano giù da sole,<br />
non riuscivo a parlare, a bere, a mangiare, riuscivo solo a<br />
piangere.<br />
Per non parlare dei giorni seguenti in cui si dilettarono nel<br />
distruggere anche quel po’ di dignità che mi era rimasta.<br />
Avevo giurato a me stesso che non sarebbe più successo,<br />
avevo giurato che non avrei più permesso a nessuno di<br />
farmi sentire così.<br />
Non era servito a niente.<br />
Ricordo bene quand’è stata l’ultima volta che avevo pianto<br />
fino a stare così male, avevo appena compiuto diciotto<br />
anni.<br />
Non ricordavo fosse così soffocante però.<br />
362
Devo aver pianto per ore, perché dopo mi sentii davvero<br />
esausto. Desideravo solo coricarmi a terra e dormire, ma<br />
non avevo il coraggio di prender sonno.<br />
Non dimenticherò mai quello che mi hanno fatto passare<br />
in quei giorni. Perfino l’essere più crudele della terra mi<br />
avrebbe dispensato da quelle umiliazioni.<br />
Stanchi anche di quel passatempo poi, decisero di<br />
psicanalizzarmi.<br />
Mandarono giù una donna che iniziò a farmi tutta una<br />
serie di domande e che per quasi tre settimane scese a<br />
farmi compagnia tre volte al giorno per più di un’ora.<br />
La vidi l’ultima volta la sera prima che mi trasferissero a<br />
Baltimora.<br />
Devo ammettere però, che da quando sono arrivato lì, a<br />
parte l’episodio criminale della seconda notte, non mi<br />
tormentarono più come prima. Ero diventato una specie di<br />
sorvegliato speciale, un prigioniero di guerra a cui non può<br />
essere fatto del male, anche se ormai, oltre a darmi la<br />
morte non avrebbero più potuto farmi altro.<br />
Il brutto è che perfino quello è un loro meschino tentativo<br />
di tortura, sapevano che a quel punto morire per me<br />
sarebbe stata la più lieve delle pene, se non una<br />
consolazione, e non mi concessero neanche questo.<br />
363
364<br />
34<br />
Il sole del mattino mi colpì il viso rilassato. La mano di<br />
Denise ancora stretta alla mia. Il suo respiro, pigro e<br />
profondo, sul collo. Mi spostai appena, sciogliendo il<br />
groviglio di dita che ci aveva tenuto insieme tutta la notte.<br />
Si mosse, ma senza svegliarsi. Era stata una nottata lunga.<br />
Avevo dormito sì e no tre ore, Tormentato dai dolori<br />
lancinanti che mi scuotevano il corpo tenendo sveglia<br />
anche lei.<br />
Sarei rimasto a letto a riposare ancora un po’, ma non<br />
volevo rischiare oltre, la buona sorte.<br />
Buona sorte! Come no!<br />
Mi alzai dopo aver recuperato il telo di spugna finito in<br />
fondo al letto. Mi stiracchiai alla meglio e mi diressi in<br />
bagno ancora assonnato.<br />
La doccia mi svegliò. Mancavano venti minuti alle otto.<br />
Massimo starà dando i numeri a quest’ora, se Nicola non<br />
ha pensato di avvertirlo.<br />
Presi in prestito un rasoio usa e getta di Denise per tagliar<br />
via quei quattro peli che mi spuntavano sul viso di tanto in<br />
tanto.<br />
Uscii dal bagno dopo circa un’ora, pulito e profumato,<br />
massaggiandomi sul volto una punta di crema idratante<br />
che avevo trovato nell’armadietto del lavandino.<br />
> esordì Denise, seduta al centro del letto<br />
col vassoio della colazione. ><br />
Sorrisi mettendomi a sedere nella mia porzione di letto<br />
ancora sfatto.<br />
Di mattina sono assai poco loquace.
Le diedi un bacio castissimo sulla guancia. Presi una fetta<br />
biscottata e una monoporzione di marmellata alla ciliegia,<br />
che vi spalmai. ><br />
Mi prese il mento con la punta di un dito e mi voltò il viso<br />
fino ad avere la tempia destra davanti ai suoi occhi > Aveva riindossato<br />
il medaglione mentre ero in bagno.<br />
Annuii, dando un morso alla fetta biscottata inzuppata nel<br />
latte.<br />
Sorrise ><br />
><br />
Si rabbuiò.<br />
E tu impara a farti gli affari tuoi. ><br />
Spizzicò un pezzetto di brioche e se lo postò alle labbra<br />
quasi con riluttanza.<br />
È così tanto disgustosa quella Brioche?<br />
> chiese dopo aver bevuto<br />
un sorso di te per mandare giù la brioche.<br />
><br />
><br />
><br />
completai la sua frase.<br />
><br />
><br />
><br />
365
> chiese un po’ dispiaciuta.<br />
><br />
Non potevo farlo. C’era troppo in ballo e lei, per quel che<br />
mi riguardava, finché fosse rimasta col branco, era ancora<br />
una mia nemica. Venire a conoscenza dell’identità della<br />
Setta dei Dodici Rinnegati non le avrebbe cambiato la vita,<br />
ma a me sì. Se il Clan fosse avesse scoperto il potere dei<br />
medaglioni, avrebbero avuto un pretesto in più per darci la<br />
caccia. Quando circa millecinquecento anni fa gli<br />
Ancharos si riunirono per eliminare la Setta, i Dodici<br />
forgiarono i dodici medaglioni. Tormalina Nera, quarzo di<br />
rocca e sangue d’innocente. Ogni medaglione è legato a<br />
una diversa maledizione, che li accomuna tutti a un unico<br />
potere: l’immortalità divina. I medaglioni li protessero dai<br />
nostri propositi di sterminio per almeno trecento anni. Un<br />
giorno però, uno dei Dodici, stanco di dover continuare a<br />
fuggire, a nascondersi, chiese clemenza al Gran consiglio<br />
in cambio della libertà. Consegnò il proprio medaglione e<br />
giurò di alleanza e sottomissione da allora in avanti. Come<br />
prova della sua fedeltà il consiglio pretese che rivelasse<br />
loro il nascondiglio degli altri undici. Il traditore obbedì<br />
senza esitare e il giorno dopo, un esercito di dodici<br />
cavalieri Comuni, assoldati dal Gran Consiglio, partirono<br />
per dodici diverse destinazioni alla ricerca dei Rinnegati.<br />
Ne tornarono indietro sette. I quattro Rinnegati<br />
sopravvissuti invece, da allora hanno continuato a<br />
nascondersi e ad agire in segreto.<br />
Sette medaglioni per sette membri del Gran Consiglio, più<br />
uno restituito al Rinnegato traditore per riconoscenza del<br />
servizio reso.<br />
366
Molto sangue è stato versato nei secoli per entrare in<br />
possesso dei sette talismani. E col tempo si è persa la<br />
traccia della maggior parte di essi. Fin ora, escluso il mio,<br />
ne sono stati ritrovati cinque, uno dei due mancanti siamo<br />
quasi sicuri che si trovi custodito fra i tesori del Monastero<br />
italiano per eccellenza. Sospettiamo che uno dei tre<br />
Rinnegati superstiti si trovi lì con lui, ritirato a vita<br />
claustrale per sfuggire alla cattura. Il secondo è stato<br />
avvistato una decina di anni fa in Tibet, ma all’arrivo dei<br />
nostri era già stato portato via chissà dove. Dei medaglioni<br />
recuperati, uno è in mio possesso, uno è nelle mani di<br />
Lorenzo, uno è sempre al collo di mio nonno, che lo ha<br />
acquistato a una cifra impensabile da un ricettatore<br />
egiziano, uno è custodito gelosamente da un illustre<br />
membro della casa reale Britannica, e gli altri due sono<br />
rispettivamente in Marocco e in Australia, e infine c’è il<br />
mio. Sei in tutto. Due dispersi e quattro nelle mani dei<br />
Rinnegati superstiti.<br />
A diciotto anni non avevo idea che l’iniziazione fosse<br />
tenuta proprio dal Gran Consiglio. Se l’avessi saputo non<br />
so se avrei avuto lo stesso coraggio e la stessa<br />
determinazione nell’eliminarli. Il bello è stato che, non<br />
immaginando l’identità dei membri dell’iniziazione, non<br />
subii neanche gli attacchi del medaglione del Rinnegato.<br />
Me ne accorsi solo quando una settimana dopo mi feci<br />
spazio fra le macerie e scesi nei sotterranei per accertarmi<br />
che fossero tutti morti. Da quanto ho potuto vedere quel<br />
giorno, dev’essere stata una morte lenta e dolorosa la loro.<br />
C’era stata una rissa furibonda per impossessarsi del<br />
medaglione del Rinnegato. I vincitori poi erano morti nel<br />
tentativo. Uno di loro doveva essersi avvicinato davvero<br />
troppo, perché l’ustione sul torace gli era stata letale. La<br />
scarica elettrica era stata tanto forte da sciogliergli la carne<br />
ed esporre gli organi carbonizzati. Gli altri non ebbero<br />
sorte migliore comunque.<br />
367
Solo il Rinnegato era ancora vivo quando scesi di sotto. Il<br />
medaglione lo teneva in vita. Io non sapevo ancora chi<br />
fosse, né capivo cosa fosse accaduto lì sotto in quella<br />
settimana.<br />
All’inizio pensai di lasciarlo in vita. Attribuii la sua<br />
sopravivenza a una clemenza divina. Mi aggirai per il<br />
salone osservando i cadaveri maleodoranti dei sette<br />
Membri del Gran Consiglio.<br />
Li contai più di una volta. Erano proprio sette.<br />
> chiesi al Rinnegato. Se ne stava<br />
accucciato in un angolo. Tremava. ><br />
Non mi guardava. Non rispondeva.<br />
> ringhiai ><br />
Avrà avuto all’incirca trent’anni. Era più grosso e<br />
muscoloso di me, eppure mi temeva. Ma forse era solo<br />
ancora terrorizzato dagli attacchi subito negli ultimi giorni.<br />
Il salone era troppo piccolo per contenere il raggio<br />
protettivo del medaglione, che si propagò investendomi in<br />
pieno. Mi sbalzò contro la parete in fondo, alle mie spalle.<br />
Non mi uccise perché i miei propositi nei suoi confronti<br />
non erano omicidi. La forza del Medaglione, infatti, è<br />
tanto più potente, quanto più ostili sono le intenzioni<br />
dell’aggressore.<br />
Avevo sentito parlare dei Rinnegati in collegio. C’era un<br />
libro dedicato all’intera storia, che dovetti studiare a<br />
fondo, perché era materia d’esame dell’ultimo anno.<br />
Però, trovarmene davanti uno in carne e ossa, fu come<br />
rendere reale quello che fino ad allora mi era sempre<br />
sembrato solo un mito.<br />
Mi accorsi solo in quel momento d’aver sterminato il Gran<br />
Consiglio.<br />
368
Presto se ne sarebbero accorti, forse stavano già arrivando<br />
per controllare, perché era lì che dovevano andare l’ultima<br />
volta che li avevano visti vivi. Se mi avessero trovato lì, se<br />
fossero riusciti a ricollegare a me quell’eccidio, avrei<br />
pagato l’affronto con la mia stessa vita. Improvvisamente<br />
mi accorsi di avere solo due opportunità per farla franca:<br />
fuggire e far perdere per sempre le mie tracce, passando il<br />
resto della mia vita a nascondermi dalla mia stessa gente,<br />
oppure uscire più velocemente possibile da lì e fare finta<br />
di niente, nella speranza di non aver lasciato troppo indizi<br />
compromettenti.<br />
La decisione che presi fu talmente fulminea, che l’azione<br />
quasi precedette la mente. Ero ancora seduto a terra dove<br />
mi aveva scagliato la forza del medaglione, riflettendo<br />
sulle conseguenze del mio gesto, quando raccolsi la pistola<br />
che mi era caduta accanto e sparai al Rinnegato senza<br />
neanche prendere la mira. Un colpo dritto al centro della<br />
fronte.<br />
Non ce l’avevo con lui. Non volevo ucciderlo, ma era un<br />
testimone troppo scomodo.<br />
Fuggii subito dopo, portando via con me il medaglione.<br />
Ero a New York quando si scoprì che ero stato io l’artefice<br />
di tutto. Galeotto fu il proiettile nel cranio del Rinnegato<br />
assassinato. Tuttavia, non ci furono conseguenze così<br />
disastrose come immaginavo. In molti desideravano far<br />
parte del Gran Consiglio, e la morte degli Anziani aveva<br />
aperto molte strade in un colpo solo. Mio nonno era uno di<br />
loro, e questo mi garantì la sopravvivenza, nonché il<br />
rispetto e l’obbedienza degli altri Ancharos minori.<br />
Sono rimasti in tre a custodire il segreto del rito di<br />
foggiatura dei medaglioni. Per quanto ne sappiamo, la<br />
Setta non è stata più ricostituita, ma nulla impedirebbe<br />
loro di rimpiazzare i membri mancanti e rinascere più forte<br />
e vendicativa di prima.<br />
369
Per questo motivo abbiamo sempre cercato di tenere il<br />
Clan all’oscuro di tutto. Potrebbero mettersi sulle loro<br />
tracce e usarne il sapere millenario contro di noi.<br />
Per questo dovevamo assolutamente trovarli prima di loro<br />
e portare a termine il lavoro iniziato più di mille anni fa.<br />
Per questo motivo non potevo assolutamente fidarmi di<br />
nessuno. Neanche di Denise.<br />
Sulla sedia della sua scrivania, c’erano degli abiti piegati.<br />
Un pantalone sportivo, di quelli militari con i tasconi sulle<br />
gambe, solo che era in tinta unita color nocciola. Una felpa<br />
beige con cappuccio della Puma e intimo in microfibra<br />
bianco. Le mie scarpe erano asciutte e pulite ai piedi della<br />
sedia.<br />
Si accorse che guardavo in quella direzione > disse ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> puntualizzai infilando anche i<br />
pantaloni.<br />
Scese da letto. ><br />
> mi stavo alterando, e il medaglione rispose<br />
con le prime piccole scosse.<br />
370
Gli lanciai un’occhiataccia minacciosa. La scossa mi<br />
allontanò da lei. Sbuffai irritato. ><br />
acconsentii rassegnato. ><br />
Le labbra si inarcarono in uno splendido sorriso > poi sparì chiudendosi la porta alle spalle.<br />
Io intanto continuai a vestirmi.<br />
371
372<br />
35<br />
Non capivo perché volessero tenermi lucido di mente.<br />
Io non rispondevo alle loro provocazioni, non mi lasciavo<br />
trascinare dall’ira del momento, mi ritenevo troppo<br />
intelligente per quei matti. Si vedeva lontano un miglio<br />
che le loro erano provocazioni che mi avrebbero solo<br />
provocato un pestaggio gratuito e soprattutto evitabile.<br />
Dopo settantacinque giorni però, cominciavo a non<br />
poterne più. Mi sentivo troppo sporco.<br />
Volevo fare un bel bagno caldo, anche una doccia andava<br />
bene, purché potessi sentire tutt’intorno profumo di pulito.<br />
Erano trascorsi oltre tre anni dall’ultima volta che ero<br />
rimasto così a lungo senza starmene almeno due minuti a<br />
mollo nell’acqua.<br />
Non mi sarei lamentato neanche se fosse stata acqua<br />
gelida, purché fossi riuscito a togliermi di dosso quel<br />
fetore.<br />
Non ne potevo più di essere trattato come una bestia!<br />
Fu dura accettare di nuovo la prigionia dopo aver<br />
assaporato la libertà.<br />
Non parliamo poi del dolore lancinante che sentivo a causa<br />
di una nuova ferita viva sull’addome, sentivo che sarei<br />
impazzito se non mi avessero dato qualcosa per alleviarlo.<br />
E pensare che un tempo ho detestato la vita lussuosa di<br />
casa mia. Dovevo essere proprio matto!<br />
Avevo bisogno di sentirmi ancora un essere umano, e<br />
l’unica cosa che avrebbe potuto darmi quella sensazione<br />
era un bel bagno. Avrei rinunciato su due piedi al mio<br />
intero patrimonio per un bagno.
Avevo fatto tanto per riprendere qualche chilo dopo<br />
l’iniziazione e in un attimo li avevo persi tutti di nuovo.<br />
Che strazio!<br />
Se solo quella sera fossi rimasto a casa come stabilito, non<br />
me ne sarei mai stato lì da solo a farmi divorare vivo dai<br />
ricordi.<br />
Eppure avrei dovuto immaginarlo! Chi altri, dopo tredici<br />
anni all’Ancharos, si sarebbe lasciato fregare come ho<br />
fatto io?<br />
Se ci penso mi viene ancora voglia di prendermi a testate<br />
contro il muro.<br />
Devo ammettere però, che la dura permanenza in collegio<br />
mi aveva preparato a tutto questo. Diversamente non avrei<br />
resistito così a lungo.<br />
Intanto le sere calavano indisturbate dalla finestra della<br />
mia cella ed io, guardando la luna sfuggire ai miei occhi,<br />
riuscivo solo a pensare a quello che avevo perso.<br />
Non so perché voglia aggrapparmi al ricordo di questa<br />
brutta esperienza, ma conservo ancora un foglio scritto di<br />
mio pungo in quel periodo.<br />
Come avevo previsto mi trasferivano in un’altra base. A<br />
Baltimora c’erano meno probabilità che i miei uomini<br />
riuscissero a trovarmi.<br />
Stamattina si viaggia!<br />
Sono chiuso in un minibus blindato del Clan stiamo<br />
andando a Baltimora, non so perché, forse mi<br />
trasferiscono in un’altra base.<br />
Il mezzo ha dei finestroni con vetri oscurati, quattro<br />
coppie di sedili.<br />
Io me ne sto tranquillamente seduto a scrivere, cercando<br />
di non pensare a quello che succederà una volta arrivati a<br />
destinazione.<br />
373
E' strano, è come se qualcosa dentro mi impedisse di<br />
pensare, è da qualche giorno che la sento, una voce,<br />
chiara, che pensa al posto mio, una presenza inquietante<br />
che non sentivo da tanto.<br />
E' come se qualcuno a me molto vicino volesse a tutti i<br />
costi parlarmi, comunicare con me, come faceva un tempo<br />
ormai lontano.<br />
Stamattina la sento proprio forte, è lei che mi ha convinto<br />
a scrivere, come se volesse farmi tirare fuori tutto quello<br />
che ha da dire.<br />
Non riesco a farla smettere, parla, parla, parla, mi fa<br />
pensare a cose che non avrei pensato mai, mi dice cose<br />
che conosco, ma che non ho mai avuto il coraggio di dire.<br />
E' come se mi stesse rimproverando, perché non le vado<br />
bene così come sono, mi vuole cambiare, e parla, parla,<br />
parla ancora.<br />
Il minibus col suo passo lento si appresta a raggiungere la<br />
sua meta. Io fisso il paesaggio correre dal finestrone e non<br />
posso fare a meno di domandarmi "qual è la mia meta?",<br />
delle volte la risposta mi appare così chiara, così ovvia da<br />
dare tutto per scontato, da farmi dare la mia intera vita<br />
per scontato. Altre volte invece, è tutto così cupo e<br />
misterioso da farmi dubitare di tutto, in quei momenti non<br />
so più niente, chi sono, che cosa faccio, perché lo faccio...<br />
E' una sensazione orribile.<br />
Tutto a causa di quella voce, è lei che mi fa dubitare, è lei<br />
che col suo logorroico parlare mi mette in testa problemi<br />
che non ho.<br />
E' strano come tutto ciò che c’è intorno sia relativo, come<br />
lo scorrere inesorabile del tempo sia solo un interminabile<br />
attimo di vita.<br />
E' strano come la vita sia solo un brevissimo istante di<br />
quell'attimo di tempo.<br />
374
La vita di una goccia di pioggia si esaurisce in una<br />
frenetica caduta, eppure il suo tempo continua a scorrere<br />
veloce, fino all'evaporazione, fino al nulla.<br />
Le vedo cadere una dopo l'altra, pesanti e forti, che si<br />
abbattono violente sulla vita altrui, vanno a intaccare il<br />
tempo di qualcun altro.<br />
Si scagliano frammentarie sui finestroni del bus, il vetro<br />
ha fermato la loro corsa, il vetro ha impedito loro di<br />
raggiungere la meta, ha accelerato il loro tempo ed ora,<br />
se le porta via lontano.<br />
Ha smesso di piovere, tutto sembra più calmo, a<br />
Philadelphia si affaccia un timido sole, le gocce di pioggia<br />
sul finestrone ora non ci sono più, il loro tempo è finito,<br />
per loro tutto è finito.<br />
Le loro piccole compagne adagiate a terra hanno deciso<br />
di collaborare, se resteranno unite il sole non se le porterà<br />
via tanto presto, ma dopotutto, loro hanno già raggiunto<br />
la meta.<br />
Il bus da qualche minuto si è fermato, un intoppo ha<br />
rallentato il suo tempo ma nulla potrà impedirgli di<br />
raggiungere la sua meta, il tempo potrà rallentare, ma<br />
prima o poi sarà costretto a ripartire, è inevitabile.<br />
E' dunque questo la vita? Un implacabile rincorrere il<br />
tempo per varcare la soglia del nostro ambito traguardo?<br />
Cosa c'è oltre quella soglia? Il nulla? L'oblio? O<br />
solamente un'altra soglia da varcare?<br />
E soprattutto, quale sarà mai il mio traguardo? Per<br />
quanto ancora scorrerà questo mio tempo?<br />
È indefinibile il terrore che ho provato stanotte!<br />
Il panico protrattosi per ore, l’incapacità di mantenere i<br />
nervi saldi… il sangue freddo, per evitare di cadere<br />
nell’angoscia più totale.<br />
375
Non sono mai stato così male in vita mia.<br />
La consapevolezza di non poter scappare, di non avere<br />
scampo.<br />
L’attesa infinita di qualcuno che mi aiutasse.<br />
La paura che potesse accadere l’irreparabile.<br />
La consapevolezza di aver del tutto perso il controllo e di<br />
non riuscire a recuperarlo.<br />
L’incapacità di reagire concretamente a quello che<br />
accadeva.<br />
L’involontaria rassegnazione.<br />
L’idea fissa che quell’incubo non sarebbe finito mai, mi<br />
ha fatto per la prima volta desiderare sinceramente di<br />
morire.<br />
Non so cos’è, va tutto storto, è come se fossi sul margine<br />
di un profondo precipizio, come se stessi per cadere.<br />
I giorni passano velocissimi ed io non riesco a stargli<br />
dietro, corrono, corrono…<br />
Va ogni giorno peggio. Non riesco a fermare tutto questo<br />
correre del tempo, non sono pronto ad affrontare questo<br />
strano domani, vorrei che fosse sempre ieri.<br />
Non riesco a togliermi questo grosso peso di dosso, mi<br />
schiaccia, mi soffoca.<br />
È una sensazione orrenda, devo trovare il modo di<br />
buttarla via, ma non so come.<br />
Ho paura!<br />
Ho tanta paura!<br />
A nessuno importa di me, nessuno mi ascolta.<br />
Come vorrei che finisse tutto!<br />
Come vorrei avere il coraggio di prendere quell’assurda<br />
decisione.<br />
Come vorrei avere il coraggio di seguire quella strada.<br />
376
Fossi stato solo lo avrei fatto già da tempo, ma troppe<br />
persone dipendono da me e non posso fregarmene di tutti.<br />
Pensare, che mi sono intrappolato da solo, ho fatto tutto<br />
io, come al solito.<br />
È terrificante pensare di andare avanti così.<br />
Sarà lo stress di questi ultimi giorni? Di sicuro è lo stress!<br />
Vorrei tanto andare sulla cima altissima di una montagna<br />
e mettermi a gridare e invece posso solo urlare dentro di<br />
me.<br />
A volte vorrei che qualcuno riuscisse a sentirmi, che<br />
riuscisse a capire quello che provo, quello che voglio.<br />
Vorrei fuggire via, lontano da tutti, da solo.<br />
Vorrei non sentirmi più così! Fa troppo male.<br />
Devo trovare il modo di tirarmi un po’ su, ma come? Non<br />
ho più forze.<br />
Perché il tempo non si ferma un po’? Giusto un momento<br />
per farmi riprendere fiato.<br />
Voglio tornare a casa! Voglio andare via da qui.<br />
Liberatemi da questa angoscia!<br />
Liberatemi da questo senso di puro panico.<br />
Portatemi via!<br />
Una mattina tornò Carrie a trovarmi. Non era una grande<br />
psicologa, ma in fin dei conti il suo compito principale era<br />
solo farmi parlare.<br />
Quella volta non rimase fuori dalle sbarre, aveva avuto il<br />
permesso di entrare nella cella. Si sedette sul ciglio della<br />
branda su cui ero disteso e rimase quasi tutta la mattina a<br />
farmi compagnia.<br />
Era una delle pochissime persone che ho conosciuto in<br />
quel posto a non aver affatto paura di me.<br />
377
Mi guardava come se mi conoscesse da sempre, come se<br />
tutte le menzogne che avevano ricamato sul nostro conto<br />
non la sfiorassero affatto.<br />
> mi chiese subito.<br />
><br />
><br />
> la frenai.<br />
><br />
><br />
Parlammo per lo più di banalità. Mi mise nella condizione<br />
di sentirmi libero di raccontarle qualunque cosa, ma non<br />
servì a farmi cantare.<br />
Tornò anche il giorno dopo, ma quella volta in incognito.<br />
Non so come abbia fatto a raggiungere il seminterrato<br />
senza farsi notare, ma lo fece.<br />
Mi gettò un pugnale dalle sbarre e fuggì.<br />
Non mi sembrava vero.<br />
Lo afferrai velocemente per nasconderlo, ma aspettai<br />
qualche ora prima di usarlo, non ero così stupido da non<br />
pensare che avrebbe potuto essere una trappola.<br />
Nell’arco della giornata c’erano quattro giri di<br />
perlustrazione e almeno ogni ora scendeva qualcuno a<br />
controllare.<br />
Avevo calcolato per bene i momenti di assoluta solitudine.<br />
Dovevo solo aspettare il momento opportuno per fare la<br />
mia mossa: Liberarmi dalla corda che mi imprigionava le<br />
mani dietro la schiena e, alla prima occasione, usare i miei<br />
poteri per atterrare la guardia con le chiavi della cella.<br />
Dovevo stare attento perché avevo a disposizione un solo<br />
errore.<br />
Avevo aspettato tanto, avrei saputo aspettare ancora.<br />
378
Dal tramonto all’alba passavano due sole ronde, una alle<br />
22:00 e l’altra alle 3:00.<br />
Avevo un buco di cinque ore, in cui scendevano a<br />
intervalli altre quattro guardie e una donna per uno<br />
spuntino intono alla mezzanotte.<br />
Il controllo durava all’incirca dieci minuti, il che mi<br />
lasciava solo cinquanta minuti prima del successivo.<br />
L’unica occasione che avevo per uscire da lì era a<br />
mezzanotte, quando scendeva la signora Trudy col<br />
bicchiere di latte e i biscotti. Era l’unica, infatti, che apriva<br />
la cella, disarmata.<br />
Dovevo stare attento a immobilizzarla senza farla urlare,<br />
altrimenti si sarebbe scatenato l’inferno. Non volevo farle<br />
del male, ma non mi sarei fatto scrupoli se fosse stato<br />
necessario.<br />
Dovevo solo pensare a come uscire una volta fuori dalla<br />
cella.<br />
Non sapevo, infatti, quante guardie ci fossero oltre il<br />
corridoio.<br />
Individuai il mio momento nell’ottantatreesima notte di<br />
prigionia.<br />
Ero pronto a far vedere a quei bastardi cosa volesse dire<br />
mettersi contro un Ancharos.<br />
Il piano che avevo ideato non era dei più brillanti anche<br />
perché quella notte, per ragioni a me ancora sconosciute,<br />
non scese Trudy, ma un soldato, per il solito controllo.<br />
Ero stanco di aspettare, avevo già progettato tutto e per<br />
nulla al mondo avrei passato lì dentro un altro giorno.<br />
Così passai al piano B, che non avevo.<br />
379
Attirai l’attenzione della guardia, con aria sofferente,<br />
pregandolo di portarmi un bicchiere d’acqua.<br />
In principio non volle farlo, poi, non capii cosa gli fosse<br />
preso, si allontanò un momento e tornò con il bicchiere<br />
d’acqua.<br />
Sembrava troppo bella quella bontà per essere vera!<br />
Entrò nella cella, si avvicinò al letto e con una risatina<br />
ironica versò a terra tutto il contenuto del bicchiere.<br />
> sghignazzò.<br />
Un po’ mi è dispiaciuto ucciderlo!<br />
Naaa, non è vero!<br />
Era già passata mezz’ora e non mi rimaneva molto tempo,<br />
così gli tolsi l’uniforme per indossarla e cercare di passare<br />
inosservato.<br />
Caricai il fucile e uscii da lì il più velocemente possibile.<br />
Mi guardai un po’ intorno per capire dove andare e notai<br />
altre celle tutt’intorno.<br />
Molte erano vuote ma tre ospitavano dei Comuni.<br />
Avevo le chiavi per farli uscire, ma appena mi avvicinai a<br />
una di quelle celle mi si scagliarono contro come bestie<br />
inferocite.<br />
Non persi tempo con quella gente - A parer mio stavano<br />
meglio rinchiusi lì che fuori a creare scompiglio -.<br />
Quando uscii dal seminterrato vidi che il piazzale<br />
brulicava di soldati armati.<br />
Mi nascosi, avevo al massimo altri dieci minuti prima che<br />
si accorgessero che ero fuggito e da allora avrei avuto<br />
meno di un istante per trovarmi il più lontano possibile da<br />
lì.<br />
Avevo due strade: o lasciavo fare al caso o passavo<br />
all’attacco e uscivo finalmente da quel lerciume.<br />
380
Date le mie precedenti controversie col destino, scelsi di<br />
gran lunga la seconda alternativa.<br />
Mi separava dalla libertà una recinzione di oltre quattro<br />
metri a qualche centinaio di metri di distanza da me.<br />
Tutt’intorno? Morte.<br />
Avevo il caricatore fucile pieno e, in più, una<br />
semiautomatica con sei proiettili in canna. In tutto? Una<br />
manciata di morte.<br />
A mio favore c’era solo la notte. Io vedevo perfettamente<br />
al buio mentre loro avevano molta difficoltà a farlo,<br />
nonostante le visiere a infrarossi. Inoltre potevo udire cosa<br />
si dicevano e anche questo mi aiutava a schivare le loro<br />
mosse.<br />
Attesi un ultimo istante, presi un bidone che avevo lì<br />
vicino e lo lanciai a qualche metro sulla mia destra.<br />
Istintivamente tutti i soldati si voltarono impugnando le<br />
armi ed io ne approfittai per dare una prima scaricata per<br />
aprirmi un varco verso la libertà.<br />
Caddero almeno dieci soldati, non credo fossero morti,<br />
anche perché non mi potevo permettere di sprecare<br />
proiettili inutilmente.<br />
Mentre gli altri iniziavano a capire cosa stesse succedendo<br />
io ero già a metà strada verso la recinzione. Nella corsa<br />
poi, afferrai il mitra di un caduto, e feci bene, perché<br />
iniziarono a volarmi contro centinaia di proiettili tutti<br />
insieme.<br />
Potei solo rispondere al fuoco e cercare disperatamente di<br />
evitare il loro.<br />
Credo d’essere stato spudoratamente fortunato, perché<br />
sono uscito quasi illeso da uno scontro totalmente a mio<br />
sfavore.<br />
Me la cavai con un paio di ferite di striscio sulla coscia<br />
sinistra.<br />
381
Mi inseguirono per quasi un’ora, ma è difficile scovare<br />
qualcuno nella notte se quel qualcuno al buio si muove<br />
come se fosse pieno giorno.<br />
Vederli rinunciare fu stata la soddisfazione più eccitante<br />
che avessi mai provato.<br />
Ero libero!<br />
L’incubo è finito! Non vedevo l’ora di tornare a casa<br />
riabbracciare la mia famiglia.<br />
Impiegai una settimana per tornare all’appartamento di<br />
New York. Fui fortunato perché sulla strada incontrai un<br />
camionista che mi diede gentilmente un passaggio fino a<br />
New York senza fare troppe domande.<br />
Volevo fare una sorpresa alla mia Celine, erano più di due<br />
mesi che non avevo più avuto il piacere di stringerla forte<br />
a me come un tempo e soprattutto, erano mesi che non<br />
vedevo il mio piccolo Thomas, anche se sapevo che<br />
sarebbe passato ancora qualche giorno prima di poter<br />
tornare in Italia e riabbracciarli.<br />
Non chiudevo occhi da giorni tant’era l’entusiasmo di<br />
riaverla fra le mie braccia.<br />
Un terribile incubo era finito, avremmo potuto finalmente<br />
ricominciare una vita il più possibile normale, tutti e tre<br />
insieme, in Italia, al sicuro.<br />
Avrei finalmente vissuto la vita che per ventun’anni mi era<br />
stata negata.<br />
Avrei potuto tutto questo se solo, tornato a casa, non fossi<br />
stato catapultato in un incubo ancora più feroce.<br />
Se solo non avessi mai varcato quella soglia… avrei<br />
evitato ai miei occhi di assistere a un simile strazio.<br />
Linda era accovacciata a terra, terrorizzata, in un oceano di<br />
sangue, e Celine e la piccola Molly riverse sul pavimento,<br />
senza vita.<br />
382
Linda stringeva forte i corpi esanimi delle sue figlie, come<br />
per intrappolare le loro piccole anime e impedirle di volare<br />
lontano da lei.<br />
Ma com’è possibile? Che ci fai ancora qui?<br />
Era successo di nuovo!<br />
Il Clan aveva vinto ancora!<br />
Fu così che le trovai una volta tornato a casa: Linda in<br />
avanzato stato confusionale e la mia Celine e Molly tra le<br />
sue braccia, senza vita da quasi un’ora ormai.<br />
Ero arrivato tardi!<br />
Se solo non avessimo trovato traffico per strada ora<br />
sarebbero ancora vive.<br />
Se solo non fossi uscito da casa quella notte, quando<br />
Celine mi implorò di restare a casa con lei, adesso potrei<br />
ancora godere dell’affetto della mia famiglia.<br />
Ma perché era ancora a New York invece di stare al sicuro<br />
in Italia insieme al bambino?<br />
Erano riusciti a colpirmi al cuore ancora una volta.<br />
Per quanto ancora sarei riuscito a sopravvivere a quegli<br />
scempi?<br />
Mi risuonano ancora vive le grida disperate di Linda<br />
quando mi vide ><br />
La guardavo stordito. Come potevo dirle che non avrei<br />
potuto salvarle? Con che coraggio avrei potuto pretendere<br />
che capisse.<br />
> sussurrai.<br />
> tremò.<br />
> risposi tutto d’un fiato.<br />
383
E mi si spezzò il cuore quando continuò a supplicarmi > non riusciva a smettere, mi guardava<br />
distrutta, come se fossi la sua unica speranza. Non poteva<br />
sapere, non conosceva il dolore dell’impotenza, mentre io<br />
non ero nuovo a quella disperazione. Io conoscevo bene<br />
quel vuoto che provava nel cuore, quel fuoco che le<br />
incendiava l’anima, io lo conoscevo, era il mio mondo e<br />
non avevo il coraggio di mostrarglielo, per nessuna<br />
ragione avrei mai voluto essere io a farglielo vedere.<br />
Non riuscivo a muovere un muscolo, ero rimasto lì,<br />
impietrito sulla soglia del portone, paralizzato<br />
dall’ennesimo eccidio.<br />
Linda non smetteva di piangere, mentre i suoi lamenti mi<br />
penetravano dentro e scorrevano liberi nelle vene come un<br />
tormento.<br />
Vorrei riuscire a intrappolare tra queste righe tutto quello<br />
che in questi momenti sento, o meglio, tutto quello che da<br />
troppo tempo ormai non riesco più a sentire.<br />
È come se qualcosa in me si fosse spento.<br />
Come se quell’alito di vita che riempiva le mie giornate<br />
fosse morto per sempre.<br />
Sono svanite le mattine in cui non riuscivo a dormire.<br />
Sono svanite le palpitazioni frenetiche senza motivo.<br />
È finito tutto!<br />
Non lo sento più!<br />
Tutto l’entusiasmo, tutta la voglia di vivere per un solo<br />
sguardo.<br />
Tutto finito!<br />
Non sento più quella voce che mi invoglia ad alzarmi al<br />
mattino.<br />
384
Non sento più quel richiamo dolce dell’amore.<br />
Sento solo un grosso vuoto che invade il mio spirito, un<br />
vuoto che sta divorando tutto il mio essere.<br />
Mi manca la forza di reagire.<br />
Mi manca la voglia di guardare avanti.<br />
Mi manca quell’angelo che per quasi due anni quella<br />
forza me l’ha donata.<br />
Sì …, un angelo! Si era insidiato nel mio cuore, aveva<br />
preso alloggio nella mia mente, aveva seviziato la mia<br />
anima e l’aveva fatta sua.<br />
Ora che quell’angelo me l’hanno portato via, sono<br />
rimasto solo, con la mia anima morente, a fare i conti con<br />
il mio oscuro passato.<br />
Rimasi per ore seduto sul davanzale di una delle finestre<br />
del salone, deciso più che mai a gettarmi di sotto e farla<br />
finita per sempre con questa vita di lacrime.<br />
Ripensai a tutto quello che avevo passato in quegli anni, a<br />
tutto il male che avevo subito.<br />
Mi accorsi che prese insieme quelle sventure, non si<br />
sarebbero mai neanche avvicinate al dolore lancinante che<br />
provavo in quel momento.<br />
Sarebbe bastato solo un piccolo gesto e tutto sarebbe finito<br />
per sempre, non avrei più pianto o sofferto, non avrei più<br />
assistito a quelle scene.<br />
Cos’altro avevo da perdere? Avevo già perso su tutti i<br />
fronti, non trovavo più nulla per cui valesse davvero la<br />
pena lottare.<br />
Celine non c’era più e Linda mi odiava, mi reputava la<br />
causa di tutte le sue sciagure. Come avrei potuto<br />
biasimarla? Ero stato io a dare inizio a tutto.<br />
385
Non mi permise neanche di avvicinarmi a Celine per<br />
quanto era sconvolta.<br />
> strillava > gridava inconsolabile ><br />
“ Tu le hai uccise!” questa frase tormenta tuttora le mie<br />
giornate.<br />
Un gesto, un misero salto e non avrei più udito quelle<br />
parole.<br />
Un salto… solo un salto.<br />
E mio figlio? Che ne sarebbe stato del nostro bambino?<br />
Sarebbe stato una delle prossime vittime di quei macellai.<br />
No, Alex! Non puoi permetterlo.<br />
No! Certo che no. Non l’avrei permesso. Non avrei<br />
concesso a quei bastardi di continuare la loro opera di<br />
sterminio. Non avrei tollerato che un’altra sola creatura<br />
morisse a causa loro.<br />
Dopotutto, avevo ancora qualcosa per cui lottare, dovevo<br />
proteggere mio figlio, dovevo vendicare la morte dei miei<br />
cari.<br />
Il giorno dopo parlai con Linda, le spiegai tutto quello che<br />
era successo. Stava troppo male per capire le mie ragioni,<br />
ma almeno la convinsi a lasciare che mi occupassi dei<br />
funerali.<br />
Diedi disposizioni affinché le spoglie del mio amore<br />
fossero traslate nella cappella di famiglia, in Italia. Non<br />
avrebbe avuto senso, per me, lasciarla da sola a New York.<br />
> chiesi a Linda in un momento di stasi,<br />
qualche giorno dopo il mio ritorno all’Inferno.<br />
386
mi rispose riprendendo a piangere. > disse disperata.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> dissi adirato. ><br />
><br />
> le chiesi di nuovo afferrandola<br />
per le spalle.<br />
> ripeté in lacrime.<br />
> gridai.<br />
> esclamò poi, dopo un attimo di esitazione,<br />
lasciandosi cadere sul pavimento.<br />
> chiesi preoccupato. > sbraitai.<br />
><br />
balbettò incredula e shockata.<br />
><br />
Non le diedi il tempo di rispondere, perché mi precipitai,<br />
furibondo, per le scale in cerca di quel traditore.<br />
Impiegai meno di un istante per arrivare in chiesa.<br />
> ringhiai. Quel bastardo stava celebrando<br />
una funzione e la chiesa era gremita di fedeli.<br />
387
Appena mi vide, Collins mi fissò e fece qualche passo<br />
indietro.<br />
Tutti i presenti invece si voltarono a guardarmi per la<br />
violenta irruzione, ma non si mossero dai loro posti.<br />
><br />
disse cercando di mantenere la calma. Quella sua<br />
espressione innocente mi fece ribollire il sangue e in pochi<br />
secondi lo raggiunsi come una furia sull’altare.<br />
><br />
> si difese.<br />
><br />
><br />
> gridai ><br />
> esclamò terrorizzato.<br />
> strillai.<br />
> chiese<br />
tremante.<br />
> urlai.<br />
><br />
><br />
><br />
> ripetei imbestialito.<br />
> sbottò sotto gli occhi inorriditi e confusi degli<br />
spettatori.<br />
><br />
sbraitai scagliandolo contro una parete e tenendolo fermo<br />
con una mano per la gola
insegna il tuo Dio? Rispondi quando ti parlo!>> strillai<br />
rabbioso.<br />
> tremò.<br />
> ringhiai ><br />
><br />
> sentivo<br />
il fuoco della mia mano incendiargli la gola.<br />
> non lo feci finire,<br />
perché accecato dall’odio, gli ruppi il collo con un colpo<br />
solo.<br />
> mormorai soddisfatto.<br />
Subito in chiesa si scatenò il putiferio. I fedeli si<br />
riversarono tutti di corsa verso l’uscita, calpestandosi l’un<br />
l’altro terrorizzati.<br />
Lo spettacolo era finito!<br />
389
390<br />
36<br />
Aspettammo che uscisse sua madre prima di prendere<br />
l’utilitaria in garage e lasciare il quartiere. Recuperata la<br />
Mercedes poi, lasciai che riportasse l’auto a casa e venisse<br />
al confine dove mi ero fermato ad aspettarla.<br />
Marco le aveva telefonato mentre si stava cambiando.<br />
Avevo risposto io e non mi era sembrato affatto contento<br />
di sentirmi. Questo mi mise di buon umore, dopotutto.<br />
Voleva che la accompagnassi da loro all’università.<br />
L’emergenza a Trastevere era passata e ora tornava a<br />
rivendicare la sua supremazia su Denise.<br />
> risposi ><br />
Mugugnò qualcosa, poi mi riattaccò il telefono in faccia.<br />
Gli Agenti appostati al confine ci seguirono fino<br />
all’imbocco della superstrada.<br />
> dissi con fare scherzoso.<br />
Lei non se ne era accorta.<br />
><br />
><br />
Mio nonno fa affari con quel Bastardo?<br />
><br />
><br />
Bugiarda!
Sorrise ><br />
><br />
Si appoggiò allo schienale del sedile cercando una<br />
posizione più comoda. Il fondotinta nascondeva le<br />
occhiaie livide della notte insonne che le avevo regalato<br />
per ringraziarla dell’ospitalità.<br />
> dissi ><br />
> rispose interrompendosi per uno sbadiglio.<br />
><br />
><br />
><br />
> precisai ><br />
><br />
La interruppi di nuovo ><br />
> osservò.<br />
><br />
><br />
Mi voltai un momento a cercare il suo viso. Sorrisi. ><br />
Si irrigidì, arrossendo.<br />
><br />
><br />
391
><br />
Annuii ><br />
><br />
><br />
Dopo Celine, Denise era la prima ragazza che portavo con<br />
me in Villa.<br />
Questo mi metteva un po’ a disagio, perché non volevo<br />
che la sua presenza lì con me potesse dare adito a<br />
qualcuno di pensare che ci fosse qualcosa fra noi.<br />
Prima di invitarla a entrare, recuperai in un cassettino<br />
abbandonato della mente le buone maniere dimenticate da<br />
tempo.<br />
Cercai di sembrare cortese e disinvolto, ma<br />
dall’espressione divertita del suo viso fui costretto a<br />
dedurre di non esserci riuscito affatto.<br />
Era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo<br />
dovuto prendermi cura di qualcuno. Con Celine mi è<br />
sempre risultato tutto molto semplice. Ero naturalmente<br />
apprensivo, gentile e premuroso con lei. Ma io amo<br />
Celine. Vivo solo per farla felice, dopotutto.<br />
Stefano era in casa. Se ne stava spaparanzato in pigiama a<br />
guardare la Tv in salotto, con una gamba comodamente<br />
sospesa allo schienale del divano.<br />
> annunciai.<br />
Si ricompose all’istante prima di vedere che si trattava<br />
solo di Denise.<br />
Il movimento improvviso lo scosse, risvegliando la tosse<br />
violenta che lo tormentava da un paio di giorni.<br />
392
dissi sfilando il giubbotto ><br />
Tossì di nuovo. La voce rauca dallo sforzo ><br />
Gli hai attaccato la bronchite?<br />
> disse in risposta al mio<br />
sguardo allarmato ><br />
Denise se ne stava immobile davanti alla porta. Non so se<br />
fosse per imbarazzo o per timore di beccarsi qualcosa.<br />
> la salutò Stefano > altri colpi di tosse.<br />
> si bloccò di colpo e spostò lo sguardo<br />
su di me.<br />
Aveva intuito che non gradivo sentir nominare suo padre e<br />
tantomeno parlare dell’accaduto ma Stefano non si era mai<br />
lasciato spaventare dai miei repentini cambi d’umore e<br />
riprese il discorso.<br />
><br />
Lo fulminai con un’occhiataccia, ma non mi prestò la<br />
minima attenzione.<br />
> rispose lei, intimidita.<br />
> riprese a tossire.<br />
Ben ti sta!<br />
Lasciai cadere il giubbotto sulla poltrona ><br />
393
Un timido sole illuminava la mia stanza. Sarebbe piovuto<br />
ancora quel giorno, ma non era importante.<br />
Celine era in piedi davanti alla finestra. Le spalle rigide, la<br />
testa alta.<br />
Sapevo che non era contenta di vedermi con Denise. Era<br />
gelosa. Diceva di no, ma a volte dimenticava di non<br />
potermi mentire senza che me ne accorgessi.<br />
> dissi piano, avvicinandomi a lei per<br />
stringerle le braccia attorno alla vita.<br />
><br />
Posai il mento sulla sua spalla > poi la voltai<br />
verso di me per guardarla in viso ><br />
> sussurrò con le lacrime<br />
agli occhi ><br />
> la baciai ><br />
La sua presenza lì era una conseguenza del patto che<br />
stringemmo dopo l’incidente. Un patto che né l’uno né<br />
l’altra era ancora riuscito a rispettare, ma a me andava<br />
benissimo così. Non potevo chiedere di più. Avevo<br />
accettato le sue condizioni solo per convincerla a restare.<br />
> bisbigliai al suo orecchio.<br />
La sentii abbandonarsi fra le mie braccia > confessò con un filo di voce.<br />
No, Celine… non farlo un’altra volta.<br />
Mi guardò col viso bagnato di lacrime ><br />
La strinsi forte a me.<br />
Avrei voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, ma avevo<br />
promesso di non mentirle più. Così mi limitai ad<br />
abbracciarla senza dire una parola.<br />
394
Non poter interagire con Thomas per lei era davvero uno<br />
strazio. Doversene stare impassibile a guardare mentre<br />
cresceva senza di lei, mentre imparava a fare a meno di lei,<br />
era una sofferenza che andava ben oltre la percezione<br />
fisica del dolore.<br />
><br />
> singhiozzò, immergendo i suoi<br />
incantevoli occhi nei miei ><br />
No, che non l’hai fatto tesoro. È stata solo colpa mia.<br />
> continuò ><br />
Mi mandava in bestia sentirla parlare così > sbottai, prendendo le distanze da lei.<br />
><br />
> strillai ><br />
> sbraitò.<br />
><br />
><br />
><br />
Scosse la testa, decisa.<br />
><br />
><br />
><br />
gridai ><br />
><br />
Scuotevo la testa senza accorgermene. Celine me la<br />
immobilizzò fra le mani.<br />
395
sussurrai ><br />
><br />
> mi portai le mani alle orecchie. Non avrei<br />
ascoltato una parola di più.<br />
Basta!<br />
La porta del mio appartamento era rimasta aperta<br />
dall’ultima intrusione. Dopo la discussione con Celine<br />
avevo bruscamente interrotto la mia permanenza in Villa.<br />
Stefano aveva intuito qualcosa dalla mia espressione,<br />
quando tornai in salotto per recuperare Denise, ma non si<br />
pronunciò.<br />
><br />
chiese mentre passavo il cappotto a Denise.<br />
><br />
> aggiunse con<br />
noncuranza.<br />
Mi allarmai ><br />
><br />
><br />
><br />
396
Denise mi posò una mano sulla spalla ><br />
><br />
><br />
La zittii con un’occhiataccia.<br />
><br />
><br />
Sorrise.<br />
Gli arruffai i capelli già in disordine ><br />
Come dicevo…, trovai la porta del mio appartamento,<br />
socchiusa. Feci rimanere Denise in disparte mentre mi<br />
avvicinavo, per controllare che Lorenzo non avesse<br />
lasciato qualche scagnozzo ad aspettare il mio ritorno.<br />
Impugnai entrambe le pistole che mi ero portato dietro e<br />
mi aprii cauto la porta.<br />
Denise si innervosì di fronte alla vista delle armi ><br />
Ero tornato a casa apposta. Mi erano rimasti solo tre colpi<br />
in quella che porto sempre con me in macchina e l’altra<br />
semiautomatica l’avevo in camera mia insieme al resto<br />
delle munizioni e un paio di caricatori di riserva.<br />
><br />
><br />
Spalancai la porta con un piede, puntando le armi a braccia<br />
tese in avanti ><br />
Un rumore improvviso alla mia destra mi fece scattare e<br />
puntare subito le armi in quella direzione.<br />
397
L’urlo della signora Simonelli mi si conficcò nelle tempie<br />
come una spina fastidiosa. ><br />
Addio effetto sorpresa!<br />
Ma che ti strilli?<br />
><br />
Che p…mmmmmmmmm.<br />
><br />
><br />
Esagerata! Tuo marito e tuo figlio se ne vanno in giro ad<br />
ammazzare gente e noi siamo i teppisti?<br />
><br />
Mi strinsi nelle spalle, incurante delle sue minacce ><br />
Oh oh! Guarda che faccia? A quanto pare l’abbiamo<br />
punta sul vivo.<br />
><br />
><br />
Alex? Ti sembra questo il momento di metterti a discutere<br />
di questioni di condominio?<br />
Scrollai il capo per scacciare via il nervoso ><br />
> infierì.<br />
Le risposi con uno sguardo che la fece indietreggiare di<br />
qualche passo, prima di voltarsi, indispettita, per<br />
398
tornarsene in casa. Avevo esaurito la mia scorta di<br />
pazienza.<br />
Appena fu fuori dal mio campo visivo sentii riaffiorare il<br />
buon umore. Denise era ancora alle mie spalle e non aveva<br />
mosso un muscolo da allora. Le sorrisi divertito e<br />
compiaciuto dalla mia piccola vittoria > e le feci<br />
largo con garbo per permetterle di entrare.<br />
Inutile dire che il mio sofisticato rifugio si era trasformato<br />
in un tugurio. Era ancora tutto sottosopra.<br />
Per fortuna i silenziatori delle armi non avevano suscitato<br />
la curiosità di nessuno nel palazzo. Non sopporto i<br />
ficcanaso. E soprattutto non gradisco intrusi in casa mia.<br />
Sono possessivo e geloso delle mie cose.<br />
Passai il resto della mattina a tentare di rimettere in ordine<br />
quel caos, ma alcuni pezzi del mobilio erano stati fatti a<br />
pezzi deliberatamente, per dispetto. Denise mi aiutò come<br />
poté, occupandosi della camera da letto, mentre io,<br />
furente, raccoglievo da terra i cocci che restavano<br />
dell’arredo della mia cucina nuova.<br />
399
400<br />
37<br />
Il davanzale al ventiduesimo piano del mio appartamento<br />
aveva assunto un aspetto davvero invitante. Cercavo di<br />
tenere la mente occupata per non pensare. Mi costringevo<br />
a stare in casa il meno possibile per non cedere alla<br />
tentazione diabolica di lasciarmi cadere di sotto. Era<br />
diventata quasi un’abitudine passare il tempo seduto in<br />
bilico sul marmo freddo di quella finestra. La stessa<br />
tentazione di chi soffre di vertigini e invece di<br />
indietreggiare si sente spinto verso il vuoto. Dentro di me<br />
speravo che un giorno o l’altro un rumore improvviso, una<br />
folata di vento, una distrazione qualunque, mi facesse<br />
perdere accidentalmente l’equilibrio. Non avvertivo alcuna<br />
paura all’idea di spappolarmi sul marciapiede, era il<br />
rimorso che mi frenava.<br />
Erano trascorsi due mesi dal brutale assassinio di Celine e<br />
la piccola Molly, e non vedevo Thomas da uno. Sapevo<br />
che a casa con Beatrice era al sicuro, ma soprattutto<br />
sapevo che non avevo alcun desiderio di vederlo. Celine<br />
era stata uccisa per colpire me, membro di rilievo della<br />
mia stirpe. Se Celine non fosse rimasta incinta io<br />
probabilmente non sarei mai tornato da lei e ora sarebbe<br />
ancora viva, felice insieme alla sua famiglia. La nascita di<br />
mio figlio aveva causato la morte di mia moglie? Certo<br />
che no, ma quel periodo avrei dato la colpa a chiunque pur<br />
di non darla a me stesso, l’unico vero responsabile.<br />
Di solito occupavo il tempo aiutando la squadra di<br />
Ancharos del quartiere. Erano ragazzi simpatici, anche se<br />
il loro aspetto incuteva un certo timore ai Comuni.<br />
Coprivano la loro identità dietro il gruppo gotic-rock che<br />
avevano composto. Il nero era il loro colore dominante,<br />
anche se le loro anime erano le più brillanti che avessi mai
visto. Io ero diventato più brusco e irascibile del solito.<br />
Avevano imparato a conoscermi però, e capivano al volo<br />
quando fosse il momento di ignorarmi per non scatenare i<br />
miei attacchi di rabbia.<br />
Erano gentili a tenermi con loro, non erano affatto<br />
obbligati a sopportarmi, eppure mi stettero accanto. Matt<br />
era stato il nocchiero di Celine e Molly. Avevano parlato<br />
molto, di me, forse per questo mi teneva d’occhio, forse<br />
gliel’aveva chiesto lei. Non so, non l’ho mai saputo, non<br />
ha mai voluto dirmelo.<br />
A New York non è mai difficile per noi trovare lavoro, ci<br />
sono sempre più anime di quante un nocchiero riesca a<br />
gestirne. È faticoso stare in allerta e svolgere il trapasso al<br />
meglio: le anime normalmente restano shockate di fronte<br />
alla consapevolezza della morte del proprio corpo. Sono<br />
un po’ come bambini a cui va insegnato tutto, dalla<br />
normale comunicazione al movimento. Quando sei<br />
abituato a spostarti per mezzo di muscoli e ossa è difficile<br />
abituarsi a compiere lo stesso movimento senza percepire<br />
il peso e la fatica del corpo. Il trapasso dell’anima di un<br />
vivo è più gestibile, perché continua a percepire la propria<br />
materia, anche se immobile sul mondo fisico.<br />
Differentemente, l’anima di un cadavere si sente come un<br />
palloncino che si è slegato dal polso del bambino al Luna<br />
Park.<br />
È un’operazione delicata il trapasso, perché l’anima<br />
coinvolta potrebbe spaventarsi al punto di fuggire. Quella<br />
è la parte peggiore: dover passare ore a cercarla nella folla<br />
dei vivi.<br />
Il nocchiero ha tre giorni a disposizione per accompagnare<br />
l’anima nell’Hahicòs. In quei giorni può istruire l’anima e<br />
prepararla al trapasso, può aiutarla a rimettere in ordine<br />
qualche tassello mancante della sua vita, perfino<br />
concederle fugaci contatti con i propri cari, se lo ritiene<br />
401
necessario. Il suo compito è fare di tutto affinché il<br />
trapasso sia meno traumatico possibile, soprattutto perché<br />
sa che, una volta traghettata all’Hahicòs, l’anima non potrà<br />
tornare indietro tanto facilmente, e non potrà più avere<br />
contatti con i mortali senza il suo implicito permesso.<br />
Scaduto il termine dei tre giorni però, l’anima dei defunti<br />
per morte violenta decretata da terzi, resterebbe incastrata<br />
sul mondo fisico per un tempo uguale agli anni che gli<br />
erano stati destinati. Le anime dei morti per Sentenza<br />
invece non hanno bisogno di tutta questa premura, perché<br />
il loro tempo è già scaduto. La sorte peggiore è per i<br />
suicidi, perché se nessuno informa in tempo il Giudice<br />
della loro decisione di mettere fine alla propria vita,<br />
rischiano di passare decenni, anche secoli, in attesa che un<br />
nocchiere si accorga di loro e si presenti a reclamarne<br />
l’anima. È difficile distinguere gli spiriti erranti dai<br />
trapassati, perché non c’è nessun particolare che li<br />
distingua. Quando il nocchiero si proietta nell’Hahicòs per<br />
controllare le auree dei viventi, distingue le figure delle<br />
anime trapassate proprio dall’assenza dell’aurea, che nel<br />
loro caso, è proiettata esclusivamente nello sguardo:<br />
un’anima dalle iridi rosa è il riflesso dell’individuo<br />
dall’indole rosa che è stato prima di morire. Il suicida<br />
quindi, proprio come una comune anima errante, si<br />
mostrerà al nocchiero come uno spirito già trapassato,<br />
impedendogli così di identificarlo.<br />
Matt aveva concesso i tre giorni anche a Celine - Aveva<br />
ritenuto giusto procedere diversamente con Molly e<br />
affidarla alle cure di sua nonna per non turbare troppo il<br />
suo giovane spirito - .<br />
Avevo intuito da subito che per Celine non c’era niente da<br />
fare, perché dal mio arrivo la vedevo inginocchiata<br />
accanto a sua madre, stringersi forte in un abbraccio che<br />
percepiva soltanto lei. L’avrei accompagnata io<br />
402
nell’Hahicòs, se non avessi dovuto attendere altre due<br />
settimane prima di acquisire i miei poteri.<br />
Il suo pianto dirotto tormenta ancora la mia mente<br />
vacillante.<br />
Me ne stavo in disparte mentre la polizia esaminava con<br />
inutile scrupolo la scena del crimine. C’era anche uno di<br />
Loro fra gli agenti impegnati nelle ricerche degli assassini.<br />
Mi lanciava occhiate torve quando nessun altro poteva<br />
accorgersene. Sentiva il pericolo alle sue spalle. Non si<br />
aspettava affatto di trovarmi lì e questo lo inquietava,<br />
perché sospettava che difficilmente sarebbe sopravvissuto<br />
per raccontare ai suoi di avermi incontrato. Il mio sguardo<br />
doveva essere di puro odio, un allarme di pericolo mortale<br />
per chiunque incrociasse i miei occhi in fiamme.<br />
Celine se ne stava buona accanto a me. Si stringeva al mio<br />
braccio appoggiandosi rassegnata con la testa alla mia<br />
spalla tremante dall’ira.<br />
> disse senza togliergli gli occhi di dosso.<br />
> bisbigliai a denti stretti per non farmi sentire<br />
dagli altri.<br />
><br />
><br />
Dovetti distogliere lo sguardo quando sfilarono con il suo<br />
corpo su una barella. Per quanto fosse accanto a me in<br />
quel momento, non riuscivo ad accettare l’idea che non<br />
avrei più posato le dita, le mie labbra su di lei.<br />
Tentò invano di catturarmi una lacrima con un bacio > disse posando una guancia<br />
sulla mia.<br />
Che assurdità! Mi stava consolando. L’unica cosa che ero<br />
in grado di fare io, la stava facendo lei per me.<br />
403
Linda seguì le salme delle ragazze. Era distrutta. Brandon,<br />
suo marito, la sorreggeva a fatica, dopotutto, non stava<br />
meglio di lei.<br />
Gli ultimi agenti si trattennero ancora qualche minuto per<br />
sbarrare il portone di casa con il nastro della scientifica.<br />
> chiesi a Celine quando fui<br />
certo che fossimo rimasti davvero soli. Avevo sentito dire<br />
che era piuttosto comune sentir esprimere da un anima il<br />
desiderio di poter seguire le proprie spoglie mortali fino al<br />
giorno della sepoltura. Come a voler conservare un ricordo<br />
di se stessa che potesse esserle di compagnia nell’ignoto.<br />
Scosse la testa avvicinandosi a me.<br />
L’abbracciai.<br />
><br />
spiegò ><br />
La strinsi ancora più forte a me, nella speranza di riuscire<br />
a ricacciare indietro il magone che mi impediva di parlare.<br />
Sentii le sue mani incorporee sul mio viso, che diresse a<br />
un centimetro dal suo per guardarmi negli occhi.<br />
> disse fra le<br />
lacrime > me le carezzò con il pollice<br />
prima di baciarmi.<br />
Sentivo i carboni ardermi nello stomaco. ><br />
riuscii a dire prima di aggrapparmi stretto a lei per lasciar<br />
fluire dal mio cuore tutto il dolore accumulato nelle ultime<br />
ore.<br />
Separarmi da lei, il terzo giorno, fu come perderla un’altra<br />
volta.<br />
Se possibile, fece ancora più male.<br />
> si raccomandò prima<br />
di andare ><br />
> sospirai ><br />
404
Mi cinse le braccia alla vita posando le labbra contro le<br />
mie ><br />
><br />
><br />
Ryan era già in posizione. Gli Esecutori sono esperti per<br />
natura negli appostamenti. Non l’avrebbe mai notato<br />
nessuno. Matt era pronto all’agguato a meno di dieci metri<br />
da lui. Kevin e Michael attendevano il segnale di Ryan<br />
sull’altro lato della strada.<br />
Io?<br />
Io ero l’esca che avrebbe attirato Simon nella nostra<br />
trappola.<br />
Avevo giurato a me stesso che non avrei lasciato New<br />
York senza aver dato prima sfogo alla mia vendetta.<br />
Simon aveva distrutto la mia famiglia e presto avrebbe<br />
pagato a caro prezzo quest’affronto.<br />
Mi era bastato vederlo una volta per imprimere l’energia<br />
della sua aurea nella mia memoria. L’avrei riconosciuta fra<br />
milioni, bendato.<br />
Scovarlo non fu facilissimo, perché non viveva in città, ma<br />
in un villino in periferia, assieme a sua moglie Bridjet e<br />
alle loro due bambine: Lara e Samantha.<br />
Usciva di casa tutte le mattine alle 8:00 in punto, per<br />
raggiungere l’ufficio legale di copertura, sulla 34 a . Gli<br />
piacevano le auto sportive, anche se aveva una familiare<br />
chiusa in garage. Bridjet usciva raramente di casa, se non<br />
per accompagnare le bambine a scuola, a tennis e a danza,<br />
il martedì. Per la spesa uscivano tutti insieme il venerdì<br />
pomeriggio. Il resto della giornata, Bridjet lo trascorreva<br />
in casa, o in giardino a occuparsi delle sue aiuole sempre<br />
fiorite. A parte sua sorella, che passava a trovarla tutti i<br />
405
giorni intorno alle 16:30, non conduceva molta vita<br />
sociale.<br />
A Simon piaceva viziare le sue tre donne con un regalo<br />
diverso ogni sera. Rientrava spesso tardi e stanco a casa,<br />
ma qualche minuto per le bambine lo trovava sempre. Gli<br />
piaceva metterle a letto e aspettare che si addormentassero<br />
al suono della sua voce. Il resto della serata era dedicato a<br />
coccolare la sua Bridjet, prima di crollare esausto, pronto<br />
per ricominciare, l’indomani una nuova giornata.<br />
Solo il giovedì sera si concedeva una serata libera al<br />
circolo dopo aver accompagnato Bridjet e le bambine a<br />
casa dei genitori di lei. Passava a riprenderle il mattino<br />
seguente alle 7:30, in tempo per presentarsi a lavoro alle<br />
9:00. Portava sua moglie a mangiare fuori tutti i sabato<br />
sera, da soli o in compagnia, lasciando le bambine dalla<br />
vicina di casa, una vedova senza figli che trascorreva le<br />
sue giornate chiusa in casa da sola e attendeva con ansia il<br />
sabato per avere un po’ di compagnia.<br />
Questa era la vita della famiglia Banwell.<br />
Dopo sei settimane di appostamenti ero sempre più<br />
convito di voler mettere fine a quel quadretto idilliaco. La<br />
prima settimana avevo deciso di rinunciare, non me la<br />
sentivo di fare del male a quella povera donna, ma più i<br />
giorni passavano, più si accendeva in me l’odio per<br />
l’amore che Simon mi aveva tolto.<br />
Fu un lavoro pulito. Soffrì molto meno di quanto sperassi,<br />
ma non mi tolsi la soddisfazione di leggere il terrore nei<br />
suoi occhi mentre guardava in faccia la morte.<br />
Infarto fu la diagnosi del medico legale. Nessun segno di<br />
aggressione, semplice arresto cardiaco mentre, un giovedì<br />
come un altro, raggiungeva l’entrata del circolo.<br />
Solo cinque persone sapevano che era andata<br />
diversamente.<br />
406
Non mi sono mai pentito di quel delitto e sono convinto<br />
che non me ne pentirò mai. Trascinerò con me quella<br />
soddisfazione, fino all’Inferno.<br />
La nota positiva della vendetta è che ti offre un appiglio,<br />
una motivazione valida per aggrapparti alla vita.<br />
Placata la sete di vendetta non ti resta più niente però.<br />
Allora tornano le braci nello stomaco, il laccio stretto alla<br />
gola, la spossatezza che ti fa desiderare solo di chiudere gli<br />
occhi e non riaprirli più.<br />
Allora torni a sederti sul davanzale di una finestra al<br />
ventiduesimo piano, e aspetti. Aspetti che quella<br />
spossatezza muti in qualcosa di più definitivo. Perché sei<br />
stanco di vomitare tutte le volte che vedi qualcosa che ti<br />
ricordi lei, perché non hai più lacrime e gli occhi ti fanno<br />
male, perché il tuo cervello è affamato di lei e non ti fa<br />
pensare ad altro.<br />
Volevo smetterla di sentire la sua voce riecheggiare<br />
ovunque per casa. Dovevo smetterla di voltarmi a cercare<br />
quella voce, perché il vuoto che vedevo mi sbriciolava il<br />
cuore in un milione di minuscole schegge che mi<br />
strappavano l’anima.<br />
407
408<br />
38<br />
È una follia!<br />
Nicola, Bruno e Ivan erano fermi al parcheggio<br />
dell’università ad aspettare il nostro arrivo. Le ultime<br />
novità non erano per niente buone. Davide e Marta<br />
sembravano non aver risentito minimamente dell’ostacolo<br />
del Medaglione. Ivan li teneva d’occhio di nascosto. Li<br />
aveva pedinati tutta la notte, senza con questo riuscire a<br />
scoprire il loro covo. Erano rimasti appostati fino all’alba<br />
al confine del quartiere del Clan, in attesa della pur<br />
minima distrazione. Massimo era stato chiaro con Ivan e<br />
gli altri. Nessuna intromissione. Dopotutto, Davide e sua<br />
sorella facevano solo il proprio lavoro. Alla prima mossa<br />
falsa, il responsabile avrebbe risposto delle proprie azioni<br />
direttamente di fronte al Gran Consiglio.<br />
> dissi quando Ivan<br />
mi comunicò le decisioni di Massimo.<br />
La docente di Zoologia parcheggiò accanto al fuoristrada<br />
di Marco. Due macchine oltre la nostra.<br />
Calò il silenzio, mentre lasciavamo che si allontanasse.<br />
> disse Nicola<br />
><br />
> si intromise Bruno ><br />
Ivan scosse la testa.<br />
Come dargli torto?<br />
Incrociai le braccia al petto mentre, sbuffando, mi lasciavo<br />
cadere con la schiena contro lo sportello della macchina.
chiese Denise.<br />
><br />
rispose Bruno ><br />
><br />
> era inorridita all’idea ><br />
Due vite in cambio di una?<br />
Feci un passo avanti per avvicinarmi a lei > guardai prima Bruno, poi Nicola ><br />
Ivan sembrò sollevato dalla mia decisione.<br />
> aggiunsi<br />
dopo un lungo silenzio ><br />
> chiese Nicola.<br />
> liberai l’ansia con un sospiro <br />
> chiese Ivan che era rimasto in silenzio<br />
tutto il tempo.<br />
409
><br />
><br />
Non ci credevo io, perché avrebbero dovuto crederci gli<br />
altri?<br />
><br />
Che cosa hai detto?<br />
La prima volta che avevo udito quell’identica supplica<br />
stavo dicendo addio per sempre alla mia unica ragione di<br />
vita.<br />
Mi urtò sentir pronunciare quelle parole dalle sue labbra.<br />
Non aveva nessun diritto di appropriarsene. Non aveva<br />
nessun diritto di chiedermelo.<br />
Mi hai ignorato, disprezzato, per due anni interi. Che<br />
pretese credi di poter avanzare ora? Se non fossi mai stata<br />
in pericolo di vita, probabilmente non mi degneresti<br />
ancora della minima attenzione.<br />
Ti sto salvando la vita. Cos’altro vuoi da me? Ti darei la<br />
mia se potessi. Io non so che farmene. Ma non posso,<br />
quindi lasciami lavorare e…<br />
Il cuore in accelerazione mi teneva a corto di ossigeno,<br />
così che ero costretto a prendere grandi boccate d’aria per<br />
non soffocare. Non riuscivo a guardarla, sapevo d’essere<br />
abbastanza fuori controllo da terrorizzarla se solo avessi<br />
osato posare il mio sguardo crudele su di lei.<br />
Riuscirò mai a cancellare tutta questa rabbia dal mio<br />
cuore?<br />
Riuscirò mai a smettere di odiare il mondo solo perché<br />
continua a ricordarmi Lei?<br />
Con la coda dell’occhio vidi Nicola accostarsi a Denise e<br />
trarla con sé qualche passo indietro.<br />
410
A testa bassa, vedevo il mio torace gonfiarsi a un ritmo<br />
direttamente proporzionale all’aumento della rabbia.<br />
I pugni stretti nelle tasche del giubbotto.<br />
> intervenne Ivan<br />
><br />
Annuii a fatica. Ero troppo concentrato a ricacciare via il<br />
veleno. Erano passati appena tre giorni dall’aggressione a<br />
suo padre. Mi circolava ancora tutto dentro, pronto a<br />
liberarsi alla prima occasione. Dovevo stare attento se non<br />
volevo correre il rischio di fare del male a qualcuno. Se<br />
non volevo farne a lei.<br />
Non ha nessuna colpa per quello che ti è successo, Alex.<br />
Non può saperlo.<br />
È vero. Non poteva neanche immaginare il fuoco che mi<br />
bruciava l’anima ogni istante della giornata da due anni,<br />
ma in quanto a colpe… beh, era una di loro. Il loro sangue<br />
scorre nelle sue vene. Il suo DNA ha tracce inequivocabili<br />
della stessa stirpe dei maledetti che me l’hanno<br />
ammazzata.<br />
È anche colpa sua.<br />
E invece no.<br />
Sì! E non capisco neanche perché mi stia affannando tanto<br />
a proteggerla. Io odio quelli come lei. Io non desidero altro<br />
che estirpare quel ceppo genetico fino all’ultimo<br />
cromosoma.<br />
Perché dovrei proteggerla?<br />
Perché si merita una seconda occasione.<br />
No! Sto solo aiutando gli assassini di mia moglie.<br />
411
Non è così.<br />
Non posso farlo. È come se la uccidessi un’altra volta.<br />
Come ho potuto farle questo? Come ho fatto a non vedere<br />
il male che le stavo facendo?<br />
Stai sbagliando, Alex.<br />
Ora capisco il perché di tutto quel discorso. È tutto così<br />
evidente adesso, così limpida la ragione del suo dolore.<br />
No! No e ancora No! Non t’azzardare a fare una cosa del<br />
genere proprio adesso. Non puoi. Non è giusto. Non deve<br />
essere lei a pagare per i tuoi errori.<br />
Mi riscossi dai miei pensieri come se fossi appena uscito<br />
da un incubo che mi aveva risucchiato all’interno della sua<br />
trama diabolica.<br />
Bruno e Nicola lessero il repentino cambio di programma<br />
nei miei occhi, che non smettevano un attimo di fissarla.<br />
Nicola la strinse a sé, mentre Bruno si frapponeva tra noi.<br />
Ivan lo affiancò senza proferire parola.<br />
Tesi lentamente un braccio in avanti, a mano aperta, ma<br />
Bruno mi puntò la pistola dritta al petto.<br />
><br />
> dissi con insolita<br />
calma, continuando a fissarla oltre le spalle del mio amico.<br />
Non dimenticherò mai la sorpresa mista a terrore che colsi<br />
nel suo sguardo, nel suo odore.<br />
> suggerì Ivan, e tese il braccio<br />
verso di lei per farselo passare.<br />
> mi chiese.<br />
> spiegò Nicola.<br />
Allora si sfilò il Medaglione e, invece di posarlo sul palmo<br />
aperto di Ivan, me lo lanciò addosso ><br />
Lo afferrai al volo.<br />
412
Bruno ripose la pistola e perse un po’ di rigidità quando si<br />
accorse che le mie intenzioni, nonostante tutto, erano<br />
pacifiche. ><br />
><br />
Ivan spostò di colpo l’attenzione su una piccola folla in<br />
fondo al vicolo > disse quasi con<br />
indifferenza.<br />
Bruno rimise mano alle armi.<br />
Nicola strinse più forte a sé Denise ><br />
Non riuscì a finire di parlare. La mia mano era troppo<br />
stretta attorno alla sua gola ><br />
Ivan riuscì a tirarmi via > gridò con<br />
rabbia ><br />
Ma Nicola non lo stava ascoltando, era troppo infuriato<br />
per la mia reazione. Si massaggiava la gola arroventata dal<br />
bruciore della mia mano. ><br />
E sono due!<br />
> ripeté Ivan, con la stessa indifferenza<br />
della prima volta.<br />
> mi chiese Bruno ><br />
Feci “No” con la testa.<br />
Dal fondo del vicolo, la folla si aprì per far passare il<br />
Branco, diretto al parcheggio dopo la fine delle lezioni.<br />
Appena li riconobbe, Denise fece uno scatto improvviso in<br />
avanti, sfuggendo alla stretta di Nicola.<br />
> gridò lui.<br />
413
Mi passò accanto correndo verso i suoi amici.<br />
Non mossi un muscolo per fermarla. Mi limitai a chiudere<br />
gli occhi per non guardare.<br />
Fu tutto fin troppo semplice, estremamente naturale,<br />
proprio come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.<br />
Le bastò sfiorarla appena, mentre, piangendo, si stringeva<br />
all’abbraccio protettivo di Marco.<br />
Non si accorse di nulla. Un lavoro pulito, perfetto. Proprio<br />
come avrebbe dovuto essere.<br />
In altre circostanze, Bruno non avrebbe esitato a premere<br />
il grilletto su Marta, ma c’era troppa gente innocente<br />
intorno a lei.<br />
Poté solo portarsi le mani alle tempie. Impotente.<br />
Nicola, mano alla fronte, non riusciva a credere ai suoi<br />
occhi.<br />
Ivan si rifiutava di guardare.<br />
Li ritrovai così, immobili, quando riaprii gli occhi. Non<br />
ebbi bisogno di parole per sapere quello che era successo.<br />
Riuscivo a distinguere i suoi singhiozzi fra il chiasso della<br />
folla.<br />
> vociò Marco, per farsi sentire.<br />
Mi voltai.<br />
><br />
Non volli rispondere alle sue accuse e gli altri non osarono<br />
rivelargli una verità che era difficile da accettare perfino<br />
per loro.<br />
> lo supplicò Denise,<br />
ignara di tutto.<br />
Marco le mise un braccio attorno alle spalle e la guidò con<br />
sé fino al fuoristrada.<br />
414
Passandoci a un metro neanche di distanza, Denise mi<br />
rivolse uno sguardo che non avrei mai potuto cancellare<br />
dai miei ricordi. Un misto di rabbia, disprezzo e delusione.<br />
> le disse Marco, poi, chiuso lo<br />
sportello, si avvicinò a noi puntandomi il dito contro ><br />
> lo interruppi incurante delle sue<br />
minacce ><br />
Raggiunsi la Mercedes spingendolo via. Sentii lo<br />
spostamento d’aria alle mie spalle. Bruno e Ivan si erano<br />
messi in mezzo per frenare sul nascere la reazione violenta<br />
di Marco alla mia spinta.<br />
><br />
Aprii lo sportello per salire in macchina, ma prima, senza<br />
neanche voltarmi, lo degnai di una risposta > detto<br />
questo, mi infilai in auto e sfrecciai via, lasciando i miei<br />
amici a cercare risposte al quel mio comportamento<br />
assurdo.<br />
415
416<br />
39<br />
Non me la sento. Proprio no. Non dovrei essere costretto a<br />
partecipare se non voglio. È crudele chiedermi di farlo.<br />
Come possono pretendere che mantenga la calma? A che<br />
serve umiliarmi così.<br />
Quel vestito non ci piace neanche.<br />
Non voglio andarci, non voglio. Specie con quel vestito.<br />
Non è sufficiente che sia presente? Devo per forza<br />
sembrare quello che non sono? Non vado a una festa,<br />
porcaccia miseria! Vado al funerale di mia moglie e mia<br />
cognata. Perché devo vestirmi per sembrare un damerino<br />
se mi sento uno straccio sporco?<br />
No, non ci vado, non se continuano a pretendere che mi<br />
vesta così.<br />
Tanto che importa, non voglio stare in prima linea, non ho<br />
la forza di stare a guardare.<br />
Ci mancava solo la nausea, sta mattina. Cos’altro c’è da<br />
tirare fuori che non abbia già ricacciato sta notte?<br />
Non ricordo neanche quand’è l’ultima volta che ho<br />
mangiato qualcosa, ma cos’è allora questa massa acida<br />
che spinge per uscire?<br />
Che ci sia ancora dell’altro? Ne dubito! Ho già iniziato<br />
ieri a vomitare bile.<br />
Non voglio andare. Avrei tutti gli occhi puntati addosso e<br />
non lo sopporto. Già li sento i loro falsi commenti pietosi.<br />
Non posso andare. Non so neanche se riesco ad alzarmi.<br />
L’ultima volta che l’ho fatto non sono neanche arrivato in<br />
bagno. Ho vomitato a terra.
È assurdo che si aspettino che vada, ma che hanno in<br />
testa? Come fanno anche solo ad avere la forza di pensare<br />
dopo quello che è successo.<br />
Lasciatemi in pace.<br />
Se non mi steste sempre così intorno forse potrei anche<br />
essere abbastanza fortunato da stramazzare soffocato<br />
dalla bile che mi corrode dentro.<br />
Potrei riuscirci se mio padre la smettesse di iniettarmi<br />
quella robaccia che placa la nausea per qualche ora.<br />
Potrei perfino morire per disidratazione, ma mio padre<br />
mette becco anche lì e non me lo permette.<br />
Che strazio! Possibile che non si possa morire senza che<br />
qualcuno si prenda il disturbo di salvarti la vita?<br />
Ma chi gliel’ha chiesto?<br />
Chi è che bussa? Entra se ti va, io non ce la faccio a<br />
muovermi.<br />
Se tornano a rompere con la storia del funerale mi<br />
arrabbio davvero. Non voglio andare. Mettetevelo in testa<br />
una volta per tutte. NON VOGLIO ANDARE.<br />
Ancora bussi? Entra e smettila di rompere. Che aspetti, un<br />
invito scritto?<br />
Alleluia, ce ne hai messo di tempo a capire.<br />
><br />
Non mi va, ho mal di gola.<br />
><br />
Salma! Questo è quello che è rimasto di mia moglie? Una<br />
Salma? Ma che parola è? Posso capire resti, spoglie,<br />
corpo, perfino cadavere, ma… salma…<br />
><br />
Metti giù quel vestito. Riappendilo allo sportello<br />
dell’armadio. Non lo voglio neanche vedere.<br />
417
> Sono stato io a parlare? Era<br />
proprio mia quella voce? Sembra così diversa. La bile<br />
deve avermi danneggiato le corde vocali.<br />
><br />
Ahi! Sembra di strofinare la gola su un cespuglio spinoso<br />
se provo a schiarirmi la voce > mi ero sbagliato, non si sono rovinate, la<br />
raucedine è data solo dallo sforzo.<br />
><br />
Figliolo? Ma che hai fumato? Non fingere che ti<br />
dispiaccia per me, tanto lo so che non te ne frega niente.<br />
Per quel che mi riguarda potevi rimanere in Italia, come<br />
hai fatto per il matrimonio. Non te l’ho chiesto io di<br />
venire.<br />
><br />
Che c’entra mamma, adesso?<br />
donna che amavo fosse morta solo per dare alla luce un<br />
bambino. Dopotutto avremmo potuto averne tanti altri<br />
insieme, ma lei si era ostinata a portare avanti la<br />
gravidanza, nonostante i medici lo sconsigliassero.<br />
Ti rifiutavo ancor prima che nascessi.>><br />
Ma perché mi fai questo? Perché proprio oggi?<br />
><br />
> ma<br />
con che coraggio vieni a dirmi quanto mi odi il giorno del<br />
funerale di mia moglie. Non potevi più aspettare? Ti<br />
sembrava il momento giusto per darmi il colpo di grazia?<br />
><br />
Te lo puoi scordare ><br />
><br />
Stronzo ><br />
presi in braccio accostandoti al petto per cercare di<br />
calmare le convulsioni che ti facevano tremare. Mamma<br />
rientrò in casa e noi due restammo da soli in veranda.<br />
Avevi pianto talmente tanto che la voce non ce l’avevi<br />
quasi più. Eri esausto, però non smettesti un attimo di<br />
guardarmi, come se da un momento all’altro ti aspettassi<br />
chissà quale miracolo da me. Mi stringevi forte un dito con<br />
la manina e ogni tanto strizzavi gli occhietti arrossati che ti<br />
bruciavano.>><br />
Smettila di torturarmi.<br />
><br />
Che fai Alex, piangi anche tu adesso?<br />
><br />
?!?!?<br />
Thomas. Non riesci neanche a guardarlo. Lui non ha<br />
colpe, come non le avevi tu. Non strappargli via l’unico<br />
genitore che gli resta. Non è giusto.>><br />
><br />
><br />
No! Non ha più senso vivere, adesso. Non mi importa più.<br />
><br />
Questa cerimonia è una pagliacciata. Avremmo potuto<br />
celebrare il funerale direttamente in Italia e risparmiarci<br />
questo strazio. Tanto Linda è così imbottita di<br />
tranquillanti da non rendersi neanche conto di dove sia.<br />
Spero di essere stato chiaro quando ho accettato di venire.<br />
Non farò un solo passo più avanti di così. Non mi lascerò<br />
convincere a stare a guardare mentre la calano in quella<br />
fossa fredda. Non sarò io a gettarle il primo pugno di<br />
terra addosso. A che serve poi, tanto non è un funerale<br />
come gli altri, nessuno la ricoprirà di terra. È già tutto<br />
pronto per la traslazione in Italia, oggi stesso.<br />
È una pagliacciata, tutto qua.<br />
Un pochino mi pento di non aver preso parte al funerale<br />
della mia piccola Molly. È stata solo una vittima<br />
collaterale della maledizione che mi porto dietro. Se la<br />
meritava la mia presenza. Gliel’avrei dovuta, a costo di<br />
421
non reggere alla pressione e crollare nel mezzo della<br />
funzione.<br />
Gliel’avrei dovuta.<br />
Ehi, ma c’è Mat! Non l’avevo notato, dev’essere arrivato<br />
da poco. Si sta avvicinando. Spero non gli venga in mente<br />
di darmi le condoglianze. Era uno dei compromessi alla<br />
mia partecipazione alla funzione: niente condoglianze.<br />
Non permetterò che mi rendano la sua morte ancora più<br />
reale di quanto già non sia.<br />
Mio padre però non conosce Mat, e forse non si è neanche<br />
accorto del suo arrivo. Difficilmente avrà avuto il tempo<br />
di avvisarlo.<br />
Niente condoglianze Mat, ti prego. Un abbraccio lo posso<br />
anche sopportare, ma non dire quella parola. Non dire<br />
quella parola.<br />
><br />
Dio ti ringrazio ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
E…Celine? ><br />
><br />
mmmmmmmm, non lo dire ad alta voce.<br />
><br />
?!?!?<br />
><br />
422
Allora non sto sognando, sono davvero sue le braccia<br />
attorno alla mia vita, la sua guancia contro la mia<br />
schiena.<br />
><br />
Eh? Che hai detto? Mi ero distratto.<br />
><br />
><br />
È proprio la sua voce? Sì che è la sua voce.<br />
><br />
Se il cuore smettesse di battermi così forte per un minuto<br />
forse riuscirei anche a rispondere. Dev’essersene accorta<br />
anche lei, perché le sue mani stanno scivolando su fino al<br />
centro del mio petto.<br />
><br />
Parla ancora Amore mio.<br />
><br />
><br />
><br />
Sei arrabbiata con me?<br />
><br />
Thomas.<br />
><br />
> finché gli resterò lontano starà<br />
benissimo.<br />
><br />
423
Ma se sembro un cadavere. Non voglio che mi veda in<br />
questo stato. I bambini riescono a percepire lo stato<br />
d’animo degli adulti. Non voglio che si nutra del mio<br />
dolore. Dovrebbe solo pensare a crescere e giocare,<br />
niente di più. Io non posso garantirgli nulla di tutto ciò.<br />
Mi dimenticherei perfino di dargli da mangiare.<br />
><br />
Che fai? Perché ti sciogli da me? Ah!<br />
><br />
Che bello potermi immergere ancora nei tuoi occhi.<br />
><br />
><br />
><br />
Vieni con me, spostiamoci qui dietro, così non ci vede<br />
nessuno. Abbracciami. Sì, così. Tienimi stretto e non<br />
lasciarmi. Portami via con te.<br />
><br />
Non piangere amore. Tutto quello che vuoi, ma non<br />
piangere ><br />
><br />
><br />
><br />
> le tue labbra sono ancora calde e<br />
morbide come le ricordavo. Sembra passato un secolo<br />
dall’ultima volta.<br />
imparerai a vivere senza di me. Devi imparare a farlo se<br />
vuoi che viva questa condizione con serenità. La mia<br />
anima è ancora legata alla tua. Se tu soffri, io soffro. Non<br />
farmi soffrire più, Alex. O almeno, non più del<br />
necessario.>><br />
><br />
><br />
D’accordo.<br />
><br />
Già? Ma la funzione non è ancora finita.<br />
><br />
Eccolo!<br />
><br />
> ed<br />
eccone un altro. Non mi stancherei mai di guardarlo. Non<br />
mi stancherei mai di guardarti.<br />
><br />
><br />
425
426<br />
40<br />
Angelo? Sono un demone, altro che Angelo. Ho le corna,<br />
non le ali.<br />
Fissavo una delle tante statue alate di Ponte Sant’Angelo e<br />
non riuscivo a fare a meno di chiedermi perché.<br />
Quel fastidioso suono di campanelli mi torturava da più di<br />
un’ora ormai. Per quanto avessi corso, per quanto ci avessi<br />
provato, non sarei riuscito a liberarmi di quell’insistente<br />
tintinnio. Non c’era posto al mondo in cui avrei potuto<br />
nascondermi da Lui.<br />
Bella fregatura!<br />
Un gruppo di turisti polacchi si sporgeva dal ponte a<br />
osservare il Tevere scorrere impetuoso dopo le ultime<br />
piogge abbondanti.<br />
Anche d’inverno? Questa città diventa sempre più<br />
invivibile. Stretta. Non si riesce più a stare un momento da<br />
soli.<br />
Un Esecutore osservava in disparte la sua vittima tra la<br />
folla.<br />
La sua aura blu scuro era talmente luminosa da avvolgere<br />
anche le persone attorno a lei.<br />
Fissai l’Esecutore, che mi fece un cenno complice col<br />
capo. Non c’era gioia o soddisfazione nei suoi occhi. Solo<br />
impazienza. Prima sarebbe successo e prima sarebbe<br />
potuto tornare alla sua vita di sempre.<br />
Mi strinsi meglio la sciarpa attorno al collo per attutire i<br />
colpi di vento gelido che mi tagliavano il viso.<br />
Una pattuglia di tre Agenti attraversò il ponte. Ormai<br />
avevo imparato a riconoscerli.
Tirai sul capo il cappuccio del giubbotto e finsi di<br />
guardare la piena del Tevere insieme ai turisti.<br />
I campanelli suonavano ancora, anche l’Esecutore riuscì a<br />
sentirli e arretrò di qualche metro.<br />
Si stava avvicinando!<br />
Sono qui. Non vado da nessuna parte.<br />
Il giovane Destinato era salito sul parapetto del ponte per<br />
sporgersi a guardare meglio.<br />
L’esecutore era arretrato abbastanza da potermi avvicinare<br />
al ragazzo.<br />
> dissi serio. Accompagnai la frase a un<br />
gesto che gli facesse comprendere cosa stavo dicendo.<br />
Il mio sguardo lo intimorì, così smontò dal parapetto senza<br />
replicare.<br />
Non aggiunsi altro, ma quel poco bastò ad aumentare il<br />
frastuono nella mia testa.<br />
Era appena sopportabile e non avrebbe smesso di<br />
torturarmi fino a quando non mi fossi deciso ad<br />
affrontarlo.<br />
Mi voltai nella direzione dell’Esecutore, che era tornato ad<br />
avvicinarsi. Non ce l’aveva con me per aver prolungato la<br />
sua personale agonia, però dai suoi occhi capii che non mi<br />
avrebbe più concesso intromissioni di alcun tipo.<br />
Avrei potuto regalargli qualche giorno in più. Permettergli<br />
di tornare a casa e rivedere i suoi cari prima del trapasso,<br />
ma non sarebbe stato prudente con Lui nelle vicinanze.<br />
Non mi avrebbe perdonato anche questa.<br />
Mi allontanai per concedere all’Esecutore un po’ di pace.<br />
Il tintinno era un richiamo per me. Era me che cercava,<br />
non lui. Perché aggiungere altra sofferenza al suo dolore<br />
quindi? Solo perché riusciva a sentirlo non significa che<br />
dovesse anche subirlo.<br />
427
L’Esecutore mi ringraziò con un cenno d’assenso e tornò a<br />
seguire la sua vittima, che aveva ripreso a passeggiare col<br />
gruppo di turisti.<br />
Le mie ali in cambio di un'ora di pace.<br />
> la voce di Gabriel<br />
sembrava provenire dall’interno di un’ampia cattedrale<br />
vuota.<br />
Avevo già avuto occasione una volta di sentire quella voce<br />
incantevole, di scorgere quel viso meraviglioso, quegli<br />
occhi tanto belli quanto severi.<br />
Era dietro di me. Non dimostrava più di vent’anni e la sua<br />
aura, di un bianco accecante, mi costrinse a spostare lo<br />
sguardo da un’altra parte.<br />
Dei nuvoloni scuri, carichi di pioggia, si addensavano<br />
sulle nostre teste, scoraggiando anche i più audaci dal<br />
rimanere all’aperto. I primi lampi squarciarono il cielo.<br />
C’eravamo solo noi due all’aperto ora.<br />
Il vento si fece più forte e minaccioso. Si fece buio in<br />
pochi minuti, nonostante fossero ancora le quattro del<br />
pomeriggio.<br />
Un nuovo lampo, più forte e fragoroso degli altri, squarciò<br />
una nuvola che riversò sulla terra la sua cascata di pioggia.<br />
I clacson del traffico giungevano quasi sordi ai miei sensi.<br />
Ero troppo concentrato su Gabriel. Incapace di muovermi.<br />
Impietrito dal potere che stava esercitando su di me.<br />
> chiesi scontroso ><br />
> mi rimproverò.<br />
Il temporale si fece più minaccioso.<br />
><br />
428
I suoi occhi divennero una fessura sottile. In quello stesso<br />
momento una forza inumana mi scaraventò con violenza<br />
contro una statua del ponte, una decina di metri più<br />
indietro. L’urto fu così forte da fracassarne un braccio, che<br />
cadde nel Tevere, scosso da onde innaturali che,<br />
frangendosi contro le arcate di pietra riversavano l’acqua<br />
putrida in superficie, bagnandomi. Come se la pioggia non<br />
bastasse.<br />
Mi rimisi in piedi, contrastando il vento pesante che mi<br />
spingeva indietro. Con un solo gesto del braccio me ne<br />
liberai invertendone il corso contro Gabriel. La valanga<br />
d’aria gelida lo oltrepassò senza scalfirlo, andando a<br />
scontrarsi col traffico impazzito lungo la strada in fondo.<br />
Due auto si rovesciarono con una facilità mostruosa contro<br />
la parete del palazzo di fronte.<br />
Non avevo ancora il pieno controllo dei miei poteri.<br />
Mancavano due anni alla mia completa trasformazione.<br />
Un fulmine si frappose fra noi, lasciando una profonda<br />
crepa sulla passerella del ponte.<br />
Non ha gradito l’affronto.<br />
> continuai urlando,<br />
perché il frastuono copriva la mia voce ><br />
><br />
Non sarebbe la prima volta. Dopotutto discendo, per linea<br />
diretta, dalla stirpe degli Angeli Ribelli. Chi più di me<br />
potrebbe opporsi alla Sua volontà.<br />
><br />
La terra tremò e il ponte si aprì nel mezzo, lungo tutta la<br />
crepa provocata dal fulmine.<br />
429
> spalancai le braccia<br />
esponendo il petto > lo sfidai.<br />
Un Angelo della Morte non può avere paura di essa. Era<br />
una minaccia assurda la sua. Tanto più che i suoi poteri<br />
potevano ferirmi ma non darmi la morte.<br />
><br />
Si accigliò ><br />
> gli ricordai. ><br />
><br />
><br />
><br />
Il suo nome, pronunciato così impunemente ad alta voce<br />
per la seconda volta a distanza di poche ore scatenò in me<br />
una reazione che non mi aspettavo. Una violenta ondata di<br />
energia si liberò dal mio corpo come un’esplosione. Le<br />
statue lungo il ponte si frantumarono una dopo l’altra in<br />
massi non più grandi di una palla da tennis. Il ponte<br />
vacillò.<br />
> risposi digrignando i denti.<br />
> chiese come se nulla fosse successo.<br />
Denise. Si chiama Denise.<br />
430
><br />
Vero! Ma non mi interessa.<br />
><br />
><br />
><br />
Svanì nel nulla senza rispondermi.<br />
> gridai ><br />
431
432<br />
41<br />
Il mio rientro in Italia fu quantomeno bizzarro. Con la sua<br />
confessione il giorno del funerale di Celine, mi ero<br />
convinto che mio padre mi avesse finalmente fornito una<br />
ragione valida per odiarlo. Non poteva essere<br />
diversamente. Avevo troppa rabbia dentro e un disperato<br />
bisogno di riversarla su qualcuno.<br />
Per quasi tre mesi non feci altro che impegnarmi per<br />
mostrargli finalmente di cosa ero capace, di quanto<br />
meschino e vendicativo riuscissi a essere nei suoi<br />
confronti e quanto lesivo nei miei.<br />
Non dimenticherò mai la sua faccia quando venne a<br />
prendermi all’aeroporto. Scoppiai quasi a ridergli in<br />
faccia. L’espressione distrutta di mia madre però, mi<br />
provocò molto meno piacere.<br />
Non volevo un abbraccio di ben tornato, ma c’era tanta<br />
gente e le convenzioni sociali richiedevano questo piccolo<br />
sacrificio. Mio padre era il numero uno quando si trattava<br />
di dar bella mostra di sé in pubblico. Il migliore attore che<br />
abbia mai visto recitare in tutta la mia vita. La mia più<br />
grande fonte di ispirazione.<br />
Mi avvicinai lentamente. Volevo ritardare quel contatto il<br />
più possibile.<br />
Mia madre aveva gli occhi lucidi. Se qualcuno l’avesse<br />
notata in quel momento avrebbe falsamente creduto che<br />
fosse per l’emozione di rivedermi. Mi fermai a pochi passi<br />
da loro, aspettando che si facessero avanti per mettere fine<br />
a quella farsa. Mia madre mi strinse forte a se, affondando<br />
il suo viso nell’incavo della mia spalla. Appena riuscì a<br />
smettere di tremare si spostò quel tanto da permettere a<br />
mio padre di salutarmi. Rimasi a fissarlo mentre si
avvicinava, sempre troppo più velocemente di quanto<br />
desiderassi. Tirai un profondo sospiro prima che fosse<br />
troppo vicino e, a occhi chiusi, aspettai di sentire il suo<br />
corpo stretto al mio.<br />
Invece sentii un forte bruciore sul viso. Spalancai gli<br />
occhi, ancora incredulo che avesse avuto il coraggio di<br />
prendermi a schiaffi lì davanti a tutti. Dovevo essere stato<br />
davvero bravo se ero riuscito a scatenare una tale reazione<br />
da parte sua. Per un attimo l’attenzione di tutti sembrò<br />
riversarsi su di me, immobile come una statua, frastornato,<br />
e questo, lo ammetto, mi mise molto in imbarazzo.<br />
Mio padre era paonazzo, furioso. A quel punto non sapevo<br />
davvero cos’altro aspettarmi. Smisi di sostenerne lo<br />
sguardo inferocito e chinai leggermente il capo a terra.<br />
Riconoscevo una sconfitta quando la vedevo e, anche se<br />
mi bruciava ammetterlo, quel round l’aveva vinto lui.<br />
Avevo trascorso tre mesi alla ricerca di qualcosa che lo<br />
facesse imbestialire e avevo ottenuto quello che volevo. In<br />
quel momento però, invece di gioire della mia piccola<br />
vittoria personale, non riuscivo a pensare ad altro che a<br />
quanto fosse stata stupida l’idea di sfidarlo a quel modo.<br />
Cosa credevo di ottenere presentandomi cosi? Il meglio<br />
che poteva accadere era che mi cacciasse da casa.<br />
Vent’anni, senza un soldo o uno straccio di lavoro, senza<br />
nient’altro che l’odio a fare da cornice alla mia esistenza<br />
senza sapore.<br />
A quel punto avrei potuto aspettarmi di tutto. Leggevo il<br />
terrore negli occhi addolorati di mia madre.<br />
Sapevo di dover chiedere scusa. Mi sentivo stupido. Però<br />
ero troppo orgoglioso per ammettere d’aver esagerato.<br />
Sarebbe stato come ammettere a me stesso d’aver<br />
sbagliato, quindi quella parola velenosa non uscì mai dalle<br />
mie labbra, benché fossi consapevole che era l’unico<br />
appiglio a cui avrei potuto aggrapparmi per non precipitare<br />
433
nel baratro di collera che aveva spalancato sotto di me l’ira<br />
di mio padre.<br />
Guardavo ancora a terra quando lo sentii muoversi. Chiusi<br />
gli occhi di nuovo, ma sta volta per paura non per<br />
rassegnazione.<br />
> disse. Mi accorsi che stava<br />
parlando a telefono ><br />
Brutta cosa! Brutta cosa! Brutta cosa! Continuavo a<br />
ripetermi sforzandomi di non alzare la testa per cercare<br />
mia madre.<br />
> aggiunse prima di richiudere con troppa<br />
forza lo sportelletto del cellulare > le disse ><br />
Nessuna replica da parte sua. E come avrebbe potuto?<br />
><br />
Ahia! Era il mio turno.<br />
><br />
Arrogante! Abbasso la guardia un momento e credi<br />
d’avermi in pugno?<br />
Non mi mossi.<br />
><br />
Non tirare troppo la corda, Alex! Non tirare troppo la<br />
corda. Ti rifarai la prossima volta.<br />
><br />
Riuscii a muovermi un pochino. Nulla di esaltante, ma<br />
almeno riuscì a vedere, dopotutto, che ci stavo almeno<br />
provando.<br />
434
Mi spinsi alla macchina come una canoa contro corrente.<br />
Lo sentivo procedere alle mie spalle. Silenzioso. Troppo<br />
silenzioso. Quando non parlava era sempre un brutto<br />
segno. Stavo tranquillo fin tanto che lo sentivo strillare,<br />
ma quei silenzi erano solo ambasciatori di sventura.<br />
Lanciai lo zaino e il borsone nel bagagliaio della Mercedes<br />
senza prestarvi la minima attenzione. Trovare il coraggio<br />
di salire in macchina però, fu un po’ più difficile. Era un<br />
gesto irreversibile, una volta dentro non avrei avuto più<br />
vie di scampo.<br />
Siediti dietro. Siediti dietro.<br />
Dovevo avere l’esitazione dipinta sul viso, perché mio<br />
padre si spazientì dell’attesa e mi aprì personalmente lo<br />
sportello anteriore facendomi cenno di entrare.<br />
Codardo! Troppo tardi.<br />
Soffocai a fatica un sospiro, ma riuscii ugualmente a<br />
trascinarmi dentro l’abitacolo senza rendermi troppo<br />
ridicolo.<br />
Posai un gomito sul bordo del finestrino aperto e rimasi a<br />
guardare fuori, mentre mio padre si sedeva al posto di<br />
guida, accanto a me.<br />
Troppo vicino.<br />
Sentivo che mi stava fissando, mentre girava la chiave nel<br />
quadro per mettere in moto.<br />
Non lo guardare.<br />
Mi voltai un poco, per capire.<br />
> bofonchiò.<br />
Non ero già abbastanza in trappola? Obbedii senza<br />
replicare, anche se uno sbuffo sfuggì indisciplinato al mio<br />
controllo.<br />
Ero tornato a guardare fuori, ma non ci stavamo ancora<br />
muovendo. Di sicuro era ancora intento a fissarmi. Lo<br />
435
detesto quando mi fissa a quel modo, come se avesse<br />
chissà cosa da dire, ma si rifiuta di parlare.<br />
Non ero certo di voler sapere davvero cosa avesse da dirmi<br />
quel giorno, ma era un atteggiamento che non digerivo lo<br />
stesso.<br />
Finalmente iniziarono le manovre per uscire dal<br />
parcheggio e, per un momento almeno, mi sentii un po’<br />
sollevato.<br />
Il centro era inzuppato di macchine, ma non era un<br />
problema per lui. Non è mai un problema per lui.<br />
Parcheggiò nell’area riservata del salone di Michele e<br />
scese guardando male il custode del parcheggio che smise<br />
di avvicinarsi appena lo riconobbe.<br />
Mi aprì lo sportello come aveva fatto all’aeroporto, con la<br />
stessa impazienza intendo, mentre io armeggiavo per<br />
liberarmi dalla morsa della cintura, che non ne voleva<br />
sapere di sganciarsi. Quasi volesse vendicarsi dello sbuffo.<br />
E tu da che parte stai?<br />
Vidi mio padre piegarsi su di me, esasperato, e liberare il<br />
gancio senza difficoltà.<br />
Calmati, Alex! Sei troppo nervoso.<br />
Stavo sudando, in effetti, e non credo fosse a causa del<br />
caldo ancora torrido di inizi settembre.<br />
><br />
Era un ordine o una richiesta? Mi sentivo ribollire il<br />
sangue. Avevo vent’anni, ero maggiorenne, decisamente<br />
troppo cresciuto per farmi trattare come un ragazzino.<br />
Era una richiesta Alex, scendi per l’amor del cielo, scendi<br />
subito.<br />
Lo guardai in cagnesco, ma obbedii.<br />
436
Michele ha il centro estetico-termale più lussuoso e<br />
rinomato di tutta la città. I miei genitori ci andavano da<br />
sempre e anch’io, prima della mia inutile ribellione d’oltre<br />
oceano.<br />
Non mi riconobbe subito quando entrammo. Se non ci<br />
fosse stato mio padre con me, non mi avrebbe neanche<br />
permesso di entrare, conciato com’ero.<br />
Alzò gli occhi al cielo con un’espressione così buffa che<br />
non riuscii a decifrare, ma almeno riuscì a farmi sorridere.<br />
Diceva sempre che ero la sua ispirazione, il modello a cui<br />
si ispirava quando pensava alle sue nuove creazioni. Posso<br />
solo immaginare cosa gli passasse per la testa quando mi<br />
vide conciato a quel modo.<br />
> mi disse, restio ad<br />
avvicinarsi, a toccarmi. Una mano a coprire la bocca semi<br />
spalancata dallo shock ancora vivo nei suoi occhi.<br />
Mio padre si allontanò un momento per un’altra telefonata.<br />
> mi chiese Michele.<br />
Annuii senza rispondere. Nella sala c’erano specchi<br />
dappertutto. Una piccola folla di privilegiati si aggirava in<br />
accappatoi di seta e ciabattine firmate e di tanto in tanto mi<br />
lanciavano un’occhiata disgustata.<br />
Chissà, probabilmente, oltre all’aspetto, non avevo<br />
neanche un buon odore, poco aiutato anche dal fatto che<br />
ero da un volo interminabile dagli Stati Uniti.<br />
Mi osservai in uno degli specchi a parete della sala e mi<br />
vergognai seriamente di me stesso.<br />
Che volevi dimostrare?<br />
Michele se ne accorse, perché sfiorò amichevole il rossore<br />
sulle mie guance.<br />
Mio padre tornò per assistere trionfante alla mia<br />
umiliazione pubblica. Mi conoscevano tutti in quel centro<br />
437
ed io conoscevo loro. Non avrebbe potuto infliggere<br />
mortificazione peggiore alla mia vanità.<br />
Per avere un appuntamento da Michele si dovevano<br />
aspettare anche mesi. Solo la nostra famiglia e una<br />
manciata di eletti avevano accesso illimitato ai suoi<br />
servigi. La cospicua quota annuale che gli versava mio<br />
nonno era sufficiente a garantirci certi privilegi. Solo con<br />
quella Michele riusciva a coprire le spese annuali<br />
dell’intero centro. Le altre facevano il resto.<br />
> disse soppesando una ciocca dei<br />
miei capelli unti e troppo, troppo lunghi per i suoi gusti.<br />
Scambiò un paio di sguardi con mio padre che, quasi<br />
avesse potuto leggergli nel pensiero, si congedò senza<br />
aggiungere nulla a una semplice approvazione.<br />
Appena non avvertii più la sua soffocante presenza, dopo<br />
un’ulteriore sbirciata al balordo riflesso nello specchio al<br />
mio fianco, sentii l’irrefrenabile desiderio di togliermi<br />
quegli stracci da dosso.<br />
Michele intuì anche questo > e mi fece<br />
strada verso il complesso termale.<br />
Doccia, fanghi, bagni estetici profumati…<br />
La mia pelle – soffocata da uno strato si sebo<br />
maleodorante – tornava finalmente a respirare. Mi sentivo<br />
rinato, anche se a Roberto non sembrava abbastanza e mi<br />
fece fare un altro giro.<br />
I massaggi rilassarono un po’ la tensione accumulata.<br />
La manicure eliminò ogni traccia di smalto nero dalle<br />
unghie.<br />
La maschera al viso lisciò l’espressione corrugata della<br />
tensione, mentre l’estetista faceva il resto.<br />
Erano passate le 16:30 e mancava solo il tocco magico di<br />
Michele, che non perse neanche tempo a sciogliere il<br />
groviglio di nodi nei miei capelli maltrattati, ma affondò<br />
438
direttamente le forbici per un taglio netto e definitivo.<br />
Sapeva che i capelli troppo corti non mi erano mai<br />
piaciuti, ma quel giorno non badò minimamente a quali<br />
potessero essere le mie preferenze. Ogni obiezione da<br />
parte mia l’avrebbe mandato su tutte le furie, come ogni<br />
volta che provava a fare qualcosa di nuovo con la mia<br />
chioma ed io provavo a ribellarmi.<br />
Per un momento, quando lo vidi impugnare la macchinetta<br />
mi prese il panico. Feci un sussulto troppo visibile per non<br />
essere notato, ma Michele non si fece scrupoli e io non<br />
potei fare altro che cercare di non perdere troppo la calma<br />
mentre mi riduceva i capelli a una spazzoletta di non più di<br />
un centimetro di spessore.<br />
Tremavo. Ero troppo arrabbiato, troppo umiliato.<br />
Non mollare proprio adesso. È quasi finita. Resisti!<br />
> sussurrò Michele<br />
chinandosi a raggiungere il mio orecchio punteggiato di<br />
piccolissimi fori arrossati, lì dove prima davano bella<br />
mostra quattro pearcing di metallo scarso.<br />
> aveva un tono così dolce,<br />
rassicurante.<br />
Non fare lo stupido. Trattieniti!<br />
Non riuscivo a smettere di tremare. Provai a schiarirmi la<br />
voce per dire qualcosa che potesse farmi pensare ad altro,<br />
ma continuai a non dire niente.<br />
Ero stanco. Ero riuscito ad appisolarmi durante il<br />
massaggio, ma non era stato abbastanza. Volevo solo<br />
tornare a casa e buttarmi quella giornataccia alle spalle per<br />
sempre.<br />
Non mi disturbava essere tornato l’Alessandro di sempre.<br />
L’avrei fatto io stesso appena ne avessi avuta l’occasione.<br />
Volevo solo scatenare una qualche reazione in mio padre,<br />
439
una qualunque. Quello che mi offendeva era che mi avesse<br />
portato in giro conciato così…<br />
Faticavo a riconoscermi perfino io. Sembravo il Sicario<br />
tanto temuto dalla mia Celine, un demone appena uscito<br />
dall’inferno.<br />
Dopo il taglio, Michele mi fece alzare e avvicinare alla<br />
postazione per lo shampoo > sussurrò la parola pidocchi, per non farsi<br />
sentire dalla cliente alla postazione accanto.<br />
Annuii con un sospiro rassegnato. Non riuscivo a<br />
comunicare neanche a monosillabi.<br />
Riuscii a liberarmi un pochino solo durante lo shampoo.<br />
Non avrei potuto fare di più, mi ero trattenuto anche<br />
troppo.<br />
Michele mi bagnò scherzosamente il viso arrossato con<br />
uno spruzzo d’acqua > disse a voce abbastanza alta da farsi sentire<br />
><br />
Adesso non esagerare!<br />
><br />
Mi fece capire con un buffetto che aveva finito, così mi<br />
drizzai sulla sedia mentre lui mi strofinava con delicatezza<br />
un asciugamano sulla testa.<br />
Mio padre rientrò in quel momento con in mano alcune<br />
buste dell’atelier di Cavalli. Le posò ai miei piedi e rimase<br />
a fissarmi un momento, rinnovando quel po’ di irritazione<br />
che ero riuscito a cancellare. Sembrava soddisfatto. Uno<br />
stato d’animo che proprio non lo associavo a mio padre<br />
quando si trattava di me.<br />
Allungò una lauta mancia a Michele per il servizio e tornò<br />
a fissarmi di nuovo.<br />
440
Smettila!<br />
Che aveva da guardare? Cos’era che gli provocava tanto<br />
piacere? Me ne resi conto tutto d’un tratto, quando avvertii<br />
qualcosa di caldo accarezzarmi la guancia.<br />
Merda!<br />
Asciugai la lacrima con l’asciugamano che avevo ancora<br />
in mano.<br />
> mi coprì Michele, ma tanto lo sapevo che<br />
non ci avrebbe creduto. Se anche fosse stato vero si<br />
sarebbe convinto del contrario solo per crogiolarsi ancora<br />
e ancora nella sua vittoria.<br />
> disse soltanto. Vedevo ancora quel ghigno<br />
soddisfatto.<br />
Pazienza Alex. È andata come è andata, non ci pensare<br />
più adesso. È finita, si torna a casa, non rovinare tutto<br />
proprio adesso.<br />
Presi le buste e mi affrettai a raggiungere gli spogliatoi per<br />
mettere su qualcosa. Gli stracci che avevo addosso quando<br />
ero arrivato erano ancora buttati a terra dove li avevo<br />
lasciati quando mi ero spogliato per indossare<br />
l’accappatoio del centro.<br />
Li afferrai e li gettai con rabbia nel secchio della<br />
spazzatura.<br />
Che cosa avevo dimostrato con quell’assurda messa in<br />
scena? Niente! Ero solo riuscito a mettermi in ridicolo.<br />
All’atelier avevo fatto confezionare molti abiti su misura<br />
per le grandi apparizioni pubbliche a cui mi costringeva<br />
mio padre almeno sei volte l’anno fin da quando potessi<br />
ricordare. Conoscevano alla perfezione la mia taglia, e i<br />
miei gusti, quindi non gli fu difficile mandarmi qualcosa<br />
di mio gradimento e che calzasse alla perfezione.<br />
Con stupore mi scoprii molto più a mio agio nei panni del<br />
mio personaggio che nei miei. Mi era bastato pochissimo a<br />
441
iconoscere i miei simili in America, appena avevo avuto<br />
la possibilità di guardarmi un po’ dentro, da solo.<br />
Quello stile rock gotico che mi aveva aperto le porte di un<br />
mondo tutto nuovo e stranamente affascinante per me,<br />
rifletteva perfettamente la rabbia che covavo dentro.<br />
Passata la rabbia però?<br />
L’Alessandro che conoscevo io era il tizio che si osservava<br />
curioso allo specchio di quel centro termale, non il<br />
demone oscuro che era sceso dall’aereo qualche ora prima.<br />
Che c’è che non va in me?<br />
Cercai di scacciare ogni pensiero violento dalla mia mente<br />
e mi sbrigai a raggiungere mio padre. Volevo davvero<br />
tornarmene a casa.<br />
Mi accorsi fin troppo presto che non stavamo tornando in<br />
Villa come avevo sperato, però non avrei davvero creduto<br />
che arrivasse a tanto.<br />
Ci volle tutto il mio autocontrollo per non aggredirlo<br />
verbalmente quando lo vidi imboccare l’ingresso della<br />
clinica di famiglia. Anche se avrei dovuto aspettarmelo da<br />
lui, ma forse era proprio questo a mettermi in crisi ogni<br />
volta. Non riuscivo mai ad anticiparne le mosse, mai una<br />
volta. Mi lasciava sempre spiazzato.<br />
Il mio trisnonno paterno aveva tirato su quella clinica dal<br />
niente. Con le sue sole forze. Partendo da un minuscolo<br />
ambulatorio. Ora è una delle cliniche private più<br />
all’avanguardia. Mio zio e mio padre lavorano lì. Mio<br />
nonno lavora ancora lì. Ma per me vedevano una carriera<br />
da avvocato, quando era più che evidente da chi avessi<br />
ereditato la passione per la medicina. Non capisco proprio<br />
perché questa presa di posizione.<br />
Scesi dalla macchina prima che potesse aprirmi la portiera<br />
di nuovo e farmi sentire ancora più stupido di quanto già<br />
mi sentissi.<br />
442
Ormai avevo capito dove voleva arrivare e non mi piaceva<br />
affatto. Avevo capito anche perché tanta urgenza da<br />
Michele: se mio nonno mi avesse visto com’ero quando<br />
sono arrivato mi avrebbe scorticato vivo.<br />
> riuscii a dire mentre mi indicava di<br />
precederlo verso l’entrata ><br />
><br />
Salimmo muti fino al terzo piano. Mio zio Sergio ci stava<br />
già aspettando. Di certo mio padre l’aveva avvisato prima.<br />
Spalancò le braccia appena mi vide. Adoravo mio zio, ma<br />
non in quel momento, non per quello che stava per fare.<br />
Mi strinse forte fra le braccia, poi mi spinse un po’<br />
indietro e si mise fra me e mio padre, come a volermi<br />
proteggere da lui.<br />
> disse serio.<br />
Mio padre gli rispose con un’occhiata minacciosa, ma mio<br />
zio era fin troppo abituato a far valere le sue ragioni di<br />
fratello maggiore. Sapeva che mio padre non si sarebbe<br />
mai permesso di contraddirlo > aggiunse poi ><br />
Due ore?<br />
Sentii riaffiorare il senso di panico. Una nuova sensazione<br />
giunse poi a sovraccaricare il mio tormento. La nausea.<br />
Dio solo sa quanto avessi voglia di vomitare.<br />
Mio padre si perse per un momento sul mio pallore<br />
improvviso e forse questo lo convinse a lasciarmi andare.<br />
> mi disse severo.<br />
Feci di sì con la testa. Ero certo che se avessi provato a<br />
parlare sarebbe stato un disastro.<br />
443
L’ambulatorio di zio Sergio era più spaventoso di quello di<br />
mio padre. Lui è un eccellente ortopedico, si occupa<br />
soprattutto di sportivi di un certo livello. Mio zio invece<br />
era tutto il resto. Aveva passato la vita a studiare,<br />
racimolando una specializzazione dopo l’altra. È l’organo<br />
vitale della clinica. Mio nonno, è il cervello, e non solo<br />
perché è un neurochirurgo. Mio padre è il braccio, le<br />
gambe…<br />
Un corpo completo.<br />
L’idea generale che si era fatto mio padre era che avessi<br />
contratto chissà quale peste. Voleva la certezza che non ci<br />
fosse una sola cellula del mio corpo che non risultasse a<br />
dir poco perfetta.<br />
Mentre mio zio chiudeva la porta dello studio me ne stetti<br />
un po’ a guardarmi intorno, incerto. In fin dei conti non<br />
ero sicuro che assecondasse le folli paranoie di suo<br />
fratello.<br />
Appena si voltò a cercarmi con lo sguardo gli sorrisi<br />
istintivamente, ma la sua espressione era seria, accigliata.<br />
Non l’avevo mai visto così con me. Chissà che gli aveva<br />
raccontato mio padre?<br />
> esordii.<br />
> disse gelido.<br />
Mi rivoltò come un calzino. Tre ore intere di esami e<br />
controlli. Dentro e fuori. Tra una cosa e l’altra mi<br />
scombussolò tanto da farmi vomitare tre volte.<br />
Ero a pezzi quando mi mollò per permettermi di<br />
rivestirmi, mentre lui scrutava con attenzione la cartellina<br />
con i risultati degli esami del sangue.<br />
Mi girava la testa, non riuscivo neanche a chinarmi per<br />
allacciarmi le scarpe. Per reprimere un nuovo conato di<br />
444
vomito mi stesi sul lettino coprendomi gli occhi con<br />
l’avambraccio.<br />
> disse con tono più<br />
tranquillo.<br />
Avevo ragione io, non avevo niente che non andasse.<br />
Feci di no con la testa. Non riuscivo davvero ad aprire<br />
bocca.<br />
Si avvicinò per mettersi a sedere sul bordo del lettino. Mi<br />
posò il palmo della mano sulla fronte ghiacciata. Mi<br />
spostò il braccio per esaminare meglio il mio stato. Adesso<br />
sì che sembravo malato. Ero un cencio bianco sbiadito.<br />
Senza dire niente afferrò un cestino da terra con una mano<br />
e con l’altra mi tirò un po’ su la testa. Bastò questo a farmi<br />
perdere il controllo. Mi tuffai con la testa nel cestino e<br />
vomitai ancora.<br />
><br />
In effetti, aveva ragione. Iniziai a sentirmi subito meglio<br />
dopo.<br />
Mi allacciò le scarpe mentre me ne stavo un altro po’<br />
disteso.<br />
><br />
Feci di nuovo di no con la testa ><br />
Tenevo gli occhi chiusi per non vedere la stanza girare.<br />
Sentii le sue dita sul mio mento mentre mi guidava il volto<br />
verso di lui. Provai ad aprire gli occhi per guardarlo, ma<br />
mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo rannicchiandomi<br />
su un lato per dargli le spalle.<br />
Stupido!<br />
445
dal tono sembrava sorpreso e divertito allo<br />
stesso tempo ><br />
Stupido, stupido, stupido.<br />
><br />
Volevo scomparire.<br />
> sussurrò provando a voltarmi ><br />
> non mi accorsi da subito che stavo alzando<br />
la voce ><br />
Mi guardò un momento, poi scoppiò a ridere.<br />
><br />
><br />
Adesso ero io quello furente.<br />
><br />
><br />
><br />
Mi scappò un’imprecazione. Mi sentivo profondamente<br />
offeso dalla scarsa fiducia che proprio lui mi aveva<br />
dimostrato, credendomi capace di chissà quale follia ><br />
446
sbottò. Troppo sincero per non<br />
ferirmi.<br />
> non riuscivo più ad<br />
andare avanti.<br />
><br />
> la mia voce<br />
tuonò un po’ e lui, per reazione, si irrigidì mettendosi sulla<br />
difensiva.<br />
><br />
><br />
Avevo detto qualcosa di troppo.<br />
> tuonò ><br />
Non era davvero il momento di schierarsi dalla parte di<br />
mio padre.<br />
Mantieni la calma. Non è successo niente.<br />
><br />
Eh no! Adesso è davvero troppo! > non<br />
volevo alzare la voce, ma ero troppo, troppo arrabbiato.<br />
Mi alzai per lasciare l’ambulatorio. Non volevo più starlo<br />
a sentire. Volevo tornare a casa. Non volevo altro che<br />
tornarmene a casa.<br />
><br />
Avevo già la mano sulla maniglia della porta, dovevo solo<br />
far leva e uscire > dissi piano,<br />
cercando di moderare i toni e riportare un po’ di calma.<br />
447
Ero ancora rivolto alla porta. Gli occhi sulla maniglia.<br />
Esausto ><br />
448
42<br />
L’intromissione di Gabriel aveva sortito l’effetto contrario<br />
alle Loro aspettative.<br />
Chiedermi di lasciar morire Denise equivaleva a rendermi<br />
complice di quell’ingiusta condanna a morte.<br />
Non potevo accettarlo.<br />
La porta finestra del balcone della sua camera da letto era<br />
socchiusa. C’era un posacenere a terra. La sigaretta,<br />
consumata a metà, fumava ancora.<br />
Sentivo il suo respiro lento dall’esterno. Si era<br />
addormentata dimenticando la finestra aperta.<br />
Per fortuna non avvertivo la presenza degli Esecutori nelle<br />
immediate vicinanze. Il grosso del lavoro era stato fatto.<br />
Non restava che aspettare il momento più opportuno per<br />
concluderlo.<br />
Entrai senza fare rumore. L’interno era caldo e accogliente<br />
come l’ultima volta che vi ero stato. Sembrava passato un<br />
secolo da quella sera, mentre invece erano trascorse poco<br />
più di ventiquattro ore.<br />
Mi avvicinai al letto.<br />
Aveva gli occhi arrossati di pianto.<br />
Posai la busta sul comodino, in modo che non potesse non<br />
vederla al suo risveglio. Mi tremava la mano, tanto che per<br />
farla rimanere in piedi fui costretto a diversi tentativi<br />
andati a vuoto. Mi rassegnai a lasciarla semplicemente di<br />
piatto, nella speranza che se ne accorgesse o che non la<br />
spingesse via con qualche gesto maldestro durante la<br />
nottata.<br />
Non potevo fare di più. Dovevo solo tornare a casa e<br />
attendere una sua risposta alla mia lettera. Sempre che<br />
449
avesse avuto ancora voglia di parlare con me dopo quello<br />
che le avevo fatto.<br />
C’è ancora tempo!<br />
L’ultima cosa che avrei voluto fare, Denise, era<br />
spaventarti, deluderti.<br />
Mi dispiace che sia andata a finire così. Ho sbagliato io,<br />
avrei dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma a quanto pare<br />
non ho ancora imparato la lezione.<br />
Sono stato imperdonabile nel nostro ultimo incontro, ma<br />
credimi se ti dico che ho reagito così solo per paura. Non<br />
per me, perché se avessi un briciolo di coraggio nel cuore<br />
avrei messo fine alle mie pene molto tempo fa. Ho avuto<br />
paura per Thomas, lui è ancora troppo piccolo per<br />
affrontare questo tipo di vita. Ho giurato a me stesso che<br />
non avrei mai permesso che il mio bambino ereditasse il<br />
mio destino. Per lui ho messo da parte l’odio e il rancore<br />
per permettergli una vita migliore della mia. Sono due<br />
anni e mezzo che vivo con questo peso sul cuore e mi sento<br />
ogni giorno peggio.<br />
Per un momento, con i tuoi assurdi ma deliziosi modi di<br />
fare, mi hai ridato un barlume di vita che era spento da<br />
troppo tempo e che credevo non tornasse più a brillare.<br />
So che è tardi per chiedere scusa.<br />
Sono molto impulsivo e agisco troppo spesso d’istinto,<br />
senza pensare. Mi rendo conto d’averti giudicato male; mi<br />
rendo conto di non averti dato neanche l’opportunità di<br />
spiegarti; mi rendo conto d’aver sbagliato e ora posso<br />
solo chiederti scusa.<br />
Durante la prigionia avevo la convinzione che una volta<br />
uscito da lì avrei fatto in modo che tutti sapessero, che<br />
tutti capissero come stavano effettivamente le cose. Volevo<br />
450
che, il Clan la smettesse di far guerra alla mia gente, alla<br />
mia famiglia.<br />
Non appena misi piede a casa però, la scena mostruosa<br />
che si presentò ai miei occhi mi disarmò completamente.<br />
Smisi di vivere per un anno intero, credendo di riuscire ad<br />
affievolire quel dolore, ma non fu così, perché è un dolore<br />
che proto legato all’anima.<br />
So che sai di cosa sto parlando.<br />
Avevo perso di vista il mio scopo, ma tu sei riuscita ad<br />
aprirmi gli occhi, sei riuscita a svegliarmi da questo lungo<br />
sonno, e ti ringrazio.<br />
Sono stanco di dovermi nascondere, Denise. Sono stanco<br />
d’avere paura, di dovermi guardare continuamente le<br />
spalle. Voglio iniziare a vivere, ma non sarà possibile<br />
finché non la smetteranno di darci la caccia.<br />
Devo polverizzare quel mito che ci perseguita da secoli.<br />
Devo salvare la vita di mio figlio e di tanti che, come lui,<br />
non hanno colpa d’essere nati quello che sono. Ma prima<br />
di tutto questo, devo salvare te da un destino che non ti<br />
appartiene.<br />
Perdonami se puoi.<br />
Dammi la possibilità di rimediare agli errori del mio<br />
egoismo.<br />
Alessandro<br />
451
452<br />
43<br />
Non vedevo Thomas da quasi sei mesi. Avevano<br />
festeggiato il suo primo compleanno a Febbraio ed io non<br />
avevo avuto il coraggio di fare neanche una telefonata.<br />
Non mi meravigliava che fossero tutti furiosi con me.<br />
La verità è che ero troppo concentrato a non pensare a lei.<br />
Pensare a Thomas significava ricordare ogni attimo dei sei<br />
mesi più felici di tutta la mia vita. Non potevo<br />
permettermelo. Era una debolezza pericolosa visto che<br />
programmavo ogni attimo delle mie giornate per non<br />
restare da solo a pensare al modo migliore per morire.<br />
Decisi di tornare in Italia solo quando mi ero sentito<br />
abbastanza forte da poter resistere.<br />
Tanto forte da sfidare mio padre l’ennesima volta.<br />
Non sono mai stato migliore di lui, in fondo. Solo più<br />
cocciuto, più insolente, irriverente. Ne ero consapevole,<br />
ma era un modo come un altro per sfogarmi, e lui era il<br />
mio parafulmine.<br />
Sei mesi sono tanti per un neonato. Cambiano giorno per<br />
giorno e a me nessuno avrebbe restituito il tempo perso,<br />
lontano da lui. Sei mesi della sua vita erano<br />
irrimediabilmente perduti per me. Lo avevamo lasciato<br />
che impara a indicare le cose e lo ritrovavo che si reggeva<br />
in piedi da solo. Non si era ancora lanciato a camminare<br />
senza appoggio, ma l’avrebbe fatto a momenti ed io avevo<br />
rischiato di perdermi anche quello.<br />
Era cresciuto. Somigliava sempre di più a lei.<br />
Inconsciamente avevo sperato di trovarlo cambiato<br />
abbastanza da non ricordarmela, ma aveva il suo stesso<br />
modo delizioso di fare il broncio, aveva i suoi stessi occhi
furbi, intelligenti, aveva perfino lo stesso odore della sua<br />
pelle.<br />
Riuscii a tenerlo in braccio solo qualche minuto. Pianse un<br />
po’ quando lo restituii a Beatrice. Tendeva le braccia verso<br />
di me, come se mi avesse riconosciuto dopo tutto quel<br />
tempo. Come se fosse possibile che avesse sentito la mia<br />
mancanza.<br />
Avevamo fatto molte riprese nel periodo trascorso tutti e<br />
tre alla Villa. Celine voleva registrare ogni momento del<br />
bambino per non far perdere niente alla sua famiglia così<br />
distante da noi.<br />
Durante la prigionia, mio padre aveva disposto per il<br />
rientro di Celine in Italia. Fu un violento periodo di<br />
agitazioni e sommosse fra gli Ancharos e il Clan. Mi<br />
credevano tutti morto, specie dopo le prime, inutili,<br />
settimane di ricerca. Solo Celine era sicura che fossi vivo.<br />
Era l’unica che riuscisse a sentirmi davvero, dopotutto.<br />
Mi hanno detto che faceva vedere i miei filmati a Thomas<br />
tutti i giorni. Gli parlava di me, di quanto li amavo e di<br />
come saremmo stati felici insieme quando sarei tornato da<br />
loro. Aveva continuato a riprendere e fotografare il piccolo<br />
come faceva quando eravamo insieme. A volte se lo<br />
sedeva sulle ginocchia, di fronte alla telecamera, e parlava<br />
con me. Mi raccontava come andavano le giornate, cosa<br />
facevano.<br />
Mio padre le aveva provate tutte per convincerla a non<br />
tornare a New York, ma lei era convinta che sarei tornato<br />
a giorni – probabilmente aveva avvertito i miei propositi di<br />
fuga – e voleva farsi trovare a casa nostra ad aspettarmi a<br />
braccia aperte. Voleva essere la prima persona ad<br />
abbracciarmi dopo tutto quel tempo. Il destino infame ha<br />
voluto che ci fosse qualcuno ad aspettare lei al suo ritorno.<br />
Vedere i suoi video è stata la prima cosa che ho fatto<br />
appena tornato a casa, prima ancora di vedere Thomas. Mi<br />
453
chiusi in camera per il resto della giornata senza vedere o<br />
sentire altri che lei.<br />
Speravo davvero che prima o poi il cuore avrebbe ceduto,<br />
assecondandomi.<br />
Passai la notte a guardare e riguardare i suoi sorrisi, a<br />
nutrirmi della sua voce, del suono delicato delle sue risate.<br />
Una notte passata a fare a brandelli quel po’ di spirito di<br />
sopravvivenza che ero riuscito a conservare con tanta<br />
fatica. Quella notte Celine mi avvelenò. Thomas - senza<br />
volerlo, povero piccolo! -, mi diede il colpo di grazia. Una<br />
pugnalata dritta al cuore.<br />
Non lo sapevo, ma la mia famiglia aveva disposto per la<br />
costruzione di una cappella apposta per lei. In stile<br />
romanico, sembrava il tempio di una Dea. C’erano dei<br />
meravigliosi fiori freschi dentro, quando andai al cimitero<br />
per vederla. Il profumo era un po’ forte per il mio olfatto,<br />
ma l’aroma era quello fresco di una casa abitata, non<br />
quello pungente e fastidioso, tipico dei cimiteri.<br />
Il marmo rosa degli interni era lucente alla luce del sole<br />
che filtrava indisturbato dalle vetrate. Solo il suo loculo<br />
era appena un po’ in penombra. Come se il sole diretto<br />
potesse infastidire le sue spoglie mortali. Chi, più di noi,<br />
può sapere quanto è sciocco tutto ciò. C’era solo un corpo<br />
di carne a marcire in quel loculo, non la mia Celine. Lei<br />
probabilmente era lì accanto a me, a soffrire della mia<br />
sofferenza. Però io amavo profondamente quel corpicino<br />
delizioso. E saperlo tutto solo, al buio, senz’aria, mi<br />
straziava un cuore già a pezzi. Lei odiava il buio, aveva<br />
paura perfino a stare in casa da sola di notte. Soffriva di<br />
claustrofobia. Non prendeva neanche l’ascensore se poteva<br />
farne a meno. E ora eccola lì, al buio, senz’aria.<br />
La lapide era posta sul pavimento, quasi al centro della<br />
cappella. In America si usa la sepoltura nel terreno e lei<br />
454
aveva espresso più di una volta il suo disappunto per il<br />
nostro uso italiano di porre i loculi uno sull’altro per<br />
guadagnare spazio nei cimiteri.<br />
Mi inginocchiai accanto all’angelo di marmo della lapide e<br />
posai il mazzo di fiori ai suoi piedi. Era una splendida<br />
statua a grandezza naturale. Un angelo dalle fattezze<br />
femminili, ad ali raccolte, seduto su una panchina a<br />
osservare con occhi curiosi una sfera di vetro con<br />
all’interno una farfalla posata su un giglio bianco.<br />
L’angelo aveva il suo volto, il suo corpo, il suo sguardo,<br />
rubato fra le tante riprese e fotografie conservate<br />
gelosamente. Mio padre aveva ingaggiato lo scultore<br />
migliore di tutti i tempi per realizzarlo. Un australiano di<br />
sessantacinque anni, che aveva fatto della scultura la sua<br />
unica ragione di vita. Aveva impiegato poco più di due<br />
mesi per finire quella che aveva definito “La migliore<br />
delle sue opere”.<br />
Eppure la mia Celine non era quel capolavoro di pietra<br />
candida. Il mio angelo era sepolto ai suoi piedi, ricoperto<br />
da chili e chili di terra scura. Ed era a quel pavimento di<br />
marmo che era rivolta la mia attenzione. A lei soltanto.<br />
La mano che carezzava il pavimento tremava visibilmente.<br />
Le prime lacrime iniziarono a bagnare il pavimento,<br />
evaporando quasi subito al calore del sole mattutino ><br />
455
456<br />
44<br />
Lasciai lo studio di Giorgio che era già buio. Lo avevo<br />
costretto agli straordinari quel giorno, ma dopo tutto<br />
questo tempo era diventato più un amico che uno<br />
psicoterapeuta, e si tratteneva volentieri a parlare con me.<br />
La sua vita noiosa di marito di famiglia, con una moglie<br />
troppo frivola per il suo intelletto assetato di sapere e una<br />
figlia troppo cresciuta per dare qualche scossone alla sua<br />
quotidianità, lo legava con avidità alla mia realtà<br />
travagliata. Io avrei volentieri barattato la sua piattezza<br />
con la mia bellicosa esistenza, ma lui continuava a ripetere<br />
che due anni di avventure valgono due secoli di banale<br />
routine.<br />
Punti di vista.<br />
Anch’io parlavo con piacere con lui. Mi ascoltava senza<br />
giudicare.<br />
È il suo lavoro, no? Nessuno pagherebbe duecento euro<br />
l’ora per parlare con qualcuno pronto a dirti che quello che<br />
fai è sbagliato. Ci sono i sacerdoti per questo!<br />
Ero riuscito a calmare un po’ la rabbia che si era scatenata<br />
alla vista del padre di Denise quella mattina all’università.<br />
Si era ripreso fin troppo bene quel maledetto.<br />
Era passato qualche giorno da quando le avevo consegnato<br />
la mia lettera di scuse. Non si era più fatta viva da allora.<br />
Sapevo che stava bene, perché la tenevo d’occhio di<br />
nascosto. Eppure mi aspettavo una telefonata. Ero<br />
arrogantemente certo che mi avrebbe chiamato.<br />
Era la prima volta che la vedevo arrivare a lezione<br />
accompagnata da suo padre. Che avesse mutato sentimenti<br />
nei suoi confronti era fuori discussione, ma forse era solo<br />
spaventata e usava qualche precauzione in più, visto che
credeva di dover ancora sfuggire a una coppia di gemelli<br />
che non desiderava altro che la sua morte.<br />
Passeggiavo lungo il marciapiede affollato, illuminato<br />
dalle vetrine dei negozi. La macchina non era lontana, ma<br />
volevo fare due passi per scaricarmi ancora un altro po’. Il<br />
freddo, di solito, mi aiuta molto.<br />
Un’ombra mi seguiva da quando avevo lasciato lo studio.<br />
Detesto essere spiato, soprattutto da Questa Parte.<br />
Accelerai il passo e cercai di seminarla fra gli scaffali di<br />
un supermercato.<br />
Le Ombre non possono entrare a contatto con la luce, che<br />
siano esse naturali o artificiali.<br />
Mi infilai nel corridoio del banco frigo e presi il cellulare.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Quando un’Ombra attraversa il Portale energetico per<br />
entrare nel mondo fisico non è mai per una visita di<br />
piacere.<br />
Le Ombre non sono altro che demoni preposti alla rottura<br />
dell’Equilibrio Divino.<br />
457
Mi spiego meglio: Sul mondo fisico niente avviene per<br />
caso. Vita e morte sono regolati da un preciso stato di<br />
Equilibrio energetico. Il mondo mortale può tollerare solo<br />
un determinato quantitativo di energia vitale. Un<br />
sovraccarico di questa porterebbe al collasso dimensionale<br />
che mescolerebbe il mondo fisico allo spirituale, creando<br />
una situazione di scompiglio tale da generare la<br />
distruzione del primo, che non sarebbe in grado di<br />
sorreggere il peso energetico del secondo.<br />
Gli angeli della Morte servono proprio a garantire questo<br />
equilibrio di forze. Come? Semplice! Se l’energia supera<br />
l’intensità massima con una o più nascite, il Giudice ha la<br />
visione dell’anima sacrificabile allo scopo. L’Esecutore<br />
esegue la sentenza e il Nocchiero trasporta lo spirito<br />
energetico in eccesso nell’Hahicòs.<br />
Per nostra fortuna, gli uomini sono perfettamente in grado<br />
di mantenere l’equilibrio da soli, uccidendosi a vicenda,<br />
ma nonostante questo, le nuove aspettative di vita dei<br />
mortali di questi ultimi secoli, ha intensificato il nostro<br />
lavoro.<br />
Al contrario però, un’eccessiva mancanza di Energia sulla<br />
terra porta a un collasso altrettanto pericoloso per gli<br />
umani, che nutrono le proprie anime proprio grazie a<br />
questa.<br />
La presenza di un Ombra sul mondo terreno, preannuncia<br />
sempre un disastro collettivo di dimensioni tali da<br />
determinare uno squilibrio sufficiente a portare al collasso<br />
dimensionale.<br />
Eruzioni, terremoti, uragani, alluvioni, incendi, tornado, di<br />
vaste dimensioni e intensità sono riconducibili tutti<br />
all’azione diretta di un’Ombra.<br />
Può succedere, anche se raramente, che l’Ombra influenzi<br />
la mente di uno o più umani per indurlo a commettere<br />
un’azione folle, che molto spesso termina con una vera e<br />
458
propria strage, se non ci sono le condizioni climatiche<br />
adatte a scatenare un fenomeno naturalmente devastante.<br />
Anche se i Comuni non se ne rendono conto, la terra è<br />
attaccata spesso da questi demoni e sta a noi - gli<br />
Ancharos a cui danno la caccia con così tanta insistenza –<br />
rimettere ordine per garantire loro un futuro che altrimenti<br />
non avrebbero.<br />
Chi crede che l’esistenza di un Angelo consista nel passare<br />
l’eternità a cantare e gioire dell’amore di Dio si sbaglia di<br />
grosso. Fosse solo questo non rimpiangerei continuamente<br />
di essere nato ciò che sono.<br />
Un Angelo deve sudarsele le sue ali, così come un<br />
Comune deve sudarsi il Paradiso.<br />
Senza contare che noi Ancharos di Sangue Puro dobbiamo<br />
anche riscattare l’imperdonabile affronto dei nostri avi.<br />
Uscii dal supermercato fingendo indifferenza. È la tattica<br />
migliore contro le Ombre. La certezza di essere state<br />
scoperte rischia di indurle ad agire prima di un nostro<br />
intervento.<br />
Attraversai la strada per raggiungere la macchina. Stava<br />
proprio seguendo me, non c’erano dubbi in proposito.<br />
Mentre attraversava a sua volta per raggiungermi, un<br />
gruppo di donne rischiò di essere investito da un folle al<br />
volante di un’utilitaria.<br />
Ovunque vada, l’Ombra si trascina dietro un flusso di<br />
morte che coinvolge chiunque si trovi nel suo raggio<br />
d’azione.<br />
Senza farmi notare, spinsi via l’utilitaria quel tanto da<br />
impedire l’impatto con quelle donne.<br />
I miei poteri crescono ogni giorno di più, man mano che<br />
mi avvicino ai temuti venticinque anni. Non so<br />
esattamente cosa accadrà quel giorno. Non ero ancora nato<br />
quando è accaduto a mio zio Sergio, e non ero in Italia<br />
459
quando è successo a Simone. Loro due, insieme a mio<br />
Nonno e Ivan sono gli unici Sangue Puro che conosco. Gli<br />
altri non vivono in Italia e ho avuto occasione di vederli<br />
solo di sfuggita durante uno dei lussuosi ricevimenti della<br />
mia famiglia.<br />
Quel che è certo è che ci sarà un profondo cambiamento.<br />
Spero solo che non sia troppo doloroso come la prima<br />
volta, quando il giorno del mio ventunesimo compleanno<br />
ho acquisito i miei pieni poteri di Nocchiero.<br />
Ma non voglio pensarci adesso. C’è ancora tempo, e<br />
comunque è un cambiamento che non posso evitare, tanto<br />
vale non pensarci affatto e continuare a vivere alla<br />
giornata.<br />
Quando sarà si vedrà.<br />
Mi trascinai dietro l’Ombra fino al confine del quartiere.<br />
Ci sono troppi Ancharos all’interno, L’Ombra non<br />
rischierebbe mai di essere scoperta per una leggerezza<br />
simile. Se ero davvero io il suo obiettivo, avrebbe atteso<br />
pazientemente che uscissi di nuovo. La fretta non è una<br />
delle sue caratteristiche.<br />
Salii di corsa le scale del palazzo senza aspettare che<br />
l’ascensore tornasse di sotto dal sesto piano.<br />
Avevo parcheggiato la Mercedes fra la Tuareg expedition<br />
di Stefano e la Viper di Nicola. Non vedevo la Porsche di<br />
Ivan però. Strano che non fosse ancora arrivato. In<br />
compenso, la Vanquish di Simone era parcheggiata sotto il<br />
suo palazzo.<br />
C’è anche lui. Credevo fosse a Londra.<br />
Meglio così. Col suo aiuto finiremo prima.<br />
Quando bussai al portone di Nicola venne ad aprirmi<br />
proprio Simone.<br />
Non mi diede neanche il tempo di entrare ><br />
460
><br />
> risposi entrando in<br />
salotto dove mi stavano aspettando gli altri. Avevo<br />
approfittato di un istante di distrazione del demone per<br />
scrutare la sua aura nera e leggerne le intenzioni, i<br />
pensieri, passati e presenti.<br />
Uno dei vantaggi di poter vedere le aure è quella di poter<br />
leggere in un attimo la loro intera esistenza come in un<br />
libro aperto. Non ci sono segreti che l’aura possa celare<br />
agli occhi di un Nocchiero. È un curriculum vitae<br />
impossibile da manomettere. Ogni azione passata, ogni<br />
pensiero formulato, resta impresso in modo indelebile<br />
come una traccia sul più moderno dei dvd, con l’unica<br />
differenza che l’aura non corre il rischio di smagnetizzarsi<br />
e perdere i dati registrati nel corso degli anni.<br />
Non mi piace spulciare nelle vite dei non Destinati, ma<br />
ammetto di averlo fatto di proposito più di una volta per<br />
tornaconto personale.<br />
Si ottiene molto di più dal prossimo se ne conosci i segreti.<br />
> mi chiese ancora Simone.<br />
><br />
><br />
Nicola mi indicò un posto libero sul divano accanto a<br />
Bruno. Mi misi a sedere, ma prima mi versai della Coca in<br />
uno dei bicchieri puliti sul tavolo.<br />
> chiesi.<br />
> rispose Paolo ><br />
Da quando mi ero tirato indietro con Denise, avevo<br />
lasciato tutto il peso nelle mani dei miei amici. Li avevo<br />
tirati talmente dentro da non dar loro neanche la possibilità<br />
461
di scegliere di rinunciare alla missione. Io avevo un<br />
motivo per mollare, ma loro? Loro no.<br />
La madre di Nicola entrò in salotto con un vassoio di<br />
stuzzichini. Il suo sorriso era così caldo e sincero da<br />
catturare l’attenzione di tutti.<br />
Clarissa la seguiva con una ciotola di patatine e un pacco<br />
di tovaglioli.<br />
> le chiesi, guardando male Bruno,<br />
accanto a me.<br />
><br />
Non mi disturbava la presenza di Clarissa fra noi. È una<br />
ragazza deliziosa, ma il pericolo continuo che correva<br />
standoci accanto mi spingeva a essere eccessivamente<br />
apprensivo con lei.<br />
Margherita mi avrebbe fatto a pezzi se mai le fosse<br />
accaduto qualcosa.<br />
Simone si schiarì la voce ><br />
C’è un solo modo per ricacciare un’Ombra negli inferi:<br />
infondergli tanta energia vitale da ucciderla.<br />
Per questo avevamo bisogno di essere in tanti. Uno solo di<br />
noi non ne contiene a sufficienza da poter cedere senza<br />
rimanerne ucciso a sua volta. Sempre che non ne abbia<br />
volutamente sottratta ad altri esseri umani per preservare<br />
la propria.<br />
L’Ombra che mi seguiva non era molto potente, in cinque<br />
avremmo dovuto farcela senza difficoltà a eliminarla.<br />
Le guerre, le rappresaglie, i conflitti e gli altri interventi<br />
diabolici degli ultimi anni, avevano già portato l’equilibrio<br />
sul bordo del baratro. Per un collasso non era necessario<br />
un intervento catastrofico, per questo era stata impiegata<br />
un’Ombra di secondo livello come quella.<br />
462
dissi ><br />
> intervenne Simone.<br />
Finché sei sotto tiro dobbiamo agire con cautela. Potrebbe<br />
attaccarti in qualunque momento: all’università, a casa dai<br />
tuoi, al centro commerciale, in strada… ovunque. È troppo<br />
rischioso.>><br />
><br />
><br />
><br />
Stefano posò il bicchiere di Coca sul tavolinetto basso<br />
davanti al divano ><br />
> osservò Bruno. ><br />
Anche Nicola era d’accordo con me ><br />
Simone si irritò ><br />
Tu no! Non hai niente da perdere. Non possono nuocerti.<br />
Odio dover essere proprio io a far notare certe cose, ma<br />
Simone in quel momento sembrava proprio non avere<br />
chiaro in mente un insignificante particolare ><br />
><br />
463
mi alterai ><br />
><br />
Scattai in piedi per portare la mia faccia a sfiorare quasi la<br />
sua ><br />
Non toglieva un istante il suo sguardo di sfida dal mio. ><br />
Scrollai la testa lentamente.<br />
Se fossimo stati fuori casa, sarebbe finita a pugni, senza<br />
dubbio, ma eravamo ospiti in casa di Nicola.<br />
Solo Marco riusciva a irritarmi più di quanto facesse<br />
Simone, il che la dice tutta sul nostro rapporto.<br />
Per fortuna in quel momento rientrò in salotto Clarissa.<br />
> chiese cercando la mia attenzione<br />
><br />
Come due gatti che si fissano negli occhi pronti ad<br />
attaccare alla prima distrazione dell’altro, così eravamo<br />
rimasti noi, immobili nell’attesa che uno dei due<br />
distogliesse lo sguardo dichiarando la resa.<br />
Ero pienamente consapevole della sua forza, sia fisica che<br />
spirituale. Di gran lunga più potente di me, se avesse osato<br />
usare i suoi poteri contro di me, mi avrebbe ucciso senza<br />
difficoltà.<br />
> mi richiamò Clarissa ><br />
Spostai lentamente la mia attenzione da Simone a lei,<br />
senza tuttavia abbassare la guardia.<br />
464
Bastò quel banalissimo scambio di sguardi a far riprendere<br />
il controllo si sé a Simone, che si voltò come se nulla fosse<br />
per tornare a sedere al suo porto vicino a Stefano.<br />
> chiese Bruno ><br />
Qualcuno suonò il campanello e un minuto dopo, Ivan<br />
fece ingresso in salotto.<br />
> chiese col suo solito sorriso<br />
sarcastico.<br />
Tutti gli altri si voltarono a guardare un po’ me un po’<br />
Simone.<br />
><br />
Sbuffai senza neanche tentare di nascondere l’irritazione<br />
><br />
><br />
><br />
Nicola si mise più comodo sulla poltrona, lasciandosi<br />
sfuggire uno sbadiglio. ><br />
><br />
><br />
Lo zittii con un gesto ><br />
Gli occhi di Bruno si illuminarono di eccitazione ><br />
465
Perfino Simone sembro compiaciuto all’idea ><br />
> mi implorò Bruno ><br />
Mio fratello non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere ><br />
A quelle parole l’interesse di Bruno si spostò<br />
completamente su di lui. > chiese euforico.<br />
Traditore!<br />
Sorrisi divertito ><br />
Stefano gli diede una pacca sulla spalla ><br />
Non che una Ferrari fxx fosse migliore o da meno a una<br />
Mercedes Hamann SLR Vulcano McLaren, ma Bruno<br />
sapeva che quando si trattava di spingere sul pedale<br />
dell’acceleratore io non facevo mai complimenti. Stefano,<br />
per i suoi venti anni, mi stava dietro abbastanza, ma non a<br />
sufficienza.<br />
Poco importava che fosse seduto su un motore da 660<br />
cavalli. Per lui prima di ogni altra cosa veniva la sicurezza.<br />
La tipica paura di chi teme la morte, dopotutto.<br />
Al contrario, io, con un motore V8 di 5,4 Litri da 626 hp<br />
di potenza, 780 Nm e un’accelerazione 0-100 di soli 3,6<br />
secondi, non mi facevo di certo scrupoli a spingere quel<br />
mostro fino a 348 km/h sull’autostrada deserta.<br />
L’ultima volta che avevo preso la SLR mi era costata la<br />
sospensione della patente per tre mesi, più uno aggiuntivo<br />
466
di mio padre, che non aveva ritenuto sufficiente mandarmi<br />
in giro a piedi per tutto quel tempo.<br />
Non fu difficile risalire a me. Il mio è un modello<br />
esclusivo. Rispetto alla versione di base, ha delle<br />
modifiche su carrozzeria e interni che sono state disegnate<br />
e applicate appositamente per me. Un perfetto connubio di<br />
fascino, eleganza e potenza. Un gioiellino da niente da<br />
oltre un milione di euro, come regalo per il mio<br />
ventunesimo compleanno. Avrebbe dovuto farmi<br />
dimenticare il dolore di quei giorni, anche se non è stato<br />
così.<br />
Bruno la chiamava “La ragazza”, perché diceva che<br />
quando la vedeva gli provocava la stessa eccitazione di<br />
una splendida donna. E anche se per il suo ventesimo<br />
compleanno gli avevamo regalato una SLK nera, come<br />
piaceva a lui, nonostante i rimbrotti e le minacce di morte<br />
di Margherita, il suo primo amore rimaneva sempre e<br />
comunque la mia SLR Vulcano.<br />
> propose Simone.<br />
Annuii ><br />
> disse Bruno scambiando un cenno d’intesa con<br />
Stefano.<br />
Ivan si fece un po’ in disparte ><br />
> chiese Nicola ><br />
arriveremo. Precedetemi di almeno un’ora, così avrete il<br />
tempo di sistemarvi. Io vi seguirò attraverso il segnalatore<br />
GPS sulla Ferrari di Stefano.>><br />
Mentre aspettavo, come previsto, che gli altri<br />
guadagnassero un certo vantaggio. Non riuscii a non fare<br />
un giro di ricognizione al quartiere nemico per controllare<br />
che Marta e Davide si fossero davvero allontanati per<br />
sfuggire l’Ombra.<br />
In piazza, un corteo di manifestanti, mi bloccò la strada in<br />
piena notte. I fuochi accesi in strada, cartelloni e striscioni<br />
in bella vista. Quello con scritto “No alla riforma<br />
Gelmini.” Era il più comune.<br />
Sfaticati! Troppo conveniente di re no. L’università, così<br />
com’è è una pagliacciata alla portata di tutti.<br />
Mentre cercavo di farmi largo fra quella folla di<br />
scansafatiche, i fuochi dei falò si agitarono liberando<br />
scintille. Alcune di queste avvolsero uno di quegli<br />
impersonali cartelloni, dandolo alle fiamme.<br />
In un istante, la curiosità di tutti per la mia auto, si rivolse<br />
all’incendio, così che si spostarono per farmi passare.<br />
Se fossi rimasto più a lungo, molto probabilmente le<br />
fiamme si sarebbero propagate a vista d’occhio scatenando<br />
un vero e proprio inferno. Se non fossi stato io al centro<br />
del bersaglio dell’Ombra, probabilmente mi sarei fermato<br />
a dare un’occhiata da vicino, ma avevo altri impegni per<br />
quella sera.<br />
Non mi preoccupai dell’ammonimento del Clan di non<br />
oltrepassare il confine. Se anche ci avessero provato, non<br />
sarebbero riusciti a starmi dietro. Di certo non quella notte,<br />
non con un fuoristrada.<br />
La stanza di Denise era illuminata all’interno. Non era<br />
difficile immaginare perché a quell’ora non stesse ancora<br />
468
dormendo. La macchina di suo padre era parcheggiata sul<br />
vialetto.<br />
L’incubo ricorrente era tornato.<br />
Fermai un momento l’auto l’ungo il vicolo. Volevo fare<br />
una corsa e dare un’occhiata, giusto per essere sicuro che<br />
quel bastardo tenesse le sue luride manacce a posto.<br />
Il motore in folle. Mi appoggiai completamente al sedile<br />
per trovare un po’ di concentrazione e un minimo di<br />
rilassamento. La strada era illuminata da molti lampioni su<br />
entrambi i lati. Difficile, se non impossibile, per l’Ombra,<br />
seguirmi fin lì e agire indisturbata mentre ero occupato<br />
nell’Hahicòs.<br />
Appena avvertii il tipico formicolio alle mani che sento<br />
durante il trapasso, chiusi gli occhi, ma dei colpetti sul<br />
finestrino mi riportarono indietro.<br />
Sussultai per il repentino cambio dimensionale. Sentii lo<br />
stomaco in gola e fui costretto ad aprire velocemente lo<br />
sportello per catapultarmi fuori e rigettare quel che restava<br />
della cena ai piedi della siepe della casa lì accanto.<br />
Fastidioso effetto collaterale. Soprattutto se il trapasso lo<br />
si compie in circostanze di estrema tensione emotiva.<br />
> disse Marco alle<br />
mie spalle > mi passò un pacchetto di fazzolettini<br />
di carta ><br />
Mi rimisi in piedi. Il respiro ancora un po’ affannato ><br />
ma il tanto che basta a confermare la mia ipotesi che siete<br />
un Setta di diabolici Assassini.>><br />
Spia!<br />
Alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa. Ero stanco di<br />
ascoltare di continuo assurdità come quelle ><br />
><br />
Stavo già per risalire in auto ma quell’ultima minaccia mi<br />
fece tornare sui miei passi. Mi voltai. Il mio sguardo<br />
colmo di sfida. ><br />
La mia proposta gli creò un po’ di confusione. Non se<br />
l’aspettava.<br />
><br />
> risposi con estrema serietà
Non saremo mai alla pari io e te, Marco. Fattene una<br />
ragione.<br />
Io vivo realtà che la tua mente mortale non potrà mai<br />
generare. Io vedo, sento, percepisco con sensi che l’uomo<br />
comune non possiede.<br />
Puoi uccidermi, ma non sconfiggermi, perché sono un<br />
Angelo della Morte.>> avvicinai il suo viso al mio<br />
attirandolo a me con la sua sciarpa stretta nel pungo > sillabai guardandolo rabbiosamente<br />
negli occhi.<br />
Potevo sentire l’odore pungente della sua paura,<br />
nonostante la sua espressione impassibile.<br />
Mollai la presa e feci qualche passo indietro. La sua<br />
pistola puntata contro di me.<br />
> la voce gli<br />
tremava.<br />
><br />
Una forte folata di vento gli strappò il berretto dalla testa.<br />
> esposi il petto allargando le braccia > gridai.<br />
Il boato dello sparo fece accendere le luci nella maggior<br />
parte delle abitazioni del quartiere.<br />
Denise si affacciò sul balcone, imitata da molti.<br />
Quando Marco trovò il coraggio di riaprire gli occhi, io<br />
ero ancora immobile al mio posto.<br />
> esclamò abbassando l’arma. Gli<br />
tremavano le mani.<br />
Denise aveva le mani al petto, gli occhi spalancati.<br />
Riuscivo a sentire i tonfi del suo cuore in accelerazione.<br />
471
isposi, prendendomi gioco<br />
di lui.<br />
Sollevai un braccio per salutare Denise, che non riusciva<br />
ancora a riprendersi dallo spavento.<br />
> salii in<br />
macchina e in meno di quattro secondi ero già fuori tiro.<br />
Sul marciapiede, un mucchietto di polvere. Il proiettile.<br />
Come previsto, raggiunsi i miei amici in un immenso<br />
campo da pascolo, in Toscana. Il paese più vicino era a<br />
circa 15 Km. A illuminare la notte stellata, solo la luna<br />
piena.<br />
Perfetto.<br />
L’Ombra mi seguì fin lì, senza nutrire il minimo sospetto.<br />
Piccola sciocca.<br />
Quando, correndo, raggiunsi il centro del campo, mi<br />
fermai.<br />
Ivan, Nicola e Simone, si manifestarono alla sua vista in<br />
quel momento.<br />
Appena l’Ombra si accorse di essere circondata, emise un<br />
acutissimo grido. Come migliaia di artigli su una lavagna.<br />
L’udito di Stefano e Bruno non avrebbe retto a quello<br />
stridere incessante, ma per fortuna erano rimasti in<br />
disparte per consentirci di lavorare senna doverci<br />
preoccupare della loro sicurezza.<br />
> esclamò Nicola, puntandogli davanti una<br />
mano a palmo aperto.<br />
Il flusso si manifestò sotto forma di un’intensa luce, che<br />
fece accasciare a terra il demone.<br />
Lo imitammo tutti.<br />
472
Le grida del demone si fecero ancora più acute, fino a<br />
cessare di colpo, perché sostituite dall’assordante<br />
frastuono di un’esplosione di energia pura.<br />
Luce e melma rossastra che imbrattò il campo per decine<br />
di metri, noi compresi.<br />
> borbottò Ivan ><br />
> dissi io<br />
><br />
Lo stomaco di Nicola non aveva retto a lungo. Era in<br />
ginocchio sul terreno bagnato e ricacciava quello che io<br />
avevo espulso neanche tre ore prima.<br />
> comunicò Simone ><br />
Lo seguimmo tutti fino alle auto, dove Bruno e Stefano ci<br />
aspettavano con impazienza.<br />
Avevamo portato degli abiti di ricambio, per non<br />
imbrattare anche le macchine.<br />
> chiesi<br />
strofinandomi via l’eccesso di melma fetida dai capelli.<br />
><br />
Sarebbe stata una tortura per il suo olfatto umano.<br />
Scoppiai a ridere.<br />
> chiese.<br />
Sorrisi ><br />
><br />
><br />
473
474<br />
45<br />
“Il tempo lava via il dolore.”<br />
Ho sentito ripetere questa frase non so più quante volte.<br />
Tutto falso. Chi soffre davvero, sa che non c’è un briciolo<br />
di verità in quelle parole.<br />
Si può imparare a convivere col dolore, questo sì, ma non<br />
smetterà mai di tormentarti. Se ne starà nascosto in un<br />
angolo, pronto a sbucare fuori al primo sguardo indiscreto.<br />
Erano passati quasi tre mesi da quando ero rientrato in<br />
Italia. Vivevo in villa con la mia famiglia. Uscivo di rado,<br />
se non per impegni di lavoro. Parlavo poco. Dormivo<br />
appena. Non mangiavo quasi niente. Bastava un nulla a<br />
farmi arrabbiare e ancora meno a farmi scappare via per<br />
non farmi vedere piangere.<br />
Thomas ormai camminava da solo. Era buffo vederlo<br />
barcollare nel costante tentativo di mantenere l’equilibrio e<br />
vincere la gravità che continuava a farlo cadere col<br />
sederino a terra. Ero orgoglioso del mio ometto. Se la<br />
stava cavando alla grande anche senza di me.<br />
Beatrice aveva una sorta di adorazione per Thomas.<br />
Dopotutto lo stava crescendo lei. Mai una volta, però, si<br />
era lasciata tentare dal desiderio di prendere il posto di<br />
Celine nella vita del bambino. Quando Thomas chiamava<br />
“Mamma” lei gli faceva vedere le foto di Celine o i video<br />
alla tv, indicandogliela. Non voleva che ne perdesse il<br />
ricordo.<br />
Ero riuscito a recuperare un minimo di rapporto con mio<br />
figlio nei mesi passati a casa. Cercavo di restare in villa il<br />
meno possibile, ma almeno riuscivo a rimanere nella<br />
stessa stanza con il bambino senza scappare via alla prima<br />
occasione. Avevo promesso a Celine che mi sarei preso
cura di lui. Ci stavo provando. Perfino i rapporti con mio<br />
padre sembravano migliorati. Avevo messo da parte il<br />
rancore per concentrarmi su altro e lui sembrava diverso<br />
con me quando non mi sforzavo di mandarlo fuori di testa.<br />
Nel frattempo mi ero anche iscritto all’università. Fino<br />
all’ultimo giorno per le iscrizioni ero sicuro che avrei<br />
scelto Archeologia. Ne avevamo parlato molto con Celine.<br />
Lei, dopo la nascita di Thomas, era ancora decisa a<br />
frequentare Medicina. Ci saremmo iscritti insieme,<br />
nonostante mio padre continuasse a fare inutili pressioni<br />
per una mia futura carriera giuridica. Con la sua morte<br />
però, avevo cambiato idea. Non me la sentivo di esaudire<br />
il nostro sogno da solo. L’unica opzione altrettanto<br />
interessante, per me, era l’Archeologia. Una passione che<br />
coltivavo da tanto, oltre la medicina.<br />
Una mattina, infatti, mi recai direttamente alla segreteria<br />
di facoltà per consegnare i moduli d’iscrizione. Avrei<br />
potuto iscrivermi in qualunque momento dell’anno,<br />
entrare, senza bisogno di test o quant’altro, in qualunque<br />
facoltà avessi scelto. La mia famiglia contribuiva troppo al<br />
mantenimento dei laboratori scientifici dell’ateneo per<br />
negargli un ingresso per vie traverse. Una fila di tre ore<br />
però mi diede tutto il tempo per riflettere seriamente e<br />
cambiare idea. Il giorno seguente consegnai la<br />
documentazione per l’iscrizione alla facoltà di medicina.<br />
Se dovevo imparare a vivere senza di lei avrei iniziato a<br />
farlo a piccoli passi, iniziando con qualcosa che potesse<br />
distrarmi davvero.<br />
Studiare non è mai stato un problema per me. Mi piace<br />
leggere, aggiornarmi, imparare. Sono troppo curioso per<br />
sentire lo studio un peso.<br />
Stefano aveva assecondato mio padre e, lo stesso anno, si<br />
era iscritto a Ingegneria. Io iniziavo con tre anni di ritardo,<br />
ma non mi importava granché, dopotutto il mio unico<br />
475
scopo era far trascorrere le ore, i giorni, gli anni, il più in<br />
fretta possibile. Non mi interessava altro. Non miravo a<br />
una carriera, non mi preoccupavo di dover trovare un<br />
lavoro per vivere, non desideravo una famiglia oltre quella<br />
che già possedevo. Volevo solo invecchiare e morire. Il<br />
tutto a una velocità spaventosamente allettante. Tanto ero<br />
già morto comunque.<br />
Del mio ventunesimo anno ricordo poco. Non ho molti<br />
ricordi, solo percezioni, frammenti di immagini di vita<br />
vissuta. So che passavo le giornate sui libri. Non mi<br />
perdevo un giorno di lezione, avevo una media<br />
impeccabile – e di questo non era responsabile il denaro<br />
della mia famiglia -. Sono diventato assistente del docente<br />
di Chimica perché me lo meritavo, non perché mi chiamo<br />
Renzi.<br />
Avevo smesso di sussultare al suono del mio cellulare. Il<br />
mio cervello si ostinava a sperare che un giorno o l’altro ci<br />
fosse lei all’altro capo del telefono.<br />
Mangiavo un po’ di più, anche se non era ancora<br />
abbastanza. Dormivo perfino, un paio di ore per notte.<br />
Riuscivo a tenere Thomas in braccio senza che il mio<br />
sistema nervoso ne risentisse troppo. Avevo addirittura<br />
ripreso a stuzzicare le ire di mio padre. Continuavo a<br />
sentire il mio letto troppo grande e troppo vuoto, ma<br />
cominciavo a credere che presto o tardi avrei imparato a<br />
convivere anche con quella sensazione.<br />
Fu una primavera breve. L’inverno era durato troppo e<br />
l’estate arrivò in anticipo. Volevo accelerare la percezione<br />
del tempo e, infatti, maggio arrivò prima che me ne<br />
accorgessi.<br />
Già pensavo a come avrei impiegato le mie giornate estive<br />
per non perdere il ritmo di impegni serrati che avevo con<br />
l’università. Il lavoro non mi occupava abbastanza tempo.<br />
Stefano mi propose di fare un viaggio tutti e cinque<br />
476
insieme: Nicola, Bruno, Clarissa e noi due. Giurava che ci<br />
saremmo divertiti, ma io non volevo divertirmi, volevo<br />
distrarmi e basta.<br />
Maggio 2008.<br />
Mi svegliai con gli occhi sul calendario col numero dodici<br />
cerchiato di rosso.<br />
Non sarei andato all’università quella mattina. Non sarei<br />
uscito da casa per tutto il giorno.<br />
Ma chi vuoi prendere in giro?<br />
Mi alzai dal letto trascinandomi fino in bagno. Il viso<br />
aveva ripreso colorito. I capelli erano ricresciuti, non c’era<br />
più traccia del demone oscuro che era rientrato in Italia tre<br />
mesi prima. Solo lo sguardo era lo stesso. Spento,<br />
riluttante alla rassegnazione.<br />
> dissi fissando la mia<br />
immagine allo specchio.<br />
Lasciai scorrere l’acqua della doccia mentre mi sfilavo i<br />
boxer per immergermi sotto il getto freddo che avrebbe<br />
dovuto svegliarmi.<br />
Avrei voluto trovare il coraggio e la forza di dormire per le<br />
prossime ventiquattro ore e fingere che quel giorno era<br />
stato saltato, assente dalla memoria collettiva<br />
dell’umanità. Come un ventinove di febbraio mai esistito.<br />
Se proprio volevano cancellare un giorno dalla vita degli<br />
uomini, perché non ne sceglievano un altro? Perché non<br />
eliminavano il dodici di maggio? Mi andava bene anche<br />
eliminarne uno ogni due anni, non era poi così grave<br />
sopportarne qualcuno di tanto in tanto. Avrei potuto<br />
facilmente tollerarne uno ogni due anni, ma non di più.<br />
Passano troppo presto trecentosessantacinque giorni se<br />
tieni premuto l’acceleratore sulla macchina del tempo.<br />
Felice anniversario, Amore!<br />
477
Thomas dormiva ancora quando entrai in camera sua<br />
quella mattina. Ha la mia stessa abitudine di dormire a<br />
pancia in giù con un braccio sotto il cuscino. Il suo respiro<br />
leggero, regolare, era l’unico suono a disturbare il silenzio<br />
pacifico nella stanza. Mi avvicinai al lettino lentamente.<br />
Non volevo che si svegliasse, volevo solo stare un<br />
momento a guardarlo dormire, come facevo con Celine<br />
quando non riuscivo a prendere sonno e passavo la notte a<br />
imprimere nella memoria ogni più insignificante dettaglio<br />
del suo bel viso.<br />
Non resistetti a lungo alla tentazione di stringermelo un<br />
po’ al petto, così lo sollevai delicatamente e mi misi a<br />
sedere sulla sedia a dondolo che usavamo per cullarlo<br />
quando era piccolo piccolo. Si mosse un po’, aprendo gli<br />
occhi, ma appena mi riconobbe tornò a rilassarsi e a<br />
dormire, appoggiando il visetto al mio petto.<br />
Il mio ometto!<br />
Non riuscivo a trattenere le lacrime. Mi faceva troppo<br />
male starmene in quella stanza senza di lei.<br />
Le prime notti, quando, esausta, riuscivamo a mettere il<br />
piccolo a dormire, la facevo sedere sulle mie ginocchia e<br />
tenendola stretta a me la cullavo dolcemente fino a quando<br />
riusciva ad addormentarsi, poi la riportavo in camera<br />
nostra e rimanevo a guardarla incantato per ore.<br />
Ho avuto bisogno di lei dal primo momento in cui l’ho<br />
vista, questa è la verità. Non so spiegarmi il perché. Forse<br />
è pazzia, ma non ho mai saputo farne a meno.<br />
Nella mia mente avevo mille paure, mille preoccupazioni<br />
per il futuro, ma mai una volta avevo preso in<br />
considerazione l’ipotesi che potessi sopravviverle. Ero<br />
certo che finché mi fosse rimasta accanto non avrei<br />
permesso a nessuno di farle del male. Non mi ponevo il<br />
478
problema perché ero sicuro che, se si fosse presentata<br />
l’occasione, avrei dato la mia vita in cambio della sua.<br />
Un sussulto più forte degli altri, fece svegliare Thomas.<br />
Mi asciugai svelto il viso.<br />
> disse con la sua voce d’angelo. Sorrise.<br />
Mi sforzai di rispondere ><br />
Tentò di afferrare con la manina una lacrima che scendeva<br />
indisturbata sulla mia guancia.<br />
><br />
balbettai con voce rotta. Le sue braccine si strinsero al mio<br />
collo ed io lo riempii di baci, fra un singhiozzo e l’altro > lo feci sedere sulle ginocchia per guardarlo.<br />
Lui mi fissava con curiosità. Non sorrideva più. Avvertiva<br />
il mio stato d’animo, ma non capiva perché stessi così<br />
male.<br />
Papà ti vuole un mondo di bene, cucciolo. Non<br />
dimenticarlo mai. Anche se un giorno ti sembreranno<br />
assurdi e crudeli tanti miei atteggiamenti, ricorda che tu<br />
non ne hai nessuna colpa. Sei il regalo più bello, più<br />
prezioso che…<br />
Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi per non aver<br />
saputo mantenere la promessa che vi ho fatto. Credevo di<br />
essere abbastanza forte, ma…>> lo strinsi di nuovo a me<br />
><br />
Beatrice entrò poco dopo. Avevo messo Thomas a giocare<br />
nel box, per andare in bagno a rinfrescarmi il viso<br />
accaldato.<br />
Ero a pezzi, non riuscivo a smettere di piangere e quando<br />
entrò in bagno mi trovò col viso nascosto nelle mani, in<br />
ginocchio ai piedi del lavandino.<br />
Si inginocchiò accanto a me e mi abbracciò con forza. Non<br />
disse niente. Non c’era bisogno di dire niente. Lasciò solo<br />
che sfogassi tutto il mio dolore col pianto.<br />
Quando sollevai lo sguardo, oltre la sua spalla, dalla porta<br />
aperta del bagno vidi qualcosa che mi fece ritrarre di<br />
scatto.<br />
Beatrice mi carezzò una guancia esangue, preoccupata.<br />
Scrollai la testa a occhi chiusi per scacciare via<br />
quell’immagine, ma quando li riaprii era ancora là.<br />
Mi alzai in piedi, con lo sguardo fisso sul bordo del letto<br />
accanto al box, come ipnotizzato. Il respiro affannato. Il<br />
cuore in accelerazione. Il passo incerto.<br />
><br />
La voce improvvisa di Beatrice mi spaventò,<br />
immobilizzandomi sulla soglia della porta del bagno. Gli<br />
occhi sempre fissi sulla figura seduta sul letto<br />
matrimoniale in fondo alla stanza.<br />
480
Perfino Thomas sembrava fissarla. Seduto con un T.Rex di<br />
gomma fra i denti, tendeva una manina verso il viso<br />
poggiato sulle braccia incrociate sul bordo in plastica del<br />
box. Si fissavano entrambi. D’un tratto poi, Thomas spostò<br />
il T.Rex da un lato e con un gran sorriso sulle labbra si<br />
alzò in piedi all’altezza del viso della figura, che<br />
continuava a guardarlo con dolcezza.<br />
> disse, saltellando come faceva sempre<br />
quando era contento di vedere qualcuno.<br />
Celine si alzò in piedi e Thomas sollevò le braccia per<br />
farsi prendere, ma lei si limitò ad accarezzargli il viso.<br />
Io assistevo alla scena impietrito. Sentivo la forza nelle<br />
gambe venire meno. Mi appoggiai allo stipite della porta<br />
per trovare un sostegno.<br />
Beatrice, dietro di me, mi osservava confusa.<br />
Non era la prima volta per lei sentire Thomas chiamare<br />
Mamma senza un motivo preciso.<br />
Celine si mise a sedere di nuovo e il bambino tornò ai suoi<br />
giochi come se niente fosse.<br />
Mi strofinai gli occhi con forza. Era sempre lì.<br />
È troppo assurdo. Non è possibile. Anche se fosse scaduto<br />
il tempo non potrei comunque vederla se sono da Questa<br />
Parte.<br />
È un’allucinazione! La mia mente è talmente concentrata<br />
su di lei che i ricordi e i pensieri stanno ingannando il<br />
cervello, che ne proietta un’immagine nella realtà,<br />
convincendo i sensi a percepire come reale un desiderio<br />
inconscio persistente.<br />
Sì, è un’allucinazione, non può essere altrimenti.<br />
Le gambe sembravano due tronchi di piombo mentre<br />
arrancavo per avvicinarmi alla mia fantasia. Mi<br />
separavano da lei solo una manciata di passi, eppure man<br />
mano che i due metri di distanza diventavano pochi<br />
481
centimetri, la sua immagine, invece di diventare più nitida,<br />
si dissolveva come nebbia sotto i miei occhi, fino a sparire<br />
del tutto quando raggiunsi il bambino.<br />
L’affanno divenne quasi soffocante e il cuore, impazzito,<br />
mi provocava delle fitte violente che mi fecero accasciare<br />
ginocchia a terra e mani al petto.<br />
Faticavo a respirare e ogni nuova boccata d’aria faceva<br />
nascere dolori sempre più acuti. Il battito, dapprima<br />
accelerato, era diventato pericolosamente irregolare.<br />
Passava dalla tachicardia alla quasi assenza di pulsazioni<br />
per più di due o tre secondi.<br />
Beatrice mi aiutò a stendermi sul letto, prima di chiamare<br />
mio padre, di turno in Clinica quella mattina.<br />
Tutta quell’agitazione aveva scosso Thomas, che si era<br />
messo a piangere.<br />
Stefano entrò in stanza credendo che non ci fosse nessuno<br />
col bambino.<br />
> chiese quando mi vide in<br />
quello stato.<br />
><br />
><br />
><br />
Salì sul letto per starmi accanto, mentre Beatrice bagnava<br />
un asciugamani per rinfrescarmi il viso sudato. Ma io non<br />
avevo caldo. Stavo gelando. Il sangue fluiva troppo<br />
lentamente a causa del rallentamento cardiaco. Avrei<br />
voluto dirglielo, ma non riuscivo a parlare, ero troppo<br />
concentrato a sentire il mio cuore fermarsi e aspettare che<br />
ricominciasse a battere.<br />
Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Era inevitabile<br />
che si arrendesse. Troppa pressione, troppo stress, troppo<br />
dolore. Era solo un muscolo, dopotutto. Bastava solo che<br />
anche il cervello cedesse, procurandogli uno shock<br />
482
abbastanza forte da dargli uno scossone tale da rompere il<br />
ritmo, a sufficienza da mandarlo in confusione fino a<br />
bloccarlo. L’avevo sperato, quando ero stato troppo<br />
codardo da darmi la morte da solo, ma non immaginavo<br />
che fosse così doloroso.<br />
Avevo già programmato di provarci quella stessa mattina.<br />
La pistola era ancora sul pavimento del bagno, carica<br />
dell’unico proiettile che mi avrebbe dato la morte. Ero<br />
entrato in camera di Thomas proprio per dirgli addio. La<br />
credevo la decisione migliore per tutti. Si sarebbero<br />
rassegnati presto e Thomas non sarebbe cresciuto col<br />
tormento di vedere un padre troppo impegnato a tenere in<br />
vita se stesso piuttosto che occuparsi di lui. Non volevo<br />
che provasse nei miei confronti la stessa rabbia che<br />
provavo io per mio padre.<br />
Avevo resistito abbastanza, avrebbero dovuto<br />
concedermela quella pazzia, ma non ero stato tanto forte<br />
per metterla in atto. Non ero stato abbastanza egoista per<br />
farlo. Perché è solo l’egoismo che ti da la forza di spezzare<br />
il cuore di chi ti sta accanto e ti vuole bene. Riesci a<br />
ucciderti solo se riesci a fregartene del male che procurerai<br />
col tuo gesto. Io non ce l’avevo fatta.<br />
Sentivo il cuore battere sempre più lentamente e il freddo<br />
avvolgere gli arti tanto velocemente da farmi battere i<br />
denti. Davo le spalle a Beatrice, ma Stefano mi era di<br />
fronte e se ne accorse. Mi coprì con la coperta e il<br />
piumone della sua parte del letto.<br />
Sono un Ancharos, un Angelo della Morte, eppure,<br />
nessuno, in quasi ventidue anni, si era mai premurato di<br />
spiegarmi cosa significasse davvero morire. Cosa si<br />
sentisse subito prima. Come percepisse il corpo<br />
l’abbandono dell’anima. Forse perché ogni morte è diversa<br />
dalle altre. Ogni corpo è diverso e reagisce in modo<br />
diverso. Oggi però so che quello stranissimo freddo è<br />
483
comune in tutti. C’è chi lo percepisce per un istante<br />
appena, chi più a lungo, ma è lo stesso identico freddo che<br />
sentono tutti. È il vuoto lasciato dal calore vitale<br />
dell’anima. È il freddo della Morte. Quello che,<br />
successivamente, imparai a conoscere col nome di<br />
Mènhin.<br />
Sono in grado di raccontare cosa successe dopo la mia<br />
dipartita perché potevo vedere tutto dall’esterno del mio<br />
corpo.<br />
È una sensazione strana, e detto da me è bizzarro, perché<br />
faccio avanti e indietro dal regno dei vivi a quello dei<br />
morti in continuazione. In quella circostanza però fu tutto<br />
molto diverso, perché quando compio il trapasso, la mia<br />
anima resta comunque legata al corpo e non mi permette<br />
un’osservazione oggettiva di me stesso nel mondo fisico.<br />
Non sono in grado di vedere il mio corpo quando sono<br />
nell’Hahicòs.<br />
Quella mattina invece, il cordone d’argento si era<br />
sfilacciato fin quasi a spezzarsi. Se si fosse rotto del tutto<br />
non avrei mai potuto tornare indietro come invece è<br />
accaduto.<br />
Quando mio padre fece irruzione in stanza, il mio cuore<br />
aveva smesso di battere completamente. Non respiravo più<br />
da un paio di minuti e Stefano mi soffiava aria nei<br />
polmoni, che gonfiavano il torace artificialmente.<br />
Mio padre non perse neanche tempo a chiedere cosa fosse<br />
successo. Mi trascinò a terra e iniziò a premere<br />
ritmicamente con forza sul mio petto. Zio Sergio era<br />
tornato a casa con lui. Rimaneva in piedi vicino alla porta,<br />
senza dire o fare alcun ché.<br />
Ma cos’hanno da guardare, tutti? Andate via. Lasciatemi<br />
in pace. E tu smettila di fissarmi in quel modo, i tuoi occhi<br />
mi innervosiscono. Credi di sapere tutto, di avere tutte le<br />
484
isposte, ma non mi conosci, e il tuo giudizio non può<br />
toccarmi.<br />
Hai le mani fredde.<br />
Cos’è, hai paura?<br />
Tanto è inutile, non riuscirai a farmi cambiare idea.<br />
Smettila di fissarmi ho detto, e tu abbassa la voce, sono<br />
stanco, ho bisogno di riposare. Ho bisogno di chiudere gli<br />
occhi, anche solo un istante. Sì, brava, così, visto che non<br />
è poi tanto difficile abbassare il volume?<br />
C’erano dei momenti in cui le immagini si facevano più<br />
sfocate e coincidevano con la strana sensazione di dolore<br />
che a volte avvertivo nel mio torace immateriale.<br />
Mia madre ormai riusciva solo a gridare. Stefano la<br />
stringeva forte a sé, in disparte, per lasciare spazio a mio<br />
padre e a zio, qualora avesse deciso di intervenire.<br />
> Non mi sentì,<br />
naturalmente, ma credo che non mi avrebbe dato retta<br />
neanche se l’avessi detto ad alta voce.<br />
Zio continuava a tenere gli occhi fissi su di me.<br />
> dissi ricambiando il suo sguardo.<br />
Mi aveva raggiunto nell’Hahicòs, per questo all’inizio il<br />
suo corpo mi era sembrato immobile, assente.<br />
> chiese avvicinandosi.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
485
Mio padre praticava ancora il massaggio cardiaco, ma ogni<br />
pressione diventava sempre più dolorosa per me ><br />
><br />
><br />
Sorrise.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> ammisi a testa bassa.<br />
><br />
><br />
Chinò la testa su una spalla, curioso ><br />
><br />
Guardò mio padre, poi mia madre e mio fratello, infine<br />
Thomas, in lacrime fra le braccia di Beatrice ><br />
No, certo che no.<br />
Scossi la testa.<br />
><br />
Rientrare fu molto doloroso. Il cuore era affaticato dalle<br />
continue sollecitazioni e lo sentivo bruciare. Le fitte erano<br />
così forti da farmi sussultare nella semi incoscienza.<br />
Ricordo che sentii risalirmi in gola qualcosa di pastoso e<br />
486
dal sapore acido. Avvertii le mani di mio padre quando mi<br />
prese il viso per voltarmelo di lato e permettere al reflusso<br />
di uscire anziché soffocarmi.<br />
Poi non ricordo altro.<br />
Sono svenuto.<br />
Si aspettavano una reazione del genere da un giorno<br />
all’altro. Mio zio e mio nonno avevano avvertito mio<br />
padre di tenermi d’occhio. Sapevano che avrei mollato,<br />
ancora prima che io decidessi di farlo. Ciò nonostante, mio<br />
padre si infuriò come mai prima d’allora. Era furioso<br />
all’idea che avessi davvero pensato di compiere un gesto<br />
così insanamente radicale.<br />
Quando qualche giorno dopo mi ripresi abbastanza da<br />
affrontare una qualunque conversazione con lui, provai a<br />
inventare una scusa per la presenza della pistola in bagno,<br />
ma senza successo.<br />
Ero in ancora debole e costantemente monitorato da un<br />
macchinario portato direttamente dalla sala di<br />
rianimazione della clinica. La scarsità di zuccheri nel<br />
sangue rendeva le mie balle decisamente poco credibili.<br />
Il non tentato suicidio, tuttavia, fu la goccia che fece<br />
traboccare il vaso, perché, neanche un’ora dopo essere<br />
stato dimesso, mio padre mi buttò fuori di casa. Disse che<br />
avrebbe provveduto il giorno dopo a procurarmi un<br />
appartamento dove stare, ma che da allora non avrebbe più<br />
voluto avermi in casa.<br />
> fu la risposta che diede a Beatrice quando gli<br />
chiese cosa gli passasse per la testa quando aveva preso<br />
quella decisione.<br />
><br />
ribatté lei.<br />
487
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Il pomeriggio dopo mi consegnò le chiavi del mio nuovo<br />
appartamento.<br />
Ammetto che il mio proposito suicida era svanito col<br />
tramonto del dodici maggio, ma ormai non c’erano più<br />
speranze di fargli cambiare idea. non mi avrebbe mai<br />
creduto.<br />
Ciò nonostante, non mi dispiaceva l’idea di andare a<br />
vivere per conto mio, ma a quanto pare non avevo<br />
compreso del tutto i termini del trasloco.<br />
Dopo il piccolo incidente di percorso mi ero ripromesso di<br />
impegnarmi sinceramente a rimettere insieme i pezzi rotti<br />
della mia esistenza. Volevo ricominciare tutto da capo, ma<br />
ciò non escludeva Thomas dalla mia nuova vita. Ero<br />
intenzionato a portarlo via con me. Per questo, quando mio<br />
padre si oppose a lasciarmi il bambino, scoppiò la lite più<br />
furibonda che avessimo mai avuto prima di allora.<br />
Arrivammo quasi alle mani.<br />
> gli ringhiai contro.<br />
488
Ricordo che era a metà altezza della scala dell’ingresso.<br />
Beatrice teneva Thomas in braccio. Spaventata più da cosa<br />
poteva succedere fra noi due che dall’idea che il bambino<br />
venisse con me.<br />
Mio nonno assisteva alla scena dal piano di sotto. Senza<br />
intromettersi, proprio come gli zii.<br />
> vociò mio padre.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Zio Sergio prese per la prima volta la parola dopo un<br />
battibeccare di quasi un’ora ><br />
><br />
Intervenne anche mia zia ><br />
Mia nonna sedeva con autorità sulla poltrona in salotto.<br />
Non si intrometteva in certe questioni.<br />
><br />
> difficilmente mio nonno si<br />
intrometteva nelle dispute di famiglia, ma se lo faceva era<br />
489
altrettanto difficile che accettasse opposizioni da parte di<br />
chiunque. ><br />
e dicendo questo guardò mio padre con severità ><br />
Provai a obiettare, ma me lo impedì prima ancora che<br />
pronunciassi la prima parola.<br />
><br />
Mio padre non aveva gradito l’intromissione, ma almeno<br />
la decisione del nonno appoggiava la sua. La storia<br />
dell’appartamento era solo una provocazione per farmi<br />
reagire in qualche modo. Non voleva davvero che andassi<br />
via. Era talmente apprensivo nei nostri confronti che era<br />
inconcepibile per lui l’idea di non potermi tenere d’occhio.<br />
Come venni a sapere il giorno dopo, l’appartamento era<br />
stato affittato per una settimana soltanto. Probabilmente<br />
voleva solo darmi una lezione. Mi avrebbe costretto a<br />
tornare in Villa subito dopo.<br />
Mi girava un po’ la testa. Non ero certo nel pieno delle<br />
forze. Barcollai sulle scale e cercai l’appoggio del<br />
corrimano, ma lo mancai e se non mi avesse sorretto mio<br />
padre, sarei caduto di sotto.<br />
> dissi subito scrollandomi le sue<br />
mani da dosso. Non c’era una sola persona dalla mia parte<br />
in quella casa.<br />
Ero nel giusto. Non ero mai stato così sicuro di esserlo<br />
come in quel momento. Tuttavia, continuavo ancora una<br />
490
volta ad averli tutti contro. Era profondamente umiliante<br />
per me.<br />
Scesi piano le scale fino all’ingresso. Il capogiro era<br />
passato, ed ero più infuriato di prima > gridai<br />
guardando uno per uno tutti i presenti, soffermandomi<br />
soprattutto su Stefano. Non sopportavo che mi voltasse le<br />
spalle proprio lui.<br />
Me ne andai dalla Villa subito dopo, sbattendo la porta.<br />
Mi rifiutai di rimettervi piede fino al giorno in cui<br />
accompagnai Denise in clinica per la distorsione alla<br />
caviglia.<br />
Vedevo Thomas al di fuori. Stefano lo portava spesso a<br />
casa mia. Beatrice mi invitava a uscire con loro, mi teneva<br />
informato.<br />
Col tempo ero perfino risuscito a riprendere a parlare con<br />
mio padre in toni quasi civili, ma la Villa per me rimaneva<br />
un tabù. Nonostante mi chiedessero ripetutamente di<br />
tornare, mi ero intestardito a fargliela pagare per tutto<br />
quanto.<br />
Ad alleggerire la tensione, qualche giorno dopo, era stato<br />
il fatto che inspiegabilmente scoprii di poter interagire con<br />
Celine anche se non erano ancora trascorsi quattro anni<br />
dalla sua morte. Potevo vederla, parlare con lei, toccarla<br />
perfino.<br />
I membri del Gran Consiglio attribuirono il fatto<br />
all’episodio inusuale del suo contagio. Aveva ricevuto<br />
talmente tanto del mio flusso vitale da rimanere legata a<br />
me in un modo così unico da annodare il suo spirito al<br />
mio. Questa era la causa che ci permetteva di avvertire i<br />
sentimenti l’uno dell’altra, di percepirne i pensieri e<br />
probabilmente di interagire nonostante le condizioni di<br />
isolamento dell’anima dopo la morte.<br />
491
A me bastava anche solo questo per ritrovare la felicità<br />
perduta, ma lei non era d’accordo. Voleva che mi rifacessi<br />
una vita. Voleva che non pensassi più a lei come una<br />
donna in carne e ossa, perché questo mi avrebbe impedito<br />
di aprire il mio cuore a un’altra donna.<br />
Come se io potessi desiderarne un’altra!<br />
Eravamo giunti a un patto. Lei sarebbe rimasta accanto a<br />
me per poter stare vicina a Thomas, ma niente di più. Si<br />
sarebbe fatta da parte il giorno in cui fosse entrata un’altra<br />
donna nel mio cuore. Il compromesso era che io avrei<br />
cercato di rifarmi una vita, mentre lei mi sarebbe rimasta<br />
accanto fino a quel giorno. Giurò però, che al mio primo<br />
passo falso sarebbe sparita per sempre dalle nostre vite.<br />
><br />
> disse <br />
Alla fine fui costretto ad accettare l’accordo.<br />
Tutto pur di averla accanto.<br />
492
46<br />
When you say you love me.<br />
Per te.<br />
You are loved (Don’t give up).<br />
You raise me up.<br />
Remember me.<br />
To where you are.<br />
Oceano.<br />
(Josh Groban)<br />
In ordine di preferenza, sono le canzoni preferite di Celine.<br />
Ricordo con piacere che mi costringeva a eseguirgliele al<br />
piano, ancora e ancora, fino a non poterne più. Una sera,<br />
scherzando, mi disse che se non gli fosse piaciuto come le<br />
suonavo, mi avrebbe lasciato per lui. Nella sua personale<br />
classifica, Josh veniva al secondo posto, subito dopo me.<br />
> mi confessò ridendo una mattina dei<br />
primissimi giorni insieme qui in Italia > rise, poi mi abbracciò, mentre le mie<br />
dita scorrevano ancora sui tasti > mollai i<br />
tasti per prenderla fra le braccia e baciare le sue labbra<br />
morbide e vellutate ><br />
> scherzai ><br />
><br />
493
ipresi a baciarla, frenando sul nascere<br />
qualunque altra sua domanda.<br />
Non la vedevo da quasi una settimana. Era sempre meno<br />
presente in quell’ultimo periodo. E già ne sentivo una<br />
mancanza straziante. Sapevo che si stava allontanando da<br />
me. Avvertivo la sua distanza, il suo sforzo disumano per<br />
starmi lantana.<br />
> aveva detto, e questo suo egoistico<br />
sacrificarsi mi mandava fuori di testa.<br />
Mi allacciai un’asciugamani attorno alla vita, uscendo<br />
dalla doccia, e mi misi a sedere davanti al piano.<br />
Quello che in principio era un suono saturo di collera e<br />
risentimento, mutò col tempo in una delicata melodia.<br />
Non avrebbe potuto resistere a lungo a quel richiamo. Era<br />
sempre stato così e sarebbe stato lo stesso anche quella<br />
mattina. Doveva essere così.<br />
Le cantai per te di Josh Groban, una delle sue preferite.<br />
Si dice che nessun mortale sia in grado di resistere al<br />
richiamo del canto di un angelo.<br />
Si dice il vero.<br />
Mi diede un bacio sulla guancia, mentre si metteva a<br />
sedere accanto a me sullo sgabello. Posò una guancia sulla<br />
mia spalla nuda e chiuse gli occhi, totalmente concentrata<br />
sulla musica.<br />
Suonai per oltre tre ore ininterrottamente. Non mi è mai<br />
piaciuto esibirmi in pubblico, nonostante sia consapevole<br />
delle reazioni che suscito nei mortali che mi ascoltano. Ma<br />
per Celine… avrei passato l’eternità a cantare solo per lei.<br />
494
Qualcuno di noi, ha fatto un business del proprio dono.<br />
Che si tratti di lirica o del rock più estremo, la voce di un<br />
angelo è inconfondibile. La riconoscerebbe perfino un<br />
sordo, scorgendola negli occhi incantati di chi la ascolta.<br />
E non aggiungo altro.<br />
A buon intenditor…<br />
> disse con la<br />
voce rotta dal pianto.<br />
Smisi di suonare all’improvviso, facendo piombare la<br />
stanza in un silenzio sepolcrale.<br />
><br />
Non voglio.<br />
> gridò in preda a una disperazione che<br />
non le avevo mai sentito prima ><br />
cercò protezione fra le mie braccia ed io la strinsi a me con<br />
così tanta forza che se fosse stata ancora in vita avrei<br />
procurato dolore alla sua carne mortale.<br />
Non ci riesco. È ancora troppo presto.<br />
Si staccò da me con freddezza ><br />
Non mi chiamava mai Alessandro.<br />
Non riuscivo a credere che fosse davvero lei a pronunciare<br />
quelle parole.<br />
><br />
mi prese fra le mani il viso contratto dal timore di ciò che<br />
avrei sentito da un momento all’altro
Mi fa soffrire vederti con altre donne, amore mio, non<br />
credere che sia così indifferente a ciò che ti succede, ma<br />
sto provando a farmene una ragione. Io ci sto provando,<br />
perché non puoi farlo anche tu? Si può amare di nuovo,<br />
Alex. Forse non con la stessa intensità, ma è pur sempre<br />
una forma d’amore. Non negarti questo piacere a causa<br />
mia e, soprattutto, non costringermi a guardare.>> ora<br />
piangeva di nuovo ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
496
47<br />
Si può davvero tornare ad amare? È proprio necessario<br />
tornare a farlo?<br />
Non mi sembrava di sentirne poi così tanto la mancanza,<br />
dopotutto.<br />
Ci avevo messo un po’ troppo a capirlo, è vero, ma alla<br />
fine credevo di essermela cavata abbastanza bene, no?<br />
Ero riuscito a ricucire insieme i brandelli e ricostruirmi<br />
una vita anche senza di lei.<br />
Studiavo, lavoravo, uscivo perfino a divertirmi con gli<br />
amici, avevo addirittura ricominciato a fare il padre.<br />
Perché chiedermi anche questo?<br />
Non faccio già abbastanza?<br />
Giorgio dice che, nonostante tutto, la mia vita di adesso è<br />
solo una proiezione falsata di ciò che potrebbe davvero<br />
essere.<br />
Il lavoro, lo studio, gli amici, Thomas, sono ancora pure<br />
distrazioni per non ricadere nel circolo vizioso di apatia e<br />
risentimento in cui ero piombato dopo la sua morte.<br />
> disse una<br />
sera, poco prima che uscissi dalla seduta settimanale ><br />
La verità? Non ne ho idea.<br />
Non glielo dissi però, anzi, non risposi affatto.<br />
> scosse la testa. C’era<br />
esasperazione nel suo sguardo
tuo corpo mortale a vagare senza meta in questa<br />
dimensione.>><br />
> risposi<br />
risentito, mentre uscivo dal suo studio, sbattendomi la<br />
porta alle spalle.<br />
Perché tutti si sentono in diritto di dirmi quello che devo<br />
fare?<br />
“Ale, esci. Ale, sorridi. Ale, mangia. Ale, dormi.”<br />
Alessandro di qua, Alessandro di là, Alessandro,<br />
Alessandro, Alessandro…<br />
Basta!<br />
Non ne posso più.<br />
Ho subìto un brutto colpo, è vero. Ho reagito piuttosto<br />
male alla morte di mia moglie, è vero. Ho bisogno d’aiuto,<br />
è vero anche questo, ma non è il caso di ripetermelo in<br />
continuazione. Soprattutto, non è il caso di starmi così<br />
addosso, soffocarmi con la loro costante apprensione.<br />
Pensavo a questo, quella sera, mentre gustavo una<br />
sigaretta, comodamente seduto sul davanzale della finestra<br />
della mia camera da letto.<br />
Per fortuna i propositi suicidi erano svaniti nel nulla dopo<br />
l’ultimo tentativo fallito.<br />
Riuscivo finalmente a godermi un panorama dall’alto<br />
senza essere distratto dall’opprimente tentazione di<br />
lasciarmi cadere nel vuoto.<br />
Avevo promesso a Giorgio che mi sarei sforzato di non<br />
fare progetti per il futuro. Un esercizio faticoso per uno<br />
come me, che per tutta la vita ha programmato sempre<br />
tutto, minuto per minuto.<br />
> aveva detto.<br />
Quella sera però era bastata una sigaretta a rilassare i nervi<br />
tesi e a farmi cadere nuovamente nello stesso errore.<br />
498
La prima sigaretta dopo oltre tre mesi. Come un bicchiere<br />
d’acqua dopo una corsa di due ore sotto il sole di agosto.<br />
Avrei smesso di nuovo il giorno dopo, ma quella sera ne<br />
avevo proprio bisogno. Specie dopo l’ultima discussione<br />
con Celine.<br />
C’eravamo lasciati con me che le urlavo contro di<br />
andarsene se proprio voleva. ><br />
Ero arrabbiato con lei. Capivo perfettamente il suo stato<br />
d’animo, ma non riuscivo a non sentirmi tradito,<br />
abbandonato.<br />
Per non pensare al futuro, si può solo pensare al passato.<br />
Ma come fa a pensare al passato chi desidera solo<br />
cancellarlo per sempre dalla propria mente?<br />
Non mi rimaneva che il presente quindi.<br />
Sigaretta, stereo acceso, rumori in strada in sottofondo,<br />
dispense di laboratorio caoticamente sparse sulla scrivania,<br />
profumo di sformato di patate e pollo arrosto proveniente<br />
dalla cucina.<br />
Oh, oh!<br />
Spensi il mozzicone di sigaretta nel posacenere e corsi in<br />
cucina a controllare la cena.<br />
Stavo tirando fuori la pirofila col pollo dal forno quando<br />
sentii bussare con insistenza al portone.<br />
E adesso che vuole quella paranoica?<br />
Solo la signora Simonelli bussa in quel modo. Ma non<br />
stavo facendo alcun rumore molesto quella sera. Lo stereo<br />
era a un volume assolutamente consono alle regole del<br />
condominio che le piace tanto citare.<br />
Aprii tenendomi pronto all’ennesimo attacco. > stringevo in pugno il canovaccio di<br />
stoffa che avevo usato come presina da forno, ma mi<br />
cadde a terra istintivamente quando mi trovai davanti<br />
499
Denise, col viso contuso e sporco di sangue. La tirai subito<br />
all’interno, senza neanche parlare. La accompagnai in<br />
salotto per farla stendere sul divano. Zoppicava.<br />
Corsi in bagno a prendere la cassetta del pronto soccorso e<br />
un panno bagnato.<br />
Mi inginocchiai sul pavimento, accanto a lei, poi,<br />
finalmente riuscii, a dire qualcosa ><br />
Domanda stupida, Alex.<br />
Faticava a parlare, ma non rispose soprattutto perché non<br />
riusciva a smettere di piangere.<br />
><br />
Lo avrei fatto. Senza pensarci troppo, proprio come mi<br />
aveva consigliato Giorgio. Più di tutto però, lo avrei fatto<br />
senza il minimo ripensamento, senza il più piccolo<br />
rimorso.<br />
Feci per alzarmi, ma lei mi trattenne per un braccio.<br />
> riuscii a dire ><br />
Sapeva che sarebbe corsa da me, dopo. Stava cercando lo<br />
scontro. Probabilmente aveva architettato tutto e già mi<br />
attendeva al varco con una decina dei suoi uomini.<br />
><br />
><br />
><br />
> singhiozzò ><br />
><br />
Si coprì il volto con le mani, senza rispondere.<br />
500
L’afferrai per le spalle per scuoterla e costringerla a<br />
parlare ><br />
Spostò le mani alle orecchie.<br />
La scrollai con più forza ><br />
All’improvviso si aggrappò a me con forza, affondando il<br />
viso nel mio petto. Era sotto shock.<br />
Io la abbracciai cercando inutilmente di reprimerne gli<br />
spasmi convulsi dei singhiozzi, ma la sua reazione a quel<br />
gesto d’affetto mi lasciò spiazzato.<br />
Iniziò a gridare in preda al panico. Non un grido d’allarme<br />
o di paura, era un misto di rabbia e angoscia insieme.<br />
Maledetto bastardo! Ma guarda come l’ha ridotta.<br />
Aspettai che si calmasse un po’, poi la lasciai esausta, in<br />
salotto, mentre andavo in camera da letto per recuperare la<br />
9mm dal cassetto del comodino.<br />
> le<br />
chiesi serio, quando tornai da lei.<br />
Annuì appena.<br />
Mi avvicinai per rimetterle al collo il medaglione ><br />
Spalancò gli occhi su di me ><br />
> risposi mentre infilavo<br />
il giubbotto all’ingresso.<br />
> la sentii gridare dall’altra stanza > poi sentii un gemito seguito da un<br />
tonfo sul pavimento. Aveva provato ad alzarsi, ma il<br />
ginocchio ferito aveva ceduto.<br />
501
La sollevai da terra ><br />
><br />
A quell’esclamazione seguì un interminabile silenzio. Con<br />
lei sospesa fra le braccia e dei colpi alla porta.<br />
Ce ne fosse uno che suoni il campanello.<br />
Adagiai Denise sul divano e andai a vedere chi era.<br />
><br />
Odiosa ficcanaso.<br />
><br />
><br />
Ma come ti permetti?<br />
><br />
><br />
Mi alterai un po’ più del dovuto ><br />
><br />
Io?<br />
> le feci capire gentilmente che la<br />
conversazione si sarebbe chiusa così e all’istante.<br />
><br />
><br />
Avvicinò minacciosamente il suo viso rinsecchito al mio.<br />
502
><br />
Arretrò di qualche passo, terrorizzata dal tono<br />
intimidatorio della mia voce ><br />
><br />
><br />
><br />
Per fortuna le ferite non erano nulla di grave. Il sangue<br />
perso dalle lacerazioni sulla tempia sinistra e sullo zigomo<br />
mi avevano fatto temere il peggio.<br />
Dopo averla convinta a mandare giù qualche boccone, era<br />
riuscita a prendere sonno.<br />
Per una volta Marco si era rivelato utile. Per proteggere<br />
Denise, aveva visto bene di lasciarle una pistola con cui<br />
difendersi in caso di attacco improvviso da parte nostra.<br />
Era con quella che Denise aveva trovato il coraggio di<br />
sparare, quando suo padre, quella sera, era tornato a casa<br />
dal lavoro, ubriaco e desideroso di sfogare la sua collera su<br />
qualcuno.<br />
Era stata una fortuna che il suo fratellino fosse dai nonni,<br />
perché, nello stato in cui era, avrebbe potuto prendersela<br />
anche con lui.<br />
La vittima designata di quella sera, però, era stata sua<br />
madre. Era per proteggere lei che Denise aveva provato a<br />
fermare suo padre che, per togliersela di dosso, l’aveva<br />
503
scaraventata giù per le scale, mandandola a sbattere prima<br />
contro un mobile sul pianerottolo.<br />
Vedere sua madre aggredita a quel modo, era stato per lei,<br />
come rivivere ogni istante dei soprusi subiti da quel<br />
maledetto. Era stato questo a darle la forza di tornare di<br />
sopra, afferrare la pistola di Marco e sparare.<br />
Potei vedere l’intera scena mentre dormiva. La sua aura<br />
era ancora intrisa di quel tetro ricordo.<br />
504
48<br />
Il suo respiro era regolare. Aveva gli occhi chiusi, ma la<br />
sentivo rigida fra le mie braccia. Non ero sicuro che stesse<br />
dormendo.<br />
> sussurrai per accertarmene, e lei spalancò<br />
gli occhi in un lampo. Mi fece sorridere e le accarezzai la<br />
fronte calda con un bacio > lo<br />
speravo più che altro, perché io era troppo stanco.<br />
Le guance le si tinsero di un pallido rossore > confessò.<br />
> la strinsi un po’ più forte a me ><br />
Affondò il viso imbarazzato nel mio petto.<br />
Non erano ancora trascorse ventiquattro ore dal salasso<br />
energetico che avevamo subìto per eliminare l’Ombra.<br />
Non avevo quasi chiuso occhio per tutta la notte, nel<br />
tentativo di respingere i mille pensieri che si affollavano<br />
rumorosi nella mia testa, impedendomi di trovare riposo.<br />
><br />
Tornò a sollevare lo sguardo su di me. Sentivo il suo cuore<br />
battere forse contro il mio.<br />
Era il caso di tornare seri per un momento. Il pericolo non<br />
era ancora passato. ><br />
Perfino nella penombra sembrò sbiancare e il cuore<br />
accelerò > balbettò.<br />
><br />
Mi guardò ancora un po’ insoddisfatta. Non era sufficiente<br />
come risposta.<br />
505
Sentii un tremore convulso percorrerle il corpo.<br />
Non avevo badato al modo, mi ero solo limitato a<br />
mostrarle la realtà dei fatti e questo doveva averla<br />
spaventata > le sollevai piano il mento<br />
per incontrare il suo viso. Aveva gli occhi lucidi ><br />
Stai zitto!<br />
Più parlavo per rimediare, più peggioravo la situazione<br />
spaventandola di più. Le posai le labbra sull’orecchio<br />
bollente ><br />
Tentò di parlare, ma la sua voce era ridotta a un filo,<br />
incerta dal tremore > chiese guardandomi dritta<br />
negli occhi per leggere la verità.<br />
><br />
Mi investì con un profondo sospiro ><br />
><br />
Adesso sì che era confusa.<br />
506
Avrei tanto voluto spiegarle, ma non trovavo un modo per<br />
dirglielo senza terrorizzarla ><br />
><br />
Non così! Non era così che volevo che la prendesse.<br />
Avrebbe dovuto solo rendersi più attenta e scrupolosa, non<br />
arrendersi a un destino che non era ancora compiuto. Mi<br />
accigliai, nervoso con me stesso non con lei, ma non<br />
riuscii lo stesso a controllare il tono duro della mia voce<br />
> sentivo<br />
che voleva scivolare via, così mollai la presa per<br />
permetterle di prendere le distanze > le ricordai, offeso ><br />
><br />
Cosa? > Ma che cazzo dici?<br />
Colse l’imbeccata mentre le veniva offerta. Balzò in piedi<br />
nella semi oscurità e iniziò a raccogliere furiosa i suoi<br />
vestiti dal pavimento.<br />
Bella mossa, Alex!<br />
><br />
Non avrei saputo dirlo meglio.<br />
Infilò i jeans prima di sfilarsi la mia maglietta per<br />
rimettere la sua ><br />
La fissavo silenzioso rivestirsi. Immobile. Volevo davvero<br />
che andasse via? Volevo davvero che tornasse tutto<br />
com’era prima di conoscerla?<br />
Tranquillo, è solo un bluff!<br />
507
Si alzò infilando le scarpe da ginnastica senza neanche<br />
preoccuparsi di averle una vicina all’altra prima ><br />
Ehi, guarda che sta andando via davvero.<br />
Aspettai che raggiungesse la porta d’ingresso. Sempre<br />
immobile al mio posto. Sentivo i suoi passi furiosi lungo il<br />
corridoio. Il mazzo di chiavi era nella ciotola di vetro sulla<br />
mensola del telefono. Lo sentii tintinnare nelle sue mani,<br />
mentre cercava quella giusta per aprire il portone chiuso.<br />
Al secondo giro nella toppa ero già su di lei.<br />
> la sollevai di peso per<br />
riportarla in camera da letto. Non mi importava che si<br />
dimenasse, che mi insultasse.<br />
La lasciai solo quando fui sicuro che potesse atterrare sul<br />
morbido. Le doghe in legno del letto cigolarono appena.<br />
Come una furia si mise in piedi in equilibrio sul materasso.<br />
Io dovetti indietreggiare per calmarmi un po’. Sentivo la<br />
mano scaldarsi fino a bruciare. Non avrei potuto toccarla<br />
oltre.<br />
> inveì.<br />
> suonava più come un ordine che<br />
come una richiesta. Ero troppo, troppo nervoso.<br />
Mantieni la calma. È tutto a posto! È tutto a posto!<br />
Camminavo per tutta la stanza nella speranza che un po’ di<br />
movimento riuscisse a calmarmi. Dovevo assolutamente<br />
toccare qualcosa e scaricare l’influsso di morte che si era<br />
accumulato nella mia mano. Afferrai con forza una mela<br />
nel cesto della frutta sul comodino e la tenni stretta finché<br />
non macerò fino a spappolarsi facilmente nella mia mano.<br />
Denise, impietrita, ancora in piedi sul letto, smise di<br />
respirare per qualche secondo. Senza prestarle attenzione,<br />
corsi in cucina per gettare il cadavere della povera<br />
malcapitata.<br />
508
Denise era seduta al centro del letto con le gambe<br />
incrociate quando tornai con un panno umido per togliere i<br />
resti di frutta marcia dal pavimento della camera da letto.<br />
Non mi aveva visto, ma avevo dovuto sacrificare un intero<br />
cesto di frutta prima di tornare da lei certo di non poterle<br />
fare del male.<br />
Ero chino a strofinare le piastrelle, ma sentivo il suo<br />
sguardo fisso su di me > chiesi ancora un po’ scosso.<br />
Era la prima volta che vedeva concretamente cosa sarei<br />
stato capace di fare se solo avessi voluto. Non era stato un<br />
bello spettacolo, specie se, come immaginavo, provava a<br />
figurare nella mente se stessa al posto di quella mela.<br />
> farfugliai alzandomi per tornare in<br />
cucina a riporre il panno sporco ><br />
Non rispondeva.<br />
Quando tornai da lei mi misi seduto sul bordo del letto.<br />
Avevo indossato un guanto di pelle da motociclista per<br />
rendere il palmo della mano inoffensivo. Denise lo fissò.<br />
> dissi calmo per rassicurarla – come se<br />
fosse stato possibile -. ><br />
><br />
Feci no con la testa. Non c’era bisogno di aggiungere<br />
altro. O sì? ><br />
Il materasso si mosse e un attimo dopo sentii le sue braccia<br />
attorno al mio collo, le labbra premute contro il mio<br />
orecchio per un sussurro dolcissimo ><br />
Mi tirò indietro dolcemente fino al centro del letto, dove si<br />
stese spalancando le braccia verso di me. Io raccolsi<br />
509
l’abbraccio e lasciai che si rannicchiasse contro il mio<br />
petto. I suoi capelli mi solleticavano il meno, così la tirai<br />
un po’ su per posare la guancia sulla sua fronte ><br />
> confessò<br />
tradendo la sua astuzia con un sorriso macchinoso ><br />
><br />
parlavo piano perché la macabra esibizione di poco prima<br />
mi aveva sottratto anche quel po’ di forze che mi erano<br />
rimaste ><br />
><br />
Il sonno mi annebbiava la vista. Volevo continuare a<br />
parlare, ma il mio cervello già agiva di volontà propria,<br />
rifiutandosi di collaborare.<br />
><br />
Mi sforzavo inutilmente di tenere gli occhi aperti. Vinto<br />
ormai da un dormiveglia irrequieto.<br />
Appena sentivo che stavo per abbandonarmi al sonno però,<br />
sobbalzavo per costringermi vigile.<br />
Lei ci provava a dormire, ma si svegliava a ogni mio<br />
scossone > sussurrò ><br />
><br />
><br />
510
Non era così. Marta e Davide sapevano dov’era. Un<br />
Esecutore può sentire l’odore della sua vittima a tre giorni<br />
di distanza. È una prerogativa necessaria per svolgere il<br />
lavoro senza intoppi. Massimo lo dice sempre “Occorrono<br />
tre giorni per morire. Uno per essere scelti, uno per essere<br />
trovati, uno per essere prelevati.”<br />
> dissi cercando<br />
di non dire una cosa per un’altra ><br />
><br />
Avevo gli occhi chiusi, ma sono certo che mi stesse<br />
guardando convinta che delirassi dal sonno.<br />
><br />
Non sarebbe cambiato molto per lei. A parte un<br />
momentaneo senso di nausea a cui, se era fortunata, si<br />
sarebbe abituata presto. Saremmo rimasti entrambi in<br />
quella stanza, su quel letto, solo in una dimensione<br />
parallela in cui il mondo esterno non poteva percepirci<br />
materialmente, Gemelli compresi. Poteva continuare a<br />
dormire, guardare la tv, andare in cucina a mangiare<br />
qualcosa, perfino uscire di casa se avesse voluto. Non<br />
poteva interagire con nessuno naturalmente, ma almeno<br />
non si doveva preoccupare di doversi guardare le spalle di<br />
continuo per timore di rimanere vittima del gioco crudele<br />
di quei due mocciosi. Infatti solo il Nocchiero può andare<br />
e venire dall’Hahicòs come e quando vuole, portando con<br />
sé chiunque voglia.<br />
Io, se non altro, potevo dormire qualche minuto tranquillo,<br />
almeno fino alle sei – ed erano già le cinque e mezza -,<br />
quando Massimo avrebbe fatto squillare insistentemente il<br />
mio cellulare fino a svegliarmi.<br />
511
chiese per prendermi in giro. Era<br />
proprio convinta che stessi parlando a caso nel sonno.<br />
><br />
><br />
Aprii gli occhi, così che capisse che ero perfettamente<br />
sveglio.<br />
Tremò.<br />
><br />
> era nervosa. Il cuore gli batteva<br />
forte.<br />
> ripetei più convinto > le sfiorai<br />
le labbra con un dito ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Serrai le labbra per non farmi sfuggire un sospiro<br />
contrariato.<br />
Rise ><br />
> Non lo era stato affatto. ><br />
512
Annuì accucciandosi a me. Io la strinsi forte intrecciando<br />
una gamba alle sue, e con un piccolo sforzo in più di<br />
quando lo faccio con una semplice anima, passai<br />
nell’Hahicòs.<br />
Le sentii lo stomaco ribellarsi. Allentai un po’ la presa per<br />
farla scivolare in posizione supina ><br />
suggerii.<br />
Era terrorizzata.<br />
> Sentii il battito<br />
irregolare e mi preoccupai di aver eseguito il trapasso<br />
troppo rapidamente ><br />
feci per alzarmi e andare in cucina a prenderle dell’acqua,<br />
ma appena sentì che mi stavo allontanando spalancò gli<br />
occhi spaventata.<br />
> le carezzai il viso sudato.<br />
> disse incespicando nelle<br />
parole. Come se la paura le avesse bloccato la lingua.<br />
><br />
> si stava calmando.<br />
> le asciugai la fronte con un<br />
lembo del lenzuolo ><br />
><br />
><br />
513
Continuava a guardarsi intorno in cerca di un dettaglio che<br />
le rivelasse anche la più insignificante differenza, ma<br />
sorrise, prima di darmi un bacio a fior di labbra ><br />
> ero certo<br />
che l’avrebbe fatto > stavo crollando ><br />
><br />
514
49<br />
Le chiavi dell’auto erano ancora sul tavolo della cucina<br />
quando mi svegliai. Dedussi che Denise avesse preferito<br />
fare due passi, visto che in casa non c’era. Non ero affatto<br />
in ansia, solo un tantino preoccupato di non riuscire a<br />
trovarla prima che Massimo perdesse troppo la pazienza.<br />
Scesi in strada a cercarla. Non si era allontanata. Percepivo<br />
chiaramente la sua energia, anche se non riuscivo a<br />
vederla.<br />
Avevo dimenticato di avvisare Denise di non toccare il<br />
mio cellulare. Mi aveva lasciato il suo, in carica, e preso il<br />
mio. L’idea di Denise che risponde al posto mio alla<br />
telefonata di Massimo mi faceva rabbrividire. Non<br />
c’eravamo lasciati proprio in buoni rapporti. Il mio<br />
voltafaccia l’aveva mandato su tutte le furie, ma lei non<br />
poteva saperlo. Non poteva immaginare che era stato suo<br />
fratello a decretarne la condanna a morte.<br />
La città era ancora assonnata, ma si stava animando,<br />
affollando le strade e complicando la mia ricerca. I<br />
lampioni si sarebbero spenti a minuti. Le fotocellule<br />
avrebbero presto captato la luce del mattino e azionato lo<br />
spegnimento automatico delle illuminazioni stradali.<br />
Le insegne dei negozi e dei bar, però, erano ancora accese.<br />
I soliti mattinieri si fermavano al bar all’angolo del mio<br />
palazzo per la colazione. Massimo non era sotto casa come<br />
le altre mattine. Forse Denise aveva davvero risposto alla<br />
sua chiamata infuriandolo al punto da andare via senza<br />
aspettarsi neanche una spiegazione convincente da parte<br />
mia.<br />
Un problema in meno.<br />
515
L’energia di Denise si faceva sempre più pressante. Si<br />
stava avvicinando. Probabilmente tornava a casa. Ma da<br />
che parte? Volevo andarle incontro, ma alla fine mi<br />
convinsi che era meglio aspettarla fermo in un posto per<br />
non rischiare di perderci di vista di nuovo.<br />
Sbucò correndo dal vicolo dell’università. Aveva l’aria<br />
preoccupata, così le corsi incontro per assicurarmi che<br />
stesse bene.<br />
> chiamò quando mi vide ><br />
Era preoccupata per il ritardo. Niente di più. Tirai un<br />
sospiro di sollievo e le sorrisi carezzandole la guancia<br />
accaldata dalla corsa.<br />
> aveva il cappotto<br />
sbottonato, come se lo avesse indossato di fretta prima di<br />
scappare a casa. Lo chiusi lentamente un bottone per volta,<br />
senza mai togliere lo sguardo dai suoi occhi penitenti ><br />
><br />
><br />
><br />
Annuii giocherellando con i suoi capelli scompigliati ><br />
Sorrise e mi prese per mano. All’inizio non si rese conto<br />
d’aver preso la destra, quella che un attimo prima era<br />
fasciata dal guanto di pelle, ma mentre ci avvicinavamo al<br />
bar lasciò la presa all’improvviso e si immobilizzò sul<br />
marciapiede.<br />
Se n’è ricordata!<br />
516
Risi aprendole la porta del bar per farla entrare ><br />
Le misi l’altro braccio intorno alle spalle e l’accompagnai<br />
al mio tavolo preferito.<br />
> le chiesi mentre le spostavo la sedia<br />
per accomodarsi.<br />
><br />
Sentivo i suoi occhi addosso mentre aggiravo il bancone<br />
per provvedere da solo all’ordinazione. Tornai al tavolo<br />
con un vassoio, caffè, cappuccino, latte macchiato, succo<br />
d’arancia e un piatto di brioches.<br />
> spiegai.<br />
> puntualizzò stizzita.<br />
Alzai gli occhi al cielo liberando un sospiro ><br />
><br />
><br />
><br />
Possibile che non capisse? Dovevo sedermi, avvertivo già<br />
odore di tempesta all’orizzonte ><br />
Avevo affondato il colpo, perché si stranì subito ><br />
Per istinto strinsi la mano a pugno sul ginocchio ><br />
cercai di non sembrare troppo serio, ma quei discorsi mi<br />
facevano sempre un certo effetto ><br />
><br />
517
><br />
><br />
Spalancò gli occhi lucidi su di me > precisò.<br />
> cercai la sua mano sul tavolo per stringerla<br />
nella mia ><br />
Per fortuna mi diede retta e pizzicò un cornetto integrale<br />
col miele.<br />
Un passetto alla volta.<br />
Il cappuccino era ancora bollente. Strappavo una bustina<br />
di zucchero dopo l’altra per renderlo dolce come piace a<br />
me, agitando di volta in volta il cucchiaino nella tazza.<br />
> dissi calmo.<br />
Dovevo deviare il discorso su qualcosa che la tenesse<br />
occupata abbastanza da non farle badare all’assenza<br />
d’appetito ><br />
Il viso le si illuminò di un tenero sorriso ><br />
><br />
Mi scrutò pensierosa. Un ghigno furbetto sulle labbra.<br />
Capii che aveva trovato la domanda quando si schiarì la<br />
voce > disse a voce bassa<br />
sporgendosi verso di me.<br />
Come se avesse potuto sentirla qualcuno. Trattenni una<br />
risata poco gentile e avvicinandomi a pochi centimetri dal<br />
suo viso bisbigliai ><br />
Si accorse che la stavo prendendo in giro e torno al suo<br />
posto lanciandomi un’occhiata minacciosa.<br />
518
A quel punto scoppiai a ridere davvero. Così forte che mi<br />
avrebbero sentito tutti in una situazione normale, ma<br />
naturalmente non si voltò nessuno ><br />
Sarebbe più credibile se la smettessi di ridere.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
> il cucchiaino scivolò<br />
a terra mentre la cameriera ci passava accanto. Fissai la<br />
cameriera al tavolo vicino sorseggiando il cappuccino<br />
fumante.<br />
Denise aveva abbassato la guardia ><br />
> chiesi indicando il<br />
cucchiaino che avevo raccolto da terra.<br />
Scattò in piedi come una molla puntando la cameriera.<br />
Per fortuna si era alzata, perché spruzzai fuori tutto il sorso<br />
di cappuccino che avevo in bocca.<br />
> strillò battendo i piedi come una<br />
bambina.<br />
Meschino, meschino, meschino!<br />
Non riuscivo a smettere di ridere ><br />
><br />
> la frenai. Non mi piace quella parola. ><br />
Obbedì sospettosa ><br />
><br />
><br />
519
><br />
Cercai parole semplici per spiegarle senza perdermi in<br />
troppe chiacchiere ><br />
><br />
><br />
><br />
> Puoi<br />
fare di meglio! > Prova con un esempio.
sono andato dietro il bancone del bar per prendere la<br />
colazione, il mio gesto è stato percepito solo da questa<br />
parte, le brioches sul tavolo in realtà, sono ancora al loro<br />
posto sul bancone, però tu qui puoi prenderle, gustarle<br />
perfino. Puoi rovesciare il succo d’arancia sull’abito di<br />
quell’uomo, ma sul mondo fisico lui non è mai stato<br />
neanche sfiorato. Non saprei come spiegartelo meglio.<br />
Anch’io ci ho messo un po’ per capire come funziona, ma<br />
la pratica, l’esperienza, mi hanno reso tutto molto più<br />
chiaro.>><br />
><br />
> sapevo di dovermi spiegare<br />
meglio, ma mi piaceva troppo confonderla. Le avevo<br />
promesso di fare il bravo però, quindi non la feci tribolare<br />
a lungo
asterebbe una settimana, ti basti sapere che un uomo<br />
dall’anima nera non è propriamente un santo.>><br />
><br />
> sorrisi.<br />
Un tremore la scosse ><br />
La fissai attento ><br />
><br />
Riflettei a lungo se rivelarglielo o no, ma ormai, non<br />
dirglielo l’avrebbe solo messa in apprensione ><br />
><br />
><br />
> mormorò.<br />
><br />
><br />
><br />
Si ammutolì. Avevo detto troppo, spaventandola come al<br />
solito.<br />
Il cellulare suonò inaspettatamente nella tasca della sua<br />
giacca facendola balzare in piedi.<br />
Tesi la mano, sorridendo, e me lo passò ><br />
risposi senza tirarla troppo per le lunghe > dalla reazione di<br />
Denise intuii che il mio viso doveva aver assunto<br />
un’espressione poco rassicurante ><br />
522
Dal cellulare la voce di Massimo tuonò forte quasi come<br />
in vivavoce ><br />
><br />
><br />
Per fortuna chiuse la comunicazione, perché nell’attimo in<br />
cui riagganciò scaraventai il cellulare contro la parete. Si<br />
ruppe, ma l’avrei ritrovato intatto sul comodino della mia<br />
camera da letto appena tornati indietro.<br />
Denise non respirava più da non so quanto tempo.<br />
Dimentica sempre di farlo quando si spaventa. Se non le si<br />
da’ una scossa rischia di morire soffocata senza neanche<br />
accorgersene.<br />
Mi presi qualche secondo per riordinare le idee e respirare<br />
a fondo.<br />
Dovevo sembrare inferocito, perché quando provai ad<br />
avvicinarmi, Denise indietreggiò<br />
> dissi sforzandomi a un tono<br />
rassicurante > l’abbracciai stretta,<br />
contro la sua volontà, frizionandole la schiena per<br />
scuoterla un po’ e farla tornare a respirare ><br />
Il suo torace prese a muoversi piano piano ><br />
sussurrò fra le lacrime.<br />
><br />
><br />
Ma come “No.”? ><br />
><br />
523
Era evidente che c’era qualcosa che non andava. Aveva<br />
ripreso a respirare, ma tremava come una foglia ><br />
> sbottò.<br />
Non mi riesce mai di essere convincente quando ne ho<br />
bisogno ><br />
Era troppo sveglia per quella misera menzogna. Scosse la<br />
testa quasi in un capriccio ><br />
Mordicchiarsi il labbro non è proprio quella che si può<br />
definire un’espressione convincente ><br />
><br />
Non poteva avermelo chiesto davvero, e comunque non<br />
avevo nessuna intenzione di rispondere. Non avrei ceduto<br />
neanche sotto tortura. Mi ero già fatto scappare troppo.<br />
Però non volevo neanche mentirle, non avrebbe avuto<br />
senso, quindi mi limitai a non rispondere. Le omissioni,<br />
però, non sono sempre la scelta migliore.<br />
> strillò<br />
categorica.<br />
> ribattei.<br />
> non capivo perché continuasse a<br />
guardarsi intorno allarmata ><br />
> vociai.<br />
> indietreggiò, incredula, come se fossi<br />
io il suo Esecutore ><br />
524
Deliri! Se no, perché mai ti preoccuperesti di uno stupido<br />
esame?<br />
> Ma come hai potuto anche solo<br />
pensare che avrebbe capito? Chiudi il becco una volta<br />
tanto.<br />
><br />
Paura, rabbia, rifiuto, consapevolezza, disperazione.<br />
> mi si lanciò fra le braccia combattendo<br />
contro gli spasmi violenti provocati dal pianto > gridava senza<br />
rendersene conto in preda allo shock!<br />
Ero stato proprio bravo!<br />
Le presi il viso fra le mani e la costrinsi a guardarmi. Non<br />
avrei potuto sembrare più serio di così > la strinsi forte<br />
a me ><br />
Un Rinnegato è un uomo senz’anima. È l’unica persona<br />
che può annullare la sentenza di morte di un Giudice. È un<br />
uomo che ha spontaneamente rinunciato a una vita eterna<br />
ultraterrena in cambio dell’immortalità fisica e dei due<br />
poteri più grandi: vita e morte. È l’unico uomo che non<br />
subisce le leggi divine. Egli è di per sé un Semidio in<br />
grado di interferire con le scelte dell’Onnipotente e del suo<br />
Nemico. Il Rinnegato infatti non parteggia per nessuno dei<br />
due, perché può rifiutare gli ordini di entrambi. Erano in<br />
dodici un tempo, ma una caccia sfrenata li ha ridotti a<br />
cinque esemplari soltanto. La caccia li ha resi diffidenti<br />
però. I sopravvissuti si nascondono e fanno di tutto per<br />
525
non dare nell’occhio - Come noi d’altronde -. Sanno che<br />
rivelarsi significherebbe morire. Oggi sono solo in quattro.<br />
Ne sono sicuro perché uno dei cinque l’ho ucciso io. Se<br />
non l’avessi fatto ora saprei dove trovarlo e Denise non<br />
avrebbe di che preoccuparsi, ma è andata diversamente e<br />
ora mi trovavo nella difficile condizione di dover<br />
rintracciare un uomo che, per quanto potevo saperne,<br />
avrebbe potuto tranquillamente trovarsi in una spelonca<br />
rocciosa nascosta nelle sabbie del Sahara. La sua assenza<br />
di aurea mi impedisce di avvertirne l’essenza. Potrei<br />
riconoscerlo solo se me lo trovassi davanti, ma è come<br />
cercare quattro aghi in un pagliaio: estremamente<br />
difficile…, ma non impossibile.<br />
526
50<br />
Ci sono ancora momenti, seppur ridotti a isolati brevi<br />
periodi, in cui il mio corpo fisico si ribella alla razionalità<br />
della mia mente turbata.<br />
Accade sempre più di rado, per fortuna, ma non manca<br />
mai di far sentire la sua mancanza, soprattutto nei<br />
momenti meno opportuni.<br />
Emerge come un corpo estraneo nello stomaco che vuole<br />
farsi strada fino in cima, aggrappandosi con gli artigli<br />
acuminati alla mia gola serrata.<br />
Lo riconosco perché è accompagnato da uno stranissimo<br />
cerchio attorno al cranio che sembra stringersi fino al<br />
punto di rottura.<br />
Il respiro si fa sempre più corto, costringendomi a<br />
prendere, lentamente, generose boccate d’ossigeno ed<br />
espellerle con altrettanta lentezza. Di solito, questo ritmo<br />
respiratorio riesce ad alleviare un po’ la sensazione di<br />
nausea che mi attanaglia in quegli istanti, ma non è mai<br />
abbastanza. Perché gli artigli sono ancora conficcati nella<br />
mia gola, il cerchio alla testa continua a rimpicciolire,<br />
tanto che se fosse reale riuscirei già a sentire le ossa<br />
scricchiolare, solo il respiro è diventato più regolare, solo<br />
la nausea è sparita.<br />
In passato, a questo profondo senso d’angoscia seguiva un<br />
pianto dirotto che riusciva a sfiancare il mio copro al<br />
punto da annientare qualunque altra sensazione.<br />
Col passare del tempo, però, ho capito che è molto più<br />
semplice combattere l’angoscia con la rabbia. Ha i<br />
medesimi effetti del pianto, lo stesso grado di<br />
sfiancamento fisico, ma è psicologicamente assai meno<br />
distruttiva.<br />
527
Il tono autoritario di Maurizio, quella mattina a telefono,<br />
non mi dava altra scelta che presentarmi a lavoro come<br />
voleva, ma prima dovevo trovare un posto sicuro dove<br />
Denise avrebbe potuto aspettare il mio ritorno.<br />
Arrivammo in Villa verso le otto e mezzo. Appena scesi<br />
dall’auto, vidi mio padre uscire da casa con Thomas in<br />
braccio. Lo accompagnava personalmente all’asilo tutte le<br />
mattine, prima di recarsi in clinica.<br />
Cercava disperatamente di recuperare ai suoi errori, dando<br />
a Thomas la figura di padre che non era mai stato con me.<br />
Tutta quella premura gliel’avevo vista avere solo con<br />
Stefano, e ancora oggi mi chiedo, insistentemente, perché<br />
mai per me deve essere stato diverso.<br />
Nonostante tutto, quel piccolo esserino, sepolto fra strati e<br />
strati di stoffa e piume che lo proteggevano dal freddo,<br />
aveva ben chiaro in mente chi fosse suo padre.<br />
È cocciuto come me!<br />
Nonostante le mie continue assenze, ogni volta che mi<br />
vedeva rinunciava a tutto pur di corrermi fra le braccia.<br />
Fu così anche quella mattina. Si agitò talmente per farsi<br />
mettere giù, che quasi rischiò di farselo cadere dalle<br />
braccia.<br />
Devo ammettere però, che mio padre non ha mai neanche<br />
provato a ostacolare questa sua ossessione per me. Gli<br />
bruciava un po’ vedersi preferire me, ma solo perché è<br />
troppo orgoglioso per ammettere che per quanto avesse<br />
fatto o potuto fare in passato, il rapporto fra me e lui non si<br />
è mai neanche avvicinato a quello che ho con Thomas,<br />
nonostante non mi sforzassi minimamente di crearne uno.<br />
Denise si teneva in disparte, dietro di me, intimorita dallo<br />
sguardo severo di mio padre.<br />
528
Aveva quell’espressione il 70% delle volte che mi vedeva,<br />
ma coincideva regolarmente con qualche mia magagna<br />
non ancora digerita.<br />
> gli chiesi sistemando un guanto a<br />
Thomas.<br />
> e mi guardò senza aggiungere a parole la<br />
domanda che mi faceva tutte le volte “ E tu? Quand’è che<br />
ti deciderai a dare quel benedetto esame di Genetica?”<br />
Non riuscii a nascondere un po’ di apprensione.<br />
Mio padre se ne accorse ><br />
Scossi la tesa.<br />
> rimbrottò > si<br />
ricordò di Denise, e si fece più scrupoloso nelle parole ><br />
><br />
><br />
Ah, ecco qual è il problema.<br />
><br />
><br />
Mi strinsi nelle spalle, come a voler declinare ogni<br />
responsabilità.<br />
> fissò Denise alle mie spalle ><br />
529
Gabriel!<br />
><br />
Si avvicinò per prendere Thomas e sistemarlo sul<br />
seggiolino nella sua macchina. Quando fu ben allacciato,<br />
tornò a occuparsi anche di me. Con molta meno cortesia<br />
però ><br />
><br />
><br />
><br />
Mi guardava negli occhi. Non c’era la minima esitazione<br />
nel suo sguardo.<br />
Sbuffai irritato ><br />
><br />
A parte una leggera irritazione per l’intromissione e la<br />
presunzione con cui voleva estorcermi informazioni, non<br />
avevo problemi a dirgli di Denise, ma non potevo davvero<br />
farlo in sua presenza. L’avrei spaventata a morte. Con<br />
quale coraggio avrei potuto rivelarle che l’ordine di<br />
esecuzione non era giunto da un Giudice regolare, ma<br />
direttamente dai piani Alti? Come facevo a spiegarle che<br />
c’era un Dio in cielo che aveva comandato la sua morte?<br />
><br />
Intuì la gravità del problema e finalmente si convinse a<br />
non indagare oltre, almeno finché non fossimo stati da<br />
soli.<br />
> indicò Denise con un cenno del<br />
capo.<br />
530
Annuì ><br />
Mi voltai indietro a cercare la sua approvazione.<br />
Annuì.<br />
Il Clan la stava cercando. Stava battendo la città in cerca<br />
dell’assassino di uno dei membri di spicco<br />
dell’associazione.<br />
Probabilmente l’aspetto autoritario di mio padre la<br />
intimoriva abbastanza da farla sentire al sicuro allo stesso<br />
tempo.<br />
> le dissi mentre<br />
davo un ultimo bacio a Thomas prima di chiudere lo<br />
sportello della macchina.<br />
L’agenzia era già affollata a quell’ora del giorno. Le ore<br />
più tranquille sono le 7:00 e le 18:00, come se i mortali<br />
all’interno della nostra area d’azione si fossero accordati<br />
per non morire in quelle ore. Mi riferisco a morti al di<br />
fuori del nostro controllo, naturalmente, perché è chiaro<br />
che gli Esecutori seguano delle regole precise per sfruttare<br />
un determinato momento piuttosto che un altro. A nessuno<br />
piace lavorare con la pioggia, il vento o altre condizioni<br />
avverse, dopotutto.<br />
La porta dell’ufficio di Massimo era chiusa, il che dava<br />
adito a due sole spiegazioni: c’era qualcuno con lui, o era<br />
di umore nero. Mi guardai intorno per leggere la risposta<br />
negli sguardi dei miei colleghi, ma nessuno di loro<br />
sembrava interessato al mio arrivo, segno che Massimo<br />
non aveva ancora dato in escandescenza per il mio ritardo.<br />
Chi c’è in ufficio con lui allora?<br />
531
Bussai senza preoccuparmi troppo di apparire tranquillo e<br />
felice di essere lì quando invece avrei preferito e<br />
desiderato trovarmi da tutt’altra parte in quel momento.<br />
><br />
Dall’esterno avvertivo un’aura sconosciuta, ma che mi<br />
procurava inspiegabilmente una certa inquietudine.<br />
Tentennai un po’ col pugno chiuso attorno al pomello<br />
della porta, prima di decidermi ad aprire.<br />
Aprii uno spiraglio appena e già fui investito da un intenso<br />
odore di mughetto. Così forte che quasi mi stordì. Per<br />
istinto, smisi di respirare dalle narici per non rimanere<br />
avvelenato da quell’essenza venefica.<br />
Un uomo dall’età indecifrabile, troppo grande per essere<br />
chiamato giovane e troppo poco per essere definito adulto,<br />
ma con uno sguardo che dimostrava sicuramente molti più<br />
anni di quanti ne palesava, se ne stava in piedi davanti la<br />
spaziosa vetrata, con le mani dietro la schiena.<br />
Senza dubbio un Immortale.<br />
Si mette male!<br />
Massimo tese il braccio a indicare la sedia davanti la sua<br />
scrivania ><br />
Sì, si mette proprio male.<br />
><br />
Mi guardò male, ma non insisté. > e mi indicò l’Immortale alla sua destra.<br />
> risposi fingendo<br />
indifferenza.<br />
Maurizio fece per presentarlo, ma Sebastiano lo fermò.<br />
> si fece avanti a braccio teso, senza<br />
togliermi un attimo gli occhi da dosso.<br />
532
Afferrai la sua mano. Una scossa mi si scaricò nel braccio,<br />
ma non potei ritrarlo perché mi trattenne la mano con<br />
troppa forza. Era chiara la sua intenzione di mettere subito<br />
in chiaro chi fosse al comando e chi no in quel momento.<br />
Strinsi i denti, sperando che non trapelasse alcun segno di<br />
sofferenza. Ero fin troppo deciso anch’io a fargli capire<br />
che non avevo nessuna intenzione di sottostare a quale che<br />
sia imposizione da parte sua.<br />
Mi lasciò la mano con assoluta noncuranza ><br />
Non bene, suppongo dalla calorosità del benvenuto.<br />
><br />
><br />
Arioch!<br />
Con Marioch è uno dei due Angeli posto a custodia della<br />
terra e al comando di tutte le cose temporali.<br />
Chinai il capo istintivamente.<br />
Se ci sono immortali a questo mondo in grado di disporre<br />
dell’esistenza mia, della mia stirpe e dell’intero genere<br />
umano, sono proprio loro.<br />
><br />
disse con garbo. Iniziò a camminare per la stanza ed io ne<br />
approfittai per accettare l’invito a sedermi di Massimo.
elementi. Marioch ha fatto delle ricerche su di te, sulla tua<br />
famiglia, e quello che ha scoperto ha davvero<br />
dell’incredibile. Credevamo che il ceppo si fosse estinto<br />
nel dodicesimo secolo e invece…>> si mise a sedere al<br />
posto di Maurizio, per potermi guardare in faccia mentre<br />
parlava ><br />
><br />
> guardò<br />
Massimo con la coda dell’occhio ><br />
><br />
><br />
Serrai con forza le dita ai braccioli della sedia ><br />
><br />
><br />
><br />
Tacqui. Era chiaro a tutti quale fosse la mia risposta.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
534
><br />
><br />
Mi alzai in piedi, battendo un pugno sulla scrivania ><br />
><br />
Quelle parole mi colpirono come una secchiata di acqua<br />
gelida alla schiena arrossata dal sole. Immobilizzandomi<br />
sul posto, come una statua di marmo.<br />
><br />
Vigliacco! Sapeva fin troppo bene che tirare in ballo<br />
Thomas avrebbe fatto cedere anche gli ultimi rimasugli di<br />
resistenza che avevo. > mi tremava la voce ><br />
Si accigliò, rivelando finalmente la sua rabbia nei miei<br />
confronti ><br />
Beh, devi ammettere che ha un senso, Alex.<br />
><br />
> rispose secco ><br />
È finita, Alex. Abbiamo perso. Arrenditi.<br />
Mi lasciai cadere sulla sedia alle mie spalle ><br />
535
><br />
><br />
E adesso che cosa faccio?<br />
Ciondolavo per casa senza riuscire a trovare un istante di<br />
tregua. Ero troppo nervoso, confuso, tremendamente<br />
indeciso.<br />
Arioch non aveva enfatizzato il problema per far vacillare<br />
il mio senso di responsabilità verso Denise. Non avrebbe<br />
esitato un attimo a sbarazzarsi di me, se fossi stato<br />
d’intralcio ai loro piani.<br />
Se solo mi avessero detto fin da subito le ragioni della<br />
Sentenza, probabilmente non mi sarei mai immischiato in<br />
questa storia. In nome di quale Giustizia Divina mi<br />
chiedevano ora di farmi da parte e lasciala morire per un<br />
destino di cui non era responsabile?<br />
Perché dev’essere sempre tutto così difficile?<br />
Avevo avuto modo di rimanere da solo con Arioch<br />
qualche minuto prima di andarmene dall’Agenzia.<br />
Avevamo un discorso in sospeso e, nonostante avessi già<br />
mille cose a cui pensare, avevo visto bene di aggiungere<br />
qualche altro dettaglio, il tassello mancante di un puzzle<br />
che cercavamo di comporre da generazioni.<br />
Della famiglia Renzi, la mia famiglia, conoscevamo ogni<br />
particolare dalla caduta del primo Angelo ribelle, Rensis,<br />
al suo primo erede semi immortale, fino all’ultimo,<br />
Thomas. È vero però, che nell’albero genealogico della<br />
mia famiglia c’è un conto che continua a non tornare,<br />
nonostante le ricerche a tappeto compiute nell’ultimo<br />
millennio: Ferdinando Renzi, Roma 1152 – 1207, aveva<br />
avuto due figlie femmine dalla prima moglie, morta di<br />
parto, insieme alla seconda bambina nata morta come la<br />
536
prima, e un figlio maschio, Ludovico, nel 1168, dalla<br />
seconda compagna. Nei manoscritti del personale storico<br />
della famiglia, compare chiaramente una nota in cui si<br />
accenna ai continui tentativi andati a vuoto della prima<br />
moglie di Ludovico, di generare un erede, che fosse egli<br />
maschio o femmina. Sempre secondo lo storico, Ludovico<br />
ripudiò la prima moglie per unirsi in matrimonio con una<br />
seconda donna, Rosalìa, che proprio come la precedente,<br />
non riuscì a dare al marito un erede maschio per il<br />
prosieguo della sua stirpe. Seguono i racconti di vicende<br />
storiche e familiari dell’epoca, lasciando chiare allusioni<br />
sulla sterilità del Conte Ludovico. Fin qui le tessere del<br />
puzzle combaciano perfettamente in ogni loro parte. La<br />
tessera mancante compare quando nella narrazione della<br />
morte del Conte Ferdinando per ano del Clan, al suo<br />
capezzale, compare la figura di un nipotino di sei anni,<br />
mai nominato in precedenza. Dopo tutti gli sforzi fatti da<br />
Ludovico per avere finalmente un figlio maschio, è<br />
alquanto strano che lo storico non abbia considerato la<br />
nascita del piccolo Goffredo come un evento degno di<br />
nota.<br />
Non siamo mai riusciti a venirne a capo, ma quella mattina<br />
Arioch mi diede tutte le risposte che cercavo.<br />
Il bambino ceduto per celarne l’identità, di cui aveva<br />
parlato in presenza di Massimo, era appunto lo stesso<br />
Goffredo che avevano fatto passare per figlio di Ludovico<br />
e donna Rosalìa.<br />
Quel Goffredo che, a quanto pare, è l’unico capostipite<br />
della mia vera famiglia di cui abbiamo conoscenza.<br />
Ma chi era suo padre, e perché ha ceduto il proprio erede<br />
semi immortale? Da quali pericoli voleva proteggerlo? Chi<br />
è l’Angelo caduto che ha dato origine alla mia stirpe?<br />
La risposta, quel nome, arrivò con la stessa violenza di un<br />
tornado.<br />
537
Ecco spiegato dunque, la bellezza, la ricchezza, il potere, il<br />
timore, la sottomissione, la severità, l’indole ribelle che<br />
aleggia da sempre attorno alla mia famiglia. Non che ci<br />
portiamo dietro la condanna del padre che ci ha generato,<br />
non siamo legati alle sue colpe, ma ai suoi immensi poteri<br />
sì.<br />
E intanto continuavo a girovagare per casa, incapace di<br />
varcare quella porta che mi avrebbe condotto da Denise.<br />
Potevo voltarle le spalle per la seconda volta?<br />
Consapevole che, se l’avessi fatto, questa volta sarebbe<br />
stato per sempre?<br />
Rimuginavo su queste e altre domande quando squillò il<br />
cellulare abbandonato senza cura sulla mensola<br />
dell’ingresso.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Dannazione! Dannazione! Dannazione!<br />
Riagganciai senza troppi convenevoli. Non c’era tempo da<br />
perdere. Il giubbotto era sul divano in salotto, ma appena<br />
scorsi le chiavi accanto al telefono, afferrai quelle e uscii<br />
di casa così com’ero.<br />
538
Perché ti preoccupi? Probabilmente sta venendo qui. Non<br />
può tornare a casa sua, né troverà mai ospitalità fra i<br />
membri del Clan, dopo quello che ha fatto.<br />
Vero, verissimo, ma allora perché mi sentivo così<br />
inquieto? Aveva ancora addosso il mio medaglione, no?<br />
Davide e Marta non avrebbero potuto agire contro di lei.<br />
Scesi gli ultimi gradini del palazzo con un po’ più di<br />
calma. L’atrio del piano terra era deserto, come la strada di<br />
fronte al portone. Solo un’auto di tanto in tanto.<br />
Molto strano!<br />
Uscito sul marciapiede mi guardai intorno nella speranza<br />
di vederla. Mi concentrai per sentirla e, infatti, riuscii a<br />
percepire la sua aura non lontano.<br />
Aspettai un paio di minuti ed eccola sbucare fra la piccola<br />
folla in attesa davanti al passaggio a livello del tratto<br />
ferroviario che attraversava il quartiere.<br />
Sollevai un braccio per farmi vedere e le andai incontro.<br />
Quando si accorse di me, prese a correre nella mia<br />
direzione, dall’altra parte della strada.<br />
Avevo appena messo un piede fuori dal marciapiede<br />
quando una forza inumana mi scaraventò all’indietro<br />
mandandomi a sbattere con la schiena contro la parete<br />
esterna del palazzo.<br />
Ricaddi in avanti, carponi, ansimando in cerca d’ossigeno.<br />
Per fortuna non avevo battuto la testa, o non mi sarei<br />
ripreso in tempo per vedere un’auto puntare a tutta<br />
velocità su Denise, al centro della strada.<br />
Mossi il braccio destro istintivamente per sbalzare l’auto<br />
lontana da lei, ma un dolore lancinante mi costrinse a non<br />
completare il gesto.<br />
Con la coda dell’occhio, scorsi una strana luce sulla mia<br />
sinistra. Non era un Ancharos, è certo, per questo il<br />
medaglione non aveva alcun effetto su di lui.<br />
539
Accadde tutto così in fretta che non feci neanche in tempo<br />
a rendermene conto, perché mentre che cercavo una<br />
soluzione per toglierla dalla strada, mi ritrovai a spingerla<br />
via e subire l’urto con l’auto al suo posto.<br />
Non ricordo il dolore dell’impatto, nonostante l’ematoma<br />
sul fianco non tardò a manifestarsi qualche ora dopo,<br />
ricordo solo che l’auto, quando mi colpì, si accartocciò<br />
come se si fosse appena scontrata con un muro di cemento<br />
armato.<br />
L’autista uscì inspiegabilmente illeso dalla macchina<br />
irriconoscibile dopo l’urto.<br />
Mi guardò incredulo, portandosi una mano alla testa, come<br />
a cercare una prova concreta che potesse spiegare<br />
quell’allucinazione così realistica.<br />
> gli chiesi.<br />
Annuì, incapace di proferire parola.<br />
><br />
Scosse la testa, sempre più confuso.<br />
><br />
Finalmente riuscì a dire qualcosa > osservò l’auto, poi me. ><br />
> indicai il<br />
groviglio di lamiere alle sue spalle.<br />
> esclamò lasciandosi cadere a terra<br />
per mettersi seduto, poiché, come posso immaginare, le<br />
gambe non lo sorreggevano più.<br />
> lo assecondai.<br />
Denise, che nel frattempo si era rialzata e mi aveva<br />
affiancato, mi tirò per un braccio per togliermi dalla<br />
strada. Sbalordita e incredula tanto quanto l’uomo a terra.<br />
540
Ne scrutai un momento i tratti preoccupati del volto poi,<br />
sinceramente contento che stesse bene, l’abbracciai, per<br />
quanto mi fosse possibile farlo con un braccio solo.<br />
Il conto alla rovescia era iniziato. Arioch non stava<br />
perdendo tempo. Voleva risolvere la questione il prima<br />
possibile e, se non fosse stato per la naturale protezione<br />
che mi garantivano i miei nuovi poteri, non sarei<br />
sopravvissuto all’incidente.<br />
Sapere che Arioch e Marioch mi volevano morto per<br />
portare a termine il loro compito, mi mandò su tutte le<br />
furie. Arioch mi aveva garantito del tempo per riflettere e<br />
invece… doppiogiochista, aveva approfittato della prima<br />
occasione favorevole per ucciderla.<br />
La luce era ancora ferma al suo posto sul marciapiede<br />
dall’altra parte della strada. Ci stava osservando. Mi stava<br />
osservando. Senza che Denise se ne accorgesse, la<br />
traghettai con me nell’Hahicòs.<br />
Ora l’essere era perfettamente visibile ai miei occhi semiimmortali.<br />
Era una donna, benché vestisse in tutto come<br />
un uomo. Ci avrei scommesso di tutto. Il profumo della<br />
sua aura era inconfondibile. Mi fissava attenta. Sembrava<br />
più divertita che contrariata dall’ennesimo contrattempo.<br />
Io invece, che divertito non lo ero affatto, con un gesto la<br />
spinsi contro la parete, costringendola all’immobilità fino<br />
a quando non le fui abbastanza vicina da riuscire a<br />
toccarla. A quel punto la stretta della mia mano attorno al<br />
suo collo prese il posto del flusso energetico che l’aveva<br />
incatenata alla parete fino a quel momento.<br />
> ringhiai.<br />
Nonostante i loro indiscussi superiori poteri, Arioch e<br />
Marioch sanno di rischiare tanto quanto noi in uno scontro<br />
diretto. Hanno il potere di annientare la nostra natura<br />
immortale in qualunque momento, ma se non è mai<br />
541
successo negli ultimi duemila anni vuol dire che sono<br />
soggetti a qualche limitazione che, se anche mi era<br />
sconosciuta, mi bastò per approfittare della situazione e<br />
non permettere che mi imponessero degli ordini che solo<br />
Dio può darmi.<br />
><br />
> disse con voce strozzata.<br />
La liberai dalla morsa serrata della mia mano e presi le<br />
debite distanze ><br />
> rispose seria ><br />
><br />
La terra tremò ><br />
><br />
><br />
Mi strinsi nelle spalle per mostrare indifferenza ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Annuì<br />
542
><br />
><br />
><br />
Ah!<br />
> detto questo svanì nel<br />
nulla, lasciandomi lì con l’ennesimo dilemma.<br />
Tornai da Denise e la strinsi forte a me per riportarla<br />
indietro > sussurrai poi.<br />
Sollevò il viso per guardarmi negli occhi.<br />
><br />
543
544<br />
51<br />
È strano come il susseguirsi insistente di eventi funesti<br />
spinga un uomo alla ribellione piuttosto che alla resa.<br />
Come se il dolore alimentasse la rabbia e non la paura.<br />
Con Celine andava sempre peggio. Era solo questione di<br />
tempo, ormai ne ero certo. Non sarei riuscito a farla<br />
tornare sta volta. Però non mi sentivo devastato come le<br />
volte precedenti, e sì che aveva provato a lasciarmi fino<br />
allo sfinimento di entrambi. Andava via, annientando quel<br />
po’ di autocontrollo che avevo faticosamente recuperato<br />
per poi ricomparire come se niente fosse solo qualche<br />
giorno dopo. Passava qualche settimana, il tempo di darmi<br />
l’illusione di riaverla accanto, e tornava immancabilmente<br />
a manifestare il suo desiderio di lasciarmi. Di solito finiva<br />
con una lite che dava a lei la forza di andarsene e lasciava<br />
me distrutto per l’ennesima perdita.<br />
Nell’ultimo anno e mezzo è come se fosse morta cento<br />
volte, perché ogni volta mi lasciava con la promessa di<br />
non tornare più. Col passare del tempo, naturalmente ho<br />
fatto l’abitudine ai suoi colpi di testa, e forse è per questo<br />
che la nostra ultima lite non mi ha arrecato gravi squilibri<br />
emotivi come in passato. In cuor mio sono ancora<br />
convinto che sia una delle tante. Sono certo che<br />
ricomparirà col suo delizioso sorriso da un giorno all’altro,<br />
buttandosi fra le mie braccia e implorandomi di tenerla<br />
con me.<br />
È sempre stato così. Mi supplica di dimenticarla e di<br />
trovare l’amore in un’altra donna, ma se provo<br />
minimamente ad avvicinarne una fa il broncio e sta giorni<br />
senza parlarmi.<br />
Le donne! Le Creature più perfette e complesse nate dal<br />
tocco divino di Dio.
Eppure non mi stupirei se questa volta non tornasse<br />
davvero. Avrebbe tutte le ragioni del mondo per<br />
disprezzarmi dopo quello che ho fatto.<br />
Sono stato un’incosciente, un lurido egoista, che non ha<br />
pensato ad altri che a se stesso per tutto il tempo.<br />
Non mi sono soffermato neanche un momento a riflettere<br />
sulle sue ragioni, né quelle di nessun altro.<br />
Io per primo mi odierei se non fossi costretto a<br />
frequentarmi tutti i santi giorni.<br />
Ho esagerato, lo so. Ho rischiato di scatenare una delle<br />
guerre più sanguinose degli ultimi mille anni solo per un<br />
capriccio.<br />
E l’ho combinata talmente grossa che non sono neanche<br />
sicuro che riuscirò a rimediare a tutto il male che ho fatto.<br />
Non merito di sopravvivere alle vittime della mia<br />
stupidità, così come non merito il perdono concessomi.<br />
Non ho fatto ammenda dei miei peccati, non ho mostrato<br />
alcun pentimento, eppure sono stato assolto come se la<br />
mia unica colpa fosse stata combattere per una Crociata<br />
alla quale non sapevo di essere arruolato.<br />
Non avevo digerito l’aggressione di Marioch, soprattutto<br />
perché stavo agendo secondo coscienza, inconsapevole dei<br />
motivi che li spingeva a mettere a rischio la mia vita per<br />
eliminare Denise con lo stesso accanimento di chi, in<br />
un’afosa notte d’estate, cerca di schiacciare contro un<br />
muro la zanzara che lo sta tormentando da ore<br />
impedendogli di dormire.<br />
Soprattutto, non capivo cosa ci fosse di tanto complicato<br />
nel mio piano. Se il rischio stava in ciò che Denise<br />
avrebbe fatto in futuro stando accanto a me, sarebbe<br />
bastato tenermi lontano da lei. Non che questo mi rendesse<br />
felice, certo, ma era pur sempre una soluzione. Stavo<br />
imparando a volergli bene, è vero, ma se il sacrificio fosse<br />
545
stato necessario, non sarebbe stato un problema per me<br />
farmi da parte.<br />
Parole, parole, parole…<br />
Quanto sarebbe tutto più semplice se la vita fosse solo un<br />
libro da scrivere giorno per giorno.<br />
Ho iniziato a scrivere questo promemoria un paio di mesi<br />
dopo l’incidente. Giorgio ritiene che possa aiutarmi a<br />
guardare il passato con occhi diversi, come se<br />
appartenesse a qualcun altro. Un giorno forse, rileggendo<br />
ciò che ho scritto, mi accorgerò che aveva ragione, per ora<br />
è solo un ulteriore grattacapo, perché ripensare al passato<br />
mi fa solo rivivere quei brutti momenti, mentre io sto<br />
cercando di guardare avanti e non pensare a niente che mi<br />
ricordi Lei.<br />
Credo sia per questo che in quel periodo avevo preso così<br />
a cuore la causa di Denise, era l’unica capace di farmi<br />
pensare ad altro.<br />
Anche quando il pomeriggio che fuggì dalla clinica e la<br />
portai a casa per parlarle di quello che stava accadendo, la<br />
sua situazione riuscì a non farmi pensare all’ennesima<br />
discussione con Celine.<br />
Mi odio per questo, ma non posso non ammettere che sto<br />
bene quando non penso a Lei. Sono sereno, tranquillo. Ma<br />
finora ho trovato solo due modi per non farlo: correre in<br />
auto a più di 300Km/h, concentrato sulla strada che<br />
diventa sempre più stretta davanti a me; e Denise. La sua<br />
compagnia mi coinvolge al punto da proiettarmi su un<br />
futuro che, quando sono da solo, rifiuto con tutte le mie<br />
forze.<br />
Forse è proprio questo il punto. Mi brucia dirlo, ma la<br />
verità è che non mi piace stare da solo. Ora che la parte<br />
più importante della mia anima mi è stata strappata, ho<br />
bisogno e desiderio di colmare quel vuoto con chiunque<br />
riesca a completarmi, e Denise mi completa in tutto, cova<br />
546
nel cuore la mia stessa rabbia, possiede la stessa forza, la<br />
stessa determinazione, lo stesso istinto, la medesima<br />
indole ribelle.<br />
Non a caso il Branco l’aveva presa con sé.<br />
Giocherellava con i bastoncini di patatine fritte nel piatto,<br />
seduta sullo sgabello della mezzaluna in cucina, mentre io<br />
lavavo la pirofila prima che il contenuto, raffreddando, si<br />
solidificasse, diventando un tutt’uno col fondo.<br />
Ero riuscito a convincerla a mangiare qualcosa e aveva<br />
accettato optando per hamburger di pollo al forno e<br />
patatine fritte.<br />
> sospirò con tristezza ><br />
> esclamai ><br />
Riuscivo a coglierne i movimenti con la coda dell’occhio,<br />
sulla mia sinistra, e allo stesso modo mi accorsi quando<br />
all’improvviso si fermò come pietrificata. Voltai appena la<br />
testa per vedere meglio. Lo sguardo fisso su una patatina<br />
immobile fra due dita.<br />
> chiesi asciugandomi le mani<br />
con un canovaccio. Mi misi a sedere sullo sgabello di<br />
fronte al suo.<br />
Mi guardò.<br />
Le sorrisi.<br />
547
Mi avvicinò il bastoncino alle labbra ed io lo morsi<br />
sfiorandole i polpastrelli con un bacio.<br />
><br />
Eh?<br />
> precisò dopo aver visto la mia<br />
espressione confusa.<br />
Ma che domanda è? Perché mai un uomo dovrebbe essere<br />
costretto a rispondere a domande subdole come queste?<br />
><br />
Scossi la testa.<br />
><br />
><br />
Annuì ><br />
><br />
><br />
><br />
Si accigliò ><br />
> sbottai, irritato dalla sola<br />
pronuncia di quel nome. Mi alzai togliendole dalle mani il<br />
piatto ancora pieno del cibo che non avrebbe mangiato.<br />
Rimase sorpresa dalla mia reazione.<br />
Io per primo non capivo se fosse dettata dall’odio verso<br />
Marco o da una punta di gelosia.<br />
548
chiese d’un tratto<br />
per cambiare completamente discorso, nella speranza,<br />
forse, che quell’argomento mi facesse ritrovare un po’ di<br />
calma.<br />
> bofonchiai.<br />
><br />
> sbottai infuriato ><br />
Scosse la testa. Lo sguardo basso. ><br />
Stupido!<br />
Mi avvicinai e la strinsi forte in un abbraccio sincero ><br />
Ci fu un preciso momento in cui, tenendola stretta fra le<br />
braccia, i nostri occhi si incrociarono perdendoci l’una<br />
nello sguardo dell’altro, dimenticando, seppur per un<br />
attimo, tutto il resto.<br />
Era… così vicina, così…vicina.<br />
Senza pensarci chinai il viso sul suo, accarezzandole<br />
dolcemente le labbra con le mie. Brevi e incomprensibili<br />
flash della sua vita passata mi annebbiavano la vista, e più<br />
in là mi spingevo, più mi lasciavo andare, più le visioni<br />
prendevano corpo nella mia mente. Immagini sempre più<br />
nitide ma confuse, voci sconosciute, sentimenti<br />
contrastanti, un mix di sensazioni che mi costrinse a<br />
staccarmi da lei.<br />
Ero talmente distratto dalle visioni da non rendermi<br />
neanche conto d’averla letteralmente spinta via da me.<br />
Una lancinante fitta al torace mi fece piegare in avanti.<br />
Sembrava che il cuore mi fosse appena esploso in petto.<br />
Mi accasciai a terra in ginocchio.<br />
> chiese preoccupata.<br />
Ma che combini?<br />
549
Mi portai le mani alle tempie ancora doloranti ><br />
Mi svegliai nel mio letto dopo un paio d’ore. Nell’ultimo<br />
periodo, causa l’uso improprio di nuovi poteri, mi sentivo<br />
sempre più stanco.<br />
Denise dormiva ancora. La guancia sul mio petto.<br />
Attraverso la finestra giungeva dal basso, timida, la luce<br />
dei lampioni in strada.<br />
Provai a svegliarla carezzandole il viso.<br />
Si mosse, ma continuò a dormire.<br />
Sei proprio sicuro di volerlo fare, Alex? Sei ancora in<br />
tempo per tornare indietro. Forse, dopotutto, non ne vale<br />
davvero la pena.<br />
Che ne sarà di Thomas se dovessi fallire? Se gli<br />
succedesse qualcosa, Celine non te lo perdonerà mai.<br />
Il rischio è troppo alto, Alex. Lo sa anche lei. Capirà le<br />
tue ragioni e non te ne farà una colpa. In fondo non può<br />
pretendere che la anteponga a tuo figlio.<br />
Sì, Alex. Capirà!<br />
> sussurrai per non spaventarla.<br />
Aprì gli occhi.<br />
><br />
550
52<br />
Le mura alte e spesse del Monastero sembravano<br />
invalicabili. Non potevamo permetterci di aspettare<br />
l’apertura al pubblico del portone l’indomani mattina.<br />
Ogni minuto diventa prezioso per un condannato a morte.<br />
Roma – Cassino in poco più di cinquanta minuti era il<br />
meglio che fossi riuscito a fare quella sera. Ero troppo teso<br />
e in combutta con la mia coscienza per rimanere<br />
perfettamente concentrato sulla guida. A quella velocità,<br />
sarebbe bastata la minima distrazione per farmi uscire<br />
fuori strada.<br />
Lasciammo l’auto poco prima dell’ultima curva che da sul<br />
parcheggio per evitare di essere notati da qualcuno<br />
all’interno dei piani superiori del Monastero.<br />
Ero già stato a Montecassino qualche volta. È stato mio<br />
nonno a rivelarmi la presenza al suo interno di uno dei<br />
Rinnegati superstiti. Non era mai riuscito a scovarlo,<br />
nonostante godesse delle grazie dell’Abate in carica fino<br />
allo scorso anno.<br />
Eppure giurava di riuscire a sentirne la presenza quando<br />
era all’interno delle mura.<br />
È anche vero, che le sue ricerche si erano limitate a<br />
presenziare a riunioni particolari a cui prendeva parte<br />
l’intera comunità monastica. Sperava di riuscire a scovarlo<br />
fra quelle menti eccelse senza dare troppo nell’occhio. Tre<br />
volte mi ha portato con sé, ma siamo sempre andati via<br />
con in mano un pungo di mosche.<br />
Gli avevo consigliato di mettere da parte le buone maniere<br />
e di perlustrare l’edificio ma, cocciuto, si è sempre<br />
rifiutato.<br />
551
Diceva di non avere alcuna fretta, gli bastava assicurarsi,<br />
recandosi lì di tanto in tanto, che rimanesse rintanato nella<br />
sua cella senza interferire con i piani della Stirpe.<br />
Erano le undici e mezzo quando, con Denise, giunsi sotto<br />
le mura bianche dell’imponente edificio.<br />
> le dissi sotto voce.<br />
><br />
Avrei potuto facilmente rompere la spessa catena del<br />
grande cancello che dava sull’esterno, ma, non potendo<br />
attutire il rumore che ne sarebbe scaturito, quindi decisi di<br />
aggirare l’ostacolo scavalcando le mura per poi aprire il<br />
pesante portone principale dall’interno.<br />
><br />
Sorrise ><br />
> scossi la testa ><br />
Strabuzzò gli occhi su di me ><br />
><br />
><br />
Smettila di perdere tempo!<br />
> scherzai.<br />
Annuì eccitata all’idea di vedere qualcosa di sorprendente.<br />
Non so cosa le suscitò vedermi acquattato a terra come un<br />
felino e spiccare un salto che mi portò in cima alla<br />
muraglia senza il minimo sforzo. Quando mi voltai vidi<br />
solo che aveva le mani davanti la bocca e gli occhi<br />
spalancati dallo stupore.<br />
Mi misi a sedere sul bordo del muro in attesa che si<br />
riprendesse quel tanto da garantirmi che non se la sarebbe<br />
data a gambe appena le avessi voltato le spalle.<br />
552
Sentivo il battito accelerato del suo cuore farsi sempre più<br />
regolare.<br />
> chiesi attento al volume della<br />
voce.<br />
Scosse la testa lentamente, quasi quel gesto banale le<br />
costasse fatica.<br />
><br />
Tremando spostò una mano dalla bocca e tese il braccio<br />
per indicarmi.<br />
Mi voltai. Credevo che si fosse accesa qualche luce dalle<br />
finestre del dormitorio del collegio, ma alle mie spalle, al<br />
posto dell’edificio vidi la proiezione immateriale di due<br />
grandi ali, nere e lucenti come il manto di un corvo.<br />
Quella visione improvvisa spaventò più me che lei, tanto<br />
che mi sbilanciai all’indietro cadendo di sotto.<br />
Denise sentì solo il tonfo del mio corpo sul lastricato<br />
interno dell’ingresso del Monastero e l’imprecazione che<br />
ne seguì.<br />
> chiamò dall’altro lato del portone ><br />
> risposi rimettendomi in piedi per<br />
sincerarmi di avere tutte le ossa a posto. Le ali erano<br />
svanite così com’erano comparse, nonostante mi voltassi<br />
in continuazione, tastandomi la schiena in cerca di qualche<br />
particolare escrescenza sulle scapole o strappi nel cappotto<br />
che potesse rivelarmi che non si era trattata di una<br />
semplice allucinazione.<br />
Niente! Era tutto in ordine.<br />
Mi proiettai nell’Hahicòs per perlustrare il gabbiotto del<br />
monaco portinaio in cerca delle chiavi che trovai nel<br />
cassetto di una scrivania chiusa a chiave.<br />
553
Uscii dalla dimensione spirituale solo quando mi fui<br />
sincerato che nelle vicinanze non ci fosse nessuno.<br />
Scardinai la porta della guardiola e con un colpo secco<br />
forzai la serratura del cassetto portandomi dietro schegge<br />
di legno della scrivania.<br />
Stavo diventando troppo forte per i mortali.<br />
Aprii il portone quel tanto da permettere a Denise di<br />
passare attraverso la stretta fessura, poi lo richiusi alle sue<br />
spalle.<br />
Fece per parlare, ma le posai un dito sulle labbra ><br />
Non riuscì a trattenersi ><br />
><br />
Scosse la testa, incredula ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Alzai gli occhi al cielo sbuffando
la presi per mano, ma la ritraemmo entrambi per<br />
una violenta scossa elettrica.<br />
> dissi ><br />
La guidai all’interno del cortile.<br />
> osservò ><br />
><br />
><br />
Le rivolsi un’occhiataccia ><br />
Gli insegnamenti del Collegio mi furono utili anche quella<br />
notte. Da ragazzino, forzare le serrature era uno dei miei<br />
passatempi preferiti. Troppo curioso per farmi fermare da<br />
una porta chiusa.<br />
Attraversammo scalzi i lunghi corridoi dei dormitori.<br />
Aprendo di tanto in tanto una delle celle, che<br />
puntualmente risultava vuota.<br />
> mormorò Denise all’ennesima stanza vuota.<br />
> spiegai.<br />
Mi fissò confusa.<br />
><br />
Io non ero in grado di sentirne la presenza come mio<br />
nonno. Non avevo idea di cosa cercare, perché quando mi<br />
ero trovato davanti a uno di loro non mi ero soffermato<br />
abbastanza da memorizzare la sua traccia energetica.<br />
555
E se non fosse più qui?<br />
Sbuffai irritato ><br />
><br />
><br />
><br />
Il rimprovero arrivò puntuale. Ormai aveva perfino<br />
imparato a non farsi cogliere all’improvviso dai miei scatti<br />
di nervi ><br />
> replicò.<br />
La stanza fu scossa da un tremito.<br />
><br />
L’irritazione di quel momento nei confronti del Rinnegato<br />
mi risparmiò il disagio di dover ammettere, dopo ore<br />
continue di ricerche, che aveva ragione.<br />
Il medaglione ha un raggio di azione di duecento metri e la<br />
forza che mi spinse in alto verso il soffitto era abbastanza<br />
forte da farmi capire che il nostro uomo si trovava nei<br />
piani bassi dell’edificio.<br />
Mi bastò ritrovare la calma per annullarne l’effetto.<br />
Dopotutto non ero lì per fargli del male. Al contrario,<br />
avevo bisogno del suo aiuto.<br />
Sapevo che mi aveva sentito così come io avevo sentito lui<br />
e, infatti, lo trovai che fuggiva lungo il corridoio del<br />
seminterrato dove dimorava.<br />
> dissi riconoscendolo.<br />
Si voltò a guardarmi e affrettò il passo, ma io correvo di<br />
più.<br />
> dissi posandogli una mano sulla<br />
spalla.<br />
556
Il suo terrore mise in azione il medaglione, che mi<br />
scaraventò dall’altra parte del corridoio, investendo<br />
Denise, che si era fermata più indietro.<br />
Mi alzai subito per sincerarmi che stesse bene. Aveva<br />
battuto un fianco a terra e se lo massaggiava strizzando gli<br />
occhi per il dolore.<br />
Il Rinnegato nel frattempo si era chiuso a chiave in una<br />
delle stanze lungo il corridoio.<br />
Non avvertivo presenze umane nel seminterrato, al di fuori<br />
di Denise.<br />
Mi avvicinai alla porta di legno e senza neanche toccarla<br />
la spalancai con un solo gesto del braccio.<br />
Era riuscito a farmi arrabbiare, anche se le mie intenzioni,<br />
dettate dalla necessità, continuavano a essere pacifiche.<br />
Il mio uomo era premuto con la schiena contro la parete<br />
stringendo in pugno il medaglione.<br />
> dissi avanzando nella<br />
stanza.<br />
><br />
><br />
Denise mi raggiunse nella stanza. Una cella angusta<br />
arredata solo da un letto, una sedia e una piccola scrivania.<br />
><br />
><br />
> ripeté.<br />
><br />
Il rinnegato spostò lo sguardo su Denise.<br />
> constatò.<br />
><br />
557
La sentii rabbrividire alle mie spalle.<br />
><br />
Se non fosse stato frenato dalla parete sarebbe arretrato<br />
ancora. Scosse la testa ><br />
> strillai ><br />
> ruggì.<br />
Ah no?<br />
> rispose alla domanda che avevo solo pensato.<br />
Il medaglione agì in tutta la sua forza questa volta. In una<br />
situazione normale avrei reagito a quell’affronto<br />
aggredendolo, ma con lui non fu possibile.<br />
La stanza era talmente stretta da non riuscire a contenerne<br />
il potere, che mi schiacciava contro la parete togliendomi<br />
il respiro.<br />
Sorrise > si avvicinò, amplificando l’effetto<br />
dell’amuleto su di me ><br />
C’è qualcuno che non sia al corrente di quello che ho fatto<br />
all’Ancharos?<br />
><br />
> dissi con voce strozzata.<br />
><br />
Sentii la morsa stringersi di più attorno al collo.<br />
558
disse ancora ><br />
> si intromise Denise. Pistola in pugno,<br />
puntava la canna alle tempie del Rinnegato. ><br />
><br />
> tese un braccio in avanti mostrando il<br />
palmo della mano.<br />
><br />
><br />
><br />
> liberò la sicura dell’arma ><br />
Non l’avrei mai creduto se non l’avessi visto con i miei<br />
occhi sfilarsi il medaglione dal collo e consegnarlo nelle<br />
sue mani.<br />
Nell’istante in cui i cristalli presero contatto con la sua<br />
pelle la barriera si infranse ed io scivolai a terra bocconi,<br />
alla ricerca disperata di ossigeno.<br />
><br />
riprese a dire Denise. Il Rinnegato sempre sotto tiro.<br />
Provò ad avvicinarsi, ma lei lo fermò.<br />
> le spiegò.<br />
> cercava approvazione.<br />
Io riuscii a tirarmi su a fatica ><br />
Mi porse l’arma, che impugnai volentieri, poi, tornò a<br />
rivolgersi al Rinnegato ><br />
Non l’avevo mai vista così. Chiunque al posto suo sarebbe<br />
corso via terrorizzato, lei invece… i suoi<br />
559
occhi…trasudavano una freddezza che mi era capitato di<br />
scorgere raramente in un comune mortale.<br />
Il Rinnegato si avvicinò lentamente fino a posarle il palmo<br />
della mano sulla fronte. Chiuse gli occhi e rimase<br />
immobile per più di mezz’ora. Denise sembrava come in<br />
trance. Quando li riaprì, si accasciò a terra esausto.<br />
Appena la mano dell’uomo si staccò dalla sua fronte,<br />
Denise emise un urlo agghiacciante e subito dopo perse i<br />
sensi.<br />
> fu la prima cosa che chiese<br />
quando riaprì gli occhi. L’avevo portata in braccio fino<br />
alla macchina e riportata a casa.<br />
La stringevo fra le braccia, disteso sul letto accanto a lei in<br />
attesa che si riprendesse.<br />
><br />
Riuscì a mostrare un sorriso ><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Sorrisi ><br />
><br />
><br />
Si alzò dal letto con un balzo. Barcollò un momento per un<br />
leggero capogiro, ma si riprese subito.<br />
><br />
> rispose frettolosamente frugando nella<br />
stanza.<br />
><br />
560
> mi alzai dal letto per prenderglielo, era sulla<br />
scrivania ><br />
Non sentii il proiettile penetrare nell’addome quando mi<br />
voltai verso di lei, sentii solo il rimbombo dello sparo<br />
rimbalzare sulle pareti.<br />
La felpa si intrise in un attimo di sangue.<br />
> disse lei con l’arma ancora<br />
puntata contro di me.<br />
Non so se a farmi mancare fu la perdita di sangue o la<br />
sorpresa di quell’assurdo tradimento.<br />
> riuscii a dire mentre cadevo ginocchia<br />
a terra.<br />
><br />
> La vista cominciò a offuscarsi, e<br />
questo, ne sono certo, era l’effetto dell’emorragia.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Aggredirti? Io?<br />
><br />
><br />
561
il dolore si faceva sempre più forte.<br />
Gabriella! Dio onnipotente! La figlia del presidente del<br />
circolo.<br />
><br />
> un nodo alla gola le impediva<br />
di parlare.<br />
><br />
> strillò ><br />
Non avevo scusanti per quello che avevo fatto. Meritavo<br />
tutta la sua vendetta, il suo disprezzo, perfino di morire lì<br />
come un imbecille.<br />
> gridò ancora.<br />
><br />
><br />
Scoppiai a ridere. Una risata isterica > sentivo il sangue fluire fuori dal mio corpo<br />
troppo velocemente ><br />
stavo troppo male per continuare.<br />
><br />
Vedere l’odio nei suoi occhi mi faceva più male della<br />
ferita allo stomaco. Non riuscii a impedire alle lacrime di<br />
invadermi le guance esangui. Non riuscivo più neanche a<br />
guardarla.<br />
562
gridò con<br />
quanto fiato aveva in gola > disse ancora ><br />
urlò.<br />
> balbettai ><br />
><br />
Fallo! Una volta per tutte.<br />
><br />
piangeva senza controllo ><br />
><br />
><br />
Tossii sputando a terra una boccata di sangue.<br />
> disse beffarda, ma non<br />
aveva finito
accenna minimamente agli straordinari poteri che mi hai<br />
mostrato in queste ultime settimane. Siamo stati ingannati<br />
dai risultati degli esami delle cavie che abbiamo studiato<br />
negli anni. I vostri corpi non presentano alcuna alterazione<br />
che possa far sorgere anche solo il sospetto di qualcosa di<br />
anormale in voi. Sappiamo cosa siete, certo, ma non<br />
eravamo mai riusciti a capire come fate a fare ciò che fate.<br />
Stupefacente direi. Appena sapranno tutto quello che ho<br />
scoperto sono sicura che mi garantiranno la posizione di<br />
prestigio che mi spetta all’interno dell’associazione. Non<br />
che mi sia annoiata a fare l’infiltrata fra le file del nemico,<br />
però…>><br />
Ormai non la sentivo neanche più. La mia unica priorità<br />
era cercare di non perdere i sensi > riuscii a dire con un filo di voce.<br />
><br />
><br />
Sei un idiota, Alex!<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Scosse la testa sorridendo ><br />
564
tossii di nuovo.<br />
><br />
><br />
><br />
><br />
Il mio cellulare iniziò a vibrare sul comodino. Si sporse a<br />
vedere chi fosse.<br />
> rise ><br />
Ma come fai a parlare così? È solo un bambino.<br />
><br />
><br />
><br />
Si avvicinò chinandosi fino a raggiungere i miei occhi con<br />
i suoi > sillabò, per dare maggiore<br />
enfasi alle sue parole. Subito dopo, alzatasi, mi puntò la<br />
canna della pistola alla fronte ><br />
Chiusi gli occhi rassegnato. Come per la prima volta,<br />
anche in questa non sentii il dolore del proiettile penetrare<br />
il cranio, come la prima volta sentii solo il rimbombo dello<br />
sparo rimbalzare sulle pareti della stanza.<br />
Eppure, ascoltando meglio, qualcosa di diverso lo sentii.<br />
565
Uno spostamento d’aria, un tonfo. Aprii gli occhi, certo di<br />
fluttuare in aria e vedere il mio corpo a terra e invece mi<br />
ritrovai al mio posto, c’era Denise a terra, il petto sporco<br />
di sangue.<br />
Ma…com’è possibile?<br />
Cercavo invano una risposta, fissando quel corpo esanime<br />
sul pavimento, ero così sconcertato da non capire che la<br />
soluzione ai miei dilemmi era proprio davanti a me.<br />
Sollevai piano la testa a guardare la porta d’ingresso della<br />
mia camera da letto. Il panico si impossessò della mia<br />
mente esasperata e stanca > farfugliai,<br />
cercando inutilmente di alzarmi.<br />
Stefano stringeva ancora in mano l’arma che mi aveva<br />
appena salvato la vita.<br />
Le lacrime scendevano ormai senza controllo. Stavo<br />
impazzendo, non c’erano dubbi, non poteva essere<br />
diversamente.<br />
Seguì un interminabile silenzio in cui nessuno dei due osò<br />
muoversi o proferire parola. Qualche minuto dopo dal<br />
corridoio sbucò anche mio padre, che si precipitò su di me<br />
per controllare le ferite, mentre Stefano diceva qualcosa a<br />
Denise che non riuscii a capire perché mio padre mi<br />
riempiva la testa di domande.<br />
> gridai fuori di me.<br />
Stavo dando fondo alle ultime riserve di energia che mi<br />
rimanevano.<br />
> rispose serio mio padre.<br />
Guardai di nuovo verso la porta, convinto di aver assistito<br />
all’ennesima allucinazione, e invece Celine era ancora lì, e<br />
sì, Stefano stava proprio parlando con lei.<br />
> singhiozzai ><br />
566
Si mise il mio braccio attorno al collo e mi sollevò da terra<br />
><br />
Figliolo? Allora è vero, sto impazzendo. Sono morto e<br />
questo è l’inferno.<br />
Quando ci avvicinammo alla porta Celine si avvicinò.<br />
Stefano la aiutava a stare in piedi ><br />
piangeva.<br />
Riuscivo a sentire le sue mani sul mio corpo, erano calde,<br />
calde come quando era ancora in vita.<br />
Mio padre mi posò un momento sul letto.<br />
> si portò una mia mano al petto ><br />
> balbettai ><br />
Sorrise asciugando le lacrime di entrambi ><br />
><br />
> si intromise mio padre ><br />
> esclamai.<br />
><br />
Scossi la testa con decisione ><br />
><br />
567
><br />
> strillai > una<br />
fitta mi bloccò le parole in gola.<br />
><br />
> aggiunse lei.<br />
><br />
Scosse la testa.<br />
L’ambulanza che aveva chiamato Stefano arrivò sotto casa<br />
a sirene spiegate.<br />
> dissi stringendole una mano.<br />
> sorrise.<br />
><br />
Si chinò a baciarmi.<br />
Sorrisi ><br />
><br />
All’improvviso un pensiero funesto mi invase la mente.<br />
Volli alzarmi, nonostante l’insistenza di tutti nel volermi<br />
disteso. Il dolore all’addome era fortissimo, ma riuscii<br />
ugualmente a stare in piedi da solo.<br />
> mi chiese Stefano.<br />
> risposi atono, chinandomi sul corpo<br />
di Denise per strapparle dal collo i due amuleti. La voltai<br />
supina aiutandomi con un piede e, pistola in pugno, feci<br />
fuoco due volte sul suo cadavere.<br />
568
mi rimproverò Celine.<br />
Guardai tutti con indifferenza > risposi<br />
calmo stringendomi nelle spalle.<br />
Feci per tornare da Celine, ma sentii mancare la forza nelle<br />
gambe. Non caddi perché mio padre fu lesto ad afferrarmi.<br />
Lei mi raggiunse lentamente. Si sentì il rumore della porta<br />
dell’ascensore che si apriva al nostro piano. Subito dopo<br />
infatti, fecero ingresso in casa i paramedici con la barella.<br />
Dissero qualcosa, mio padre disse qualcosa, Stefano si<br />
spostò da qualche parte per far passare la pattuglia di<br />
Ancharos che si sarebbe occupata del corpo di Denise, ma<br />
non so raccontare niente di tutto ciò. Ero troppo<br />
concentrato a baciare il mio dolcissimo Angelo, palmo<br />
contro palmo in un reciproco, muto scambio di divina<br />
immortalità.<br />
569
570<br />
Epilogo<br />
Il ricordo di quella mattina è ancora vivo nel mio cuore,<br />
anche se dopo quasi un anno ho imparato a sopravvivere a<br />
quel rimorso.<br />
Ora Thomas, Celine ed io viviamo in Villa con i miei.<br />
Beatrice mi è stata molto vicina in quei successivi mesi di<br />
terrore. Diversamente dal solito anche mio padre ha saputo<br />
darmi quell’appoggio che mi serviva per andare avanti.<br />
Non ce l’avrei mai fatta da solo sta volta.<br />
Per fortuna Arioch mi aveva insospettito abbastanza da<br />
prendere qualche precauzione.<br />
Denise, in monastero, aveva fatto il resto. Troppo sicura<br />
con quella pistola in mano, troppo glaciale mentre fissava<br />
dritto negli occhi il Rinnegato minacciando di ucciderlo<br />
qualora si fosse opposto al suo volere.<br />
Prima che si riprendesse dall’intervento del Rinnegato<br />
avevo mandato un sms a Stefano per chiedergli di passare<br />
da me il prima possibile. Sentivo che c’era qualcosa che<br />
non andava, anche se continuavo a rifiutare di guardare in<br />
faccia la realtà e ammettere che avevo sbagliato di nuovo.<br />
Sono stato crudele con lei in passato. Lo meritavo tutto il<br />
suo odio, ma lei si era nutrita del suo risentimento<br />
alimentando il disprezzo che ha per tutti quelli come me.<br />
Ho provato ad accettare la morte senza reagire, volevo<br />
sinceramente garantirle quella pace che le avevo sottratto,<br />
ma… i suoi occhi… Non si sarebbe fermata con me. Il suo<br />
cuore avvelenato non si sarebbe accontentato fino a<br />
quando non ci avesse eliminato tutti.<br />
Non mi sono mai pentito di aver infierito su quelle fragili<br />
carni, l’avrei fatto prima se avessi capito le sue reali<br />
intenzioni, ho solo il rimorso di aver messo in pericolo la
mia famiglia, i miei amici, la mia gente, per uno stupido<br />
capriccio.<br />
La mia ribellione al sistema non è stata priva di<br />
conseguenze. Una nuova guerra è iniziata da quella<br />
mattina. Il sangue delle vittime già insozza le strade,<br />
appestando l’aria e contaminando gli animi di tutti.<br />
L’ora della resa dei conti è giunta finalmente. Questo<br />
mondo è troppo stretto per entrambi. Clan e Ancharos non<br />
possono coesistere sulla stessa dimensione. Per il bene di<br />
un’umanità ignara delle conseguenze della nostra faida<br />
infinita, uno dei due gruppi deve arrendersi o soccombere<br />
alla forza dell’altro.<br />
Sono finiti i giorni della tolleranza! Non un’altra goccia<br />
del sangue della mia famiglia sarà versato per mano Loro.<br />
Ho provato a scavalcare il fato, ho provato ad oppormi agli<br />
eventi disastrosi della mia vita. Ho cercato di guardare<br />
avanti e lasciarmi il dolore alle spalle, ma ho sbagliato<br />
tutto.<br />
Ho sbagliato a credere che dopo l’Ancharos sarei riuscito a<br />
manipolare il destino per impossessarmi di quel barlume<br />
di vita che a ogni uomo spetta.<br />
Ho sbagliato a fidarmi di un Dio che promette amore e<br />
giustizia per tutti i suoi figli, nessuno escluso.<br />
Mi era stato tolto tutto, mi è stata data l’illusione di<br />
potermi riprendere ciò che avevo perso, e mi è stato<br />
portato tutto via di nuovo.<br />
Adesso BASTA!<br />
Ora che Celine è di nuovo al mio fianco sento<br />
un’incredibile forza crescere dentro di me. Più i giorni<br />
passano e più ritrovo quella spinta che mi fa andare avanti.<br />
571
Più i giorni passano e più si dirada in me l’oblio di<br />
incertezze e paura.<br />
Paura di soffrire di nuovo. Paura di non riuscire in futuro a<br />
far fronte a un’ennesima sconfitta.<br />
Sono stanco di soffrire! Voglio anch’io un momento di<br />
pace, ora più che mai.<br />
Posso ancora scegliere, questo nessuno me lo può<br />
impedire. Posso arrendermi e lasciare che Thomas erediti<br />
il mio destino o posso combattere e fare di questo schifo<br />
un mondo migliore per il mio bambino.<br />
Io scelgo di combattere!<br />
Sono pronto a dare inizio alla mia vendetta!<br />
Non importa quanto ci vorrà, ci volesse anche tutta la vita,<br />
io libererò la mia gente dal Clan.<br />
Non avrò pace finché l’ultimo di quei mostri non sarà<br />
morto, anche se dovessi reclutare un esercito di sanguinari<br />
per farlo.<br />
Diventerò la piaga che investirà le vostre case. Sarò<br />
l’incubo notturno dei vostri figli. Sarò la furia delle<br />
tenebre che spazzerà via la vostra tranquillità. Sarò il<br />
vostro flagello finché non avrò lavato l’ultima goccia di<br />
sangue versato.<br />
E per ognuno dei miei che perderà la vita per mano vostra,<br />
cento dei vostri la perderanno per mano mia.<br />
Conoscerete la rabbia degli Ancharos, assaporerete la furia<br />
del mio popolo, udirete le nostre grida di gioia e non ci<br />
sarà modo di fermarci, no, perché noi siamo i Signori della<br />
Morte che, avvolti dalle ombre, stiamo per investire le<br />
vostre case per placare la nostra ira.<br />
572<br />
FINE
RINGRAZIAMEN<strong>TI</strong><br />
Vorrei spendere ancora qualche parola per ringraziare<br />
alcune persone, senza le quali questo romanzo non avrebbe<br />
mai visto la luce.<br />
Grazie mille a Piercarlo Rinaldi, il più caro e fidato dei miei<br />
lettori, incomparabile sostenitore della mia folle<br />
immaginazione.<br />
Grazie di cuore a Giovanni Lombardi, che mi ha<br />
accompagnato in questa avventura tenendomi per mano<br />
fino all’ultimo giorno. Non potevo desiderare amico<br />
migliore come compagno per questo viaggio.<br />
Grazie infinite a Palmiro Pro, per avermi sostenuto,<br />
incoraggiata, consolata. Grazie per averci creduto quando<br />
perfino io avevo smesso di farlo.<br />
Grazie al carissimo Italo Degregori, il mio editore, per<br />
avermi dato questa grande opportunità, agevolandomi in<br />
tutti i modi possibili.<br />
Grazie ad Alessio e Renato, per l’infinita pazienza e<br />
disponibilità.<br />
Grazie grazie grazie a Dario Forlini per la sua leale e<br />
sincera amicizia e per la professionalità con la quale ha<br />
curato tutta la grafica del progetto. Sei un GRANDE.<br />
Grazie alla mia famiglia per essermi sempre stata accanto e<br />
a tutti i miei amici, ma soprattutto…<br />
… Grazie a Riccardo Martino. Senza di te nulla di tutto<br />
questo sarebbe mai stato possibile. Non dimenticherò mai<br />
quello che hai fatto per me e più di tutto, non smetterò mai<br />
di ringraziare Dio per averti fatto entrare nella mia vita<br />
come il più caro e prezioso degli Angeli.<br />
Infinite volte GRAZIE<br />
Ilenia Ferrelli<br />
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