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TI SENTO - only fantasy

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Edizioni R.E.I.<br />

3


4<br />

Ti Sento<br />

Cassidy McCormack<br />

ISBN 978-88-97362-15-9<br />

Copyright 2011 - Edizioni R.E.I.<br />

www.edizionirei.webnode.com<br />

Stampa: Greco & Greco - Milano


CASSIDY McCORMACK<br />

<strong>TI</strong> <strong>SENTO</strong><br />

Edizioni R.E.I.<br />

5


A Riccardo Martino<br />

con immensa gratitudine<br />

7


1<br />

Non c’è niente di peggio di un telefono che si ostina a<br />

squillare ogni giorno alle sei. Scherzo beffardo e crudele<br />

di chi al mattino non ha di meglio da fare che<br />

interrompere il sonno altrui.<br />

Dovrò decidermi a cambiare la suoneria del cellulare,<br />

questa canzone ormai non la passano neanche più alla<br />

radio.<br />

Sì, sì, ho sentito, adesso mi alzo. Dammi solo un altro<br />

minuto.<br />

Ma dove ho messo gli occhiali? Sono certo di averli visti<br />

sul comodino ieri sera, dietro la videocamera. Che li<br />

abbia fatti cadere mentre dormivo? Diamo una sbirciata<br />

sotto il letto, non si sa mai. Ah, ecco dove sono finite le<br />

sigarette. Dio, quanta polvere qua sotto. Devo proprio<br />

prendermi un po’ di tempo per dare una pulita qua dentro.<br />

Sì, sì, adesso scendo, smettila di rompere! Che strazio che<br />

sei.<br />

Ma dove diamine sono finiti i miei occhiali?<br />

Brrr!<br />

Voglio la moquette. Voglio la moquette.<br />

Eccoti birbante! Volevi giocare a nascondino sta mattina?<br />

Pessima idea, basto già io per fare ritardo.<br />

Beh, adesso va decisamente meglio. Questa luce mi<br />

acceca.<br />

Aggiungere alla lista: cambiare tende di mamma. Quel<br />

giallino è troppo femminile.<br />

A proposito, dovrei proprio passare a vedere come sta, è<br />

da un po’ che non la sento.<br />

9


Chissà se si è ricordata del vaccino, c’era il richiamo la<br />

settimana scorsa.<br />

Mi sa che non faccio in tempo a fare una doccia. Sta volta<br />

mi ammazza davvero, ho un ritardo mostruoso.<br />

Ha smesso di chiamare, brutto segno.<br />

Ha ragione mia madre: devo smetterla di lasciare i vestiti<br />

sparsi per casa quando mi spoglio, ci metto ore a<br />

ritrovare tutto quello che mi serve.<br />

Giubbotto o cappotto? Cappotto, non dovrebbe piovere<br />

anche oggi. Però così devo cambiare scarpe. Ma sì,<br />

minuto più, minuto meno, tanto la ramanzina mi tocca lo<br />

stesso.<br />

Camicia, maglione, jeans, cintura, calzini e scarpe uguali,<br />

cappotto, capelli ok, occhiali, portafoglio, cellulare. Mi<br />

sembra di avere preso tutto.<br />

Chiavi, chiavi, chiavi.<br />

Giusto! In bagno, sul ripiano dello specchio.<br />

Un’ultima rimirata? Perché no?<br />

Uff! Ancora?<br />

><br />

><br />

Ma che ti strilli? Chi te l’ha chiesto di presentarti a casa<br />

mia all’alba? ><br />

><br />

Possibile che sia perennemente incazzato quest’uomo?<br />

Acc…! Ma dove ho la testa sta mattina? Vabbeh, adesso è<br />

tardi per rientrare a prendere il libro di genetica. Tanto<br />

l’esame è saltato ormai. Me le sono già giocate le mie tre<br />

assenze.<br />

> Che stronza. Sempre con la solita puzza<br />

10


sotto il naso. Mai un cenno, un saluto. Vorrei vedere se<br />

faresti ancora tanto la preziosa se sapessi che tuo marito<br />

se la fa con la figlia del portiere del palazzo di fronte. Sei<br />

piacevole quanto un petardo nel sedere. Fattene una<br />

ragione, quell’uomo ti odia. Almeno è quello che dice<br />

Sofia.<br />

Ecco che ho scordato! La sciarpa. Che freddo che fa. Si<br />

sta meglio quando piove.<br />

Mmm, di male in peggio, è furioso.<br />

><br />

Ma rilassati ><br />

><br />

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…<br />

><br />

Conto fino a dieci prima di risponderti che detesto te e<br />

odio questo lavoro, ma non ho voglia di litigare oggi,<br />

quindi è meglio che sto zitto dai, tira fuori il tuo solito taccuino. Dio!<br />

Come sei prevedibile. Sarebbe anche il caso di comprarne<br />

uno nuovo, ti pare? I fogli scarseggiano.<br />

><br />

><br />

><br />

> ma allora perché cavolo mi hai svegliato<br />

a quest’ora?<br />

><br />

E…? Dai, continua. Tanto ti si legge in faccia che non mi<br />

digerisci. Mi stai stressando dal primo giorno in cui ho<br />

iniziato questo maledetto lavoro.<br />

11


Non direi proprio ><br />

><br />

No che non capisci.<br />

><br />

E questo che vuole?<br />

><br />

><br />

><br />

Non mi sembra<br />

><br />

><br />

E mica sono un visionario? Ci siamo solo noi due sul<br />

marciapiede, e tu gli dai le spalle. Ergo…<br />

><br />

><br />

Ah sì, e che vuole da me? Se ne vada per la sua strada<br />

><br />

><br />

Addirittura!<br />

><br />

><br />

Chissà dove va con quella fretta?<br />

><br />

><br />

Oppure no, chissà se…<br />

12


><br />

><br />

><br />

><br />

E di che ti preoccupi? Cosa potrei mai fare?<br />

><br />

><br />

Uff! È successo una volta sola<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

E vattene!<br />

><br />

13


14<br />

2<br />

Inutile affannarti tanto, caro il mio professor Melluso. Per<br />

quanto tu possa mettercela tutta, quest’aula sarà sempre<br />

troppo grande per te.<br />

Se non fosse per il Branco in prima fila - che ti presta<br />

qualche attenzione per ottenere un trenta troppo scontato<br />

per risultare reale perfino a te – e qualche sadico<br />

avventuriero, saresti costretto a decantare la tua scarsa<br />

sapienza a duecento posti vuoti.<br />

Non credere che non l’abbia capito il tuo gioco. Vuoi<br />

tenermi incatenato a questo corso perché hai capito che<br />

già dal secondo anno ne so molto più di te. Eppure sarai<br />

costretto a concedermelo quest’esame prima o poi, ed io<br />

non ti darò tregua finché non ti stancherai della mia<br />

faccia. Diventerò il tuo incubo ricorrente. Ti sveglierai di<br />

notte urlando di non poterne più di me. Non puoi<br />

incastrarmi per sempre. Dovrai pur prendere di mira<br />

qualcun altro e lasciarmi andare. Tanto io non mollo.<br />

Sono paziente, aspetterò.<br />

Ah, ecco la piccola Denise. Tocca a te oggi la levataccia<br />

all’alba per correre a occupare i posti in prima fila per il<br />

tuo branco. E brava la piccoletta! Sarebbe anche ora che<br />

te li sistemassi quei capelli ogni tanto. Se li sciogliessi poi,<br />

non saresti neanche così poco gradevole come sembri<br />

ultimamente, nascosta sotto il multistrato di fondotinta che<br />

usi per nascondere la pelle bianchiccia che ti eviteresti se<br />

ti decidessi a prendere un po’ di sole.<br />

È la terza volta questa settimana che ti tocca venire ad<br />

aprire le porte. Poverina! Dopotutto a te tocca faticare un<br />

po’ più delle altre per quel trenta, giusto? Garantirti un<br />

posto nel branco per te è come arruffianarti il professore,


una ruffiana fra i ruffiani. Se solo curassi un pochino di<br />

più il tuo aspetto come un tempo…<br />

Ammettilo, tesoro, avresti preferito rimanere a letto sta<br />

mattina. Ma perché non lo fai allora? Ribellati al sistema!<br />

Fregatene di perdere il tuo sgabello al bar col professore.<br />

Tanto la lode non te la da. Non hai le caratteristiche<br />

genetiche fondamentali per questo. Perché mai un<br />

insegnante che da fondamento alla sua vita sulla genetica<br />

dovrebbe lodare proprio uno scherzo della natura come<br />

te? Smettila di studiare per tutti. Pensa a te stessa e<br />

abbandona il branco. Sei cento volte migliore di tutti loro<br />

messi assieme.<br />

Guardati, sei talmente attenta ai particolari da non<br />

accorgerti del mondo che ti vive intorno. Non potresti<br />

vedermi neanche se lo volessi davvero. Anche se<br />

continuassi a fissarti per le prossime due ore, tu<br />

continueresti a non accorgerti di me. Potremmo essere io<br />

e te soltanto in quest’aula oggi, potrei sedermi accanto a<br />

te - a uno dei posti che hai occupato con i fogli pieni dei<br />

tuoi appunti disordinati - e tu continueresti a non vedermi.<br />

E perché mai dovresti farlo? Sono anni che entri in aula<br />

senza concedere il tuo sguardo a niente che non sia un<br />

blocco per appunti, uno schermo di tela bianca per i lucidi<br />

o la faccia di uno qualunque dei professori. Sei patetica.<br />

Non so come facessi a ritenerti interessante l’anno scorso.<br />

Sembravi così diversa, così poco scontata. Ora sei banale,<br />

proprio il requisito che si richiede per far parte del<br />

Branco. Hai fatto presto a conformarti al gruppo, a<br />

impararne il linguaggio, le leggi.<br />

Che delusione vedere una mente così brillante offuscata<br />

dall’umiliazione. Non vince sempre il più forte, Denise. A<br />

volte – anche se devo ammettere che succede molto di<br />

rado – il più forte perde perché è troppo convinto che non<br />

possa accadere, e il perfido Ivan riesce a individuare lo<br />

15


spiraglio di luce dove poter puntare il proiettile della<br />

propria fionda.<br />

Tu non sei Golia, Denise, tu potresti mangiartelo vivo quel<br />

furbacchione di Ivan, ma allora perché sei ancora lì a fare<br />

la schiava?<br />

Ah, certo. Che sciocco! Quasi dimenticavo. Eccolo che si<br />

fa avanti con tutti gli altri, il tuo Adone. Marco Tosti, che<br />

di tosto ha soltanto il nome. Dì un po’, li hai ancora i<br />

segni della nostra ultima scazzottata. Non fai più lo<br />

strafottente quando te le suonano, non è vero? Peccato<br />

che i tuoi amici non abbiano potuto vedere come incassi<br />

bene. Eppure non credere che sia finita, ho ancora un<br />

conto in sospeso con te.<br />

Ma come fa a piacerti quella specie di sorcio, Denise.<br />

Perché continui a volerti così male? Per lui sei invisibile<br />

tanto quanto lo sono io per te. Non gli importa niente<br />

degli appunti che gli passi, dei favori che gli fai. Uno così<br />

non ha occhi che per se stesso. Come fai a non<br />

accorgertene? Che rabbia che mi fai!<br />

E questo qui che vuole? Va a sederti da un’altra parte. Ci<br />

sono centinaia di posti liberi davanti. Non l’hai notato che<br />

è dall’inizio dei corsi che qui dietro ci sto solo io? Ma…<br />

aspetta un attimo, tu non sei uno di noi. È la prima volta<br />

che ti vedo. Hai accompagnato qualcuno e vuoi startene<br />

qui ad aspettarlo in disparte? Hai l’aria sveglia, che ci fai<br />

qui, va a farti un giro. Non sprecare due ore della tua vita<br />

qui dentro, non ne vale la pena. Stai pensando alla mia<br />

proposta, vero? Ti mordicchi il labbro inferiore,<br />

pensieroso sul da farsi. Beh, te lo dico io cosa devi fare:<br />

vattene. Fuggi finché sei in tempo. Tanto fra due ore la<br />

ritroverai di nuovo lì seduta. Non la mangia nessuno. Va<br />

pure tranquillo, amico. Qui dentro solo la noia potrebbe<br />

farle del male.<br />

16


Ehi! Ma dove sei finita? Mi distraggo un istante e mi<br />

sparisci così? Non è per niente gentile da parte tua.<br />

Vediamo un po’! Il resto del Branco è tutto ai propri posti,<br />

solo il tuo è vuoto, anche se sulla sedia hai lasciato la<br />

Gucci nuova, regalo di papà per il compleanno della<br />

settimana scorsa. Com’eri tenera quando la sventolavi<br />

davanti alle altre ruffiane. Per una settimana l’hai<br />

protetta con fare maniacale, quasi fosse il più debole della<br />

cucciolata di accessori costosi piovuti per il tuo giorno<br />

speciale. Se l’hai abbandonata così significa che non sei<br />

lontana o che è diventata grande abbastanza da<br />

permetterti di occuparti di un nuovo nato. So che puoi<br />

tenerla d’occhio in qualunque momento, ma allora dove<br />

sei? Perché non riesco a vederti? Cosa è successo di tanto<br />

importante da costringerti ad abbassare la guardia sulla<br />

cucciolata? Forse il fatto che sia accanto a Marco ti rende<br />

stupidamente più tranquilla. Non riusciresti mai a credere<br />

che quel sorcio non alzerebbe un dito per salvarla, vero?<br />

Eppure è così, te l’assicuro.<br />

Mmm… c’è un movimento strano nell’aria. Cosa mi sono<br />

perso? Perché Melluso non ha ancora iniziato a dare<br />

sfoggio alla sua mediocrità? Non si aspetterà mica che<br />

arrivi qualcun altro? Ci vorrebbe un intervento divino per<br />

questo.<br />

No! C’è dell’altro, ne sono certo. C’è qualcosa che non<br />

va, ma che cosa?<br />

Ah, ecco dov’eri finita? Cosa sono tutti quei fogli?<br />

Ohhh! Ma certo. Che stupido! È la solita verifica a<br />

sorpresa. Come ho fatto a non arrivarci prima? Ho fatto<br />

proprio bene a venire oggi. Mi farò due risate.<br />

Guarda che occhi strabuzzati? Poveri novellini. Non<br />

immaginate neanche che da questa prova dipenderà tutto<br />

il vostro futuro. Avrei potuto avvertirvi all’inizio del<br />

corso. Informarvi che chi non supera questa verifica<br />

17


diventerà l’ennesimo nome sulla lista nera di quel<br />

maledetto. Quando toccò a me, nessuno si premurò di<br />

farmi notare questo insignificante particolare, quindi<br />

perché per voi dovrebbe essere diverso? Sono certo che<br />

rivedrò molte delle vostre facce al prossimo giro. Si da<br />

sempre una seconda possibilità. Sono proprio curioso di<br />

stare a vedere chi sarà di voi a resistere per più di due<br />

anni prima di mollare.<br />

Ti senti più sicura ora che sei tornata al tuo posto accanto<br />

a lui, vero? Non sembri minimamente preoccupata. E<br />

perché dovresti? Di certo voi del Branco eravate al<br />

corrente di questo colpo basso da settimane. Avrei dovuto<br />

accorgermene quando ti ha fatto posto accanto a sé. Ti<br />

concede l’onore solo quando in giro c’è puzza di verifiche.<br />

Continuo a non capire come fai a non vedere. Come fa a<br />

piacerti uno così? Non lo fai solo perché è un bel ragazzo,<br />

altrimenti noteresti me, che non passo di certo<br />

inosservato. Lo fai per i soldi? Lo fai perché sarebbe<br />

perfetto da presentare a mamma e papà?<br />

Che rabbia mi fai! Sciocca e arrivista.<br />

Ah! Ben ti sta. Ora ti tocca anche distribuire i compiti. Ti<br />

piace proprio il tuo ruolo di maggiordomo del Branco,<br />

vero? Poco ti importa se non avrai mai il loro rispetto. Ti<br />

basta farne parte e fare contento papà.<br />

Ti muovi fra i banchi e quasi sembri un fantasma. Sei<br />

dimagrita? Non me ne ero accorto, avvolta come sei in<br />

tutti quei vestiti sempre di un paio di taglie più grandi. A<br />

che cosa ti serve sfoggiare tutte quelle marche se non sei<br />

in grado di indossarle? È solo uno spreco di soldi.<br />

L’antitesi del buon gusto.<br />

Finito? Sembri sempre un po’ sperduta quando ti guardi<br />

intorno a quel modo. Come se non passassi quattro ore<br />

della tua vita in quest’aula quasi tutti i giorni da almeno<br />

due anni. Ti riscopri a guardarla ogni volta come se fosse<br />

18


la prima, cogli nuovi dettagli che prima ti erano sembrati<br />

insignificanti e li aggiungi al quadro della tua visuale<br />

contorta della realtà che ti circonda.<br />

E adesso che fai? Non ti sei mai spinta con lo sguardo<br />

oltre la settima fila. Cos’è che ti turba? Ti senti osservata<br />

da me? Non sarebbe la prima volta. Perché oggi è diverso<br />

allora?<br />

Ehi! Ma mi stai fissando davvero. O c’è qualcos’altro qui<br />

dietro che cattura la tua attenzione? No no, è proprio me<br />

che guardi adesso. Che c’è piccola? Tutto il mondo non ti<br />

basta? La BMW nuova non ti basta? Che te ne fai di uno<br />

come me?<br />

Sì, è proprio me che guardi. Sorridi al mio sorriso.<br />

Oh, no tesoro, non ho bisogno del compito io. Sono già<br />

stato marchiato da tempo. Potrei farlo a occhi chiusi<br />

ormai, potrei essere impeccabile, e non servirebbe a<br />

niente.<br />

Che strano! È la prima volta che oltrepassi il confine. Sta<br />

attenta! Il Branco potrebbe avvertire l’odore del nemico<br />

su dite e non riaccettarti nel gruppo. Rischi grosso<br />

continuando ad avvicinarti così. Torna da loro, è meglio<br />

per tutti.<br />

Che ti prende? Ti piacciono così tanto i miei occhi? È la<br />

prima volta che ti soffermi a fissare qualcuno negli occhi<br />

così a lungo, così sfrontatamente. Smettila! Mi metti a<br />

disagio.<br />

Riesco già a sentire l’aroma del tuo profumo costoso.<br />

Smettila di guardarmi. Smettila di guardarmi.<br />

><br />

Mi parli anche? Allora vuoi giocare. Piccola sfacciatella!<br />

><br />

><br />

19


Ah, ma allora non sono poi così invisibile. Devo<br />

ricredermi, non sei così poco attenta come immaginavo. È<br />

tutta finzione. Quello che mi sfugge è perché ti fai avanti<br />

proprio adesso, dopo tutto questo tempo. ><br />

><br />

E allora perché sorridi ancora?<br />

><br />

Mille grazie prof. Ti devo un caffè.<br />

><br />

Ehi, ma che fai, arrossisci? Quell’impudente ti ha messo<br />

in imbarazzo? > è un’impressione o ti ho<br />

davvero sentita fremere quando le mie dita si sono fermate<br />

sulla tua mano ancora poggiata sul foglio del test davanti<br />

a me > sarò sembrato abbastanza<br />

sincero?<br />

Adesso ti ho imbarazzata io però. Non te l’aspettavi vero?<br />

Eh no! Non sei abituata a chi ti presti attenzione. Ti mette<br />

sempre a disagio.<br />

20


3<br />

Ha un certo fascino scoprire come l’intera esistenza di<br />

qualcuno possa essere influenzata da un dettaglio<br />

insignificante come il sorriso di uno sconosciuto.<br />

Quella mattina avevo fatto tutto proprio come in<br />

quell’ultimo anno della mia vita. Avevo brontolato un po’<br />

prima di alzarmi, avevo fatto innervosire Massimo e –<br />

come quando non c’era lavoro – ero andato a lezione. Mi<br />

ero seduto all’ultima fila di banchi, quella evitata come un<br />

morbo contagioso da tutti quelli che prendono l’università<br />

un po’ più seriamente di me, che fin dall’inizio mi sono<br />

sempre sentito troppo al di sopra di quelle teste vuote per<br />

trovarle abbastanza interessanti da desiderare conoscerne<br />

qualcuna.<br />

Ho sempre guardato tutti dall’alto in basso. Lo ammetto.<br />

Eppure detesto quelli con la puzza sotto il naso, ma forse<br />

solo perché li ritengo inferiori a me.<br />

Ho scelto una facoltà scientifica perché mio padre<br />

insisteva affinché scegliessi Giurisprudenza. È stato un<br />

dispetto, ma almeno ho scoperto la mia vera passione: la<br />

Medicina.<br />

Non ho mai avuto alcuna difficoltà rilevante durante il mio<br />

corso di studi, mi veniva naturale, quasi studiassi cose che<br />

conoscevo già. Avevo meditato di cambiare ateneo la<br />

quarta volta che Melluso si rifiutò di farmi passare<br />

l’esame, ma – come con mio padre – ho preferito<br />

dichiarare guerra e stare a vedere quanto resisterà al mio<br />

assedio.<br />

Senza il suo esame, propedeutico, non posso frequentare i<br />

corsi dell’ultimo anno, lui lo sa e gli leggo negli occhi<br />

un’ardente soddisfazione ogni volta che incrocia i miei.<br />

21


Pezzo di m…. mmm… è meglio se non ci penso.<br />

Non ho mai saputo a che ora arrivasse in aula. Io di solito<br />

mi presento presto, visto che con Massimo tra i piedi, da<br />

un anno esco da casa sempre mentre il resto del mondo<br />

dorme.<br />

I cancelli vengono aperti alle 7:30 circa, ed io di solito<br />

sono già da mezz’ora in attesa seduto al bar di fronte. Non<br />

l’ho mai visto arrivare, eppure tutte le mattine, quando<br />

varco la soglia dell’aula lui è già lì, con la sua giacca<br />

pesante sullo schienale della sedia, il sigaro in mano,<br />

rigorosamente spento, e gli occhiali quasi in equilibrio<br />

sulla punta del naso, mentre affonda la testa in uno dei<br />

quotidiani in pila nell’angolo alto a sinistra della cattedra.<br />

Se ne sta così per ore, storcendo il naso di tanto in tanto a<br />

una brutta notizia o liberando una smorfia quasi sempre<br />

illeggibile. Le brutte notizie gli fanno venir voglia di<br />

fumare, lo si capisce perché tutte le volte che ne legge una,<br />

da un’annusata al sigaro fino a quando i tratti del suo viso<br />

teso si distendono per riassumere la forma della maschera<br />

inespressiva di sempre.<br />

Di certo è sposato. Il suo abbigliamento è sempre<br />

impeccabile. Abiti puliti, camicie stirate. Non credo viva<br />

ancora dai suoi. È un uomo piacente dopotutto e gli<br />

piacciono troppo le donne per non desiderarne una tutta<br />

per sé. Chissà se ha anche dei figli? Non ha ancora l’età<br />

per essere mio padre, ma ne ha abbastanza per avere un<br />

bambino che va già a scuola. Mi piacerebbe sapere se è<br />

uno da foto nel portafoglio.<br />

Se non fosse che mi disprezza senza motivo, non mi<br />

sembrerebbe così sgradevolmente irritante.<br />

Ma che ti ho fatto? Lasciami andare.<br />

È da due anni che conosco Denise. Frequentava il corso di<br />

chimica generale del primo anno ed io, al secondo, facevo<br />

22


da assistente al Professore. Tenevo i corsi pomeridiani per<br />

le esercitazioni in vista dell’esame scritto. Non è mai stata<br />

molto socievole. Sceglieva sempre la fila di banchi più<br />

vuota per essere certa che nessuno potesse distoglierla dai<br />

suoi doveri. Mi vedeva scrivere formule sulla lavagna, ma<br />

non mi guardava mai. Mi ascoltava spiegare la lezione, ma<br />

non mi sentiva. Viveva in un mondo tutto suo, fatto di<br />

appunti, libri, internet. Era capace di seguire i miei<br />

logorroici discorsi, prendere appunti e allo stesso tempo<br />

cercare approfondimenti sul pc portatile da tremila euro<br />

che si portava sempre dietro con noncuranza. Mi aspetto<br />

ancora di vederglielo lanciare sul banco come fosse un<br />

libro vecchio.<br />

Mi sforzavo meno allora di capirla che adesso. Nonostante<br />

le sue stranezze aveva un modus operandi molto<br />

elementare. Ogni suo gesto, anche banale, - o che fatto dai<br />

più sarebbe potuto risultare perfino… goffo - era<br />

aggraziato, perché spontaneo. Al contrario di adesso, che<br />

sembra inadeguata anche nel movimento più spontaneo,<br />

come camminare, respirare. Più cerca di sembrare<br />

interessante, affascinante, più finisce col diventare ridicola<br />

e grossolana.<br />

All’esame finale capitò con me. Lo scritto era il caos di<br />

formule e numeri che avevo sempre immaginato<br />

aleggiasse nella sua mente scombinata, ma nei risultati era<br />

stata precisa al millesimo. Mi ci volle un pomeriggio<br />

intero per capire il ragionamento applicato a ogni singola<br />

formula. Una metodica ragionata, non studiata, rese la<br />

correzione del compito una battaglia in campo aperto. Non<br />

seguiva nessuno dei miei schemi ed io davanti a quel<br />

compito mi sentivo come i primi giorni di università,<br />

quando cercavo di decifrare gli appunti nella speranza di<br />

capire il metodo applicato dal professore per svolgere<br />

determinati esercizi.<br />

23


Quando il professore mi chiese il giudizio sul suo compito<br />

feci un po’ lo stronzo. Mi sentivo poco coinvolto, come il<br />

docente che deve esaminare un candidato esterno. Che ci<br />

fossi stato o no, in aula in quei tre mesi, a lei non era<br />

interessato affatto.<br />

Dissi che l’esame era più che discreto – non volevo<br />

ammettere che fosse perfetto, e sapevo che il professore si<br />

fidava troppo di me per andare a controllare – però troppo<br />

caotico per una valutazione troppo soddisfacente.<br />

Optammo quindi per un ragionevole 27, che sapevo<br />

l’avrebbe mandata su tutte le furie. Si sarebbe chiesta dove<br />

aveva sbagliato, mandandola in totale confusione per una<br />

volta tanto.<br />

Il giorno dell’orale posò il libretto dal lato della cattedra<br />

dov’era seduto il professore. L’occhiataccia che mi lanciò<br />

mentre lo faceva era abbastanza chiara da farmi capire che<br />

aveva incassato il colpo come speravo.<br />

Non mi feci nessuno scrupolo neanche in quel caso. Chiesi<br />

al professore il permesso di esaminarla io – non avrebbe<br />

rifiutato mai di togliersi una di quelle rogne di torno -.<br />

Quando fu il suo turno, l’occhiataccia si fece più arcigna.<br />

Era stata una delle prime ad arrivare in aula, eppure io la<br />

chiamai per ultima. Il professore aveva altri due studenti<br />

da esaminare, e di solito non prestava attenzione ai miei.<br />

Si mise seduta con movimento pesante, giurerei d’averla<br />

sentita sbuffare. Non c’era la minima paura nei suoi occhi.<br />

Mi sfidava la sfacciata. Troppo sicura di sé per avere<br />

timore in un esito negativo.<br />

> dissi per stuzzicarla ancora ><br />

Senza un attimo di esitazione, tirò fuori dalla sua borsa<br />

una cartelletta arancione. Me la porse senza troppi<br />

24


complimenti, ma nel farlo guardò il professore con la coda<br />

dell’occhio per assicurarsi che fosse distratto da altro.<br />

Mossa poco accorta la sua, perché me ne accorsi e sfruttai<br />

a mio favore quel briciolo di imbarazzo che sotto sotto<br />

covava, dopotutto.<br />

Mi sporsi leggermente in avanti facendole cenno di<br />

avvicinarsi e dissi piano, per non farmi sentire ><br />

Mi guardò impietrita.<br />

Io non riuscii a trattenermi dal sorridere divertito dalla sua<br />

espressione offesa.<br />

Fece no con la testa, ma non guardava me. Era troppo<br />

attenta a non insospettire il professore.<br />

Allora mi feci avanti di nuovo per farle capire che volevo<br />

parlarle ancora in privato > stavo per<br />

scoppiare a ridere e mi si leggeva in faccia.<br />

> sussurrò dopo aver riflettuto troppo per<br />

cercare una risposta abbastanza diplomatica da non<br />

costarle l’esame.<br />

> dissi con una specie di ghigno.<br />

Si fece subito indietro facendo rumore con la sedia.<br />

> chiese il professore al mio fianco.<br />

Mentre noi ci eravamo persi in quell’innocente preambolo<br />

lui aveva già quasi finito di esaminare il suo ultimo<br />

studente. Non che gli ci volesse molto, dato che si limitava<br />

a giudicare la preparazione di un esaminando con non più<br />

di due domande.<br />

Denise raggelò.<br />

> risposi ><br />

> cercò di spronarla ><br />

25


Arrossì talmente da farmi sentire perfino un po’ in colpa.<br />

> infierii ><br />

Era furente. Imbarazzata e furente. Il mix perfetto per<br />

scatenare una crisi di pianto.<br />

Decisi di affondare il colpo di grazia solo quando sentii la<br />

sedia dell’ultimo candidato muoversi all’indietro. Il<br />

professore sbuffava mentre sul libretto tracciava con la<br />

penna nera un 18 strappato con le pinze.<br />

><br />

Senza rispondere, il professore firmò la camicia e raccolse<br />

il giaccone dalla sedia accanto. Sbirciò ancora una volta<br />

quella tremolante figura sottile incollata alla sedia di<br />

fronte a me e, mugugnando qualcosa di incomprensibile, si<br />

avviò all’uscita.<br />

Il 18 stava riordinando le sue cose per andarsene, ma fui<br />

costretto a trattenerlo ancora qualche minuto. La mia<br />

vendetta era vincolata alla presenza di testimoni.<br />

> dissi cercando di risultare il più odioso<br />

possibile ><br />

Annuì, nonostante una lacrima sfuggisse al suo controllo<br />

bagnandole la guancia. La maschera strafottente che aveva<br />

osato sfidarmi era finalmente sparita da quei lineamenti<br />

altolocati.<br />

Sorrisi. Avevo ottenuto quello che volevo. Ero stato<br />

carogna abbastanza.<br />

Il 18 sbuffò dal fondo dell’aula nel quale si era rifugiato ad<br />

ascoltare un po’ di musica nell’mp3<br />

> mormorai per essere certo che mi<br />

sentisse solo lei.<br />

26


Scosse la testa nel vano tentativo di recuperare un minimo<br />

di dignità.<br />

afferrai un pacco di fazzolettini dalla<br />

mia borsa e lo posai sulla cattedra invitandola a prenderne,<br />

se ne volesse <br />

Continuava a stare in silenzio. Si vedeva lontano un miglio<br />

che lottava ferocemente con quel demone interiore che<br />

voleva staccarmi la testa a morsi.<br />

><br />

L’esame durò meno del previsto. La sua testa non era poi<br />

così caotica quando si trattava di esprimere dei concetti a<br />

parole. Provai a prenderla in castagna più di una volta, ma<br />

riuscì sempre a farla franca. Era evidente che sapeva di<br />

cosa stavamo parlando.<br />

Avrei voluto rimediare alla carognata dello scritto, ma mi<br />

sentii ancora più carogna quando mi accorsi di non poterle<br />

dare la lode a causa di quel 27 <br />

Fece spallucce come a dire che non le importava granché,<br />

ma io sapevo che non era vero, lo dimostrava la collezione<br />

di 30 cum laude sul libretto.<br />

Nonostante si sforzasse però, la calma durò troppo poco.<br />

Appena le riconsegnai il libretto, infatti, si alzò di scatto.<br />

Rabbiosa. Se ne accorse perfino il 18 che nel frattempo si<br />

era appisolato sulla sedia.<br />

> dissi ><br />

Fu un attimo ><br />

Ma come? Conosceva il mio nome? Questa nuova<br />

prospettiva mi stupì più di quanto avrei desiderato.<br />

Scavalcai la cattedra con un balzo- sotto gli occhi del 18<br />

ancora assonnato - e la afferrai per un braccio per<br />

27


fermarne la corsa verso l’uscita. Sembravo pazzo perfino a<br />

me stesso mentre provavo a riesaminare dall’esterno<br />

quella mia reazione improvvisa e senza controllo.<br />

> strillò adirata.<br />

In quel momento entrò Salvatore, l’addetto alle pulizie del<br />

turno di pomeriggio. Mi guardò in cagnesco prima di<br />

indicarmi con la mazza dello spazzolone <br />

Mollai la presa > risposi con lo stesso<br />

tono burbero che aveva usato lui.<br />

Il 18 uscì dall’aula senza badare minimamente a noi. Non<br />

lo odiai mai come in quel momento. Avrebbe anche potuto<br />

dire la sua, no? Aveva visto com’era andata. Perché<br />

scappare in quel modo? Farmi fare la parte del maniaco<br />

rientrava nei suoi piani di vendetta per averlo costretto a<br />

trattenersi più del dovuto?<br />

Denise non rispose niente, si limitò a seguire il ragazzo,<br />

ma non prima di affondare un’ultima volta il suo sguardo<br />

gelido nel mio. Ed effettivamente, per quanto mi sforzi di<br />

ricordare, credo proprio che quella fu l’ultima volta che mi<br />

guardò. L’ultima prima di quella stramba mattina di metà<br />

gennaio. Al contrario di me, che da quel giorno non le tolsi<br />

più gli occhi di dosso. Ossessionato d’averla ferita in<br />

modo irreparabile.<br />

28


4<br />

Alle scuse, quella mattina, avrei voluto aggiungere di stare<br />

attenta, di non commettere i miei stessi errori, ma dentro<br />

di me sapevo che non ne avrebbe avuto bisogno. Mi<br />

sforzavo di crederlo almeno. Forse era solo una scusa<br />

inconscia per trattenerla ancora un momento lì accanto a<br />

me. Il senso di colpa per quanto le avevo fatto mi bruciava<br />

dentro, vivo come il primo giorno. Quanto aveva influito il<br />

mio crudele comportamento sul suo cambiamento? Ero<br />

stato io a trasformarla nell’essere vuoto e frivolo che<br />

vedevo allontanarsi da me un passo dopo l’altro, con<br />

quell’andatura ondeggiante, incerta, innaturale… che non<br />

le apparteneva. Ero stato io a gettarla in pasto al branco?<br />

Non avrei mai potuto chiederglielo apertamente senza<br />

risvegliare in lei quell’ira furibonda nei miei confronti che<br />

l’aveva tenuta così distante in questi ultimi due anni. Però<br />

ero curioso di sapere cosa le avesse fatto cambiare idea<br />

proprio quel giorno. Cos’era successo?<br />

Una sbirciatina?<br />

Che ora fosse istintivamente attratta dalla mia vicinanza<br />

era logico come un’addizione elementare. E questo<br />

pensiero più che altro mi irritava, ma non come quando<br />

vedevo Marco posare le sue zampacce su di lei – troppo<br />

certo di ottenere il favore che cercava - era un’irritazione<br />

più simile a quella che sentivo quando quel sorcio la<br />

ignorava.<br />

Man mano che i minuti scorrevano verso la fine della<br />

seconda ora, cresceva in me l’irritazione per<br />

quell’innocente saluto.<br />

Che cosa l’aveva portata a quella decisione così drastica?<br />

Volevo saperlo. Dovevo saperlo. Quel pensiero iniziò a<br />

martellarmi la mente, già sovraccarica di preoccupazioni.<br />

29


Mi sentivo un lupo in gabbia. Dovevo fare qualcosa o<br />

assecondare le sue scelte? Ma soprattutto, potevo fare<br />

qualcosa? Ne sarei stato in grado se avessi voluto?<br />

Ero stato crudele con lei, lo ammetto, ma lei lo era stata<br />

altrettanto, rifiutando le mie scuse per tutto quel tempo.<br />

Imponendosi di credere che non esistessi, che fossi<br />

invisibile.<br />

E allora perché aveva improvvisamente deciso di vedermi?<br />

Dovevo saperlo, o sarei impazzito.<br />

Ringraziai Melluso per la sua poca pazienza di fronte al<br />

tempo perso a far niente. Aveva terminato di leggere i<br />

quotidiani che aveva lasciato da parte e i dieci minuti<br />

successivi gli parvero tanto interminabili da decidere che il<br />

tempo a disposizione per il test era a sufficienza.<br />

Non potei trattenermi dal ridere di fronte alle facce<br />

esterrefatte di chi sperava in un colpo di genio dell’ultimo<br />

minuto.<br />

Lei si voltò, disturbata dalla mia risata sfacciata. Ma era<br />

davvero disturbata? Non avrebbe potuto essere<br />

qualcos’altro invece? Quell’espressione fredda avrebbe<br />

potuto essere il riflesso dell’insoddisfazione,<br />

dell’afflizione per non aver terminato il test.<br />

Certo che avrebbe potuto essere questa la causa, ma non ci<br />

credevo abbastanza. Ero più sicuro che avesse terminato<br />

già prima dell’inizio della prima ora. Lo doveva al branco,<br />

dopotutto. Era lei che aveva la responsabilità di superare<br />

gli scritti anche per gli altri.<br />

Scappa, stupida snob che non sei altro! Continuavo a<br />

pensare mentre incrociavo i suoi occhi ancora una volta.<br />

Non ridevo più però. Sentivo chiaramente la mia mascella<br />

irrigidirsi mentre nella mia testa lottavo tra disgusto e<br />

disapprovazione.<br />

30


Si alzò Simona per raccogliere i compiti. I suoi movimenti<br />

erano molto più aggraziati di quelli di Denise, si vedeva a<br />

distanza che non applicava nessuno sforzo in quello che<br />

faceva. Era naturale. Naturale come la sua innata<br />

superficialità. Tanto superficiale e vuota da sembrare<br />

perfino attraente. Con quelle sue movenze armoniose<br />

sarebbe riuscita a incantarmi di nuovo se avesse voluto, e<br />

di nuovo mi sarei lasciato chiedere qualsiasi cosa, e privo<br />

di ogni volontà l’avrei assecondata, sentendo che era<br />

ingiusto non accontentare un esserino così grazioso.<br />

Forse in questo sono perfino più superficiale di lei. O forse<br />

sono solo un essere umano. Un uomo, più precisamente,<br />

che freme dal desiderio di far emergere il cavaliere che è<br />

in sé per salvare la fanciulla indifesa.<br />

Credo che fosse questo che mi irritasse davvero di Denise.<br />

Irritava e attraeva allo stesso tempo. Lei non sembrava mai<br />

indifesa, ed io mi sentivo troppo stupidamente uomo per<br />

reprimere il fanatico impulso di possedere qualcosa di<br />

delicato e fragile da proteggere per appagare il mio<br />

orgoglio maschile.<br />

Per un breve momento si voltò di nuovo a guardarmi,<br />

quasi riuscisse a sentire le mie parole come se le stessi<br />

urlando e non soltanto pensando.<br />

Non sembrava più irritata adesso, piuttosto… incuriosita.<br />

Accennai un sorriso, pentendomene subito. Però avevo<br />

bisogno di una prova. Dovevo essere certo che fossi<br />

davvero io l’oggetto della sua attenzione. Forse era stato<br />

solo un breve momento il suo. Che male ci sarebbe stato<br />

ad ammetterlo? Si cambia idea per molto meno, dopotutto.<br />

La risposta alle mie domande giunse quando la vidi<br />

chiaramente rispondere al mio sorriso.<br />

Sfacciata come al solito! pensai. A quanto pare mi ero<br />

sbagliato ancora. Aveva proprio deciso di tornare a<br />

vedermi. Non credo di essermi sentito più inquieto di<br />

31


allora in passato. Sapevo di dover reagire in qualche<br />

modo, ma l’unica reazione che continuava ad assecondare<br />

i miei sensi era quella di fissarla. Ogni movimento, per<br />

quanto impercettibile si imprimeva nella mia mente come<br />

un’immagine sul rullo di negativo delle vecchie macchine<br />

fotografiche.<br />

Alzati e vattene! Continuavo a ripetermi mentre - come se<br />

avessi altri occhi a disposizione - me ne stavo a guardare<br />

la piccola folla di facce sconsolate abbandonare l’aula<br />

dalla porta secondaria, quella che da direttamente<br />

all’aperto, sull’atrio lastricato interno dell’istituto.<br />

Con gli altri occhi invece, continuavo a guardare lei.<br />

Immobile al suo posto. Il Branco l’aveva lasciata sola, ma<br />

per poco. Erano appena le 11:00, troppo presto per riunirsi<br />

al bar a pranzare. Forse, semplicemente, non aveva<br />

particolare voglia della loro compagnia quel giorno.<br />

Dall’alto della mia presuntuosa arroganza giurai che stesse<br />

ancora rimuginando sul test.<br />

L’aula rimase vuota in un lampo. Eravamo rimasti solo noi<br />

due. Lei alla prima ed io all’ultima fila di banchi. Non<br />

avrei potuto raffigurare meglio per immagini la nostra<br />

evidente differenza. Una il perfetto opposto dell’altro. E,<br />

come la fisica insegna…<br />

Inevitabilmente mi sentii attratto dalla mia carica opposta<br />

e, prima ancora che riuscissi a realizzare questo concetto<br />

nella mia testa, ero già accanto a lei.<br />

> chiesi sperando fortemente in una risposta<br />

affermativa.<br />

E invece mi sorrise.<br />

Piccola impudente! ><br />

nonostante tutto sembrava non prestarmi attenzione. La<br />

testa china su un blocco per appunti aperto nel centro.<br />

32


aggiunsi inclinando appena la testa per<br />

osservare quale fosse il punto del programma che la<br />

impensieriva.<br />

Esattamente come con la chimica però, anche in questo<br />

caso usava metodi tutti suoi per risolvere gli esercizi. Era<br />

ancora impossessata dal caos dei suoi ragionamenti.<br />

Non mi guardava, non parlava, eppure - non mi spiego<br />

come - riusciva a prestarmi quel minimo di attenzione che<br />

bastava a trattenermi lì.<br />

> chiesi ancora, cercando di<br />

sembrare disinvolto e il più possibile ambiguo.<br />

Naturalmente rispose la cosa più ovvia per la domanda più<br />

ovvia ><br />

Non era sufficiente, ma per il momento avrei potuto<br />

accontentarmi.<br />

> chiesi, quasi esitante.<br />

Spinse il blocco verso di me, che potei chinarmi un poco<br />

per esaminare il problema. Scivolò leggermente verso di<br />

me col busto. Voleva mostrarmi il passaggio che l’aveva<br />

frenata dalla sua corsa per chissà quanti giorni. Nel farlo<br />

quasi mi sfiorò, ma la schivai senza che se ne accorgesse.<br />

Mi indicò il punto con la gomma un po’ consumata della<br />

matita. Mi trovai di nuovo stupidamente in difficoltà.<br />

Avevo bisogno di più tempo di quanto immaginassi per<br />

decodificare il suo ragionamento contorto. Da lì a un<br />

attimo se ne sarebbe accorta anche lei e avrei fatto una<br />

pessima figura. Avrebbe preso la mia esitazione per<br />

ignoranza e il mio ego ne sarebbe rimasto profondamente<br />

ferito.<br />

Non potevo vedermi, ma ero certo che in quel momento<br />

sul mio viso ricomparve il ghigno infastidito di quando mi<br />

trovai il suo compito di chimica fra le mani. Le sfilai<br />

33


accanto, un po’ brusco, cercando di mantenere la calma,<br />

per quanto possibile.<br />

Se ne accorse? Se ne accorse, ma ormai era tardi per<br />

rimediare. Sulla cattedra del professore c’erano i soliti<br />

fogli spazzatura ammonticchiati in un angolo. Ne tirai uno<br />

verso di me mentre mi mettevo a sedere. Arraffai<br />

nervosamente la penna del blocco delle firme e le chiesi -<br />

sperando di sembrare tranquillo e gentile - di dettarmi la<br />

traccia dell’esercizio.<br />

Credevo rimanesse al suo posto a violentarsi il cervello nel<br />

tentativo di dimostrare che avrebbe potuto risolverlo anche<br />

da sola, invece sentii il rumore della sedia spostarsi e i<br />

suoi passi incerti avvicinarsi alla cattedra. Avvicinarsi a<br />

me.<br />

Fece strisciare un’altra sedia accanto alla mia e si mise in<br />

ginocchio, in equilibrio sugli avambracci, attenta a<br />

osservare la mia mano muoversi nervosa sul foglio di<br />

fortuna.<br />

Curvata com’era, riuscivo a sentire il suo respiro<br />

profumato sul viso.<br />

Allontanati! Allontanati! Continuava a dire la voce nella<br />

mia testa. La stessa voce che un attimo prima mi aveva<br />

sconsigliato di avvicinarmi.<br />

Mi voltai appena per osservarla – mi era quasi impossibile<br />

averla così vicina e non fissare i particolari, che fino ad<br />

allora ero stato costretto a cogliere solo da lontano, ora che<br />

ne avevo l’occasione. –<br />

Quando la guardai era ancora concentrata sull’esercizio,<br />

che prendeva piano piano significato sul foglio, ma si<br />

accorse che c’era qualcosa di strano quando osservò la mia<br />

mano fermarsi senza motivo.<br />

Sollevò piano il mento a cercarmi, e mi trovò.<br />

34


Riprenditi! Sembri un maniaco. Niente di più vero.<br />

Scrollai istintivamente la testa nella speranza di cancellare<br />

quell’espressione troppo curiosa sul mio viso.<br />

Credevo che l’avrei vista ritrarsi, indispettita dal modo<br />

morboso in cui l’avevo guardata, invece non si mosse. Era<br />

sorpresa, questo sì, imbarazzata - forse sotto tutto quel<br />

fondotinta era perfino arrossita -, ma affatto disturbata.<br />

> chiese.<br />

Perché mi ero fermato? Ah sì. Giusto!<br />

> mentii.<br />

><br />

Certo che no! Perché mai avresti dovuto scegliere di<br />

seguire il metodo più semplice, più intuitivo? Che gusto<br />

c’era?<br />

Non gliel’avrei data vinta neanche sta volta e il mio ego<br />

perfido rideva di soddisfazione di fronte a quella certezza<br />

> dissi,<br />

ma fu più un mormorio, come se dentro di me, avessi<br />

saputo che dirlo ad alta voce era tanto sbagliato quanto<br />

appagante.<br />

Mi preparai a farmi investire da un’esplosione di rabbia,<br />

ma non arrivò.<br />

Mi fissò con occhietti curiosi invece.<br />

> chiesi. Mi aveva disorientato. Mi sentivo<br />

come perso nel vicolo buio di una grande città in cui non<br />

ero mai stato prima. Sensazione nuova. Ho troppo senso<br />

dell’orientamento.<br />

> sembrava sinceramente sorpresa.<br />

E adesso? Come facevo a risponderle senza offenderla<br />

almeno un pochino? > fu l’unica risposta<br />

che riuscì a elaborare il mio cervello in una frazione di<br />

secondo.<br />

35


Sono sempre stato talmente presuntuoso da dire quasi<br />

sempre quello che mi passa per la testa, ma con lei era<br />

diverso. Con lei avevo capito quanto potesse essere<br />

meschina a volte la verità. Meglio mentire.<br />

Le persone si sentono appagate dalle menzogne, quindi<br />

che c’è di male nel poter concedere loro quello che<br />

desiderano? Se solo non mi risultasse sempre così<br />

faticoso…<br />

Avrei mentito spudoratamente anche quel giorno.<br />

Dopotutto mi ero ripromesso che non avrei più permesso<br />

al mio ego crudele di farle del male. Era giusto così! Ma<br />

allora perché mi sentivo in colpa?<br />

> non riuscivo proprio ad essere meno<br />

garbato di così.<br />

><br />

rispose subito.<br />

E chi te l’ha chiesto? ><br />

><br />

><br />

e il mostro parlò inorridendo la fanciulla!<br />

Stupido, stupido, stupido e cattivo che non sei altro.<br />

Non rispose. Non mi guardò. Teneva lo sguardo basso,<br />

rossa di vergogna.<br />

Chi ero io per giudicare? Perché mai avrei dovuto<br />

interferire? Che male c’era se era quello il suo approccio<br />

alla vita? Perché devo sempre dedurre che sia<br />

36


semplicemente sbagliato tutto ciò che non rientra nel<br />

campo visivo della mia prospettiva d’insieme?<br />

E adesso che faccio? > che le dico? Non<br />

sarebbe meglio che me ne stessi zitto invece, prima di<br />

peggiorare la situazione? > mi inorridiva<br />

pronunciare il suo nome ad alta voce. Non volevo che mi<br />

sentisse, che le risultasse disgustoso pronunciato da me > ma ce la fai o no a dire qualcosa di sensato? > ecco, originale come sempre.<br />

Complimenti. Mi sentivo davvero un mostro.<br />

> rispose lei, e mi sembrò di congelare > aggiunse poi. Disarmata. Vulnerabile.<br />

Vulnerabile? Denise?<br />

No! Mi rifiutavo di crederci. Non lei, non la Denise che<br />

conoscevo io.<br />

Senza dire altro la sentii muoversi. Tornò al suo banco<br />

senza mai alzare lo sguardo su di me. Io naturalmente non<br />

le toglievo gli occhi di dosso.<br />

La vidi radunare le sue cose distrattamente - come se<br />

stesse ancora pensando a quello che le avevo detto - poi<br />

uscì dall’entrata principale per raggiungere l’aula di<br />

matematica per la prossima lezione.<br />

Avrei volentieri passato un paio d’ore a flagellarmi se la<br />

mia attenzione non fosse stata attirata dall’orologio alla<br />

parete. 11:38.<br />

11:38?<br />

Come al solito ero in ritardo per il lavoro.<br />

37


38<br />

5<br />

Quanto si può tenere una maschera sul viso prima che inizi<br />

a prudere tanto da immobilizzarti la mente sull’unico,<br />

convulso desiderio di strappartela via?<br />

Ventuno anni, più o meno.<br />

La mia maschera è molto sofisticata. Ha l’aspetto di un<br />

ragazzo per bene, colto, altolocato, tanto affascinante da<br />

suscitare il tipico chiacchiericcio delle signore quando la<br />

indosso per presenziare a uno dei tanti noiosissimi<br />

ricevimenti di qualche magnate dell’alta società. È l’unica<br />

maschera che mi è permesso indossare in pubblico,<br />

soprattutto se in presenza di mio padre. Mi sono nascosto<br />

dietro quel viso perfetto per oltre vent’anni e rimpiango<br />

ognuno di quei giorni per la mia identità occultata per<br />

onore di madama Apparenza.<br />

Mio padre!<br />

Non ho mai parlato molto con lui. Il lavoro assorbiva quasi<br />

ogni secondo del suo tempo, quando ero a casa. Gli<br />

concedeva qualche istante giusto per non fargli perdere la<br />

mano con le solite paternali.<br />

Se qualcuno mi chiedesse, ancora oggi, “Pensi che tuo<br />

padre ti voglia bene?” mi verrebbe troppo spontaneo<br />

rispondere con un secco “No!”<br />

Non ci siamo mai andati a genio, questa è la verità. Troppo<br />

diversi. Troppo diverso io dall’idea di figlio che lui si è<br />

costruito negli ultimi vent’anni.<br />

Spesso mi chiedo se mio fratello Stefano l’abbia concepito<br />

per riprovare un esperimento fallito piuttosto che per il<br />

desiderio di avere un altro figlio.<br />

Non è mai stato molto presente fisicamente nelle nostre<br />

vite, quindi mi sembra strano provare a guardarlo da una


nuova angolazione e ammettere che forse, dopotutto,<br />

Stefano sia nato come entità a sé stante e non come<br />

sostituzione di un pezzo difettoso del puzzle della sua<br />

esistenza impeccabile.<br />

Stefano è tutto ciò che lui ha sempre voluto che fossi io.<br />

Estremamente elegante, educato, rispettoso, prevedibile.<br />

Nauseante aggiungerei se non fosse mio fratello, se non<br />

fosse che è l’unica persona al mondo per cui senta un<br />

sincero affetto senza riserve.<br />

I primi anni sperimentati con me sono serviti a mio padre<br />

come rodaggio per la sua nuova macchina. Sapeva<br />

perfettamente dove aveva sbagliato ed è stato ben attento a<br />

non commettere una seconda volta gli stessi errori. Abolito<br />

ogni respiro quindi. Ogni traccia di libertà. Nulla sarebbe<br />

andato storto sta volta.<br />

Anche Stefano ha vissuto il proprio periodo nero<br />

dell’adolescenza, questo è certo, ma è passato troppo in<br />

fretta per lasciare tracce significative nei nervi labili di<br />

nostro padre.<br />

La vita di Stefano e, di riflesso, la mia, è sempre stata<br />

basata su due condizioni fondamentali.<br />

Punto primo: la reputazione di Stefano non può essere<br />

macchiata dalla mia condotta. Di conseguenza, per quanto<br />

non potesse interessargli nulla di me, la sua stessa<br />

condizione gli imponeva di garantirmi tutto il necessario<br />

per costruire attorno alla mia persona la reputazione degna<br />

di un principe ereditario. Da qui, la maschera.<br />

Per quanto assurdo, io che sono il figlio che non esiste, fui<br />

costretto a frequentare un collegio privato troppo vicino a<br />

casa per impedirmi di farvi ritorno in ogni occasione<br />

concessa, mentre Stefano si godeva dieci mesi l’anno, un<br />

prestigioso collegio londinese. Il perché di quella scelta è<br />

limpidamente spiegato nella seconda condizione.<br />

Punto secondo: nessuna cattiva influenza su Stefano.<br />

39


Ha cercato di tenerci lontani l’uno dall’altro, o meglio, ha<br />

cercato di tenere Stefano lontano da me, il più possibile.<br />

Mio padre disapprovava praticamente tutto ciò che facessi.<br />

Persino i miei pensieri, le mie idee sembravano<br />

infastidirlo. Era come un riflesso incondizionato. Oggi<br />

sono arrivato a credere che sotto sotto non ci facesse<br />

neanche più caso.<br />

Se volevo suonare la chitarra, mi iscriveva a conservatorio<br />

per studiare pianoforte. Se volevo frequentare la scuola<br />

d’arte mi iscriveva a equitazione. Se volevo la moto mi<br />

comprava la macchina.<br />

Giorgio, sei sicuro che in fondo anche questo sia un modo<br />

per farmi capire che pensa a me?<br />

Effettivamente deve impegnargli molto tempo trovare<br />

sempre il modo giusto per rovinarmi la vita.<br />

Intanto però, mentre Stefano proseguiva il suo esilio<br />

forzato per spianarsi la strada che l’avrebbe reso il grande<br />

uomo che mio padre vede ereditare le chiavi del suo regno<br />

perfetto, io smettevo di nascosto la mia maschera e<br />

sperimentavo le prime droghe, le prime ubriacate con gli<br />

amici, il primo tatuaggio, la prima infezione da piercing, i<br />

primi rapporti occasionali.<br />

Avrei provato di tutto pur di mandare mio padre fuori di<br />

testa.<br />

40


6<br />

Mi infilai tra la folla degli studenti che si spostavano da<br />

un’aula all’altra per la lezione successiva. Avevo un<br />

ritardo spaventoso. Mi muovevo svelto cercando di non<br />

badare troppo alla delicatezza con cui spintonavo qualcuno<br />

che mi ostruiva il passaggio. Assurdo! Dovevo ancora<br />

passare a casa a prendere la macchina. Sentivo già il fiato<br />

di Massimo sul collo, i suoi occhi ardenti sulla pelle. Ero<br />

talmente concentrato a sgattaiolare via da vedere tutto<br />

offuscato attorno a me, un arcobaleno di macchie più o<br />

meno brillanti, non avrei riconosciuto neanche mio padre<br />

se mi fosse passato accanto. Una di quelle macchie però,<br />

riuscì ad attirare la mia attenzione, era diversa dalle altre.<br />

Familiare. Mi fermai un istante per osservarla meglio. La<br />

seguii fino al viale dei parcheggi, un po’ in disparte.<br />

Alex sei in ritardo!<br />

Lo trovai appoggiato, mani incrociate al petto, allo<br />

sportello anteriore della mia macchina.<br />

Ma come…?<br />

> esclamai<br />

avvicinandomi.<br />

><br />

><br />

Ivan si spostò dallo sportello portando le mani nelle tasche<br />

dei pantaloni ><br />

Detestavo il fatto che Massimo non si fidasse ancora di<br />

me, ma più di tutto odiavo che usasse Ivan per mettermi in<br />

carreggiata.<br />

> brontolai rabbioso.<br />

> ghignò. Si mosse per uscire dal<br />

parcheggio.<br />

41


chiesi insospettito.<br />

Scosse la testa divertito ><br />

> gli urlai dietro, più di<br />

quanto ce ne fosse stato bisogno.<br />

Ivan si voltò col suo solito ghigno sulle labbra ><br />

> chiesi senza raccogliere la provocazione.<br />

> rispose<br />

riprendendo ad allontanarsi.<br />

><br />

Non si voltò neanche per rispondere ><br />

Quasi volai per arrivare in tempo a casa dell’Ingegnere.<br />

Mi stava aspettando inquieto, per fortuna c’era un suo caro<br />

amico a fargli compagnia e non innervosirlo per il ritardo.<br />

Ero dovuto passare a prendere prima il signor Modilano.<br />

> dissi sfoderando il mio<br />

perfetto sorriso da agente immobiliare.<br />

Aspettai un minuto che dicesse qualcosa a sua moglie,<br />

intanto tenevo lo sportello della macchina aperto per far<br />

salire il suo amico sul sedile posteriore.<br />

> esclamai per frenare sul<br />

nascere i rimbrotti di Massimo per l’ennesimo ritardo.<br />

> rispose brusco.<br />

><br />

><br />

42


Si portò la sigaretta alle labbra, noncurante delle mie<br />

domande ><br />

><br />

Non mi rispose.<br />

> dissi con tono<br />

accusatorio.<br />

><br />

Tranquillo! Respira. ><br />

><br />

Sapevo che aveva ragione, non potevo dargli torto, ma non<br />

potevo neanche continuare a guardarlo, quindi mi voltai a<br />

fissare il panorama dalla finestra del suo ufficio.<br />

><br />

Sbuffai ><br />

><br />

Chinai il capo a guardare il pavimento. Non avrei ottenuto<br />

altro da lui >.<br />

43


Intravidi Paolo con la coda dell’occhio, mentre uscivo<br />

dall’agenzia. Parlottava fitto fitto con un cliente. Si voltò<br />

appena si accorse d’essere osservato. Con un cenno<br />

leggero del capo mi invitò a raggiungerli.<br />

> mi chiese senza tirarla troppo<br />

per le lunghe. Il suo sorriso incoraggiante mi ridiede un<br />

po’ di speranza.<br />

> risposi secco, sempre un po’ troppo ostile.<br />

><br />

><br />

Si rabbuiò ><br />

><br />

> indicò con lo sguardo la porta chiusa<br />

dell’ufficio del capo.<br />

A quanto pare le mie intuizioni erano giuste. Voleva<br />

tenermelo nascosto di proposito. Ma a che scopo?<br />

Frequentando le lezioni era impossibile che non me ne<br />

accorgessi da solo ><br />

><br />

Sospirai pensieroso ><br />

><br />

Vero anche questo. Era già successo in passato di voler<br />

convincere un cliente al punto da rafforzare le sue<br />

convinzioni.<br />

> chiesi, con<br />

tono troppo retorico per indurlo a rifiutare la mia richiesta.<br />

><br />

44


Annuì > e indicò di nuovo<br />

l’ufficio.<br />

><br />

Annuì di nuovo, più convinto di prima.<br />

> mi urlò dietro mentre mi<br />

affrettavo verso l’uscita.<br />

45


46<br />

7<br />

Così come per Stefano anche per me fin da piccolissimo si<br />

scelse una carriera scolastica accademica. Ero destinato<br />

all’Ancharos – così si chiama, in onore del capostipite<br />

della famiglia che lo ha istituito – in quanto primogenito<br />

maschio, in quanto nipote di mio nonno più che in quanto<br />

figlio di mio padre, che non l’aveva frequentato. Non avrei<br />

potuto scegliere diversamente neanche se avessi voluto.<br />

Ricordo bene il primo giorno che misi piede all’Ancharos.<br />

Avevo sei anni. Avevo assistito al primo giorno di scuola<br />

di tutti i miei amichetti che, zainetto in spalla si lasciavano<br />

accompagnare semplicemente alla scuola più vicina. Non<br />

che a quel tempo frequentassi altri bambini all’infuori<br />

delle mie cugine e dei figli dei domestici. Volevo andare<br />

anch’io con loro. Poter tornare a casa fra le braccia di mia<br />

madre per l’ora di pranzo, ma a me non era concesso.<br />

Stefano aveva appena iniziato a farfugliare frasi<br />

comprensibili di senso compiuto. Eppure quella mattina<br />

sembrava rendersi conto che stava per cambiare qualcosa<br />

nella sua quotidianità.<br />

Era un lunedì di settembre e il cielo mandava giù pioggia<br />

da far invidia a una tempesta tropicale.<br />

Fu mio nonno ad accompagnarmi mi disse <br />

Questa era la trasposizione letterale della considerazione<br />

che la mia famiglia aveva di me.<br />

Varcammo il grande cancello in ferro battuto nero intorno<br />

alle 7:00. Procedemmo molto lentamente lungo il viale<br />

alberato per raggiungere il portone d’ingresso.


Dall’aspetto aveva tutta l’aria d’essere un bel posto.<br />

Guardai mio nonno con attenzione prima di scendere dalla<br />

macchina con un saltello.<br />

> mi disse accennando un<br />

sorriso per incoraggiarmi > e mi mise in mano un’agendina dalla<br />

rilegatura raffinata ><br />

Dovevo avere l’aria stravolta e affatto convinta, perché<br />

non mi aveva mai parlato a quel modo. Ero abituato a<br />

sentirlo tuonare rimproveri non a elargire carezze gratuite.<br />

Quell’improvvisa gentilezza più che rassicurarmi mi<br />

inquietò.<br />

Vidi degli uomini scendere le mie cose dal bagagliaio.<br />

Solo più tardi mi sarei accorto che le avevano portate in<br />

quella che da quel giorno sarebbe stata la mia stanza per<br />

quasi tredici anni.<br />

Una donna poi si avvicinò a mio nonno per stringergli la<br />

mano. Parlarono di qualcosa, dopodiché mi accorsi dalle<br />

loro facce che era giunto il momento dei saluti. Credevo<br />

mi accompagnasse dentro e invece non ebbi che qualche<br />

breve momento per salutare il nonno prima che se ne<br />

andasse.<br />

La donna mi prese per mano e mi accompagnò all’interno,<br />

in un lussuoso androne disse<br />

sollevandomi appena per mettermi a sedere su una<br />

panchina di legno dall’imbottitura in pelle.<br />

Rimasi nell’atrio interno dell’edificio ad aspettare che<br />

qualcuno venisse a chiamarmi per quasi tutta la mattina.<br />

Ebbi, nel frattempo, modo di dare una prima occhiata a<br />

quella che sarebbe stata la mia nuova casa per i prossimi<br />

anni. Vedevo solo ragazzi salire e scendere la grande<br />

scalinata di marmo al centro dell’androne, in silenzio, libri<br />

47


in bella mostra. Erano tutti rigorosamente in divisa, di<br />

colore diverso, per ogni sezione di corso.<br />

Sabbia era il colore delle divise dei più grandi. Mi<br />

sembravano estremamente eleganti, rivestiti di quegli abiti<br />

d’alta sartoria. Mi strinsi le ginocchia al petto, intimorito<br />

dalle espressioni dure sui loro volti.<br />

Il colore dei ragazzi di metà corso era il verde scuro:<br />

pantalone grigio fumo e maglione verde. Camicie, tutte<br />

rigorosamente bianche.<br />

Mentre per i più piccoli, tipo me, il maglione era<br />

bordeaux.<br />

L’unico particolare comune in tutti gli allievi era lo<br />

stemma del collegio cucito su giacche, maglioni gilet e<br />

camicie, proprio sulla parte alta sinistra del petto.<br />

Un’immagine che non dimenticherò mai, anche perché mi<br />

fu tatuata sul dorso della mano destra una settimana dopo<br />

il mio ingresso all’Ancharos.<br />

Avevo deciso di toglierlo una volta uscito dal collegio, ma<br />

poi sono successe tante di quelle cose che quel tatuaggio è<br />

diventato l’ultimo dei miei pensieri.<br />

Intorno alle 11.30 arrivò un uomo distinto con in mano un<br />

paio di opuscoli. > mi chiese.<br />

><br />

><br />

Attraversai con lui un lungo corridoio. Col tempo ho<br />

imparato a guardare il collegio con occhi diversi, ma quel<br />

giorno mi sembrò tutto molto più maestoso di quanto non<br />

fosse realmente.<br />

Ci fermammo dinanzi ad una porta, con lo stemma in bella<br />

vista intagliato direttamente nel legno.<br />

48


spiegò ><br />

Io annuii senza badarci troppo e mi sedetti lì accanto su<br />

una panchina identica a quella nell’ingresso.<br />

Il silenzio non mi è mai piaciuto granché. Mi rende<br />

nervoso. A quei tempi invece mi spaventava. Più i minuti<br />

scorrevano e più in me accresceva l’ansia e la paura per<br />

quell’incontro. Ma non volevo mettermi a frignare come<br />

uno stupido, cercai quindi un modo per distrarmi da quel<br />

pensiero e lo feci iniziando a guardarmi intorno.<br />

Le pareti erano affrescate di immagini mitologiche. Poco<br />

rassicuranti per un bimbo di sei anni impaurito e<br />

disorientato.<br />

L’attesa a un certo punto divenne snervante, tentai perfino<br />

di sentire cosa si stessero dicendo di tanto importante, ma<br />

parlavano un linguaggio che allora ancora non conoscevo.<br />

Era un parlare fitto fitto il loro, come di due che hanno<br />

molto da dirsi.<br />

Aspettai ancora qualche minuto, poi fu finalmente il mio<br />

turno. > è così che mi hanno sempre<br />

chiamato lì dentro da quel momento in avanti.<br />

Bussai quindi, ed entrai quando mi fu chiesto di entrare.<br />

Del discorso del Rettore Lombardi ricordo solo un sacco<br />

di bla bla bla bla. Un particolare rimasto indelebile come il<br />

primo giorno invece, è che mi diede un grosso libro dalla<br />

copertina rigida in pelle marrone con lo stemma marchiato<br />

a fuoco al centro. Era il Libro degli Ancharos, una sorta di<br />

manuale con incise tutte le ferree regole dell’istituto, o<br />

della Setta, perché era questo che si nascondeva dietro<br />

quella facciata elegante.<br />

Lo conservo ancora. Non come ricordo, ma come monito<br />

per il futuro.<br />

49


Terminato il colloquio, il segretario mi diede uno dei tre<br />

opuscoli – se si può chiamare opuscolo un libro di<br />

duecento pagine - che aveva tra le mani e si decise a farmi<br />

strada per mostrarmi la mia camera<br />

All’inizio quando mi accorsi che avrei diviso la stanza con<br />

qualcuno fui contento, ma quando vidi il mio compagno di<br />

stanza mi scivolò via di dosso tutto l’entusiasmo.<br />

Signor Marrui si chiamava, il suo nome non l’ho mai<br />

saputo. Era un ragazzetto di dieci anni, tutto eccitato<br />

perché l’anno dopo sarebbe entrato a far parte del gruppo<br />

di allievi di metà corso. Mi guardò dall’alto in basso non<br />

appena mi vide e continuò a farlo fino al suo ultimo giorno<br />

di permanenza all’Ancharos.<br />

Purtroppo mi resi conto fin troppo presto che la vita lì<br />

sarebbe mutata in un inferno.<br />

Per tutto il resto della giornata mi lasciarono libero di<br />

disfare i bagagli e ambientarmi a quella nuova situazione.<br />

Ricordo che il Signor Marrui non mi rivolse la parola per<br />

tutto il giorno e anche per quello successivo, e in seguito,<br />

quando lo fece, usò la voce solo per offendere.<br />

Sistemata la mia roba mi coricai sul letto e sfogliai curioso<br />

l’opuscolo che mi era stato dato. Mi stupii nel notare che<br />

vi erano semplicemente annotate una serie di norme di<br />

buona condotta e gli orari con le aule dei corsi che<br />

dall’indomani avrei frequentato con i miei nuovi<br />

compagni.<br />

Sveglia alle 6:00.<br />

Colazione alle 7:00.<br />

Si lascia la stanza solo se in perfetto ordine.<br />

Orario lezioni mattutine: 8:00-12:00<br />

Pranzo 12:30<br />

Ritiro in stanza 13:30 –15:00<br />

50


Orario lezioni pomeridiane 15:30-18:00<br />

Tempo libero 18:00-19:00<br />

Cena 19:00<br />

Palestra (solo per allievi del secondo e terzo corso) 20:00-<br />

22:00<br />

Ritiro in dormitorio 22:30 (21:00 per allievi del primo<br />

corso)<br />

Le luci si spengono alle 23.00. (22:00 per allievi del primo<br />

corso)<br />

Ogni Venerdì riunione nell’atrio esterno dell’istituto dalle<br />

21:00 alle 23.00 per assemblee di ordine generale gestite<br />

dai cinque rappresentanti del corpo studentesco (riservato<br />

esclusivamente agli allievi del terzo corso).<br />

Un solo giorno al mese è concesso saltare l’intero ciclo<br />

delle lezioni per dedicarsi ad altro. Senza ripercussioni.<br />

Una specie di assenza giustificata.<br />

Non è possibile per nessun motivo correre all’interno<br />

dell’edificio se non in palestra o durante le esercitazioni<br />

in campo aperto.<br />

Non è permesso chiamare un proprio compagno o un<br />

superiore senza l’appellativo “Signore”.<br />

Non è tollerato per nessun motivo alcun tipo di rissa tra<br />

allievi.<br />

Non è permesso mangiare oltre l’orario stabilito.<br />

Non è permesso proferire parola in presenza di un<br />

superiore a meno che non sia stato egli stesso a chiederti<br />

di farlo.<br />

Non è permesso piangere, ridere smodatamente o<br />

lamentarsi.<br />

In altre parole non era permesso vivere.<br />

(Solo per gli allievi del secondo e del terzo corso) Sono<br />

concesse 8 settimane di licenza l’anno, ripartite in modo<br />

51


da tornare a casa almeno una settimana ogni due mesi.<br />

L’ultima settimana di novembre, febbraio aprile e giugno.<br />

Le ultime due settimane di agosto e settembre.<br />

All’infuori di quei giorni non c’era peste che tenesse, non<br />

era permesso lasciare l’istituto.<br />

Tra gli allievi vi era una sorta di elementare gerarchia in<br />

base all’anno di corso. Ti era superiore chiunque fosse<br />

almeno un anno più avanti di te.<br />

Essendo io uno dei più piccoli, parlavo poco e sgobbavo<br />

troppo per ubbidire ai fastidiosi capricci dei ragazzi più<br />

grandi. Mi consolava però, l’idea di non essere l’unico di<br />

quell’età a essere trattato così, era una ruota che girava per<br />

tutti allo stesso modo. L’anno dopo, infatti, anch’io ho<br />

avuto il mio novello schiavetto.<br />

Ogni violazione delle regole aveva la sua specifica<br />

punizione, in base alla gravità del caso, dalle umiliazioni<br />

più degradanti alle pene corporali. Ce ne erano di tutti i<br />

gusti ed io come ogni studente che si rispetti, nei tredici<br />

anni passati lì, le ho provate davvero tutte.<br />

La punizione più esemplare la subii a quindici anni,<br />

quando una sera di marzo, per non ricordo più neanche<br />

quale motivo, tentai di fuggire da quell’orrore.<br />

Naturalmente non riuscii a evadere, le guardie armate<br />

addette alla sicurezza mi ripresero ancora prima che<br />

riuscissi ad avvicinarmi anche solo di qualche centinaio di<br />

metri al cancello. Per punirmi per quello che avevo tentato<br />

di fare, e forse anche per dare un esempio concreto agli<br />

altri ragazzi e inibirli anche solo nel pensare di provare la<br />

mia medesima impresa, mi legarono a un palo, in cortile e<br />

mi diedero tante di quelle cinghiate che, ancora adesso, se<br />

ci penso mi vengono i brividi.<br />

52


Riportai escoriazioni di secondo grado su tutto il corpo che<br />

mi costrinsero a rimanere in infermeria per oltre tre mesi.<br />

Saltai quindi le due settimane di licenza di aprile e giugno.<br />

Non avevo il permesso di dire a nessuno cosa fosse<br />

accaduto davvero, quindi mi toccò inventarmi una scusa<br />

qualunque per giustificare la mia assenza da casa quel<br />

periodo. Mio nonno probabilmente immaginò che c’era di<br />

mezzo qualche magagna, sapeva cosa succedeva lì dentro<br />

e non riesco ancora a perdonargli il fatto di avermici<br />

mandato con la consapevolezza di quello che sarebbe<br />

successo.<br />

Nulla di quello che accade all’interno delle mura<br />

dell’Ancharos deve essere rivelato all’esterno.<br />

La pena per questa trasgressione non l’ho mai saputa,<br />

probabilmente ne è venuto al corrente solo il diretto<br />

interessato. Se ce n’è mai stato uno tanto coraggioso da<br />

affrontare il sistema. Io non lo sono stato.<br />

Brevemente ho riassunto oltre quattrocento regole<br />

stampate sull’opuscolo di presentazione del collegio.<br />

Quattrocento regole che, in fin dei conti, se seguite alla<br />

lettera riescono a salvarti la vita.<br />

Non sono mai stato visto di buon occhio in collegio. Ero<br />

definito il classico figlio di papà, un raccomandato.<br />

Sicuramente ero il più facoltoso dell’istituto e questo non<br />

era tollerato dai miei compagni. Gli insegnanti poi, non<br />

avevano alcun potere, il loro unico compito era insegnare<br />

e fingersi estranei a tutto il marciume in cui galleggiava il<br />

buon nome della scuola.<br />

Il primo compito di responsabilità assegnatomi<br />

all’Ancharos fu di accogliere i nuovi arrivati e farli rigare<br />

dritto finché non si fossero ambientati a dovere. Ero una<br />

sorta di supervisore anziano. Avevo 16 anni e, a parte<br />

l’episodio della fuga, a quell’età ero riuscito a<br />

guadagnarmi quel briciolo di fiducia nei superiori<br />

53


sufficiente a garantirmi di vivere almeno con un minimo di<br />

dignità i miei pochi giorni riamasti lì dentro.<br />

Anch’io ho avuto un supervisore a mio tempo. Il Signor<br />

Wellingthon. Era un ragazzo irlandese di quindici anni. È<br />

stato fortunato con me, non gli ho mai dato problemi, e di<br />

conseguenza lui non ne ha dati a me.<br />

Mio nonno, mio padre, sono sempre stati uomini molto<br />

autoritari ed io ho dovuto imparare fin da piccolissimo a<br />

obbedire agli ordini senza replicare e questo mi ha aiutato<br />

tanto in quegli anni difficili.<br />

Ero un ribelle senza speranze, questo lo devo ammettere a<br />

me stesso prima che agli altri, ma in fin dei conti non ero<br />

cattivo. Avevo solo un’innaturale capacità di mettermi nei<br />

guai. Allora come oggi, non ho mai saputo dire di no a una<br />

sfida, quale che fosse la conseguenza della sconfitta, mi<br />

buttavo a capofitto in quell’impresa ogni volta come se<br />

fosse l’ultima. Ne ho prese tante da bambino. Soprattutto<br />

da mio padre che, esasperato dai miei continui tentativi di<br />

farmi ammazzare da qualcosa o qualcuno, cercava di<br />

mettermi giudizio con un ceffone o due, ben assestati.<br />

Quando ero su di giri era l’unica cosa che mi tenesse a<br />

freno. Se ero particolarmente nervoso, a volte cercavo<br />

perfino lo scontro di proposito. Non aveva importanza con<br />

chi, andavo a caccia di risse per sfogare la rabbia che<br />

accumulavo in collegio ogni giorno. Lo dimostra il fatto<br />

che non c’era una volta che non rientrassi all’Ancharos<br />

senza un nuovo trofeo di guerra: un livido, qualche punto,<br />

escoriazioni di ogni tipo. Forse è in quel periodo che mi è<br />

venuta la passione per la medicina, ma non saprei dirlo<br />

con certezza.<br />

I ragazzetti affidati alla mia supervisione erano alquanto<br />

vivaci e spesso sono stato punito a causa loro. Una in<br />

particolare di quelle pesti si impegnava più di tutte a<br />

mettermi nei guai, il Signor Nosph, un ragazzino austriaco<br />

54


di soli undici anni, così tremendo che in un solo anno<br />

riuscì a demolire tutto l’Impero di stima che mi ero<br />

costruito intorno. Adorava farmi uscire dai gangheri,<br />

godeva nel vedermi perdere il controllo, era un vero genio<br />

nel creare scompiglio e far ricadere la colpa su di me. Per<br />

dodici interminabili mesi non passò un giorno che non<br />

finissi in punizione a causa sua. Per mia fortuna, il periodo<br />

di supervisione durava solo un anno.<br />

Non era il massimo della correttezza il regime disciplinare<br />

dell’Ancharos, ma il percorso scolastico non aveva eguali.<br />

Ho imparato a fare di tutto nei tredici anni trascorsi tra<br />

quelle mura, anche se sembrava più un’accademia militare<br />

che un collegio. Si studiava di tutto però: dallo spionaggio<br />

alla lotta armata e non, dalla medicina alla filosofia, dal<br />

latino ai geroglifici egizi. Ho perfino imparato a dialogare<br />

correntemente in Inglese, Francese, Tedesco e Spagnolo,<br />

oltre il Peres che ci venne insegnato come seconda lingua<br />

madre. Un linguaggio segreto ideato più di seicento anni<br />

fa dallo stesso capostipite della setta. I giovani del terzo<br />

corso, infatti, potevano comunicare solo in Peres. Era una<br />

strategia che preparava all’iniziazione dell’ultimo anno.<br />

Come ho già accennato in precedenza, l’Ancharos è una<br />

Setta, una potente Setta istituita per preparare un’elite di<br />

predestinati a proseguire il delicato incarico che da<br />

generazioni portavano avanti con scrupolo e assoluta<br />

segretezza.<br />

In tredici anni d’istituto ho avuto un solo amico, l’unico di<br />

cui conoscessi il nome, l’unico che si sia degnato di<br />

rivolgermi la parola come se fossi un ragazzo normale e<br />

non una piaga da evitare a tutti i costi.<br />

Trascorremmo insieme tutto l’ultimo anno, stando<br />

ovviamente accorti a non far trapelare in pubblico la nostra<br />

segreta complicità.<br />

55


Si chiamava Mark, giunto in Italia direttamente<br />

dall’Oregon, dove non tornava ormai da più di un anno.<br />

Aveva diciassette anni come me. Un bel ragazzo, alto,<br />

fisico asciutto e due occhi penetranti, molto espressivi.<br />

L’unico vero amico che in ventitre anni abbia avuto mai.<br />

Lo notai in palestra, durante un’esercitazione di lotta. Lui<br />

non era molto abile in quella disciplina. La violenza non<br />

era proprio nella sua indole. Il suo avversario lo stava<br />

pestando a sangue. Gli aveva già rotto il naso con un<br />

calcio in pieno volto quando entrai in palestra con il mio<br />

gruppo per la lezione. Perdeva sangue a fiumi. Credo non<br />

ci vedesse neanche più dal dolore e a fatica riusciva a<br />

tenersi in piedi.<br />

L’istruttore lo guardava fisso, lo vedeva barcollare sfinito,<br />

ma non si decideva a interrompere l’incontro, al contrario,<br />

si compiaceva nel vedere l’altro ragazzo che si avventava<br />

come un cane rabbioso su un corpo ormai stremato.<br />

Quando Mark cadde a terra privo di sensi sotto l’ennesimo<br />

colpo di Siloni, non riuscii a trattenere la rabbia e mi<br />

scagliai su di lui. Avevamo un piccolo conto in sospeso<br />

noi due. L’ultima volta che ci eravamo trovati uno contro<br />

l’altro su quel tappeto, mi aveva battuto fratturandomi il<br />

metacarpo della destra con una pedata.<br />

All’istruttore parve piacere questo improvviso cambio di<br />

programma e non mi fermò, ed io non mi fermai finché<br />

non vidi quel bastardo andare a tappeto senza avere più la<br />

forza di rialzarsi da solo.<br />

Mi sentii meglio, mi sentii appagato per quello che avevo<br />

fatto, ma allo stesso tempo mi sentii strano, perché ogni<br />

giorno che passava percepivo un’incontrollabile rabbia<br />

crescermi dentro. Ultimamente, infatti, perdevo il<br />

controllo troppo facilmente. Stava cambiando qualcosa in<br />

me e questo non mi piaceva.<br />

56


Fu in quell’occasione che il Rettore mi convocò nel suo<br />

ufficio per comunicarmi personalmente che ero pronto,<br />

che da lì a un anno avrei potuto affrontare l’iniziazione e<br />

guadagnarmi il mio tanto sudato congedo. Sapevano che<br />

non vedevo l’ora di andarmene, sapevano che avrei fatto<br />

qualunque cosa pur di lasciare quel posto orrendo.<br />

Ho conservato solo dei confusi ricordi degli anni trascorsi<br />

all’Ancharos, il mio inconscio e due anni di psicoterapia<br />

devono aver rimosso gli incubi di quel periodo. Però i sei<br />

mesi che precedettero l’iniziazione non sono riuscito a<br />

dimenticarli, quelli sono ancora vivi nella mia mente.<br />

Dolorosi come il primo giorno.<br />

Lo scopo della preparazione era inibire totalmente le mie<br />

facoltà mentali. Dovevo giungere alla rinascita, mi dissero,<br />

avrei dovuto risvegliare il mio vero Essere e soccombere<br />

l’anima di Comune che aveva prevalso per diciotto anni<br />

sulla mia mente.<br />

La loro prima azione fu di buttarmi fuori dalla mia stanza.<br />

La seconda fu condurmi in un sotterraneo buio e umido.<br />

Mi fecero entrare in una delle celle disponibili, chiusero la<br />

porta a chiave e andarono via.<br />

Non mi dissero cosa sarebbe successo da quel momento in<br />

avanti, non mi accennarono nulla, potevo solo sentire di<br />

tanto in tanto dei lamenti strazianti provenire dalle stanze<br />

vicine e dar libero sfogo all’immaginazione.<br />

Ben presto divenni anch’io uno di quei lamenti.<br />

Torture, digiuni, abusi, pestaggi ingiustificati sarebbero<br />

serviti a renderci più forti secondo un loro macabro e tetro<br />

pensiero.<br />

Più cattivo! Pensavo io.<br />

57


Trascorsi sei mesi in quelle condizioni, ma un giorno mi<br />

fecero uscire. Mi sentivo tutt’altro che forte, ma di sicuro<br />

ero diventato cattivo, pronto a sfogare tutta la mia rabbia.<br />

L’uomo che venne ad aprire la cella non l’avevo mai visto<br />

prima, anche se la sua voce mi suonava piuttosto familiare<br />

> mi disse ><br />

Da iniziato sarei divenuto un autentico Ancharos, un<br />

Nocchiero per la precisione, uno dei tanti.<br />

Nella stanza da bagno dove mi condussero prima della<br />

cerimonia c’erano tre donne dal volto coperto. Mi<br />

ripulirono per bene prima della vestizione. Indossai un<br />

saio bianco allacciato in vita. Il cappuccio mi pendeva<br />

sulla schiena a coprire una parte dell’immagine in nero<br />

dello stemma della Setta.<br />

Ero nauseato, ancora provato dalle fatiche degli ultimi<br />

giorni, ma nessuno parve farci caso mentre venivo<br />

accompagnato in un enorme salone con le pareti ricoperte<br />

di drappi scuri.<br />

A presiedere il rito c’era il Rettore, appoggiato dalla<br />

presenza di altri sei uomini incappucciati di cui non<br />

conosco tuttora l’identità.<br />

Mi stavo ancora guardando intorno incuriosito e un po’<br />

inquieto quando uno degli incappucciati, il più basso, mi<br />

fece segno di avvicinarmi al tavolo di marmo al centro<br />

della stanza.<br />

Obbedii senza esitare. Volevo finire in fretta e<br />

abbandonare quel posto per sempre.<br />

Avanzai finché un altro incappucciato, il secondo da<br />

sinistra, mi fece cenno di fermarmi. Solo allora il Rettore<br />

iniziò a recitare il testo Peres per l’iniziazione.<br />

Conoscevo quel testo, il significato di quelle parole: era<br />

presente nel libro degli Ancharos a caratteri cubitali. Mi<br />

preparavo a quel giorno dal settimo anno.<br />

58


Alla formula del rettore io avrei dovuto solo rispondere:<br />

Caris modi not seiu punor mei<br />

Terminato il rito mi fecero segno di togliermi la tunica.<br />

Indossavo solo un paio di pantaloni bianchi. Su torace e<br />

schiena avevo ancora i segni delle ultime torture.<br />

Lasciai cadere a terra la tunica e rimasi immobile in attesa<br />

di nuove disposizioni. Dopo un paio di minuti,<br />

l’incappucciato in fondo a destra si avvicinò per porgermi<br />

una coppa piena di una sostanza fluida e scura. L’ultimo<br />

ricordo che ho è la sua mano che mi invita a bere. Devono<br />

avermi drogato, perché da lì al mio risveglio ho solo il<br />

vuoto nella testa. Non ho la più pallida idea di cos’altro<br />

accadde in quella sala.<br />

Quello che ricordo invece è tutto ciò che accadde dopo il<br />

mio risveglio.<br />

Mi girava la testa. Provai a tirarmi su dal pavimento<br />

freddo, ma un ginocchio mi faceva male, così mi<br />

aggrappai alla prima cosa che trovai tastoni lì intorno.<br />

La luce intensa, dopo la prolungata incoscienza, mi<br />

impediva di mettere a fuoco le immagini. Ero talmente<br />

frastornato da non ricordare dove fossi, tantomeno cosa<br />

fosse successo. Pian piano la luce smise di infastidirmi e<br />

riuscii ad aprire completamente gli occhi. Anche la stanza<br />

sembrava aver smesso di vorticarmi intorno. Guardando<br />

meglio mi resi conto d’essere sporco di sangue. Il<br />

pantalone, le scarpe, ne erano quasi ricoperti. La vista di<br />

tutto quel sangue mi spaventò. C’erano nuovi lividi sulle<br />

braccia e un graffio piuttosto profondo sul petto.<br />

Iniziai a respirare con affanno. Sentivo il panico<br />

impossessarsi di me piano piano. Il pavimento era una<br />

59


pozza di sangue fresco. Persi il controllo e mi chinai per<br />

vomitare. Mi sentivo malissimo, sembrava come dopo un<br />

pestaggio.<br />

Mi appoggiai di nuovo al tavolo di marmo perché le<br />

gambe si stavano rifiutando di sostenermi. Urtai qualcosa<br />

di freddo con la mano e la ritrassi d’istinto, alzando lo<br />

sguardo a cercare cosa fosse.<br />

Un nuovo conato di vomito mi piegò a terra, in ginocchio.<br />

Tremavo tanto da battere i denti. Ero talmente sotto shock<br />

da non avvertire neanche il dolore ai legamenti rotti del<br />

ginocchio flesso sul pavimento. Non volevo credere a<br />

quello che avevo visto, non riuscivo a concepire che fosse<br />

davvero così. I miei occhi potevano essersi sbagliati.<br />

Dopotutto avevo dato solo un’occhiata fugace. Ero esausto<br />

e probabilmente ancora sotto l’effetto delle droghe che<br />

avevo ingerito. Poteva trattarsi di semplice allucinazione.<br />

Non poteva, non doveva essere altrimenti.<br />

Cercai di riprendere il controllo sui muscoli e mi costrinsi<br />

a rialzarmi.<br />

Guardare di nuovo però non mi diede le certezze che<br />

speravo. Era davvero Mark il corpo disteso sul tavolo.<br />

Mi sforzai ad avvicinarmi. Intontito, incredulo. Non<br />

realizzai subito cosa fosse successo. Il cervello non<br />

reagiva a nessuno dei miei comandi. Si rifiutava di<br />

credere, di capire, di ricordare.<br />

Mark se ne stava incosciente con le braccia penzolanti dal<br />

tavolo, che lasciavano scorrere sul pavimento anche le<br />

ultime gocce di sangue rimastegli in corpo.<br />

Lo guardai inorridito. Rimasi lì immobile per qualche<br />

minuto, poi cominciai tremare di nuovo, mentre gli<br />

accarezzavo il volto pallido e freddo, tremendamente<br />

freddo. Dovetti far fede a tutte le mie forze per non<br />

60


scoppiare a piangere, per non mettermi a gridare come un<br />

matto in preda allo smarrimento.<br />

Continuavo a guardarlo, a ripetere dolcemente il suo<br />

nome, come per sperare che riuscisse a sentirmi e si<br />

svegliasse da quell’eterno sonno.<br />

Stetti a contemplarlo per non so quanto tempo, poi<br />

all’improvviso, mi sentii stringere debolmente la mano.<br />

Non era morto!<br />

In un attimo fui invaso dal panico, iniziai a chiamarlo, a<br />

scrollarlo per farlo rinvenire, ><br />

Sapevo che non c’era un minuto da perdere. Mi avventai<br />

con forza contro il portone della sala. Lo prendevo a calci<br />

nonostante il dolore lancinante al ginocchio, a spallate, ma<br />

niente, non voleva saperne di aprirsi. Iniziai a gridare aiuto<br />

allora, gridai fino a perdere la voce, tentai di forzare il<br />

portone fino a farmi male.<br />

Molto presto dovetti rassegnarmi all’idea che non sarebbe<br />

arrivato nessuno.<br />

Mi asciugai il viso cercando di ritrovare un po’ di<br />

contegno prima di tornare a sedermi accanto al mio amico<br />

morente. Potevo solo parlargli per fargli sentire che c’ero,<br />

che non l’avrei lasciato morire da solo. ><br />

riuscivo appena a sussurrare > mentii. Cos’altro potevo<br />

fare. Non volevo che fosse il terrore lo stato d’animo che<br />

l’avrebbe condotto all’aldilà > non riuscii più a trattenermi e scoppiai in un<br />

pianto quasi isterico


adesso. Resta con me amico, resta con me…>> lo<br />

supplicai di resistere con quel filo di voce che mi era<br />

rimasto, continuai ad accarezzarlo, a stringergli la mano.<br />

Mi voltai a cercare qualcosa per coprirlo, per riscaldarlo e<br />

quando mi voltai ancora… lui mi stava guardando, con i<br />

suoi occhi grandi e attenti, mi stava concedendo un suo<br />

ultimo sguardo. > strillai senza voce > continuava a guardarmi,<br />

ma i suoi occhi erano sempre meno attenti. Lo vedevo<br />

spegnersi ogni secondo che passava e non potevo fare altro<br />

che stare a guardarlo morire > singhiozzai. Ormai avevo<br />

totalmente perso il controllo ><br />

Mi fissò tutto il tempo > sussurrò con la<br />

voce strozzata dal dolore, mi tese la mano e con gli occhi<br />

mi implorò di non lasciarlo morire.<br />

> non riuscii ad aggiungere di più. Il cuore<br />

mi stava martellando il torace. Riuscivo appena a<br />

respirare.<br />

All’improvviso vidi un’aura azzurra irradiare dal suo<br />

corpo e divenire sempre più scura.<br />

62


strillai. Due calde lacrime gli<br />

accarezzarono il viso per l’ultima volta, prima di spirare<br />

esausto tra le mie braccia.<br />

Il panico… lasciò spazio alla disperazione.<br />

Implorai perdono fino allo sfinimento, piansi fino a farmi<br />

mancare il fiato, lo strinsi forte per un ultimo abbraccio,<br />

gli diedi un bacio sulla fronte e stetti lì, accovacciato sulle<br />

sue freddi spoglie, fino all’arrivo di qualcuno che mi<br />

facesse uscire.<br />

Lo avevo ucciso io. Avevo acquistato il mio biglietto per<br />

la libertà versando il sangue del mio unico amico. Non<br />

poteva essere andata diversamente. Sono sicuro d’aver<br />

lottato ferocemente contro di lui, lo testimoniavano i<br />

lividi, le ferite su entrambi i corpi. Io ne ero uscito<br />

vincitore. Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto a<br />

Mark e non mi consola l’idea di sapere che non ero in me<br />

quando è successo, anche se la sua morte mi regalò la<br />

libertà.<br />

63


64<br />

8<br />

Sono sempre soprappensiero ultimamente. Non mi<br />

stupisce quindi che non me ne sia neanche accorto quando,<br />

correndo per le scale, l’ho urtata e fatta cadere. Non che ci<br />

voglia un uragano per far vacillare l’equilibrio già precario<br />

di Denise sui tacchi alti.<br />

Ah, le donne!<br />

Avvertii l’allarme nel vociare dietro di me e mi voltai per<br />

curiosità.<br />

> mi accusò un compagno<br />

di corso di cui non mi è mai interessato neanche saperne il<br />

nome.<br />

Stavano tutti guardando me.<br />

Che c’è?<br />

Mi bastò spostare un po’ lo sguardo da quelle facce<br />

accigliate per accorgermi di cosa era successo.<br />

Oh oh!<br />

Tornai indietro con un paio di falcate e mi piegai sulle<br />

ginocchia ><br />

> tentava di rimettersi in piedi per<br />

mettere fine a quello spettacolo pietoso ><br />

><br />

Stringeva la caviglia strizzando gli occhi per il dolore.<br />

><br />

> tesi le braccia per aiutarla ad alzarsi, ma mi<br />

schivò.<br />

><br />

Sì, come no!


dissi sorridendo dei suoi continui tentativi a<br />

vuoto di mettersi in piedi.<br />

Senza dare troppo peso alle sue occhiatacce, la premetti<br />

dolcemente con la schiena al muro e le sfilai gli stivali.<br />

> chiese indisponente.<br />

><br />

Che fai? La rimproveri? L’hai fatta cadere tu!<br />

Provai a rimediare ><br />

Non rispose, provò solo ad alzarsi di nuovo, e sta volta<br />

non rifiutò il mio appoggio. Le sfuggì un gemito acuto<br />

quando provò a posare il piede a terra. Le cedettero le<br />

ginocchia sotto il peso del dolore e mi si accasciò fra le<br />

braccia. La sollevai senza sforzo e mi si aggrappò con le<br />

braccia al collo sprofondando il viso imbarazzato tra spalla<br />

e collo.<br />

Era così leggera, così minuta.<br />

><br />

Federica ci seguì fino alla macchina con le cose di Denise<br />

in mano.<br />

> le chiesi gentilmente.<br />

> mi<br />

ricordò.<br />

Cavolo, il test!<br />

><br />

><br />

Dovetti mettere a terra Denise per aprire la macchina e lei<br />

ne approfittò per saltellare fino all’altro sportello.<br />

> dissi.<br />

><br />

65


Sorvola, Alex!<br />

><br />

Si accomodò sul sedile anteriore con delle smorfiette che<br />

mi fecero ridere.<br />

> disse<br />

dispiaciuta.<br />

Io stavo ancora cercando di trattenermi > notai la sua<br />

auto parcheggiata poco distante ><br />

><br />

><br />

Mio padre era di turno in clinica quel giorno, quindi la<br />

portai direttamente da lui. Mi guardò strano quando mi<br />

vide uscire dall’ascensore con Denise in braccio, ma feci<br />

finta di niente. Non mi andava di litigare.<br />

> chiese sarcastico.<br />

> risposi io infilandomi nel suo studio<br />

senza badargli.<br />

Mi seguì in silenzio, aspettando che adagiassi Denise sul<br />

lettino all’estremità destra dalla stanza.<br />

> chiese tornando al suo solito tono<br />

rigido ><br />

><br />

Denise guardava prima me, poi lui, poi di nuovo me. Non<br />

capiva.<br />

><br />


la caviglia si è gonfiata e non riesce a posare il piede a<br />

terra.>><br />

A sentirmi pronunciare la parola “papà”, Denise spalancò<br />

gli occhi verso di me e subito dopo tornò a fissare prima<br />

uno poi l’altro, forse a cercare i tratti somiglianti.<br />

><br />

><br />

Non rispose. Fece cenno a Denise di mettersi distesa > lo disse con<br />

un tono così gentile da non sembrare neanche lui ><br />

risposi<br />

<br />

><br />

> confessai evitando i suoi occhi.<br />

intervenne Denise <br />

Mi guardò ed io confermai.<br />

> tornò a occuparsi di Denise ><br />

Meno male! ><br />

><br />

Denise balzò a sedere come una molla ><br />

Santa pazienza!<br />

> spiegai.<br />

><br />

><br />

67


Guardava ansiosa l’orologio alla parete ><br />

Mio padre stemperò gli animi un attimo prima che potessi<br />

dire qualcosa di troppo ><br />

Prima di lasciarci andare, riuscì perfino a strapparmi la<br />

promessa che avrei cenato in Villa quella sera.<br />

> aggiunse.<br />

><br />

> mi ricordò.<br />

Giusto. Thomas!<br />

Mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato ><br />

><br />

Il lampeggiare del semaforo attirò la mia attenzione<br />

invitandomi a rallentare: il rosso sarebbe scattato a<br />

momenti.<br />

Meglio non rischiare.<br />

Denise sbirciava curiosa tra le mie cose, ma senza osare<br />

toccare niente.<br />

> dissi sorridendo > sapere di non<br />

averle arrecato danni importanti mi aveva messo di buon<br />

umore. Tra guidare fino al mattino dopo e tornare in Villa,<br />

preferivo di gran lunga la prima, ma Denise non era dello<br />

stesso avviso.<br />

68


> chiesi con le dita sulla manopola del<br />

riscaldamento. Era un po’ troppo alto.<br />

Annuì sventolandosi il viso con un cd ><br />

Sorrisi > non le piacque molto la battuta, infatti<br />

si rabbuiò all’improvviso, distogliendo lo sguardo che fino<br />

a un attimo prima teneva fisso su di me ><br />

Non rispose, continuò a guardare fuori dal finestrino, in<br />

silenzio.<br />

Cos’ho detto di tanto grave? Boh!<br />

Provai a sdrammatizzare ><br />

Niente! Nessuna risposta. Accostai l’auto lungo la strada<br />

con una manovra sconsiderata, che mi fece piovere contro<br />

i clacson e gli insulti degli automobilisti dietro di me.<br />

Denise rimase impassibile, indifferente.<br />

> chiesi un po’ alterato ><br />

Invece di rispondere aprì lo sportello e scese dall’auto,<br />

scalza. Potevo vederla appoggiata con la schiena allo<br />

sportello posteriore.<br />

Prima di scendere presi qualche boccata d’aria per<br />

mantenere la calma necessaria <br />

Mantieni la calma, Alex! Porta pazienza.<br />

69


La raggiunsi uscendo direttamente dal suo lato.<br />

Ma che fa, piange?<br />

> le porsi un fazzoletto, ma lei lo<br />

rifiutò perché ne aveva già uno in mano > per fortuna mi fermò perché avrei finito col<br />

peggiorare tutto come il mio solito.<br />

><br />

> le carezzai il viso col dorso<br />

della mano ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Silenzio.<br />

><br />

><br />

><br />

Mi guardò dritta negli occhi ><br />

Eh?<br />

><br />

><br />

Era meglio se mi allontanavo un po’. Non ho mai imparato<br />

a nascondere la rabbia, mi si legge in faccia quando sto per<br />

perdere la calma, ma piano piano sto almeno imparando a<br />

70


tenerla a freno. Devo convincermi del fatto che non<br />

possono pensarla tutti come me, che se qualcuno mi<br />

risponde in modo sgarbato non vuol dire necessariamente<br />

che ce l’ha con me o che mi sta sfidando. Devo imparare<br />

ad abbassare la guardia ogni tanto. Il mondo non è in<br />

guerra con me, sono io in guerra con lui.<br />

Giorgio mi sta insegnando l’autocontrollo. Non è come<br />

Carrie, lui è davvero in gamba nel suo lavoro. Sono in cura<br />

da lui da talmente tanto tempo che non ricordo più<br />

quand’è iniziata. Mi sembra di conoscerlo da tutta la vita.<br />

Dice che sono sempre pronto ad attaccare perché mi sento<br />

costantemente in pericolo. Dice che sono intrattabile<br />

perché ho talmente tanta rabbia accumulata dentro di me<br />

da cercare continuamente una valvola di sfogo, e la mia<br />

valvola di solito è mio padre, perché non l’ho mai<br />

perdonato. Ultimamente, infatti, stiamo proprio lavorando<br />

sul concetto di perdono. È sicuro che se riuscirò a<br />

perdonare mio padre sarò in grado di applicarlo anche<br />

sugli altri.<br />

È stato difficilissimo per lui imparare a interagire con me.<br />

Mi ha conosciuto nel momento peggiore della mia vita e,<br />

in quel periodo, non mi potevo certo definire un agnellino.<br />

Una delle prime dritte che mi ha dato è stata “contare”.<br />

Consiglio utilissimo per chi si infervora con troppa<br />

facilità. Mi ha insegnato a riconoscere i momenti perfetti<br />

per iniziare a contare, in modo da concedermi il tempo<br />

necessario per riflettere e rendermi conto che forse non mi<br />

è stato detto qualcosa di così grave da reagire con ostilità.<br />

Quella sera, fuori dalla macchina, era proprio uno di quei<br />

momenti.<br />

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto…<br />

Ho capito che muovermi mi aiuta a calmarmi e, infatti,<br />

quando sento che sto per perdere il controllo inizio a<br />

71


camminare avanti e indietro, ma il più delle volte finisco<br />

per sembrare in preda a confusione mentale.<br />

><br />

Appunto! …undici, dodici, tredici…<br />

><br />

Un bel respiro!<br />

><br />

Attento ai toni.<br />

> Bravo,<br />

così va bene ><br />

Con le buone potranno non ottenersi le cose importanti,<br />

ma le piccolezze di tutti i giorni sono garantite.<br />

Mi tremavano ancora un po’ le mani mentre mettevo in<br />

moto, ma il peggio era passato.<br />

Denise non parlò fin quando non intravide casa sua.<br />

Pessimo quartiere!<br />

Forse l’avevo spaventata e non voleva turbarmi di nuovo<br />

><br />

il peggio era passato anche per lei, perché le era tornato il<br />

sorriso.<br />

><br />

Rise ><br />

><br />

Fece una smorfia di scherno ><br />

> risposi<br />

sorridendo.<br />

><br />

Poco, molto poco. ><br />

72


Il cancello di casa era aperto, quindi mi fermai all’interno<br />

per non costringerla a sforzare il piede.<br />

Feci per scendere e aiutarla, ma mi fermò > scherzai <br />

><br />

>><br />

><br />

E adesso che c’è che non va?<br />

><br />

><br />

Non insistere.<br />

><br />

Riaffiorò l’occhiataccia.<br />

Ben ti sta!<br />

><br />

Rise forte ><br />

Mi arresi e la lasciai andare, ma non mi sentivo per niente<br />

tranquillo. Quando c’è qualcosa che non capisco mi<br />

assorda un fastidioso campanello d’allarme. Non avevo<br />

tempo per dargli retta però, avevo un’incombenza perfino<br />

più fastidiosa ad attendermi: la cena con i miei.<br />

73


74<br />

9<br />

Ero finalmente a casa, eppure l’unica cosa a cui riuscivo a<br />

pensare era il modo in cui vendicarmi per tutto il male che<br />

mi avevano fatto.<br />

“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per<br />

dente. Io invece vi dico di non resistere al male; anzi, se<br />

uno ti colpisce alla guancia destra, volgi anche la<br />

sinistra.”<br />

Chi non concepisce il perdono, non può non apprezzare la<br />

vendetta. Io ero uno di quelli che credeva che vendicarsi di<br />

un torto subito fosse rispettoso nei confronti di chi ha<br />

subito il suddetto torto.<br />

Trascorsi due mesi a escogitare un efficace piano per la<br />

vendetta.<br />

Misi mano a tutte le più sofisticate tecniche di sterminio<br />

che avevo imparato.<br />

Doveva essere tutto perfetto, altrimenti difficilmente sarei<br />

tornato vivo a casa.<br />

Feci arrivare tutto l’occorrente da Londra.<br />

Conoscevo ogni singolo mattone di quell’edificio. Non<br />

sarebbe stato difficile entrare, avrei dovuto solo aspettare<br />

il momento giusto.<br />

Più precisamente il ventidue di aprile. 23:00 in punto. Il<br />

giorno dopo tutti gli allievi sarebbero partiti per la<br />

settimana di licenza di aprile.


Era il momento perfetto. Soprattutto perché, in quei<br />

periodi, a guardia dei cancelli restavano solo due sentinelle<br />

armate.<br />

Per cui, armato fino ai denti, mi appostai per il resto della<br />

notte nel boschetto fuori il confine del parco dell’istituto,<br />

così da poter avere sotto controllo ogni spostamento.<br />

La mattina seguente, puntualmente alle 7:30, iniziò un via<br />

vai di auto che durò fino al tardo pomeriggio. Erano alle<br />

17:00 quando tutto quel frenetico movimento si arrestò.<br />

Calò la sera e alle 18:45 arrivarono nuovamente delle auto,<br />

ma questa volta non avrebbero condotto via nessun<br />

ragazzo.<br />

Mi arrampicai su una quercia per vedere meglio all’interno<br />

delle mura di cinta e da quelle auto vidi scendere sei<br />

uomini. Col binocolo potei scorgere i visi di ognuno di<br />

loro, ma non saprò mai se quei volti erano gli stessi che<br />

avevano presieduto alla mia iniziazione.<br />

Di sicuro però, sarebbe stata una di quelle notti.<br />

Di colpo alla smania di vendetta si unì il forte desiderio di<br />

salvare la vita a un altro Mark, che come lui non avrebbe<br />

avuto via di scampo.<br />

Mi era rimasto poco tempo e per di più i piani avevano<br />

subito un improvviso cambio di programma. Dovevo agire<br />

al più presto.<br />

Non appena i sei membri scomparirono tutti oltre il<br />

portone, scesi dall’albero e mi diressi verso il cancello<br />

principale.<br />

Dovevo mettere fuori gioco le sentinelle, ma non fu<br />

difficile, avevo un conto in sospeso da più di tre anni con<br />

quella gente. Un lavoro pulito, libero da ogni<br />

ripensamento o rimorso.<br />

75


“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai;<br />

infatti chi uccide è sottoposto a giudizio. Io invece vi dico:<br />

Chiunque s’adira con il suo fratello sarà sottoposto al<br />

giudizio.”<br />

Mi avvicinai cauto al cancello. Giocai l’effetto sorpresa,<br />

perché la consapevolezza che non ci fosse più nessun<br />

allievo in istituto poteva solo andare a sfavore della loro<br />

concentrazione. Prima che potessero accorgersi di cosa<br />

stava accadendo, recisi la gola di uno e sparai all’altro un<br />

attimo prima che mettesse mano alle armi. Ero talmente<br />

accecato dalla rabbia che in fondo al cuore sentii perfino<br />

una punta di piacere.<br />

Abbandonai e corpi dietro una siepe e tornai a recuperare<br />

lo zaino con tutto l’occorrente per portare a termine il mio<br />

piano. Ero solo all’inizio.<br />

Quanto mi pesano sulla coscienza oggi quegli uomini.<br />

Oggi non lo rifarei, ne sono certo, ma allora l’istinto<br />

guidava la mia mano e il mio cuore credevo mi dettasse<br />

questo.<br />

Ora so che la cattiveria era mia complice, non il mio<br />

cuore.<br />

Non appena mi ritrovai di nuovo all’interno della cerchia<br />

di mura dell’Ancharos fui trafitto da tutti gli spettri del<br />

passato.<br />

Mi ci volle qualche minuto per recuperare la lucidità e<br />

convincermi che stavo facendo la cosa giusta. Dopo quel<br />

breve momento di esitazione però, fui più determinato che<br />

mai nel proseguire.<br />

Ero inferocito, riuscivo solo pensare al piacere che avrei<br />

provato quando fosse tutto finito.<br />

76


A fatica varcai la soglia del portone dell’ingresso, ma una<br />

volta dentro pensai solo a fare quello per cui ero tornato.<br />

Non avevo margini d’errore. Doveva andare tutto alla<br />

perfezione. Non potevo permettermi che qualcuno avesse<br />

anche solo il vago sospetto della mia presenza. La più<br />

piccola distrazione mi poteva costare la vita.<br />

Riuscii a salire ai piani anche troppo facilmente. Mi<br />

accertai che le stanze fossero tutte vuote e in ognuna di<br />

esse posizionai con cautela una carica d’esplosivo.<br />

Cilindretti della dimensione di un accendino arrivati<br />

direttamente dall’Australia per l’occasione. Le posizionai<br />

in tutte e trecento le stanze, e altre dodici nascoste lungo i<br />

corridoi, per essere ancora più sicuro della riuscita del<br />

risultato finale.<br />

Posizionavo le ultime quattro cariche quando l’antico<br />

orologio a pendolo nell’atrio suonò le 21:30. Mi erano<br />

rimaste solo un paio d’ore per montare l’ordigno e lasciare<br />

l’edificio.<br />

Mi precipitai quindi, molto silenziosamente, nei<br />

sotterranei del palazzo.<br />

Non mi aspettavo certo che filasse tutto liscio, e, infatti,<br />

non avevo notato che c’erano altre tre guardie armate<br />

all’interno. Le notti dell’iniziazione probabilmente<br />

aumentavano la sorveglianza. Mi nascosi appena in tempo.<br />

Spezzai il collo del primo appena mi passo abbastanza<br />

vicino da poterlo cogliere alle spalle. Non fece in tempo a<br />

dare l’allarme. Gli altri due temo soffrirono un po’ di più.<br />

Feci uscire i ragazzi rinchiusi nelle celle, li accompagnai<br />

di sopra e mi accertai che lasciassero incolumi l’edificio.<br />

Scesi nuovamente di sotto e posizionai gli ordigni come<br />

sopra, tranne che nel salone dei riti.<br />

Non sarebbe dovuto rimanere in piedi un solo masso di<br />

quel palazzo infernale.<br />

77


Attesi nascosto in un angolo che i sei membri e il rettore<br />

scendessero regolarmente nel salone per prepararsi alla<br />

cerimonia d’iniziazione.<br />

Non erano ancora suonate le 23.00 e fino alle 23.30 non si<br />

sarebbero accorti della mancanza degli allievi<br />

imprigionati.<br />

Era la prassi! Avrebbero atteso nel salone fino alle 23.30,<br />

solo allora avrebbero fatto preparare l’iniziato per<br />

procedere con il rito.<br />

Alle 23.00 in punto, come calcolato, scesero tutti e sette<br />

nel sotterraneo.<br />

Avevo solo mezz’ora per montare l’ordigno nell’atrio<br />

all’ingresso e fuggire.<br />

23:27. Accesi il dispositivo e corsi fuori più in fretta che<br />

potevo.<br />

Non appena fui a distanza di sicurezza poi, dopo un’ultima<br />

occhiata ancora al mio incubo ricorrente, premetti il<br />

pulsante del detonatore.<br />

E … … BHUM…!<br />

Un boato inaudito, l’intera struttura si accartocciò su se<br />

stessa come un castello di carte.<br />

C’ero riuscito! Avevo finalmente abbattuto i miei incubi,<br />

mi ero finalmente risvegliato da quell’orrendo sogno.<br />

Credevo davvero che da allora in avanti quei brutti ricordi<br />

non mi avrebbero più tormentato, ma non è stato così.<br />

Mi avvicinai a quel cumulo di macerie in fiamme, mi<br />

sedetti sull’erba e stetti lì tutta la notte, ad aspettare che<br />

smettesse di ardere, ad aspettare che le grida disperate di<br />

aiuto del rettore e degli altri, rimasti imprigionati incolumi<br />

nel salone cessassero, proprio come cessarono le mie<br />

quella notte, quando l’aiuto che cercavo non arrivò.<br />

78


Morirono soffocati tra fumo e macerie ed io provai un<br />

senso di piacere che non avrei mai creduto si potesse<br />

provare.<br />

Quindici persone morirono quella notte. Litri e litri di<br />

sangue che tuttavia non bastarono a lavare anni di<br />

malvagità e soprusi subiti. Servì solo a restituirmi un po’<br />

di quella dignità che mi era stata sottratta.<br />

Per quanto ne so, nessuno più ha messo piede tra quelle<br />

macerie, neanche per curiosità, e questo per molto tempo<br />

mi permise di dormire tranquillo.<br />

La notizia della distruzione dell’Ancharos non trapelò mai<br />

dai media. Personalità molto influenti riuscirono a<br />

insabbiare l’accaduto in modo impeccabile. L’ubicazione<br />

isolata della struttura facilitò il compito delle autorità<br />

preposte, che non faticarono a vietare l’accesso ai curiosi a<br />

un’area privata e lontana chilometri dai complessi abitati.<br />

Seppi che il boato si udì fino in città, ma mai nessuno<br />

seppe di cosa si trattò realmente.<br />

79


80<br />

10<br />

Il piano era semplice, elementare. Mi sarei trattenuto quel<br />

tanto che bastava a pronunciare un saluto e approfittando<br />

dell’ora, mi sarei ritirato di sopra con Thomas. Alla cena<br />

avrei pensato al momento.<br />

L’espressione sorpresa di Michele, quando mi vide al<br />

cancello, la diceva lunga su quanto tempo avessi fatto<br />

passare dalla mia ultima visita.<br />

Mia madre era già stata avvertita del mio arrivo, infatti, mi<br />

aspettava fuori. Si percepiva l’odore dell’impazienza fin<br />

dentro la macchina.<br />

Nonostante una voce insistente dentro la mia testa mi<br />

consigliasse di fuggire, feci un respiro profondo e aprii lo<br />

sportello per scendere. Lungo la strada mi ero fermato a<br />

prendere qualcosa per non presentarmi a mani vuote.<br />

Quella non era più casa mia da così tanto tempo che non<br />

riuscivo mai a non sentirmi un ospite.<br />

Mia madre mi abbracciò con affetto prima ancora che<br />

potessi dire una parola. La lasciai fare, ricambiando<br />

l’abbraccio con piacere. Era l’unica a cui concedessi quel<br />

lusso.<br />

><br />

È incredibile come, dopo tutto quello che le faccio passare,<br />

si preoccupi ancora per me ><br />

In meno di un secondo il mio piano era già naufragato a<br />

picco nell’oceano.<br />

><br />

><br />

Mi prese per mano >


Sorrise ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Era vero. Dall’incidente il nostro rapporto era cambiato. In<br />

peggio.<br />

Mi chiese di attenderla in salotto mentre faceva preparare<br />

una tisana per entrambi.<br />

Thomas era seduto sul tappeto a giocare con La fattoria<br />

degli animali che gli avevo comprato l’ultima volta che lo<br />

avevo tenuto un po’ con me.<br />

Appena mi vide gli occhietti si ridussero a una fessurina,<br />

mentre la bocca si modellava in un raggiante sorriso.<br />

Barcollò nel mettersi in piedi e corse verso di me, che<br />

spalancai le braccia per afferrarlo al volo e tirarlo su.<br />

> disse Beatrice, che nel<br />

frattempo mi aveva raggiunto in salotto ><br />

> osservai.<br />

><br />

><br />

Thomas mi indicò con la manina il pacco che avevo<br />

lasciato a terra prima di prenderlo in braccio.<br />

><br />

Lo feci scendere per scartare il regalo > mormorai ><br />

81


Si rattristò a quelle mie parole ><br />

><br />

Mi sentii tirare la mano verso il basso ><br />

Annuii sforzandomi di sorridere.<br />

Beatrice si schiarì la voce.<br />

Allarme rosso. Allarme rosso. Scappa finché sei in tempo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Mi abbracciò di nuovo ><br />

Uno dopo l’altro rientrarono tutti. Zio Sergio tornò con<br />

mio nonno, mentre mio padre si trattenne una mezz’ora in<br />

clinica per controllare dei documenti. Stefano era stato il<br />

primo a rincasare. Era seduto con me sul tappeto del<br />

salotto a giocare con Thomas. Gli avevo comprato dei<br />

nuovi lego e Stefano sembrava più emozionato di Thomas<br />

all’idea di darsi alla costruzione di una nuova opera d’arte.<br />

L’ultima volta che ero stato in Villa stava lavorando alla<br />

riproduzione in scala della torre di Pisa. A Thomas<br />

affascinava starlo a guardare mentre, mattoncino dopo<br />

mattoncino creava costruzioni meravigliose con cui poter<br />

giocare. Io non sono un ingegnere e il massimo che so fare<br />

è qualcosa simile a un castello. Niente a che vedere con i<br />

draghi di Stefano e gli altri mostri.<br />

La velocità con cui procedeva era impressionante.<br />

Sembrava che non facesse altro da mattina a sera. Anche<br />

se, di sicuro, aveva più tempo libero di me da dedicare a<br />

82


certe cose. Era un modo come un altro per distrarsi,<br />

comunque. Da quando Papà l’aveva fatto rientrare da<br />

Londra si era ritrovato improvvisamente con molto tempo<br />

libero e scarse alternative per occuparlo.<br />

Appena rientrò anche papà ci spostammo tutti in sala da<br />

pranzo. Teneva Thomas in braccio e lo riempiva di baci.<br />

Non è mai stato così affettuoso con me, neanche con<br />

Stefano, il che la dice lunga sull’affetto che nutre per il<br />

bambino.<br />

Le lasagne di Susanna sono imbattibili. Mi fecero tornare<br />

un po’ di appetito, ma non riuscii a mangiare il resto.<br />

Proprio no.<br />

Naturalmente la mia mancanza di appetito fu oggetto di<br />

discussione per almeno venti minuti. Era sempre così, mia<br />

nonna iniziava la lamentela, gli altri la appoggiavano<br />

cercando di farmi mangiare un po’ di più ed io la<br />

terminavo alzandomi furioso per lasciare la sala.<br />

Fu lo stesso anche questa volta, ma riscrissi il finale.<br />

Invece di protestare, presi una fetta di arrosto dal vassoio e<br />

ne mangiai una metà zittendo tutti. Giorgio ha ragione, era<br />

molto più semplice così.<br />

> mi chiese mio nonno.<br />

><br />

><br />

Perché stai sempre sul piede di guerra, Alex?<br />

><br />

><br />

Che conversazione lunga e piena di spessore. Non che io<br />

sia d’aiuto nel produrre qualcosa di meglio, però…<br />

83


La mia ostilità scaturiva tutta dal terrore che potessero<br />

sentirsi incoraggiati ad affrontare argomenti più spinosi.<br />

Tabù.<br />

Eppure ce n’era uno di cui volevo discutere io, ma che era<br />

tabù assoluto per loro. Tutte le volte era finita con me che<br />

mi congedavo sbattendo la porta dopo esserci detti di tutto<br />

e di più.<br />

Avevo voglia di litigare quella sera? Avevo voglia di<br />

veder piangere mia madre? Avevo voglia di offendere mio<br />

padre, mio nonno e mio zio? Avevo voglia di coinvolgere<br />

Stefano in quella guerra soltanto mia?<br />

No! Quella sera no.<br />

> dissi a<br />

Beatrice.<br />

><br />

Il tappeto sulle scale era stato cambiato. Non me ne ero<br />

neanche accorto. Chissà da quanto tempo era stato<br />

sostituito? Non potrei giurarlo, ma non mi sembra che ci<br />

fosse prima dell’incidente.<br />

Thomas già sonnecchiava sulla mia spalla mentre lo<br />

portavo di sopra.<br />

La sua stanza era un’esplosione di colori. Sarebbe stato<br />

difficile perfino per me avere degli incubi lì. Sugli scaffali<br />

della libreria c’erano ancora più libri di quanti ne<br />

ricordassi. Gliene compravo spesso, ma a quanto pare ci<br />

pensavano anche gli altri. Il volume di Billy il coniglio e la<br />

ricerca del tesoro di Azkaban era sul cassettone. Più volte<br />

sono stato tentato di comprargliene uno nuovo, perché<br />

quello era stato aperto talmente tante volte che la copertina<br />

era tutta rovinata, ma alla fine non ho mai avuto il<br />

coraggio di farlo davvero.<br />

84


Gli misi il pigiama cerando di non farlo svegliare troppo,<br />

poi aspettai che riprendesse sonno leggendogli l’avventura<br />

di Billy che gli piaceva di più, quella dell’incontro con<br />

l’orso e il furto del barattolo del miele incantato. Si era<br />

fatto raccontare quella storia tante di quelle volte da<br />

saperla a memoria, eppure continuava a chiedere che gliela<br />

leggessero, emozionandosi sempre come fosse la prima<br />

volta che la ascoltava.<br />

Abitudinario. Come me.<br />

> disse tirando in basso il libro dalle mie<br />

mani.<br />

><br />

Annuì sorridendo.<br />

><br />

><br />

><br />

Scosse la testolina col broncio ><br />

Lo presi in braccio ><br />

85


86<br />

11<br />

Uno dei pensieri che mi aveva tenuto in vita durante gli<br />

anni in collegio era il sogno di viaggiare e vedere il mondo<br />

che fino ad allora mi era stato negato. Con Mark avevamo<br />

stilato un itinerario dettagliato, ma a quel punto non<br />

sembrava avere più alcun senso per me.<br />

Il fatto certo era che dovevo andare via per un po’.<br />

Dovevo togliermi le grida delle mie vittime dalla testa.<br />

Dopotutto avevo ancora due anni prima che acquisissi i<br />

miei poteri, e volevo sfruttare quel tempo comportandomi,<br />

per una volta nella mia vita, come un ragazzo normale.<br />

Quella normalità avrei potuto trovarla solo lontano dalla<br />

mia attuale quotidianità, e l’America sembrava abbastanza<br />

distante per inseguire quel sogno. Tuttavia, ero<br />

perfettamente consapevole che non sarebbe stato facile.<br />

All’Istituto ero venuto a conoscenza dell’esistenza del<br />

Clan, una società segreta, nata nel X secolo in Gran<br />

Bretagna, con l’unico scopo di eliminare la discendenza<br />

diretta degli Ancharos: Giudici, Esecutori, Nocchieri.<br />

Col tempo si nascosero dietro il falso nome di alchimisti<br />

alla ricerca del mito della pietra filosofale, di templari alla<br />

ricerca del Graal, di stregoni alla ricerca dell’elisir di<br />

lunga vita. Tutti nomi per celare un’organizzazione con<br />

l’unico scopo di annientare i discendenti umani della stirpe<br />

dei Cherubini preposti a servizio di nostra Signora Morte.<br />

Non c’è condanna a morte per l’uomo senza la sentenza<br />

del Giudice, non c’è morte senza la mano dell’Esecutore,<br />

non c’è trapasso senza la guida del Nocchiero.<br />

Il Clan mira proprio a questo: eliminare gli Ancharos per<br />

garantire l’immortalità dell’uomo sulla terra.


Nonostante la Tregua di Fermoy firmata oltre duecento<br />

anni fa da entrambe le fazioni, negli ultimi anni la faida si<br />

è riaccesa, si è fatta più agguerrita, perché sono scese in<br />

campo entrambe le parti in causa sta volta. Gli Ancharos,<br />

che fino a qualche anno fa si erano limitati a stare<br />

nell’ombra per sfuggire agli Agenti del Clan e rispettare il<br />

trattato di pace, ora sono usciti allo scoperto e sfidano il<br />

nemico apertamente.<br />

Il giorno che ho deciso di partire per New York però,<br />

eravamo ancora obbligati all’anonimato. Costretti a<br />

strisciare nella notte per non dare nell’occhio, per non<br />

rischiare una cattura che avrebbe significato solo torture e<br />

morte.<br />

Solo quell’anno avevamo perso più di trenta dei nostri.<br />

Non mi stupiva quindi, che mio padre si ostinasse a<br />

impedirmi di partire.<br />

Era passato un anno dal giorno dell’iniziazione. Avevo<br />

appena compiuto diciannove anni e a vent’uno avrei<br />

ereditato in pieno i miei poteri di Nocchiero. La mia vista<br />

avrebbe subito irreversibili cambiamenti. Mi sarebbe stata<br />

assegnata un’area di azione in cui avrei agito per<br />

adempiere il mio compito di guidare le anime fino<br />

all’Hahicòs, la dimensione spirituale creata per ospitare le<br />

anime dei trapassati prima del giorno del giudizio.<br />

Nient’altro che una proiezione immateriale del mondo<br />

terreno.<br />

Se fossi sopravvissuto a sufficienza da vedere quel giorno,<br />

naturalmente.<br />

Non sono ancora immortale. Ho le stesse probabilità di<br />

chiunque altro di finire accidentalmente investito da un<br />

autobus di linea in qualsiasi momento.<br />

Sapevo a cosa andavo in contro mentre consegnavo il<br />

biglietto aereo all’hostess di terra dell’aeroporto. Sapevo<br />

che così lontano da casa non avrei goduto della stessa<br />

87


protezione che avevo in Italia, e sapevo anche che l’unico<br />

potere di cui disponevo già dal mio diciottesimo anno -<br />

comune in tutti gli Ancharos –, un flusso energetico di<br />

morte imprigionato nel palmo della mia mano destra, non<br />

era sufficiente a difendermi dagli Agenti del Clan,<br />

abilmente addestrati, grazie a secoli e secoli di studi sulla<br />

nostra gente. Si combatteva ad armi pari, per quanto possa<br />

sembrarmi ancora assurdo.<br />

Ho sempre odiato profondamente il collegio, – e non<br />

l’avrei mai raso al suolo se non fosse stato per vendicare<br />

Mark - ma se sono ancora in vita lo devo sicuramente agli<br />

anni di insegnamenti che ho ricevuto lì.<br />

Riuscii a convincere mio padre a lasciarmi partire<br />

permettendogli di strapparmi la promessa che minimo tre<br />

volte la settimana avrei trovato il tempo di fargli una breve<br />

telefonata, tanto per accertarsi che stavo bene. Avrebbe<br />

potuto azzardare una pretesa più soddisfacente, ma mi<br />

conosceva troppo bene per sapere che se avessi avuto<br />

anche solo il sentore che stesse tirando la corda di<br />

proposito mi sarei messo sul piede di guerra negandogli<br />

qualsiasi condizione. Non sarei partito, certo, ma avrei<br />

accettato di tutto pur di non dargliela vinta. Gli anni<br />

all’Ancharos mi avevano profondamente incattivito. Ero<br />

un arco teso al limite, bastava un soffio a farmi scattare.<br />

Oggi sono convinto che fosse sinceramente preoccupato<br />

per me all’idea di sapermi tutto solo in una città grande e<br />

affollata come New York, brulicante di Agenti. Quel<br />

periodo però, credevo cedesse perché temeva la mia<br />

cattiva influenza su Stefano.<br />

Oggi capisco perché lo tennero lontano da casa, lontano da<br />

me, ma fino a cinque anni fa ero solo un ragazzo geloso<br />

delle attenzioni particolari riservate al fratello minore.<br />

88


Quando ho messo piede a New York per la prima volta, mi<br />

sono sentito gelare il sangue nelle vene, non avevo mai<br />

visto dal vivo dei palazzi così alti e ammassati tutti<br />

insieme. La mia conoscenza della città era limitata alle<br />

immagini concesse dalla Tv. Non potevo dire lo stesso<br />

dell’inglese, anche se il mio accento era marcatamente<br />

britannico.<br />

Prima di partire mi ero ripromesso che non avrei fatto fin<br />

da subito la figura del turista dall’organizzazione<br />

maniacale. Sbarcai con un borsone soltanto. Il resto lo<br />

avrei acquistato all’occorrenza strada facendo.<br />

Iniziavo una vita nuova e volevo lasciarmi alle spalle tutto<br />

ciò che mi ricordasse il passato. Dell’Ancharos portai con<br />

me solo la placchetta d’acciaio di Mark, avremmo dovuto<br />

farlo insieme quel viaggio e quel piccolo ciondolo me lo<br />

faceva sentire accanto.<br />

Subito fuori dall’aeroporto, dopo aver compilato con cura<br />

un assurdo questionario, fui investito dal caotico vivere<br />

Newyorkese. Un’interminabile coda di taxi pronti a<br />

scattare lungo il marciapiede al primo richiamo. Il<br />

chiacchiericcio assordante di migliaia di persone che mi<br />

scorrevano frenetiche quasi attraverso. Palazzi tanto alti e<br />

maestosi da dare il capogiro. Un impatto davvero forte per<br />

chi ci arriva la prima volta.<br />

Non avevo mai preso un taxi prima di allora. C’erano<br />

quattro autisti a servizio della mia famiglia. Vedevo tutte<br />

quelle mani alzate sul ciglio del marciapiede…<br />

Sarei mai stato capace di tuffarmi fra la folla e reclamare il<br />

mio passaggio? Rimuginavo su questo quando sentii<br />

afferrarmi il braccio da qualcuno alle spalle. Prima ancora<br />

che il cervello potesse avvertire il pericolo avevo già<br />

stretto quel polso scaraventando con forza l’uomo in<br />

avanti per poterlo bloccare alle spalle torcendogli il<br />

braccio fino a farlo inginocchiare a terra. Se avessi<br />

89


volontariamente voluto dare nell’occhio non avrei saputo<br />

fare di meglio. L’uomo gemette sotto la mia stretta. Il<br />

braccio doveva sembrargli immerso nei carboni ardenti,<br />

perché man mano che realizzavo cosa fosse successo, la<br />

collera si impadroniva di me, lasciando fluire un po’ di<br />

influsso di morte dal palmo della mano che immobilizzava<br />

il braccio dell’uomo.<br />

> riuscì a dire chinandosi in<br />

avanti fino a toccare la fronte sul marciapiede freddo,<br />

tormentato dal bruciore sempre crescente.<br />

> domanda<br />

inutile, non riusciva più a parlare. Allentai la presa per<br />

fargli riprendere fiato, ma non mi allontanai di un<br />

centimetro, sempre sulla difensiva.<br />

Si teneva il braccio premendolo a terra per trovare un po’<br />

di sollievo ><br />

farfugliò nel tentativo di rimettersi in piedi ><br />

Nella fretta non avevo neanche avuto il tempo di guardarlo<br />

in faccia. Appena lasciai che si alzasse potei notare che il<br />

suo viso non mi era poi sconosciuto, lo avevo visto molte<br />

volte fra i tirapiedi di mio Zio > risposi seccato ><br />

><br />

Prima che potesse finire di parlare il mio braccio era<br />

attorno al suo collo ><br />

ringhiai ><br />

><br />

90


><br />

Era vero > lo liberai,<br />

allontanandomi di qualche passo.<br />

> chiese mentre si<br />

dava una sistemata nervosa al vestito di Armani.<br />

><br />

Avevo una prenotazione per la suite dell’Hotel più<br />

lussuoso della città. Tipico di mio padre.<br />

Sapevo che Federico – a quanto pare mio padre si fidava<br />

tanto delle mie capacità di sopravvivenza da assegnarmi<br />

una guardia del corpo - avrebbe potuto tenermi d’occhio<br />

finché fossi rimasto lì. Fuggii dall’hotel dopo una<br />

settimana. Non era così che avevo programmato il mio<br />

viaggio. In quel modo mi sembrava di non essere mai<br />

uscito di casa e io volevo fuggire da quel mondo, volevo<br />

mescolarmi un po’ tra la gente normale.<br />

Avevo almeno quattro intollerabili guardaspalle alle<br />

costole. Sentivo il loro fiato sul collo ovunque andassi,<br />

benché fossero assurdamente in gamba a non farsi<br />

identificare.<br />

Mi diedi alla fuga in piena notte. Passando, abilmente<br />

inosservato, dall’area di servizio del ristorante. Uscii dalla<br />

porta sul vicolo destinato alla raccolta dei rifiuti del<br />

ristorante. Non sapevo da che parte andare, mi spinsi a<br />

naso nella direzione opposta alle illuminazioni del corso<br />

principale e mi inoltrai per la città in cerca di un<br />

appartamento più umile.<br />

Non impiegai molto a trovarne uno nel centro, i soldi non<br />

mi mancavano, era al trentaduesimo piano di un palazzo<br />

molto raffinato, non come l’Hotel, ma non era male, dalla<br />

91


mia finestra c’era una bella vista e a due passi c’era<br />

Central Park, dove avrei potuto fare jogging la sera prima<br />

di uscire.<br />

Era perfetto per me, ora dovevo solo tornare all'Hotel,<br />

chiudere la prenotazione e ritirare le mie cose dalla<br />

camera.<br />

Avendo ben chiaro dove andare, non mi sarebbe stato<br />

difficile seminare i quattro carcerieri e far perdere le mie<br />

tracce. New York è così grande e affollata che la rende<br />

perfetta per nascondersi.<br />

Avevo calcolato tutto e, infatti, mi ritrovai all’aperto, solo,<br />

borsone in spalla, pronto finalmente a iniziare una nuova<br />

vita.<br />

Sarebbe andato tutto liscio, se non fosse che, mentre mi<br />

dirigevo verso la mia nuova sistemazione, un balordo mi<br />

strappò il borsone dalla spalla con tutta la mia roba, carte<br />

di credito comprese.<br />

Oh oh!<br />

Lo rincorsi per oltre tre isolati, e l’avrei raggiunto se non<br />

fosse saltato in sella alla moto del suo compare.<br />

Buon per lui che non mi è capitato tra le mani, perché<br />

infuriato com’ero non sarebbe mai tornato a casa.<br />

Non ho più rivisto né lui né il mio bagaglio.<br />

E adesso?<br />

Come il più sciocco dei dilettanti avevo tolto il portafoglio<br />

dalle tasche per non rischiare di essere derubato e non<br />

avevo pensato che avrebbero potuto tranquillamente<br />

rubarmi il borsone.<br />

Mi sentii molto stupido in quel momento, e ammetto che<br />

per una frazione di secondo mi balenò in mente il pensiero<br />

di rinunciare e tornare a casa. Non ci sarebbe stato niente<br />

di male nell’ammettere di aver fallito. Mio padre poteva<br />

avere mille difetti, ma non si era mai burlato dei miei<br />

92


errori. Era tipo da rimproveri, spesso alzava le mani, ma<br />

mai una volta aveva osato ferire il mio orgoglio<br />

rinfacciandomi d’aver fallito in qualcosa. Nonostante ciò,<br />

il mio orgoglio era sempre andato oltre quel banale atto di<br />

cortesia, spingendomi ogni volta al limite delle mie<br />

capacità, portandomi spesso ad avanzare quando avrei solo<br />

dovuto arrendermi e farmi da parte, mettendomi spesso in<br />

situazioni di estremo pericolo. Mio padre mi aveva tirato<br />

fuori dai guai tante di quelle volte da non ricordarne il<br />

numero esatto. Lo avrebbe fatto di nuovo se avessi avuto il<br />

coraggio di ammettere che aveva ragione ancora, che,<br />

dopotutto, avevo davvero bisogno del suo aiuto.<br />

Lo chiamai? Assolutamente no!<br />

Ciò non toglie che fossi precipitato in un attimo dalle<br />

stelle alle stalle più fetide. Non avevo più niente, solo<br />

qualche contante che mi bastò appena per soggiornare<br />

prima di notte in una squallida locanda nel quartiere più<br />

malfamato della città.<br />

Ho visto qualcuno dei miei in azione quel giorno. Non<br />

nascondevano il tatuaggio sul polso come me. Agivano<br />

indisturbati, anche se sempre in gruppo. La reputazione<br />

del quartiere giustificava molto la loro presenza. Sarebbe<br />

stato facile per gli Agenti del Clan venire a scovarli<br />

proprio lì, eppure li vedevo agire senza alcun timore. Forse<br />

sapevano cosa aspettarsi, cosa cercare. Forse in gruppo<br />

sapevano difendersi senza troppe difficoltà. Forse erano<br />

solo semplicemente abituati a svolgere il lavoro con<br />

estrema attenzione, niente di più.<br />

Ricordo ancora il cattivo odore proveniente dalla cucina<br />

della locanda, un misto di broccoli e carne vecchia.<br />

Il locandiere non mi accompagnò neanche alla porta della<br />

mia stanza. Intascò i miei ultimi soldi e mi indicò<br />

semplicemente la strada. Parve perfino seccato di ciò.<br />

93


Non descrivo il disgusto provato una volta varcata la<br />

soglia di quello schifo di camera. Il letto non era neanche<br />

stato rifatto dall’ultimo pernottamento, le lenzuola non<br />

erano state cambiate e da quello che ho visto dovevano<br />

essersi divertiti abbastanza quella notte.<br />

Le pareti erano grigie per la nicotina imprigionata da anni.<br />

Scarafaggi mostruosi passeggiavano indisturbati sul<br />

pavimento e sui muri. Il bagno era un misto di urina e<br />

vomito accozzati da settimane, la doccia poi, era<br />

impraticabile, a dire il vero in quella stalla era tutto<br />

impraticabile, c’era un buon 98% di probabilità di<br />

prendere una peste se solo avessi provato a toccare<br />

qualcosa. In confronto, le celle dei sotterranei<br />

dell’Ancharos erano suite imperiali.<br />

Tuttavia non avevo molta scelta, dovevo starmene buono<br />

al sicuro per qualche ora e quello era l’unico posto che ero<br />

riuscito a trovare per pochi dollari.<br />

La locanda era vuota a quell’ora di mattina, non mi<br />

sorprendeva che non fosse abitata dalla mia gente,<br />

Ancharos come me. Noi siamo più raffinati.<br />

Attesi impaziente che calasse il sole, sbirciando curioso i<br />

movimenti dei miei nel vicolo sotto la mia finestra, e non<br />

appena si fecero vive le prime ombre, abbandonai per<br />

sempre quel posto.<br />

Era gennaio, sentivo freddo ed ero tremendamente<br />

affamato. E vivere nella città dei venditori di cibo<br />

ambulanti è una tortura per chi soffre la fame da giorni.<br />

Avrei dato qualunque cosa anche solo per un bel bicchiere<br />

di latte caldo. Non mi ero mai trovato in una situazione<br />

simile. Il collegio in quei momenti non mi sembrava<br />

neanche tanto brutto e per un breve istante - solo uno e<br />

molto molto breve -, mi dispiacque perfino d’averlo<br />

distrutto.<br />

94


Però non era tanto la fame a darmi noia quella sera. Mi<br />

scioccava soprattutto l’idea di non avere un tetto sulla<br />

testa. Di giorno ero troppo esposto alla vista degli Agenti.<br />

Era passata la mezzanotte e non mangiavo niente da due<br />

giorni. Mi stringevo nel cappotto vagabondando per le<br />

strade del centro. Passai davanti ad un carretto di hot dog<br />

e, istintivamente, mi assalirono brutti pensieri. Non<br />

sarebbe stato difficile mettere fuori combattimento<br />

l’ambulante e concedermi almeno un morso di quei panini<br />

dall’odore invitante. Ritrovai la ragione ricordando che<br />

avevo giurato a me stesso che, per quanto possibile, non<br />

avrei più ucciso nessuno dopo la strage dell’Ancharos.<br />

Proseguii dritto per la mia strada, nonostante continuassi a<br />

voltarmi involontariamente nella direzione del carretto. Mi<br />

stupii nel constatare che New York di notte è ancora più<br />

viva che di giorno. I locali gridavano la loro musica<br />

invitando chiunque volesse entrare. Chiunque avesse<br />

denaro, si intende.<br />

La calca all’ingresso di uno di quei locali mi incuriosì al<br />

punto da provare a dare una sbirciatina all’interno.<br />

Credevo fosse di libero accesso, poi, all’entrata un<br />

bestione mi chiese di esibirgli i documenti ed io come un<br />

cretino glieli mostrai. Quelli per fortuna li avevo lasciati in<br />

tasca insieme a una parte dei contanti il giorno che ero<br />

stato derubato.<br />

><br />

Che scoperta! Stupido io che non ci avevo pensato. Non<br />

ero mai stato buttato fuori da un locale prima d’allora. In<br />

Italia potevo entrare ovunque, soprattutto perché nessuno<br />

avrebbe mai osato rifiutare l’ingresso a un componente<br />

della famiglia Renzi.<br />

Qui sei solo uno dei tanti, sciocco!<br />

Ammetto di esserci rimasto male!<br />

95


Erano quasi le 2:00, non avevo ancora messo nulla sotto i<br />

denti e il mio stomaco cominciava a emettere capricci<br />

rumorosi e imbarazzanti.<br />

Che strazio! Sarebbe stato così semplice aggredire<br />

qualcuno nella notte e procurarmi il denaro di cui avevo<br />

bisogno e, invece, mi ostinavo a fare il bravo ragazzo, a<br />

rispettare le regole.<br />

Le 2:00 divennero presto le 4:00. Mi trovavo nella<br />

snervante posizione di dover abbandonare l’idea della<br />

colazione e mettermi in cerca di una sistemazione.<br />

Non potevo permettermi neanche qualche ora nella stalla<br />

del giorno prima e poi, avevo tutta l’intenzione di trovare<br />

qualcosa di meglio, ma era tardi e non avevo più tutto<br />

questo tempo.<br />

Voltato un vicolo cieco nella 34 a udii dei lamenti<br />

provenire da dietro un cassonetto. Mi avvicinai cauto e<br />

vidi una ragazza di colore accovacciata a terra priva di<br />

forze. Non gli avrei dato più di diciassette anni.<br />

Era terrorizzata. Aveva avvertito la mia presenza, ma non<br />

alzò gli occhi per guardarmi, era troppo spaventata, magari<br />

all’idea di ritrovarsi davanti il suo aggressore.<br />

> le chiesi stranamente<br />

intimidito. Lei non rispose, fece solo cenno di no con la<br />

testa, sollevandola appena per guardarmi.<br />

Le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi e quando l’afferrò,<br />

notai che aveva la sua leggermente arrossata.<br />

Ebbi tutto chiaro poi, appena si alzò. > mi<br />

rispose lei singhiozzando.<br />

Non era una ferita grave la sua e dalla profondità<br />

dell’ustione sull’addome capii che l’aggressione era stata<br />

solo superficiale, forse l’aggressore era stato disturbato da<br />

qualcosa e costretto a fuggire prima di finire il lavoro. Non<br />

96


ne fui sorpreso, avevo sentito molte volte di aggressioni di<br />

questo tipo da parte della mia gente: una vita in cambio di<br />

un’altra. Non mi turbò affatto trovarmi di fronte a una<br />

queste realtà, ma mi scioccarono i suoi occhi… vi si<br />

leggeva il terrore stampato a chiare lettere.<br />

> le chiesi.<br />

> mi<br />

rispose ingenuamente.<br />

> dissi io.<br />

><br />

Te ne sei resa conto solo ora?<br />

> la rassicurai.<br />

> mi chiese incuriosita dalla<br />

mia insolita cultura su quell’argomento.<br />

Risposi col sorriso più rassicurante che avessi.<br />

Ricambiò il sorriso, fissando la sua mano ancora stretta<br />

nella mia. D’un tratto però la vidi raggelare.<br />

> esclamò impaurita.<br />

Vidi il mio tatuaggio sbucare dalla manica del cappotto > provai a spiegarle, ma<br />

ormai lei aveva già tratto le sue conclusioni e non ne<br />

voleva sapere delle mie spiegazioni.<br />

> gridò incattivita dalla paura.<br />

Quello era esattamente il tipo di reazione che mi<br />

indisponeva > le urlai contro sperando di calmarla. Naturalmente<br />

servì solo a farla spaventare di più. Feci qualche passo<br />

indietro aprendogli la via di fuga. Senza rispondere,<br />

97


afferrò al volo il suggerimento e fuggì senza più voltarsi<br />

indietro.<br />

Albeggiava ormai da qualche minuto ed io avevo solo<br />

perso tempo.<br />

Tirai su il cappuccio della felpa e continuai la mia ricerca.<br />

Erano le 6:20 e il sole di gennaio era ancora timido e<br />

gelido a quell’ora.<br />

Alle 7:00 poi, mi ritrovai davanti l’ingresso di una chiesa.<br />

Non vi entravo da così tanto tempo. Comunque, che male<br />

poteva farmi?<br />

Stetti ancora qualche minuto a pensare, poi entrai.<br />

Era maestosa al suo interno, eppure da fuori non sembrava<br />

così grande. Le vetrate in alto, vicino al soffitto, erano in<br />

vetro colorato. Emanavano luce, ma impedivano ai raggi<br />

del sole di penetrare direttamente all’interno dell’edificio.<br />

Mi piacevano le chiese, ma dalla morte di Mark ero<br />

talmente in collera con Dio da averlo ripudiato dal mio<br />

cuore.<br />

Mi sedetti su una delle panche e me ne stetti tranquillo per<br />

un po’.<br />

Vi regnava un silenzio surreale, come se nessuno avesse<br />

mai potuto infrangere la pace che sprigionava quel posto.<br />

Di tanto in tanto qualche fedele entrava per portare dei<br />

fiori, accendere qualche cero o semplicemente per pregare.<br />

Avevano tutti un’area gentile e in pace con se stessi.<br />

Mi piaceva guardarli, mi rassicurava sapere che non<br />

esisteva solo violenza in questa città.<br />

All’improvviso poi, devo essermi addormentato, perché<br />

ricordo solo di essere stato svegliato dal reverendo.<br />

> mi chiese, preoccupato che mi<br />

fossi sentito poco bene.<br />

98


risposi fregandomi gli occhi assonnati.<br />

> mi domandò.<br />

><br />

><br />

> mormorai sincero.<br />

Il reverendo non mi capì e a dire il vero, questo non poteva<br />

che farmi piacere.<br />

><br />

continuò insistente.<br />

> risposi.<br />

> mi disse.<br />

> come facevo a dire a un<br />

sacerdote che ero arrabbiato con Dio perché aveva<br />

permesso che uccidessi il mio miglior amico?<br />

><br />

disse gentilmente.<br />

Aveva degli occhi stupendi quell’uomo, il suo sguardo mi<br />

ricordava quello di Mark. Non riuscivo a distogliergli lo<br />

sguardo di dosso, mi sentivo stregato. Sentivo che per<br />

nulla al mondo avrei voluto perdere di nuovo quegli occhi.<br />

Eppure ritrovarli sul viso di qualcun altro mi spezzava il<br />

cuore ><br />

Mi guardò stranito, non riusciva a capire, e quella<br />

conversazione, o più probabilmente il modo in cui lo<br />

fissavo, cominciava a metterlo a disagio.<br />

> mi disse.<br />

99


insistei alzandomi in piedi.<br />

> mi<br />

rassicurò.<br />

> risposi avviandomi verso<br />

l’uscita e lasciandolo lì con tutte le sue domande.<br />

Mentre ero in cerca di un nuovo nascondiglio non riuscivo<br />

a non pensare alla ragazza del vicolo.<br />

Erano quasi le 14:00<br />

Vagavo per Central Park. Stavo congelando.<br />

Mi rendevo conto che non avrei potuto continuare così,<br />

dovevo trovare dei soldi, un appartamento e soprattutto<br />

qualcosa da mangiare.<br />

Avrei potuto chiamare mio padre, ma ero ancora troppo<br />

stupidamente orgoglioso per farlo.<br />

Mi misi a sedere sotto un albero, aspettando che arrivasse<br />

finalmente il tramonto per mettermi in cerca di qualcosa.<br />

Mi addormentai di nuovo e, di nuovo fui svegliato da una<br />

voce.<br />

><br />

Quando aprii gli occhi mi trovai di fronte cinque ragazzoni<br />

dall’aspetto spavaldo.<br />

> li avvertii.<br />

> disse uno di loro con un coltello in<br />

mano. I miei abiti firmati dovevano avergli dato la falsa<br />

illusione di poter ricavare un bel bottino.<br />

><br />

Al ché uno di loro mi prese per il cappotto e mi tirò su.<br />

> disse.<br />

Non lo feci neanche finire di parlare, con un paio di mosse<br />

il mio ginocchio destro era sulla sua gola e il coltello<br />

puntato al petto.<br />

100


ipetei ancora<br />

digrignando i denti.<br />

Gli altri quattro ragazzi erano rimasti impietriti, il loro<br />

compagno era almeno due volte più grosso di me, eppure<br />

non era riuscito a muovere un muscolo.<br />

> propose uno di loro.<br />

Mi guardai intorno, non c’era nessuno. Non so…, forse la<br />

rabbia del momento, forse l’idea di essere stato rapinato<br />

due volte in meno di due settimane, sarà stato il freddo o<br />

forse semplicemente la fame, ma sentii un’irrefrenabile<br />

voglia di affondare la lama in quel collo pallido.<br />

Non lo uccisi naturalmente, lo lasciai fuggire con i suoi<br />

amici, ma dopo averli spaventati a morte mi sentii molto<br />

meglio.<br />

Imbacuccato com’ero non mi avrebbero mai riconosciuto,<br />

ma di certo non mi avrebbero dimenticato.<br />

> esclamai soddisfatto prima di<br />

andarmene.<br />

Erano le 16:32, il sole sarebbe calato a momenti ed io ero<br />

pronto ad affrontare un’altra nottata per le strade gelide di<br />

New York.<br />

101


102<br />

12<br />

Il compleanno di mio nonno è sempre un evento in città.<br />

Sono presenti le maggiori cariche politiche nazionali e<br />

personaggi di prestigio internazionali non rinunciano mai<br />

al piacere di trascorrere una giornata fra i più illustri<br />

personaggi del mondo che conta. Si inizia a preparare la<br />

lista degli inviti già tre mesi prima. Giuro d’aver visto, due<br />

anni fa, la moglie di un’alta carica dell’esercito tirarsi i<br />

capelli con una vedova, che non nominerò, perché la<br />

seconda insinuava che lei non sarebbe mai stata invitata a<br />

causa di un piccolo battibecco tra suo marito e mio zio<br />

Sergio.<br />

Tutti quelli che contano vogliono partecipare al party e<br />

sarebbero disposti a tutto pur di figurare in quella dannata<br />

lista.<br />

Mio nonno decide personalmente chi è dentro e chi fuori e,<br />

giuro, è molto semplice rimanere fuori.<br />

Ho sempre odiato quel giorno, anche perché un party di<br />

dodici ore può reggerlo solo quella folla di svitati, che al<br />

mattino dopo non ha niente da fare.<br />

Io sono sempre stato costretto a partecipare. Sono l’Erede,<br />

e la mia gente deve imparare a vedere in me il successore<br />

del capostipite della mia famiglia. A poco importa che non<br />

mi interessino quelle dimostrazioni pubbliche.<br />

Gli Ancharos di stirpe pura sono sempre più rari. Le<br />

unioni con i comuni rendono sempre più frequenti le<br />

nascite di sangue misto. I poteri di un Impuro sono più<br />

deboli e soggetti a svanire col tempo. Un impuro, infatti,<br />

potrà generare solo eredi di sangue misto, che a sua volta<br />

genererà altri eredi dal sangue sempre più sporco. I poteri<br />

con le generazioni future finiranno con lo scomparire del


tutto, portando all’estinzione della specie, e questo è<br />

inaccettabile.<br />

Questo pericolo però andava a favore della mia famiglia,<br />

che godeva del rispetto indiscusso dei tre capistirpe. La<br />

famiglia Renzi è una delle più antiche, seconda solo alla<br />

famiglia Darwood, Giudici d’Irlanda. La terza è la<br />

Vonkhander, ma sta attraversando momenti difficili a<br />

causa di una disgraziata coincidenza di nascite femminili<br />

negli ultimi decenni. So che stanno pensando di ricorrere a<br />

fecondazioni assistite per garantire continuità alla<br />

famiglia, ma forse sono solo pettegolezzi.<br />

Per il party il giardino e il parco sarebbero stati addobbati<br />

a festa. Anche se il tempo non era dei migliori a febbraio,<br />

non mancava mai la famosa caccia al tesoro nel parco.<br />

Neanche quest’anno sarebbe mancata, ma a differenza<br />

delle precedenti, la posta in gioco sarebbe stata molto più<br />

ricca. Il tesoro in palio era un diamante rosa delle<br />

dimensioni di una pallina da golf, ordinato personalmente<br />

dal più grande trafficante di diamanti attualmente in<br />

circolazione. Aveva donato il pezzo alla causa in cambio<br />

di un invito alla festa che, a sua detta, gli avrebbe fruttato<br />

dieci volte tanto. Alla caccia al tesoro si partecipa in<br />

coppie, perché solo per coppie è l’invito, che sia una<br />

moglie, un fratello, un amico, uno sconosciuto, non<br />

importa, purché ci si presenti accompagnati e,<br />

naturalmente il compagno è scelto da mio nonno. Tre anni<br />

fa più di una coppia era composta da persone che non<br />

avevano la minima idea di chi fosse il proprio compagno.<br />

Si presentavano al cancello da soli e se il compagno<br />

designato non era ancora arrivato, erano costrette ad<br />

attendere fuori con le guardie e gli altri invitati solitari.<br />

Solo una mente sadica può concepire certi meccanismi di<br />

gioco, perché solo di questo si trattava per mio nonno, di<br />

un gioco.<br />

103


Gli invitati puntuali sono snervanti. Eppure sono<br />

personaggi di un certo spessore. Non sanno che si arriva<br />

sempre con un ragionevole margine di ritardo agli eventi<br />

importanti? Non li abbiamo mica invitati a cena!<br />

Ero in Villa da un’ora e mezza e già mi sentivo soffocare.<br />

Stefano si stava ancora preparando e Thomas giocava con<br />

una delle animatrici che avrebbero intrattenuto i baby<br />

miliardari d’oltreoceano, mentre i genitori erano impegnati<br />

nella caccia al tesoro.<br />

Avevo bisogno di qualche attività che mi distraesse per far<br />

trascorrere più velocemente quella nottata folle. Più di<br />

tutto però, volevo evitare i saluti forzati dei puntuali.<br />

Anche se li conoscevo abbastanza, non avevo voglia di<br />

intrattenermi a conversare con loro, perché il più delle<br />

volte si finiva col parlare di niente.<br />

Gli addetti all’allestimento del gioco erano ancora immersi<br />

nel boschetto del parco per sistemare le trappole e i<br />

depistaggi. Io non avrei partecipato, quindi per me l’area<br />

non era off limits come per gli invitati.<br />

Non sopportavo l’atmosfera frenetica che si respirava in<br />

casa, l’odore dell’ansia era troppo fastidioso per le mie<br />

narici.<br />

Fare la statua in giardino però era altrettanto fastidioso per<br />

via del freddo, così mi decisi a fare una passeggiata lungo<br />

i sentieri del bosco addobbati a festa. Non potevo<br />

inoltrarmi all’interno della boscaglia per non far scattare le<br />

trappole, ma i sentieri silenziosi erano più che sufficienti a<br />

farmi passare quel senso di claustrofobia che sentivo ogni<br />

volta che varcavo il cancello della Villa.<br />

Il giardino era affollato. Uomini e donne in abiti da sera e<br />

gioielli pregiati fluttuavano sul prato all’inglese per posare<br />

104


i regali sul lungo tavolo rivestito di teli di seta e motivi<br />

orientali, accanto al grande drago di ghiaccio al centro<br />

della tavolata delle bevande.<br />

Lucerne cinesi dondolavano al venticello leggero dai rami<br />

del viale alberato per accompagnare gli ospiti al centro del<br />

giardino.<br />

L’oriente era il tema della serata.<br />

Dal bosco riuscivo a sentire il chiacchiericcio delle<br />

pettegole. Mio nonno le invitava di proposito, tutti gli<br />

anni, per conoscere le ultime novità sul mondo che conta.<br />

Il sentiero est del parco, a circa trecento metri, si divide in<br />

due viuzze più strette che si perdono nel folto del bosco.<br />

Non potevo proseguire, così mi voltai per tornare indietro.<br />

Avrei preso il sentiero a sud fino al laghetto di ninfee. Non<br />

avevo ancora voglia di mescolarmi agli invitati, forse<br />

l’avrei fatto quando il pesante Gong avrebbe dato inizio<br />

alla caccia al tesoro.<br />

Dopo una cinquantina di metri mi chinai a terra a<br />

raccogliere un braccialetto che non avevo notato prima,<br />

ma appena mi rialzai mi sbucò davanti una creatura<br />

mostruosa.<br />

Mi balzò il cuore in gola > gridai<br />

tra rabbia e spavento.<br />

Carmine si sfilò la maschera e scoppiò a ridere.<br />

Sentivo ancora il cuore battermi forte contro il petto, ma<br />

non riuscii a non ridere a mia volta > dissi strappandogli la maschera di mano per<br />

guardarla meglio.<br />

Non riusciva smettere di ridere ><br />

Gli feci una smorfia di scherno e mi infilai la maschera. La<br />

fessura per gli occhi era talmente stretta da premettere una<br />

105


visuale solo frontale ><br />

> sorrise ><br />

><br />

><br />

><br />

> e rise di nuovo.<br />

><br />

Mi indicò un punto in alto alla nostra destra.<br />

><br />

><br />

><br />

Inutile, continuava a ridere.<br />

Il Gong suonò dopo il discorso di benvenuto del<br />

festeggiato. Erano stati distribuiti degli opuscoli con il<br />

regolamento di gioco e il primo indizio era stato distribuito<br />

sotto forma di biscotto della fortuna. Ci misero un po’<br />

prima di capire che il messaggio all’interno dei biscotti era<br />

uguale per tutti solo perché si trattava dell’indizio per<br />

iniziare la ricerca del tesoro. Il primo che se ne accorse<br />

diede il via ai giochi, perché si precipitarono tutti alla<br />

tavolata dei dolci per prenderne uno. Il Gong, infatti,<br />

suonò proprio quando la folla che ancora non ne aveva<br />

preso neanche uno si mosse verso il vassoio di biscotti.<br />

Carmine si fece restituire la maschera per tornare in<br />

postazione. Io lo seguii dopo aver rimesso a terra il<br />

bracciale che avrebbe fatto scattare la trappola.<br />

106


I tranelli più spaventosi erano stati posti lungo i percorsi<br />

giusti, per far fuggire i giocatori e allontanarli dal tesoro.<br />

Devo ammettere che fu davvero divertente vederli crollare<br />

uno dopo l’altro. Le grida stridule di certi uomini non<br />

potevano suscitare altro che ilarità. Ma forse mi<br />

divertivano perché sono un po’ sadico anch’io.<br />

Per un momento il divertimento passò quando vidi<br />

attraversare il sentiero dall’unica persona che non mi sarei<br />

mai e poi mai aspettata di vedere lì quella sera. Solo un<br />

momento però.<br />

><br />

><br />

Sorrisi ><br />

Denise si aggirava circospetta. Era sola. Non sembrava<br />

aver voglia di proseguire, perché nella nostra direzione il<br />

bosco era tenuto al buio di proposito. Si guardò alle spalle,<br />

forse attendeva il compagno. Non c’era nessuno. Era<br />

abbastanza vicina da sentirne l’odore della paura. Mi<br />

sporsi di un paio di passi più vicino al sentiero, ma<br />

calpestai un ramoscello secco e il rumore la immobilizzò.<br />

Improvvisamente fu come se ogni ronzio risuonasse al suo<br />

udito come un botto di capodanno. Si accorse d’avere<br />

paura. Era rimasta ferma nell’unico tratto illuminato. Il<br />

buio dietro di sé e il buio davanti. Era già abbastanza<br />

spaventata, senza che ci mettessi del mio. Mi sfilai la<br />

maschera e la lanciai a Carmine, che l’afferrò al volo. Era<br />

ancora immobile. Andare avanti o tornare indietro? Che<br />

atroce dilemma. Eppure mi aspettavo che tornasse verso<br />

gli altri, invece si mosse verso di me, a passo svelto. Le<br />

labbra si muovevano in modo quasi impercettibile. Che<br />

stesse pregando? Però adesso il suo sguardo era fiero e<br />

coraggioso. La velocità dell’andatura dimostrava che era<br />

in allarme, ma sembrava aver ripreso il pieno controllo<br />

della situazione. Si aspettava il peggio ormai, per questo<br />

107


iusciva a mantenere la calma. Dopotutto, era<br />

perfettamente cosciente che si trattasse solo di un gioco.<br />

Non volevo spaventarla, così feci rumore di proposito e la<br />

chiamai.<br />

Si voltò a cercarmi nel bosco. Un gran sorriso le illuminò<br />

il volto appena mi riconobbe fra gli alberi.<br />

Mi avvicinai sorridendo. Ero sinceramente contento di<br />

vederla.<br />

> chiese.<br />

><br />

><br />

Risi ><br />

Stava sorridendo, ma all’improvviso cambiò espressione.<br />

Sentivo indistinto il battito del suo cuore accelerare.<br />

> chiesi preoccupato.<br />

Continuava a fissarmi, dritto negli occhi. Mi era capitato<br />

solo una volta di vedere due occhi così. Il suo sguardo mi<br />

penetrò dentro come un ferro rovente.<br />

Rimasi a fissarla serio per un istante. Perché era<br />

spaventata?<br />

Chinò la testa intimidita. Intimorita da me. L’avevo tolta<br />

davvero la maschera, o era ancora sul mio viso e non me<br />

ne rendevo conto?<br />

La vidi abbassarsi a raccogliere il bracciale a terra. Ero<br />

talmente immerso nei miei pensieri che non badai a<br />

fermare Carmine, che sbucò dal nulla, più mostruoso della<br />

prima volta.<br />

Il grido di Denise si perse nella boscaglia.<br />

Riuscii ad afferrarla un attimo prima che toccasse terra<br />

priva di conoscenza.<br />

> strillai.<br />

108


La adagiai piano a terra ><br />

Non riuscivo a toglierle lo sguardo di dosso, sembrava<br />

appena uscita da un sogno. L’abito lungo color lavanda,<br />

drappeggiato alla romana, coperto da una mantella bianca<br />

dai bordi di pelliccia, la faceva sembrare una Cappuccetto<br />

rosso ambientata nell’antica Roma. Non c’era traccia sul<br />

suo viso della ragazza sciatta e artificiale che vedevo<br />

all’università da quasi un anno. Era la Denise che mi<br />

aveva affascinato al corso di chimica > le carezzavo il viso che tornava a riprendere<br />

colore sotto il tocco delle mie dita. Aprì gli occhi<br />

lentamente. Rabbrividii. Non so se mi fece più<br />

impressione il suo aspetto serio o i suoi occhioni tristi di<br />

ghiaccio.<br />

Era una sensazione strana la mia, perché volevo<br />

allontanarmi da lei. Subito. Eppure non riuscivo a farlo.<br />

><br />

Mi mise un braccio attorno al collo e la aiutai ad alzarsi.<br />

><br />

Non riusciva a dire una parola e non riusciva a smettere di<br />

fissarmi. Ma perché? Poi finalmente parlò. ><br />

><br />

> rispose scrollandosi<br />

un po’ di sabbia dal mantello.<br />

><br />

> disse<br />

ingenuamente.<br />

> mormorai abbozzando un sorriso. ><br />

Spalancò gli occhi per la sorpresa. Mi sembrarono ancora<br />

più belli. ><br />

><br />

109


><br />

><br />

Dopotutto è quello che cerchi, no?<br />

><br />

> mormorò triste fra sé, guardando verso il<br />

buio dietro di noi.<br />

> chiesi distogliendola per un attimo<br />

dai suoi cupi pensieri.<br />

><br />

><br />

Non rispose.<br />

Rammenta l’undicesimo comandamento! ><br />

> disse<br />

guardandomi la mano destra fasciata ><br />

> risposi sorridendole.<br />

Sentii arrivare altri giocatori, così la tirai da parte dopo<br />

aver posato il bracciale al suo posto ><br />

Scelse di imboccare il sentiero nord della biforcazione. Era<br />

la direzione sbagliata, perché svoltava a est riportando al<br />

sentiero principale, ma, come promesso, la lasciai fare.<br />

> chiesi.<br />

><br />

110


Solo carina?<br />

Era passato così tanto tempo che non ricordavo neanche<br />

più l’ultima volta che avevo fatto un complimento sincero<br />

a una donna. Avrei facilmente ammesso che era<br />

bellissima, se non fossi sempre così orgoglioso.<br />

> Da quando ci eravamo messi in cammino<br />

non mi aveva più guardato, ma non perché fosse occupata<br />

nelle ricerche, era evidente che evitava il mio sguardo.<br />

Meglio cambiare argomento!<br />

><br />

><br />

Questo è cambiare argomento?A che serve tergiversare,<br />

vai al sodo, no? Quando ti ricapita un’occasione come<br />

questa?<br />

> chiesi d’un fiato.<br />

Mi guardò inorridita dalla domanda.<br />

Spesso dimentico di pensare e basta. Ancora più spesso<br />

poi, mi rendo conto che le premesse per i discorsi che<br />

faccio le creo solo nella mia testa, lasciando il mio<br />

interlocutore nella più buia confusione.<br />

Idiota!<br />

><br />

><br />

> ammisi ><br />

Sì, adesso ti sei proprio spiegato meglio.<br />

L’occhiataccia di Denise era la prova del contrario.<br />

Sbuffai.<br />

Riprova, la prossima sarai più fortunato.<br />

><br />

111


ALEX!<br />

Rise ><br />

Mi mordicchiavo il labbro inferiore. Doveva pur essere<br />

rimasto un minimo di buon senso nel mio cervello.<br />

><br />

><br />

><br />

Perché è uno degli Agenti del Clan e forse tu sei<br />

d’accordo con loro per eliminare la mia gente.<br />

><br />

><br />

A pugni? Voleva spararmi quel bastardo. Mi pedina da<br />

due anni. Lo sai che va in giro armato?Ma certo che sì,<br />

non ci sono segreti fra i membri del Branco.<br />

Probabilmente il tuo improvviso interesse per me ha una<br />

spiegazione molto più logica di quella che ho creduto<br />

finora. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?<br />

> chiese curiosa.<br />

><br />

><br />

Per fortuna sbucammo sul sentiero centrale del bosco. A<br />

una ventina di metri da noi si era formata una piccola calca<br />

di giocatori.<br />

> disse indicandomelo con l’indice<br />

mentre prendeva un po’ le distanze.<br />

Non lo avevo mai visto prima, così come non avevo mai<br />

visto un’aura nera come la sua.<br />

Celine era seduta su una delle panchine di marmo del viale<br />

sterrato. Mi fissava. Arrabbiata. Offesa. Contrariata. Si<br />

alzò senza smettere un attimo di guardarmi.<br />

112


chiese Denise, ma io stavo fissando Celine andare via.<br />

><br />

><br />

> risposi serio e con lo sguardo un po’<br />

preoccupato.<br />

><br />

><br />

E adesso perché fai lo scontroso? Che colpa ne ha lei?<br />

Sta con loro, ecco la sua colpa.<br />

> esclamò dispiaciuta ><br />

> risposi fingendo un mezzo<br />

sorriso, poi mi allontanai a nord del viale per cercare<br />

Celine. Le dovevo delle spiegazioni e, belle o buone,<br />

avrebbe dovuto starmi a sentire.<br />

><br />

Celine camminava nervosamente in camera nostra.<br />

Braccia incrociate al petto, il respiro affannato dalla<br />

tensione.<br />

><br />

> sbottò, fermandosi a pochi centimetri da<br />

me.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> stava<br />

gridando.<br />

113


><br />

Scossi la testa ><br />

><br />

><br />

><br />

Non ne potevo più. Vederla era uno dei motivi che mi<br />

teneva lontano dalla Villa. Ne uscivo sempre distrutto,<br />

come se tutti gli sforzi per risalire a galla non fossero<br />

serviti a niente. ><br />

> disse seria ><br />

> gridai col fiato mozzato da un<br />

magone che mi riempiva gli occhi di lacrime. Mi lasciai<br />

cadere ginocchia a terra. La fronte sul pavimento ><br />

114


13<br />

Fin dai primissimi giorni a New York mi resi conto di non<br />

saper vivere a quel modo.<br />

Mi costava ammetterlo, ma non ero ancora in grado di<br />

provvedere economicamente alle mie esigenze da solo,<br />

dopotutto, non lo avevo mai fatto prima. L’idea di<br />

trovarmi un lavoro poi, non mi aveva mai sfiorato la mente<br />

neanche per sbaglio. Ero in vacanza!<br />

Dopo l’ennesima aggressione decisi di mettere da parte<br />

l’orgoglio. Non mi restava altra scelta che trovare qualche<br />

spicciolo e chiamare i rinforzi.<br />

Non dovetti neanche ingegnarmi troppo per trovarli, mi<br />

bastò aspettare che calasse la notte, terrorizzare il primo<br />

malcapitato, farmi dare gentilmente qualche dollaro e<br />

trovare un telefono pubblico da cui telefonare.<br />

Il ruolo da teppista mi è sempre calzato a pennello. Ci<br />

voleva poco a farmi perdere la pazienza, e rendermi<br />

odioso, mi risultava spaventosamente naturale.<br />

Per fortuna i soldi per la telefonata non erano molti,<br />

altrimenti starei ancora lì a sorbirmi la ramanzina di mio<br />

padre.<br />

La sera dopo però, come stabilito, ero già all’aeroporto ad<br />

aspettare Federico e i suoi. Mio padre aveva promesso<br />

rifornimenti alla mia altezza. Uno dei tanti rifornimenti fu<br />

mio nonno.<br />

Con la scusa di dover risolvere delle questioni importanti<br />

ne approfittò per braccarmi due settimane intere.<br />

> fu la prima cosa che chiesi.<br />

> mi squadrò ><br />

115


Provai a fare un rapido calcolo, ma non ne ero sicuro, la<br />

mia mente era troppo provata dalla mancanza di zuccheri,<br />

potevo aver facilmente trascurato un giorno o due ><br />

><br />

> lo corressi.<br />

Alzò gli occhi al cielo sbuffando ><br />

I primi due giorni pernottammo nell’Hotel che aveva<br />

prenotato al mio arrivo. Giusto il tempo per le trattative di<br />

affitto di un magnifico appartamento a West Park. Averlo<br />

tra i piedi non fu terribile come mi aspettavo, perché non<br />

c’era quasi mai e quando mi rivolgeva la parola era solo<br />

per darmi qualche dritta fondamentale per vivere in città<br />

senza correre il rischio di farmi ammazzare dal primo<br />

teppista di strada che incontravo sul mio cammino.<br />

Una settimana dopo il suo arrivo, iniziò l’andirivieni di<br />

corrieri per consegnare il resto della mia roba. Dovevo<br />

potermi muovere in sicurezza, quindi avevo bisogno di<br />

una macchina. Tra le altre cose, la mia Mercedes Benz SL<br />

SV12 S Biturbo roadster.<br />

Il pensiero più apprezzato.<br />

Dall’Italia giunsero perfino tre cameriere, un autista – con<br />

la mia macchina appunto - e sei guardie del corpo. Il<br />

personale era elegantemente alloggiato in tre lussuosi<br />

appartamenti adiacenti al mio, uno per le donne e due per<br />

gli uomini.<br />

Aveva ricreato un piccolo Impero totalmente a mia<br />

disposizione e quella volta non fui tanto stupido da<br />

rifiutare.<br />

116


In breve mi sentii di nuovo me stesso, finalmente riuscivo<br />

a riconoscermi, dopo un bagno caldo e dei vestiti puliti ero<br />

tornato a essere l’Alessandro di sempre. Ero stato povero<br />

per meno di una settimana e avevo già assaporato la<br />

malignità umana.<br />

Era una situazione tutta nuova per me, non ero mai stato<br />

per così tanto tempo a contatto con la gente comune e quel<br />

poco che avevo visto non mi era piaciuto.<br />

Ero stato derubato, aggredito, ero stato scacciato,<br />

maltrattato e tutto in un pugno di giorni.<br />

Mio padre mi aveva avvertito, lo ammetto, mi aveva<br />

messo in guardia ancor prima di lasciare l’Italia. E più mi<br />

incitava a restare, più mi ostinavo a partire. Non volevo<br />

credergli fino in fondo. Ero troppo convinto che cercasse<br />

di spaventarmi per impedirmi di partire, e aveva<br />

perfettamente ragione.<br />

> mi ripeteva ><br />

Capire cosa? Non riuscivo a mettere a fuoco i suoi giri di<br />

parole, non riuscivo a vedere le cose come le vedeva lui,<br />

ma solo perché non avevo ancora visto quello a cui aveva<br />

assistito lui.<br />

Le morti atroci dei componenti della nostra gente le avevo<br />

sempre vissute come meschini atti vandalici. Mi<br />

trastullavo tra l’idea d’essere tremendamente sfortunato e<br />

l’idea di vivere in un mondo barbaro. Non avevo mai<br />

ancora associato le mie sciagure al mio essere Ancharos.<br />

Mi rifiutavo di credere che potesse esistere davvero<br />

un’organizzazione millenaria che desiderasse a tutti i costi<br />

solo la nostra estinzione.<br />

117


Le settimane che mio nonno rimase a New York filò tutto<br />

liscio come l’olio, sembrava conoscesse tutti in città, tutta<br />

la gente importante, s’intende.<br />

Aveva le porte spalancate per ogni cosa.<br />

Mi presentò a molte di quelle persone e a ognuna chiese<br />

un occhio di riguardo, > diceva.<br />

Quegli uomini conoscevano la vera natura di Tommaso<br />

Renzi, avrebbero preferito staccarsi a morsi un braccio<br />

piuttosto che scatenare la sua ira.<br />

Mi sentivo un po’ a disagio in quel frangente, ero una<br />

specie di raccomandato speciale, ma almeno avevo la<br />

sicurezza che non mi sarebbe accaduto nulla di male.<br />

Ricordo che uno di quegli uomini, un signore molto<br />

distinto, sulla cinquantina, gli rispose > si<br />

lisciava i baffetti fini e scuri come dovevano esserlo stati i<br />

suoi capelli prima di tingersi di zone grigiastre. Aveva<br />

uno sguardo molto severo >.<br />

> gli rispose mio nonno seccato.<br />

Se qualcuno si stesse chiedendo da chi abbia ereditato il<br />

mio caratteraccio, beh…<br />

Appena sentii nominare gli Agenti mi permisi di<br />

intromettermi nella discussione, ma fui prontamente<br />

ammutolito da un’occhiataccia di mio nonno, che mi<br />

invitava gentilmente a chiudere il becco e farmi gli affari<br />

miei.<br />

Non emisi più un fiato per tutto il tempo.<br />

118


Quando fummo a casa si prese finalmente la briga di<br />

spiegarmi quali fossero le regole riguardo al Clan lì a New<br />

York.<br />


È chiaro tutto quello che ti ho detto? Hai qualche<br />

domanda? Non sto scherzando, Alessandro, se vuoi<br />

davvero rimanere qui devi seguire alla lettera le mie<br />

indicazioni. Perché al primo passo falso te ne torni dritto a<br />

casa. Capito?>><br />

Io annuii, anche se mi sentivo un po’ confuso. Mio nonno<br />

mi aveva illustrato un mondo troppo contorto, differente<br />

dalla realtà che avevo sempre vissuto in Italia.<br />

Ero libero di fare tutto quello che volevo, ma nulla<br />

avrebbe potuto implicare in nessun caso un<br />

coinvolgimento con la gente comune.<br />

Assurdo! Impossibile!<br />

Andai a letto molto turbato, nella testa ancora mi<br />

ronzavano nitide le sue parole. Improvvisamente non mi<br />

sembrava più una grande idea rimanere lì. Che senso<br />

aveva? Avrei dovuto continuare a frequentare solo la<br />

famiglia, mentre io era da loro che ero fuggito.<br />

La sera successiva mi portò con sé al “Penit bi Oros”. È un<br />

locale molto “in”, frequentato da tutti, Ancharos e non.<br />

Mio nonno mi spiegò che il locale aveva due entrate, una<br />

principale, di copertura, per la selezione della gente<br />

comune e l’esclusione degli Agenti e una secondaria per<br />

gli Ancharos che desiderassero passare inosservati.<br />

All’ingresso principale, infatti, i comuni venivano<br />

marchiati con un timbro sul dorso della mano.<br />

Temporaneamente insolubile, l’inchiostro era un composto<br />

di particolari pigmenti che si sarebbero dissolti<br />

spontaneamente solo dopo qualche giorno, così da non<br />

rischiare che il tatuaggio si cancellasse lavandosi le mani<br />

durante il corso della serata.<br />

L’unico scopo del timbro era di consentire a noi di<br />

riconoscerli.<br />

120


Appena entrammo, il padrone del locale, Gerry, un uomo<br />

magrolino, con gli occhi infossati e delle profonde rughe<br />

che gli solcavano la fronte quando incrociava gli occhi,<br />

salutò affettuosamente mio nonno e mi fece un qualche<br />

complimento che ora non rammento.<br />

> disse scherzoso.<br />

> rispose mio nonno.<br />

Si vide chiaramente che Gerry non era intenzionato a<br />

scatenare quale che sia battibecco con lui, infatti, cambiò<br />

subito discorso > disse poggiandomi una mano<br />

sulla spalla e ci invitò a entrare nell’enorme salone<br />

affollato.<br />

La musica era assordante, centinaia di persone brulicavano<br />

ovunque, e non si riusciva a sentire nulla oltre quel<br />

frastuono. I miei timpani non erano abituati a tanto<br />

rumore, e non capivo come facessero a sopportarlo.<br />

Cominciai a gironzolare per la sala, guardarmi intorno, per<br />

non pensare al fastidio, ma d’un tratto vidi Gerry<br />

avvicinarsi. Non capii cosa mi stesse dicendo, ma dai gesti<br />

intuii che voleva che lo seguissi. Obbedii senza riflettere.<br />

Entrammo in un’altra sala. Appena la porta si richiuse alle<br />

nostre spalle non si udì più nulla.<br />

> spiegò.<br />

><br />

> mi porse due di quei piccoli<br />

miracoli della tecnologia moderna.<br />

> stava<br />

finendo di parlare quando un uomo entrò di colpo nella<br />

121


stanza da una porta nascosta nella parete. Aveva una<br />

donna priva di conoscenza tra le braccia.<br />

> ringhiò ferocemente<br />

Gerry.<br />

La donna aveva la camicia sporca di sangue, mentre<br />

l’uomo era in una sorta di estasi incontrollata. Gli occhi<br />

sbarrati e un sorriso inebetito sul viso sudato.<br />

> ordinò Gerry.<br />

> chiese quell’uomo con una calma<br />

quasi raccapricciante.<br />

> chiese Gerry senza scomporsi, quasi fosse<br />

un’informazione di poco conto.<br />

><br />

><br />

Ma che storia è questa?<br />

Gerry non parve affatto sconvolto dall’accaduto,<br />

evidentemente non era estraneo a quel tipo di incidenti nel<br />

suo locale.<br />

> mi disse ignorando totalmente la<br />

mia espressione turbata. Non disse più nulla, mi<br />

accompagnò di nuovo nel salone.<br />

Effettivamente quei tappi funzionavano, riuscivo a sentire<br />

sia la musica che quello che dicevano gli altri.<br />

Non parlai con mio nonno di quello che avevo appena<br />

visto. Pensai che anche per lui fosse una cosa normale<br />

come per Gerry e non volli aprire un dibattito in proposito.<br />

Non mi rimaneva che cancellare dalla mente quel bizzarro<br />

ricordo. Mi misi a osservare quella moltitudine di corpi<br />

sinuosi in frenetico movimento. Che altro potevo fare?<br />

Non mi sarei mai buttato nella mischia a dimenarmi come<br />

un folle lasciando che schizzi di sudore di estranei mi<br />

imbrattassero viso e abiti nuovi. Potevo dare un’occhiata<br />

in giro più approfondita però.<br />

122


Dal salone principale diramavano varie salette private, che<br />

di tanto in tanto si popolavano di anime finemente<br />

selezionate da uomini all’esterno.<br />

Non capivo come ai comuni potesse passare tutto<br />

inosservato, a me appariva così palese quello che<br />

succedeva in quel locale.<br />

A un certo punto della serata quindi, lasciai mio nonno -<br />

con il Times aperto tra le mani -, discutere di non so che<br />

affari con un uomo dall’aspetto molto autoritario e mi<br />

aggirai curioso per il locale.<br />

Buttai anche un occhio in una delle salette vuote.<br />

All’apparenza era un normalissimo salottino<br />

insonorizzato, all’interno del quale la musica veniva<br />

filtrata da casse che smorzavano vigorosamente il suono<br />

della musica, ma notai una seconda porta all’interno.<br />

Incoscientemente aggirai il buttafuori e decisi di curiosare,<br />

mi infilai così, di nascosto, nel corridoio che apriva quella<br />

porta, per vedere dove andasse a finire. Era buio, ma io<br />

riuscivo perfettamente a vedere tutt’intorno a me. Ai lati<br />

del corridoio si aprivano quattro porte, delle quali, in quel<br />

momento solo una era chiusa. All’interno delle altre si<br />

scorgevano degli altri salottini ciechi, cioè senza finestre o<br />

ulteriori uscite, illuminati solo da debolissimi neon azzurri.<br />

Mentre sbirciavo, dal salottino chiuso si udì un rantolo.<br />

Per un istante il mio cuore smise di battere, intuii subito<br />

cosa stesse accadendo e fui preso da un inaspettato eccesso<br />

di buonismo.<br />

Irruppi in un istante nella stanza e trovai un Ancharos con<br />

la mano violentemente stretta attorno al collo delicato di<br />

una ragazza.<br />

Lei era già terribilmente pallida e priva di sensi e lui non<br />

accennava a lasciarla. L’avrebbe uccisa se non fossi<br />

intervenuto in tempo.<br />

123


L’intento era quello: succhiarne il flusso vitale fino a<br />

ucciderla, per garantirsi una maggiore energia e<br />

un’occasione di vita in più.<br />

Il flusso di morte di cui disponiamo ha un duplice<br />

vantaggio per gli Ancharos: può dare la morte a un<br />

comune essere umano e al contempo risucchiarne l’energia<br />

vitale che gli garantirebbe, in caso di ferita mortale, una<br />

riserva di energia sufficiente a salvargli la vita.<br />

La parte migliore di questo potere è che un Ancharos può<br />

utilizzare la stessa energia per sé o per salvare la vita di<br />

qualcun altro. Non è un brutto potere se non fosse che per<br />

salvare una vita è necessario sottrarne un’altra.<br />

Con gli Agenti alle calcagna, era evidente che<br />

quell’escamotage venisse utilizzato dai nostri per<br />

garantirsi una chance in più contro il nemico. Senza<br />

dimenticare che immagazzinare energia vitale conferisce<br />

una forza disumana.<br />

> esclamai.<br />

Non fu felice di vedermi > ringhiò.<br />

> dissi serio.<br />

Non lo vidi neanche lasciare la presa e far cadere la<br />

ragazza a terra, me lo ritrovai solo addosso inferocito.<br />

Credo non fosse la sua prima vittima quella, perché era<br />

davvero forte.<br />

Una delle discipline fondamentali imparate all’Ancharos<br />

era la lotta e, per sua sfortuna, io ero stato abituato a<br />

scontrarmi con fanatici peggiori di quello.<br />

Tuttavia, mi ci volle tutta la forza che avevo per<br />

togliermelo di dosso, ma quando ripresi il controllo della<br />

situazione, con un paio di colpi ben assestati lo stesi senza<br />

ripensamenti.<br />

124


Sarebbe rimasto a terra solo per qualche minuto però.<br />

Dovevo sbrigarmi a portare in salvo quella ragazza,<br />

sempre che ci fosse stato qualcosa da salvare.<br />

La presi in braccio e la portai fuori da quel macello.<br />

Quando il guardiano del salottino mi vide uscire si allarmò<br />

accorgendosi che ero diretto all’uscita principale. Mi fece<br />

infilare in uno stanzino per non dare nell’occhio.<br />

Non mi chiese cosa fosse successo, mi fece sparire e basta,<br />

facendomi uscire da una porta che dava direttamente<br />

sull’esterno.<br />

Dovevo avere l’aria del novellino, perché si affrettò a<br />

spiegarmi cosa farne del cadavere > mi disse accigliato.<br />

Mi nascosi con lei in un vicolo cieco, completamente<br />

avvolto dalle spire della notte e aspettai che riprendesse<br />

conoscenza. Il battito del cuore era ridotto a un silenzioso,<br />

lento martellio. Ma almeno, per il momento, era ancora<br />

viva.<br />

Non potevo starmene lì fuori per molto, mi ero allontanato<br />

da mio nonno da più di un’ora e di sicuro si era chiesto che<br />

fine avessi fatto, mandando qualcuno a cercarmi.<br />

La ragazza stava peggio di quanto immaginassi,<br />

nonostante i minuti passassero non mostrava alcun tipo di<br />

miglioramento.<br />

Aveva assolutamente bisogno di liquidi, era gravemente<br />

disidratata ed io non sapevo come comportarmi.<br />

Non avrei potuto accompagnarla in ospedale anche<br />

volendo, mi avrebbero fatto troppe domande e poi, dopo<br />

quello che mi aveva detto mio nonno, non avrei osato.<br />

La presi nuovamente in braccio, uscii sulla strada e riuscii<br />

a fermare un taxi prima che qualcuno si avvicinasse per<br />

prestare aiuto. La adagiai delicatamente sul sedile<br />

125


posteriore dell’auto sotto le lamentele irritanti del tassista,<br />

che aveva meno voglia di me di accollarsi rogne di alcun<br />

genere > dissi<br />

categorico, allungandogli una mazzetta di trecento dollari,<br />

che afferrò all’istante mutando il suo viso contrariato in<br />

compiaciuto e accondiscendente.<br />

Stavo per chiudere lo sportello e permettergli di partire,<br />

ma prima che potessi farlo lei aprì gli occhi e rimase a<br />

fissarmi sofferente per un lunghissimo istante.<br />

Non riuscivo a chiudere lo sportello, la guardavo<br />

ammaliato e disorientato.<br />

> disse allarmato il tassista.<br />

Mi ripresi da quell’incanto e lasciai che partisse a razzo<br />

verso l’ospedale.<br />

Fu in quel preciso momento che scoprii cos’era l’amore.<br />

Un immenso tesoro racchiuso in uno sguardo.<br />

Mi sentii come se avessi finalmente trovato quel qualcosa<br />

che mi era sempre mancato dopo aver vagabondato nel<br />

buio per una vita intera.<br />

Rimasi in strada a fissare il vuoto per non ricordo quanto<br />

tempo. Il cuore mi batteva forte come non aveva mai fatto<br />

prima, mi mancava il respiro e non riuscivo a pensare a<br />

niente, rivedevo sempre e solo quegli occhi. Due<br />

meravigliosi occhioni verdi.<br />

Quando tornai nel vicolo a riprendere la giacca che avevo<br />

lasciato a terra, mi accorsi che c’era anche il portafoglio<br />

della ragazza. Doveva esserle caduto quando l’avevo<br />

portata in strada.<br />

Lo raccolsi e tornai nel locale cercando di sembrare<br />

disinvolto. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere.<br />

Fortunatamente mio nonno era ancora intento nella sua<br />

conversazione.<br />

126


Lo presi un momento da parte > dissi.<br />

><br />

Lasciai il locale che erano quasi le 4:00 del mattino.<br />

A casa non persi neanche tempo a spogliarmi, mi gettai sul<br />

letto, esausto, ciononostante, non riuscii a chiudere occhio.<br />

Il profumo di lei era dappertutto, imprigionato ai vestiti<br />

che non avevo la forza, o forse la voglia, di togliere.<br />

127


128<br />

14<br />

Ah! Beato sabato sera. Il mio giorno libero. L’unico<br />

momento in cui posso mettere da parte il lavoro e<br />

dedicarmi un po’ ad altro.<br />

> Clarissa<br />

quella sera si era intestardita per andare all’Errol’s e non<br />

c’era verso di farle cambiare idea.<br />

Bruno spalleggiava la mia idea di andare a vedere<br />

l’anticipo Roma - Juventus allo stadio ma Clarissa era un<br />

secco e sonoro NO.<br />

> insisteva.<br />

Dopo quasi due ore di tira e molla mi accorsi che avevamo<br />

perso la battaglia quando Bruno si lasciò cadere , esausto,<br />

sulla poltrona del suo salotto ><br />

Martedì?<br />

> la schernii ><br />

> biascicò lei, prima di<br />

fulminare Bruno con un’occhiataccia malefica ><br />

Bruno scoppiò a ridere, divertito e per niente preoccupato<br />

dalle minacce di Clarissa. Sapevo che mi sarebbe bastato<br />

pungolarlo appena per farlo parlare > Clarissa gli balzò addosso<br />

premendogli la mano sulla bocca per non fargli dire altro.<br />

Potei vederlo solo alzare le braccia in segno di resa.


mi affrettai a dire prima che Clarissa lo<br />

facesse a pezzi. Ma non riuscii a non riderne ><br />

Mi arrivò un cuscino dritto in faccia ><br />

strillò. Il viso paonazzo e le mani tremanti.<br />

><br />

><br />

Bruno approfittò del momento per scrollarsela di dosso<br />

<br />

><br />

Zavorra! Se solo non fossi così dolce…<br />

><br />

Oh, oh! Bruno, sta volta hai proprio esagerato!<br />

><br />

La porta della camera di Clarissa sbatté così forte che per<br />

poco non fece saltare i cardini.<br />

Non volevo certo che finisse così. Stavamo giocando ><br />

><br />

> Che guaio! ><br />

><br />

> scherzai<br />

<br />

><br />

129


precisai serio ><br />

><br />

Infilai il giubbetto appeso allo schienale della sedia ><br />

><br />

Ridevo mentre uscivo da casa, perché già lo sentii<br />

elemosinare le prime suppliche di perdono.<br />

Uscii dal portone del palazzo quasi correndo. Piovigginava<br />

e avevo la macchina sull’altro lato della strada.<br />

Mancò davvero poco che non la urtassi di nuovo.<br />

Appena mi vide trasalì e si fermò sul marciapiede. Era<br />

buio, ma posso azzardare d’averla vista arrossire. Era in<br />

compagnia di due ragazze del Branco. Facevano shopping.<br />

Aveva almeno dieci buste griffate in mano.<br />

E adesso che fai?<br />

Il momento era abbastanza critico. Non ero sicuro che<br />

avesse informato il Branco della nostra conoscenza.<br />

Probabilmente, se la mia ipotesi di complotto fosse stata<br />

errata, le avrebbe creato dei problemi.<br />

O la saluti, o ti levi da lì, fermo come un imbecille.<br />

Se Celine aveva ragione invece, e anche Denise era nel<br />

giro come suo padre, come Marco, avrei fatto meglio a<br />

evitare ogni contatto con lei.<br />

Ma allora perché non lo fa lei il primo passo?<br />

Erano passati solo tre giorni dal party in villa, dopotutto.<br />

Forse era ancora risentita per come mi ero congedato<br />

quella sera.<br />

Ti dai una mossa?<br />

Mi sentivo tremendamente a disagio e forse il suo rossore<br />

derivava dal medesimo imbarazzo.<br />

La saluti o fai finta di niente? Non mi sembra una<br />

decisione così difficile da prendere.<br />

130


Sei un genio, salutale tutte così ognuna penserà che ce<br />

l’hai con le altre. Un tantino troppo smielato, ma va bene<br />

lo stesso.<br />

Non dissi altro, accennai una specie di inchino con la testa<br />

in attesa di una sua reazione. Avevo fatto il primo passo,<br />

stava a lei dimostrarmi che mi sbagliavo sul suo conto.<br />

Attesa inutile. Le altre due mi risposero con una smorfia<br />

disgustata e lei rimase impietrita e inespressiva,<br />

esattamente come tutte le volte che era in loro compagnia.<br />

Jennifer fu ma prima a muoversi per oltrepassarmi, le altre<br />

la seguirono a ruota. Solo Barbara, passandomi accanto<br />

accennò qualcosa che sembrava un sorriso, ma non saprei<br />

dire se era contenta del saluto o della reazione sprezzante<br />

di Jennifer.<br />

Denise? Inespressiva.<br />

Naturalmente non ero affatto sorpreso dalla loro reazione,<br />

però, ammetto che qualcosa di più da parte sua me<br />

l’aspettavo.<br />

Mi ero trattenuto anche troppo per i miei gusti poco<br />

pazienti, quindi ripresi la mia corsa verso la macchina.<br />

Mentre afferravo le chiavi dalla tasca interna del giubbotto<br />

però sentii un debole “Ciao”. Era lei, riconoscevo la sua<br />

voce ormai.<br />

Mi voltai a cercarla. Era immobile, da sola, di fronte la<br />

vetrina di Armani. Le sorellastre probabilmente erano<br />

entrate.<br />

Il suo saluto era troppo silenzioso perché potesse<br />

immaginare che riuscissi a sentirlo, infatti, quando mi<br />

voltai distolse subito lo sguardo che teneva puntato su di<br />

me con avidità.<br />

A un tratto spalancò gli occhi, sempre su di me, come se<br />

avesse appena visto un fantasma. Un clacson mi ricordò<br />

131


che ero in mezzo alla strada. L’alfa 175 mi sfrecciò<br />

accanto senza rallentare. Con un balzo saltai sul<br />

marciapiede. Quando mi voltai di nuovo nella sua<br />

direzione, Denise aveva una mano davanti la bocca e una<br />

sul petto.<br />

Allargai le braccia e feci un giro su me stesso. Ero ancora<br />

tutto intero, per fortuna.<br />

Lei sorrise sollevata, ma Barbara si affacciò dalla porta del<br />

negozio sventolandole un maglioncino in faccia e fu<br />

costretta a seguirla all’interno.<br />

Ero riuscito a convincere solo Nicola ad abbandonare il<br />

proposito della partita per unirsi alla nostra nottata<br />

all’Errol’s. Com’era prevedibile, gli altri erano stati<br />

irremovibili.<br />

Avevamo appuntamento davanti la chiesa di quartiere e<br />

Bruno, Clarissa ed io stavamo già aspettando da un quarto<br />

d’ora che Nicola si decidesse a prelevare di peso Serena e<br />

trascinarla con sé. Per quel che ci riguardava avrebbe<br />

potuto portarsi dietro anche lo specchio del bagno, purché<br />

si sbrigasse.<br />

Almeno aveva smesso di piovere.<br />

Celine sedeva sul mio stesso gradino e, tenendosi stretta al<br />

mio braccio destro, sonnecchiava impaziente sulla mia<br />

spalla.<br />

> esclamò Bruno appena si accorse della<br />

BMW z4 roadster, grigia, parcheggiare davanti alla<br />

pizzeria di Fabrizio.<br />

Conoscevo troppo bene quell’auto per sapere che non si<br />

trattava di Nicola. Infatti, non mi sbagliavo. Denise scese<br />

dall’auto e si strinse nel cappotto Versace per non<br />

congelare.<br />

Mangia piccola. Stai dimagrendo troppo in fretta.<br />

132


Guanti di pelle e cellulare non sono un buon connubio per<br />

nessuno. Se lo lasciò quasi cadere quando lo prese per<br />

avvertire che, visto il freddo pungente, avrebbe atteso<br />

direttamente all’interno del cinema.<br />

Ti mandano in avanscoperta a caccia di posti anche in<br />

queste occasioni? Ma non ti hanno proprio fornito di<br />

amor proprio alla nascita?<br />

Il cinema era a un centinaio di metri nella nostra direzione.<br />

Avanzava spedita, lottando contro il freddo che le tagliava<br />

il viso. Teneva gli occhi bassi e non ci notò, ma quando li<br />

alzò per un’occhiata furtiva, mi scorse fra i miei amici e<br />

tentennò un istante prima di cambiare direzione.<br />

Come se non me ne fossi accorto. Che intenzioni hai? Vuoi<br />

fare il giro del quartiere al freddo pur di non passarmi<br />

accanto?<br />

Sentii Celine stringermi il braccio. Chinai il capo a<br />

guardarla. Teneva gli occhi chiusi, ma sapevo che l’aveva<br />

vista anche lei. Sapevo che la infastidiva.<br />

In quel momento mi sembrò un gesto sincero il mio, ma<br />

oggi sono sempre più convinto che fosse solo per dispetto.<br />

> chiamai.<br />

È inutile che fingi di non aver sentito. So che<br />

riconosceresti la mia voce fra mille anche se non ti<br />

chiamassi ad alta voce. Non puoi fare a meno di<br />

rispondere al mio richiamo se non voglio. Non nelle tue<br />

condizioni.<br />

Mi alzai per seguirla ><br />

Si voltò, ma ormai ero già alle sue spalle > balbettò ><br />

Sorrisi divertito > sapevo che non avrebbe gradito l’epiteto<br />

133


fiabesco per ognuna delle sue finte amiche, ma mi<br />

piacevano troppo le sue occhiatacce. Ne ero cosciente, ed<br />

era troppo semplice per me crearne una da gustare.<br />

><br />

Dai, dillo! Che problema c’è?<br />

><br />

Allora non sei poi così bugiarda come credevo. Vediamo<br />

fin dove arriva la tua sincerità.<br />

Sorrisi ><br />

Arrossì evitando il mio sguardo.<br />

Mmm… così non va bene, piccola. Tu mi nascondi<br />

qualcosa.<br />

><br />

dissi prendendola per mano per condurla più vicino alla<br />

gradinata. Si lasciò guidare senza obiezioni, ma le sentivo<br />

tremare la mano.<br />

Nel frattempo erano arrivati anche Nicola e Serena, che<br />

stavano già discutendo su chi avesse o meno la colpa per il<br />

ritardo all’appuntamento.<br />

><br />

Celine naturalmente era andata via.<br />

> disse stringendo la mano a<br />

tutti, con gentilezza.<br />

> propose Bruno.<br />

><br />

> continuò scherzoso<br />

><br />

> intervenni ><br />

Era esitante. Era evidente che stesse cercando una maniera<br />

garbata per rifiutare l’invito ><br />

134


Lo vedemmo tutti il Branco attraversare la strada, fiero e<br />

impavido come sempre. Sciocchi! Si credevano intoccabili<br />

perfino nel nostro quartiere.<br />

Il tremore di Denise aumentò appena li vide avanzare<br />

verso di noi.<br />

Non cercavano mai lo scontro diretto, pubblico, ma uno<br />

dei loro cuccioli si era smarrito in territorio nemico. Era<br />

loro dovere intervenire per salvarlo dalle grinfie del<br />

Branco rivale.<br />

Nicola e Bruno mi affiancarono coprendo Denise con la<br />

loro stazza.<br />

> chiese nuovamente Bruno,<br />

senza guardarla. Era concentrato su Federico, Armando,<br />

Carmine e Marco in testa al gruppo.<br />

Liberai la mano di Denise per lasciarla libera di scegliere<br />

come meglio credeva ><br />

Mi guardava incerta, come se si aspettasse che prendessi<br />

io una decisione al suo posto.<br />

> Aguzzini ><br />

Mi sentii afferrare la mano e stringerla forte. Mi fissava,<br />

combattuta fra il dovere verso il Branco e il palese piacere<br />

di stare con me. Aveva gli occhi lucidi.<br />

> chiesi sottovoce.<br />

Annuì.<br />

Sorrisi ><br />

Feci cenno a Clarissa di tenerla indietro con lei e Serena,<br />

mentre io raggiungevo gli altri per risolvere quel piccolo<br />

contrattempo.<br />

Non mi era mai piaciuto il modo in cui Marco guardava<br />

Denise, quella sera meno che mai.<br />

135


Erano fermi a due metri circa da noi. Non ci toglievano gli<br />

occhi di dosso.<br />

> chiesi con una calma che<br />

sorprese perfino me.<br />

> rispose Marco con altrettanta<br />

freddezza.<br />

><br />

> la chiamò.<br />

><br />

><br />

Feci un passo avanti seguito dai miei amici. Quel gesto li<br />

mise tutti sulla difensiva ><br />

><br />

Lasciai trapelare un ghigno dal volto serio e accigliato ><br />

Il ricordo della scazzottata che gli era costata dieci giorni<br />

di ospedale gli scompose il viso in una smorfia rabbiosa.<br />

Rincarai la dose ><br />

Conoscevo abbastanza quel ghigno sfacciato, da farmi<br />

ribollire il sangue nelle vene ogni volta che lo vedevo ><br />

> intervenne<br />

Nicola, che era rimasto con Bruno un passo dietro di me.<br />

><br />

aggiunse Bruno affiancandomi. La semiautomatica puntata<br />

al petto di Marco.<br />

> ordinai calmo > guardai gli occhi feroci<br />

di Marco ><br />

136


Bruno tornò a nascondere l’arma appena si accorse che<br />

alle spalle del branco avanzavano Stefano e Simone. Li<br />

aveva avvisati Clarissa.<br />

> chiesi ancora.<br />

Simone mi raggiunse a grandi falcate, facendo<br />

indietreggiare Bruno. Fissò prima Marco, poi me ><br />

><br />

Simone ha trentacinque anni. È molto più esperto e forte di<br />

noi quattro messi insieme. Troppo perfino per il Branco al<br />

completo.<br />

> chiese a Marco.<br />

Marco accennò a Denise con un movimento strafottente<br />

del capo.<br />

><br />

><br />

Ci guardammo in cagnesco per un momento. Avrebbe<br />

avuto tutto il tempo di darmi una strigliata la mattina dopo,<br />

in quel momento però, era costretto, suo malgrado, a<br />

spalleggiarci.<br />

Riportò la sua attenzione su Marco ><br />

Sorrise compiaciuto ><br />

Non ci vidi più ><br />

Simone mi richiamò all’ordine ><br />

Stefano e Nicola mi tenevano fermo.<br />

Simone si fece avanti di un altro passo senza il minimo<br />

timore ><br />

137


propose Marco ><br />

> Simone le fece segno di avvicinarsi e lei<br />

obbedì subito > e alla parola infantile<br />

guardò me e subito dopo Marco > e stavolta guardò solo il branco.<br />

Si schiarì la voce. Mi guardò. Guardò i suoi amici.<br />

Simone aveva fretta. Era cosciente del fatto che ogni<br />

secondo in più che passava avrebbe potuto scatenarsi<br />

l’inferno ><br />

> farfugliò inquieta. Guardò Marco<br />

<br />

Marco annuì tranquillo. Giurerei che dentro fremesse tanto<br />

quanto me, ma doveva uscirne a testa alta, così finse di<br />

non dare alcun peso al tradimento di Denise > disse rivolto ai<br />

suoi ><br />

Restammo immobili a guardarli mentre uno dopo l’altro<br />

rimontavano in macchina e sfrecciavano via dal quartiere<br />

con al coda fra le gambe. Il nostro quartiere.<br />

Credo proprio che avrebbero gradito lo spettacolo se si<br />

fossero trattenuti ancora un po’.<br />

Simone era fuori di sé > vociò contro<br />

di me.<br />

><br />

Denise si era ritirata in un angolo con le altre.<br />

138


Simone strillava così forte che Fabrizio uscì dalla pizzeria<br />

a controllare.<br />

><br />

> chiese Fabrizio.<br />

><br />

><br />

><br />

Rientrò scrollando la testa mentre borbottava qualcosa a<br />

denti stretti.<br />

Guardò Denise, poi me, rabbioso, ma cercando di<br />

controllare i toni per non allarmare gli Ancharos del<br />

quartiere ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

No! Effettivamente no.<br />

><br />

><br />

Denise mi fissò, confusa.<br />

Se non fossi un Renzi, sono sicuro che Simone un pugno<br />

me l’avrebbe dato volentieri. Gli si leggeva in faccia che<br />

moriva dalla voglia di colpirmi > ordinò ><br />

Clarissa provò una mezza obiezione.<br />

> ribadì gridando ><br />

e quest’ultimo ordine era rivolto a me.<br />

139


dissi<br />

porgendo una mano a Denise. Tremava tanto da non<br />

riuscire neanche ad alzarsi. > mi afferrò la mano.<br />

><br />

><br />

Non rispose.<br />

><br />

Eravamo rimasti solo noi due in piazza.<br />

><br />

><br />

> bisbigliò. ><br />

> dissi aprendole lo sportello della mia<br />

auto per farla salire ><br />

Dalla sua espressione interrogativa mi accorsi che non era<br />

stata ancora messa al corrente dei dettagli, non tutti<br />

almeno.<br />

Guidai in silenzio per qualche minuto. Avevo troppi<br />

pensieri per la testa. Il chiodo fisso però, era smascherare<br />

lei, quindi approfittai della situazione favorevole per<br />

indagare.<br />

><br />

><br />

140


E che altro sai?<br />

><br />

><br />

Le sfiorai il mento per farla voltare verso di me, senza<br />

togliere l’attenzione dalla strada. La guardai serio un<br />

istante ><br />

Aveva gli occhi immersi nei miei ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Mi lasciai sfuggire un sospiro, mentre accostavo a qualche<br />

metro dalla recinzione di casa sua. Non potevo correre il<br />

rischio che suo padre o qualcun altro mi riconoscesse ><br />

><br />

Mi sporsi sul sedile del passeggero prima che chiudesse lo<br />

sportello ><br />

><br />

><br />

Sorrise ><br />

><br />

141


Arrossì ><br />

Sorrisi anch’io ><br />

><br />

Aspettai un paio di minuti che rientrasse in casa, così da<br />

farle luce con i fari dell’auto, poi schizzai via da quel covo<br />

di sanguinari.<br />

142


15<br />

La mattina seguente me ne stetti rintanato in casa fino a<br />

notte fonda, mi sentivo strano, non riuscivo a togliermi<br />

dalla testa l’immagine di quella ragazza, che mi fissava<br />

dritta negli occhi come se volesse dirmi qualcosa.<br />

Mi fece tornare alla mente il povero Mark qualche istante<br />

prima che morisse.<br />

Ricordo che i giorni immediatamente dopo quell’episodio<br />

non mangiai, non dormii, non feci nulla all’infuori di<br />

piangere. Fu un periodo terribile, non credevo che avrei<br />

trovato la forza di riprendermi.<br />

Mark mi manca tuttora, ma il dolore l’ho accantonato da<br />

qualche parte dentro di me, insieme al triste ricordo di<br />

quegli anni.<br />

Dopo Mark mi ero imposto di non legarmi più<br />

sentimentalmente a nessuno. Mi ero imposto di mantenere<br />

un atteggiamento freddo e distaccato con tutti da allora in<br />

avanti.<br />

La stupidaggine in tutto questo era che, di tutte le mie<br />

sciagure, continuavo a incolpare mio padre.<br />

Ero fermamente convinto che, in fondo al cuore, non<br />

covassi un briciolo d’affetto per lui. Io stimavo tantissimo<br />

mio padre, ma provare sentimenti che vanno oltre la stima<br />

per quell’uomo sarebbe un’impresa ardua per chiunque.<br />

Non so se il suo atteggiamento nei miei confronti fosse<br />

condizionato dal mio essere un Ancharos. Mio zio non<br />

aveva avuto figli maschi ed io in quanto primo discendente<br />

maschio della famiglia avevo ereditato un dono che a lui,<br />

nato per secondo, era stato negato. Credo sia per questo<br />

motivo che il suo legame con Stefano è sempre stato così<br />

forte. Erano legati da un destino comune, mentre io gli<br />

143


icordavo tutto il rancore che aveva provato da ragazzo per<br />

suo fratello, invidiando la complicità unica che poteva<br />

facilmente ottenere con mio nonno. Forse la competizione<br />

continua con zio Sergio l’ha indurito, fatto sta che, da che<br />

mi ricordi, è sempre stato un uomo estremamente severo e<br />

autoritario, incapace di compiere un qualsiasi gesto<br />

d’affetto, con me! Non dico che fosse mai stato cattivo nei<br />

miei confronti, ma solo che probabilmente non riusciva a<br />

esternare i suoi sentimenti, non riusciva a dimenticare il<br />

passato.<br />

Oggi sono più maturo di allora e sono convinto che in cuor<br />

suo un po’ di bene me ne abbia sempre voluto.<br />

Eppure c’è stato un periodo in cui l’ho seriamente<br />

detestato. Credo d’aver fermamente smesso di stimarlo<br />

qualche giorno dopo essere arrivato all’Ancharos. Quel<br />

periodo, un po’, credo anche d’averlo addirittura odiato.<br />

Secondo una mia contorta linea di pensiero, infatti, lui<br />

avrebbe dovuto leggermi dentro e capire che io in quel<br />

postaccio non ci volevo stare, anche se continuavo a dirgli<br />

che andava tutto benone, lui avrebbe dovuto capire che<br />

mentivo.<br />

A quei tempi ancora non sapevo che lui non poteva avere<br />

la minima idea di cosa accadesse lì dentro. Ero un<br />

bambino, pretendevo che sapesse. A dispetto di tutto, lui<br />

avrebbe dovuto capire.<br />

Me ne stavo lì a rimuginare sul passato tenendo gli occhi<br />

fissi sul portafoglio della ragazza, che rigiravo tra le mani.<br />

Pensai a tutto quello che era successo quella notte e mi resi<br />

conto del pericolo che avevo corso nell’affrontare da solo<br />

quello squilibrato.<br />

Eppure, l’avrei rifatto in quell’istante se si fosse presentata<br />

l’occasione.<br />

144


Dopotutto lo avevo fatto con Mark quando ancora non lo<br />

conoscevo, quindi lo avrei fatto con chiunque.<br />

Era più forte di me, se qualcuno era in pericolo io dovevo<br />

intervenire.<br />

L’ho già detto, mi invadeva un eccessivo senso di<br />

buonismo ingiustificato.<br />

Ancora oggi non ho imparato a tenere a bada<br />

quell’impulso.<br />

D’un tratto mi ripresi da quel vegetativo stato di trance e<br />

decisi di aprire il portafoglio per sbirciare dentro. Non lo<br />

avevo ancora fatto, il ché, data la mia prorompente<br />

curiosità, era molto strano.<br />

Non avevo mai guardato nel portafoglio di una donna,<br />

immaginavo chissà che diavolerie ci tenesse dentro.<br />

Era di dimensioni molto ridotte, di Gucci.<br />

Lo aprii facendo scattare il bottoncino metallico. In un<br />

momento la stanza si riempì di dolce profumo femminile.<br />

Frugai per cercare dei documenti.<br />

Volevo vedere ancora una volta quel viso che per un<br />

attimo era riuscito a stregarmi.<br />

Volevo poter associare un nome a quel volto.<br />

Celine Madison era il suo nome, aveva diciassette anni e<br />

viveva al 128 nella 42 a strada.<br />

Oltre alla patente, nel portafoglio c’erano la tessera della<br />

biblioteca, l’abbonamento del tram, la tessera del New<br />

York fitness club e venticinque dollari e trentadue<br />

centesimi.<br />

Se avevo avuto anche la minima speranza di lasciarmi<br />

quell’episodio alle spalle, ora non sarebbe stato più<br />

possibile. Oggi lo so che è un errore farsi vincere dalla<br />

curiosità di conoscere dettagli privati, anche insignificanti,<br />

di qualcuno che vuoi dimenticare un attimo dopo averci<br />

avuto a che fare. Sapere anche solo il suo nome te lo rende<br />

145


familiare, apprendere anche le sue abitudini poi, te lo<br />

rende un conoscente. Io cerco di non sapere mai niente<br />

delle anime con cui lavoro, mi accontento del minimo<br />

indispensabile che possa aiutarmi a condurli al meglio<br />

nella porzione dimensionale in cui sono stati assegnati.<br />

Nessuna conoscenza, nessun coinvolgimento emotivo.<br />

Quando conobbi Celine ero ancora inesperto, soprattutto<br />

in rapporti interpersonali. Avevo diciannove anni e non<br />

avevo mai avuto una ragazza. Mi sentivo fatalmente<br />

attratto da quella giovane sconosciuta e non avevo idea di<br />

quale reale sentimento si trattasse.<br />

Mi sentivo nervoso, sofferente, impaziente e<br />

fastidiosamente irritabile.<br />

Non sapevo perché avessi perso l’appetito, a cosa fossero<br />

dovuti i crampi allo stomaco, l’insonnia. Ciondolavo per<br />

casa senza meta, assente e solitario. Se qualcuno mi faceva<br />

una domanda, la rara volta che la percepivo, rispondevo in<br />

modo sgarbato e tornavo a chiudermi in camera mia,<br />

sdraiato apaticamente sul letto, con lo sguardo fisso sul<br />

nulla e la mente ferma a un interminabile flash di vita<br />

passata.<br />

La sola idea che avesse potuto non farcela quella notte,<br />

che la corsa in ospedale fosse risultata inutile, mi mozzava<br />

il fiato togliendomi il sonno e la pace. Per la mia salute<br />

mentale, in bilico sul burrone della pazzia, dovevo<br />

rivederla, dovevo sapere se fosse ancora viva. Non che<br />

sapere della sua morte mi avrebbe aiutato, ma almeno<br />

avrei potuto iniziare a rassegnarmi.<br />

L’idea illusoria di rivederla era più forte della<br />

consapevolezza di non sapere dove e come poterla<br />

rintracciare.<br />

Quando l’avevo lasciata sul taxi, infatti, non avevo idea di<br />

dove l’avrebbe portata. Se si era ripresa era tornata a casa<br />

146


però, ma questa seconda ipotesi era anche peggiore. Che<br />

cosa mai avrei potuto dirle?<br />

“ Ciao, mi chiamo Alessandro, sono uno di quelli che ti ha<br />

aggredito l’altra notte, tanto piacere.” Magari avrei<br />

accompagnato il saluto con un mazzo di fuori. No! Non<br />

era davvero il caso di esordire a quel modo.<br />

Eppure ero convinto che fosse ancora in ospedale. Stava<br />

troppo male e avrebbe impiegato qualche giorno prima di<br />

riprendersi abbastanza da stare in piedi da sola. Se era<br />

sopravvissuta, ovvio. Anche se mi rifiutavo di prendere in<br />

considerazione l’eventualità di una sua dipartita non<br />

potevo permettermi di illudermi inutilmente, ci avrei<br />

sofferto solo di più se si fosse rivelata esatta.<br />

Prima di ogni altra cosa dovevo scoprire in che ospedale<br />

era stata ricoverata la notte dell’aggressione.<br />

Delegai Margherita per quest’incombenza. Non avevo i<br />

nervi saldi a sufficienza per sentire la notizia del decesso<br />

per telefono.<br />

Fu deliziosamente in gamba, in pochi minuti prese a<br />

telefonare a tutti gli ospedali della città, in ordine<br />

alfabetico, finché la trovò. Era ricoverata al “New York<br />

General Hospital”.<br />

Sapevo tutto quello che c’era da sapere, era viva e questo<br />

mi rallegrò il cuore. Dovevo solo trovare il modo di<br />

vederla, magari con la scusa di riportargli il portafoglio.<br />

Tuttavia, dovetti considerare l’idea che forse non<br />

ricordava nulla di quella notte, forse era troppo debole per<br />

ricordare e probabilmente non si sarebbe ricordata di me.<br />

Mi stavo riempiendo la testa di aspettative inutili.<br />

Non dissi a Margherita chi fosse Celine, come mai la<br />

conoscessi e lei non me lo chiese, lavora per la nostra<br />

famiglia da più di trent’anni e, come tutti gli altri<br />

domestici e dipendenti a servizio in villa, ha imparato a<br />

147


sue spese a essere molto discreta. Mi fidavo di lei, era la<br />

persona più vicina a una madre che avessi, dopo la mia.<br />

Era sempre stata molto affettuosa con me e credo sia<br />

l’unica persona che non abbia mai sofferto i miei cambi<br />

d’umore. Non riesco a essere troppo sgarbato con lei, le<br />

voglio troppo bene.<br />

Alla notizia che Celine era salva, esplosi in manifestazioni<br />

d’affetto inaspettate perfino per me stesso. Abbracciai<br />

forte Margherita riempiendola le guance di baci<br />

riconoscenti.<br />

Devo esserle sembrato così… così… diciamo solo folle.<br />

Non stavo più nella pelle. Ero deciso a precipitarmi<br />

all’ospedale in quel momento stesso. Mi vestii come<br />

meglio non potevo, afferrai al volo il cappotto dalla<br />

stampella dell’armadio e corsi verso l’uscita, ma, varcata<br />

la soglia di casa, ecco uscire mio nonno dall’ascensore.<br />

> mi chiese incuriosito. Ogni<br />

cellula del mio corpo tradiva la mia insana impazienza.<br />

> mentii.<br />

Di certo avrei potuto trovare una scusa più elaborata, ma<br />

mi colse talmente di sorpresa che buttai fuori la prima cosa<br />

che mi venne in mente e lui se ne accorse, > ma non indagò oltre > si<br />

raccomandò serio.<br />

Lo diceva sempre, non c’era una volta che vedendomi<br />

uscire non mi dicesse “Sta attento”. Dopotutto mi<br />

conosceva abbastanza da sapere che sarei riuscito a<br />

combinare guai anche da solo nel bel mezzo del deserto.<br />

Annuii e imbucai frettolosamente l’ascensore per timore<br />

che ci ripensasse e cominciasse a chiedere qualche<br />

spiegazione in più.<br />

Arrivai in strada col fiatone, come se avessi sceso di corsa<br />

tutti i trentadue piani del palazzo.<br />

148


Mi guardai un po’ intorno e scorsi la Mercedes<br />

parcheggiata sull’altro lato della strada. Paul, l’autista, era<br />

ancora lì, stava controllando il livello dell’acqua prima di<br />

portarla in garage.<br />

> lo chiamai ><br />

Si vedeva lontano un miglio che non aveva alcuna voglia<br />

di rimettersi di nuovo alla guida > annuì.<br />

Non conoscevo ancora bene le strade in città, tantomeno<br />

sapevo come raggiungere l’ospedale, ma anche volendo<br />

non avrei potuto portarlo con me, era un fedele scagnozzo<br />

di mio nonno, gli avrebbe spiattellato tutto non appena<br />

tornati a casa > tesi la mano verso di lui ><br />

Rimase per un attimo a guardarmi con aria confusa, da un<br />

lato sentiva il dovere di rifiutare la mia richiesta per<br />

fedeltà al suo Capo, dall’altro lato però era davvero<br />

esausto e sarebbe andato molto volentieri a dormire. Fu<br />

combattuto per questa ardua decisione per troppo, troppo<br />

tempo.<br />

> lo incitai.<br />

><br />

> mi ribellai.<br />

Erano quasi le 3:00 e quel demente non voleva mollare<br />

quelle maledette chiavi. Eppure avrebbe dovuto saperlo<br />

che non sono tipo da trattative > vociai > lo minacciai. Non lo avevo mai fatto prima, non<br />

così palesemente almeno.<br />

149


Mi guardò ancora un attimo e poi si decise ><br />

Lo vedevo che era spaventato, glielo leggevo chiaro negli<br />

occhi. Cercai di calmare il tono della voce per fargli capire<br />

che il peggio era passato ><br />

Il primo muro era stato abbattuto, rimaneva solo un<br />

problemino da nulla: trovare l’ospedale. Non avevo<br />

assolutamente idea di dove fosse.<br />

Per strada poi, mi fermai da un fioraio per prendere una<br />

raffinata composizione floreale – niente rose, troppo<br />

impegnative -, Margherita mi aveva consigliato di non<br />

presentarmi a mani vuote.<br />

Dopo aver chiesto a vari passanti nottambuli la via per il<br />

New York General Hospital varcai finalmente l’entrata<br />

dell’edificio. Erano le 4:25.<br />

Come un perfetto idiota non avevo calcolato che a<br />

quell’ora l’orario delle visite è terminato, la maggior parte<br />

della gente normale a quell’ora dorme. Ero così abituato a<br />

entrare e uscire dalla clinica di famiglia a qualsiasi ora che<br />

avevo trascurato quell’insignificante dettaglio.<br />

Ne approfittai però per chiedere informazioni al pronto<br />

soccorso.<br />

Entrai dal portone principale con il mio bel mazzo di fiori<br />

in mano. Dentro mi trovai davanti quasi cento persone<br />

tutte accalcate nella sala d’attesa, tutte malate, molte ferite<br />

e sanguinolenti.<br />

C’erano bambini che piangevano, vecchi morenti su lettini<br />

di fortuna, uomini e donne di ogni razza e colore in salute<br />

poco rassicurante. Un uomo bianco, sulla quarantina aveva<br />

addirittura perso una mano, si teneva stretta stretta sul<br />

polso un asciugamano e sua moglie – almeno credevo che<br />

150


lo fosse -, in una bustina per il congelatore custodiva<br />

gelosamente, in un mare di ghiaccio, l’arto mutilato di suo<br />

marito. Se l’era tagliata nell’officina di casa con una sega<br />

circolare, disse a una delle infermiere.<br />

Con un’occhiata rapida scrutai i visi dei presenti alla<br />

ricerca di Ancharos. Dovevano essercene almeno una<br />

dozzina in quella folla. Scorsi solo un esecutore al lavoro.<br />

Gli altri, con molta probabilità, erano perfettamente<br />

mimetizzati tra la gente comune.<br />

Dopo qualche minuto arrivarono due ambulanze con le<br />

vittime di un incidente d’auto. La donna era in un lago di<br />

sangue, necessitava di un intervento d’urgenza, perché due<br />

costole le avevano perforato un polmone. L’uomo invece -<br />

credo fosse suo marito, ma che lo fosse o no era un<br />

dettaglio irrilevante per me -, aveva solo un brutto taglio<br />

alla testa, riusciva a camminare da solo. Rimasi shockato<br />

quando all’accettazione gli chiesero se fosse coperto da<br />

assicurazione sanitaria per poter operare sua moglie.<br />

Sapevo che negli Stati uniti le spese mediche dei cittadini<br />

erano sostenute dalle assicurazioni sanitarie, ma sentir<br />

parlare di soldi in una situazione d’emergenza come quella<br />

mi fece venire i brividi.<br />

Era un vero pandemonio lì. A me non impressionava certo<br />

la vista di tutto quel sangue in giro, ma non capivo come<br />

potessero reggere le persone normali a tutto quello.<br />

Mi avvicinai al banco dell’accettazione e con educazione<br />

chiesi a un uomo se avesse qualche minuto per darmi delle<br />

informazioni.<br />

> mi rispose<br />

sgarbato ><br />

Non avevo fatto tutta quella strada per farmi buttare fuori<br />

da un incivile come quello. Mi ero ripromesso di fare il<br />

151


avo però, anche se… una piccola lezione… … No! Non<br />

mi sarei sporcato le mani per uno così.<br />

Dopo un ultimo sguardo a tutti quei relitti, mi resi conto di<br />

essere l’unico in perfetta salute lì dentro. Per di più me ne<br />

stavo ancora col mio stupido mazzo di fiori in mano.<br />

Forse aveva ragione dopotutto, avrei fatto meglio a tornare<br />

più tardi. Stavo per uscire, quando entrò una donna di<br />

colore, in preda al panico, con un bambino di circa sei anni<br />

tra le braccia, privo di conoscenza.<br />

Gridava disperata > Il piccolo si era sentito male durante la notte e a<br />

un certo punto aveva smesso di respirare.<br />

La donna non aveva l’auto ed era arrivata con un taxi fino<br />

all’ospedale e il tassista la rincorreva per farsi pagare la<br />

corsa.<br />

Due medici presero il bambino e lo portarono in una delle<br />

salette.<br />

Il tassista invece borbottava ><br />

Quella povera donna, confusa com’era, non riusciva<br />

neanche a rispondergli, continuava solo a guardare i<br />

medici che entravano e uscivano di corsa dalla saletta<br />

dov’era suo figlio.<br />

> insisteva il tassista.<br />

> gli chiesi serio.<br />

> rispose.<br />

Presi il portafoglio dalla tasca e gli diedi un biglietto da<br />

cinquanta > ringhiai ><br />

Non gli importò nulla di quello che era successo, intascò i<br />

suoi soldi e andò via continuando a manifestare il proprio<br />

scontento.<br />

152


Mi voltai per scorgere la madre del bambino e la vidi<br />

parlare con uno dei medici. Mi concentrai per riuscire a<br />

sentire cosa stessero dicendo > le disse il medico senza mezzi<br />

termini.<br />

La donna scoppiò in lacrime > cominciò<br />

a gridare.<br />

> le chiese<br />

cauto il medico.<br />

> balbettò lei in lacrime.<br />

La accompagnarono da suo figlio e la lasciarono qualche<br />

minuto da sola. La udivo piangere disperata dalla sala<br />

d’attesa e mi si strinse il cuore nel sentirla. Io avevo già<br />

assistito a quella scena e per nulla al mondo avrei voluto<br />

rivivere quell’esperienza.<br />

Il ricordo di Mark tornò violento a oscurarmi la mente.<br />

Dovevo uscire da lì, lasciare quel mare di lacrime.<br />

> mi sentii chiedere alle spalle.<br />

Mi voltai e vidi un’infermiera, ><br />

ripeté sorridendo.<br />

> balbettai ancora sconvolto ><br />

> mi chiese dirigendosi verso i<br />

computer dell’accettazione.<br />

> risposi seguendola.<br />

Giocherellò un po’ col computer > disse.<br />

> ripetei in un soffio.<br />

153


Non so perché fossi così sorpreso della sua risposta.<br />

Sapevo cosa le era successo, sapevo che era molto grave<br />

quando l’avevo lasciata, eppure mi turbava l’idea di<br />

saperla lottare tra la vita e la morte.<br />

> chiesi preoccupato.<br />

> mi domandò<br />

continuando a cercare non so cosa tra le varie finestre del<br />

Pc.<br />

> risposi.<br />

> mi chiese<br />

curiosa.<br />

> mentii.<br />

> osservò.<br />

> mentii ancora.<br />

><br />

Prendemmo l’ascensore e salimmo al terzo piano.<br />

Quando le porte dell’ascensore si chiusero dietro di noi fui<br />

assalito da un silenzio inquietante. Non si sentiva volare<br />

una mosca, solo il bip costante di qualche macchinario<br />

rompeva quella quiete.<br />

Seguii l’infermiera lungo un ampio corridoio, sempre con i<br />

miei fiori in mano. Erano incartati altrimenti, agitato<br />

com’ero, le avrei consegnato un mazzo di fiori appassiti.<br />

Ci fermammo infine, davanti un finestrone che faceva<br />

intravedere all’interno una fila di letti occupati. Quasi nel<br />

centro riuscii a riconoscere Celine, distesa esanime nel suo<br />

letto, con una moltitudine di tubicini in plastica che le<br />

entravano e uscivano da tutte le parti.<br />

> esordì un’infermiera del<br />

reparto


notte. Era ridotta davvero male. È un vero miracolo che sia<br />

ancora viva. Se fosse arrivata in ospedale un minuto più<br />

tardi non ce l’avrebbe mai fatta. Non capisco ancora cosa<br />

le sia successo, nessuno qui l’ha capito.>><br />

Mentre parlava io me ne stavo lì immobile a fissare il<br />

monitor che scandiva nitido ogni debole battito del suo<br />

cuore.<br />

> chiesi sottovoce.<br />

><br />

L’infermiera del pronto soccorso intanto stava sistemando<br />

i fiori in un vaso sul tavolinetto circolare accostato alla<br />

finestra del corridoio delle visite.<br />

> mi chiese l’altra donna.<br />

> risposi senza riflettere.<br />

L’infermiera rimase a guardarmi andar via, mentre venivo<br />

inghiottito dall’ascensore. Non capiva! Ma come avrebbe<br />

potuto, come avrebbe potuto anche solo immaginare.<br />

155


156<br />

16<br />

Il getto sottile della doccia mi colpiva il torace arrossato<br />

dal calore dell’acqua. Domenica sera avevo fatto tardi con<br />

Stefano e gli altri, così mi ero fermato a dormire in Villa.<br />

Avevamo trascorso la giornata a pianificare una strategia<br />

d’attacco nel caso si ripresentassero situazioni come quelle<br />

della sera prima. Non potevamo premetterci di farci<br />

cogliere impreparati un’altra volta. Evitare lo scontro col<br />

Branco era una priorità, ma sopravvivere era una<br />

necessità. Eravamo tutti d’accordo su quest’ultimo punto.<br />

Non avremmo attaccato per primi, ma non ci saremmo<br />

tirati indietro qualora avessero manifestato intenzioni<br />

ostili. Simone doveva accettare il fatto che abbassare la<br />

guardia era anche più pericoloso che scatenare una rissa.<br />

Le rappresaglie si possono sedare, dopotutto. Era successo<br />

in passato e poteva ripetersi in futuro senza difficoltà. Gli<br />

esponenti del Clan in Italia sono meno inclini ad attirare<br />

l’attenzione creando i presupposti per scontri diretti contro<br />

gli Ancharos. L’inferiorità numerica li rende più prudenti,<br />

soprattutto perché il loro Quartier Generale è tenuto sotto<br />

tiro dai nostri da più di dieci anni. Ne consociamo i<br />

movimenti e sono coscienti che ci sono infiltrati Ancharos<br />

nelle loro file di fedelissimi. Senza l’identificazione del<br />

marchio, non sono ancora in grado di riconoscerci, e<br />

questo li rende vulnerabili, perché fino a cinque anni fa<br />

non avevano la minima idea che potessimo trasmettere il<br />

dono ad altri. Non era mai stato necessario farlo prima, ma<br />

la morte di molti dei nostri ci ha costretto a prendere<br />

qualche provvedimento che loro non avevano mai preso in<br />

considerazione. In America come in altre nazioni, per<br />

ovvie ragioni di spazio, è più difficile tenerli d’occhio, ma


l’Italia diventa un luogo in cui è impossibile nasconderti se<br />

il tuo nemico e uno dei vicini di casa.<br />

La difficoltà di convivenza era tale sia per loro che per<br />

noi. Il Clan arruolava sempre nuovi Agenti e noi avevamo<br />

sempre nuovi nemici da controllare. Sono<br />

duecentoventiquattro gli Ancharos di sangue misto in città,<br />

ma la setta è molto più numerosa. I Comuni coinvolti nella<br />

causa sono almeno cinque volte tanto.<br />

Il Clan, in città, ha circa cinquecento membri. Sa di non<br />

poter agire con la forza per annientarci, perché ne<br />

uscirebbe sconfitto, quindi si limita a tenere d’occhio il<br />

nostro operato, limitandolo al minimo. Dopotutto, se<br />

riesce a scoprire chi sarà il prossimo Destinato, per<br />

annullare l’effetto della sentenza, gli basta impedire che<br />

agisca l’Esecutore preposto. Ricatti, minacce, qualunque<br />

bassezza che possa far desistere l’Esecutore dal portare a<br />

termine il lavoro toccando la vittima, è applicata per il<br />

bene del Destinato, creando così, un automa privo di<br />

energia vitale. Un destinato è tale perché il suo flusso<br />

vitale si è esaurito. A meno che un Ancharos non ne<br />

ristabilisca l’equilibrio energetico, l’individuo è morto<br />

comunque, dentro. Lottano per creare una terra di Zombie<br />

e non se ne rendono conto. Sordi a ogni spiegazione, si<br />

ostinano a ostacolare il piano divino che muove tutte le<br />

cose, creando squilibri che, col tempo, condurranno<br />

l’uomo all’estinzione che hanno tanto in orrore.<br />

Quando l’anta della cabina della doccia si aprì, non mi<br />

voltai. Attesi di sentire le sue mani sottili sul mio petto, le<br />

sue labbra sulla schiena.<br />

Il corpo si scosse in un brivido nonostante il calore<br />

dell’acqua. La punta della sua lingua ora risaliva il mio<br />

collo accaldato, lentamente, man mano che la mia testa si<br />

chinava all’indietro a cercare la sua spalla, troppo in basso<br />

per me.<br />

157


sussurrai con voce strozzata, mentre<br />

sentivo la pressione delicata della sua mano scivolare dal<br />

petto lungo l’addome.<br />

><br />

Mi voltai piano verso di lei. Il getto, in alto per lei, le<br />

aveva bagnato i capelli e il viso era un luccichio di perle<br />

liquide.<br />

Mi allacciò le braccia al collo.<br />

La sollevai facilmente per avere il suo volto alla mia<br />

altezza. Ci baciammo a lungo. Le sue cosce strette alla mia<br />

vita, mentre si muoveva sinuosa, come in una danza<br />

seducente, al ritmo delle nostre lingue intrecciate in un<br />

connubio di passione e desiderio. Era da più di un anno<br />

che non si concedeva a me in quel modo. Forse la gelosia<br />

per Denise era riuscita a risvegliare in lei quel diritto di<br />

possesso che si era imposta di reprimere per me.<br />

Chiusi l’acqua appena mi accorsi che stava intiepidendo.<br />

Celine tolse le labbra dalle mie, dispiaciuta.<br />

Sorrisi ><br />

Il broncio mutò in un sorriso eccitato. Si slacciò da me per<br />

uscire dalla doccia. Mi passò un telo che avvolti attorno<br />

alla vita, mente lei se ne allacciava un altro sul petto per<br />

tamponare i capelli dall’eccesso di acqua. Mi fissava con<br />

la stessa voglia che le avevo visto in passato, quando<br />

stavamo ancora insieme.<br />

><br />

Lo sapevamo entrambi che non sarebbe tornata con me<br />

dopo quella mattina, ma non avrei mai osato negare quel<br />

fugace piacere né a lei, ne a me. Ne avevo bisogno. Dopo<br />

avrei fatto i conti con le ferite che avrebbe lasciato<br />

quell’incontro, ma non avrebbero potuto essere più<br />

dolorose di quanto non fossero già.<br />

158


Mi avvicinai. Le tolsi l’asciugamano bagnato dalle mani e<br />

i capelli ricaddero morbidi sulle sue spalle nude. Mentre le<br />

toglievo il respiro con un bacio, sciolsi il telo che<br />

l’avvolgeva e sollevandola fra le braccia la portai in<br />

camera da letto per continuare il nostro gioco da dove<br />

l’avevamo interrotto.<br />

L’aula di Genetica era gremita di studenti, in piedi attorno<br />

alla cattedra del professore. Avevo fatto un po’ tardi quella<br />

mattina e ignoravo totalmente il motivo di quell’insolito<br />

affollamento.<br />

Marco e i suoi mi fissavano più accigliati del solito, così<br />

mi avvicinai alla cattedra per cercare spiegazioni. Man<br />

mano che avanzavo avvertivo l’atmosfera tesa del Branco<br />

e il dolore nell’animo degli altri studenti.<br />

Scrutai avidamente nella folla in cerca di Denise. Non<br />

c’era. Non riuscivo a vederla. Accelerai il passo senza<br />

smettere un attimo di cercarla. Non mi fermai dai miei<br />

amici di corso, come avrei fatto in altre circostanze come<br />

quella. Puntai dritto su Marco. Lo afferrai senza<br />

complimenti per un braccio, per trarlo da parte.<br />

> chiesi con tono forse anche troppo grave.<br />

><br />

><br />

Odiava quando lo chiamavo così. Ma cos’altro era? Il suo<br />

Clan era una peste per l’umanità.<br />

><br />

Vittima?<br />

><br />

><br />

159


Torna in te, Alex. Ha detto “vittima” un attimo fa.<br />

> chiesi, ma sta volta c’era<br />

preoccupazione, non rabbia nella mia voce.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Scossi involontariamente la testa. Non riuscivo a crederci.<br />

Ero convinto che Ivan fosse lì per Denise e neanche per un<br />

attimo mi era venuto in mente che potesse trattarsi di<br />

qualcun altro.<br />

Fissavo immobile la parete di fronte, perso in mille<br />

pensieri. C’eravamo sentiti in settimana. Era euforica per<br />

aver superato l’esame di Fisiologia che le mancava prima<br />

di poter chiedere l’argomento della tesi in Microbiologia.<br />

Sfilai il cellulare dalla tasca. Composi il suo numero a<br />

memoria. Spento.<br />

Marco si chinò sul mio orecchio ><br />

sussurrò.<br />

Senza pensarci un attimo lo afferrai per il colletto della<br />

camicia e lo avvicinai alla mia faccia per guardarlo dritto<br />

negli occhi > Carmine<br />

e Armando si misero in mezzo per scongiurare il peggio.<br />

Mollai la presa spintonandolo all’indietro con tanta forza<br />

da fargli sbattere la schiena contro la parete alle sue spalle<br />

> ringhiai, stringendo forte il<br />

pugno della mano che sentivo bruciare.<br />

160


Sbattei con forza il portone della Villa, senza<br />

preoccuparmi dei rimbrotti di Teresa, la governante, che<br />

mi seguirono fino al piano di sopra, per spegnersi<br />

definitivamente quando mi chiusi alle spalle con violenza<br />

anche la porta della mia stanza.<br />

Per la fretta avevo lasciato l’altro cellulare sulla scrivania.<br />

Stava squillando. Lo fracassai contro la parete per farlo<br />

smettere. Non volevo rispondere. Non se la sarebbe cavata<br />

con una semplice spiegazione a telefono. Se aveva<br />

qualcosa da dire, doveva avere il coraggio di dirmela in<br />

faccia.<br />

Ma a Massimo avrei pensato in un secondo momento.<br />

Dovevo prima rimettere a posto le cose con Federica.<br />

I funerali avrebbero avuto luogo nel pomeriggio. Avevo<br />

tutto il tempo per andare da lei e parlare un po’. Dopo il<br />

trapasso, l’anima può interagire esclusivamente col<br />

proprio nocchiero. Passano diversi anni prima che possa<br />

farlo anche con gli altri, ma Paolo era un amico, mi<br />

avrebbe concesso del tempo con lei, quindi non avevo<br />

motivo di preoccuparmi.<br />

Non erano trascorsi che pochi secondi da quando ero<br />

entrato in stanza e scaraventato il cellulare contro il muro.<br />

Il pianto spaventato di Thomas mi riportò alla realtà.<br />

Erano appena le 8:30, stava ancora dormendo e tutto quel<br />

trambusto l’aveva svegliato. La sua stanza era accanto alla<br />

mia, il letto proprio di fianco alla parete dove avevo<br />

lanciato il cellulare.<br />

Sei il solito stupido!<br />

Preso dal nervosismo non avevo minimamente pensato al<br />

fatto che era troppo presto perché Thomas fosse sveglio.<br />

L’asilo privato apre alle 9:00.<br />

I passi leggeri di Beatrice si mossero lungo il corridoio.<br />

Uscii.<br />

161


dissi baciandole una guancia ><br />

Mi scrutò con i suoi occhi attenti ><br />

><br />

Annuì ><br />

><br />

><br />

La giornata va di bene in meglio!<br />

><br />

> rimbrottò.<br />

Scossi la testa. Non avevo alcuna voglia di iniziare una<br />

discussione sull’assoluto non rapporto con mio padre ><br />

Al funerale di Federica c’erano tutti i nostri compagni di<br />

corso. I professori avevano fatto preparare un’elegante<br />

corona di fiori con le insegne della facoltà. Parenti, amici,<br />

conoscenti… erano presenti più di settecento persone.<br />

Federica pianse tutto il tempo, addolorata e commossa allo<br />

stesso tempo. Paolo era stato dolcissimo con lei.<br />

Rispettando i suoi tempi e spiegandole con estrema<br />

delicatezza tutto ciò che c’era da sapere. È un nocchiero da<br />

qualche anno più di me, e l’esperienza giocava molto a suo<br />

favore. Ne aveva accompagnati a centinaia nei suoi otto<br />

anni di lavoro.<br />

Federica rimase accanto a noi tutto il tempo. Non si<br />

avvicinò neanche ai suoi genitori, ai parenti. Non ne aveva<br />

la forza. Non si era preparata a quell’addio. Come<br />

biasimarla? A ventitré anni la morte sembra così lontana<br />

da farti sentire così immortale da rischiare di ucciderti da<br />

solo.<br />

162


Denise era tornata al suo posto nel Branco. Marco aveva<br />

mantenuto la parola: nessuna ripercussione. Ne fui<br />

contento, anche se non riuscivo a capire a cosa fosse<br />

dovuta tutta l’insoddisfazione, l’amarezza, la paura, la<br />

rassegnazione che emanava il suo spirito.<br />

Mi scorse in lontananza e sollevò appena il mento per un<br />

cenno di saluto.<br />

Le sorrisi.<br />

Paolo si accorse di quel breve scambio di tenerezze e mi<br />

posò una mano sulla spalla ><br />

sussurrò.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Lo guardai, allarmato ><br />

><br />

Federica sussultò al mio fianco. Si stringeva al mio<br />

braccio. Stavano spingendo il feretro all’interno dello<br />

stretto loculo di cemento. Sobbalzava a ogni spinta. Quasi<br />

potesse avvertire fisicamente gli scossoni dati alla cassa<br />

per farla scivolare in quel cunicolo buio.<br />

> sussurrò fra i singhiozzi.<br />

Un lamento straziante si propagò fino a noi. Acuto.<br />

Insostenibile.<br />

> esclamò in un sospiro soffocato dal pianto.<br />

La strinsi forte in un abbraccio e lei si lasciò cullare fra le<br />

mie braccia per qualche minuto. Il tremore convulso si<br />

spense pian piano che prendeva coscienza della realtà. Io<br />

le sussurravo all’orecchio le parole più dolci e rassicuranti<br />

che conoscessi, ma era come se ognuna di quelle parole mi<br />

163


stracciasse l’anima, riportando alla coscienza tutti gli<br />

orrendi ricordi del passato.<br />

Paolo intervenne quando si accorse che ero sul punto di<br />

crollare.<br />

Sapeva bene quanto fossi vulnerabile agli attacchi feroci di<br />

quei momenti.<br />

> disse tranquillo.<br />

Una tranquillità di cui non ero capace. Una quiete che<br />

avrebbe placato anche l’animo più in tumulto. Una pace<br />

che non conoscevo. Una serenità che cercavo da tutta una<br />

vita.<br />

Giornate come questa mi annientavano completamente. Di<br />

solito finivo col chiudermi nel mio appartamento in città,<br />

chiudere le tapparelle, e mandare a quel paese il mondo<br />

intero, almeno fino al giorno dopo.<br />

Diventavo intollerante, inavvicinabile. Ne ero cosciente, e<br />

lo sapeva anche chi aveva imparato a conoscermi, che<br />

restava prudentemente a distanza.<br />

La mattinata con Celine, però, mi aveva fornito un<br />

appiglio per non sprofondare di nuovo nello sconforto.<br />

Forse, dopotutto, potevo rimanere a galla. Non sarei uscito<br />

dall’oceano di costernazione che mi opprimeva, ma c’era<br />

una possibilità, seppur remota, di rimanere a galla.<br />

Non ero costretto ad affondare.<br />

Mi tenni alla larga dal quartiere per non farmi tentare dalle<br />

vecchie abitudini. Dovevo trovare un modo per distrarmi<br />

che mi facesse ritrovare un contatto con la realtà. Ci<br />

dovevo provare almeno.<br />

Tornai in villa a cambiarmi. Thomas piangeva di nuovo.<br />

Era caduto mentre giocava con Stefano. Aveva inciampato<br />

correndo per casa e ora strillava perché papà gli medicava<br />

il ginocchio sbucciato.<br />

164


dissi sedendomi sulla poltrona<br />

per mettermi Thomas sulle gambe.<br />

><br />

Sì<br />

><br />

> esclamò alzandosi. Aveva applicato un<br />

cerotto colorato al bambino e ora liberava il tavolino basso<br />

del salotto dalle garze sporche e la boccetta di<br />

mercurocromo.<br />

Stefano se ne stava in silenzio seduto sul divano. Non si<br />

intrometteva mai nei nostri brevi battibecchi. L’ultima<br />

volta che l’ha fatto ci siamo quasi presi a pugni. Per<br />

fortuna Beatrice è intervenuta appena in tempo per<br />

calmare le acque.<br />

Stefano, quando si trattava del mio rapporto con nostro<br />

padre, non era mai d’accordo con me. Anche se non lo<br />

diceva, io sapevo bene che era dalla sua parte e non dalla<br />

mia.<br />

Se fossi stato meno cocciuto, sono sicuro che, perfino io<br />

sarei andato contro me stesso in quelle circostanze. Sono<br />

in grado d’essere un vero stronzo quando voglio, e Dio<br />

solo sa quanto mi ostinassi a esserlo con mio padre.<br />

> dissi cercando di<br />

rimanere calmo ><br />

Mio padre e Stefano si scambiarono uno sguardo furtivo.<br />

Mi innervosì, ma non lo diedi a vedere ><br />

Mio padre scosse la testa tranquillo ><br />

><br />

165


Colpito e affondato!Questo non lo sapevo.<br />

Con cosa fa merenda un bambino di tre anni? Da quando<br />

mi ero trasferito al quartiere ero stato troppo poco tempo a<br />

casa per saperlo.<br />

><br />

Inutile, era sempre un passo avanti al mio.<br />

Mi alzai dalla poltrona tenendo il bambino in braccio > dissi fingendo di ignorare la<br />

punzecchiata.<br />

Bruno e Clarissa mi diedero buca dieci minuti dopo aver<br />

varcato l’ingresso del centro commerciale. Una telefonata<br />

di scuse e via. Come se si potesse liquidare un amico in<br />

quel modo così incivile.<br />

Se fossi stato da solo me la sarei legata al dito una<br />

scortesia simile, ma non mi dispiaceva l’idea di dedicarmi<br />

un po’ a Thomas. Non avevamo mai molto tempo da<br />

passare insieme da soli.<br />

Beatrice ci avrebbe sgridati entrambi appena rientrati a<br />

casa, ma non riuscii proprio a resistere dal fare una tappa<br />

al Maxi Store di giocattoli più grande della regione<br />

all’interno del centro commerciale. Un intero piano di<br />

giochi per tutte le età. Io c’ero entrato spesso per<br />

prendergli qualcosa quando passavo a trovarlo in Villa, ma<br />

lui non c’era mai stato prima.<br />

Non avevo notato che Thomas avesse imparato a correre<br />

così. Sfrecciava da un corridoio all’altro del negozio,<br />

indicando ora questa, ora un’altra scatola colorata. Non<br />

toccava niente, le indicava soltanto con un sorrisetto<br />

166


eccitato, che faceva a brandelli le mie forze ogni volta che<br />

lo rivedevo sul suo faccino. I boccoli castani li aveva presi<br />

dalla madre, anche se il colore chiaro era decisamente di<br />

suo padre. Erano pochi i tratti della mia famiglia nel suo<br />

viso. Troppo angelico per appartenere a un discendente<br />

Ancharos. Neanche in Stefano, da piccolo, avevo visto<br />

quell’espressione così innocente. Più lo osservavo con<br />

attenzione, più mi rendevo conto di quanto i geni di sua<br />

madre si fossero imposti sui nostri. Come se il carattere di<br />

una persona possa influenzare anche la genetica.<br />

Sarebbe stato tutto più semplice se fosse stato un po’ più<br />

simile a noi.<br />

Aveva approfittato della mia breve distrazione per correre<br />

su una piccola moto azzurra a batteria.<br />

Già lo viziavamo alle griff. Sembrava una pubblicità della<br />

Nike: Giubbetto, salopette di jeans, felpetta e scarpine da<br />

ginnastica. Perfino l’intimo era firmato. Una piccola<br />

debolezza a cui non sapevamo proprio resistere.<br />

> disse tastando i pulsanti colorati sul<br />

manubrio della moto. > e dava il<br />

via al simpatico suono del clacson ><br />

> dissi sorridendo, mentre lo<br />

prendevo in braccio prima che la commessa che ci<br />

guardava di sottecchi venisse a rimproverarci.<br />

> protestò sporgendosi in avanti per<br />

costringermi a farlo scendere.<br />

Rischiava di cadere testa a terra se non si fermava. Lo misi<br />

giù e mi abbassai alla sua altezza, tenendolo fermo per le<br />

spalle > dissi serio.<br />

Obbedì, nonostante il sorriso fosse stato sostituito da un<br />

broncio dispettoso.<br />

167


Sbuffò per il rimprovero, ma fu così tenero che dovetti<br />

trattenere a fatica un sorriso.<br />

><br />

><br />

Annuii ><br />

><br />

Gli arruffai la cascata di boccoli ><br />

Mi sfoderò il broncio più teatrale che avesse ><br />

Sorrisi, rassegnato.<br />

> sentii dire alle mie spalle.<br />

Mi rialzai.<br />

><br />

> scherzò > chiese chinandosi<br />

all’altezza del bimbo, che vedendola si era nascosto dietro<br />

i miei polpacci.<br />

> risposi prendendolo in braccio > immerse il faccino nella mia spalla.<br />

Risi ><br />

><br />

><br />

esclamai sorridendo al piccolo, mentre gli scansavo un<br />

ricciolo dalla fronte.<br />

Mi fissò un momento incuriosita. ><br />

168


Secondo tentativo di socializzazione > fece no con la testolina.<br />

Quest’ostilità l’aveva ereditata decisamente da me.<br />

><br />

><br />

><br />

Sorrideva divertita ><br />

chiese curiosa.<br />

> risposi solleticandolo sul pancino > lo sentii irrigidirsi ><br />

> mi assecondò.<br />

> protestò lui.<br />

Denise si avvicinò per fare una carezza al bambino ><br />

Era un compromesso troppo a suo favore per rifiutare.<br />

Soprattutto dopo che i primi cinque minuti di vergogna<br />

erano belli che passati.<br />

Bacio concesso. Adesso toccava a me rispettare la seconda<br />

parte dell’accordo. Feci segno alla commessa di<br />

avvicinarsi. Si segnò il numero di serie dell’articolo e andò<br />

in magazzino a recuperarne uno confezionato da portare<br />

alla cassa.<br />

> chiesi mettendolo giù. Ti serve<br />

nient’altro?<br />

169


Si guardò un po’ intorno con l’avidità tipica di un bambino<br />

che viene invitato a scegliere una sola cosa fra un mare di<br />

giocattoli.<br />

Naturalmente la mia era una provocazione.<br />

Fece per scattare verso uno scaffale, ma a metà strada si<br />

fermò. Mi guardò in cerca di approvazione,<br />

incoraggiamento a proseguire. Non la ottenne. Sapeva<br />

bene che non avrebbe ottenuto altro. Beatrice era sempre<br />

stata molto rigida in questo: non più di un gioco per volta.<br />

Tornò indietro, ma non era scontento > era<br />

solo impaziente di tornare a casa e provare la moto.<br />

Sollevò le braccia per farsi sollevare di nuovo.<br />

> chiesi a Denise > Non me la sentivo di parlare di Federica davanti<br />

al bambino.<br />

><br />

><br />

Si accigliò ><br />

><br />

><br />

><br />

Scusarmi con lei era sempre come parlare al vento ><br />

Annuii lasciando che si allontanasse.<br />

><br />

Si voltò.<br />

Non fare sciocchezze.<br />

170


Sorrise. Annuì. Tempesta placata.<br />

><br />

><br />

> ammiccai ><br />

><br />

Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh? ><br />

Quando svoltò l’angolo del corridoio sistemai meglio<br />

Thomas, che nel frattempo si era addormentato.<br />

Ops. La merenda! Porca pu….mmmmmmmm, gli hai fatto<br />

saltare la merenda.<br />

Mentre mi avviavo alla cassa, liberai una mano per<br />

afferrare la stazione dei pompieri che mi aveva chiesto<br />

subito appena entrati prima che la sua attenzione venisse<br />

folgorata dalla piccola moto a batteria.<br />

Dovevo comprarmi il suo silenzio in qualche modo o<br />

rischiavo che mio padre mi scorticasse vivo.<br />

171


172<br />

17<br />

Uscii dall’ospedale che albeggiava ormai. Mi infilai di<br />

corsa in macchina e sfrecciai verso casa.<br />

Era stata una nottata terribile, ero uscito con tanto<br />

entusiasmo e tornavo con i lamenti disperati di una madre<br />

che aveva appena perso suo figlio.<br />

Non mi importava l’aver visto Celine. Certo, ero felice di<br />

sapere che stava bene, ma le grida di quella donna mi<br />

risuonavano fastidiosamente in testa impedendomi anche<br />

il più banale pensiero.<br />

Desideravo solo andarmene a letto e lasciarmi per sempre<br />

alle spalle quell’orrore.<br />

Tornato a casa invece, dovetti prima sorbirmi il terzo<br />

grado di mio nonno, che mi rimproverò per essere stato<br />

fuori da solo tutto quel tempo, senza avvertire.<br />

Naturalmente non gli dissi dov’ero stato e questo lo mandò<br />

praticamente si tutte le furie.<br />

> fu l’unica risposta al suo<br />

interrogatorio.<br />

Mi mollò un ceffone, ma poi, finalmente, dopo essersi<br />

sfogato, mi permise di ritirarmi nella mia stanza.<br />

Sono convinto che, dopotutto, sia stato un bene per me<br />

trascorrere l’intera adolescenza all’Ancharos. Se fossi<br />

rimasto in Villa, con mio nonno ci saremmo scannati a<br />

vicenda. Siamo troppo uguali, troppo cocciutamente<br />

orgogliosi e istintivi.<br />

Tentai invano di prendere sonno quella mattina, provai<br />

perfino a battere la testa contro il muro, ma niente, quella<br />

donna non si decideva a lasciarmi in pace.


Credo d’aver ceduto al sonno per sfinimento, perché mi<br />

svegliai nella stessa posizione in cui mi ricordavo d’essere<br />

prima di cadere tra le braccia di Morfeo.<br />

Mi destai a causa del continuo bussare di mio nonno<br />

contro la porta della mia stanza.<br />

> risposi bruscamente, aprendo.<br />

><br />

Ero arrabbiatissimo con lui. A ricordarmi il motivo c’era<br />

ancora il livido sullo zigomo, ma come al solito non se ne<br />

rese conto, anche se comincio a pensare che facesse finta<br />

di non capire, forse per non accendere ulteriori<br />

discussioni.<br />

Mi vestii brontolando.<br />

Per la prima volta da quando era a New York uscimmo a<br />

piedi, anche se con sei guardaspalle a qualche metro di<br />

distanza.<br />

> mi fece notare.<br />

> chiesi curioso.<br />

> mi<br />

spiegò.<br />

> esclamai esaminando con<br />

attenzione il suo collo ><br />

> rispose mostrandomelo per la<br />

prima volta.<br />

><br />

><br />

173


><br />

><br />

<br />

Non capivo, ma, dopotutto, era l’enigma che mi<br />

perseguitava da tutta la vita. Mio padre non è un<br />

Ancharos, eppure l’unione con mia madre, mortale<br />

anch’essa, gli ha ugualmente permesso di dare alla luce un<br />

Discendente Puro. Mio zio Sergio invece, primogenito e<br />

pertanto erede legittimo del singolare patrimonio genetico<br />

che dimora nelle nostre cellule semi-immortali, non è<br />

riuscito a trasmettere il suo potere ai propri discendenti. È<br />

anche vero che ha avuto solo due figlie femmine e che la<br />

discendenza si tramanda ai primogeniti maschi, ma… ><br />

> fu costretto a<br />

tacere perché stavamo attraversando una piccola folla di<br />

passanti. Quando riprese a parlare usò più prudenza<br />


più di un Ancharos nella stessa famiglia, sia esso un<br />

Impuro o un Discendente autentico.>><br />

><br />

Si guardò intorno con attenzione prima di rispondere ><br />

><br />

><br />

> volevo davvero saperlo?<br />

><br />

><br />

><br />

Eccome se l’ho capito. ><br />

><br />

Non volli sapere altro in proposito, quello che avevo<br />

sentito me lo sarei fatto bastare per il resto dei miei giorni.<br />

Era una manovra estremamente pericolosa per entrambe le<br />

parti in causa, non avevo bisogno di sapere altro per farmi<br />

desistere dallo sperimentare l’esperienza.<br />

Sempre quella mattina, allo stesso modo mi insegnò a<br />

riconoscere anche i Giudici e gli Esecutori impuri e ibridi.<br />

Il criterio era identico, ma il marchio differente.<br />

175


Arrivò il giorno in cui mio nonno dovette fare ritorno in<br />

Italia.<br />

Mi aveva spiegato tutto quello di cui avevo bisogno per<br />

sopravvivere in quel posto, quindi non aveva più scuse per<br />

rimanere.<br />

Non andò via tranquillo, nonostante mi avesse lasciato alle<br />

costole i suoi gorilla.<br />

Ero contento di rimanere finalmente da solo, ma un po’ mi<br />

dispiacque vederlo partire, dopotutto era una delle colonne<br />

portanti della mia vita. Sapevo che se mi fossi trovato nei<br />

guai avrebbe potuto aiutarmi e data la mia inesperienza<br />

sapevo che avrei attirato i guai come una calamita.<br />

Da allora in avanti, avrei dovuto far fede solo sulle mie<br />

forze e questo un po’ mi lasciava perplesso, considerate le<br />

recenti esperienze.<br />

Erano un paio di giorni che non avevo notizie di Celine.<br />

Non ero più tornato in ospedale dopo quella notte e<br />

l’avevo lasciata in condizioni ancora critiche. Non avevo<br />

voglia di rimettere piede in quel calvario e allo stesso<br />

tempo volevo rivederla. Continuavo a pensare a lei<br />

nonostante avessi potuto e desiderato impiegare il mio<br />

tempo in altre attività. Era diventata un’ossessione quasi<br />

fastidiosa. Come se la mia mente si fosse inceppata e<br />

continuasse a mostrarmi di continuo i brevi istanti di<br />

ricordi catturati con avidità dai miei occhi invaghiti di lei.<br />

È assurdo che dovetti perfino far leva sul mio coraggio per<br />

convincermi a fare almeno una telefonata.<br />

Non mi riconoscevo più.<br />

Mi rispose un uomo. Disse che Celine si stava riprendendo<br />

- era stata trasferita al reparto di medicina generale -, e che<br />

176


molto probabilmente avrebbe trascorso in ospedale solo un<br />

altro paio di giorni.<br />

Lo ringraziai per le informazioni e ne approfittai anche per<br />

chiedere gli orari serali per le visite.<br />

Dalle 17.00 alle 20.00 nei giorni lavorativi.<br />

Dalle 16.00 alle 21.00 nei giorni festivi.<br />

Avevo solo due giorni per incontrarla, e poi, chissà quando<br />

si sarebbe presentata di nuovo l’occasione di farlo.<br />

Ero seduto in cucina a sorseggiare una tazza di cioccolata<br />

calda. Riflettevo sul da farsi. Ero talmente immerso nei<br />

miei pensieri che non sentii Margherita entrare.<br />

> esordì<br />

attraversando il salotto. Li sistemò in bagno e mi<br />

raggiunse in cucina.<br />

> mi chiese premurosa.<br />

Margherita allora aveva all’incirca quarant’anni, era la<br />

confidente fidata di mia madre, aiutata dal fatto che ha<br />

solo due anni più di lei.<br />

È una donna molto gentile, sempre disponibile, fin troppo<br />

a volte. Quando tornai dal collegio lei fu una di quelle che<br />

mi stette più vicina. Andavamo d’accordo e questo mi<br />

faceva sentire meno solo.<br />

> ripeté.<br />

Non mi andava di spiattellarle ogni cosa, ma non riuscivo<br />

proprio a tenermi tutto quel peso dentro. Avevo il<br />

disperato bisogno di fidarmi di qualcuno.<br />

Le raccontai tutto, non tralasciai nulla, il mio fu uno sfogo<br />

con i fiocchi e lei stette teneramente in silenzio ad<br />

ascoltare.<br />

> intervenne d’un tratto.<br />

177


Volevo con tutto il cuore salire in auto e raggiungere<br />

Celine, eppure continuavo a tirare fuori una scusa dopo<br />

l’altra per rimandare quel momento.<br />

> chiese.<br />

> domandai dopo un momento di<br />

esitazione.<br />

> rispose<br />

sorridendo.<br />

Erano le 17:30, il sole era alto in cielo, anche se non<br />

sarebbe rimasto lì ancora molto. Feci una doccia calda e<br />

mi preparai per uscire.<br />

Come previsto, alle 18:20 il sole era già andato a nanna e<br />

le ombre cominciavano a prendere il sopravvento sulla<br />

città, invitandomi finalmente a uscire.<br />

Salimmo in auto e con una scusa chiedemmo a Paul di<br />

accompagnarci fino all’ospedale. Eravamo in tre, quindi<br />

prendemmo la SL cinque porte nera.<br />

Quella volta, al posto dei fiori portai un delizioso pacco di<br />

cioccolatini, sempre sotto consiglio di Margherita.<br />

Soprattutto, entrammo dall’entrata principale dell’ospedale<br />

evitando il pronto soccorso.<br />

Perché non ci avevo pensato io fin dall’inizio?<br />

Dall’accettazione venimmo a sapere che il reparto di<br />

medicina generale era al quarto piano, e Celine era<br />

ricoverata nella stanza numero nove.<br />

Quando arrivammo al reparto, io e Margherita ci<br />

guardammo un po’ in giro per capire com’erano disposte<br />

le camere e, sulla sinistra, seguendo il corridoio numerato<br />

178


arrivammo velocemente alla nove. La porta era aperta, ma<br />

io me ne stavo qualche metro indietro.<br />

Mi detestavo in quel momento, non osavo farmi avanti.<br />

Ero in uno stato catatonico, vergognoso a guardarsi.<br />

Margherita si sporse per dare un’occhiata al posto mio. La<br />

stanza era deserta, il letto ancora disfatto e vari oggetti<br />

poggiati qua e là, come se qualcuno avesse lasciato la<br />

camera in tutta fretta.<br />

Mi feci avanti per esaminare la stanza a mia volta.<br />

Codardo!<br />

Appena posai una mano sullo stipite della porta, un<br />

insolito brivido gelido mi percorse la schiena e fui colto da<br />

un bruttissimo presentimento.<br />

Margherita si accorse del mio disagio e chiese<br />

informazioni a un’infermiera di passaggio. Mentì<br />

confidano di essere una zia, ><br />

precisò con furbizia.<br />

> rispose<br />

l’infermiera ><br />

Non riuscivo a crederci, stava accadendo di nuovo…<br />

Scesi di corsa al terzo piano, Margherita non capiva cosa<br />

avessi in mente e mi seguì senza fare domande.<br />

L’avevano trasferita in una stanza singola e davanti la<br />

vetrata erano accalcate una decina di persone.<br />

Parenti di lei?<br />

Capii la gravità del problema dall’espressione dei loro<br />

volti.<br />

179


Mi avvicinai al vetro e la vidi. Era lì, esattamente come<br />

l’avevo lasciata l’ultima volta. Se non avessi saputo la<br />

verità avrei giurato che stesse come allora. Solo il monitor<br />

tradiva quell’illusione. Il suo bip era molto più lento, più<br />

debole, un battito ogni due, tre secondi.<br />

Non c’erano dubbi! Stava morendo. Stava succedendo di<br />

nuovo ed io ancora una volta non potevo fare nulla per<br />

evitarlo.<br />

Sua madre e suo padre le erano seduti accanto, le<br />

stringevano forte le mani e continuavano a parlarle.<br />

Non sarebbe servito a niente, io lo sapevo.<br />

Una ragazzina sui dodici anni, se ne stava in corridoio a<br />

pregare un’immagine sacra che risparmiasse la vita di sua<br />

sorella.<br />

L’atmosfera era soffocante, le luci calde dei neon poi, mi<br />

impedivano quasi di respirare.<br />

Margherita mi prese da parte ><br />

> esclamai sconvolto.<br />

><br />

><br />

> esclamò contrariata ><br />

Un modo per salvarla c’era, avrei dovuto infonderle<br />

abbastanza energia vitale da permetterle di riacquistare<br />

una parte dell’influsso sottrattogli durante l’aggressione.<br />

C’era un dettaglio però - che allora mi sembrò irrilevante –<br />

che avrebbe potuto rendere vano ogni mio tentativo. Io<br />

non avevo mai immagazzinato energia vitale da nessuno.<br />

L’unica che potevo infondergli era la mia.<br />

180


Se avessi messo in atto il mio piano ci sarebbero state<br />

conseguenze gravi per tutti e due: rischiavo di scoprire di<br />

non possedere abbastanza energia per tenere in vita<br />

entrambi, perché lei ne era talmente sprovvista che<br />

salvarla avrebbe potuto richiedere una quantità di energia<br />

tale da lasciare a secco me.<br />

Sacrificare qualcuno per lei era fuori questione però.<br />

Nonostante ciò – se non fosse ancora abbastanza da farmi<br />

rinunciare a quella follia -, c’era da considerare anche<br />

l’effetto collaterale del mio gesto. Sono un Discendente<br />

puro, infonderle la mia energia significava avvelenarla di<br />

un potere che forse non voleva, senza togliere il fatto che<br />

si trattava di una donna. Che io sappia, non è mai stata<br />

infettata una donna.<br />

Chi ero io per condannarla a una vita nell’ombra?<br />

Costretta a guardarsi le spalle di continuo per sfuggire a un<br />

esercito di sanguinari che volevano solo la sua morte.<br />

Come avrei potuto contagiarla e lasciare che vivesse<br />

nell’oblio, impazzendo nel momento in cui iniziava a<br />

sperimentare i suoi nuovi poteri, ignara di tutto, perfino<br />

pericolosa per chi le viveva attorno?<br />

Chi ero io per decidere della sua vita?<br />

Non sei Dio! Lo sai cosa accade a quelli che osano<br />

sostituirsi a Lui.<br />

Forse lei avrebbe preferito morire piuttosto che vivere …<br />

come me.<br />

Margherita aveva ben chiara in testa quale fosse la<br />

decisione più giusta, più logica


come quello che le ha fatto tutto questo? Fatti da parte,<br />

figliolo, lascia che il destino si compia.>><br />

Era vero, tutto spaventosamente giusto, però… > sbottai irritato ><br />

La scostai in malo modo e mi avvicinai al vetro facendomi<br />

largo tra la folla. Dopo una breve esitazione, entrai nella<br />

stanza senza badare a chi provava inutilmente a<br />

trattenermi.<br />

Suo padre quando mi vide irrompere a quel modo si alzò<br />

infuriato.<br />

><br />

ringhiò.<br />

La signora Madison, invece, non si accorse neanche di me.<br />

Aveva lo sguardo perso in chissà quale particolare del<br />

volto di Celine, incurante di tutto ciò che le accadeva<br />

intorno.<br />

><br />

risposi sicuro.<br />

> disse con le lacrime agli occhi. Poi guardò<br />

fuori, e nel corridoio vide il cappellano dell’ospedale.<br />

> spiegai.<br />

La mia mente vagava per conto suo ormai, parlavo senza<br />

neanche rendermi conto di quello che dicevo.<br />

> domandò.<br />

><br />

Al suono delle mie parole scoppiò in un pianto disperato.<br />

182


disse serio,<br />

nonostante i singhiozzi gli scuotessero il petto > esclamò in preda al panico afferrandomi<br />

per il bavero del cappotto.<br />

><br />

E se andasse male? Guarda quest’uomo, Alex! Con quale<br />

coraggio alimenti nel suo cuore false speranze?<br />

Io non avevo mai infettato nessuno, sapevo per sentito dire<br />

quello che avrei dovuto fare, ma non lo avevo mai fatto<br />

prima.<br />

> dissi serio.<br />

L’uomo annuì. Sollevò di peso sua moglie e la portò in<br />

corridoio con gli altri.<br />

È incredibile quello che era disposto a fare quell’uomo per<br />

sua figlia. Quella gente non mi conosceva, eppure<br />

affidavano la vita di Celine nelle mie mani senza replicare.<br />

Avrebbero accettato tutto pur di riaverla sana e salva a<br />

casa. Questo pensiero bastò per darmi il coraggio che mi<br />

serviva a proseguire.<br />

Chiusi a chiave la porta della stanza e tirai la tendina della<br />

vetrata sul corridoio.<br />

Eravamo rimasti soli. Io e lei soltanto.<br />

Mi sfilai il capotto e lo lasciai cadere sulla sedia dove un<br />

attimo prima era seduta sua madre.<br />

Il bip del monitor continuava a rallentare, non avevo molto<br />

tempo, ogni secondo che aspettavo perdeva energia che<br />

avrei potuto immagazzinare per me prima di infonderle la<br />

mia.<br />

Rimasi ancora un momento a guardarla, forse era l’ultima<br />

volta che potevo posare i miei occhi sul suo bel viso. Le<br />

sfiorai la fronte con un bacio.<br />

Stavo tremando. Mi misi a sedere sul bordo del letto.<br />

Ormai il danno è fatto! Vada come deve andare!<br />

183


Senza indugiare oltre le tolsi delicatamente gli aghi delle<br />

flebo dalle braccia. Le strinsi una mano fra le mie e iniziai<br />

a prendere quell’alito di vita che le era rimasto.<br />

Per un istante il battito del suo cuore si arrestò, poi riprese<br />

a battere, sempre più lentamente. Decisi che era quello il<br />

punto limite, rifiutandomi di sottrarre di più. Dovetti fare<br />

molta forza per invertire il flusso, sarebbe bastata una<br />

banale distrazione a lasciarla del tutto prosciugata della<br />

propria giovane vita. Per fortuna riuscii a fermarmi appena<br />

in tempo.<br />

Era ora giunto il momento di invertire i ruoli, ma ero più<br />

tranquillo, perché, da allora sarei stato in pericolo soltanto<br />

io.<br />

Sentivo la mia energia fluire violenta attraverso il palmo<br />

della mia mano. Stetti lì seduto per qualche minuto, poi,<br />

avvertii le forze mancare e mi stesi sul letto accanto a lei,<br />

cercando di non perdere i sensi. Se non avessi tolto in<br />

tempo la mano, al momento opportuno, sarei morto.<br />

Per rimanere sveglio mi misi a canticchiare qualcosa.<br />

Sarò il sole che illumina il tuo volto pallido.<br />

Sarò quell’ombra di mistero che si cela nei tuoi occhi.<br />

Sarò il tuo più grande sogno, quello che ti fa battere il<br />

cuore attimo dopo attimo, giorno dopo giorno.<br />

Sarò la tua più bella canzone, quella che canti sottovoce<br />

quando con sguardi d’amore mi osservi.<br />

Sconfiggerò il mio orgoglio, abbatterò le paure e quel mio<br />

muro di menzogne.<br />

E tu non avrai più paura… perché io sarò lì… con te e non<br />

ci lasceremo mai.<br />

Rimasi quasi un’ora lì con lei.<br />

184


La guardavo riprendere un roseo colorito sul volto. Il<br />

monitor aveva ripreso a cantare, si stava riprendendo.<br />

Si mosse.<br />

Feci scivolare lentamente la mia mano dalla sua,<br />

sciogliendo a fatica le mie dita deboli dalle sue. Rimasi<br />

ancora qualche minuto disteso sul letto. Non riuscivo a<br />

muovermi, ero distrutto.<br />

Svenni credo, o mi addormentai, ma mi svegliarono i<br />

richiami convulsi del Signor Madison. Mi ero<br />

completamente dimenticato di lui, di tutti loro.<br />

Mi feci forza, sorreggendomi prima sulle sbarre del letto e<br />

lungo la parete per raggiungere il fondo della stanza. Aprii<br />

la porta. Non feci in tempo a dire niente, perché svenni<br />

appena mi investì il primo spiraglio delle luci del<br />

corridoio, almeno così mi raccontarono quando mi ripresi.<br />

Mi risvegliai nel mio letto con la febbre alta e Margherita<br />

che mi dormiva accanto.<br />

Ricordo bene la ramanzina che mi fece nei giorni seguenti,<br />

ebbe due intere settimane per ridire sul mio<br />

comportamento ed io non potevo fare a meno di ascoltarla<br />

perché ero confinato a letto senza un briciolo di forze. Gli<br />

unici suoni che riuscivo a emettere erano un misto di<br />

mugugni e lamenti.<br />

Volevo sapere com’era andata all’ospedale, ma non<br />

riuscivo a chiederlo e lei non me lo diceva di proposito.<br />

Solo due settimane dopo – quando gli sembrò d’avermi<br />

punito abbastanza – mi disse che Celine stava bene. Era<br />

stato suo padre a portarmi di sotto fino alla macchina e,<br />

come stabilito, non aveva fatto domande.<br />

Margherita disse che ci aveva ringraziato più di quelle<br />

volte da darle alla testa.<br />

185


Si era fatto lasciare il nostro numero di telefono per<br />

potermi ringraziare poi di persona, quando fossi stato<br />

meglio.<br />

Non credo avrebbe avuto ancora così tanta voglia di<br />

ringraziarmi se avesse saputo cosa era successo in realtà,<br />

ma a questo piccolo particolare non avevo proprio voglia<br />

di pensare. Celine era viva, questo contava, nient’altro.<br />

Il signor Madison telefonò cinque giorni dopo per<br />

informarci che Celine era stata dimessa, ma io stavo<br />

ancora troppo male per alzarmi dal letto o parlare con<br />

chicchessia. Margherita li ringraziò con premura anche da<br />

parte mia.<br />

Ah, la mia Margherita! Cosa farei senza di lei?<br />

186


18<br />

Si può impazzire in venti minuti? Io rischiavo di farlo se<br />

Denise non si decideva a varcare la soglia dell’aula di<br />

Fisica. Era sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad<br />

andarsene, quel ritardo era anormale e angosciante.<br />

Che fosse successo qualcosa?<br />

Ma no, di sicuro era solo in ritardo.<br />

Non farti prendere dalle solite paranoie. Sta calmo.<br />

Arriverà. Aspetta un altro po’.<br />

Aspettare? Ma se ero già pronto a dare in escandescenza.<br />

Arriverà, fidati.<br />

Fermai Lorenzo mentre mi sfilava davanti per prendere<br />

posto con i suoi amici ><br />

><br />

Avrei voluto chiedergli di più, ma quando scorsi Celine<br />

avvicinarsi dal fondo dell’aula, lo lasciai andare.<br />

> disse ancor prima di raggiungermi.<br />

Dal tono allarmato della sua voce pensai fosse successo<br />

qualcosa a casa. Mi alzai di scatto.<br />

> sbottò.<br />

Non ci fu bisogno che aggiungesse altro. La seguii di corsa<br />

fuori dall’aula. Salimmo al quarto piano. Non capivo dove<br />

stesse andando fino a quando non vidi l’insegna dei bagni<br />

sulle porte. Il quarto piano è del corso di Scienze della<br />

vita, che fa lezione nel nostro istituto solo il mercoledì,<br />

giovedì e venerdì. Noi di solito usavamo le aule vuote di<br />

187


lunedì e martedì, per studiare indisturbati, ma gli addetti al<br />

piano erano stati chiari “ I bagni sono off limits”.<br />

Complimenti. Ti sei scelta proprio un bel posto.<br />

Spalancai la porta del bagno delle donne.<br />

Denise era seduta sul ripiano di marmo dei lavandini.<br />

Ginocchia al petto. Piangeva a dirotto.<br />

Scambiai un breve sguardo d’intesa con Celine. Ci lasciò<br />

soli.<br />

Mi avvicinai con estrema calma. Non ero neanche sicuro<br />

che si fosse accorta della mia presenza.<br />

Le carezzai i capelli ><br />

Affondò la fronte sulle ginocchia, scossa dai singhiozzi.<br />

Le presi delicatamente una mano per controllare la<br />

profondità del taglio sul polso. La lametta era ancora nel<br />

lavandino sporco di sangue.<br />

Mi sciolsi la garza dal palmo della mano e ne feci due<br />

lacci per arrestare l’emorragia su entrambe le braccia.<br />

Gli inservienti avrebbero avuto di che lamentarsi quando<br />

l’indomani avrebbero trovato tutto quel sangue in giro.<br />

Pulii alla meglio le ferite bagnando degli asciugamani di<br />

carta. Non erano lacerazioni profonde, un paio di punti o<br />

una fasciatura stretta avrebbero risolto il problema.<br />

Non avevo il coraggio di parlare. Ero troppo arrabbiato.<br />

Lo avrebbe notato dal mio tono di voce, e non era il<br />

momento adatto per le ramanzine.<br />

La feci scendere delicatamente, poi la avvolsi nel mio<br />

cappotto. Conciata com’era avrebbe dato troppo<br />

nell’occhio.<br />

Provò a muoversi da sola, ma barcollava. Feci per<br />

prenderla in braccio, ma mi scansò, quasi inorridita.<br />

Ero troppo arrabbiato per darle retta, così la sollevai con la<br />

forza. Provò a resistere qualche secondo, ma era così<br />

188


debole che si accasciò con la guancia sulla mia spalla e si<br />

arrese a farsi portare via da lì.<br />

Sei una stupida!<br />

Dio solo sa quanto avrei voluto dirglielo.<br />

Era la prima volta che portavo nel mio appartamento una<br />

donna che non fosse Celine. Non potevo portarla al pronto<br />

soccorso in quelle condizioni. Se il padre l’avesse vista<br />

con me, avrebbe di sicuro frainteso. Portarla in clinica dai<br />

miei avrebbe suscitato le stesse reazioni, quindi…<br />

La posai dolcemente sul letto.<br />

In bagno avevo una cassetta del pronto soccorso ben<br />

fornita. Dopo l’incidente, mio padre aveva insistito<br />

affinché la tenessi in casa, ma non l’avevo mai usata.<br />

Le iniettai un tranquillante, che la aiutò ad addormentarsi.<br />

Chiusi le ferite con delle graffette, poi le avvolsi i polsi in<br />

garze pulite dopo aver disinfettato tutta la parte con del<br />

mercurocromo.<br />

Tremava nel sonno.<br />

Attento a non svegliarla, le sfilai la camicetta e la gonna<br />

sporche per tenerla al caldo sotto le coperte.<br />

Dei grandi lividi sulle spalle mi mandarono su tutte le<br />

furie. Ce n’erano di vecchi e nuovi sul resto del corpo.<br />

Ero tentato a svegliarla per chiedergli chi fosse la causa di<br />

quella violenza, ma non osai.<br />

Non volevo saperlo in realtà. Non volevo ritrovarmi ad<br />

aggiungere nemici alla mia lista.<br />

Come hai fatto a non accorgertene? Stava gridando da un<br />

anno, come hai potuto non sentirla?<br />

Ero così concentrato su me stesso da non aver saputo<br />

leggere il dolore impresso nella sua aura. Non avevo<br />

189


neanche capito che era se stessa il proprio carnefice. Se<br />

non fosse stato per Celine…<br />

Non ci pensare adesso. Quel che è fatto è fatto. È viva.<br />

Questo è l’importante.<br />

Avrebbe riposato tranquilla per qualche ora. Me ne andai<br />

in bagno per una doccia calda. Bollente.<br />

Dormiva ancora quando tornai in camera da letto. Si era<br />

voltata su un fianco. Il blu intenso della sua aura era<br />

mutato completamente in un azzurro sbiadito. Il pericolo<br />

era passato, anche se non del tutto. La sua energia vitale<br />

era quasi esaurita. La sofferenza ne risucchia a sufficienza<br />

da ucciderti.<br />

Avrei parlato con mio zio, più tardi. Forse lui ne aveva in<br />

servo abbastanza per rendergliene un po’. Io non mi ero<br />

ancora ripreso del tutto dall’incidente. Non ne avevo a<br />

sufficienza neanche per me.<br />

Infilai il pantalone di seta del pigiama e mi misi a letto. Il<br />

continuo andirivieni da una dimensione all’altra mi<br />

stancava ancora troppo.<br />

Erano da poco passate le due del pomeriggio quando la<br />

sentii muoversi nel letto. Si voltò nel sonno, dalla mia<br />

parte. Tornai a chiudere gli occhi anch’io. Potevo<br />

concedermi ancora un po’ di tempo.<br />

Non passarono che diedi minuti quando mi svegliai di<br />

nuovo. Denise non era più accanto a me.<br />

Mi sollevai a sedere al centro del letto. Mi concentrai un<br />

istante per sentire la sua presenza in casa. Era ancora viva.<br />

Riuscivo a sentirla. Fece cadere qualcosa in bagno,<br />

bisbigliando un borbottio per il rumore.<br />

Mi rilassai. Stava bene.<br />

190


Andai in cucina a preparare qualcosa da mangiare. Doveva<br />

essere affamata, vista l’ora e la debolezza per la perdita di<br />

sangue.<br />

La sentii chiamarmi dalla camera da letto.<br />

> risposi.<br />

Mi raggiunse lì. Indossava la giacca del mio pigiama. Le<br />

stava grande. Aveva i capelli umidi. Doveva aver fatto la<br />

doccia per togliersi il sangue coagulato sulla pelle.<br />

><br />

Scosse la testa.<br />

Risposta sbagliata, piccola. Devi mangiare. > insistei, con tono un po’ più serio.<br />

Si strinse nelle spalle ><br />

L’acqua del rubinetto si riversava copiosa nella pentola<br />

alta dal doppio fondo in acciaio.<br />

> chiesi ancora.<br />

Mi guardò interrogativa.<br />

><br />

Tentò di mascherare un sorriso ><br />

Se sperava di cogliermi in fallo le era andata male. Tirai<br />

fuori dal frigorifero quattro confezioni di panna<br />

<br />

Rise ><br />

> agitai le scatoline fra<br />

le dita ><br />

><br />

><br />

><br />

191


Sorrisi ><br />

Si mise in ginocchio sullo sgabello della penisola a<br />

osservarmi armeggiare tra i fornelli ><br />

><br />

><br />

È il momento di parlarne signorina. ><br />

Abbassò gli occhi a guardare il bancone di marmo ><br />

><br />

Non parli più? Questo è tutto quello che avevi da dire?<br />

Vuoi dimenticare l’accaduto con un “Tu non puoi<br />

capire?”<br />

><br />

Non rispondeva.<br />

><br />

Iniziò a piangere silenziosamente.<br />

Basta così, Alex.<br />

Continuai a preparare il pranzo senza aggiungere altro.<br />

Aspettavo che si calmasse e che decidesse da sola se<br />

continuare quel discorso o cambiare argomento.<br />

> chiese mentre<br />

scolavo i tortellini nella padella con pancetta e la panna ai<br />

funghi.<br />

><br />

> confessò.<br />

Era la prima volta che esprimeva curiosità per il mio<br />

essere. Il Branco doveva averla messa al corrente in<br />

qualche modo, specie dopo la sera del tradimento.<br />

192


chiesi con tono tranquillo, mentre i<br />

tortellini saltavano in padella.<br />

><br />

Non la lasciai finire ><br />

Silenzio.<br />

Tirai a indovinare ><br />

> si affrettò a rispondere.<br />

><br />

Sollevò i piatti verso di me ><br />

È per lui che l’hai fatto?<br />

><br />

Si allarmò ><br />

Suicidio, Denise. Si chiama “Suicidio”.<br />

><br />

Addentò un tortellino ><br />

><br />

Arrossì ><br />

Credevo peggio. Fin troppo prevedibile.<br />

> chiesi calmo.<br />

><br />

><br />

Chiaramente sperava in un’altra risposta, ma se volevo che<br />

si confidasse con me era giusto iniziare a mostrarle la mia<br />

di sincerità.<br />

193


Le menzogne, fino allora, mi avevano sempre portato a<br />

percorrere sentieri pericolosi.<br />

><br />

Continuava a mangiare, ma non sollevava più lo sguardo a<br />

guardarmi ><br />

Lasciai la forchetta nel piatto per intrecciare le braccia al<br />

petto nudo.<br />

><br />

Scacciai il nervosismo con un sospiro.<br />

Sospirò anche lei > esclamò delusa.<br />

><br />

Mi era passato l’appetito. Non riuscivo proprio a digerire<br />

le accuse per la morte di Federica, nonostante fossero<br />

giustificate.<br />

><br />

><br />

Ci mise un po’ a trovare il coraggio di rispondere > e si fece<br />

istintivamente il segno della croce.<br />

Demone! Che epiteto orrendo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

194


Buttai il contenuto del mio piatto nel secchio della<br />

spazzatura ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Trasalì > non riuscì a continuare.<br />

><br />

Sincerità per sincerità. Perché continuare a nasconderlo?<br />

Si coprì il volto con le mani per nascondere la vergogna.<br />

Sarò stato forse un po’ troppo crudo nel parlarle, ma<br />

argomenti così, affrontati con troppa delicatezza, portano<br />

solo a una maggiore chiusura della vittima sul mondo.<br />

Suscitarne la rabbia la fa parlare, reagire, uscire dalla<br />

corazza che si è costruita per nascondere la sua vergogna<br />

interiore. Che piangesse non era importante, purché ne<br />

parlasse. Purché si sfogasse.<br />

><br />

><br />

singhiozzò.<br />

><br />

><br />

> suggerii ><br />

><br />

195


E invece sì.<br />

Sospirai<br />

Mi guardò.<br />

><br />

Scosse la testa con decisione.<br />

Non vuoi saperlo. Tu non vuoi e non devi saperlo.<br />

> dissi ><br />

196


19<br />

Per fortuna né Margherita, né Paul fecero la spia<br />

informando la mia famiglia dell’accaduto. Di sicuro<br />

sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso<br />

versandomi addosso un’intera valanga di rabbia. Non me<br />

lo avrebbero mai perdonato e nel giro di poche ore sarebbe<br />

stato organizzato, senza diritto di repliche, il mio<br />

definitivo ritorno a casa.<br />

La convalescenza fu un vero tormento.<br />

Rigettavo di continuo non appena provavo a ingerire<br />

qualcosa. La febbre era troppo alta e non accennava a<br />

calare. Non riuscivo a muovere un muscolo e<br />

un’insopportabile emicrania mi stava facendo diventare<br />

matto. Non ero mai stato così male, neanche all’Ancharos<br />

mi ero mai sentito così debole e indifeso.<br />

Dopo una decina di giorni cominciai a stare un po’ meglio,<br />

non riuscivo ancora a muovermi, ma avevo ripreso a<br />

mangiare.<br />

Fu una di quelle mattine che ricevetti una graditissima<br />

visita.<br />

Il Signor Madison aveva accompagnato Celine a casa mia.<br />

Aveva saputo da Margherita che stavo ancora poco bene e<br />

in qualche modo voleva sdebitarsi.<br />

Ricordo il tonfo al cuore che mi prese quando la vidi<br />

varcare la porta della mia stanza. Era bellissima! Molto<br />

più di quanto ricordassi.<br />

In effetti, avevo avuto modo di vederla solo in condizioni<br />

pessime, eppure mi era sembrata uno splendore, figurarsi<br />

ora che aveva riacquistato il roseo colorito naturale e che<br />

camminava sulle sue gambe.<br />

197


Non si ricordava di me, non ricordava nulla della notte<br />

dell’aggressione, sapeva solo, per sentito dire, che le<br />

avevo salvato la vita.<br />

Se non avessi mai visto un angelo in vita mia, quel giorno<br />

avrei potuto giurare che Celine fosse una di loro.<br />

Indossava una camicetta ciclamino appena sbottonata sul<br />

davanti, tanto aderente da lasciare indovinare le sue<br />

morbide curve.<br />

Una morbida gonna di pelle nera poi, le stringeva i fianchi<br />

e la nascondeva ai miei occhi fino a sotto il ginocchio, per<br />

poi lasciare scoperti due polpacci slanciati e sodi, resi<br />

incantevoli da un delizioso stivaletto con tacco alto e<br />

sottile, che richiamava un’ampia cintura che le cadeva<br />

dolcemente sui fianchi ad accentuare la perfezione<br />

maniacale del suo corpicino di un metro e sessantacinque<br />

d’altezza.<br />

I capelli li portava raccolti in un fermaglio di cuoio, e solo<br />

due soffici riccioli castani coccolavano il suo volto<br />

d’angelo.<br />

Era un vero incanto ed io nelle mie condizioni ero un vero<br />

orrore.<br />

Se solo si fosse ricordata di quella notte, avrebbe saputo<br />

che normalmente non ero così sgradevole.<br />

Mi vedeva invece, pallido, privo di forze, con i capelli<br />

sporchi e in disordine, sudaticcio perfino, a causa della<br />

febbre che negli ultimi due giorni andava e veniva.<br />

Ero consapevole di essere tutt’altro che così.<br />

Avrei di gran lunga preferito nascondermi in qualche<br />

angolo sperduto di mondo piuttosto che farmi vedere in<br />

quello stato.<br />

Quando fu nella stanza però, invece di scappare via<br />

disgustata, mi sorrise con i suoi incantevoli occhioni verdi.<br />

> mi disse sottovoce.<br />

198


La sua voce mi risuonava ancora un po’ rimbombata. A<br />

causa della febbre, infatti, si erano acutizzati ulteriormente<br />

i sensi e un bisbiglio mi disturbava come una cannonata.<br />

Dalle tende scure, chiuse, entrava appena quel tanto di<br />

luce che bastava a illuminare a sera la stanza. A me non<br />

importava, ma notai che per i suoi occhi era un po’<br />

complicato mettere a fuoco immagini nitide, così accesi<br />

maldestramente la debole lampada sul comodino.<br />

> le dissi cercando<br />

di attirare la sua attenzione ed impedirle di guardarsi<br />

troppo intorno.<br />

> mi chiese rattristata.<br />

> mentii.<br />

Si avvicinò al letto e si sedette sul bordo giocherellando<br />

con le mani.<br />

> sussurrò.<br />

Non mi ero mai sentito così in imbarazzo, non sapevo cosa<br />

dirle o che fare. Lei era lì, a meno di un metro da me ed io<br />

non riuscivo a pensare a nulla di sensato da dirle per<br />

mantenere un po’ viva quella conversazione.<br />

> continuò lei.<br />

Niente! Non riuscivo a dire niente, mi sentivo un’idiota<br />

totale.<br />

Avrei voluto dirle la verità, ma non era proprio quello il<br />

momento di gettarle addosso quel macigno, era così piena<br />

di buone intenzioni nei miei confronti, che preferii<br />

affrontarla quando fossi stato almeno in grado di<br />

difendermi verbalmente.<br />

> disse.<br />

Oh oh!<br />

Le cose si complicavano. Mi resi improvvisamente conto<br />

che forse avevo preso la decisione sbagliata.<br />

199


continuò.<br />

Non feci in tempo a capire quello che stava per fare. Tirò<br />

via le tende e spalancò la finestra.<br />

Per fortuna riuscii a coprirmi tempestivamente con le<br />

coperte o mi avrebbe accecato.<br />

> gridai spaventato.<br />

Margherita mi sentì e corse dentro a vedere cos’era<br />

successo.<br />

> esclamò preoccupata.<br />

Il Signor Madison non ci capì poi molto e Celine si<br />

intimorì per la nostra reazione ritirandosi in un angolo ad<br />

aspettare che le cose tornassero in ordine.<br />

><br />

continuava a scusarsi dispiaciuta.<br />

> si affrettò a rassicurarla Margherita<br />

><br />

> continuò a balbettare Celine.<br />

Il Signor Madison ritenne più opportuno tornare un’altra<br />

volta. Si scusò di nuovo per l’incidente e andarono via.<br />

Era andato assolutamente tutto storto.<br />

Passarono altri cinque o sei giorni e, finalmente,<br />

ricominciai ad alzarmi da solo. Ero ancora un po’ debole,<br />

ma mi sentivo molto meglio.<br />

Non avevo più avuto notizie di Celine e mi rassegnai<br />

all’idea di non vederla più. Dopo quello che ara successo<br />

sarebbe stata una vera follia immaginare che avrebbe<br />

avuto ancora voglia di vedermi.<br />

Una mattina telefonò mio padre, mi chiese se andava tutto<br />

bene, e gli mentii spudoratamente, quando poi mi chiese di<br />

passargli Margherita, che ormai da quasi un mese si era<br />

200


trasferita nel mio appartamento per tenermi d’occhio,<br />

temetti che potesse lasciarsi scappare la verità, ma l’avevo<br />

sottovalutata, era più furba di quanto credessi. Confermò,<br />

infatti, la mia menzognera versione.<br />

Era ormai da una settimana che mi ero ripreso del tutto da<br />

quello spiacevole episodio, ma non avevo ancora il<br />

permesso di uscire.<br />

><br />

mi diceva Margherita.<br />

><br />

replicai una sera.<br />

Non mi piaceva disobbedirle, dopotutto era stata un tesoro<br />

con me, però, non ne potevo davvero più di quella<br />

prigionia, volevo respirare un po’ d’aria di strada.<br />

Era da poco tramontato il sole e il tepore del sole<br />

primaverile mi faceva impazzire di piacere.<br />

Riuscii a convincere Margherita, promettendole che sarei<br />

stato fuori solo un paio d’ore.<br />

Appena rimisi piede in strada mi sentii nuovamente vivo,<br />

il caotico gironzolare dei cittadini, il mormorio fitto dei<br />

passanti, l’odore pungente di smog e vari profumi<br />

mescolati tutti insieme, mi facevano sentire parte di questo<br />

mondo.<br />

Vagabondai senza meta per un’ora circa, poi, incrociando<br />

un gruppo di ragazze intente a fare shopping frenetico mi<br />

venne in mente Celine.<br />

Sapevo dove abitava, avrei potuto dare un’occhiata al suo<br />

mondo e magari, se ne avessi trovato il coraggio, avrei<br />

potuto chiederle scusa per il mio comportamento<br />

imperdonabile. Avrei perfino potuto farle vedere che non<br />

ero quel mostriciattolo che aveva visto, avrei potuto<br />

201


chiederle di fare due passi con me per qualche minuto,<br />

così avrei avuto l’occasione di conoscerla meglio e magari<br />

di dirle la verità.<br />

La verità!<br />

Quella spada di Damocle continuava a pendermi sulla<br />

testa impedendomi di dar retta al buon senso e tenerla il<br />

più possibile fuori dalla mia vita.<br />

Prima o poi sarebbe dovuto arrivare quel momento e anche<br />

se cercavo di rimandarlo il più possibile con tutte le mie<br />

forze, sapevo che non mi sarei potuto sottrarre a quella<br />

rivelazione, prima o poi avrei dovuto dirglielo, prima o poi<br />

avrei dovuto affrontare quegli occhi, il suo sguardo<br />

collerico. Non avrei potuto evitarlo.<br />

Mentre riflettevo su tutto questo mi ritrovai all’incrocio tra<br />

la 42 a e la 43 a , avrei solo dovuto decidere se continuare<br />

dritto o girare a destra.<br />

Non ci pensai poi molto e … turn right<br />

A piedi impiegai un po’ per arrivare davanti casa di<br />

Celine, ma nel frattempo, ne approfittai per gustare uno di<br />

quei tanto desiderati Hot dog da un ambulante. Sembrava<br />

trascorso un secolo dai miei giorni da vagabondo per le<br />

strade di New York.<br />

Inconsciamente credo di essermi fermato per quello<br />

spuntino per ritardare in qualche modo un incontro che<br />

apparentemente credevo di desiderare.<br />

Stava per scattare il mio coprifuoco, avevo promesso di<br />

tornare dopo un paio d’ore, ma mi vedevo costretto a<br />

dover disobbedire di nuovo, non avevo alcuna intenzione<br />

di tornare indietro proprio adesso che ero a un passo da lei.<br />

Mi concessi qualche respiro profondo prima di afferrare il<br />

cellulare per avvertire Margherita del mio ritardo. Mi<br />

aspettavo qualche grido di dissenso, ma quella donna<br />

202


iuscì a stupirmi di nuovo. Mi liquidò con un semplice >.<br />

Odio quella frase!<br />

Mi incamminai quindi con passo lento verso la mia temuta<br />

meta, 122…, 124…, 126…, ero arrivato, 128.<br />

Una villetta di due piani con un ampio balcone sul davanti<br />

e una veranda abbastanza spaziosa sul lato sinistro.<br />

Il cancello era enorme, con un laborioso motivo in ferro<br />

battuto a decorarlo.<br />

Era scesa la sera intanto, si scorgevano delle ombre in<br />

movimento dalle finestre. Erano in casa. Però non c’erano<br />

macchine sul vialetto, anche se avrebbero potuto essere<br />

semplicemente in garage.<br />

Stetti un po’ lì fuori a osservare. Qualche volta provavo ad<br />

avvicinarmi al citofono, ma non appena ero in procinto di<br />

suonare mi ritiravo di buon ordine nel mio angolino.<br />

“ To ring or not to ring? This is the question!”.<br />

Smettila di fare il cretino e SUONA!<br />

Mentre scioccamente riflettevo su questo dilemma, mi<br />

sentii suonare improvvisamente alle spalle con un colpo di<br />

clacson.<br />

Saltai per lo spavento, mi voltai furioso, pronto a sbranare<br />

il pazzo al volante, e invece vidi il faccione sorridente del<br />

Signor Madison che mi faceva ciao con la mano da dentro<br />

l’auto.<br />

Mi fece segno di avvicinarmi ed io ancora confuso dallo<br />

spavento di prima ubbidii senza riflettere.<br />

> gli riusciva difficile dire “Alessandro”<br />

> mi chiese euforico.<br />

Oh mio Dio!<br />

203


Risposi la prima scemenza che mi venne in mente >.<br />

Mi sono perso?<br />

Le mie balle non erano più fantasiose come un tempo.<br />

> si offrì.<br />

E come fai a rifiutare adesso? Sali in macchina, vigliacco!<br />

Durante il tragitto ne approfittai per chiedere notizie di<br />

Celine.<br />

> mi confidò.<br />

Avevo impiegato quasi tre ore per arrivare a casa sua e con<br />

l’auto ci mettemmo venti minuti soltanto per tornare<br />

indietro.<br />

> dissi<br />

gentilmente, cercando di apparire sincero.<br />

><br />

Ci salutammo e tornai a casa, molto… troppo prima del<br />

previsto, in tempo per la cena.<br />

204


20<br />

Esame saltato!<br />

Fantastico!<br />

E adesso chi glielo dice?<br />

Miseria ladra!<br />

><br />

Certo professore, non vedevo l’ora di sfotterla sta mattina.<br />

Il fatto Alex è che non avresti mai dovuto bussare alla<br />

porta del suo ufficio. Credevi davvero che, dopo la<br />

seconda buca che gli hai dato, accettasse di nuovo di farti<br />

recuperare l’esame?<br />

Maledizione! Non ho proprio voglia di starlo a sentire.<br />

Che gli racconto sta volta?<br />

Dopotutto è stato fin troppo chiaro per fingere di non aver<br />

afferrato la pericolosità del suo discorso:<br />

><br />

Ce l’ha ancora con me per non aver scelto Giurisprudenza<br />

come voleva lui.<br />

Ma davvero mi ci vedeva a difendere una legge che non<br />

applico?<br />

Dannate apparenze!<br />

Che vadano tutti all’Inferno. Melluso a capo di quella fila<br />

di maledetti.<br />

Sette miseri esami e quel disgraziato mi tiene incatenato a<br />

quei banchi come un condannato all’ergastolo. Quanto<br />

vorrei che la sua aura fosse di un verde meno brillante.<br />

Un bell’azzurrino sbiadito, come quello di Denise, un blu<br />

acceso come Federica.<br />

Maledetto, maledetto e ancora maledetto.<br />

205


Ma guarda questo ><br />

Calmati, Alex. Respira. Siamo quasi arrivati.<br />

Duecento metri. Non sono niente duecento metri. Ce la<br />

posso fare. Ce la posso fare. Spero solo di non trovare<br />

parcheggio troppo lontano. Ah, eccone uno. Ce la posso<br />

fare. Ce la posso fare.<br />

><br />

Non ti ci mettere anche tu. Fidati, non è giornata. ><br />

Non perdere tempo con lui. Sbrigati.<br />

><br />

Mollalo Alex. Non sei qui per fare a botte. Mollalo, sta<br />

diventando blu. Lascialo respirare. ><br />

Aleeex!<br />

Ok, ok. Meglio se tengo le mani in tasca. Non si sa mai.<br />

Guardalo come se la da a gambe adesso. Presuntuoso! Se<br />

non avessi tanta fretta mi sarebbe piaciuto fermarmi a<br />

insegnarti un po’ di educazione.<br />

Accidenti, è tardi! Speriamo che non sia già occupato.<br />

Dai, rispondi. Rispondi, rispondi, rispondi…<br />

><br />

Grazie al cielo ><br />

><br />

><br />

Ascensore libero? A cosa si deve questo miracolo?Ma<br />

forse è meglio se faccio le scale. Sono così nervoso che<br />

206


forse quattro piani di scale mi scaricheranno un po’. Ma<br />

no! Non sono ancora così fuori di testa.<br />

Ascensore tutta la vita.<br />

><br />

E questa da dove è sbucata? ><br />

><br />

Se vuoi arrivare su prima di pasqua ti conviene aiutarla a<br />

caricare sull’ascensore le buste della spesa.<br />

> Terzo, piano. Ricordati<br />

che scende al terzo. Premi il pulsante giusto.<br />

Si mantiene bene, nonostante l’età. Da giovane dev’essere<br />

stata una bellissima donna. Ha dei lineamenti delicati,<br />

sofisticati. È felice. Brilla come una stella. Buon per lei.<br />

Ma quanto ci mette questo catorcio a salire?<br />

><br />

Vuoi fare conversazione? In un ascensore?<br />

><br />

><br />

><br />

Marco? Vent’uno? Che fosse lo stesso? No, non credo.<br />

Questo non è il suo quartiere. Potrebbe avere una nonna<br />

che abita qui? Certo che potrebbe, ma il suo Marco non è<br />

il tuo Marco, quindi smettila di pensarci. Aiutala a<br />

scaricare le buste sul piano e schizza di sopra, anzi, lascia<br />

stare l’ascensore, che ci mette troppo, e fatteli di corsa gli<br />

ultimi gradini.<br />

><br />

><br />

Io spero proprio di no. ><br />

Basta chiacchiere adesso. Sali.<br />

207


Brava la mia Sonia. Mi ha lasciato la porta socchiusa.<br />

><br />

Oggi niente abbracci, Sonia, te ne prego.<br />

Ok, come non detto.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Gli manca tanto sì. E adesso che faccio? Non posso<br />

restare qui ad aspettare. Non con Sonia nelle vicinanze<br />

poi.<br />

><br />

No, affatto. Stammi lantana. ><br />

><br />

Forse se starà al posto suo non succederà niente.<br />

><br />

><br />

Meglio così, visto che sto andando a fuoco.<br />

><br />

><br />

Troppo.<br />

><br />

><br />

Di male in peggio.<br />

><br />

Come no.<br />

208


Brutte notizie?<br />

><br />

Tieni le mani in tasca.<br />

><br />

Mani in tasca.<br />

><br />

Mani in tasca.<br />

><br />

Mani in tasca, mani in tasca, mani in tasca.<br />

Shhh! Ti scongiuro. Mi si sta spaccando la testa in due.<br />

Concentrati su qualcos’altro.<br />

Cos’è stato?<br />

><br />

Ah, è solo l’ascensore. Stai andando fuori di testa. Datti<br />

una calmata.<br />

Pensa a qualcos’altro. Quest’uomo ad esempio.<br />

Concentrati su di lui. Le sue scarpe. Osserva le sue<br />

scarpe. Hanno qualcosa che non va, te ne sei accorto?<br />

Certo che sì, dai, fai uno sforzo. Cos’hanno che non va?<br />

Non guardarlo in faccia, non hai bisogno di sapere chi è.<br />

Seguilo in sala d’attesa e continua a concentrarti sulle sue<br />

scarpe. Sono abbastanza anonime da distrarti per altri<br />

venti minuti. Non te ne servono di più. Venti possono<br />

bastare. Poi sparirà nello studio di Giorgio e non dovrai<br />

più preoccuparti di lui.<br />

Venti minuti. Posso resistere venti minuti.<br />

209


Ora cerca di tranquillizzare Sonia, si sta agitando troppo.<br />

> se sorridessi sarebbe<br />

meglio.<br />

><br />

Non ha funzionato. Dai Alex, puoi fare di meglio.<br />

> Scusa<br />

patetica! Ma almeno te la terrà lontana.<br />

Siediti lentamente. Sì, qui sei abbastanza distante da lui.<br />

Non guardarlo in faccia.<br />

Ha un’aura deliziosa. Sembra un mandarino.<br />

A te non piacciono i mandarini.<br />

Sì che mi piacciono.<br />

No.<br />

E invece sì.<br />

Smettila. Non puoi averlo. Smettila di pensare a lui in quel<br />

modo. Non è un frutto. È un uomo.<br />

Forse se riesco a mettere qualcosa sotto i denti riuscirò a<br />

calmarmi.<br />

Ne dubito, ma possiamo sempre provare.<br />

Sonia potrebbe scendere al bar a prendermi qualcosa.<br />

Ehi! Non ci provare. Non attacca. Se vuoi una scusa per<br />

rimanere da suolo con lui almeno inventane una meno<br />

patetica.<br />

Forse mi sbagliavo. Venti minuti sono troppi per me.<br />

Sono diventati dieci.<br />

Non so neanche se riesco a resistere altri dieci secondi.<br />

Sì che ce la fai.<br />

No, non ce la faccio. Non ce la faccio più.<br />

Shhh… calmati. È tutto a posto. Tranquillo. Respira.<br />

L’idea delle scarpe era pessima. Passa al piano B.<br />

210


Non ho un piano B.<br />

Sì che ce l’hai.<br />

Ce l’ho?<br />

Certo!<br />

Perché mi devo torturare così.<br />

Quanti secondi hanno dieci minuti?<br />

Non lo so.<br />

Pensaci.<br />

Non saprei…dieci minuti sono dieci volte sessanta<br />

secondi… seicento. Sono seicento. Troppo semplice. Era<br />

questo il piano B? Ma che schifo di piano è?<br />

Fa come ti ha spiegato Giorgio. Conta fino a seicento.<br />

Non mi va! Non ne ho voglia. Voglio liberarmi di questo<br />

schifo.<br />

Fra meno di seicento secondi.<br />

No! Voglio farlo adesso.<br />

Adesso non si può.<br />

Ne libero solo un pochino. Non lo cedo tutto. Promesso.<br />

Lui ne ha tanta, non sentirà neanche la differenza, mentre<br />

per me sarebbe una differenza enorme.<br />

Non riusciresti a fermarti, lo sai. Non nelle condizioni in<br />

cui sei ora.<br />

Mi fermo. Giuro. Mi fermo.<br />

No!<br />

Quanto manca?<br />

Ho perso il conto.<br />

><br />

><br />

È finita. Visto? È finita. Senti la porta che si apre?<br />

Non voglio aspettare qui fuori un’altra ora. Che faccio se<br />

ne arriva un altro?<br />

211


Ecco Giorgio. Non fare il maleducato. Saluta.<br />

Ce l’ha con me? ><br />

><br />

Non correre. Respira. Ringrazialo per la cortesia. Non ti è<br />

dovuto. Avresti dovuto aspettare il tuo turno.<br />

Cos’è c’è?<br />

Non è niente, è solo la porta che si chiude.<br />

><br />

Hai avuto quello che volevi. Adesso che aspetti? Sputa il<br />

rospo.<br />

><br />

Smettila di guardarlo così! Sta cercando solo di essere<br />

gentile.<br />

><br />

Grazie.<br />

<br />

><br />

><br />

Davvero incoraggiante!<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Respira. Non dimenticarti di respirare.<br />

><br />

212


Abbassa la voce. Non è con lui<br />

che te la devi prendere ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Perché il bruciore non passa?<br />

><br />

Dillo! Tanto non puoi stare peggio di così. ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

213


><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Non piangere. Non t’azzardare. ><br />

><br />

214


Cravatta nuova? Peggio di quella che esibivi l’ultima<br />

volta. Uno squilibrato potrebbe ucciderti per una cravatta<br />

così. È un invito a tagliarti la gola per sfilartela<br />

direttamente dal collo mozzato.<br />

Ma a che ti metti a pensare?<br />

Devo distrarmi.<br />

Concentrati su Giorgio.<br />

Non posso. È troppo vicino.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Tutto il tempo che vuoi ><br />

><br />

Hai una bella voce. ><br />

><br />

È difficile, senza perdere la calma. ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

215


><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> Dillo, Alex. Togliti questo peso dal cuore.<br />

Dillo. ><br />

><br />

216


21<br />

Passò più di una settimana prima che ricevessi di nuovo<br />

notizie di Celine. Non fui io a cercarla, ricevetti una<br />

telefonata dalla signora Madison, sua madre, che mi<br />

invitava a cena per quella sera.<br />

Avrei voluto rifiutare, anzi, avrei dovuto rifiutare, ma non<br />

riuscii proprio a dirle di no.<br />

> le risposi prima di salutarla e<br />

rimettere giù la cornetta.<br />

Sapevo che sarebbe stato il solito fiasco, la solita serata<br />

imbarazzate, ma il desiderio di vedere quell’angelo si<br />

portava via ogni brutto pensiero.<br />

Impiegai tutto il giorno per prepararmi a dovere a quella<br />

serata. Feci lucidare a specchio la macchina, mandai Loris,<br />

uno dei miei gorilla, in un’enoteca a scegliere la migliore<br />

bottiglia di vino disponibile e mandai Lucia, una delle<br />

cameriere, a scegliere tre splendidi mazzi di fiori, uno per<br />

ogni donna della casa.<br />

Non mancava proprio niente, erano quasi le 17:00 ed io<br />

avevo appuntamento per le 19:00. Dovevo impiegare le<br />

due ore mancanti con qualche attività che impedisse<br />

all’agitazione di prendere il sopravvento.<br />

Decisi quindi di scendere in strada a fare due passi prima<br />

dell’ora fatidica.<br />

Uscii in macchina, per non rischiare di sporcarmi.<br />

Ogni giorno che passava mi stupivo sempre di più della<br />

massiccia popolazione che dimora a New York,<br />

nonostante la mia si possa definire una Città<br />

sovrappopolata.<br />

Verso le 18:30, al calare del sole, scesi dall’auto e<br />

proseguii a piedi continuando a guardarmi intorno. Senza<br />

217


endermene conto mi ritrovai davanti l’ingresso della<br />

chiesa in cui avevo conosciuto il reverendo qualche giorno<br />

dopo il mio arrivo in città.<br />

Entrai a dare un’occhiata, sperando di incontrare di nuovo<br />

quell’uomo e magari riuscire ad avere un colloquio civile<br />

con lui.<br />

Scrutai attentamente l’interno in cerca del reverendo ma<br />

sedute sulle panche c’erano solo una decina di signore<br />

anziane in preghiera.<br />

Mentre cercavo, appoggiato a una colonna vicino l’uscita,<br />

vidi entrare una donna e la fermai ><br />

esordii a voce bassa per attirare la sua attenzione >.<br />

> sussurrò<br />

sorridente > si offrì.<br />

La ringraziai per la disponibilità e la seguii fino alla<br />

canonica. Il mio uomo era davvero lì.<br />

Già in precedenza dissi d’essere rimasto affascinato dai<br />

suoi occhi e questo trasposto mi permise di confidarmi<br />

sinceramente con lui, a discapito di tutte le<br />

raccomandazioni di mio nonno sulla pessima idea di<br />

rivelare a chicchessia la mia vera identità.<br />

Gli raccontai tutto, chi ero, da dove venivo, perché mi<br />

trovavo proprio lì. Lessi stupore nei suoi occhi fin dal<br />

principio, ma mai paura. Tempo dopo scoprii perché, e<br />

soprattutto capii perché mi sentivo così attirato da lui.<br />

Chiacchierone!<br />

Avevo del tutto dimenticato l’invito a cena dai Madison.<br />

Quando guardai l’orologio, infatti, notai che erano le<br />

19:30.<br />

Ero tremendamente in ritardo, mi ero allontanato molto<br />

dalla 42 a e col traffico di quell’ora avrei impiegato più di<br />

mezz’ora per arrivare.<br />

218


Le mie previsioni si rivelavano esatte: la serata iniziava<br />

decisamente male!<br />

Quando giunsi a destinazione notai che non c’erano auto<br />

sul vialetto, sperai che il Signor Madison non fosse ancora<br />

tornato dal lavoro così che il mio ritardo non fosse l’unico<br />

intralcio per l’inizio della cena.<br />

Suonai il citofono e mi rispose una ragazzina, Molly, la<br />

sorellina minore di Celine > mi disse<br />

aprendo il cancello automatico.<br />

Come avevo previsto, il Signor Madison non era ancora<br />

rientrato > mi spiegò la signora<br />

Madison.<br />

Mi scusai per il ritardo e le consegnai i miei doni.<br />

Fu molto sorpresa dei fiori e la piccola Molly fu euforica<br />

per non aver ricevuto il solito pensierino infantile > esclamò fiera del proprio mazzo di fiori.<br />

È chiaro che io non avevo assolutamente idea di cosa si<br />

potesse regalare a una bimba di dodici anni. La mia era<br />

stata solo una decisione dettata dall’inesperienza, oggi,<br />

infatti, probabilmente le avrei regalato qualcosa di più<br />

consono alla sua età.<br />

Linda, la signora Madison, mi fece accomodare in salotto<br />

e lasciò Molly a farmi compagnia mentre lei metteva a<br />

scaldare l’arrosto e controllare che a tavola fosse tutto in<br />

perfetto ordine.<br />

Il profumo di arrosto proveniente dalla cucina era davvero<br />

invitante.<br />

Aspettammo ancora un po’ che arrivassero Celine e suo<br />

padre, ma quegli istanti sembravano non passare mai.<br />

219


Ero stranamente agitato, continuavo a guardarmi intorno<br />

senza pace, controllavo di continuo l’orologio, mi alzavo<br />

puntualmente ogni cinque minuti per guardare fuori dalla<br />

finestra ma tutta quella frenesia non accelerò il loro ritorno<br />

a casa.<br />

Ero inspiegabilmente inquieto.<br />

Linda iniziò a scusarsi per il ritardo di suo marito e un po’<br />

– agitata soprattutto dalla mia ansia - prese a preoccuparsi.<br />

Erano quasi le 21:00 l’ultima volta che guardai l’orologio.<br />

Linda camminava agitatamente nel salotto con lo sguardo<br />

fisso sul vialetto oltre la finestra > cominciò a dire ad alta voce.<br />

> cercai di rassicurarla. Senza successo,<br />

perché ero molto più in allarme di lei.<br />

Sentivo distintamente che c’era qualcosa che non andava,<br />

ma non sapevo cosa. Sentivo che il loro non era un ritardo<br />

dettato dal traffico, ma sapevo anche che non era nulla di<br />

cui avrei dovuto preoccuparmi.<br />

Facile a dirsi!<br />

Linda stava per uscire di senno quando alle 21.30 non si<br />

aveva ancora nessuna notizia della sua famiglia, ma non lo<br />

dava a vedere, voleva evitare a Molly quella<br />

preoccupazione.<br />

Se solo fosse riuscita a rintracciare Celine al cellulare<br />

sarebbe stata più tranquilla, ma l’apparecchio risultava<br />

spento e questo servì solo ad accrescere il suo tormento.<br />

Fortunatamente quell’angoscia non imboccò i viali della<br />

disperazione, infatti, non più tardi delle 21.45 l’auto del<br />

Signor Madison si parcheggiò sul vialetto della villa.<br />

> esclamò Linda<br />

tirando giù un gran sospiro di sollievo.<br />

220


Quando furono in casa Celine spiegò che la colpa del<br />

ritardo era stata in parte lei, era rimasta più a lungo del<br />

previsto in biblioteca per terminare una relazione per il<br />

corso di storia e durante il tragitto avevano bucato una<br />

ruota dell’auto.<br />

Rimasi un po’ in disparte con Molly lasciando che<br />

risolvessero la questione da soli.<br />

Chiarito il malinteso Celine salì in camera per cambiarsi e<br />

il Signor Madison mi raggiunse in salotto > esclamò col suo accento simpatico. Mi<br />

abbracciò, ma un abbraccio vero, non uno di cortesia ><br />

Tutte quelle effusioni mi mettevano in imbarazzo. Sono<br />

troppo sfacciato per essere uno che arrossisce facilmente,<br />

ma quella era proprio una di quelle situazioni in cui non<br />

riuscivo a controllare il disagio.<br />

Molly si accorse del cambiamento di colore sul mio viso e<br />

mi prese un po’ in giro.<br />

><br />

scoppiò in una fragorosa risata ><br />

Linda e suo marito si sedettero a capotavola. Sulla sinistra<br />

di Linda sedevano Celine e Molly, mentre io ero<br />

accomodato dalla parte opposta.<br />

Prima di servire, il Signor Madison riuscì a mettermi in<br />

crisi un’altra volta ><br />

Per quanto a uno come me possa risultare imbarazzante<br />

ammettere certe debolezze, non posso nascondere che a<br />

quel tempo io ero assolutamente estraneo a questo tipo di<br />

riti. In Italia non si usa dopotutto.<br />

221


Già ti sento, Giorgio, mentre fra un mugugno e l’altro ti<br />

lamenti di quanto fosse vergognosa la mia giustificazione.<br />

Lo so che non è neanche lontanamente scusabile non avere<br />

neanche una parola in merito in una situazione così<br />

semplice e pacifica come quella ma… … ohi, lasciami in<br />

pace, ero già abbastanza a disagio e sotto stress per<br />

pensare anche a Lui. Mi ero già confessato per quella sera,<br />

se è stato in grado di perdonare tutti i miei casini<br />

precedenti figuriamoci se si fa problemi a perdonare<br />

questa insignificante mancanza.<br />

Comunque…<br />

…mi schiarii la voce per nascondere la difficoltà di quel<br />

momento ><br />

E adesso come ne esco?<br />

> Mi stavo<br />

incartando. Speravo solo di non offenderli.<br />

Per fortuna Linda intervenne per togliermi da<br />

quell’imbarazzo e fece recitare la preghiera alla piccolina<br />

di casa.<br />

Fu una cena tranquilla per fortuna, parlammo del più e del<br />

meno, mi fecero molte domande sulla mia vita in Italia, la<br />

mia famiglia, il mio passato ed io stetti ben attendo a<br />

giostrare le menzogne.<br />

Non avrei voluto mentire, ma non avevo scelta.<br />

Mi ero ripromesso che avrei approfittato della serata per<br />

prendere da parte Celine e dirle la verità su quello che era<br />

successo in ospedale, ma per tutta la sera non mi rivolse<br />

una sola parola, neanche un minimo di attenzione, come se<br />

non fossi stato due ore seduto alla sua stessa tavola, come<br />

se non l’avessi avuta di fronte tutto il tempo. Non so<br />

ancora oggi come fece, ma riuscì a non incrociare il mio<br />

sguardo neanche una volta.<br />

Frustrante!<br />

222


Erano quasi le undici quando mi congedai ringraziando<br />

cordialmente per la cena e la compagnia.<br />

Celine era salita al piano di sopra da una mezz’ora circa<br />

con non ricordo quale scusa e quindi non potei salutarla. Il<br />

Signor Madison mi accompagnò fino all’auto e poi tornò<br />

in casa ad aprire il cancello dal videocitofono.<br />

Raggiunta la strada deserta e feci un ultimo saluto a Linda<br />

che era rimasta sulla soglia dell’ingresso.<br />

Stavo per dare gas all’auto quando vidi Celine, era<br />

appoggiata al muro di cinta all’esterno della villa. Mi fece<br />

segno con la mano di fermarmi e quando lo feci,<br />

raggiuntala, si accostò al finestrino.<br />

> disse sicura.<br />

Rimasi a fissarla per un attimo, disorientato.<br />

><br />

><br />

mi rispose sorridente.<br />

Ma che significa?<br />

><br />

> disse senza rispondere.<br />

><br />

bisbigliò.<br />

Tornò dentro frettolosamente e, come promesso, dopo<br />

qualche minuto era di nuovo con me. Era rientrata per<br />

avvertire i genitori che sarebbe stata fuori fino a tardi con<br />

le sue amiche.<br />

> le domandai.<br />

> esclamò sicura.<br />

Celine non ricordava quello che era successo l’ultima<br />

volta, le era stato detto di essersi sentita male all’uscita del<br />

locale e lei ci aveva creduto.<br />

223


Cercai di dissuaderla dal tornare in quel posto > dissi ><br />

> rispose scocciata.<br />

Non le risposi, non volevo che cambiasse idea e mi<br />

chiedesse di riaccompagnarla a casa e poi, che pericolo<br />

c’era? Finché sarebbe rimasta con me non le sarebbe<br />

accaduto nulla.<br />

Arrivammo al locale che era già pieno di gente. Fuori<br />

c’era una fila interminabile.<br />

> esclamò sconsolata.<br />

> le chiesi e lei mi rispose<br />

con un’occhiataccia.<br />

Mi avvicinai alla folla tenendola per mano e mi feci largo<br />

fino all’entrata dove mostrai il tatuaggio sul polso agli<br />

Ancharos di guardia alla porta.<br />

I giovani in fila non capirono perché mi facessero passare<br />

e cominciarono a lamentarsi, ma i quattro buttafuori si<br />

schierarono intorno per evitare che si avvicinassero a noi.<br />

Anche Celine rimase sorpresa da quell’atteggiamento, ma<br />

non mi fece domande, era stata infettata, dentro di sé, nel<br />

profondo del suo inconscio aveva già tutte le risposte.<br />

Entrammo quindi e ci mescolammo a quel tafferuglio di<br />

anime in estasi.<br />

> mi gridò in un orecchio<br />

><br />

Quel chiasso era insopportabile, dovevo trovare subito<br />

Gerry prima che mi scoppiassero i timpani.<br />

224


mi chiese.<br />

> risposi sofferente.<br />

> disse.<br />

><br />

Arrivai al salone privato di Gerry tenendomi le orecchie<br />

tappate con i palmi delle mani > chiesi<br />

allo scagnozzo fuori la porta.<br />

> chiese lui.<br />

><br />

Esisti solo tu?<br />

> aggiunsi.<br />

> sparì veloce oltre la porta.<br />

Aspettammo solo un paio di minuti, poi il buttafuori mi<br />

fece cenno di entrare > precisò.<br />

> dissi con un sorriso<br />

premendo le labbra sull’orecchio di Celine. Non ero per<br />

niente tranquillo però, quindi presi qualche precauzione in<br />

più > dissi al gorilla mostrandogli il simbolo<br />

senza che lei se ne accorgesse ><br />

><br />

Uscii poco dopo visibilmente più tranquillo. Neanche in<br />

quel caso Celine fece domande.<br />

Ballammo per un’oretta – forse per me “ballare” è un<br />

termine troppo grosso, mi mossi per un’oretta è più adatto<br />

- e quando arrivarono i 30 Second to Mars sul palco<br />

andammo a sederci al tavolo che ci aveva riservato Gerry.<br />

> le chiesi dopo aver ordinato due<br />

bicchieri di Coca.<br />

225


chiese Celine. Una smorfia spiritosa la<br />

rese, se possibile, ancora più bella ><br />

> risposi secco > insistei cercando di cambiare<br />

discorso.<br />

><br />

><br />

Le urla della folla e di Jared rendevano quasi assurdo<br />

sperare in una conversazione.<br />

><br />

chiesi notando le sue perplessità ><br />

> gridò ><br />

Mentre parlava la vedevo giocherellare con le mani. Era<br />

nervosa, ne sentivo l’odore e la giugulare, sul collo,<br />

pulsava ritmicamente con il suo nervosismo. Su e giù, su e<br />

giù…<br />

Le feci cenno col capo di proseguire nel suo discorso e lei<br />

continuò > Celine continuava a parlare senza<br />

sosta, io la guardavo, cercavo di stare attento, di seguire<br />

226


scrupolosamente tutto il suo discorso, ma più mi<br />

concentravo e più mi ritrovavo a fissare la sua bocca.<br />

Cercavo di distogliere lo sguardo, ma il mio pensiero<br />

rimaneva fisso sull’interrogativo di quanto fosse delizioso<br />

poter assaporare quelle labbra, tastarne la morbidezza.<br />

Credo proprio che se non fosse giunto tempestivamente il<br />

cameriere con le ordinazioni le sarei saltato addosso.<br />

> mi chiese d’un tratto lei,<br />

notando la mia disattenzione. Io conoscevo le risposte alle<br />

sue domande. Certo che le conoscevo.<br />

Conoscevo le sensazioni che la tormentavano.<br />

L’avevo infettata, per la miseria!<br />

L’ansia che avvertiva era la mia ansia, era la mia<br />

inquietudine a turbarla.<br />

Era la mia energia vitale quella che fluiva indisturbata nel<br />

suo corpo e questo la legava a me più di quanto potesse<br />

immaginare. Probabilmente, nascosti da qualche parte,<br />

possedeva anche una buona parte dei miei ricordi. Il suo<br />

spirito vitale era legato al mio ormai e lo sarebbe rimasto<br />

per sempre.<br />

Da infettata sarebbe stata legata a me fino alla morte,<br />

avrebbe sofferto con me, avrebbe gioito con me, avrebbe<br />

saputo cosa pensavo ancor prima che me ne fossi reso<br />

conto io.<br />

Avvertiva i miei stati d’animo come io facevo con i suoi e<br />

in quel momento sentiva il mio insano desiderio ed io<br />

potevo avvertire il suo disagio, che ai miei occhi la<br />

rendeva ancora più desiderabile.<br />

Dovevo assolutamente mettere fine a quello strazio,<br />

dovevo riuscire a reprimere quell’istinto > le chiesi.<br />

> ribatté dispiaciuta.<br />

227


la rassicurai prendendola<br />

per mano e trascinandola con me sulla pista.<br />

> tirò fuori anche qualche altra domanda che si<br />

esaurì nel nulla sotto le note del gruppo.<br />

Ascoltammo solo un paio di canzoni prima di tornare al<br />

tavolo. Io ripresi a sorseggiare la mia coca e lei ordinò<br />

delle noccioline.<br />

> esclamò d’un tratto.<br />

I salottini privati brulicavano di Ancharos, entravano e<br />

uscivano in continuazione, ora in compagnia, ora da soli.<br />

Sapevo cosa si consumava in quelle stanze e<br />

vigliaccamente accettavo quello scempio, accettavo tutto<br />

pur di essere lasciato in pace.<br />

> mi chiese Celine vedendo la<br />

mia mente vagare altrove.<br />

> domandai<br />

deviando il discorso.<br />

> confessò.<br />

><br />

Scosse la testa disgustata ><br />

> le feci<br />

notare.<br />

Parlando mi voltai per chiamare il cameriere e in fondo<br />

alla sala vidi l’Ancharos che l’aveva aggredita. Entrava nel<br />

locale con un gruppo di amici.<br />

Non gli era rimasto un buon ricordo di me, di sicuro se ci<br />

avesse visti avrebbe trovato modo di vendicarsi.<br />

228


mentii.<br />

><br />

> cercai di<br />

essere persuasivo. Dovevamo uscire subito o si sarebbe<br />

scatenato l’inferno.<br />

><br />

> gridai, e lei si<br />

spaventò.<br />

Ci alzammo e la guidai verso l’uscita sul retro, stando ben<br />

attento a non farci vedere.<br />

><br />

> Risposi.<br />

Sarebbe stata questione di minuti e quell’Ancharos,<br />

guidato dagli antichi rancori avrebbe riconosciuto fra mille<br />

l’odore della sua vecchia preda.<br />

Arrivammo al portone dell’uscita secondaria e uno dei<br />

gorilla notò che Celine non era stata marchiata. > chiese irritato.<br />

> gli ringhiai contro<br />

mostrandogli il polso.<br />

La guardia allora mi fece un cenno d’inchino di<br />

sottomissione e si fece da parte. ><br />

Mentre stavamo per varcare il portone mi sentii chiamare.<br />

> era Gerry.<br />

> risposi.<br />

><br />

aggiunse.<br />

229


Non avevo scelta, non potevo rifiutarmi, Gerry era uno dei<br />

pezzi forti della città, il braccio destro di mio nonno, ma<br />

allo stesso tempo…<br />

Sbrigati, sbrigati, sbrigati…<br />

Ora so che se avessi chiesto aiuto a lui non sarebbe<br />

successo niente quella notte.<br />

> dissi frettolosamente.<br />

> disse lui porgendole la mano.<br />

> rispose lei afferrandola.<br />

> disse ancora ><br />

Mi voltai per stringergli la mano e salutarlo quando<br />

incrociai lo sguardo dell’Ancharos da cui stavo scappando.<br />

Mi riconobbe subito e scambiò qualche parola con i suoi<br />

amici, che sparirono tra la folla.<br />

La mia espressione incattivita mise in allarme Gerry ><br />

Annuii senza togliere gli occhi dal mio nemico.<br />

Mi affrettai a salutare e uscimmo velocemente dal locale.<br />

> le chiesi continuando a<br />

guardarmi intorno.<br />

> domandò ancora più<br />

preoccupata.<br />

><br />

Affrettammo il passo, ma come temevo quel pazzo ci<br />

sbucò incontro con i suoi scagnozzi. Avevano l’aria<br />

tutt’altro che pacifica.<br />

Ci fermammo a qualche metro di distanza. Celine iniziò a<br />

tremare e si nascose dietro di me, avvertendo il pericolo.<br />

> chiese uno dei suoi.<br />

230


esclamò ironico.<br />

><br />

> continuò ><br />

><br />

ringhiai.<br />

><br />

><br />

> gridò isterico.<br />

> chiese Celine in lacrime.<br />

> lo<br />

istigai, accrescendo ancora di più il terrore negli occhi di<br />

Celine.<br />

> singhiozzò. Non<br />

mi chiamava quasi mia col mio nome per intero.<br />

Indietreggiai di qualche passo > dissi<br />

indicandogli un cassonetto della spazzatura. ><br />

><br />

> le sussurrai all’orecchio e la lasciai<br />

accovacciata a terra tremante.<br />

Dilan continuava a fissarmi sempre più incattivito > rise ><br />

> risposi avvicinandomi.<br />

Tolsi il cappotto e mi feci ancora avanti per allontanarmi il<br />

più possibile da Celine.<br />

231


disse sferrando l’attacco per primo.<br />

Aspettai finché non furono abbastanza vicini e mi gettai<br />

nello scontro.<br />

Sapevo che non avrebbero avuto scampo, dopo aver<br />

trascorso tredici anni all’Ancharos, uno scontro quattro<br />

contro uno era una passeggiata per me e, soprattutto, adoro<br />

quel genere di ammucchiate.<br />

Non sto qui a raccontare come, ti evito i dettagli, ti basti<br />

sapere che li misi fuori gioco uno dopo l’altro, lasciandoli<br />

rantolare a terra con qualche osso rotto.<br />

><br />

lo minacciai.<br />

Celine aveva visto tutto e quando tornai da lei non volle<br />

che la aiutassi ad alzarsi, non volle che la sfiorassi neanche<br />

con un dito.<br />

Aveva ricordato tutto. Lo so perché stavo rivivendo nella<br />

mia mente tutto quello che le era successo.<br />

A New York regna un terrore raccapricciante nei confronti<br />

della mia gente.<br />

E come dargli torto?<br />

Sicari ci chiamano, è il nome che usa il Clan di sede negli<br />

Stati uniti per alimentare la paura nei nostri confronti.<br />

Un abitante sopravvissuto su dieci, in città, giura d’essere<br />

stato aggredito almeno una volta nella vita, ma non lo<br />

spaventa tanto l’idea del fenomeno, quanto il terrore di<br />

rivivere quell’esperienza.<br />

Se solo non fossero così incoscienti e ingordi da arrivare<br />

perfino a uccidere…<br />

Si alzò di scatto e indietreggiò di un paio di metri da me.<br />

232


Io non le forzai la mano e rimasi in disparte aspettando<br />

una sua parola.<br />

> balbettò incredula. > chiese in totale<br />

confusione.<br />

> risposi convinto<br />

d’essere stato ormai smascherato.<br />

> sbottò.<br />

> cercai di spiegare.<br />

> disse sempre più spaventata.<br />

><br />

> strillò.<br />

Non potevo fare altro che arrendermi ><br />

Arrivammo alla macchina in totale silenzio e arrivammo a<br />

casa accompagnati dal medesimo silenzio. Quando scese<br />

dall’auto non mi salutò neanche, si infilò nel cancello della<br />

villa e sparì.<br />

Tornai a casa furibondo. Ancora una volta era andato tutto<br />

storto e peggio, avevo avuto l’occasione perfetta per dirle<br />

la verità e me l’ero fatta scivolare dalle mani come uno<br />

stupido.<br />

233


Dormii tutto il giorno e a sera tardi scesi in strada per fare<br />

due passi per fermarmi a comprare qualche rivista prima di<br />

tornare a casa a guardare un po’ di sport in TV.<br />

Dopo qualche giorno di apatia decisi di riprendere in mano<br />

la situazione.<br />

Celine aveva terrore degli Ancharos, avrebbe avuto terrore<br />

di me una volta saputa la verità e mi avrebbe odiato per<br />

averla mutata in uno di noi.<br />

Tutte le affermazioni di Margherita apparivano finalmente<br />

chiare ai miei occhi.<br />

Dovevo assolutamente abbattere quella montagna di<br />

menzogne costruite intorno a quell’orrendo mito.<br />

Per farlo però, avrei dovuto conoscere la sorgente delle<br />

sue paure, avrei dovuto immergermi nel suo mondo e<br />

scrutare fin dove si era spinta la fantasia Comune.<br />

Passai due settimane alla Pierpont Morgan Library. Mi era<br />

stato detto che in quella biblioteca erano custoditi preziosi<br />

manoscritti sull’argomento.<br />

Trovai lì tutte le mie risposte, tra libri e articoli su internet<br />

mi resi conto della vastità oceanica di fandonie che<br />

dimorano nelle teste dei Comuni sull’argomento.<br />

234


22<br />

È vero, lo ammetto. Non ho saputo farmi gli affari miei<br />

come avrei dovuto. Quando ho riaccompagnato Denise a<br />

casa quel pomeriggio ero preoccupato che potesse tornare<br />

a farsi del male. Non le ho creduto quando mi ha giurato<br />

che non l’avrebbe rifatto.<br />

> le dissi prima che scendesse dalla<br />

macchina.<br />

><br />

><br />

Quando sorride in quel modo è palese che mi stia<br />

prendendo in giro ><br />

><br />

Rise e scese dalla macchina tenendo lo sportello aperto<br />

ancora un momento. Tentennava a lasciarlo andare.<br />

> domandai uscendo a mia volta per<br />

raggiungerla dall’altra parte.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Le passai le dita fra i capelli ><br />

><br />

235


Posò la fronte sul mio petto. Abbattuta.<br />

><br />

Due lacrimoni le percorsero le guance, pesanti. ><br />

><br />

><br />

Le presi il viso fra le mani ><br />

sussurrai ><br />

L’idea di avermi lì nelle vicinanze sembrava averla<br />

tranquillizzata. Aveva smesso di tremare. Non piangeva<br />

più.<br />

Stefano, Nicola e Bruno mi raggiunsero da Denise<br />

mezz’ora dopo che mi decisi a lasciarla entrare in casa.<br />

Col fuoristrada di Stefano davamo un po’ meno<br />

nell’occhio, perché l’ottanta per cento degli Agenti del<br />

Clan ne possiede uno.<br />

Bruno lo rimandammo a casa con la Mercedes. In tre<br />

eravamo più che sufficienti. Quattro sarebbe stato ancora<br />

meglio, ma se fosse successo qualcosa a Bruno,<br />

Margherita me l’avrebbe fatta pagare anche nella tomba.<br />

Per certi versi, quella donna è più pericolosa del Clan<br />

quando si tratta di proteggere i suoi figli. Come ogni<br />

madre, suppongo.<br />

> confessò Nicola ><br />

> rispose Stefano, se possibile,<br />

più elettrizzato di lui all’idea.<br />

Non era un gioco. Se ci avessero scoperto, in meno di un<br />

minuto ci saremmo trovati alle calcagna decine di Agenti<br />

236


col fucile puntato addosso ><br />

mi raccomandai.<br />

Stefano sedeva al posto di guida, pronto a dare gas al<br />

primo segnale d’allarme ><br />

Simone era l’ultimo dei miei problemi in quel momento.<br />

> chiese<br />

Nicola.<br />

><br />

><br />

> risposi con un’occhiataccia.<br />

><br />

Passò una mezz’ora tranquilla. Ci scorreva di fianco di<br />

tanto in tanto una macchina. La moglie di qualcuno che<br />

tornava a casa dopo essere passata a riprendere i bambini<br />

da qualche attività extrascolastica.<br />

Stefano e Nicola si punzecchiavano di continuo,<br />

scherzando fra loro. Io tenevo lo sguardo fisso sulla<br />

villetta di Denise. Attento al minimo rumore. Tutto troppo<br />

tranquillo e silenzioso.<br />

> dissi ><br />

><br />

Stefano non era uno di noi. Mio nonno avrebbe anche<br />

rischiato il contagio con lui, ma Stefano preferiva<br />

collaborare in veste di Comune. Stesse responsabilità,<br />

meno effetti collaterali. Mio padre aveva sempre agito allo<br />

stesso modo e non si era mai pentito della sua scelta, se<br />

non in un’occasione.<br />

Mio zio non era mai stato d’accordo. Voleva Stefano nella<br />

squadra a tutti gli effetti, in quanto erede maschio della<br />

famiglia, ma non è mai riuscito a convincere mio fratello e<br />

237


a far cedere mio padre dal suo proposito di lasciare a<br />

Stefano la scelta.<br />

Nicola invece era un discendente legittimo. Suo padre e<br />

sua madre sono Ancharos nocchieri di sangue misto e lui<br />

ha ereditato la condanna come noi altri.<br />

Mi misi comodo sul sedile posteriore del fuoristrada e<br />

cercai la concentrazione di cui avevo bisogno per passare<br />

nell’Hahicòs e uscire indisturbato in perlustrazione.<br />

L’interno della villa era fin troppo appariscente per i miei<br />

gusti moderni. La padrona di casa sembrava fissata con<br />

l’arredamento in stile vittoriano.<br />

In casa regnava un silenzio quasi tombale. Almeno al<br />

piano di sotto, perché dal primo piano percepivo il delicato<br />

suono di un pianoforte.<br />

In un’altra occasione mi sarei soffermato per curiosare un<br />

po’ in giro, ma ero lì per una ragione precisa differente dal<br />

semplice curiosare.<br />

Salii le scale senza badare troppo al rumore, che nessuno<br />

avrebbe potuto sentire. Seguivo la musica. Conoscevo la<br />

canzone che suonava. Conoscevo la voce che cantava<br />

quelle parole, era The kill dei 30 second to mars.<br />

Era riuscita a trasformare un grido di ribellione in un<br />

lamento, una supplica.<br />

Sedeva al pianoforte in jeans e maglietta. Suonava a occhi<br />

chiusi, anche se le lacrime difficilmente le avrebbero<br />

permesso di leggere uno spartito, se ci fosse stato.<br />

Aveva fatto un’altra doccia. Aveva ancora i capelli<br />

bagnati.<br />

La sua camera era molto spaziosa e l’arredo non stonava<br />

col resto della casa. Il pesante specchio alla parete era<br />

238


otto. Dal segno al centro verso l’alto si capiva che c’era<br />

stato scagliato qualcosa contro.<br />

Era successo anche a me di frantumarne qualcuno, ma ne<br />

avevo fatto sparire i resti subito dopo, mentre quello era<br />

ancora lì, come la firma indelebile di un momento di vita<br />

da non voler cancellare.<br />

Riprese la canzone dall’inizio. La stessa. Non avrei<br />

resistito di nuovo a quel supplizio.<br />

Mi sedetti accanto a lei e posai una mano sulla sua. Avrei<br />

tanto voluto che la sentisse, che si fermasse, ma non lo<br />

fece, e il lamento che mi aspettavo si manifestò in tutta la<br />

sua rabbia.<br />

Mi avrebbe sentito gridare quel canto con lei se avesse<br />

potuto.<br />

L’ultima nota le morì fra le dita appena vide i fari di una<br />

macchina sul vialetto.<br />

Si alzò di scatto e corse a spegnere le luci del corridoio,<br />

poi tornò in camera e chiuse la porta a chiave. Accese lo<br />

stereo a tutto volume. Linkin Park questa volta.<br />

Era stesa sul letto con le mani incrociate sugli occhi.<br />

Concentrata solo sulla musica che gli scorreva nelle vene<br />

fino a modificarne il battito cardiaco.<br />

La porta dell’ingresso si aprì. Mi affacciai alla finestra<br />

della stanza per accertarmi che i ragazzi stessero bene. Il<br />

fuoristrada era ancora al suo posto. Tutto tranquillo.<br />

Quando riportai la mia attenzione su Denise, mi accorsi<br />

che muoveva le labbra in silenzio. Mi avvicinai per<br />

sedermi sul bordo del letto, accanto a lei. Tremava.<br />

Stai pregando? Hai paura!<br />

Passi in corridoio. Colpi leggeri alla porta.<br />

Non poteva sentirli con la musica a quel volume.<br />

Altri colpi, più forti, sempre più forti, più violenti.<br />

239


Suo padre.<br />

><br />

È solo tuo padre, Denise.<br />

La preghiera risuonò più forte dalle sue labbra.<br />

Denise?<br />

><br />

Denise è tuo padre.<br />

><br />

> strillò.<br />

> sbraitò ><br />

Cristo Santo! Denise? È tuo padre! È tuo padre?<br />

Spalancai gli occhi, inorridito. Saltai fuori dalla macchina<br />

senza pensarci un attimo. Stefano e Nicola capirono solo<br />

che c’era qualcosa che non andava.<br />

Scavalcai la recinzione e corsi al portone. Era chiuso.<br />

La musica era ancora alta, ma riuscivo a sentire anche le<br />

sue grida mescolate a quelle note rabbiose.<br />

Fracassai il vetro di una finestra con una gomitata e mi<br />

fiondai all’interno della villa.<br />

> la chiamai.<br />

La musica cessò.<br />

Sentii suo padre ><br />

> gridò lei guardandomi.<br />

240


Mentre il padre si voltava, io l’afferrai per le spalle e<br />

glielo tolsi da dosso, scaraventandolo con forza contro la<br />

parete.<br />

Era a terra e l’effetto sorpresa lo mandò in confusione.<br />

Il primo calcio lo colpì allo stomaco.<br />

Si rannicchiò su se tesso per il dolore, ma ne arrivarono<br />

altri, seguiti da pugni sempre più rabbiosi.<br />

Avevo già il suo sangue sulle mani quando Denise mi<br />

prese le spalle per cercare di fermarmi.<br />

> gridava ><br />

Se non fossero intervenuti Stefano e Nicola a togliermelo<br />

dalle mani, probabilmente l’avrei ammazzato.<br />

> mi disse Nicola tirandomi<br />

via da lui.<br />

> osservò Stefano mi rimproverò<br />

Nicola.<br />

Io ero totalmente fuori controllo. Ci volle la forza di<br />

entrambi per tenermi fermo e impedirmi di portare a<br />

termine il mio assassinio. Lo volevo morto, Dio sa quanto<br />

odio covassi nel cuore in quel momento.<br />

Denise era in ginocchio accanto al padre incosciente. In<br />

preda al panico.<br />

> la tranquillizzò Stefano ><br />

Annuì, asciugando il viso sanguinante del padre con la<br />

stessa maglietta che le aveva strappato da dosso.<br />

> disse Stefano a Nicola.<br />

Poi a lei ><br />

241


><br />

> esclamò lei, nonostante continuasse a<br />

piangere.<br />

><br />

><br />

Le arruffò i capelli in disordine ><br />

> disse guardandomi. Distolsi lo sguardo, non<br />

volevo che mi vedesse in quello stato.<br />

> suggerì Nicola ><br />

Stefano le mise sulle spalle un plaid che aveva trovato sul<br />

letto > disse con dolcezza, poi,<br />

pistola alla mano, ci fece strada verso l’uscita.<br />

242


23<br />

Dovetti aspettare sei settimane prima di rincontrare di<br />

nuovo Celine e la seguente fu la settimana più bella e<br />

tormentata della mia vita.<br />

La rividi una sera al Metropolitan Opera House, a<br />

Manhattan, davano l’Otello di Shakespeare.<br />

Margherita mi aveva procurato dei biglietti come regalo<br />

per il mio compleanno. Le ultime settimane erano state<br />

una sofferenza per lei. Ero più morto di quando avevo<br />

rischiato di morire davvero. Non uscivo mai, troppo stanco<br />

a causa delle notti insonni passate a scacciare invano i<br />

continui pensieri di Celine, agitatissima per gli esami di<br />

fine anno. Si tormentava notte e giorno per riuscire a<br />

rimettersi in pari con gli altri. Senza contare che la sua<br />

preoccupazione era amplificata dalla mia sofferenza, dai<br />

miei continui cambi d’umore. Non so se le emicranie<br />

fossero mie o sue, ma di sicuro sapevo che se non si fosse<br />

tranquillizzata un po’ sarei impazzito con lei.<br />

Neanche quella sera ero nello stato d’animo per godermi<br />

qualcosa, ma accettai di uscire per ringraziare Margherita<br />

della premura che mi dimostrava in ogni occasione. Ci<br />

andai con Filippo, una delle guardie del corpo di mio<br />

nonno che non mi irritasse solo a sentirne l’odore. Era<br />

poco più grande di me e sapeva stare al posto suo quando<br />

c’era da farsi da parte per lasciarmi un po’ di spazio.<br />

Vidi Celine dalla platea, era in compagnia della sua<br />

famiglia e stavano prendendo posto tutti insieme.<br />

Mandai da loro Filippo per chiedere se avessero voluto<br />

salire da me per gustare lo spettacolo dall’alto.<br />

Celine rifiutò – non c’era traccia di risentimento nel suo<br />

cuore - e Linda preferì rimanere a terra a causa delle<br />

243


vertigini. Accettarono di far salire la piccola Molly però,<br />

che sembrava entusiasta di vedere la rappresentazione con<br />

il binocolo come le signore distinte che si vedono a teatro.<br />

Era molto graziosa nel suo vestitino elegante. Mi faceva<br />

piacere passare un po’ di tempo in sua compagnia, sentivo<br />

di volerle un gran bene, ma forse era solo un riflesso<br />

dell’affetto per lei che nutriva Celine.<br />

La accolsi come si fa con una Principessa, la feci<br />

accomodare e le porsi il binocolo. Si fece raccontare la<br />

storia di Otello prima che iniziasse lo spettacolo, così da<br />

avere una visione generale di quello che avrebbe visto in<br />

seguito. Era molto sveglia per la sua età.<br />

> mi chiese<br />

contemplando il piccolo binocolo.<br />

> risposi io ><br />

><br />

> domandai<br />

cercando di restare sul vago.<br />

><br />

Il ballo?<br />

Non avevo mai avvertito in lei ansia per il ballo.<br />

Probabilmente era solo una scusa che usava per<br />

tranquillizzare i suoi.<br />


Non riuscii a trattenermi dal ridere.<br />

Tenevo gli occhi fissi su Celine ><br />

Come se fosse riuscita a sentirmi da quella distanza,<br />

Celine sollevò lo sguardo per cercarmi. La sentii una<br />

pochina irritata, e questo mi fece ridere di nuovo. Credo la<br />

innervosisse sentirmi compiaciuto e non conoscerne il<br />

motivo.<br />

Molly intanto continuava a sognare ad occhi aperti ><br />

Molly era molto loquace, fu un’impresa zittirla quando<br />

iniziò lo spettacolo. Mi piaceva starla a sentire però, anche<br />

perché mi parlava di un mondo che mi era estraneo e tutto<br />

quello che diceva non rischiava mai di cadere nel banale.<br />

L’opera terminò dopo circa quattro ore. L’intera<br />

rappresentazione fu a dir poco spettacolare.<br />

Ordinai a Filippo di aspettarmi all’uscita mentre io avrei<br />

accompagnato Molly dai suoi genitori.<br />

Ero intimorito, stavo per incontrare Celine dopo quasi due<br />

mesi di mutismo da parte di entrambi. Mi avvicinai a<br />

Linda tenendo Molly per mano per non perderla tra la<br />

folla. > la salutai.<br />

> sorrise > continuò indicando Molly.<br />

Chissà da chi avrà preso?<br />

Sorrisi ><br />

Celine se ne stava in disparte, ma di tanto in tanto alzava<br />

gli occhi per guardarmi.<br />

245


Non era in collera con me, era imbarazzata piuttosto.<br />

> dissi trattenendo un sorriso<br />

ripensando a quello che mi aveva raccontato Molly.<br />

> rispose a testa bassa.<br />

Non ci dicemmo altro per quella sera.<br />

Venne a salutarmi anche il Signor Madison e, vista l’ora,<br />

ne approfittai per ricambiare il favore e li invitai tutti per<br />

un gustoso dopo-cena all’Idyll of the gods, uno dei<br />

ristoranti più “in” di Manhattan. Resta aperto tutta la notte.<br />

Il Signor Madison accettò volentieri l’invito, Celine<br />

invece…<br />

><br />

Guastafeste! Hai paura che la carrozza ritorni zucca?<br />

Niente scuse, signorina, mi piaceresti anche vestita di<br />

stracci.<br />

Non riuscivo a capire, ero nuovo a quelle situazioni. Non<br />

c’erano dubbi che mi stesse evitando, ma non per paura,<br />

non per rancore. Allora perché?<br />

Non restò che salutarci e tornare ognuno a casa propria.<br />

La mattina seguente però ricevetti una telefonata. ><br />

Ero ancora a letto, ma balzai in piedi > dissi troppo in fretta e con troppa enfasi per<br />

nascondere la gioia.<br />

> disse tutto d’un fiato >.<br />

> risposi.<br />

><br />

><br />

246


><br />

> confermò. ><br />

> la salutai.<br />

Ci incontrammo nella sezione di volumi scientifici, stava<br />

preparando una relazione sulle soluzioni saline per il corso<br />

di chimica.<br />

Mi sedetti in silenzio accanto a lei e attesi qualche minuto<br />

che terminasse il suo compito.<br />

> esordì d’un tratto. ><br />

Non potevo fare a meno di guardarla, era stupenda come<br />

sempre, ma quella sera aveva qualcosa che la rendeva<br />

ancora più bella.<br />

Mi fece una marea di domande sulla notte dell’aggressione<br />

ed io invece di dirle la verità le feci ingoiare l’ennesima<br />

cucchiaiata di spudorate menzogne. “ mi trovavo lì per<br />

caso. Non ho nulla a che fare con quel Dilan…”<br />

Tuttavia, dopo quella barbara confessione, tra me e Celine<br />

parve tornare tutto come prima: lei riprese a fidarsi di me<br />

ed io tornai a essere tormentato dai rimorsi.<br />

><br />

propose.<br />

Stai Flirtando con me, signorina?<br />

Stava visibilmente flirtando con me ed io non riuscivo a<br />

non cedere a quella tentazione. Si arrotolava un ricciolo<br />

attorno al dito indice mentre parlava e si inumidiva<br />

dolcemente le labbra con un gioco di sguardi che metteva<br />

a dura prova le mie capacità di controllo. I suoi occhi<br />

sembravano volermi trapassare l’anima per arrivare fino al<br />

più intimo dei miei pensieri inconsci. Distolsi lo sguardo,<br />

247


come per paura che riuscisse a leggermi dentro e scoprire<br />

tutto.<br />

Sembrava una gattina in calore e in quel momento io ero<br />

l’unico oggetto dei suoi desideri.<br />

Avrei dato qualunque cosa per poter anche solo sfiorare<br />

quelle labbra. Avrei rinunciato a tutto pur di poter sentire<br />

quanto era morbida e liscia la sua pelle.<br />

Celine avvertiva la mia maniacale attrazione per lei e,<br />

credendola sua, si comportava di conseguenza. Mi voleva<br />

tanto quanto la desideravo io, non c’erano dubbi su questo.<br />

> le risposi avvicinandomi<br />

><br />

> confermò continuando a fissarmi.<br />

Chinai il capo fino a raggiungere il profilo del suo collo<br />

><br />

sussurrai annusando il profumo della sua pelle mentre le<br />

scorrevo le dita fra i capelli.<br />

Abbandonò la testa sulla mia mano, flettendo lentamente il<br />

collo su un lato per permettermi di carezzarglielo con le<br />

labbra ><br />

Tenevo la mano libera serrata con forza sulla spalliera<br />

della sedia.<br />

Non riuscivo a staccarmi da lei. Il suo respiro si faceva<br />

sempre più profondo e il mio col suo. Sentivo i commenti<br />

dei presenti seduti ai tavoli intorno a noi, ma non mi<br />

importava, non mi importava neanche mentre le risalivo il<br />

collo solleticandolo con un soffio delicato che la fece<br />

fremere fra le mie braccia ormai avvolte attorno a lei e, più<br />

di tutto, non mi importò quando raggiunsi le sue labbra<br />

calde con le mie.<br />

Mentre ci baciavamo sentivo il suo cuore batterle forte<br />

contro il mio petto e mi piaceva, soprattutto quella<br />

248


sensazione di abbandono che cancellava qualsiasi pensiero<br />

dalla mia mente. Capii che era il momento di fermarsi<br />

quando una mano le scivolò lungo la schiena in cerca della<br />

sua pelle. Ero già al limite del punto di non ritorno, non<br />

potevo indugiare un secondo di più > esclamai in un soffio.<br />

Sorrise ><br />

Un ultimo bacio prima di afferrare frettolosamente la felpa<br />

e congedarmi da quel delizioso supplizio sotto l’applauso<br />

spontaneo dei nostri spettatori.<br />

Arrivato a casa, dopo una doccia gelida provai a<br />

concentrarmi sullo sport in TV, sperando di riuscire a<br />

pensare ad altro, ma lei stava ancora pensando a me ed io<br />

non potevo non sentirla.<br />

Arrivai dietro l’angolo di casa di Celine alle 19:30.<br />

Mancava almeno mezz’ora all’appuntamento e avrei<br />

potuto mandarle un sms per avvisarla che ero arrivato, ma<br />

mi sembrò ridicolo farle notare quanta impazienza avessi<br />

nel rivederla.<br />

Ero tranquillo però, le cose cominciavano a girare per il<br />

verso giusto e questo mi faceva stare bene.<br />

Attesi pazientemente che uscisse di casa. Mi aveva chiesto<br />

di non far sapere ai suoi genitori che saremmo usciti<br />

insieme, per questo avevo parcheggiato l’auto dietro<br />

l’angolo.<br />

Quando raggiunse la macchina diede ingenuamente un<br />

colpetto sul finestrino, convinta che non l’avessi sentita<br />

arrivare, e solo allora tirai giù il vetro.<br />

> confessò<br />

entrando in auto. ><br />

249


isposi.<br />

><br />

><br />

> sbottò<br />

diffidente.<br />

><br />

No che non ti crede, lo avverte che stai mentendo.<br />

><br />

250


Parlò lentamente tutto il tempo, come si fa con uno<br />

straniero che non conosce bene la lingua, e ogni sua parola<br />

rimase intrappolata nella mia mente in una cella di neuroni<br />

pazzamente eccitati.<br />

> risposi freddo ><br />

Misi in moto l’auto per arrivare il prima possibile al<br />

cinema e chiudere definitivamente con quel discorso.<br />

Avevo capito il senso delle sue parole, mi aveva aperto il<br />

suo cuore, mi aveva offerto la sua complicità se solo<br />

l’avessi voluta. Mi chiedeva di confidarmi con lei e in cuor<br />

mio sapevo che quello era il momento più adatto per farlo,<br />

perché non si sarebbe più presentata un’occasione simile.<br />

Sentivo una voce chiara nella mia testa che mi gridava<br />

“Diglielo! Dille la verità. Non fare lo stupido” eppure mi<br />

nascosi come al solito nel mio tetro regno di menzogne.<br />

Ci gustammo il film in religioso silenzio, ma la sentivo<br />

nervosa. Mi accorsi che tremava e le strinsi la mano.<br />

Non mi guardò tutto il tempo e quando terminò il film mi<br />

lasciò la mano e si avviò verso l’uscita senza dire niente.<br />

Fu la prima volta che mi resi conto di quanto fosse<br />

complicato portare avanti una relazione specie se<br />

alimentata da sole bugie.<br />

Ero negato in queste cose, a volte sembrava che non<br />

volesse altro che stare con me e altre volte pareva<br />

infastidirla la mia presenza.<br />

Forse era il veleno in circolo la causa di quei continui<br />

cambi d’umore.<br />

> le chiesi spazientito.<br />

> rispose fredda.<br />

><br />

251


sbottò.<br />

><br />

><br />

rispose quasi in lacrime.<br />

><br />

> disse lei.<br />

> le<br />

ringhiai contro collerico.<br />

><br />

> chiesi ><br />

> gridò.<br />

C’era troppa gente in giro. La accompagnai alla macchina<br />

e le tenni aperto lo sportello per farla salire.<br />

><br />

><br />

> sbraitai.<br />

><br />

> chiesi confuso.<br />

><br />

><br />

> puntualizzò arrossendo.<br />

D’un tratto mi prese un tonfo al cuore. Aveva appena<br />

confessato d’amarmi e questo faceva precipitare in un<br />

burrone senza fondo tutte le mie certezze. Ero io quello<br />

252


infatuato di lei, e non poteva essere il contrario, non<br />

ancora, non prima di averle detto la verità, non prima<br />

d’averla messa di fronte all’angoscia del suo nuovo futuro.<br />

Se ne stava lì, a pochi centimetri da me, immobile, con gli<br />

occhi bassi per l’imbarazzo della sua rivelazione ed io non<br />

potevo fare altro che pensare a come sarebbe stato bello<br />

poterla stringere forte tra le mie braccia ancora una volta.<br />

Provò a rimediare ><br />

Mi chinai su di lei ><br />

Quando alzò lo sguardo, il suo viso fu talmente vicino al<br />

mio da rimanere inondato da quello sconfinato oceano che<br />

regnava nei suoi lucenti occhi verdi, e non potei fare a<br />

meno di toglierle un ricciolo dalla fronte e zittirla con un<br />

bacio.<br />

Aprii il portone di casa senza staccare le labbra dalle sue.<br />

Era più difficile di quanto immaginassi trovare la chiave<br />

giusta e aprire una porta mentre qualcuno ti sfila i vestiti di<br />

dosso.<br />

La camicia scivolò sul pavimento dell’ingresso per attutire<br />

la caduta delle chiavi. Richiusi la porta con un piede<br />

mentre cercavo di sgrovigliarmi le sue mani dai capelli.<br />

Il tonfo del portone aveva svegliato Margherita. La sentii<br />

muoversi nel letto per alzarsi a controllare.<br />

> dissi forte per rassicurarla in modo<br />

che rimanesse a letto e tornasse a dormire. Però mi sfuggì<br />

un gemito troppo rumoroso quando Celine mi mordicchiò<br />

un capezzolo.<br />

Di nuovo il cigolio del letto di Margherita.<br />

Afferrai prontamente Celine fra le braccia e la trascinai di<br />

peso in camera mia. Lei rise troppo forte.<br />

Sentii il passo leggero di Margherita attraversare il salotto.<br />

><br />

253


chiamò Margherita, avvicinandosi alla<br />

mia stanza.<br />

Feci segno a Celine di non fare rumore.<br />

> risposi con la voce che mi tremava ancora.<br />

> chiese seria, in italiano. Era<br />

dietro la mia porta<br />

> balbettai. Celine era avvinghiata alle mie<br />

spalle e mi faceva scorrere la punta della sua lingua dal<br />

collo al lobo dell’orecchio.<br />

><br />

> risposi in fretta.<br />

> il tono che usava quando mi chiamava<br />

in quel modo non preannunciava mai niente di buono. A<br />

volte mi considerava troppo come uno dei suoi figli.<br />

> Io ero imbarazzato da morire per<br />

quell’intoppo, invece Celine sembrava perfettamente a suo<br />

agio. Forse perché non capiva quello che stavamo dicendo.<br />

> sbottò ><br />

Tornai a rilassarmi un po’ solo quando sentii la porta della<br />

sua stanza chiudersi a chiave.<br />

> chiesi quando Celine<br />

scoppiò a ridere.<br />

> rispose con un sorriso<br />

malizioso.<br />

><br />

> mi sciolse la fibbia della cintura per<br />

raggiungere i bottoni del pantalone.<br />

> sussurrai sfilandole<br />

dolcemente la maglietta per premere la sua pelle accaldata<br />

sulla mia.<br />

254


isbigliò sulle mie labbra.<br />

Sorrisi divertito, sollevandola sulle braccia per adagiarla<br />

sul letto.<br />

Quando mi svegliai l’indomani mattina, al suo posto nel<br />

mio letto trovai un bigliettino:<br />

Saprò aspettare…<br />

non temo i tuoi segreti…<br />

temo solo che possano insinuarsi nel tuo cuore<br />

e impedirti d’amarmi.<br />

Perché io già Ti amo…<br />

Celine.<br />

Lo rilessi non so più quante volte. Mi sentivo felice come<br />

non ero mai stato prima. Tanto felice da non avere la forza<br />

di uscire da quel letto che sapeva ancora di lei. Tanto<br />

felice da non avere il coraggio di rovinare tutto<br />

affrontando i rimbrotti di Margherita.<br />

255


256<br />

24<br />

Stefano spingeva fino in fondo l’acceleratore lungo la<br />

superstrada, quasi deserta fuori dall’ora di punta.<br />

Nicola mi teneva fermo sul sedile posteriore. Il bruciore<br />

alla mano era sempre più forte e si stava propagando<br />

rapidamente in tutto il corpo, risalendo il braccio,<br />

infuocando la gola, i polmoni, lo stomaco.<br />

Cercavo di strapparmi il bendaggio che copriva il palmo<br />

rovente. Lo sentivo troppo stretto, era fastidioso e<br />

sembrava aumentare il dolore. Dovevo toglierlo dalla<br />

mano ma Nicola me lo impediva con tutte le sue forze.<br />

Non ero mai stato così al limite. L’Ancharos che mi<br />

dimora dentro non si è mai manifestato in tutta la sua<br />

violenza come in quella sera. Forse ha ragione Denise a<br />

credermi un demone. Avevo quasi ucciso suo padre e,<br />

perfino quando ormai era tutto finito, non riuscivo a<br />

pensare ad altro. Lo volevo morto. Il resto non importava.<br />

Dopotutto sono una creatura di morte. Agisco per Essa.<br />

Scorre nel mio spirito. Può capitare che a volte la mia vera<br />

natura prenda il sopravvento. Posso controllarlo, ma non<br />

posso impedirlo.<br />

Del ritorno verso casa ricordo solo il dolore. Non credo di<br />

aver avuto altri pensieri oltre al desiderio di uccidere<br />

quell’uomo e alla necessità di spegnere il fuoco che mi<br />

consumava.<br />

Ricordo l’ansia di mio fratello ><br />

E lo sconcerto di Nicola ><br />

>


><br />

> spiegò Nicola.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> bofonchiò Stefano.<br />

><br />

Io nel frattempo gridavo avvolto dalle fiamme della morte.<br />

Stefano riuscì a infilarsi nella stretta fessura del cancello<br />

automatico che si apriva. Sentivo i ciottoli del viale<br />

schizzare sulla carrozzeria.<br />

Pochi secondi e il fuoristrada inchiodò sbilanciandoci in<br />

avanti.<br />

257


Riuscivo appena a stare in piedi quando varcammo il<br />

portone della villa.<br />

Mi trascinarono in salotto.<br />

> gridò Stefano.<br />

Io stringevo fra i denti un cuscino del divano per non<br />

gridare.<br />

Nostro padre sbucò dalla sala da pranzo insieme a zio<br />

Sergio e il nonno, Beatrice era di sopra, ma ci raggiunse<br />

subito. Il tono agitato di Stefano aveva messo tutti in<br />

allarme.<br />

Io ero disteso sull’ampio tappeto al centro del salone.<br />

Nicola era su di me e mi premeva i polsi a terra.<br />

> chiese subito mio padre quando mi<br />

vide. Si avvicinò inginocchiandosi accanto a me. Mi<br />

tastava il viso e la gola per controllare la temperatura del<br />

mio corpo accaldato.<br />

Né Stefano né Nicola avevano il coraggio di raccontare<br />

cosa fosse successo davvero.<br />

Mio zio fece alzare Nicola e prese il suo posto per tenermi<br />

fermo meglio.<br />

> ordinò mio<br />

padre ><br />

Ricordo che mio zio mi sussurrava qualcosa, ma non<br />

rammento cosa.<br />

> vociò<br />

mio padre.<br />

><br />

Mio nonno era l’unico a non sembrare per niente turbato<br />

dalla situazione. Afferrò Nicola per un braccio e gli ordinò<br />

di andare in cucina e farsi dare tutto il ghiaccio che<br />

258


iuscivano a trovare ><br />

> mi chiese mio padre.<br />

Le lacrime e i lamenti che riuscivano a sfuggire al cuscino<br />

rispondevano per me.<br />

><br />

Mio zio era più pesante e più forte di Nicola, ma non mi<br />

faceva male quanto lui. Non che Nicola lo facesse di<br />

proposito, ma di sicuro l’agitazione lo rendeva meno<br />

accorto alla forza da usare per immobilizzarmi le mani.<br />

Di tanto in tanto riuscivo a isolare il pensiero dal dolore e<br />

a percepire le parole dello zio ><br />

Perché continuare a ripetermelo? Non stavo respirando?<br />

Potrebbe anche essere. Dopotutto, quasi non mi rendevo<br />

neanche conto di dove fossi.<br />

A un certo punto mi accorsi che mio nonno non era più<br />

nella stanza. Forse era andato ad aiutare Nicola, non so.<br />

Non lo so neanche adesso. Non ho mai chiesto che fine<br />

avesse fatto.<br />

Vidi mio padre chinarsi su di me ><br />

Controllarmi? Non mi sentivo più padrone del mio corpo.<br />

Il mio cervello agiva di volontà propria. Mi stavo<br />

dimenando sotto la pressione dello zio e non me ne<br />

rendevo neanche conto.<br />

> disse ><br />

><br />

><br />

><br />

259


Sentii intervenire lo zio in suo favore ><br />

Mio padre annuì senza replicare ><br />

Tornò a occuparsi di me ><br />

disse ><br />

E che ne so? ><br />

Annuì.<br />

Sentii la morsa sui polsi allentarsi fino a scomparire del<br />

tutto.<br />

Decisi di concentrarmi sulla respirazione, ma i polmoni<br />

bruciavano e il dolore sembrava anche più forte di prima.<br />

Mi sentii sollevare da terra, ma non opposi resistenza. Ero<br />

esausto.<br />

Lasciai che la testa si adagiasse sulla spalla di mio padre e<br />

con i pugni stretti al petto mi lasciai cullare dalla sua<br />

andatura decisa.<br />

Sentivo lo zio parlare dietro di noi, ma non lo ascoltavo.<br />

Ero troppo concentrato a ricordare a memoria i nomi di<br />

tutte le famiglie e le sottocategorie botaniche che avevo<br />

studiato all’università. In passato era stato un compito<br />

ostico tenerle tutte a mente, ma in quel momento erano<br />

tutte fastidiosamente riaffiorate alla memoria senza<br />

difficoltà.<br />

Nella dependance trovammo mio nonno e Nicola ad<br />

aspettarci. Mio padre mi portò in bagno. La vasca era<br />

piena d’acqua. Mi ci immerse dentro completamente<br />

vestito. Non si prese neanche la briga di togliermi le<br />

scarpe da quattrocento euro che avevo comprato da meno<br />

260


di una settimana. Appena la pelle accaldata sfiorò l’acqua<br />

resa gelida dal ghiaccio che vi galleggiava mezzo sciolto,<br />

feci un sussulto che mi fece quasi balzare fuori. Ci volle la<br />

forza sua e di mio zio per tenermi fermo. Il dolore era<br />

insopportabile, ma non ricordo altro. Mi hanno raccontato<br />

che ho gridato tutto il tempo; che, per liberarmi per uscire<br />

dalla vasca, ho lasciato dei graffi sulle braccia di mio<br />

padre; che li ho inzuppati d’acqua entrambi; e che alla fine<br />

sono svenuto.<br />

Mi sono svegliato nel letto della dependance con la mano<br />

destra ammanettata alla testiera. Ero asciutto e indossavo<br />

un pigiama dei miei.<br />

Acanto a me, nel letto, c’era mio padre. Era vestito, anche<br />

se si era cambiato con abiti asciutti.<br />

Il sole che filtrava dalle tende scure delle pareti a vetro mi<br />

costringeva a tenere gli occhi chiusi.<br />

Il bruciore era molto più leggero di quando lo ricordassi,<br />

anche se non era ancora sparito del tutto. La gola, i<br />

polmoni e lo stomaco però, non bruciavano più.<br />

Mio padre si svegliò sentendomi muovere nel letto. Mi<br />

posò una mano sulla fronte. Mi tastò il braccio. Sbottonò<br />

la giacca del pigiama per controllare la temperatura<br />

dell’addome. Mi fece voltare su un fianco per controllare<br />

anche la schiena.<br />

C’erano i miei occhiali da sole sul suo comodino. Me li<br />

passò per permettermi di aprire gli occhi. Lo sforzo della<br />

sera prima mi aveva rotto molti capillari e il sangue si era<br />

riversato sulla superficie del bulbo oculare rendendolo una<br />

spessa macchia rossa. Credo sia a questo che si riferiscono<br />

quando parlano di occhi iniettati di sangue.<br />

> chiesi notando che avevo un filo<br />

appena di voce.<br />

261


Mi liberò dalle manette ed io potei andare in bagno. Avevo<br />

un aspetto orrendo quando passandomi dell’acqua sul viso<br />

incrociai i miei occhi nello specchio sul lavandino. Il<br />

pallore della mia pelle faceva sembrare il rosso degli occhi<br />

ancora più acceso, quasi diabolico. Avevo i segni della<br />

resistenza sulle braccia. I lividi mi ricordavano i punti<br />

esatti in cui le loro mani si erano strette su di me.<br />

Mi sentivo stanchissimo. Volevo tornare a dormire.<br />

Uscii dal bagno barcollando. Mio padre si era alzato e mi<br />

venne incontro per sorreggermi. Mi aiutò a rimettermi a<br />

letto.<br />

> chiesi.<br />

><br />

><br />

><br />

Sfilai gli occhiali per affondare la faccia nel cuscino.<br />

><br />

Scossi piano la testa. Mi faceva male.<br />

><br />

La sua voce era seria, ma molto pacata. A quell’ora di<br />

sicuro era venuto a conoscenza di tutti i particolari<br />

dell’accaduto. Non mi stupiva che fosse risentito con me,<br />

mi stupiva, invece, che non alzasse la voce per una delle<br />

sue lavate di testa. Forse voleva solo tenermi il più<br />

tranquillo possibile, almeno finché non fosse stato sicuro<br />

che il pericolo era passato davvero ><br />

Scossi di nuovo la testa.<br />

><br />

><br />

><br />

262


25<br />

Tutta la mia camera era invasa dal suo incantevole<br />

profumo, tanto da stordire il mio olfatto innamorato.<br />

Stetti a letto ancora qualche minuto poi, mi alzai per<br />

trovare un qualche impiego che mi facesse passare il<br />

tempo che mi separava dall’averla ancora tra le mie<br />

braccia.<br />

A quell’ora Celine doveva essere a scuola. Provai a<br />

immaginare cosa stesse facendo, ma con scarsi risultati.<br />

Non avevo mai frequentato una scuola normale e non<br />

avevo idea di come fosse organizzata lì la giornata degli<br />

studenti.<br />

Mentre me ne stavo sul divano in accappatoio a<br />

fantasticare, Margherita rientrò in casa in compagnia di<br />

Paul che la aiutava con le buste della spesa.<br />

Feci per tornare in camera mia.<br />

> mi fermò. Liquidò Paul<br />

ringraziandolo dell’aiuto, poi tornò in cucina a mettere a<br />

posto la spesa ><br />

La prendi per le lunghe?<br />

> risposi a voce abbastanza alta da<br />

farmi sentire.<br />

><br />

> rifiutai.<br />

> si allarmò.<br />

><br />

> sbottò raggiungendomi in salotto ><br />

263


Volevo mantenere la calma per non rischiare di offenderla,<br />

era l’ultima cosa che volevo, però doveva rimettere i piedi<br />

a terra e ricordare chi era a servizio di chi ><br />

><br />

> bofonchiai ><br />

><br />

Colpito!<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

I toni si stavano accendendo ><br />

Ingrato!<br />


Se ti succede qualcosa io perdo il lavoro. Quindi, se<br />

proprio la vogliamo dire tutta, non c’è niente che mi vieta<br />

di dire semplicemente la verità quando mi chiede cosa<br />

combini. E invece ti ho sempre coperto e continuerò a<br />

farlo, perché ti voglio bene e so di cosa è capace tuo padre.<br />

Ma il fatto che mi stia a cuore il tuo benessere non vuol<br />

dire che ti puoi permettere di trattarmi come l’ultima delle<br />

serve. Non mi interessa niente se sei il figlio del mio<br />

datore di lavoro, ho l’età per essere tua madre e quindi<br />

pretendo rispetto. Se parlo mi stai a sentire senza<br />

interrompermi e se ti faccio una domanda mi rispondi in<br />

modo educato. Non so se è chiaro!>><br />

Affondato!<br />

Ma non era ancora finita ><br />

Ma perché sono uscito da quel letto?<br />

><br />

><br />

Dove vuoi arrivare?<br />

Non seppi cosa risponderle.<br />

><br />

Ma come ti permetti?<br />

> gridai.<br />

><br />

Non volevo più starla a sentire. Mi infilai in camera<br />

sbattendomi la porta alle spalle. Come se questo bastasse a<br />

farla tacere.<br />

265


Uscii di nuovo per affrontarla ><br />

><br />

Non aveva poi tutti i torti. Solo a sentire quel nome, a<br />

rievocare i ricordi di quel brutto periodo, mi veniva un<br />

groppo in gola.<br />

><br />

> dissi con la voce rotta<br />

dall’emozione.<br />

Mi abbracciò con affetto ><br />

Mi lasciò riflettere da solo.<br />

Rimasi a contemplare il soffitto per un po’, poi mi feci<br />

coraggio, mi cambiai, infilai gli occhiali da sole e scesi in<br />

strada per prendere la macchina.<br />

Mi feci indicare la S. George high school da un<br />

edicolante. Volevo attenderla all’uscita quella mattina,<br />

volevo esserle accanto quel giorno e non darle modo di<br />

pensare che quella notte fosse stata solo una delle tante<br />

senza importanza, ma più mi avvicinavo e più l’ansia<br />

cresceva.<br />

Arrivai davanti scuola intorno alle 11:00, era una grande<br />

struttura con un immenso giardino alberato sul davanti. Il<br />

viale era colmo di auto e dovetti parcheggiare molto più<br />

266


avanti per trovare posto. Mi accostai proprio accanto a un<br />

fioraio che stava appena scaricando un carico di rose dal<br />

furgone del fornitore. Ne approfittai per acquistarne un<br />

mazzo. Sul bigliettino scrissi un banalissimo ma sentito,<br />

“I love you”<br />

e pagai il fattorino del negozio affinché le portasse a<br />

destinazione.<br />

Aspettai la fine delle lezioni seduto sotto l’ombra di un<br />

acero nel giardino dell’istituto.<br />

Quando Celine ricevette i fiori lo sentii, avvertii la sua<br />

gioia e quando alle 12:00 la campanella annunciò l’ora di<br />

pranzo e tutti gli studenti si riversarono in giardino per<br />

consumare il pasto all’aperto, io potei consumare di<br />

coccole il mio dolce angelo.<br />

La feci sedere in braccio a me, ancora sull’erba, con la<br />

scusa di non volere che si sporcasse.<br />

> esclamò allegra.<br />

> sussurrai<br />

giocherellando con i suoi capelli.<br />

><br />

> risposi tenendola tra le braccia.<br />

Abbassò lo sguardo, arrossendo appena ><br />

><br />

> bisbigliò.<br />

Sapevo che lo voleva e lo volevo io.<br />

Certo che lo voglio!<br />

267


Eppure sapevo che non mi avrebbe mai risposto di sì se<br />

non fosse stata davvero sicura che lo volessi anch’io.<br />

Le parole di Margherita mi martellavano la mente. Come<br />

facevo a prendere un impegno come quello senza averle<br />

prima rivelato la mia vera identità. La sua domanda<br />

presupponeva un impegno concreto. Lo stare insieme<br />

implicava un coinvolgimento sociale: avrebbe dovuto dirlo<br />

ai suoi genitori, avrebbe preteso che conoscessi i suoi<br />

amici, il suo mondo. Ecco un altro momento perfetto per<br />

parlare, anche se farlo presupponeva il rischio di un suo<br />

totale rifiuto nei miei confronti, ipotizzava una sua<br />

avversione verso tutto quello che rappresentavo. Non sarei<br />

più potuto scappare dalla verità, avrei dovuto dirle del<br />

contagio, avrei dovuto gettarle contro un mondo tutto<br />

nuovo, che non era ancora pronta ad affrontare.<br />

Avevo fatto un bel casino, ed ero lì, di fronte ad un bivio<br />

in cerca della decisione che a entrambi potesse fare meno<br />

male.<br />

Prima o poi avrei inevitabilmente dovuto dirgliela quella<br />

dannata verità, ma nel profondo del cuore preferivo di<br />

gran lunga il poi più lontano. Non dirglielo però voleva<br />

significare continuare a usarla per un mio egoistico piacere<br />

e questo non lo sopportavo.<br />

F. Ardant scrisse:<br />

Il grande amore ci fa paura<br />

perché ci mette in una situazione di pericolo,<br />

perché si diventa vulnerabili;<br />

si perde la corazza che abbiamo nei confronti del mondo.<br />

Perché in amore si dà tutto,<br />

ma si può anche perdere, e perdere tutto.<br />

268


Era così che mi sentivo io.<br />

Sentivo l’angoscia di quel sentimento, sentivo la paura di<br />

poter mettere in pericolo la mia felicità di quel momento,<br />

mi sentivo debole e privo di certezze. Amarla per me<br />

voleva dire liberarmi della corazza di menzogne che<br />

indossavo ed espormi alla luce del suo giudizio.<br />

Ero disposto a offrirle tutto l’amore e tutte le ricchezze di<br />

questo mondo, ma il terrore di perderla mi lacerava dentro.<br />

> le risposi vigliaccamente.<br />

Codardo! Egoista che non sei altro!<br />

Ecco che una cascata di lacrime si apprestava a scavalcare<br />

le morbide dighe dei suoi occhi, ma non pianse, non<br />

davanti a me almeno.<br />

> mentì ><br />

Mi si spezzò il cuore nel vedere quell’espressione ferita<br />

sul suo volto, avrei preferito gettarmi fra i carboni ardenti<br />

piuttosto che darle quel dolore.<br />

Il richiamo della campanella della scuola la obbligava a<br />

chiudere lì quel discorso. Lei non cercò altre spiegazioni,<br />

ingoiò il boccone amaro e continuò con la sua farsa,<br />

mentre in quel momento avrei meritato solo una coltellata<br />

><br />

Mi avvicinai per salutarla con un bacio, ma si scostò.<br />

E che ti aspettavi?<br />

Misi le mani in tasca, la salutai con un cenno del capo e<br />

rimasi in piedi a guardarla allontanarsi sempre di più col<br />

mio cuore tra le mani.<br />

269


Quando morì Mark mi ripromisi che non avrei più pianto<br />

per nessuno, giurai che non mi sarei più lasciato travolgere<br />

da sentimenti avventati.<br />

Mark era un amico eppure piansi tanto per la sua morte,<br />

Celine era tutto me stesso e per uno stupidissimo orgoglio<br />

mi tenni dentro un dolore che avrei fatto bene a esternare,<br />

mi avrebbe aiutato a capire, magari l’avrei messo da parte<br />

quell’orgoglio e le sarei corso dietro per rimangiarmi tutte<br />

le idiozie che avevo tirato fuori.<br />

Mi consolai pensando che lo stavo facendo per proteggere<br />

lei e non me. Celai l’egoismo e la paura dietro le spalle<br />

dell’amore.<br />

Ma come rimproverarmi? Non avevo mai conosciuto<br />

l’amore vero e quando mi si presentò davanti non seppi<br />

riconoscerlo, o meglio, mi rifiutai di farlo.<br />

Tornai a casa in uno stato pietoso, mi chiusi in camera e<br />

me ne stetti al buio, da solo, per tutto il resto del giorno.<br />

A sera tarda poi, convocai tutto il personale per annunciare<br />

il mio ritorno a casa, in Italia.<br />

Margherita provò a chiedermi cosa fosse successo, ma<br />

evitai le sue domande tornando in camera mia. Non volevo<br />

starla a sentire.<br />

È tutta colpa tua! Hai rovinato tutto!<br />

Intorno alle 2:00 però, nonostante fossi stato molto<br />

esplicito nel mio intento di non vederla, entrò in camera e<br />

si sedette sul letto accanto a me. Io me ne stavo disteso<br />

con il viso immerso nel cuscino, respirando appena.<br />

> chiese sottovoce.<br />

Le feci cenno di no con la testa e prese a parlare lei. ><br />

270


Margherita dal mio atteggiamento aveva intuito una<br />

rottura tra noi, ma per il motivo sbagliato.<br />

In quel momento però non avevo bisogno di consigli, né di<br />

morale, volevo solo cancellare quei mesi americani,<br />

volevo solo smettere di stare così spaventosamente male.<br />

Mi lasciò solo col mio dolore e si impegnò a organizzare<br />

tutto l’occorrente per il trasferimento.<br />

Chiamò mio padre per avvertirlo del nostro ritorno, così<br />

che potesse prenotare il volo e assunse una ditta di<br />

traslochi per riportare indietro tutte le nostre cose.<br />

Passarono altri tre giorni. C’era un aereo privato<br />

parcheggiato all’aeroporto, a nostra disposizione, mancava<br />

solo un mio cenno e tutto sarebbe finito.<br />

Quando mi decisi a uscire dalla mia stanza, il terzo giorno,<br />

convocai nuovamente tutto il personale > annunciai.<br />

> esclamò Margherita<br />

><br />

> risposi con voce tremante ><br />

Uscirono tutti, tranne Margherita, ><br />

> risposi abbattuto.<br />

> disse ><br />

><br />

271


><br />

> rispose trattenendo le lacrime.<br />

Mia madre! I ricordi che ho di lei non mi appartengono.<br />

Ero troppo piccolo quando morì. Ero troppo piccolo anche<br />

per ricordare quando Beatrice è entrata a far parte della<br />

mia vita prendendo il suo posto.<br />

Non ho mai sentito la mancanza di mia madre - non senti<br />

la mancanza di qualcuno che non conosci - e Beatrice, a<br />

differenza di mio padre, non ha mai fatto differenze fra me<br />

e Stefano. L’ho sempre chiamata mamma, considerata tale<br />

e, dopotutto, lo è.<br />

Margherita è l’unica persona che si sia presa la briga di<br />

parlarmi di lei, di raccontarmi com’era – con mio padre<br />

non ho mai potuto affrontare l’argomento -.<br />

> dissi dandole un<br />

bacio affettuoso sulla guancia. Avevo troppe magagne da<br />

farmi perdonare.<br />

272


26<br />

Rivedere Denise dopo aver quasi ucciso suo padre era<br />

l’ultimo dei miei propositi del giorno. Orami era da quasi<br />

un anno che vivevo secondo una scaletta prestabilita. Ogni<br />

giorno era suddiviso in impegni più o meno importanti.<br />

Non ho mai vissuto alla giornata, nemmeno quando<br />

credevo di non avere più alcun appoggio sotto i piedi.<br />

Sono un tipo piuttosto meticoloso e mi piace organizzare e<br />

rispettare i programmi, anche se non avrei mai immaginato<br />

che un giorno avrei finito con l’organizzare la mia intera<br />

esistenza.<br />

All’Ancharos avevo vissuto in questo modo per troppi<br />

anni. Sapevo esattamente cosa avrei fatto in qualunque ora<br />

della giornata. Sempre.<br />

Le vecchie abitudini, si sa, sono dure a morire.<br />

Non mi piacciono gli imprevisti, perché non se ne possono<br />

pianificare le conseguenze. Fanno saltare uno o più<br />

programmi, se non tutti. Creano confusione, e le<br />

confusioni generano errori, anche irreparabili.<br />

Difficilmente uno come me poteva permettersi di condurre<br />

una vita organizzata. C’erano troppe incognite. Troppi<br />

ostacoli posti lungo il cammino. Nel corso degli anni non<br />

sono riuscito a prevedere nulla che poi sia accaduto. La<br />

morte di Mark non l’avevo prevista e, non prevedendola,<br />

non ho potuto impedirla e sono stato travolto dalle<br />

conseguenze che si trascinarono dietro i sensi di colpa.<br />

Celine, non l’avevo prevista – ero andato a New York per<br />

tutt’altre ragioni -. Thomas non era assolutamente<br />

previsto. La mia cattura poi, non l’avevo mai neanche<br />

presa in considerazione, così come tutto il resto.<br />

273


Tutte situazioni che avevano completamente stravolto i<br />

miei piani perfetti.<br />

Solo con Denise era stato tutto diverso. L’esame era stato<br />

pianificato, quindi, prevista la sua reazione al voto che le<br />

avrebbe irrimediabilmente rovinato la media impeccabile.<br />

Anche a sua ira e il rancore, nei miei confronti erano stati<br />

previsti. Pianificato ogni incontro, ogni parola, ogni gesto,<br />

e prevista ogni reazione.<br />

Dopo l’incidente, avevo giurato a me stesso che non mi<br />

sarei più lasciato prendere in contropiede da niente e<br />

nessuno.<br />

Il giorno che iniziò a vedermi mentre scrutavo,<br />

inosservato, nelle vite degli altri però, non l’avevo<br />

previsto. E questo mandò in frantumi tutta la mia<br />

scrupolosa organizzazione. Da quel giorno, infatti, non ero<br />

più riuscito a ridare un senso alle mie giornate, e le<br />

conseguenze iniziarono a piovere fastidiosamente<br />

inaspettate.<br />

Non era mia intenzione aggredire suo padre a quel modo<br />

quella sera. Ero troppo shockato all’idea che fosse proprio<br />

lui il suo aggressore. Persi il controllo da subito. Non mi<br />

soffermai a riflettere neanche un istante. L’impulsività è<br />

figlia degli imprevisti.<br />

Avevo provato a immaginarmi chi potesse essere il<br />

colpevole e, per rancore personale, il mio primo sospettato<br />

era Mark. Se fosse entrato lui in casa di Denise, quella<br />

sera, se fosse stato lui ad aggredirla, mi sarei comportato<br />

in modo del tutto diverso. Avrei agito secondo il preciso<br />

piano elaborato nella mia mente, e si sarebbe risolto tutto<br />

in modo molto più pacifico.<br />

L’ho già detto che odio gli imprevisti?<br />

274


Due giorni dopo l’aggressione tornai all’università. Mi era<br />

tornata un po’ di voce, ma sforzarmi per farmi sentire, mi<br />

stancava troppo, quindi scelsi di starmene in disparte ad<br />

ascoltare le lezioni e niente di più. Sarei tornato a casa<br />

subito dopo. Portavo ancora la fasciatura alla mano. Il<br />

fuoco si era placato, ma non potevo essere certo che il<br />

flusso non potesse fuoriuscire ugualmente. Lo sentivo<br />

premere contro il polso, come un’emorragia interna che<br />

cerca una via di fuga verso l’esterno.<br />

Nicola si era reso disponibile per accompagnarmi quella<br />

mattina. Non volevo stare da solo. Non mi fidavo del male<br />

che mi circolava dentro indisturbato. Ci sedemmo<br />

all’ultima fila di banchi dell’aula di Genetica. Il corso<br />

ormai era quasi finito. Il mese dopo ci sarebbero stati gli<br />

esami, finalmente.<br />

> mi chiese Nicola, fissando la schiena<br />

di Melluso, intento a scarabocchiare un riquadro di<br />

Mendel sulla lavagna.<br />

> Ero sincero. Dopo tutto quello che stava<br />

accadendo negli ultimi giorni, non me la sentivo proprio di<br />

affrontare la sua brutta faccia ><br />

><br />

> risposi accigliato. Ripensavo a tutte le volte<br />

che mi ero seduto di fronte a lui per l’esame per rialzarmi<br />

con una bocciatura sul libretto.<br />

><br />

><br />

275


Lo sentii sbuffare al mio fianco.<br />

Denise era seduta al suo solito posto in prima fila. Non le<br />

toglievo gli occhi di dosso e il cuore mi martellava il petto<br />

dal turbamento emotivo che mi mandava in confusione il<br />

cervello ogni volta che la vedevo.<br />

> disse Nicola, che<br />

aveva intuito l’oggetto della mia attenzione.<br />

><br />

><br />

Dopo l’aggressione al padre di Denise, il Clan aveva<br />

ricompattato le forze. Erano in stato d’allerta o, come<br />

diceva Simone, erano sul piede di guerra. Le pattuglie<br />

avevano ricominciato a vigilare. Gli agenti erano tornati ad<br />

andare in giro armati. Non c’era stato ancora nessuno<br />

scontro diretto fra noi, ma ciò non escludeva la probabilità<br />

che potesse accadere qualcosa da un momento all’altro.<br />

Dopotutto erano trascorsi solo due giorni.<br />

Il pretesto che aspettavano per ricominciare la battaglia<br />

glielo avevo offerto io su un vassoio d’oro, entrando in<br />

casa di uno dei loro uomini e aggredendolo fin quasi a<br />

ucciderlo.<br />

> risposi sicuro.<br />

> precisò.<br />

><br />

><br />

> mi alterai ><br />

Il professor Melluso sentì il chiacchiericcio agitato in<br />

fondo all’aula e si soffermò a guardarci con severità. Se ne<br />

276


accorsero anche gli altri, che si voltarono in massa nella<br />

nostra direzione.<br />

Nicola chinò la testa, imbarazzato. Io invece, non mi curai<br />

della curiosità dei miei compagni e sostenni, con<br />

presunzione, lo sguardo di sfida del professore.<br />

> disse dal<br />

fondo della sala ><br />

Anche Denise si era voltata, e mi guardava dritta negli<br />

occhi. Inespressiva.<br />

Melluso si aspettava una qualche risposta o reazione da<br />

parte mia, ma quando si rese conto che non mi sarei mosso<br />

di un centimetro, tornò a darmi le spalle e riprese la sua<br />

cantilenante spiegazione.<br />

Trascorsi il resto della lezione a guardarmi intorno. C’era<br />

qualche faccia nuova in aula. Ragazzi e ragazze che avevo<br />

spesso incontrato lungo i corridoi della facoltà, ma che<br />

non avevo mai incrociato ai corsi. Una di quelle facce però<br />

mi era assolutamente sconosciuta. Con una gomitata sul<br />

braccio di Nicola le indicai la ragazza seduta in disparte a<br />

mezza fila.<br />

Aveva i capelli castani, corti e tenuti in posa con la spuma<br />

e forse un po’ di gel. Non c’erano libri o block notes sulla<br />

porzione di banco davanti a sé. Non c’era neanche<br />

qualcosa di simile a una borsa nelle sue immediate<br />

vicinanze.<br />

> chiesi a Nicola.<br />

><br />

><br />

Mi guardò sorpreso ><br />

Sì!<br />

Annuii.<br />

><br />

277


Mentre parlava mi vibrò il cellulare nella tasca della felpa.<br />

Ivan?<br />

Guardai fuori dalla vetrata della parete sull’esterno e lo<br />

vidi in piedi poco distante. Avvolto nel suo giaccone CK<br />

nero, si nascondeva sotto sciarpa e berretto bianchi e<br />

occhiali da sole invernali. Mani in tasca e schiena dritta,<br />

era rivolto nella nostra direzione. Di sicuro ci stava<br />

guardando attraverso il vetro come noi guardavamo lui.<br />

Gli feci cenno di entrare e, infatti, si mosse subito per far<br />

ingresso un attimo dopo dalla porta socchiusa che dava sul<br />

cortile.<br />

Non badò minimamente al professore, che lo fissava torvo<br />

mentre si avvicinava a noi due col suo inimitabile passo<br />

elegante, sofisticato.<br />

Non si mise a sedere. Rimase in piedi davanti a Nicola, ma<br />

leggermente rivolto verso di me.<br />

> disse mentre si scioglieva la sciarpa dal<br />

collo.<br />

> chiesi.<br />

Una sedia strisciò sul pavimento > gridò il<br />

professore ><br />

> dissi, ma Ivan si voltò lo stesso a fissarlo.<br />

Melluso era in piedi, i pugni stretti sulla cattedra e il viso<br />

paonazzo dalla rabbia.<br />

Di nuovo gli sguardi di tutti su di noi.<br />

> rispose Ivan.<br />

><br />

><br />

Liberai un ghigno indignato.<br />

> chiese Nicola.<br />

> rispose guardandolo.<br />

278


Lorenzo era il Giudice preposto alle sorti dei membri del<br />

Clan. Non era vincolato dai confini di zona assegnata<br />

come Massimo e gli altri. Percepiva le anime di qualunque<br />

membro del Clan, indipendentemente dalla sua zona<br />

d’azione.<br />

> chiesi<br />

alzando un po’ troppo la voce.<br />

Melluso era sul punto di esplodere, ed io non desideravo di<br />

meglio. Portarlo all’esasperazione era l’unico scopo che<br />

mi tenesse legato a quell’aula.<br />

><br />

spiegò.<br />

><br />

Nicola teneva d’occhio ogni movimento sospetto della<br />

nuova arrivata.<br />

Presi il cellulare e composi il numero di Denise. Il<br />

cellulare suonava libero. Era in vibrazione, perché i<br />

microfoni sulla cattedra si lamentarono per l’interferenza.<br />

Lo lasciai squillare finché fu costretta a prendere il<br />

cellulare dalla borsa per spegnerlo.<br />

Vide il mio nome lampeggiare sul monitor e si voltò<br />

indietro a cercarmi.<br />

Con lei si voltò anche la ragazza misteriosa.<br />

Nicola tenne la mano erma sulla pistola e si tenne pronto a<br />

intervenire al primo cenno di attacco.<br />

Feci cenno a Denise di non muoversi da lì, ma l’avevo<br />

inquietata abbastanza da farla stare in allerta.<br />

> dissi indicando<br />

appena la ragazza di Lorenzo ><br />

279


Nicola non le toglieva gli occhi di dosso e lei se ne<br />

accorse, ricambiando lo sguardo con un’occhiataccia.<br />

Nicola le fece “no” con la testa.<br />

> aggiunse Ivan ><br />

><br />

chiesi.<br />

Ivan mi guardò come a voler riaffermare ciò che aveva<br />

appena detto. Però aggiunse ><br />

> osservò Nicola.<br />

> rispose ><br />

> dissi<br />

risoluto ><br />

Ivan si riavvolse la sciarpa attorno al collo e riinforcò gli<br />

occhiali ><br />

> risposi contrariato.<br />

280


Nicola mi diede una gomitata. La ragazza si stava alzando.<br />

La lezione era quasi finita. Di sicuro ora cercava il posto<br />

adatto per tendere il suo agguato.<br />

> disse Nicola alzandosi per seguirla ><br />

rimasi da solo con Ivan, che si mise a sedere al posto di<br />

Nicola ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Davvero una bella domanda.<br />

><br />

><br />

><br />

Ah! Sarebbe stato troppo strano il contrario.<br />

Liberai un sospiro stanco.<br />

> disse<br />

sfilandomi gli occhiali. Il bulbo oculare era ancora rosso<br />

sangue ><br />

><br />

><br />

><br />


due giorni ti fossi sentito ancora come quella sera. Perfino<br />

peggio di allora. Cosa avresti fatto se ucciderlo fosse stato<br />

l’unico modo per far cessare il bruciore?>><br />

> ammisi<br />

portandomi le mani alla fronte, i gomiti sul banco.<br />

><br />

> sbottai ><br />

Si rimise in piedi ><br />

Annuii cercando di mandare giù il boccone amaro.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Tirò fuori dalla tasca un cellulare e lo posò sul banco > spiegò ><br />

Mi alzai e infilai alla rinfusa le mie poche cose nello<br />

zaino. Il cellulare nuovo lo chiusi nella tasca del giubbotto.<br />

Avrei voluto ringraziarlo per l’aiuto che mi offriva, prima<br />

che andasse via, ma non me ne diede il tempo.<br />

La lezione era finita.


seduta stante, ma dovevo rischiare se volevo concedere a<br />

Denise una seconda occasione.<br />

Le posai una mano sul braccio.<br />

> esclamò Marco, ponendosi<br />

immediatamente fra me e lei ><br />

> guardai negli occhi<br />

Denise, alle sue spalle > le dissi<br />

ignorando il resto del Branco. Li sentivo alitarmi sul collo.<br />

Pronti a sbranarmi al primo cenno del loro capo.<br />

> rispose Marco ><br />

> usai i miei poteri su di lei. Si mosse per<br />

raggiungermi ma uno dei ragazzi la bloccò.<br />

> dissi irritato.<br />

> osservò Marco.<br />

> ripetei con più risolutezza.<br />

Denise si ribellò alla morsa del compagno e si spostò<br />

sull’ala sinistra del gruppo, verso i banchi. Uno dei ragazzi<br />

era rimasto seduto su un banco tutto il tempo. Il cappuccio<br />

della felpa tirato in testa, lo sguardo basso. Sembrava non<br />

interessato affatto alla discussione. Denise gli passò<br />

davanti per aggirare gli altri e raggiungermi. Solo allora<br />

sollevò la testa verso di lei.<br />

Avvenne tutto in un attimo. Il tempo di scorgerne il<br />

tatuaggio sul collo, sotto l’orecchio. Mi feci subito avanti,<br />

opponendomi alla spinta di Marco con una gomitata nello<br />

stomaco. Afferrai Denise a un braccio e la tirai a me<br />

facendole perdere l’equilibrio. La sollevai fra le braccia<br />

prima che si accasciasse su di me, ritraendomi un istante<br />

prima che il palmo della mano del secondo cecchino di<br />

Lorenzo potesse posarsi sulla sua spalla.<br />

283


Il ragazzo mi guardò con disprezzo e scavalcò il banco per<br />

prendere le distanze.<br />

Misi a terra Denise. Lui capì le mie intenzioni e se la diede<br />

a gambe.<br />

> dissi serio a Marco, che iniziava solo adesso a<br />

capire cosa era appena accaduto.<br />

Scavalcai subito la prima fila di banchi con un salto e corsi<br />

all’inseguimento dell’Esecutore, che stava uscendo<br />

velocemente dalla porta sull’interno.<br />

284


27<br />

Arrivammo al centro commerciale intorno alle 14:30, il<br />

sole picchiava forte quel pomeriggio e l’aria era quasi<br />

soffocante.<br />

> chiesi curioso. Non li<br />

avevo mai visti.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> rispose dandomi un tenero bacio<br />

sulla guancia.<br />

Entrammo in un negozio di elettronica, Margherita voleva<br />

acquistare un computer portatile per Clarissa e una<br />

videocamera per Bruno.<br />

La aiutai a scegliere, non capiva molto di elettronica e si<br />

fidò ciecamente del mio giudizio in proposito.<br />

Alla cassa poi, tirai fuori la carta di credito e pagai tutto io.<br />

Mentre uscivamo mi rimproverò per non averle permesso<br />

di pagare il conto con i suoi risparmi.<br />

> esclamai serio.<br />

><br />

><br />

> sorrisi.<br />

285


esclamò con la stessa espressione di<br />

una bambina in un enorme negozio di giocattoli tutto per<br />

lei.<br />

Entrava e usciva freneticamente, ora da un negozio, ora<br />

dall’altro, ora con qualche busta, ora senza, era in preda ad<br />

un’isteria da shopping.<br />

Mi divertiva vederla così, mi faceva stare bene essere la<br />

causa principale della sua felicità di quel momento.<br />

Erano le 17:30 quando si arrestò la sua febbre di acquisti.<br />

Eravamo sommersi di buste. Dovetti pregare il commesso<br />

dell’ultimo negozio di aiutarci a portare tutta la roba in<br />

macchina.<br />

La frenesia di Margherita era riuscita a togliermi Celine<br />

dalla testa per un po’. Durò molto poco però, perché<br />

mentre eravamo diretti all’uscita la vidi seduta con delle<br />

amiche su una panchina.<br />

Se non fossi stato certo che mi avesse visto avrei fatto<br />

finta di niente.<br />

> disse alzandosi.<br />

Mi paralizzò il solito tonfo al cuore.<br />

> farfugliai impacciato.<br />

Margherita approfittò della scusa di dover mostrare la<br />

macchina al commesso per lasciarmi qualche minuto da<br />

solo con lei.<br />

> disse<br />

prendendo le buste che avevo in mano.<br />

Celine intuì che c’era qualcosa di strano nell’aria > domandò ironica, ma allo stesso<br />

tempo imbarazzata.<br />

><br />

286


> precisai senza girarci troppo<br />

intorno.<br />

> balbettò confusa. ><br />

> mentii.<br />

> domandò<br />

incredula.<br />

><br />

dissi deviando discorso.<br />

><br />

bisbigliò ><br />

Mi fece sorridere. Troppo disarmante per me la sua<br />

ingenuità. La stessa innocenza che mi frenava dal dirle<br />

tutto ><br />

sussurrai ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Stavo ancora parlando quando si sentì una voce in<br />

lontananza che la chiamava.<br />

> sorrise cercando di ricomporsi.<br />

287


le chiesi<br />

incurante di quello che mi aveva appena detto.<br />

> rispose amareggiata.<br />

Quando arrivarono le ragazze Celine ci presentò come se<br />

nulla fosse successo, col suo solito sorriso amichevole.<br />

Sarebbe andato tutto come doveva se tra le sue amiche non<br />

ci fosse stata anche la ragazza che avevo aiutato nel vicolo<br />

una delle mie prime notti passate per le strade di New<br />

York.<br />

Quando mi guardò per stringermi la mano fece un balzo<br />

indietro di mezzo metro.<br />

> esclamò terrorizzata.<br />

> le chiese confusa Celine.<br />

> mi affrettai a dire, sperando che non<br />

rivelasse nulla.<br />

> continuò.<br />

Le altre ragazze si scostarono preoccupate.<br />

><br />

Sta zitta stupida ingrata.<br />

> esclamò d’un tratto.<br />

Fortunatamente eravamo in un’area dell’edificio che in<br />

parte si isolava dal resto della folla intenta negli acquisti e<br />

poi, la musica era così alta che non permise ai passanti<br />

vicini di udire le sue accuse.<br />

> continuò<br />

><br />

> esclamai in collera. ><br />

> domandò Celine sempre più<br />

disorientata.<br />

288


><br />

esclamò confusa, ma per niente sconvolta.<br />

><br />

> infierì Sarah.<br />

> disse tra se.<br />

> la chiamai, per attirare la sua attenzione su<br />

di me.<br />

> disse lei per<br />

aggrapparsi a delle conferme che non potevo darle ><br />

><br />

> le ringhiai contro.<br />

Non avevo più vie d’uscita, non avrei più potuto<br />

rimangiarmi la verità, ero stato vigliaccamente<br />

smascherato e, giustamente, Celine volle le sue prove ><br />

> esclamai. Ormai ero con le spalle al<br />

muro.<br />

><br />

Come si fa a credere alle storie che dipingono la mia gente<br />

come demoni. Degli assassini senz’anima assetati di<br />

sangue?<br />

><br />

> disse<br />

289


iniziando ad allontanarsi sempre di più da me. ><br />

><br />

> rispose in lacrime.<br />

> intervenne Sarah.<br />

> sbraitai.<br />

Era una situazione orribile, avevo l’opportunità di dirle<br />

finalmente come stavano le cose eppure non trovavo le<br />

parole adatte per farlo, tutto sembrava contro di me ><br />

> gridò.<br />

> sbraitai esasperato da tutta quella<br />

situazione ><br />

> mi interruppe.<br />

> dissi sbottonando la manica della<br />

camicia per mostrarle il polso ancora avvolto dalle garze<br />

che usavo di solito per nascondermi.<br />

Le altre ragazze, spaventate, indietreggiarono ancora di<br />

più stringendosi l’una all’altra.<br />

> rivolsi la mia attenzione sulle sue amiche


assurde sul nostro conto. Non sapete niente di noi, ma di<br />

tutte le sciocchezze a cui credete, la più ingiustificabile è<br />

quella che ci dipinge come dei crudeli demoni infernali>><br />

tornai a fissare solo lei ><br />

La presi per un braccio, suscitando il terrore delle sue<br />

amiche, e la trascinai all’aperto.<br />

> le chiesi togliendomi la<br />

camicia e restando a torso nudo sotto il sole caldo di<br />

maggio > poi, mi<br />

avvicinai, le afferrai con una mano la catenina d’oro con il<br />

crocifisso di cristallo che teneva appeso al collo ><br />

le chiesi porgendole la semiautomatica che mi portavo<br />

sempre dietro in caso di attacco imprevisto degli Agenti<br />

del Clan > la sfidai ><br />

> disse lei gettando<br />

l’arma a terra, inorridita.<br />

><br />

><br />

gridò.<br />


giudicarmi per quello che sono, perché non posso<br />

cambiare.>> risposi rimettendo la camicia, ma non gli<br />

occhiali.<br />

> sbraitò<br />

inviperita.<br />

Sarah se ne stava con le sue amiche a qualche metro di<br />

distanza a gustarsi la scena, magari aspettava che facessi<br />

un passo falso, che aggredissi Celine o qualcun altro, così<br />

avrebbe potuto rimarcare le sue ragioni. Capivo la sua<br />

collera, era stata aggredita, e non è una bella esperienza,<br />

ma non accettavo quell’accanimento nei miei confronti,<br />

che invece avevo solo cercato di aiutarla.<br />

> era sempre più difficile<br />

per me andare avanti perché sapevo che la rivelazione che<br />

l’avrebbe strappata per sempre da me stava per arrivare.<br />

><br />

Celine era immobile. Il macigno che avevo sorretto per<br />

tutto quel tempo le era appena cascato addosso<br />

trascinandosi dietro una valanga di cruda verità.<br />

292


iuscì a farfugliare<br />

confusa.<br />

><br />

> inorridì.<br />

> gridai.<br />

> chiese stanca dei miei continui<br />

tentativi di smentire tutte le sue certezze..<br />

> risposi sinceramente.<br />

> continuò.<br />

> ammisi con un bisbiglio.<br />

><br />

> esclamai, ><br />

><br />

><br />

> gridò isterica, portandosi le mani alle orecchie<br />

> era fuori di sé. Provai ad<br />

abbracciarla, ma mi respinse con una violenza<br />

impressionante > gridò.<br />

> le gridai di rimando


Ho visto morire degli amici per mano vostra e per poco<br />

non uccidevano anche me. Eravamo solo dei ragazzini con<br />

la testa piena delle tue stesse domande.<br />

Accusami di quello che vuoi, Celine, sono un assassino,<br />

sono crudele, sono spietato, quello che vuoi, ma non<br />

incolparmi di essere ciò che sono, perché non ho scelto di<br />

nascere così. Non ho scelto di trascorrere tredici anni della<br />

mia vita in un posto dove ti insegnano solo l’odio, la<br />

paura…Mi è stato imposto.>> conclusi con la voce rotta<br />

dal pianto.<br />

><br />

><br />

Tutto il trambusto che aveva avvolto per ore quell’edificio<br />

parve svanire all’improvviso inghiottito dalla disperazione<br />

che in quel momento si era accostata intorno a noi come<br />

una campana di vetro, impedendo a tutto quel dolore di<br />

fuggire lontano.<br />

Celine mi guardava interrogativa, ma non era più adirata,<br />

una calma a dir poco mostruosa si era impossessata di lei.<br />

Di colpo fui travolto da un terrore inspiegabile, mi passò<br />

davanti in un lampo tutta la mia vita, come un lunghissimo<br />

film. Rimasi lì immobile, incapace di qualsiasi gesto o<br />

parola. Sentivo solo delle taglienti lacrime sfregiarmi il<br />

viso e gli occhi mi bruciavano di un fuoco vivo e<br />

straziante. Riuscii a riprendermi da quello sconforto<br />

vegetativo solo quando Celine avvicinandosi mi abbracciò<br />

teneramente e mi lasciò buttare fuori tutto il dolore che<br />

avevo stupidamente represso.<br />

> le sussurrai.<br />

> rispose fredda ><br />

><br />

294


><br />

><br />

><br />

Non rispose.<br />

> dissi<br />

stringendola forte a me.<br />

Lei mi fissò un istante.<br />

Una parola soltanto!<br />

Mi salutò, in silenzio, con un pudico bacio sulle labbra,<br />

sotto lo guardo incredulo delle sue amiche, che ormai<br />

avevano smesso di farsi domande e si erano rassegnate a<br />

non capire.<br />

Io rimasi lì a guardarla andar via, come quella mattina a<br />

scuola, sicuro che fosse l’ultima volta che godevo della<br />

sua luce.<br />

Tornai alla macchina.<br />

Margherita era ferma da un ambulante poco distante. Salii<br />

ad aspettare che arrivasse. Volevo lasciare quel posto per<br />

sempre.<br />

Nell’attesa però potei ripensare a quello che era appena<br />

successo. Pensai allo sguardo deluso di Celine quando<br />

aveva saputo la verità. Pensai a tutto quello che aveva<br />

detto e anche alla pessima figura che avevo fatto.<br />

Pensai al pericolo che avevo corso palesandomi in quel<br />

modo, davanti a tutti. Eppure mi ero liberato da un enorme<br />

peso, avevo rivelato a Celine il mio grande segreto. Le<br />

avevo detto del contagio, ero libero da ogni obbligo nei<br />

suoi confronti, stava solo a lei in futuro decidere se voler<br />

convivere o no con quella consapevolezza. Dopotutto,<br />

295


salvandole la vita, le avevo dato almeno la possibilità di<br />

scegliere.<br />

Quando Margherita tornò in macchina mi vide più<br />

abbattuto di quanto lo fossi stato in casa negli ultimi giorni<br />

> chiese.<br />

><br />

> mormorò dandomi una pacca<br />

consolatoria sulla spalla.<br />

Trascorsi il resto del pomeriggio in casa. Margherita mi<br />

preparò qualcosa da mangiare e mi lasciò solo con i miei<br />

pensieri.<br />

Avrei tanto voluto che restasse a farmi un po’ compagnia,<br />

ma non glielo dissi … e lei non lo capì.<br />

Intorno alle 18:30 poi, tornò per aiutarmi con i bagagli,<br />

svuotò tutti i cassetti in un set di valigie e chiamò<br />

Domenico affinché le caricasse in auto.<br />

> domandò premurosa.<br />

><br />

risposi ammirando lo splendido panorama dalla vetrata del<br />

salotto. > esclamai ><br />

> chiese<br />

ancora.<br />

> sospirai.<br />

><br />

><br />

sussurrai fissando il vuoto che si estendeva davanti ai miei<br />

occhi.<br />

296


Saremmo partiti in perfetto orario, anche se l’aeroporto era<br />

stracolmo e impiegammo un po’ per il controllo dei<br />

bagagli.<br />

Attesi tutto il tempo un segno qualunque che mi facesse<br />

capire che sarei dovuto restare; sperai invano in un<br />

imprevisto che ci impedisse di partire; sperai di vedere<br />

arrivare all’ultimo minuto Celine, che correndomi incontro<br />

mi implorasse di non andare, ma queste sono scene che si<br />

vedono solo nei film e il mio non era un film, era un<br />

incubo. Nessuno venne a fermarmi.<br />

297


298<br />

28<br />

Il corridoio affollato della facoltà sembrava stringersi da<br />

entrambi i lati per schiacciare la mia corsa. L’esecutore di<br />

Lorenzo correva a una decina di metri da me, schivando<br />

gli studenti ammassati vicino le scale quasi come se<br />

potesse passarvi attraverso. Io dovevo farmi largo a<br />

spintoni per non perderlo di vista.<br />

Mi sarei aspettato che uscisse in cortile, invece afferrò al<br />

volo il corrimano della prima rampa di scale dell’ingresso<br />

e prese a salire i gradini di corsa senza il minimo sforzo.<br />

Io ero ancora molto debole e la facilità con cui si muoveva<br />

mi faceva infuriare. Lo inseguii fino al terzo piano, quasi<br />

deserto.<br />

> gridai, ma naturalmente non mi diede retta<br />

> dovetti fermarmi un<br />

istante a riprendere fiato, mentre il ragazzo saliva l’ultima<br />

rampa di scale.<br />

> avvisai. Il tetto terrazzato<br />

dell’edificio era frequentato spesso dagli studenti il<br />

periodo estivo, che ne approfittavano per prendere un po’<br />

di sole in compagnia, fra una pausa e l’altra. In inverno<br />

però, nessuno era tanto pazzo da esporsi al freddo<br />

pungente delle folate di vento del quarto piano.<br />

Ero chinato in avanti con una mano premuta stretta<br />

all’altezza della milza. Ero fuori allenamento e tre rampe<br />

di scale di corsa non erano l’ideale nelle mie condizioni.<br />

Nonostante tutto, presi qualche altra boccata d’aria e<br />

ricominciai a salire.<br />

> dissi calmo quando scorsi la sua<br />

figura affacciata al parapetto del terrazzo.<br />

Si voltò. Un ghigno vittorioso sulle labbra.


ipresi ><br />

Rise sguaiatamente, ma il suono della sua voce mi<br />

suscitava solo nervosismo ><br />

Mi accigliai.<br />

> rise ancora di gusto, poi tornò serio ><br />

><br />

Guardò di nuovo in basso, fra la folla in cortile.<br />

><br />

Di nuovo quel ghigno ><br />

> lo<br />

minacciai furioso.<br />

><br />

Si avvicinò di qualche passo. Credevo volesse affrontarmi<br />

subito, invece si voltò e prese la rincorsa per saltare oltre il<br />

parapetto.<br />

> Il grido mi uscì inconsciamente dalla gola.<br />

Lo vidi svanire nel nulla quand’era ancora a mezz’aria<br />

oltre la ringhiera.<br />

Un brivido mi fece venire la pelle d’oca. Il cuore<br />

impazzito dalla rabbia.<br />

Corsi al parapetto. Il branco era fermo in una porzione<br />

assolata del cortile. Denise era racchiusa al centro di<br />

quella barriera protettiva di corpi.<br />

299


Gridai dall’alto.<br />

Sollevò la testa a cercarmi.<br />

><br />

Non aspettai di sincerarmi che avesse sentito. Mi precipitai<br />

alle scale per raggiungere il cortile prima di Lui.<br />

Una delle caratteristiche principali dei poteri<br />

dell’esecutore è l’ubiquità. Il fatto di potersi trovare<br />

contemporaneamente in più posti diversi senza il reale<br />

bisogno di spostarsi fisicamente rendeva il loro lavoro più<br />

semplice e il mio, in quel momento, più snervante.<br />

C’ero cascato come l’ultima delle reclute. Avevo inseguito<br />

una porzione del suo spirito, mentre lui era chissà dove,<br />

pronto e in agguato per colpire la sua vittima alla prima<br />

occasione.<br />

Il cortile brulicava di studenti alla ricerca di un raggio di<br />

sole. Marco mi aveva sentito, o almeno, intuito il pericolo,<br />

perché quando raggiunsi la panchina che avevano<br />

accerchiato non c’erano più.<br />

Corsi al parcheggio e li trovai che si dividevano per<br />

raggiungere le macchine.<br />

L’esecutore ricomparve fra loro proprio mentre il branco<br />

si sparpagliava nel piazzale. Nessuno di loro avrebbe<br />

potuto vederlo, difenderla da lui.<br />

Con le ultime forze che mi erano rimaste, accelerai la<br />

corsa e con un salto le precipitai addosso rotolando con lei<br />

a terra sul lastricato bagnato dalla pioggia incessante degli<br />

ultimi giorni.<br />

Scomparve di nuovo, ma sentimmo tutti indistintamente la<br />

sua macabra risata riecheggiare nell’aria immota.<br />

Marco si chinò per sciogliere Denise dalla stretta delle mie<br />

braccia. Anche lei si era aggrappata a me nella caduta, e il<br />

terrore del momento, le impediva di mollare la presa,<br />

nonostante Marco la tirasse su per un braccio.<br />

300


Lo ignorai, carezzandole una guancia arrossata ><br />

> rispose con<br />

l’affanno nella voce. ><br />

> sbottò Marco ><br />

Denise cercò i miei occhi.<br />

Annuii.<br />

><br />

> continuò Marco ><br />

Mi rialzai, aiutandola a tirarsi su e a togliersi qualche<br />

foglia secca dal cappotto logoro ><br />

Afferrò Denise e la tirò a sé. Il Branco si ricompattò<br />

attorno a lei.<br />

><br />

Nicola avanzò verso di me, silenzioso, alle loro spalle.<br />

Erano tutti troppo concentrati su di me per accorgersi di<br />

lui.<br />

Marco le teneva stretto la mano ><br />

><br />

><br />

Scossi la testa, deluso dalla loro sciocca sicurezza.<br />

301


esclamò sicuro Nicola, la canna della<br />

pistola dritta contro le tempie di Denise.<br />

Sorrisi, ma era un sorriso amaro.<br />

Nicola abbassò l’arma, affiancandomi, mentre Marco<br />

fulminava con lo sguardo i propri compagni.<br />

><br />

> intervenne Nicola ><br />

Denise mi tese una mano, il terrore negli occhi ><br />

Marco le abbassò il braccio.<br />

><br />

Nicola scrutò alle nostre spalle. La ragazza era tornata > disse cupo ><br />

Sospirai ><br />

><br />

><br />

Il cellulare di Ivan mi squillò nella tasca. Risposi.<br />

Quando chiusi la comunicazione, Nicola mi guardò<br />

interrogativo.<br />

302


dissi ><br />

> rispose Nicola.<br />

> dissi guardando prima<br />

Nicola, poi Denise.<br />

Un gemito di terrore uscì dalla sua gola. Marco le strinse<br />

le braccia attorno alle spalle. Non l’avevo mai visto così<br />

premuroso nei suoi confronti.<br />

><br />

> chiese subito Marco.<br />

><br />

Marta fece un passo in avanti, ma Nicola le puntò la<br />

pistola contro, minaccioso. Arretrò infastidita, fino a<br />

sparire nel vicolo del dipartimento di Fisica.<br />

Marco mi fissava, indeciso. Lasciare a noi Denise e<br />

occuparsi dell’ambulante o sacrificare un Agente e<br />

sorvegliare Denise?<br />

Sapeva di potersi fidare di me. Ero sempre stato<br />

spudoratamente sincero.<br />

> disse.<br />

Nicola prese il cellulare dalla mia tasca e chiamò Ivan. Fu<br />

una telefonata breve. Mi restituì il telefono e disse


allontana mai dal quartiere. Non è in azione, è in<br />

appostamento.>><br />

> chiese Marco.<br />

><br />

Di male in peggio.<br />

><br />

Il branco taceva sconvolto.<br />

> chiesi a Marco.<br />

><br />

><br />

><br />

Gli tolsi Denise dalle braccia. Era talmente sconvolto che<br />

non oppose la minima resistenza. > ordinai a Nicola, senza togliere gli occhi da<br />

Marco, > ripresi, ancora più torvo ><br />

><br />

Mi strinsi nelle spalle con indifferenza ><br />

304


29<br />

Mio padre diede uno sfarzoso ricevimento per il mio<br />

ritorno a casa. Non l’avevo mai visto così entusiasta di<br />

riavermi a casa. Mi lasciò senza parole. Non era da lui<br />

comportarsi così. Riuscì perfino a farmi sentire in colpa<br />

con quell’inusuale manifestazione di gioia, perché io non<br />

ero assolutamente contento di essere tornato.<br />

In America avevo lasciato la parte più importante di me e<br />

difficilmente avrei potuto confidarlo a qualcuno lì.<br />

Se solo si fosse saputo che mi ero invaghito di una<br />

Comune, che l’avevo infettata per salvarle la vita; se solo<br />

avessero saputo com’erano andate a finire le cose tra noi,<br />

trasgredendo a tutte le regole fondamentali per la<br />

salvaguardia della mia gente… …non osavo neanche<br />

immaginare cosa sarebbero stati capaci di fare.<br />

Era inaccettabile un comportamento simile, perché<br />

avrebbe potuto mettere in pericolo l’intera comunità se<br />

qualcosa fosse andato storto.<br />

Effettivamente io non sapevo cosa mai Celine o le sue<br />

amiche avrebbero potuto fare. Se potevo mettere una mano<br />

sul fuoco sul comportamento di Celine, non potevo farlo<br />

per quello di Sarah e delle altre ragazze.<br />

Mi resi conto solo in Italia del guaio che avevo combinato.<br />

Se qualcuna avesse parlato, se avessero rivelato alle<br />

Autorità tutto quello che sapevano sul mio conto, non<br />

avrei mai più potuto mettere piede in America e<br />

ipoteticamente, per quanto ne sapevo, col mio gesto insano<br />

avrei potuto aver scatenato una reazione a catena che<br />

avrebbe portato alla cattura e allo sterminio di tutta la mia<br />

gente, che ignara di tutto si lanciava, senza timore alcuno,<br />

tra le grinfie del Clan.<br />

305


Iniziai a tormentarmi con questi pensieri. Non riuscivo a<br />

dormire, a mangiare, avevo un peso sullo stomaco che mi<br />

impediva qualunque gesto.<br />

Sentivo il forte desiderio di confidare a qualcuno i miei<br />

problemi, ma il terrore di una qualche reazione violenta –<br />

sebbene mi meritassi il peggiore dei castighi -, mi<br />

impietriva la mente.<br />

Parlare con mio padre era fuori discussione, ma con che<br />

coraggio avrei potuto rivelare a mio nonno quello che<br />

avevo fatto? Specie dopo tutte le raccomandazioni che mi<br />

aveva fatto durante il suo soggiorno in America. Mio zio<br />

poi… avevo troppo timore di lui per confidargli un torto<br />

simile. Per farmela pagare mi avrebbe denunciato<br />

personalmente al Gran Consiglio degli Ancharos e lasciato<br />

che fossero loro a decidere del mio destino.<br />

Non avevo bisogno di incontrarli per conoscere il verdetto.<br />

Le accuse su di me erano pesanti: manifestazione diurna,<br />

contagio non autorizzato e rivelazione in pubblica piazza.<br />

Verdetto? Tortura. Nel caso si fosse sparsa la voce<br />

dell’accaduto al centro commerciale invece, l’accusa<br />

peggiorava e modificava la sentenza in una condanna a<br />

morte.<br />

Ero rimasto troppo scottato dalle torture all’Ancharos, non<br />

avrei mai sopportato l’idea di rivivere una sola di quelle<br />

sevizie. Eppure non credevo davvero che mio nonno fosse<br />

capace di denunciarmi al Gran Consiglio senza aver prima<br />

provato a risolvere la questione a modo suo, certo era che,<br />

se l’avesse saputo, non avrebbe chiuso entrambi gli occhi.<br />

Mi avrebbe punito ed ero troppo consapevole di quanto<br />

fosse capacissimo di infliggere dolore al prossimo, quando<br />

voleva, senza badare troppo al grado di parentela.<br />

Da che lo conosco ha sempre predicato biblicamente il<br />

detto:<br />

306


“Chi sbaglia deve pagare.”<br />

E a me non andava di pagare solo per avere la colpa di<br />

essermi innamorato.<br />

Tenni tutto per me quindi.<br />

Tuttavia, il rimorso mi divorava vivo. Dovevo<br />

assolutamente sapere come stavano effettivamente le cose<br />

a New York.<br />

Avevo solo un modo per saperlo: dovevo parlare con<br />

Celine.<br />

Credevo si rifiutasse di rispondere alla mia telefonata,<br />

infatti, mi ero preparato a quell’eventualità, anche se non<br />

sarebbe servito. Sono così cocciuto che non avrei<br />

rinunciato finché non fossi riuscito a parlarle.<br />

Mi stupii la sua reazione nel sentirmi.<br />

> mi<br />

chiese.<br />

> risposi agitato.<br />

Ma dove è finito il tuo sangue freddo?<br />

Rimanemmo qualche minuto in silenzio. Ero<br />

tremendamente impacciato, non riuscivo a dire niente e il<br />

suo ritmico respiro dall’altra parte mi faceva impazzire.<br />

> disse per rompere il<br />

ghiaccio.<br />

> farfugliai.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

307


cercai di<br />

spiegare.<br />

> continuò un<br />

po’ alterata.<br />

><br />

> gridò.<br />

> risposi.<br />

><br />

><br />

><br />

> risposi.<br />

> sbraitò.<br />

> risposi<br />

irritato. ><br />

> gridò ><br />

308


Sì, sì, e ancora sì. Mi sono posto tutte queste domande e la<br />

risposta è stata sempre la stessa: Non mi importa, purché<br />

viva.<br />

> strillai.<br />

> esclamò piena di rabbia.<br />

><br />

><br />

><br />

urlai.<br />

Riprese un lunghissimo silenzio, rotto, poi, da un<br />

inconsolabile pianto di lei.<br />

> singhiozzò. ><br />

><br />

> chiese confusa.<br />

> spiegai.<br />

><br />

><br />

Egoista!<br />

><br />

><br />

><br />

309


isposi sincero.<br />

><br />

><br />

> puntualizzò.<br />

> chiesi calmo.<br />

Silenzio.<br />

><br />

><br />

Appunto!<br />

><br />

> mi implorò.<br />

><br />

> sospirò delusa.<br />

><br />

Si concluse così la nostra telefonata, con un misero “ Ok ”.<br />

Ci sentimmo ancora quella settimana. Riuscii a chiamarla<br />

un paio di volte.<br />

310


Le inviai un finto pacco con all’interno una lettera in cui le<br />

spiegavo dettagliatamente tutto ciò che a telefono non<br />

potevo dirle. Le spiegai cosa significasse essere un<br />

Ancharos, le differenze con i Comuni, le similitudini e le<br />

enormi discrepanze con il falso mito del… Sicario. Cercai<br />

di non tralasciare niente e nello stesso tempo cercai di<br />

rendere il tutto meno spaventoso possibile.<br />

Non so come avrei reagito io se mi fossi trovato al suo<br />

posto. Di certo sarei rimasto shockato.<br />

Per fortuna Celine non aveva ancora trovato il coraggio di<br />

dirlo ai suoi > mi disse.<br />

><br />

Tra una telefonata e l’altra arrivò giugno. Le cose tra noi<br />

andavano bene, non la sentivo più distaccata e fredda<br />

come le prime volte. Le telefonate erano tranquille e più<br />

passava il tempo più aspettare di poterla sentire diventava<br />

un tormento.<br />

Mi persi anche il ballo di fine anno quel mese ><br />

confessò.<br />

Mi persi la consegna del diploma ><br />

singhiozzò.<br />

Mi persi il suo diciottesimo compleanno > mi rispose quando le chiesi se<br />

avrebbe trascorso la giornata con gli amici.<br />

Mi stavo perdendo gli eventi più importanti della sua vita<br />

e questo mi faceva sentire tremendamente male.<br />

Anche giugno passò e luglio non iniziò nel migliore dei<br />

modi. Quando la chiamavo trovava sempre una scusa per<br />

non parlarmi. Le telefonate terminavano dopo massimo<br />

dieci minuti e non mi raccontava più nulla di come<br />

311


passasse le giornate. Non mi chiedeva mai come andassero<br />

le mie.<br />

La sentivo allontanarsi sempre di più e non potevo fare<br />

niente per cambiare le cose.<br />

Quando mi parlava era sempre agitata e a nulla servivano i<br />

miei continui tentativi di spronarla a dirmi quale fosse il<br />

problema che la rendesse così.<br />

La stavo perdendo e quella volta per sempre.<br />

Non potevo più restare in Italia con le mani in mano, ma<br />

non potevo neanche tornare in America: c’era stato un po’<br />

di tafferuglio con gli Agenti negli ultimi mesi, ma nulla<br />

che avesse a che vedere con me.<br />

Stavo impazzendo!<br />

L’ultima volta che la sentii fu molto dura, mi disse che<br />

andava tutto bene, che aveva avuto modo di pensare e che<br />

si era accorta che, dopotutto, non le importava poi molto<br />

che non fossi presente nella sua vita ><br />

Credo che in quel momento se mi avessero accoltellato<br />

non avrei avvertito lo stesso dolore che avevo provato nel<br />

sentirla pronunciare quelle parole.<br />

Era tipico di Celine: un istante prima si lasciava desiderare<br />

fino alla follia, l’attimo dopo ti gettava via come uno<br />

straccio vecchio.<br />

Quell’atteggiamento mi scombinava il sistema nervoso.<br />

Non sapevo mai come prenderla e qualunque direzione<br />

scegliessi sarebbe sempre stato il sentiero sbagliato.<br />

Quando provai a richiamarla giorni dopo, per chiarire, si<br />

fece negare. Si fece negare anche il giorno dopo e quello<br />

dopo ancora, per più di una settimana, finché, stanco di<br />

farmi prendere in giro, smisi di cercarla.<br />

312


Aveva scelto di voltare pagina, aveva deciso di<br />

depennarmi dal romanzo della sua vita ed io non potei fare<br />

altro che farmi da parte.<br />

Ci stetti male, è vero, ma il tempo e la lontananza<br />

riuscirono ad affievolire quel dolore.<br />

Ripresi a fare la mia vita di sempre. Tornai a frequentare i<br />

miei vecchi amici, ricominciai a fare il Signor Renzi a cui<br />

era permesso fare tutto ciò che voleva in quanto tale e<br />

ripresi a snobbare la gente normale e a diffidare della loro<br />

ipocrita amicizia.<br />

Passavo da un party all’altro senza remore, iniziai a<br />

frequentare i pezzi grossi della nostra comunità e mi gettai<br />

sulla lettura per tenere la mente occupata in qualcosa che<br />

mi piaceva davvero. Anche se il mio passatempo preferito<br />

rimaneva sempre e comunque mandare fuori di testa mio<br />

padre, sfidandolo di continuo ad affrontarmi e dirmi<br />

finalmente quello che pensava davvero di me. Volevo<br />

sentirmi dire che mi odiava, perché era questo che avevo<br />

sempre pensato che provasse per me: Odio, disprezzo.<br />

Facevo di tutto per avere ogni attimo della giornata<br />

impegnata, facevo di tutto per non pensare, ma quel<br />

dolore, che credevo fosse svanito dal mio cuore, si era solo<br />

nascosto in qualche angolo, pronto a riaffiorare nei<br />

momenti più impensabili.<br />

Anche agosto volò via e trascinò con sé gli ultimi brandelli<br />

d’estate rimasti. Era un mese e mezzo che non avevo<br />

notizie di Celine e ogni volta che vedevo un telefono mi<br />

assaliva un’angoscia che mi impediva perfino di respirare.<br />

Non sopportavo l’idea di essere stato scaricato a quel<br />

modo, senza una spiegazione. Se davvero non voleva più<br />

vedermi doveva dirmelo in faccia, doveva guardarmi negli<br />

occhi mentre lo diceva.<br />

Una mattina comunicai a mio padre l’intenzione di voler<br />

tornare a New York, ma non fu facile come la prima volta<br />

313


convincerlo. I pattugliamenti degli Agenti si erano<br />

intensificati nelle ultime settimane. Era preoccupato per<br />

me, ma sotto sotto credo che volesse farmela pagare per il<br />

supplizio che gli avevo fatto passare per tutta l’estate.<br />

Come se il caldo afoso non fosse già abbastanza.<br />

> rispose adirato.<br />

><br />

> insisté.<br />

><br />

> chiese.<br />

><br />

> s’impuntò.<br />

> sbottai.<br />

> rispose.<br />

Effettivamente aveva ragione, ogni centesimo che avevo<br />

veniva fuori dal suo conto in banca, di mio non possedevo<br />

ancora niente.<br />

> provai ad insistere, ma fu<br />

irremovibile.<br />

Dovevo partire, dovevo tornare a New York a tutti i costi,<br />

ma non potevo farlo senza il suo aiuto e non avrei neanche<br />

potuto provare a scappare, perché mi avrebbe scandagliato<br />

contro il suo esercito di gorilla, che in un attimo mi<br />

avrebbero riportato indietro, e in quel caso avrei dovuto<br />

affrontare da solo la sua furia.<br />

Dovevo convincerlo a lasciarmi andare e l’unico modo per<br />

farlo era far breccia sul suo orgoglio.<br />

314


Il mese di settembre fu un vero inferno per lui. Mi rifiutai<br />

categoricamente di partecipare ai ricevimenti ufficiali che<br />

organizzava in villa, di presenziare ai convegni con le Alte<br />

Cariche del nostro governo e, se partecipavo, facevo in<br />

modo di risultare decisamente sgradevole e indisponente.<br />

Mi dilettavo nel farlo uscire dai gangheri, non ci dormivo<br />

per pensare a come fare.<br />

Volevo metterlo nella situazione di accettare qualunque<br />

mia richiesta pur di smetterla con quel comportamento.<br />

Fu più dura del previsto farlo cedere, ma la goccia che<br />

fece traboccare il vaso fu una notte in cui aggredii<br />

Gabriella, la figlia del Presidente del suo circolo privato.<br />

Non fu né la prima né l’ultima.<br />

Il Signor Mantovani però non gradì molto e mio padre fu<br />

costretto a sborsare molto denaro per mettere a tacere<br />

l’accaduto.<br />

Il mio atteggiamento aveva superato ogni limite, me ne<br />

accorsi perché, dopo il fallimento di mio padre e mio<br />

nonno, mio zio si sentì costretto a prendere in mano la<br />

situazione.<br />

> sbraitò una sera.<br />

Ammetto d’aver avuto paura in quel frangente, non lo<br />

avevo mai visto così imbestialito.<br />

Mio padre poi, affondò il colpo di grazia > strillò ><br />

315


Non risposi a quel rimprovero e lui sentì la mia paura, mi<br />

vide tremare sotto le sue urla e ne approfittò per riprendere<br />

il controllo che inspiegabilmente gli era scivolato dalle<br />

mani.<br />

Avevo perso ancora, cominciai perfino a credere di non<br />

poter vincere contro di lui.<br />

Dopo quella strigliata fui costretto ad abbassare le armi,<br />

non mi punì come mi sarei aspettato, anche se un paio di<br />

ceffoni mentre gridava mi arrivarono. Organizzò però un<br />

party in villa e invitò tutta la comunità, obbligandomi a<br />

fare le mie pubbliche scuse a tutti.<br />

Fu umiliante, anche se effettivamente non mi era piaciuto<br />

fare quello che avevo fatto, specie alla povera Gabriella<br />

Mantovani, che cercò di evitarmi terrorizzata per tutta la<br />

serata.<br />

Passai le tre settimane successive chiuso in camera mia per<br />

punizione. Avevo due guardie armate fuori la porta, che<br />

non mi permettevano neanche di scendere per parlare con<br />

mio padre, anche perché lui aveva dato disposizioni di non<br />

volermi tra i piedi fino a nuovo ordine.<br />

Furono le tre settimane più tormentose di tutte.<br />

Intanto Novembre aveva preso a calci ottobre,<br />

imprigionandosi in città con catene di fitta nebbia scura.<br />

Quando finì il mio periodo di punizione chiesi il permesso<br />

di uscire a fare due passi in centro. Mio padre acconsentì,<br />

non troppo convinto, ma acconsentì.<br />

Presi la macchina e andai a trovare Margherita che da<br />

qualche giorno non si presentava a lavoro a causa di una<br />

fastidiosa influenza.<br />

Quando suonai alla porta venne ad aprirmi in vestaglia,<br />

con i capelli arruffati e il viso arrossato dalla febbre.<br />

316


Appena mi vide, per l’imbarazzo, cercò di darsi una<br />

sistemata > si giustificò.<br />

><br />

><br />

><br />

> esclamò ><br />

><br />

> chiese ironica.<br />

><br />

> esclamò<br />

aprendo una porta e facendo segno di accomodarmi in<br />

salotto.<br />

><br />

><br />

> risposi.<br />

Rimasi a sentirla parlare per più di un’ora e il succo della<br />

storia fu che mi ero fermato al primo gradino, o meglio,<br />

317


avevo salito la prima rampa a piedi ed ero arrivato fino in<br />

cima con un ascensore.<br />

Non mi fu d’aiuto parlare con lei, era una donna<br />

eccezionale e le volevo un gran bene, ma quando dava un<br />

consiglio riusciva sempre a farmi sentire peggio.<br />

Tornai a casa molto confuso. Riuscivo solo a pensare alla<br />

valanga di concetti strani che mi aveva inculcato in testa.<br />

Per poco non investivo un passante tanto ero distratto e<br />

assorto nei miei pensieri.<br />

Effettivamente, ero abituato a ottenere tutto quello che<br />

volevo, senza difficoltà. Il benessere mi faceva da scudo, e<br />

il fatto di sentirmi impotente nei confronti di quel<br />

sentimento… il fatto di non poter comprare col denaro<br />

l’amore di Celine, mi scombussolava.<br />

Se prima di parlare con Margherita mi ero rassegnato<br />

all’idea di non tornare, almeno per il momento, a New<br />

York, dopo averlo fatto ero più che mai deciso a partire.<br />

318


30<br />

> mi chiese Nicola quando montai<br />

in macchina al posto del guidatore.<br />

Finché Ivan fosse riuscito a distrarre Davide impedendogli<br />

di trovare la giusta concentrazione per agire mediante lo<br />

spirito, eravamo in una posizione di vantaggio. Nicola si<br />

sarebbe occupato di Marta, e il tempo che mi concedevano<br />

dovevo farmelo bastare per elaborare un piano.<br />

Denise non diceva niente, ma le si leggeva in faccia lo<br />

spavento che le soffocava le parole in gola.<br />

><br />

> chiese preoccupato.<br />

><br />

><br />

Strinsi forte i pugni attorno al volante ><br />

> ribatté ><br />

Misi in moto ><br />

Scese dalla macchina ><br />

><br />

Annuì, dando una tenue spinta allo sportello, che si chiuse<br />

dolcemente.<br />

319


Innestai la retromarcia per lasciare il parcheggio, ma prima<br />

di dare gas, mi sfilai dal collo un cordoncino d’oro dal<br />

quale pendeva un medaglione circolare: Un dischetto di<br />

tormalina nera - inciso lungo il bordo da una formula in<br />

Peres -, con una sfera di cristallo di rocca incastonata al<br />

centro.<br />

> le ordinai.<br />

><br />

><br />

><br />

Non risposi. Mi immisi sulla strada per riportarla a casa.<br />

> disse ancora ><br />

Le dita strinsero di nuovo il volante. Il piede spinse<br />

sull’acceleratore. ><br />

><br />

Non mentirmi.<br />

><br />

> cercavo di sembrare tranquillo, ma<br />

si sentiva il nervosismo nella mia voce.<br />

><br />

><br />

> si lasciò cadere contro lo<br />

schienale del sedile posteriore, incrociando le braccia al<br />

petto.<br />

320


Sbuffai ><br />

Seguì un lungo silenzio. Riprese a parlare solo quando<br />

svoltai sulla Ugo Foscolo ><br />

> risposi brusco.<br />

> disse dura ><br />

><br />

Si aggrappò al mio sedile, avvicinando la bocca al mio<br />

orecchio ><br />

Fermai la macchina bruscamente. Non volevo credere a<br />

quello che avevo appena sentito. ><br />

> osservò.<br />

><br />

><br />

Mi alterai un po’ ><br />

><br />


medaglione con la forza da qualcun altro. I comuni non<br />

sono soggetti al suo schermo protettivo.>><br />

Scesi e andai dall’altra parte per aprirle lo sportello ><br />

><br />

><br />

><br />

> il nervosismo e<br />

l’odio verso suo padre cresceva. Infatti, potevo già<br />

avvertire sulla pelle piccole scosse elettrice provenire dal<br />

medaglione. Indietreggiai di un paio di passi. ><br />

><br />

> gridai. Una scossa molto più<br />

forte mi spinse ancora più indietro.<br />

Uno degli Agenti uscì dal furgone.<br />

Denise lo vide e scese velocemente. Sollevò una mano<br />

verso di lui, per tranquillizzarlo.<br />

322


Aggirai l’auto da dietro per tornare alla guida. > le ordinai prima di mettere in moto e<br />

andare via da lì.<br />

> chiesi a Nicola, stringendo il cellulare<br />

quasi a volerlo stritolare con la sola forza della mano.<br />

<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Lasciai cadere il cellulare sul sedile accanto. Avevo il<br />

disperato bisogno di scaricare il nervosismo che mi<br />

circolava ancora nelle vene dalla sera dell’aggressione.<br />

Niente di meglio di una corsa fuori programma.<br />

323


Vediamo cosa sapete fare.<br />

Con un’inversione suicida passai sull’altra corsia puntando<br />

dritto al quartiere nemico. Da zero a cento in un lampo,<br />

sfrecciai attraverso il quartiere trascinandomi dietro<br />

almeno quattro pattuglie, che seminai una dopo l’altra fino<br />

a perdermi del tutto alla loro vista quando imboccai la<br />

superstrada affollata.<br />

Guidai per ore. Mi aiuta a pensare quando sono<br />

preoccupato oppure ho bisogno di un’idea. L’unica idea<br />

che sembrava degna di considerazione nel mio caso,<br />

tuttavia, appariva anche come la più assurda da mettere in<br />

atto: trovare un Rinnegato che annullasse la sentenza di<br />

Lorenzo.<br />

È più probabile che nella ricerca trovi il Sacro Graal.<br />

Erano le sei e mezzo di sera. Ero ancora in strada diretto<br />

verso casa. Un’unica speranza nel cuore: che i miei amici,<br />

meno coinvolti di me, avessero la mente più leggera, per<br />

elaborare un piano alternativo al mio. Accelerai per<br />

arrivare prima di loro. Se ero fortunato avrei anche avuto il<br />

tempo di farmi una doccia.<br />

324


31<br />

Affrontai mio padre come mai avevo fatto prima. Entrai<br />

violentemente nel suo ufficio e gli riversai contro tutta la<br />

mia rabbia.<br />

><br />

Mio padre se ne stette in silenzio tutto il tempo ad<br />

ascoltare. Non tentò neanche di zittirmi, come faceva di<br />

solito. Se ne stava seduto dietro la sua lussuosa scrivania<br />

con una penna tra le dita, fissandomi con occhi attenti.<br />

Quando mi accorsi che non batteva ciglio, che tutto quel<br />

mio urlare non gli smuoveva un capello, smisi di parlare,<br />

ormai rassegnato alla mia ennesima sconfitta.<br />

325


esordì con una calma raggelate.<br />

> sbuffai voltandomi per lasciare<br />

l’ufficio.<br />

> disse serio, ed io obbedii, come sempre.<br />

Mi guardò ancora a lungo, poi iniziò a fare no con la testa.<br />

><br />

><br />

> mi sgridò. > continuò. > confessò > continuò alzando sempre di più il tono di<br />

voce > strillò. > Era davvero furioso, anche più<br />

dell’ultima volta.<br />

> chiesi offeso.<br />

><br />

326


replicai.<br />

> strillò ><br />

> risposi<br />

deluso, incurante di quello che diceva.<br />

><br />

Stefano ultimamente non gli dava meno problemi di me. A<br />

Londra si era mischiato a un gruppo di teppisti ed era stato<br />

costretto a farlo rientrare prima che potesse commettere<br />

qualche sciocchezza.<br />

> precisai.<br />

><br />

sbuffò.<br />

><br />

> gridò.<br />

> dissi alzandomi per raggiungere la porta.<br />

> esclamò un attimo prima che<br />

uscissi.<br />

Rimasi di ghiaccio dopo quell’affermazione. Un brivido<br />

gelido mi risalì per la schiena, drizzandomi la scarsa<br />

peluria sul corpo.<br />

> chiesi incredulo ><br />

327


confermò. ><br />

> chiesi calmo.<br />

><br />

> chiesi ancora.<br />

><br />

><br />

> rispose ironico.<br />

Telecamere?<br />

><br />

><br />

> dissi impaziente.<br />

> confessò.<br />

Non impiegai molto a fare due conti, era novembre,<br />

eravamo stati insieme a maggio,...<br />

> mi tremava la voce.<br />

> chiese serio, ma non gli risposi.<br />

Celine aspettava un bambino. Celine aspettava un figlio da<br />

me. Perché allora non me lo aveva detto? Perché invece di<br />

chiedermi di tornare aveva preferito allontanarmi? Non<br />

capivo.<br />

Afferrai il cellulare sul comodino. Oltre alla voce mi<br />

tremavano le mani, tremavo tutto a dire il vero. Volevo<br />

parlarle assolutamente. Non mi fidavo molto di mio padre,<br />

forse aveva inventato tutto per spaventarmi e tenermi<br />

lontano da lei.<br />

Rispose sua madre a telefono ><br />

la salutai calcolando il fuso orario. > chiesi garbato.<br />

328


> insistei.<br />

><br />

> esclamai interrompendola.<br />

><br />

><br />

> domandò<br />

incredula.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Non è possibile. Non può essere vero. Non può avermelo<br />

tenuto nascosto. Perché avrebbe dovuto? Che senso aveva<br />

punirmi così?<br />

Quando provai a richiamare, come promesso, Linda<br />

convinse Celine a parlare con me.<br />

> furono le sue prime parole. Un<br />

iceberg!<br />

> risposi nervoso per<br />

quella freddezza.<br />

><br />

><br />

><br />

329


chiesi confuso.<br />

><br />

><br />

> sbottò.<br />

> ma che assurdità era mai questa?<br />

Scoppiai a ridere > le chiesi ancor prima di rendermi conto<br />

che conoscevo già la risposta.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> esclamò fredda.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Ero arrabbiatissimo. Qualcuno aveva cercato di sabotarmi<br />

e non mi fu difficile immaginare chi fosse stato.<br />

><br />

><br />

><br />

330


><br />

><br />

> mi alterai.<br />

><br />

> gridai ><br />

> esclamò alterata, ma con la voce<br />

tremante.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

331


><br />

><br />

Rimase in silenzio qualche minuto. Sentivo batterle il<br />

cuore dalla cornetta, tanto pulsava forte. Sentivo i suoi<br />

respiri lenti e profondi, la sentivo tremare.<br />

Il tempo passava e nessuno sembrava avere il coraggio di<br />

rompere quel silenzio insopportabile, ma alla fine fu lei a<br />

farlo, come tutte le volte che non sapevo cosa dire > mi chiese con un’espressione talmente<br />

dolce da farmi rabbrividire.<br />

><br />

> mi implorò.<br />

Le promisi che sarei partito nella mattinata. Erano le quasi<br />

le 4:00 e avrei avuto giusto il tempo di preparare le mie<br />

cose e prenotare il volo delle 6:00. Margherita era stata<br />

tanto cortese da prestarmi i soldi per il viaggio.<br />

Mentre mi aggiravo frenetico per casa, incrociai mio padre<br />

che rientrava con Beatrice da una delle loro nottate<br />

mondane. > mi chiese<br />

incuriosito.<br />

> risposi scortesemente senza neanche guardarlo<br />

o fermarmi per rispondere.<br />

><br />

> ringhiai.<br />

><br />

332


sbuffai.<br />

><br />

chiese impressionato dalla mia determinazione.<br />

> risposi sincero dopo averci pensato un<br />

istante.<br />

> chiese serio.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Beatrice lo colpì con una manata sulla spalla ><br />

Sospirò scuotendo la testa ><br />

><br />

> disse rassegnato.<br />

> risposi calmo.<br />

><br />

><br />

><br />

Sapevo che non mentiva in proposito alle cattive ><br />

L’aereo privato fu pronto per le 5.30, mio padre mi<br />

accompagnò personalmente all’aeroporto. Mi fece le sue<br />

333


solite raccomandazioni. Mi disse tante di quelle cose<br />

prima di decidersi a farmi salire a bordo, da ricordarle<br />

appena, ma mai mi sarei aspettato che mi chiedesse scusa<br />

per il suo comportamento.<br />

> confessò > e mi diede un buffetto sulla nuca.<br />

Non rimpiangerò mai d’averlo abbracciato prima di<br />

partire, non lo avevo mai fatto prima.<br />

Quando atterrai a New York, Celine era all’aeroporto ad<br />

aspettarmi. L’avevo avvertita che sarei arrivato quel<br />

pomeriggio.<br />

Aveva un pancino delizioso. Quando mi vide scendere mi<br />

corse incontro e mi abbracciò teneramente. Nei suoi occhi<br />

non c’era un solo granello del rancore passato. Era<br />

bellissima, più di quando l’avessi lasciata.<br />

> le sussurrai un attimo prima di baciarla<br />

tradussi poi.<br />

> mi zittì stringendomi<br />

ancora più forte ><br />

Stemmo insieme tutto il giorno.<br />

Le chiesi se avesse avuto problemi con le sue amiche dopo<br />

quel pomeriggio al centro commerciale; le chiesi se avesse<br />

avuto problemi con la gravidanza; le chiesi come avevano<br />

preso la notizia i suoi genitori e mi rassicurò in tutti e tre i<br />

casi.<br />

Le sue amiche non avevano sparso in giro la notizia, anche<br />

perché, sapendo che lei sarebbe diventata una di noi un<br />

giorno, non volevano metterla in pericolo.<br />

334


La gravidanza procedeva bene e i suoi genitori, dopo i<br />

primi giorni di panico, in cui suo padre non desiderava<br />

altro che avermi fra le mani, avevano accettato la cosa,<br />

magari non la condividevano a pieno, ma l’avevano<br />

accettata senza ostacolarla nelle sue scelte.<br />

Per quanto riguardava il mio essere Ancharos, non gliene<br />

aveva parlato, non li riteneva in grado di capire e preferiva<br />

tenerli all’oscuro di tutto.<br />

Le promisi che dopo la nascita del bimbo l’avrei messa<br />

nelle condizioni di andare all’università e di realizzare il<br />

suo sogno, ma la misi anche al corrente che per il bene del<br />

bambino saremmo dovuti tornare tutti e tre in Italia. Mi<br />

aspettavo una reazione violenta da parte sua, invece,<br />

acconsentì senza repliche.<br />

> disse.<br />

Non volevo più perdermi niente che la riguardasse.<br />

><br />

Il suo sì fu il bacio più intenso che mi avesse mai dato.<br />

Mi sentivo straordinariamente felice e allo stesso tempo<br />

terribilmente in ansia. Avevo il terrore che tutta quella<br />

felicità, un giorno, mi si rivoltasse contro.<br />

Linda e il Signor Madison non si opposero al trasferimento<br />

di Celine a casa mia, dopotutto aspettava un figlio da me.<br />

Cos’altro avremmo potuto fare che non avessimo già fatto.<br />

Passammo dei giorni stupendi insieme. Andavamo a<br />

passeggiare nel parco, la accompagnavo in giro per<br />

negozi: l’arrivo del bimbo era imminente, avevamo ancora<br />

tante cose da acquistare prima della sua nascita.<br />

La prima volta che l’accompagnai in ospedale per i<br />

controlli e potei assistere a una delle ultime ecografie, fu<br />

un’esperienza indimenticabile.<br />

La sera uscivamo regolarmente, la portavo ogni sera in un<br />

ristorante diverso. La portavo al cinema tutte le volte che<br />

335


proiettavano un film che potesse piacerle. La portavo a<br />

teatro e alle mostre nei musei più illustri di Manhattan. La<br />

ricoprivo di doni e non riuscivo a smettere di desiderarla<br />

ogni giorno di più. Ero infatuato del suo essere, non<br />

riuscivo a immaginare di poterle stare lontano per un solo<br />

giorno. Era tutta la mia vita e, grazie a lei, quella vita<br />

cominciava perfino a piacermi.<br />

Col passare del tempo iniziò a non impressionarsi più del<br />

fatto che potessi scorgere un’anima errante qua e là. I miei<br />

poteri si rafforzavano e mi capitava di tanto in tanto di<br />

vedere già qualcosa, anche se non ero ancora in grado di<br />

interagire in alcun modo con loro. Io cercavo di far finta di<br />

niente quando mi succedeva in sua presenza, ma era<br />

un’esperienza nuova anche per me e non sempre riuscivo a<br />

non sorprendermi o sobbalzare alla vista improvvisa di un<br />

estraneo in camera da letto, in bagno o in giro per casa,<br />

anche se sapevo che non sarebbe passato tanto tempo<br />

prima che anche lei iniziasse a vederli.<br />

Arrivò anche dicembre. Avevo solo vent’anni, mi sentivo<br />

già così grande eppure ero ancora così piccolo. Ero<br />

cresciuto in fretta, ero stato costretto a farlo e solo allora<br />

mi resi conto di quanto avessi bruciato le tappe. Di certo<br />

non avrei voluto che mio figlio facesse la mia stessa vita.<br />

Sarebbe stato un Ancharos, ma non per questo avrebbe<br />

dovuto saggiarne gli effetti collaterali. Gli avrei insegnato<br />

io tutto quello che c’era da sapere, senza bisogno di collegi<br />

o diavolerie varie.<br />

Quel mese passammo anche il nostro primo Natale<br />

insieme. Il mio primo vero Natale.<br />

Decidemmo di comune accordo di far battezzare il<br />

piccolo, di sposarci in chiesa come aveva sempre<br />

desiderato e di rispettare tutti i dogmi imposti dalla<br />

religione Cristiana, a cui i suoi genitori erano tanto devoti.<br />

Scegliemmo il reverendo Collins, il mio caro Reverendo,<br />

336


per officiare i riti. Prima di tutti, il matrimonio. Lo facevo<br />

per lei, non per me. Io non sentivo il bisogno di un<br />

documento per sentirmi suo. Ci appartenevamo a<br />

prescindere, condividevamo una parte di anima, dopotutto.<br />

Decidemmo di sposarci prima della nascita del piccolo,<br />

perché volevamo che già dal suo primo giorno di vita<br />

sapesse che aveva una famiglia che lo adorava e che<br />

avrebbe fatto di tutto pur di proteggerlo dalle grinfie dei<br />

malvagi.<br />

Ne parlammo con i suoi genitori prima che, se pur<br />

consigliatoci di aspettare, alla fine ci diedero il loro<br />

benestare.<br />

Anche la mia famiglia acconsentì senza repliche, al di<br />

fuori di ogni mia più tetra aspettativa.<br />

La cerimonia fu molto intima ma lussuosa e sgargiante,<br />

oltre alla sua famiglia e a qualche suo amico non cera<br />

nessun altro.<br />

Io non conoscevo nessuno in America all’infuori del suo<br />

mondo.<br />

Quando il Signor Madison accompagnò Celine all’altare<br />

sentii una fitta lancinante che mi spezzò il cuore in tante<br />

briciole insignificanti. Ero solo, anche in quel frangente<br />

non c’era nessuno che gioisse per me. Gli invitati gioivano<br />

con me, ma non per me.<br />

I miei avevano preferito non rischiare. Diventava ogni<br />

giorno più pericoloso trattenersi in città. Gli Agenti del<br />

Clan stavano rastrellando le strade sparando a vista contro<br />

i nostri. Solo quel mese avevano ucciso più di vent’otto<br />

Ancharos.<br />

Ci sposammo in gennaio, Celine aveva il pancione sempre<br />

più gonfio, pareva in procinto di esplodere da un momento<br />

all’altro, ma era deliziosa come sempre.<br />

337


Non capendone niente di gravidanze le proposi di passare<br />

gli ultimi giorni a casa sua, con sua madre. Saremmo stati<br />

tutti più tranquilli almeno.<br />

Io restai a casa nostra, misi una scusa banale per non<br />

seguirla, ma quei pochi giorni senza di lei furono eterni.<br />

Ricordo quando me la vidi arrivare a casa nel cuore della<br />

notte, avvolta in un pigiamone di flanella verde con un<br />

sacco di mucchette disegnate, che saltellavano qua e là per<br />

il prato. Era tenerissima.<br />

Aveva guidato da sola fin lì, a una settimana dal termine<br />

della gravidanza ><br />

disse lanciandomi le braccia al collo.<br />

> le ricordai perplesso.<br />

> esclamò sorridente.<br />

><br />

Sta volta tuo padre mi ammazza davvero.<br />

> bisbigliò ><br />

><br />

Celine mi fissava con aria incantata, non capivo<br />

cos’avesse, non l’avevo mai vista così su di giri, era<br />

strana. All’improvviso poi, iniziò a fare quel suo strano<br />

giochetto con i capelli, li arrotolava nervosa intorno alle<br />

dita e mi guardava fisso negli occhi, come per<br />

ipnotizzarmi.<br />

> le chiesi confuso.<br />

><br />

><br />

><br />

No, c’è qualcos’altro!<br />

338


> rispose<br />

avvicinandosi sempre di più, fino ad arrivarmi<br />

praticamente addosso.<br />

> chiesi ancora più disorientato cercando di<br />

liberarmi dalla sua morsa.<br />

><br />

Era di una sensualità stracciante, mi si raggrovigliava lo<br />

stomaco a vederla così e poi, emanava un profumo che mi<br />

trasportava i neuroni in un’estasi di desiderio.<br />

Iniziai a cedere alle sue avance e nel giro di pochi secondi<br />

l’avevo tra le braccia.<br />

Sapevo di non poter far molto nelle condizioni in cui era,<br />

ma anche solo poter assaggiare la sua morbida pelle mi<br />

bastava per placare quella fame.<br />

Proprio mentre la stavo inondando di baci, sentii un dolore<br />

tremendo sul petto, un bruciore soffocante.<br />

Se non avesse aspettato un bambino probabilmente il<br />

cambiamento sarebbe comparso dopo qualche anno, ma<br />

portava un Ancharos puro in grembo e, non volendo, le<br />

aveva accelerato il contagio.<br />

Non sapevo facesse così male quando si sottrae energia<br />

vitale.<br />

Il dolore era così forte che feci uno sforzo sovrumano per<br />

non perdere i sensi. Avrei potuto scostarla,<br />

immobilizzarla, ma sapevo che in quel momento non era<br />

nel pieno delle sue facoltà mentali, non era lei, i suoi gesti<br />

erano guidati dall’istinto di sopravvivenza del bambino.<br />

Forse dall’aggressione non ne aveva ancora assimilato<br />

abbastanza energia da garantirne a sufficienza anche per<br />

lui.<br />

Così, la lasciai fare.<br />

339


Mi tirò via molto flusso, quando finì, infatti, ero distrutto,<br />

quasi come dopo il contagio.<br />

Riuscii appena ad alzarmi dal letto e arrivare in cucina per<br />

porre del ghiaccio sul fuoco che mi ardeva sul petto.<br />

Celine invece, si addormentò subito, totalmente ignara di<br />

quello che aveva fatto.<br />

Quando mi sentii abbastanza in forze per alzarmi tornai in<br />

camera e mi stesi sul letto accanto a lei. La abbracciai<br />

forte prima di addormentarmi sfinito.<br />

La mattina seguente mi alzai, a fatica, per avvertire i<br />

Madison che Celine era con me, promettendogli che<br />

l’avrei riaccompagnata nel pomeriggio.<br />

Stava ancora dormendo e non me la sentivo di svegliarla.<br />

Come immaginavo, quando si svegliò non ricordava<br />

niente, non ricordava neanche che fosse venuta a casa da<br />

sola.<br />

Quando le raccontai tutto non volle credermi, ma fu<br />

costretta a farlo quando le mostrai il segno rosso che mi<br />

aveva lasciato sul petto.<br />

Mentre me ne stavo disteso sul divano cercando di<br />

riprendermi, la vidi gironzolare agitata per l’appartamento.<br />

> ripeteva tra se. ><br />

Io rimasi immobile a osservare la sua ansia prendere<br />

possesso della sua mente.<br />

All’improvviso poi, la vidi avvicinarsi di nuovo.<br />

> dissi allarmato, ma<br />

lei non si fermava, mirava dritta verso di me ><br />

continuai spaventato.<br />

Si sedette sul divano scostandomi un po’ e rimase<br />

immobile col suo solito sguardo raggelante, poi, si voltò<br />

340


verso il cesto di frutta sul tavolinetto del soggiorno, afferrò<br />

una mela senza pensarci troppo e la strinse con forza.<br />

Il frutto marcì nella sua mano.<br />

>chiese un po’<br />

preoccupata.<br />

> risposi calmo ><br />

Rimanemmo a letto fino a pomeriggio inoltrato, Celine si<br />

alzò molte volte per andare in bagno o per bere o mangiare<br />

qualcosa.<br />

La sentivo inquieta, era un continuo alzarsi e tornare a<br />

letto.<br />

> le chiesi all’ennesima<br />

visita al bagno.<br />

><br />

><br />

> mi rassicurò.<br />

><br />

><br />

L’inesperienza è la più brutta delle ignoranze. Se mi fossi,<br />

già in precedenza, trovato in quella situazione, senza<br />

ombra di dubbio avrei riconosciuto quei sintomi, avrei<br />

capito che stava per nascere il bambino, invece, né io né<br />

lei demmo peso a questa eventualità.<br />

> disse d’un tratto mentre giocherellava col mio<br />

petto, ma era inquieta


Promettimi che non permetterai mai a nessuno di fare del<br />

male al mio bambino.>><br />

> risposi accarezzandole il viso ><br />

Aspettammo un paio d’ore, tra contrazioni e lamenti. Solo<br />

quando iniziò a gridare per il dolore troppo forte ci<br />

convincemmo che fosse davvero entrata in travaglio.<br />

Cercai di non farmi prendere dal panico. Per prima cosa<br />

chiamai i Madison per avvertirli dell’accaduto, e parlare<br />

con Linda mi fu d’aiuto, riuscì a tranquillizzarmi e potei<br />

riprendere in mano la situazione.<br />

Quando tornai in camera da letto Celine era terrorizzata, le<br />

si erano rotte le acque e continuava a gridare per il dolore<br />

sempre più crescente > strillava ><br />

><br />

><br />

><br />

Dopo un po’ di tira e molla riuscii a convincerla ad alzarsi,<br />

l’avrei presa in braccio, ma non avevo ancora ripreso<br />

abbastanza forze.<br />

La sorressi fino all’ascensore e una volta giù la lasciai un<br />

istante in compagnia di una passante, per correre a<br />

prendere la macchina.<br />

342


Non ricordo che ora fosse, anche perché in quel momento<br />

ero in totale stato confusionale.<br />

Arrivammo subito in ospedale ma Celine era già in fase di<br />

espulsione. Quando la portarono in sala parto<br />

un’infermiera mi diede un camice da indossare per entrare<br />

ad assistere. Devo ammettere che veder dare alla luce un<br />

esserino spaventato, gracile e indifeso, che da allora in<br />

avanti affiderà tutta la sua vita nelle tue mani, è come<br />

assistere a un miracolo.<br />

> esclamò<br />

un’infermiera sorridendo.<br />

Celine ara distrutta, ma sprizzava gioia da tutte le parti e<br />

quando le misero il piccolo tra le braccia scoppiò in un<br />

pianto liberatorio.<br />

Quando le infermiere lo portarono in un’altra sala per<br />

ripulirlo e per gli ultimi controlli di routine mi avvicinai al<br />

mio tenero angelo e le sedetti accanto per riempirla di<br />

coccole.<br />

> chiese euforica.<br />

> le risposi ><br />

Non stavo più nella pelle dall’emozione, avevo promesso a<br />

Linda che sarei uscito a informarli non appena fosse nato<br />

il bimbo, ma me ne dimenticai completamente, anche se di<br />

sicuro li aveva avvertiti il dottore.<br />

Ci portarono il bambino qualche minuto dopo aver<br />

sistemato Celine nella sua stanza. Io ero seduto sul bordo<br />

del letto stringendole la mano e ascoltando Linda che<br />

raccontava del giorno in cui la diede alla luce.<br />

C’era un’atmosfera infuocata nella stanza, sembrava che<br />

tutta la felicità del mondo fosse concentrata tra quelle<br />

quattro mura.<br />

343


Quando l’infermiera tornò col piccolino potei prenderlo<br />

per la prima volta in braccio, era piccolo e fragile da far<br />

paura.<br />

Mi guardò fisso con i suoi occhioni azzurri e quando<br />

avvicinai un dito per accarezzarlo me lo afferrò con la sua<br />

minuscola manina.<br />

Non riuscii a trattenere le lacrime, era tutto troppo<br />

surreale.<br />

Linda fu gentilissima a lasciarci un po’ soli trascinandosi<br />

dietro Molly e l’eccitatissimo nonno.<br />

Quando fummo soli nella stanza potei lasciarmi andare<br />

liberamente a quel momento di commozione.<br />

> farfugliai continuando a tenere lo sguardo<br />

fisso sul bambino ><br />

> rispose arrossendo.<br />

> sussurrai dandole un bacio, e in quel caso fu<br />

lei a scoppiare in lacrime.<br />

Non capii subito perché, poi, mi accorsi che era la prima<br />

volta che glielo dicevo. Io in cuor mio sapevo d’amarla,<br />

ma ero sempre stato frenato dal dirglielo da stupide paure.<br />

Tornammo a casa dopo una settimana. Per l’occasione<br />

avevo fatto addobbare a festa tutto l’appartamento e avevo<br />

invitato i suoi amici e la sua famiglia per festeggiare<br />

insieme quel giorno. Io avrei preferito passarlo da solo con<br />

lei e il piccolo Thomas, ma sapevo che ci teneva a vantare<br />

il suo tenero capolavoro.<br />

344


32<br />

Sfilai le chiavi dalla toppa del portone del mio<br />

appartamento quando mi accorsi che era già aperto. Posai<br />

il giubbotto all’appendiabiti dell’ingresso e mi scrollai un<br />

po’ di pioggia dai capelli.<br />

> dissi dal<br />

corridoio.<br />

Lasciai le scarpe all’ingresso per non sporcare in giro per<br />

casa. Infilai scarpe da ginnastica asciutte nella scarpiera a<br />

scomparsa del corridoio.<br />

Li sentivo armeggiare in cucina.<br />

><br />

Imboccai l’arco sulla destra per raggiungerli, ma una mano<br />

mi si strinse sulla spalla, così forte da farmi piegare le<br />

ginocchia dal dolore. L’altra mano impugnava una pistola<br />

che mi premeva sulla tempia.<br />

Non c’erano Stefano e gli altri ad attendermi.<br />

Due omoni elegantemente vestiti di grigio scuro e un altro<br />

di mezza età, molto più smilzo e poco più basso degli altri,<br />

mi stavano aspettando con una certa impazienza.<br />

><br />

><br />

Le dita d’acciaio del gorilla che mi teneva a terra si<br />

conficcarono fra clavicola e scapola.<br />

Mi sa che non è il momento di fare dell’umorismo.<br />

Soffocai un gemito.<br />

Lo smilzo si avvicinò facendo segno a chi mi teneva di<br />

lasciare che mi alzassi. Il secondo gorilla, che non si era<br />

ancora mosso dalla porta finestra, si avvicinò a sua volta.<br />

345


Lo smilzo scosse la testa con espressione delusa.<br />

Un pugno allo stomaco mi fece sputare fuori la riserva<br />

d’aria dai polmoni, costringendomi a respirare mentre<br />

cercavo di placare un eccesso di tosse. In un attimo mi fu<br />

subito chiara la funzione del secondo gorilla.<br />

> chiese lo<br />

smilzo a un centimetro dalla mia faccia.<br />

> un ceffone mi rigettò le parole in gola.<br />

Lo smilzo scosse di nuovo la testa > e mi<br />

sferrò una ginocchiata all’inguine con una forza tale che<br />

non riuscii a reprimere il grido, soffocato da una mano che<br />

mi serrava le labbra. Mi reggevo in piedi solo perché il<br />

gorilla mi teneva fermo nella sua morsa.<br />

Iniziai a vederli sfocati.<br />

><br />

Il gorilla mollò la presa ed io mi accasciai a terra.<br />

Lorenzo mi afferrò i capelli per sollevarmi il volto verso di<br />

lui > disse con una smorfia<br />

disgustata ><br />

La pistola del gorilla sempre puntata su di me.<br />


segreta sia stata intercettata e ostacolata dal Clan. Sono<br />

morti tre uomini dei nostri. Ne sai niente?>><br />

Non farti venire la brillante idea di rispondere. Pensa a<br />

come toglierteli di torno piuttosto.<br />

><br />

I gorilla iniziarono a riempirmi di calci mentre ero ancora<br />

a terra.<br />

Un colpo più forte degli altri mi fece vomitare una boccata<br />

di sangue.<br />

Non so se fu il sapore ferroso di sangue in bocca o<br />

semplice rabbia, ma mi sentii invadere da una forza oscura<br />

e violenta. Schivai l’ultimo calcio e mi rimisi in piedi<br />

colpendo in pieno viso il primo dei due uomini,<br />

rompendogli il naso. Non riuscivo ad avvicinarmi a<br />

Lorenzo perché era protetto da uno dei rari medaglioni che<br />

avevo anch’io. Il mio me l’ero conquistato quando<br />

distrussi il collegio. Uno dei dodici talismani della Setta<br />

dei Rinnegati. Bottino di guerra. Ce n’erano altri nove in<br />

giro per il mondo. Quattro attualmente in possesso dei<br />

Rinnegati ancora in vita, sei nelle mani degli Ancharos,<br />

che avevano ucciso gli altri membri della setta.<br />

Fracassai una sedia di legno sul fianco di uno degli<br />

scagnozzi, facendogli cadere la pistola di mano. L’afferrai<br />

al volo e sparai un colpo alla coscia senza esitazioni,<br />

mentre con la mano destra tenevo l’altro per la gola<br />

sputandogli in corpo il fuoco rovente del mio veleno<br />

mortale.<br />

Puntai la pistola su Lorenzo, ma lui continuò a fissarmi<br />

ammirato senza scomporsi. D’un tratto prese a battere le<br />

347


mani, sorridendo ><br />

><br />

Rise di gusto > allargò<br />

le braccia per esporre il petto ><br />

><br />

Si fece serio ><br />

><br />

><br />

><br />

> gridò.<br />

><br />

Il gorilla ferito alla gamba provò ad avvicinarsi di nuovo<br />

ed io sparai un altro colpo: alla spalla.<br />

Il secondo era a terra, privo di sensi.<br />

><br />

> dissi cercando di<br />

controllare i toni.<br />

><br />

><br />

><br />

Sentii uno spostamento d’aria alle mie spalle e mi voltai<br />

appena in tempo per schivare un altro dei suoi uomini<br />

348


comparso da chissà dove, forse era rimasto nascosto nel<br />

soggiorno tutto il tempo.<br />

Non era solo. Sparai al primo, indietreggiando e tentai di<br />

atterrare il secondo, ma il caricatore era scarico. Sentii<br />

Lorenzo gridare su tutte le furie ><br />

Mi precipitai fuori dall’appartamento chiudendo il portone<br />

a chiave dall’esterno. Corsi giù per le scale, ma potevo<br />

udire gli spari contro la serratura.<br />

Lì hai fatti proprio incazzare, eh?<br />

Sapevo che ovunque mi fossi nascosto sarebbero stati in<br />

grado di scovarmi seguendo le tracce del mio campo<br />

energetico.<br />

L’unico posto dove ero sicuro che non avrebbero potuto<br />

seguirmi era il quartiere del Clan, se non fosse che ero<br />

braccato a vista anche lì, specie dopo l’ultima azione da<br />

circo della giornata.<br />

Dannazione!<br />

Convinto di uscire con i ragazzi, non avevo parcheggiato<br />

la macchina in garage, ma l’avevo lasciata nel parcheggio<br />

dietro il palazzo. Pioveva ancora a dirotto e quando<br />

raggiunsi la Mercedes ero di nuovo zuppo di pioggia dalla<br />

testa ai piedi. Avevo un vantaggio minimo sui miei<br />

inseguitori. Mi fiondai in macchina e misi in moto, mentre<br />

il primo uomo cercava di sfondare il finestrino con il<br />

calcio della pistola. Un altro cercò di sparare alle gomme,<br />

ma afferrai la pistola che avevo nel cruscotto e appena il<br />

finestrino si frantumò tirai fuori il braccio e sparai a<br />

entrambi. Uno, al braccio, per fargli perdere la presa<br />

dell’arma, e il più vicino, alla spalla che aveva infilato<br />

all’interno per afferrare le chiavi della macchina.<br />

349


Ero ferito in modo abbastanza grave. L’addome contratto<br />

da una qualche lesione che stava riversando sangue nel<br />

mio stomaco; forse una frattura all’avambraccio sinistro;<br />

la tempia destra lacerata; l’inguine in fiamme.<br />

L’adrenalina attenuava il dolore ma man mano che mi<br />

allontanavo dal pericolo, abbandonava il mio sangue<br />

risvegliando tutte le conseguenze del pestaggio.<br />

Imboccata la superstrada, certo che non mi stesse più<br />

inseguendo nessuno, afferrai il cellulare di scorta nel<br />

cruscotto e chiamai Nicola.<br />

> dissi<br />

appena rispose.<br />

> chiese cercando di non far trapelare la<br />

preoccupazione nella voce.<br />

><br />

><br />

><br />

Silenzio dall’altra parte.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> chiuse la comunicazione.<br />

Lasciai l’auto a due isolati dal quartiere nemico. Era<br />

l’unica cosa da fare se volevo intrufolarmi senza correre il<br />

rischio di aggiungere altre ferite a quelle che avevo già.<br />

Ero talmente senza forze da non riuscire a passare<br />

all’Hahicòs per dare un’occhiata in giro indisturbato.<br />

350


Non riuscivo a caricare il peso del corpo sulla gamba<br />

destra, così ero costretto quasi a saltellare sulla sinistra,<br />

sollecitando tutti gli altri muscoli contusi.<br />

A circa duecento metri dalla villa dei Marotti, la mia<br />

avanzata fu frenata da una violenta scossa che mi sbalzò<br />

via di quasi due metri.<br />

Accidenti a me!<br />

Mi nascosi dietro il cespuglio della siepe di un giardino.<br />

Per non farmi vedere dagli Agenti di pattuglia avevo<br />

deciso di abbandonare le strade e di avanzare fino alla<br />

villa attraversando le proprietà del quartiere una dopo<br />

l’altra. Composi il numero di Denise. La mano mi tremava<br />

ancora per la scossa ricevuta.<br />

E dai! Rispondi, rispondi, rispondi.<br />

> disse.<br />

Non è il momento di fare l’offesa.<br />

><br />

> si allarmò, hai detto che…<br />

><br />

><br />

No?<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> la ammonii ><br />

351


Nessuna risposta.<br />

><br />

><br />

><br />

Ci pensò su. ><br />

><br />

Mi arrampicai fino al balcone dalla quadratura in ferro<br />

battuto della pianta rampicante sulla veranda. Le camere<br />

da letto affacciavano tutte sull’ampio balcone esposto sul<br />

davanti della villa.<br />

La luce nella camera di Denise era accesa. Strisciai fino<br />

alla porta finestra e bussai sul vetro. Le tende si aprirono.<br />

La porta finestra si aprì.<br />

> chiese subito, appena mi vide<br />

> mi aiutò ad entrare in camera<br />

sua.<br />

Ero davvero a pezzi. Il viso, una maschera di dolore ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> osservò.<br />

><br />

><br />

> tagliai<br />

corto ><br />

352


Mi stesi sul pavimento, a pancia in su, per respirare meglio<br />

><br />

><br />

Un conato di vomito mi fece correre in bagno. Se il mio<br />

poteva chiamarsi correre.<br />

Tutto quel sangue nel lavandino la mise ancora di più in<br />

allarme ><br />

><br />

><br />

Sollevai una mano a palmo aperto nella sua direzione per<br />

non farla continuare. Non volevo sentirlo nominare.<br />

Il suo bagno sembrava un confetto. Il bianco e il rosa<br />

erano gli unici colori nella stanza. Soprattutto dopo aver<br />

lavato via il sangue dal lavandino.<br />

Provai a sedermi sul bordo della vasca, ma non ci riuscii.<br />

><br />

><br />

> aprì l’anta<br />

dell’armadietto e indicò una pila di asciugamani bianchi e<br />

rosa ><br />

><br />

> sorrise > chiese poi,<br />

fissando i jeans bagnati di pioggia e imbrattati di sangue.<br />

Io tossii.<br />

><br />

Un calo di pressione improvviso mi fece accasciare a terra.<br />

><br />

><br />

353


><br />

Mi posò delicatamente il dorso della mano sulla guancia<br />

><br />

Polmonite? Ho un’emorragia interna e tu ti preoccupi<br />

della polmonite.<br />

Provai a tirarmi su, senza successo.<br />

> disse ><br />

Mi sfilò la felpa, aiutandomi a sollevare il braccio<br />

fratturato. Mi tolse le scarpe e i calzini bagnati. Quando<br />

sbottonò la cintura e i bottoni del Jeans però, le fermai la<br />

mano trattenendola per il polso.<br />

><br />

Riuscì perfino a farmi sorridere ><br />

><br />

> me li sfilai con attenzione estrema. I<br />

boxer in microfibra grigi, erano un enorme macchia di<br />

sangue scuro. Sollevai un lembo per dare una controllata<br />

all’interno.<br />

><br />

><br />

><br />

Aprì l’acqua della doccia. Mi aiutò a rimettermi in piedi.<br />

><br />

Quando tornò ero disteso sul lettone al centro della sua<br />

stanza. Un telo di spugna, macchiato di sangue, allacciato<br />

354


attorno alla vita. Mi ero addormentato, ma la sentii quando<br />

si mise a sedere sul bordo. Aprii gli occhi.<br />

><br />

><br />

La doccia aveva rilassato troppo le membra doloranti e ora<br />

sentivo ancora più dolore di prima. Avevo vomitato altro<br />

sangue, ma non glielo dissi per non aumentare inutilmente<br />

la sua preoccupazione.<br />

Scartò il cerotto, mentre io provavo a mettermi seduto.<br />

L’addome mi faceva troppo male. Tornai esausto con la<br />

testa sul cuscino.<br />

> chiese.<br />

Annuii quel poco che riuscivo a muovere la testa. Non mi<br />

importava davvero che fosse lei o un altro a farlo - non<br />

avevo quel tipo di pudori -, eppure sentii il viso avvampare<br />

quando sciolse il telo.<br />

Ma che mi sta succedendo?<br />

Lei non sembrò minimamente turbata invece. > disse<br />

tranquilla.<br />

Sì, l’ho visto. > osservai con una smorfia.<br />

Rise ><br />

> scherzai.<br />

Rise ancora ><br />

><br />

scherzai ancora. ><br />

Sorrise ><br />

Feci come voleva e lei mi scivolò accanto infilandosi<br />

dall’altro lato. Indossava una camicia da notte di seta<br />

355


orientale, corta al ginocchio e con le spalline sottili. Il<br />

medaglione appena sopra l’incavo dei seni.<br />

Mi fissò il viso ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Sentii il tonfo del suo cuore.<br />

><br />

><br />

><br />

Mi passò le dita fra i capelli umidi ><br />

E invece sì.<br />

><br />

><br />

Di nuovo quel tonfo. ><br />

><br />

> sussurrò ><br />

> Le sfilai<br />

lentamente il medaglione dal collo e lo posai sul palmo<br />

della sua mano. Posai il mio sulla sua e intrecciammo le<br />

dita. ><br />

dissi > le diedi un bacio sulla fronte. ><br />

sussurrai.<br />

> rispose dolcemente.<br />

><br />

356


33<br />

Ricordo bene il giorno in cui fui catturato dagli agenti del<br />

Clan.<br />

Thomas aveva appena sei mesi. I sei mesi più belli della<br />

mia vita.<br />

Tutto procedeva per il verso giusto, eravamo una famiglia<br />

perfetta. Ci amavamo e questo ci bastava.<br />

Eravamo appena tornati a New York, io e Celine.<br />

Avevamo lasciato il piccolo dai miei e noi due tornammo<br />

per sbrigare le ultime formalità per il definitivo<br />

trasferimento.<br />

Era tutto perfetto, avremmo solo dovuto firmare dei<br />

documenti, passare a salutare i genitori di lei, qualche<br />

amico e riprendere il volo verso l’Italia.<br />

Nulla di più semplice, se solo quella notte non fossi uscito<br />

di casa.<br />

Vennero degli amici, nel cuore della notte, a informarmi<br />

che a Manhattan c’era in atto un violento scontro tra<br />

Ancharos. Mi chiedevano di intervenire in quanto Sangue<br />

Puro e discendente diretto di un membro del Gran<br />

Consiglio. Erano sicuri che di fronte a me non avrebbero<br />

osato continuare quella lite, e affrontare la furia degli<br />

Eletti. Non avrebbero osato, quindi, mettersi contro di me,<br />

contro tutto quello che rappresentavo.<br />

> mi supplicò Celine ><br />

La abbracciai ><br />

><br />

357


Le diedi un bacio per sopprimere i tremori che le<br />

scuotevano il corpo ><br />

><br />

Mi sfilai il medaglione dal collo e glielo allacciai con<br />

delicatezza, senza togliere le mie labbra dalle sue.<br />

Fine delle discussioni.<br />

Scesi in strada con i miei informatori, ma non riuscii a<br />

raggiungere l’auto, perché degli Agenti, pistola alla mano,<br />

freddarono i miei amici e ferirono gravemente me.<br />

Era una trappola!<br />

Mi risvegliai in un letto d’ospedale, ma non ero in<br />

ospedale, più che altro in un laboratorio.<br />

Avevo polsi e caviglie legate, flebo nelle braccia ed<br />

elettrodi sul petto.<br />

Sentivo un dolore lancinante su un fianco e ricordando<br />

quello che era successo, mi accorsi che era la ferita causata<br />

dallo sparo a farmi male.<br />

Nella stanza non c’era nessuno o almeno così ricordo, dato<br />

che ero stordito da qualche droga pesante.<br />

Non so quanto tempo passò prima che entrasse in camera<br />

un uomo di mezza età con un camice bianco e un vassoio<br />

colmo di strumenti medici.<br />

Provai a liberarmi dalle corde che mi tenevano immobile,<br />

ma senza successo, anzi, riuscii solo a farmi più male.<br />

> esclamò quell’uomo. > mi spiegò con calma.<br />

> chiesi allarmato.<br />

> esclamò, ma in tono pacato.<br />

><br />

> rise.<br />

358


Mi accorsi che quella era una battaglia già persa in<br />

partenza e cercai di placare i bollori col silenzio, per non<br />

rischiare troppo.<br />

Quando si avvicinò con i suoi strumenti credetti<br />

sinceramente che volesse uccidermi, invece, li usò solo per<br />

pulire e controllare la ferita.<br />

> domandò in tono<br />

professionale pressandomi l’addome.<br />

> risposi sofferente.<br />

> disse appuntando<br />

qualcosa sulla sua cartella.<br />

Mi sciolse le caviglie e mi infilò due cuscini sotto le<br />

ginocchia > disse.<br />

Passai due giorni in quella stanza e non vidi altri che lui.<br />

Il terzo giorno poi, mi trasferirono in un’altra stanza, ma<br />

senza legarmi, anche perché la porta era blindata e<br />

difficilmente sarei potuto scappare in quelle condizioni.<br />

La stanza era illuminata da un neon e di giorno riusciva a<br />

passare un po’ di luce da una finestrella in cima alla<br />

parete.<br />

Una sera, però, entrarono in stanza delle guardie armate,<br />

mi sollevarono con violenza dal letto e mi portarono in<br />

un’altra stanza blindata al piano di sotto. C’era solo una<br />

sedia di metallo al centro della stanza.<br />

Avevo immaginato un imminente spostamento, anche<br />

perché poco prima erano venute in stanza delle donne che<br />

mi avevano aiutato a indossare qualcosa di pulito.<br />

Stetti ad aspettare per ore in quel buco e dovetti sdraiarmi<br />

a terra per stare un po’ più comodo e non sentire troppo<br />

dolore.<br />

Non so dopo quanto tempo entrarono quattro uomini<br />

distinti insieme a due guardie armate, uno di loro fece<br />

359


segno a un soldato di mettermi a sedere sulla sedia e<br />

quando fui seduto un altro parlò ><br />

chiese minaccioso.<br />

> risposi.<br />

Fu decisamente una mossa infelice la mia, perché mi<br />

mollò un ceffone di una violenza inaudita.<br />

> gridò.<br />

Lentamente iniziai a capire cosa stesse succedendo.<br />

> continuò.<br />

> mormorai.<br />

><br />

Mi spiegò cosa fosse quel posto, mi spiegò qual’era il loro<br />

compito e mi fece chiaramente intendere che non sarei mai<br />

uscito vivo da lì.<br />

> disse<br />

> risposi in segno di sfida.<br />

><br />

Passai una notte atroce. Diedero disposizione alle guardie<br />

di farmi cambiare idea e questi mi pestarono a sangue. Mi<br />

avrebbero ucciso se non fosse intervenuto uno dei quattro<br />

a fermarli.<br />

Mi sbatterono in una cella del seminterrato, mi legarono la<br />

caviglia sinistra a una catena e mi lasciarono lì<br />

agonizzante per non ricordo quanti giorni.<br />

Ogni tanto veniva qualcuno a portarmi un bicchiere di latte<br />

o qualcosa da mangiare. Altre volte invece, veniva il<br />

dottore a controllare che non si infettassero le ferite.<br />

360


Non mi volevano morto, sapevo troppo e finché non mi<br />

fossi deciso a parlare avevo una minima speranza di<br />

sopravvivenza. Almeno finché non avessero catturato<br />

qualcuno che ne sapeva quanto me, o finché resistevo alle<br />

loro torture. Non sapevano chi sono veramente, ma<br />

sapevano che conoscevo le risposte alle loro domande e mi<br />

avrebbero tenuto in vita finché non avessi placato la loro<br />

sete di sapere.<br />

Mi fecero moltissimi test clinici, dalle analisi dei liquidi a<br />

quelle dei tessuti esterni e interni. Ero la loro cavia da<br />

laboratorio.<br />

Senza ombra di dubbio avranno riscontrato delle anomalie,<br />

ma non abbastanza da etichettarmi non umano.<br />

In effetti, noi Ancharos per i Comuni siamo solo una via di<br />

mezzo tra realtà e fantasia.<br />

Una sera, dopo la visita del medico, che puntualmente<br />

scendeva per controllare il mio generale stato di salute,<br />

entrarono i quattro nella cella.<br />

> disse uno ><br />

Sapevo che non potevo rispondere e non lo feci.<br />

> continuò.<br />

> mormorai esausto.<br />

terminò.<br />

> risposi.<br />

> esclamò un altro.<br />

> gridai ><br />

361


> esclamai collerico.<br />

><br />

Ero spaventato e loro, bastardi, sguazzavano nella mia<br />

paura.<br />

Mi lasciarono tranquillo per qualche giorno, poi, una<br />

mattina mi portarono in laboratorio, mi immobilizzarono<br />

su un tavolo operatorio e un medico, diverso dal solito, mi<br />

sottopose a una serie di esami. Non sentii dolore, perché<br />

mi addormentarono.<br />

Mi risvegliai con la mano destra fasciata. Dalle<br />

medicazioni capii che mi avevano esaminato il palmo per<br />

trovare delle anomalie fisiche che potessero spiegare il<br />

fenomeno dell’efflusso anche da un punto di vista<br />

scientifico.<br />

Il dolore che ho sentito nei primi giorni dell’intervento<br />

però, è indescrivibile, le lacrime mi colavano giù da sole,<br />

non riuscivo a parlare, a bere, a mangiare, riuscivo solo a<br />

piangere.<br />

Per non parlare dei giorni seguenti in cui si dilettarono nel<br />

distruggere anche quel po’ di dignità che mi era rimasta.<br />

Avevo giurato a me stesso che non sarebbe più successo,<br />

avevo giurato che non avrei più permesso a nessuno di<br />

farmi sentire così.<br />

Non era servito a niente.<br />

Ricordo bene quand’è stata l’ultima volta che avevo pianto<br />

fino a stare così male, avevo appena compiuto diciotto<br />

anni.<br />

Non ricordavo fosse così soffocante però.<br />

362


Devo aver pianto per ore, perché dopo mi sentii davvero<br />

esausto. Desideravo solo coricarmi a terra e dormire, ma<br />

non avevo il coraggio di prender sonno.<br />

Non dimenticherò mai quello che mi hanno fatto passare<br />

in quei giorni. Perfino l’essere più crudele della terra mi<br />

avrebbe dispensato da quelle umiliazioni.<br />

Stanchi anche di quel passatempo poi, decisero di<br />

psicanalizzarmi.<br />

Mandarono giù una donna che iniziò a farmi tutta una<br />

serie di domande e che per quasi tre settimane scese a<br />

farmi compagnia tre volte al giorno per più di un’ora.<br />

La vidi l’ultima volta la sera prima che mi trasferissero a<br />

Baltimora.<br />

Devo ammettere però, che da quando sono arrivato lì, a<br />

parte l’episodio criminale della seconda notte, non mi<br />

tormentarono più come prima. Ero diventato una specie di<br />

sorvegliato speciale, un prigioniero di guerra a cui non può<br />

essere fatto del male, anche se ormai, oltre a darmi la<br />

morte non avrebbero più potuto farmi altro.<br />

Il brutto è che perfino quello è un loro meschino tentativo<br />

di tortura, sapevano che a quel punto morire per me<br />

sarebbe stata la più lieve delle pene, se non una<br />

consolazione, e non mi concessero neanche questo.<br />

363


364<br />

34<br />

Il sole del mattino mi colpì il viso rilassato. La mano di<br />

Denise ancora stretta alla mia. Il suo respiro, pigro e<br />

profondo, sul collo. Mi spostai appena, sciogliendo il<br />

groviglio di dita che ci aveva tenuto insieme tutta la notte.<br />

Si mosse, ma senza svegliarsi. Era stata una nottata lunga.<br />

Avevo dormito sì e no tre ore, Tormentato dai dolori<br />

lancinanti che mi scuotevano il corpo tenendo sveglia<br />

anche lei.<br />

Sarei rimasto a letto a riposare ancora un po’, ma non<br />

volevo rischiare oltre, la buona sorte.<br />

Buona sorte! Come no!<br />

Mi alzai dopo aver recuperato il telo di spugna finito in<br />

fondo al letto. Mi stiracchiai alla meglio e mi diressi in<br />

bagno ancora assonnato.<br />

La doccia mi svegliò. Mancavano venti minuti alle otto.<br />

Massimo starà dando i numeri a quest’ora, se Nicola non<br />

ha pensato di avvertirlo.<br />

Presi in prestito un rasoio usa e getta di Denise per tagliar<br />

via quei quattro peli che mi spuntavano sul viso di tanto in<br />

tanto.<br />

Uscii dal bagno dopo circa un’ora, pulito e profumato,<br />

massaggiandomi sul volto una punta di crema idratante<br />

che avevo trovato nell’armadietto del lavandino.<br />

> esordì Denise, seduta al centro del letto<br />

col vassoio della colazione. ><br />

Sorrisi mettendomi a sedere nella mia porzione di letto<br />

ancora sfatto.<br />

Di mattina sono assai poco loquace.


Le diedi un bacio castissimo sulla guancia. Presi una fetta<br />

biscottata e una monoporzione di marmellata alla ciliegia,<br />

che vi spalmai. ><br />

Mi prese il mento con la punta di un dito e mi voltò il viso<br />

fino ad avere la tempia destra davanti ai suoi occhi > Aveva riindossato<br />

il medaglione mentre ero in bagno.<br />

Annuii, dando un morso alla fetta biscottata inzuppata nel<br />

latte.<br />

Sorrise ><br />

><br />

Si rabbuiò.<br />

E tu impara a farti gli affari tuoi. ><br />

Spizzicò un pezzetto di brioche e se lo postò alle labbra<br />

quasi con riluttanza.<br />

È così tanto disgustosa quella Brioche?<br />

> chiese dopo aver bevuto<br />

un sorso di te per mandare giù la brioche.<br />

><br />

><br />

><br />

completai la sua frase.<br />

><br />

><br />

><br />

365


> chiese un po’ dispiaciuta.<br />

><br />

Non potevo farlo. C’era troppo in ballo e lei, per quel che<br />

mi riguardava, finché fosse rimasta col branco, era ancora<br />

una mia nemica. Venire a conoscenza dell’identità della<br />

Setta dei Dodici Rinnegati non le avrebbe cambiato la vita,<br />

ma a me sì. Se il Clan fosse avesse scoperto il potere dei<br />

medaglioni, avrebbero avuto un pretesto in più per darci la<br />

caccia. Quando circa millecinquecento anni fa gli<br />

Ancharos si riunirono per eliminare la Setta, i Dodici<br />

forgiarono i dodici medaglioni. Tormalina Nera, quarzo di<br />

rocca e sangue d’innocente. Ogni medaglione è legato a<br />

una diversa maledizione, che li accomuna tutti a un unico<br />

potere: l’immortalità divina. I medaglioni li protessero dai<br />

nostri propositi di sterminio per almeno trecento anni. Un<br />

giorno però, uno dei Dodici, stanco di dover continuare a<br />

fuggire, a nascondersi, chiese clemenza al Gran consiglio<br />

in cambio della libertà. Consegnò il proprio medaglione e<br />

giurò di alleanza e sottomissione da allora in avanti. Come<br />

prova della sua fedeltà il consiglio pretese che rivelasse<br />

loro il nascondiglio degli altri undici. Il traditore obbedì<br />

senza esitare e il giorno dopo, un esercito di dodici<br />

cavalieri Comuni, assoldati dal Gran Consiglio, partirono<br />

per dodici diverse destinazioni alla ricerca dei Rinnegati.<br />

Ne tornarono indietro sette. I quattro Rinnegati<br />

sopravvissuti invece, da allora hanno continuato a<br />

nascondersi e ad agire in segreto.<br />

Sette medaglioni per sette membri del Gran Consiglio, più<br />

uno restituito al Rinnegato traditore per riconoscenza del<br />

servizio reso.<br />

366


Molto sangue è stato versato nei secoli per entrare in<br />

possesso dei sette talismani. E col tempo si è persa la<br />

traccia della maggior parte di essi. Fin ora, escluso il mio,<br />

ne sono stati ritrovati cinque, uno dei due mancanti siamo<br />

quasi sicuri che si trovi custodito fra i tesori del Monastero<br />

italiano per eccellenza. Sospettiamo che uno dei tre<br />

Rinnegati superstiti si trovi lì con lui, ritirato a vita<br />

claustrale per sfuggire alla cattura. Il secondo è stato<br />

avvistato una decina di anni fa in Tibet, ma all’arrivo dei<br />

nostri era già stato portato via chissà dove. Dei medaglioni<br />

recuperati, uno è in mio possesso, uno è nelle mani di<br />

Lorenzo, uno è sempre al collo di mio nonno, che lo ha<br />

acquistato a una cifra impensabile da un ricettatore<br />

egiziano, uno è custodito gelosamente da un illustre<br />

membro della casa reale Britannica, e gli altri due sono<br />

rispettivamente in Marocco e in Australia, e infine c’è il<br />

mio. Sei in tutto. Due dispersi e quattro nelle mani dei<br />

Rinnegati superstiti.<br />

A diciotto anni non avevo idea che l’iniziazione fosse<br />

tenuta proprio dal Gran Consiglio. Se l’avessi saputo non<br />

so se avrei avuto lo stesso coraggio e la stessa<br />

determinazione nell’eliminarli. Il bello è stato che, non<br />

immaginando l’identità dei membri dell’iniziazione, non<br />

subii neanche gli attacchi del medaglione del Rinnegato.<br />

Me ne accorsi solo quando una settimana dopo mi feci<br />

spazio fra le macerie e scesi nei sotterranei per accertarmi<br />

che fossero tutti morti. Da quanto ho potuto vedere quel<br />

giorno, dev’essere stata una morte lenta e dolorosa la loro.<br />

C’era stata una rissa furibonda per impossessarsi del<br />

medaglione del Rinnegato. I vincitori poi erano morti nel<br />

tentativo. Uno di loro doveva essersi avvicinato davvero<br />

troppo, perché l’ustione sul torace gli era stata letale. La<br />

scarica elettrica era stata tanto forte da sciogliergli la carne<br />

ed esporre gli organi carbonizzati. Gli altri non ebbero<br />

sorte migliore comunque.<br />

367


Solo il Rinnegato era ancora vivo quando scesi di sotto. Il<br />

medaglione lo teneva in vita. Io non sapevo ancora chi<br />

fosse, né capivo cosa fosse accaduto lì sotto in quella<br />

settimana.<br />

All’inizio pensai di lasciarlo in vita. Attribuii la sua<br />

sopravivenza a una clemenza divina. Mi aggirai per il<br />

salone osservando i cadaveri maleodoranti dei sette<br />

Membri del Gran Consiglio.<br />

Li contai più di una volta. Erano proprio sette.<br />

> chiesi al Rinnegato. Se ne stava<br />

accucciato in un angolo. Tremava. ><br />

Non mi guardava. Non rispondeva.<br />

> ringhiai ><br />

Avrà avuto all’incirca trent’anni. Era più grosso e<br />

muscoloso di me, eppure mi temeva. Ma forse era solo<br />

ancora terrorizzato dagli attacchi subito negli ultimi giorni.<br />

Il salone era troppo piccolo per contenere il raggio<br />

protettivo del medaglione, che si propagò investendomi in<br />

pieno. Mi sbalzò contro la parete in fondo, alle mie spalle.<br />

Non mi uccise perché i miei propositi nei suoi confronti<br />

non erano omicidi. La forza del Medaglione, infatti, è<br />

tanto più potente, quanto più ostili sono le intenzioni<br />

dell’aggressore.<br />

Avevo sentito parlare dei Rinnegati in collegio. C’era un<br />

libro dedicato all’intera storia, che dovetti studiare a<br />

fondo, perché era materia d’esame dell’ultimo anno.<br />

Però, trovarmene davanti uno in carne e ossa, fu come<br />

rendere reale quello che fino ad allora mi era sempre<br />

sembrato solo un mito.<br />

Mi accorsi solo in quel momento d’aver sterminato il Gran<br />

Consiglio.<br />

368


Presto se ne sarebbero accorti, forse stavano già arrivando<br />

per controllare, perché era lì che dovevano andare l’ultima<br />

volta che li avevano visti vivi. Se mi avessero trovato lì, se<br />

fossero riusciti a ricollegare a me quell’eccidio, avrei<br />

pagato l’affronto con la mia stessa vita. Improvvisamente<br />

mi accorsi di avere solo due opportunità per farla franca:<br />

fuggire e far perdere per sempre le mie tracce, passando il<br />

resto della mia vita a nascondermi dalla mia stessa gente,<br />

oppure uscire più velocemente possibile da lì e fare finta<br />

di niente, nella speranza di non aver lasciato troppo indizi<br />

compromettenti.<br />

La decisione che presi fu talmente fulminea, che l’azione<br />

quasi precedette la mente. Ero ancora seduto a terra dove<br />

mi aveva scagliato la forza del medaglione, riflettendo<br />

sulle conseguenze del mio gesto, quando raccolsi la pistola<br />

che mi era caduta accanto e sparai al Rinnegato senza<br />

neanche prendere la mira. Un colpo dritto al centro della<br />

fronte.<br />

Non ce l’avevo con lui. Non volevo ucciderlo, ma era un<br />

testimone troppo scomodo.<br />

Fuggii subito dopo, portando via con me il medaglione.<br />

Ero a New York quando si scoprì che ero stato io l’artefice<br />

di tutto. Galeotto fu il proiettile nel cranio del Rinnegato<br />

assassinato. Tuttavia, non ci furono conseguenze così<br />

disastrose come immaginavo. In molti desideravano far<br />

parte del Gran Consiglio, e la morte degli Anziani aveva<br />

aperto molte strade in un colpo solo. Mio nonno era uno di<br />

loro, e questo mi garantì la sopravvivenza, nonché il<br />

rispetto e l’obbedienza degli altri Ancharos minori.<br />

Sono rimasti in tre a custodire il segreto del rito di<br />

foggiatura dei medaglioni. Per quanto ne sappiamo, la<br />

Setta non è stata più ricostituita, ma nulla impedirebbe<br />

loro di rimpiazzare i membri mancanti e rinascere più forte<br />

e vendicativa di prima.<br />

369


Per questo motivo abbiamo sempre cercato di tenere il<br />

Clan all’oscuro di tutto. Potrebbero mettersi sulle loro<br />

tracce e usarne il sapere millenario contro di noi.<br />

Per questo dovevamo assolutamente trovarli prima di loro<br />

e portare a termine il lavoro iniziato più di mille anni fa.<br />

Per questo motivo non potevo assolutamente fidarmi di<br />

nessuno. Neanche di Denise.<br />

Sulla sedia della sua scrivania, c’erano degli abiti piegati.<br />

Un pantalone sportivo, di quelli militari con i tasconi sulle<br />

gambe, solo che era in tinta unita color nocciola. Una felpa<br />

beige con cappuccio della Puma e intimo in microfibra<br />

bianco. Le mie scarpe erano asciutte e pulite ai piedi della<br />

sedia.<br />

Si accorse che guardavo in quella direzione > disse ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> puntualizzai infilando anche i<br />

pantaloni.<br />

Scese da letto. ><br />

> mi stavo alterando, e il medaglione rispose<br />

con le prime piccole scosse.<br />

370


Gli lanciai un’occhiataccia minacciosa. La scossa mi<br />

allontanò da lei. Sbuffai irritato. ><br />

acconsentii rassegnato. ><br />

Le labbra si inarcarono in uno splendido sorriso > poi sparì chiudendosi la porta alle spalle.<br />

Io intanto continuai a vestirmi.<br />

371


372<br />

35<br />

Non capivo perché volessero tenermi lucido di mente.<br />

Io non rispondevo alle loro provocazioni, non mi lasciavo<br />

trascinare dall’ira del momento, mi ritenevo troppo<br />

intelligente per quei matti. Si vedeva lontano un miglio<br />

che le loro erano provocazioni che mi avrebbero solo<br />

provocato un pestaggio gratuito e soprattutto evitabile.<br />

Dopo settantacinque giorni però, cominciavo a non<br />

poterne più. Mi sentivo troppo sporco.<br />

Volevo fare un bel bagno caldo, anche una doccia andava<br />

bene, purché potessi sentire tutt’intorno profumo di pulito.<br />

Erano trascorsi oltre tre anni dall’ultima volta che ero<br />

rimasto così a lungo senza starmene almeno due minuti a<br />

mollo nell’acqua.<br />

Non mi sarei lamentato neanche se fosse stata acqua<br />

gelida, purché fossi riuscito a togliermi di dosso quel<br />

fetore.<br />

Non ne potevo più di essere trattato come una bestia!<br />

Fu dura accettare di nuovo la prigionia dopo aver<br />

assaporato la libertà.<br />

Non parliamo poi del dolore lancinante che sentivo a causa<br />

di una nuova ferita viva sull’addome, sentivo che sarei<br />

impazzito se non mi avessero dato qualcosa per alleviarlo.<br />

E pensare che un tempo ho detestato la vita lussuosa di<br />

casa mia. Dovevo essere proprio matto!<br />

Avevo bisogno di sentirmi ancora un essere umano, e<br />

l’unica cosa che avrebbe potuto darmi quella sensazione<br />

era un bel bagno. Avrei rinunciato su due piedi al mio<br />

intero patrimonio per un bagno.


Avevo fatto tanto per riprendere qualche chilo dopo<br />

l’iniziazione e in un attimo li avevo persi tutti di nuovo.<br />

Che strazio!<br />

Se solo quella sera fossi rimasto a casa come stabilito, non<br />

me ne sarei mai stato lì da solo a farmi divorare vivo dai<br />

ricordi.<br />

Eppure avrei dovuto immaginarlo! Chi altri, dopo tredici<br />

anni all’Ancharos, si sarebbe lasciato fregare come ho<br />

fatto io?<br />

Se ci penso mi viene ancora voglia di prendermi a testate<br />

contro il muro.<br />

Devo ammettere però, che la dura permanenza in collegio<br />

mi aveva preparato a tutto questo. Diversamente non avrei<br />

resistito così a lungo.<br />

Intanto le sere calavano indisturbate dalla finestra della<br />

mia cella ed io, guardando la luna sfuggire ai miei occhi,<br />

riuscivo solo a pensare a quello che avevo perso.<br />

Non so perché voglia aggrapparmi al ricordo di questa<br />

brutta esperienza, ma conservo ancora un foglio scritto di<br />

mio pungo in quel periodo.<br />

Come avevo previsto mi trasferivano in un’altra base. A<br />

Baltimora c’erano meno probabilità che i miei uomini<br />

riuscissero a trovarmi.<br />

Stamattina si viaggia!<br />

Sono chiuso in un minibus blindato del Clan stiamo<br />

andando a Baltimora, non so perché, forse mi<br />

trasferiscono in un’altra base.<br />

Il mezzo ha dei finestroni con vetri oscurati, quattro<br />

coppie di sedili.<br />

Io me ne sto tranquillamente seduto a scrivere, cercando<br />

di non pensare a quello che succederà una volta arrivati a<br />

destinazione.<br />

373


E' strano, è come se qualcosa dentro mi impedisse di<br />

pensare, è da qualche giorno che la sento, una voce,<br />

chiara, che pensa al posto mio, una presenza inquietante<br />

che non sentivo da tanto.<br />

E' come se qualcuno a me molto vicino volesse a tutti i<br />

costi parlarmi, comunicare con me, come faceva un tempo<br />

ormai lontano.<br />

Stamattina la sento proprio forte, è lei che mi ha convinto<br />

a scrivere, come se volesse farmi tirare fuori tutto quello<br />

che ha da dire.<br />

Non riesco a farla smettere, parla, parla, parla, mi fa<br />

pensare a cose che non avrei pensato mai, mi dice cose<br />

che conosco, ma che non ho mai avuto il coraggio di dire.<br />

E' come se mi stesse rimproverando, perché non le vado<br />

bene così come sono, mi vuole cambiare, e parla, parla,<br />

parla ancora.<br />

Il minibus col suo passo lento si appresta a raggiungere la<br />

sua meta. Io fisso il paesaggio correre dal finestrone e non<br />

posso fare a meno di domandarmi "qual è la mia meta?",<br />

delle volte la risposta mi appare così chiara, così ovvia da<br />

dare tutto per scontato, da farmi dare la mia intera vita<br />

per scontato. Altre volte invece, è tutto così cupo e<br />

misterioso da farmi dubitare di tutto, in quei momenti non<br />

so più niente, chi sono, che cosa faccio, perché lo faccio...<br />

E' una sensazione orribile.<br />

Tutto a causa di quella voce, è lei che mi fa dubitare, è lei<br />

che col suo logorroico parlare mi mette in testa problemi<br />

che non ho.<br />

E' strano come tutto ciò che c’è intorno sia relativo, come<br />

lo scorrere inesorabile del tempo sia solo un interminabile<br />

attimo di vita.<br />

E' strano come la vita sia solo un brevissimo istante di<br />

quell'attimo di tempo.<br />

374


La vita di una goccia di pioggia si esaurisce in una<br />

frenetica caduta, eppure il suo tempo continua a scorrere<br />

veloce, fino all'evaporazione, fino al nulla.<br />

Le vedo cadere una dopo l'altra, pesanti e forti, che si<br />

abbattono violente sulla vita altrui, vanno a intaccare il<br />

tempo di qualcun altro.<br />

Si scagliano frammentarie sui finestroni del bus, il vetro<br />

ha fermato la loro corsa, il vetro ha impedito loro di<br />

raggiungere la meta, ha accelerato il loro tempo ed ora,<br />

se le porta via lontano.<br />

Ha smesso di piovere, tutto sembra più calmo, a<br />

Philadelphia si affaccia un timido sole, le gocce di pioggia<br />

sul finestrone ora non ci sono più, il loro tempo è finito,<br />

per loro tutto è finito.<br />

Le loro piccole compagne adagiate a terra hanno deciso<br />

di collaborare, se resteranno unite il sole non se le porterà<br />

via tanto presto, ma dopotutto, loro hanno già raggiunto<br />

la meta.<br />

Il bus da qualche minuto si è fermato, un intoppo ha<br />

rallentato il suo tempo ma nulla potrà impedirgli di<br />

raggiungere la sua meta, il tempo potrà rallentare, ma<br />

prima o poi sarà costretto a ripartire, è inevitabile.<br />

E' dunque questo la vita? Un implacabile rincorrere il<br />

tempo per varcare la soglia del nostro ambito traguardo?<br />

Cosa c'è oltre quella soglia? Il nulla? L'oblio? O<br />

solamente un'altra soglia da varcare?<br />

E soprattutto, quale sarà mai il mio traguardo? Per<br />

quanto ancora scorrerà questo mio tempo?<br />

È indefinibile il terrore che ho provato stanotte!<br />

Il panico protrattosi per ore, l’incapacità di mantenere i<br />

nervi saldi… il sangue freddo, per evitare di cadere<br />

nell’angoscia più totale.<br />

375


Non sono mai stato così male in vita mia.<br />

La consapevolezza di non poter scappare, di non avere<br />

scampo.<br />

L’attesa infinita di qualcuno che mi aiutasse.<br />

La paura che potesse accadere l’irreparabile.<br />

La consapevolezza di aver del tutto perso il controllo e di<br />

non riuscire a recuperarlo.<br />

L’incapacità di reagire concretamente a quello che<br />

accadeva.<br />

L’involontaria rassegnazione.<br />

L’idea fissa che quell’incubo non sarebbe finito mai, mi<br />

ha fatto per la prima volta desiderare sinceramente di<br />

morire.<br />

Non so cos’è, va tutto storto, è come se fossi sul margine<br />

di un profondo precipizio, come se stessi per cadere.<br />

I giorni passano velocissimi ed io non riesco a stargli<br />

dietro, corrono, corrono…<br />

Va ogni giorno peggio. Non riesco a fermare tutto questo<br />

correre del tempo, non sono pronto ad affrontare questo<br />

strano domani, vorrei che fosse sempre ieri.<br />

Non riesco a togliermi questo grosso peso di dosso, mi<br />

schiaccia, mi soffoca.<br />

È una sensazione orrenda, devo trovare il modo di<br />

buttarla via, ma non so come.<br />

Ho paura!<br />

Ho tanta paura!<br />

A nessuno importa di me, nessuno mi ascolta.<br />

Come vorrei che finisse tutto!<br />

Come vorrei avere il coraggio di prendere quell’assurda<br />

decisione.<br />

Come vorrei avere il coraggio di seguire quella strada.<br />

376


Fossi stato solo lo avrei fatto già da tempo, ma troppe<br />

persone dipendono da me e non posso fregarmene di tutti.<br />

Pensare, che mi sono intrappolato da solo, ho fatto tutto<br />

io, come al solito.<br />

È terrificante pensare di andare avanti così.<br />

Sarà lo stress di questi ultimi giorni? Di sicuro è lo stress!<br />

Vorrei tanto andare sulla cima altissima di una montagna<br />

e mettermi a gridare e invece posso solo urlare dentro di<br />

me.<br />

A volte vorrei che qualcuno riuscisse a sentirmi, che<br />

riuscisse a capire quello che provo, quello che voglio.<br />

Vorrei fuggire via, lontano da tutti, da solo.<br />

Vorrei non sentirmi più così! Fa troppo male.<br />

Devo trovare il modo di tirarmi un po’ su, ma come? Non<br />

ho più forze.<br />

Perché il tempo non si ferma un po’? Giusto un momento<br />

per farmi riprendere fiato.<br />

Voglio tornare a casa! Voglio andare via da qui.<br />

Liberatemi da questa angoscia!<br />

Liberatemi da questo senso di puro panico.<br />

Portatemi via!<br />

Una mattina tornò Carrie a trovarmi. Non era una grande<br />

psicologa, ma in fin dei conti il suo compito principale era<br />

solo farmi parlare.<br />

Quella volta non rimase fuori dalle sbarre, aveva avuto il<br />

permesso di entrare nella cella. Si sedette sul ciglio della<br />

branda su cui ero disteso e rimase quasi tutta la mattina a<br />

farmi compagnia.<br />

Era una delle pochissime persone che ho conosciuto in<br />

quel posto a non aver affatto paura di me.<br />

377


Mi guardava come se mi conoscesse da sempre, come se<br />

tutte le menzogne che avevano ricamato sul nostro conto<br />

non la sfiorassero affatto.<br />

> mi chiese subito.<br />

><br />

><br />

> la frenai.<br />

><br />

><br />

Parlammo per lo più di banalità. Mi mise nella condizione<br />

di sentirmi libero di raccontarle qualunque cosa, ma non<br />

servì a farmi cantare.<br />

Tornò anche il giorno dopo, ma quella volta in incognito.<br />

Non so come abbia fatto a raggiungere il seminterrato<br />

senza farsi notare, ma lo fece.<br />

Mi gettò un pugnale dalle sbarre e fuggì.<br />

Non mi sembrava vero.<br />

Lo afferrai velocemente per nasconderlo, ma aspettai<br />

qualche ora prima di usarlo, non ero così stupido da non<br />

pensare che avrebbe potuto essere una trappola.<br />

Nell’arco della giornata c’erano quattro giri di<br />

perlustrazione e almeno ogni ora scendeva qualcuno a<br />

controllare.<br />

Avevo calcolato per bene i momenti di assoluta solitudine.<br />

Dovevo solo aspettare il momento opportuno per fare la<br />

mia mossa: Liberarmi dalla corda che mi imprigionava le<br />

mani dietro la schiena e, alla prima occasione, usare i miei<br />

poteri per atterrare la guardia con le chiavi della cella.<br />

Dovevo stare attento perché avevo a disposizione un solo<br />

errore.<br />

Avevo aspettato tanto, avrei saputo aspettare ancora.<br />

378


Dal tramonto all’alba passavano due sole ronde, una alle<br />

22:00 e l’altra alle 3:00.<br />

Avevo un buco di cinque ore, in cui scendevano a<br />

intervalli altre quattro guardie e una donna per uno<br />

spuntino intono alla mezzanotte.<br />

Il controllo durava all’incirca dieci minuti, il che mi<br />

lasciava solo cinquanta minuti prima del successivo.<br />

L’unica occasione che avevo per uscire da lì era a<br />

mezzanotte, quando scendeva la signora Trudy col<br />

bicchiere di latte e i biscotti. Era l’unica, infatti, che apriva<br />

la cella, disarmata.<br />

Dovevo stare attento a immobilizzarla senza farla urlare,<br />

altrimenti si sarebbe scatenato l’inferno. Non volevo farle<br />

del male, ma non mi sarei fatto scrupoli se fosse stato<br />

necessario.<br />

Dovevo solo pensare a come uscire una volta fuori dalla<br />

cella.<br />

Non sapevo, infatti, quante guardie ci fossero oltre il<br />

corridoio.<br />

Individuai il mio momento nell’ottantatreesima notte di<br />

prigionia.<br />

Ero pronto a far vedere a quei bastardi cosa volesse dire<br />

mettersi contro un Ancharos.<br />

Il piano che avevo ideato non era dei più brillanti anche<br />

perché quella notte, per ragioni a me ancora sconosciute,<br />

non scese Trudy, ma un soldato, per il solito controllo.<br />

Ero stanco di aspettare, avevo già progettato tutto e per<br />

nulla al mondo avrei passato lì dentro un altro giorno.<br />

Così passai al piano B, che non avevo.<br />

379


Attirai l’attenzione della guardia, con aria sofferente,<br />

pregandolo di portarmi un bicchiere d’acqua.<br />

In principio non volle farlo, poi, non capii cosa gli fosse<br />

preso, si allontanò un momento e tornò con il bicchiere<br />

d’acqua.<br />

Sembrava troppo bella quella bontà per essere vera!<br />

Entrò nella cella, si avvicinò al letto e con una risatina<br />

ironica versò a terra tutto il contenuto del bicchiere.<br />

> sghignazzò.<br />

Un po’ mi è dispiaciuto ucciderlo!<br />

Naaa, non è vero!<br />

Era già passata mezz’ora e non mi rimaneva molto tempo,<br />

così gli tolsi l’uniforme per indossarla e cercare di passare<br />

inosservato.<br />

Caricai il fucile e uscii da lì il più velocemente possibile.<br />

Mi guardai un po’ intorno per capire dove andare e notai<br />

altre celle tutt’intorno.<br />

Molte erano vuote ma tre ospitavano dei Comuni.<br />

Avevo le chiavi per farli uscire, ma appena mi avvicinai a<br />

una di quelle celle mi si scagliarono contro come bestie<br />

inferocite.<br />

Non persi tempo con quella gente - A parer mio stavano<br />

meglio rinchiusi lì che fuori a creare scompiglio -.<br />

Quando uscii dal seminterrato vidi che il piazzale<br />

brulicava di soldati armati.<br />

Mi nascosi, avevo al massimo altri dieci minuti prima che<br />

si accorgessero che ero fuggito e da allora avrei avuto<br />

meno di un istante per trovarmi il più lontano possibile da<br />

lì.<br />

Avevo due strade: o lasciavo fare al caso o passavo<br />

all’attacco e uscivo finalmente da quel lerciume.<br />

380


Date le mie precedenti controversie col destino, scelsi di<br />

gran lunga la seconda alternativa.<br />

Mi separava dalla libertà una recinzione di oltre quattro<br />

metri a qualche centinaio di metri di distanza da me.<br />

Tutt’intorno? Morte.<br />

Avevo il caricatore fucile pieno e, in più, una<br />

semiautomatica con sei proiettili in canna. In tutto? Una<br />

manciata di morte.<br />

A mio favore c’era solo la notte. Io vedevo perfettamente<br />

al buio mentre loro avevano molta difficoltà a farlo,<br />

nonostante le visiere a infrarossi. Inoltre potevo udire cosa<br />

si dicevano e anche questo mi aiutava a schivare le loro<br />

mosse.<br />

Attesi un ultimo istante, presi un bidone che avevo lì<br />

vicino e lo lanciai a qualche metro sulla mia destra.<br />

Istintivamente tutti i soldati si voltarono impugnando le<br />

armi ed io ne approfittai per dare una prima scaricata per<br />

aprirmi un varco verso la libertà.<br />

Caddero almeno dieci soldati, non credo fossero morti,<br />

anche perché non mi potevo permettere di sprecare<br />

proiettili inutilmente.<br />

Mentre gli altri iniziavano a capire cosa stesse succedendo<br />

io ero già a metà strada verso la recinzione. Nella corsa<br />

poi, afferrai il mitra di un caduto, e feci bene, perché<br />

iniziarono a volarmi contro centinaia di proiettili tutti<br />

insieme.<br />

Potei solo rispondere al fuoco e cercare disperatamente di<br />

evitare il loro.<br />

Credo d’essere stato spudoratamente fortunato, perché<br />

sono uscito quasi illeso da uno scontro totalmente a mio<br />

sfavore.<br />

Me la cavai con un paio di ferite di striscio sulla coscia<br />

sinistra.<br />

381


Mi inseguirono per quasi un’ora, ma è difficile scovare<br />

qualcuno nella notte se quel qualcuno al buio si muove<br />

come se fosse pieno giorno.<br />

Vederli rinunciare fu stata la soddisfazione più eccitante<br />

che avessi mai provato.<br />

Ero libero!<br />

L’incubo è finito! Non vedevo l’ora di tornare a casa<br />

riabbracciare la mia famiglia.<br />

Impiegai una settimana per tornare all’appartamento di<br />

New York. Fui fortunato perché sulla strada incontrai un<br />

camionista che mi diede gentilmente un passaggio fino a<br />

New York senza fare troppe domande.<br />

Volevo fare una sorpresa alla mia Celine, erano più di due<br />

mesi che non avevo più avuto il piacere di stringerla forte<br />

a me come un tempo e soprattutto, erano mesi che non<br />

vedevo il mio piccolo Thomas, anche se sapevo che<br />

sarebbe passato ancora qualche giorno prima di poter<br />

tornare in Italia e riabbracciarli.<br />

Non chiudevo occhi da giorni tant’era l’entusiasmo di<br />

riaverla fra le mie braccia.<br />

Un terribile incubo era finito, avremmo potuto finalmente<br />

ricominciare una vita il più possibile normale, tutti e tre<br />

insieme, in Italia, al sicuro.<br />

Avrei finalmente vissuto la vita che per ventun’anni mi era<br />

stata negata.<br />

Avrei potuto tutto questo se solo, tornato a casa, non fossi<br />

stato catapultato in un incubo ancora più feroce.<br />

Se solo non avessi mai varcato quella soglia… avrei<br />

evitato ai miei occhi di assistere a un simile strazio.<br />

Linda era accovacciata a terra, terrorizzata, in un oceano di<br />

sangue, e Celine e la piccola Molly riverse sul pavimento,<br />

senza vita.<br />

382


Linda stringeva forte i corpi esanimi delle sue figlie, come<br />

per intrappolare le loro piccole anime e impedirle di volare<br />

lontano da lei.<br />

Ma com’è possibile? Che ci fai ancora qui?<br />

Era successo di nuovo!<br />

Il Clan aveva vinto ancora!<br />

Fu così che le trovai una volta tornato a casa: Linda in<br />

avanzato stato confusionale e la mia Celine e Molly tra le<br />

sue braccia, senza vita da quasi un’ora ormai.<br />

Ero arrivato tardi!<br />

Se solo non avessimo trovato traffico per strada ora<br />

sarebbero ancora vive.<br />

Se solo non fossi uscito da casa quella notte, quando<br />

Celine mi implorò di restare a casa con lei, adesso potrei<br />

ancora godere dell’affetto della mia famiglia.<br />

Ma perché era ancora a New York invece di stare al sicuro<br />

in Italia insieme al bambino?<br />

Erano riusciti a colpirmi al cuore ancora una volta.<br />

Per quanto ancora sarei riuscito a sopravvivere a quegli<br />

scempi?<br />

Mi risuonano ancora vive le grida disperate di Linda<br />

quando mi vide ><br />

La guardavo stordito. Come potevo dirle che non avrei<br />

potuto salvarle? Con che coraggio avrei potuto pretendere<br />

che capisse.<br />

> sussurrai.<br />

> tremò.<br />

> risposi tutto d’un fiato.<br />

383


E mi si spezzò il cuore quando continuò a supplicarmi > non riusciva a smettere, mi guardava<br />

distrutta, come se fossi la sua unica speranza. Non poteva<br />

sapere, non conosceva il dolore dell’impotenza, mentre io<br />

non ero nuovo a quella disperazione. Io conoscevo bene<br />

quel vuoto che provava nel cuore, quel fuoco che le<br />

incendiava l’anima, io lo conoscevo, era il mio mondo e<br />

non avevo il coraggio di mostrarglielo, per nessuna<br />

ragione avrei mai voluto essere io a farglielo vedere.<br />

Non riuscivo a muovere un muscolo, ero rimasto lì,<br />

impietrito sulla soglia del portone, paralizzato<br />

dall’ennesimo eccidio.<br />

Linda non smetteva di piangere, mentre i suoi lamenti mi<br />

penetravano dentro e scorrevano liberi nelle vene come un<br />

tormento.<br />

Vorrei riuscire a intrappolare tra queste righe tutto quello<br />

che in questi momenti sento, o meglio, tutto quello che da<br />

troppo tempo ormai non riesco più a sentire.<br />

È come se qualcosa in me si fosse spento.<br />

Come se quell’alito di vita che riempiva le mie giornate<br />

fosse morto per sempre.<br />

Sono svanite le mattine in cui non riuscivo a dormire.<br />

Sono svanite le palpitazioni frenetiche senza motivo.<br />

È finito tutto!<br />

Non lo sento più!<br />

Tutto l’entusiasmo, tutta la voglia di vivere per un solo<br />

sguardo.<br />

Tutto finito!<br />

Non sento più quella voce che mi invoglia ad alzarmi al<br />

mattino.<br />

384


Non sento più quel richiamo dolce dell’amore.<br />

Sento solo un grosso vuoto che invade il mio spirito, un<br />

vuoto che sta divorando tutto il mio essere.<br />

Mi manca la forza di reagire.<br />

Mi manca la voglia di guardare avanti.<br />

Mi manca quell’angelo che per quasi due anni quella<br />

forza me l’ha donata.<br />

Sì …, un angelo! Si era insidiato nel mio cuore, aveva<br />

preso alloggio nella mia mente, aveva seviziato la mia<br />

anima e l’aveva fatta sua.<br />

Ora che quell’angelo me l’hanno portato via, sono<br />

rimasto solo, con la mia anima morente, a fare i conti con<br />

il mio oscuro passato.<br />

Rimasi per ore seduto sul davanzale di una delle finestre<br />

del salone, deciso più che mai a gettarmi di sotto e farla<br />

finita per sempre con questa vita di lacrime.<br />

Ripensai a tutto quello che avevo passato in quegli anni, a<br />

tutto il male che avevo subito.<br />

Mi accorsi che prese insieme quelle sventure, non si<br />

sarebbero mai neanche avvicinate al dolore lancinante che<br />

provavo in quel momento.<br />

Sarebbe bastato solo un piccolo gesto e tutto sarebbe finito<br />

per sempre, non avrei più pianto o sofferto, non avrei più<br />

assistito a quelle scene.<br />

Cos’altro avevo da perdere? Avevo già perso su tutti i<br />

fronti, non trovavo più nulla per cui valesse davvero la<br />

pena lottare.<br />

Celine non c’era più e Linda mi odiava, mi reputava la<br />

causa di tutte le sue sciagure. Come avrei potuto<br />

biasimarla? Ero stato io a dare inizio a tutto.<br />

385


Non mi permise neanche di avvicinarmi a Celine per<br />

quanto era sconvolta.<br />

> strillava > gridava inconsolabile ><br />

“ Tu le hai uccise!” questa frase tormenta tuttora le mie<br />

giornate.<br />

Un gesto, un misero salto e non avrei più udito quelle<br />

parole.<br />

Un salto… solo un salto.<br />

E mio figlio? Che ne sarebbe stato del nostro bambino?<br />

Sarebbe stato una delle prossime vittime di quei macellai.<br />

No, Alex! Non puoi permetterlo.<br />

No! Certo che no. Non l’avrei permesso. Non avrei<br />

concesso a quei bastardi di continuare la loro opera di<br />

sterminio. Non avrei tollerato che un’altra sola creatura<br />

morisse a causa loro.<br />

Dopotutto, avevo ancora qualcosa per cui lottare, dovevo<br />

proteggere mio figlio, dovevo vendicare la morte dei miei<br />

cari.<br />

Il giorno dopo parlai con Linda, le spiegai tutto quello che<br />

era successo. Stava troppo male per capire le mie ragioni,<br />

ma almeno la convinsi a lasciare che mi occupassi dei<br />

funerali.<br />

Diedi disposizioni affinché le spoglie del mio amore<br />

fossero traslate nella cappella di famiglia, in Italia. Non<br />

avrebbe avuto senso, per me, lasciarla da sola a New York.<br />

> chiesi a Linda in un momento di stasi,<br />

qualche giorno dopo il mio ritorno all’Inferno.<br />

386


mi rispose riprendendo a piangere. > disse disperata.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> dissi adirato. ><br />

><br />

> le chiesi di nuovo afferrandola<br />

per le spalle.<br />

> ripeté in lacrime.<br />

> gridai.<br />

> esclamò poi, dopo un attimo di esitazione,<br />

lasciandosi cadere sul pavimento.<br />

> chiesi preoccupato. > sbraitai.<br />

><br />

balbettò incredula e shockata.<br />

><br />

Non le diedi il tempo di rispondere, perché mi precipitai,<br />

furibondo, per le scale in cerca di quel traditore.<br />

Impiegai meno di un istante per arrivare in chiesa.<br />

> ringhiai. Quel bastardo stava celebrando<br />

una funzione e la chiesa era gremita di fedeli.<br />

387


Appena mi vide, Collins mi fissò e fece qualche passo<br />

indietro.<br />

Tutti i presenti invece si voltarono a guardarmi per la<br />

violenta irruzione, ma non si mossero dai loro posti.<br />

><br />

disse cercando di mantenere la calma. Quella sua<br />

espressione innocente mi fece ribollire il sangue e in pochi<br />

secondi lo raggiunsi come una furia sull’altare.<br />

><br />

> si difese.<br />

><br />

><br />

> gridai ><br />

> esclamò terrorizzato.<br />

> strillai.<br />

> chiese<br />

tremante.<br />

> urlai.<br />

><br />

><br />

><br />

> ripetei imbestialito.<br />

> sbottò sotto gli occhi inorriditi e confusi degli<br />

spettatori.<br />

><br />

sbraitai scagliandolo contro una parete e tenendolo fermo<br />

con una mano per la gola


insegna il tuo Dio? Rispondi quando ti parlo!>> strillai<br />

rabbioso.<br />

> tremò.<br />

> ringhiai ><br />

><br />

> sentivo<br />

il fuoco della mia mano incendiargli la gola.<br />

> non lo feci finire,<br />

perché accecato dall’odio, gli ruppi il collo con un colpo<br />

solo.<br />

> mormorai soddisfatto.<br />

Subito in chiesa si scatenò il putiferio. I fedeli si<br />

riversarono tutti di corsa verso l’uscita, calpestandosi l’un<br />

l’altro terrorizzati.<br />

Lo spettacolo era finito!<br />

389


390<br />

36<br />

Aspettammo che uscisse sua madre prima di prendere<br />

l’utilitaria in garage e lasciare il quartiere. Recuperata la<br />

Mercedes poi, lasciai che riportasse l’auto a casa e venisse<br />

al confine dove mi ero fermato ad aspettarla.<br />

Marco le aveva telefonato mentre si stava cambiando.<br />

Avevo risposto io e non mi era sembrato affatto contento<br />

di sentirmi. Questo mi mise di buon umore, dopotutto.<br />

Voleva che la accompagnassi da loro all’università.<br />

L’emergenza a Trastevere era passata e ora tornava a<br />

rivendicare la sua supremazia su Denise.<br />

> risposi ><br />

Mugugnò qualcosa, poi mi riattaccò il telefono in faccia.<br />

Gli Agenti appostati al confine ci seguirono fino<br />

all’imbocco della superstrada.<br />

> dissi con fare scherzoso.<br />

Lei non se ne era accorta.<br />

><br />

><br />

Mio nonno fa affari con quel Bastardo?<br />

><br />

><br />

Bugiarda!


Sorrise ><br />

><br />

Si appoggiò allo schienale del sedile cercando una<br />

posizione più comoda. Il fondotinta nascondeva le<br />

occhiaie livide della notte insonne che le avevo regalato<br />

per ringraziarla dell’ospitalità.<br />

> dissi ><br />

> rispose interrompendosi per uno sbadiglio.<br />

><br />

><br />

><br />

> precisai ><br />

><br />

La interruppi di nuovo ><br />

> osservò.<br />

><br />

><br />

Mi voltai un momento a cercare il suo viso. Sorrisi. ><br />

Si irrigidì, arrossendo.<br />

><br />

><br />

391


><br />

Annuii ><br />

><br />

><br />

Dopo Celine, Denise era la prima ragazza che portavo con<br />

me in Villa.<br />

Questo mi metteva un po’ a disagio, perché non volevo<br />

che la sua presenza lì con me potesse dare adito a<br />

qualcuno di pensare che ci fosse qualcosa fra noi.<br />

Prima di invitarla a entrare, recuperai in un cassettino<br />

abbandonato della mente le buone maniere dimenticate da<br />

tempo.<br />

Cercai di sembrare cortese e disinvolto, ma<br />

dall’espressione divertita del suo viso fui costretto a<br />

dedurre di non esserci riuscito affatto.<br />

Era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo<br />

dovuto prendermi cura di qualcuno. Con Celine mi è<br />

sempre risultato tutto molto semplice. Ero naturalmente<br />

apprensivo, gentile e premuroso con lei. Ma io amo<br />

Celine. Vivo solo per farla felice, dopotutto.<br />

Stefano era in casa. Se ne stava spaparanzato in pigiama a<br />

guardare la Tv in salotto, con una gamba comodamente<br />

sospesa allo schienale del divano.<br />

> annunciai.<br />

Si ricompose all’istante prima di vedere che si trattava<br />

solo di Denise.<br />

Il movimento improvviso lo scosse, risvegliando la tosse<br />

violenta che lo tormentava da un paio di giorni.<br />

392


dissi sfilando il giubbotto ><br />

Tossì di nuovo. La voce rauca dallo sforzo ><br />

Gli hai attaccato la bronchite?<br />

> disse in risposta al mio<br />

sguardo allarmato ><br />

Denise se ne stava immobile davanti alla porta. Non so se<br />

fosse per imbarazzo o per timore di beccarsi qualcosa.<br />

> la salutò Stefano > altri colpi di tosse.<br />

> si bloccò di colpo e spostò lo sguardo<br />

su di me.<br />

Aveva intuito che non gradivo sentir nominare suo padre e<br />

tantomeno parlare dell’accaduto ma Stefano non si era mai<br />

lasciato spaventare dai miei repentini cambi d’umore e<br />

riprese il discorso.<br />

><br />

Lo fulminai con un’occhiataccia, ma non mi prestò la<br />

minima attenzione.<br />

> rispose lei, intimidita.<br />

> riprese a tossire.<br />

Ben ti sta!<br />

Lasciai cadere il giubbotto sulla poltrona ><br />

393


Un timido sole illuminava la mia stanza. Sarebbe piovuto<br />

ancora quel giorno, ma non era importante.<br />

Celine era in piedi davanti alla finestra. Le spalle rigide, la<br />

testa alta.<br />

Sapevo che non era contenta di vedermi con Denise. Era<br />

gelosa. Diceva di no, ma a volte dimenticava di non<br />

potermi mentire senza che me ne accorgessi.<br />

> dissi piano, avvicinandomi a lei per<br />

stringerle le braccia attorno alla vita.<br />

><br />

Posai il mento sulla sua spalla > poi la voltai<br />

verso di me per guardarla in viso ><br />

> sussurrò con le lacrime<br />

agli occhi ><br />

> la baciai ><br />

La sua presenza lì era una conseguenza del patto che<br />

stringemmo dopo l’incidente. Un patto che né l’uno né<br />

l’altra era ancora riuscito a rispettare, ma a me andava<br />

benissimo così. Non potevo chiedere di più. Avevo<br />

accettato le sue condizioni solo per convincerla a restare.<br />

> bisbigliai al suo orecchio.<br />

La sentii abbandonarsi fra le mie braccia > confessò con un filo di voce.<br />

No, Celine… non farlo un’altra volta.<br />

Mi guardò col viso bagnato di lacrime ><br />

La strinsi forte a me.<br />

Avrei voluto dirle che sarebbe andato tutto bene, ma avevo<br />

promesso di non mentirle più. Così mi limitai ad<br />

abbracciarla senza dire una parola.<br />

394


Non poter interagire con Thomas per lei era davvero uno<br />

strazio. Doversene stare impassibile a guardare mentre<br />

cresceva senza di lei, mentre imparava a fare a meno di lei,<br />

era una sofferenza che andava ben oltre la percezione<br />

fisica del dolore.<br />

><br />

> singhiozzò, immergendo i suoi<br />

incantevoli occhi nei miei ><br />

No, che non l’hai fatto tesoro. È stata solo colpa mia.<br />

> continuò ><br />

Mi mandava in bestia sentirla parlare così > sbottai, prendendo le distanze da lei.<br />

><br />

> strillai ><br />

> sbraitò.<br />

><br />

><br />

><br />

Scosse la testa, decisa.<br />

><br />

><br />

><br />

gridai ><br />

><br />

Scuotevo la testa senza accorgermene. Celine me la<br />

immobilizzò fra le mani.<br />

395


sussurrai ><br />

><br />

> mi portai le mani alle orecchie. Non avrei<br />

ascoltato una parola di più.<br />

Basta!<br />

La porta del mio appartamento era rimasta aperta<br />

dall’ultima intrusione. Dopo la discussione con Celine<br />

avevo bruscamente interrotto la mia permanenza in Villa.<br />

Stefano aveva intuito qualcosa dalla mia espressione,<br />

quando tornai in salotto per recuperare Denise, ma non si<br />

pronunciò.<br />

><br />

chiese mentre passavo il cappotto a Denise.<br />

><br />

> aggiunse con<br />

noncuranza.<br />

Mi allarmai ><br />

><br />

><br />

><br />

396


Denise mi posò una mano sulla spalla ><br />

><br />

><br />

La zittii con un’occhiataccia.<br />

><br />

><br />

Sorrise.<br />

Gli arruffai i capelli già in disordine ><br />

Come dicevo…, trovai la porta del mio appartamento,<br />

socchiusa. Feci rimanere Denise in disparte mentre mi<br />

avvicinavo, per controllare che Lorenzo non avesse<br />

lasciato qualche scagnozzo ad aspettare il mio ritorno.<br />

Impugnai entrambe le pistole che mi ero portato dietro e<br />

mi aprii cauto la porta.<br />

Denise si innervosì di fronte alla vista delle armi ><br />

Ero tornato a casa apposta. Mi erano rimasti solo tre colpi<br />

in quella che porto sempre con me in macchina e l’altra<br />

semiautomatica l’avevo in camera mia insieme al resto<br />

delle munizioni e un paio di caricatori di riserva.<br />

><br />

><br />

Spalancai la porta con un piede, puntando le armi a braccia<br />

tese in avanti ><br />

Un rumore improvviso alla mia destra mi fece scattare e<br />

puntare subito le armi in quella direzione.<br />

397


L’urlo della signora Simonelli mi si conficcò nelle tempie<br />

come una spina fastidiosa. ><br />

Addio effetto sorpresa!<br />

Ma che ti strilli?<br />

><br />

Che p…mmmmmmmmm.<br />

><br />

><br />

Esagerata! Tuo marito e tuo figlio se ne vanno in giro ad<br />

ammazzare gente e noi siamo i teppisti?<br />

><br />

Mi strinsi nelle spalle, incurante delle sue minacce ><br />

Oh oh! Guarda che faccia? A quanto pare l’abbiamo<br />

punta sul vivo.<br />

><br />

><br />

Alex? Ti sembra questo il momento di metterti a discutere<br />

di questioni di condominio?<br />

Scrollai il capo per scacciare via il nervoso ><br />

> infierì.<br />

Le risposi con uno sguardo che la fece indietreggiare di<br />

qualche passo, prima di voltarsi, indispettita, per<br />

398


tornarsene in casa. Avevo esaurito la mia scorta di<br />

pazienza.<br />

Appena fu fuori dal mio campo visivo sentii riaffiorare il<br />

buon umore. Denise era ancora alle mie spalle e non aveva<br />

mosso un muscolo da allora. Le sorrisi divertito e<br />

compiaciuto dalla mia piccola vittoria > e le feci<br />

largo con garbo per permetterle di entrare.<br />

Inutile dire che il mio sofisticato rifugio si era trasformato<br />

in un tugurio. Era ancora tutto sottosopra.<br />

Per fortuna i silenziatori delle armi non avevano suscitato<br />

la curiosità di nessuno nel palazzo. Non sopporto i<br />

ficcanaso. E soprattutto non gradisco intrusi in casa mia.<br />

Sono possessivo e geloso delle mie cose.<br />

Passai il resto della mattina a tentare di rimettere in ordine<br />

quel caos, ma alcuni pezzi del mobilio erano stati fatti a<br />

pezzi deliberatamente, per dispetto. Denise mi aiutò come<br />

poté, occupandosi della camera da letto, mentre io,<br />

furente, raccoglievo da terra i cocci che restavano<br />

dell’arredo della mia cucina nuova.<br />

399


400<br />

37<br />

Il davanzale al ventiduesimo piano del mio appartamento<br />

aveva assunto un aspetto davvero invitante. Cercavo di<br />

tenere la mente occupata per non pensare. Mi costringevo<br />

a stare in casa il meno possibile per non cedere alla<br />

tentazione diabolica di lasciarmi cadere di sotto. Era<br />

diventata quasi un’abitudine passare il tempo seduto in<br />

bilico sul marmo freddo di quella finestra. La stessa<br />

tentazione di chi soffre di vertigini e invece di<br />

indietreggiare si sente spinto verso il vuoto. Dentro di me<br />

speravo che un giorno o l’altro un rumore improvviso, una<br />

folata di vento, una distrazione qualunque, mi facesse<br />

perdere accidentalmente l’equilibrio. Non avvertivo alcuna<br />

paura all’idea di spappolarmi sul marciapiede, era il<br />

rimorso che mi frenava.<br />

Erano trascorsi due mesi dal brutale assassinio di Celine e<br />

la piccola Molly, e non vedevo Thomas da uno. Sapevo<br />

che a casa con Beatrice era al sicuro, ma soprattutto<br />

sapevo che non avevo alcun desiderio di vederlo. Celine<br />

era stata uccisa per colpire me, membro di rilievo della<br />

mia stirpe. Se Celine non fosse rimasta incinta io<br />

probabilmente non sarei mai tornato da lei e ora sarebbe<br />

ancora viva, felice insieme alla sua famiglia. La nascita di<br />

mio figlio aveva causato la morte di mia moglie? Certo<br />

che no, ma quel periodo avrei dato la colpa a chiunque pur<br />

di non darla a me stesso, l’unico vero responsabile.<br />

Di solito occupavo il tempo aiutando la squadra di<br />

Ancharos del quartiere. Erano ragazzi simpatici, anche se<br />

il loro aspetto incuteva un certo timore ai Comuni.<br />

Coprivano la loro identità dietro il gruppo gotic-rock che<br />

avevano composto. Il nero era il loro colore dominante,<br />

anche se le loro anime erano le più brillanti che avessi mai


visto. Io ero diventato più brusco e irascibile del solito.<br />

Avevano imparato a conoscermi però, e capivano al volo<br />

quando fosse il momento di ignorarmi per non scatenare i<br />

miei attacchi di rabbia.<br />

Erano gentili a tenermi con loro, non erano affatto<br />

obbligati a sopportarmi, eppure mi stettero accanto. Matt<br />

era stato il nocchiero di Celine e Molly. Avevano parlato<br />

molto, di me, forse per questo mi teneva d’occhio, forse<br />

gliel’aveva chiesto lei. Non so, non l’ho mai saputo, non<br />

ha mai voluto dirmelo.<br />

A New York non è mai difficile per noi trovare lavoro, ci<br />

sono sempre più anime di quante un nocchiero riesca a<br />

gestirne. È faticoso stare in allerta e svolgere il trapasso al<br />

meglio: le anime normalmente restano shockate di fronte<br />

alla consapevolezza della morte del proprio corpo. Sono<br />

un po’ come bambini a cui va insegnato tutto, dalla<br />

normale comunicazione al movimento. Quando sei<br />

abituato a spostarti per mezzo di muscoli e ossa è difficile<br />

abituarsi a compiere lo stesso movimento senza percepire<br />

il peso e la fatica del corpo. Il trapasso dell’anima di un<br />

vivo è più gestibile, perché continua a percepire la propria<br />

materia, anche se immobile sul mondo fisico.<br />

Differentemente, l’anima di un cadavere si sente come un<br />

palloncino che si è slegato dal polso del bambino al Luna<br />

Park.<br />

È un’operazione delicata il trapasso, perché l’anima<br />

coinvolta potrebbe spaventarsi al punto di fuggire. Quella<br />

è la parte peggiore: dover passare ore a cercarla nella folla<br />

dei vivi.<br />

Il nocchiero ha tre giorni a disposizione per accompagnare<br />

l’anima nell’Hahicòs. In quei giorni può istruire l’anima e<br />

prepararla al trapasso, può aiutarla a rimettere in ordine<br />

qualche tassello mancante della sua vita, perfino<br />

concederle fugaci contatti con i propri cari, se lo ritiene<br />

401


necessario. Il suo compito è fare di tutto affinché il<br />

trapasso sia meno traumatico possibile, soprattutto perché<br />

sa che, una volta traghettata all’Hahicòs, l’anima non potrà<br />

tornare indietro tanto facilmente, e non potrà più avere<br />

contatti con i mortali senza il suo implicito permesso.<br />

Scaduto il termine dei tre giorni però, l’anima dei defunti<br />

per morte violenta decretata da terzi, resterebbe incastrata<br />

sul mondo fisico per un tempo uguale agli anni che gli<br />

erano stati destinati. Le anime dei morti per Sentenza<br />

invece non hanno bisogno di tutta questa premura, perché<br />

il loro tempo è già scaduto. La sorte peggiore è per i<br />

suicidi, perché se nessuno informa in tempo il Giudice<br />

della loro decisione di mettere fine alla propria vita,<br />

rischiano di passare decenni, anche secoli, in attesa che un<br />

nocchiere si accorga di loro e si presenti a reclamarne<br />

l’anima. È difficile distinguere gli spiriti erranti dai<br />

trapassati, perché non c’è nessun particolare che li<br />

distingua. Quando il nocchiero si proietta nell’Hahicòs per<br />

controllare le auree dei viventi, distingue le figure delle<br />

anime trapassate proprio dall’assenza dell’aurea, che nel<br />

loro caso, è proiettata esclusivamente nello sguardo:<br />

un’anima dalle iridi rosa è il riflesso dell’individuo<br />

dall’indole rosa che è stato prima di morire. Il suicida<br />

quindi, proprio come una comune anima errante, si<br />

mostrerà al nocchiero come uno spirito già trapassato,<br />

impedendogli così di identificarlo.<br />

Matt aveva concesso i tre giorni anche a Celine - Aveva<br />

ritenuto giusto procedere diversamente con Molly e<br />

affidarla alle cure di sua nonna per non turbare troppo il<br />

suo giovane spirito - .<br />

Avevo intuito da subito che per Celine non c’era niente da<br />

fare, perché dal mio arrivo la vedevo inginocchiata<br />

accanto a sua madre, stringersi forte in un abbraccio che<br />

percepiva soltanto lei. L’avrei accompagnata io<br />

402


nell’Hahicòs, se non avessi dovuto attendere altre due<br />

settimane prima di acquisire i miei poteri.<br />

Il suo pianto dirotto tormenta ancora la mia mente<br />

vacillante.<br />

Me ne stavo in disparte mentre la polizia esaminava con<br />

inutile scrupolo la scena del crimine. C’era anche uno di<br />

Loro fra gli agenti impegnati nelle ricerche degli assassini.<br />

Mi lanciava occhiate torve quando nessun altro poteva<br />

accorgersene. Sentiva il pericolo alle sue spalle. Non si<br />

aspettava affatto di trovarmi lì e questo lo inquietava,<br />

perché sospettava che difficilmente sarebbe sopravvissuto<br />

per raccontare ai suoi di avermi incontrato. Il mio sguardo<br />

doveva essere di puro odio, un allarme di pericolo mortale<br />

per chiunque incrociasse i miei occhi in fiamme.<br />

Celine se ne stava buona accanto a me. Si stringeva al mio<br />

braccio appoggiandosi rassegnata con la testa alla mia<br />

spalla tremante dall’ira.<br />

> disse senza togliergli gli occhi di dosso.<br />

> bisbigliai a denti stretti per non farmi sentire<br />

dagli altri.<br />

><br />

><br />

Dovetti distogliere lo sguardo quando sfilarono con il suo<br />

corpo su una barella. Per quanto fosse accanto a me in<br />

quel momento, non riuscivo ad accettare l’idea che non<br />

avrei più posato le dita, le mie labbra su di lei.<br />

Tentò invano di catturarmi una lacrima con un bacio > disse posando una guancia<br />

sulla mia.<br />

Che assurdità! Mi stava consolando. L’unica cosa che ero<br />

in grado di fare io, la stava facendo lei per me.<br />

403


Linda seguì le salme delle ragazze. Era distrutta. Brandon,<br />

suo marito, la sorreggeva a fatica, dopotutto, non stava<br />

meglio di lei.<br />

Gli ultimi agenti si trattennero ancora qualche minuto per<br />

sbarrare il portone di casa con il nastro della scientifica.<br />

> chiesi a Celine quando fui<br />

certo che fossimo rimasti davvero soli. Avevo sentito dire<br />

che era piuttosto comune sentir esprimere da un anima il<br />

desiderio di poter seguire le proprie spoglie mortali fino al<br />

giorno della sepoltura. Come a voler conservare un ricordo<br />

di se stessa che potesse esserle di compagnia nell’ignoto.<br />

Scosse la testa avvicinandosi a me.<br />

L’abbracciai.<br />

><br />

spiegò ><br />

La strinsi ancora più forte a me, nella speranza di riuscire<br />

a ricacciare indietro il magone che mi impediva di parlare.<br />

Sentii le sue mani incorporee sul mio viso, che diresse a<br />

un centimetro dal suo per guardarmi negli occhi.<br />

> disse fra le<br />

lacrime > me le carezzò con il pollice<br />

prima di baciarmi.<br />

Sentivo i carboni ardermi nello stomaco. ><br />

riuscii a dire prima di aggrapparmi stretto a lei per lasciar<br />

fluire dal mio cuore tutto il dolore accumulato nelle ultime<br />

ore.<br />

Separarmi da lei, il terzo giorno, fu come perderla un’altra<br />

volta.<br />

Se possibile, fece ancora più male.<br />

> si raccomandò prima<br />

di andare ><br />

> sospirai ><br />

404


Mi cinse le braccia alla vita posando le labbra contro le<br />

mie ><br />

><br />

><br />

Ryan era già in posizione. Gli Esecutori sono esperti per<br />

natura negli appostamenti. Non l’avrebbe mai notato<br />

nessuno. Matt era pronto all’agguato a meno di dieci metri<br />

da lui. Kevin e Michael attendevano il segnale di Ryan<br />

sull’altro lato della strada.<br />

Io?<br />

Io ero l’esca che avrebbe attirato Simon nella nostra<br />

trappola.<br />

Avevo giurato a me stesso che non avrei lasciato New<br />

York senza aver dato prima sfogo alla mia vendetta.<br />

Simon aveva distrutto la mia famiglia e presto avrebbe<br />

pagato a caro prezzo quest’affronto.<br />

Mi era bastato vederlo una volta per imprimere l’energia<br />

della sua aurea nella mia memoria. L’avrei riconosciuta fra<br />

milioni, bendato.<br />

Scovarlo non fu facilissimo, perché non viveva in città, ma<br />

in un villino in periferia, assieme a sua moglie Bridjet e<br />

alle loro due bambine: Lara e Samantha.<br />

Usciva di casa tutte le mattine alle 8:00 in punto, per<br />

raggiungere l’ufficio legale di copertura, sulla 34 a . Gli<br />

piacevano le auto sportive, anche se aveva una familiare<br />

chiusa in garage. Bridjet usciva raramente di casa, se non<br />

per accompagnare le bambine a scuola, a tennis e a danza,<br />

il martedì. Per la spesa uscivano tutti insieme il venerdì<br />

pomeriggio. Il resto della giornata, Bridjet lo trascorreva<br />

in casa, o in giardino a occuparsi delle sue aiuole sempre<br />

fiorite. A parte sua sorella, che passava a trovarla tutti i<br />

405


giorni intorno alle 16:30, non conduceva molta vita<br />

sociale.<br />

A Simon piaceva viziare le sue tre donne con un regalo<br />

diverso ogni sera. Rientrava spesso tardi e stanco a casa,<br />

ma qualche minuto per le bambine lo trovava sempre. Gli<br />

piaceva metterle a letto e aspettare che si addormentassero<br />

al suono della sua voce. Il resto della serata era dedicato a<br />

coccolare la sua Bridjet, prima di crollare esausto, pronto<br />

per ricominciare, l’indomani una nuova giornata.<br />

Solo il giovedì sera si concedeva una serata libera al<br />

circolo dopo aver accompagnato Bridjet e le bambine a<br />

casa dei genitori di lei. Passava a riprenderle il mattino<br />

seguente alle 7:30, in tempo per presentarsi a lavoro alle<br />

9:00. Portava sua moglie a mangiare fuori tutti i sabato<br />

sera, da soli o in compagnia, lasciando le bambine dalla<br />

vicina di casa, una vedova senza figli che trascorreva le<br />

sue giornate chiusa in casa da sola e attendeva con ansia il<br />

sabato per avere un po’ di compagnia.<br />

Questa era la vita della famiglia Banwell.<br />

Dopo sei settimane di appostamenti ero sempre più<br />

convito di voler mettere fine a quel quadretto idilliaco. La<br />

prima settimana avevo deciso di rinunciare, non me la<br />

sentivo di fare del male a quella povera donna, ma più i<br />

giorni passavano, più si accendeva in me l’odio per<br />

l’amore che Simon mi aveva tolto.<br />

Fu un lavoro pulito. Soffrì molto meno di quanto sperassi,<br />

ma non mi tolsi la soddisfazione di leggere il terrore nei<br />

suoi occhi mentre guardava in faccia la morte.<br />

Infarto fu la diagnosi del medico legale. Nessun segno di<br />

aggressione, semplice arresto cardiaco mentre, un giovedì<br />

come un altro, raggiungeva l’entrata del circolo.<br />

Solo cinque persone sapevano che era andata<br />

diversamente.<br />

406


Non mi sono mai pentito di quel delitto e sono convinto<br />

che non me ne pentirò mai. Trascinerò con me quella<br />

soddisfazione, fino all’Inferno.<br />

La nota positiva della vendetta è che ti offre un appiglio,<br />

una motivazione valida per aggrapparti alla vita.<br />

Placata la sete di vendetta non ti resta più niente però.<br />

Allora tornano le braci nello stomaco, il laccio stretto alla<br />

gola, la spossatezza che ti fa desiderare solo di chiudere gli<br />

occhi e non riaprirli più.<br />

Allora torni a sederti sul davanzale di una finestra al<br />

ventiduesimo piano, e aspetti. Aspetti che quella<br />

spossatezza muti in qualcosa di più definitivo. Perché sei<br />

stanco di vomitare tutte le volte che vedi qualcosa che ti<br />

ricordi lei, perché non hai più lacrime e gli occhi ti fanno<br />

male, perché il tuo cervello è affamato di lei e non ti fa<br />

pensare ad altro.<br />

Volevo smetterla di sentire la sua voce riecheggiare<br />

ovunque per casa. Dovevo smetterla di voltarmi a cercare<br />

quella voce, perché il vuoto che vedevo mi sbriciolava il<br />

cuore in un milione di minuscole schegge che mi<br />

strappavano l’anima.<br />

407


408<br />

38<br />

È una follia!<br />

Nicola, Bruno e Ivan erano fermi al parcheggio<br />

dell’università ad aspettare il nostro arrivo. Le ultime<br />

novità non erano per niente buone. Davide e Marta<br />

sembravano non aver risentito minimamente dell’ostacolo<br />

del Medaglione. Ivan li teneva d’occhio di nascosto. Li<br />

aveva pedinati tutta la notte, senza con questo riuscire a<br />

scoprire il loro covo. Erano rimasti appostati fino all’alba<br />

al confine del quartiere del Clan, in attesa della pur<br />

minima distrazione. Massimo era stato chiaro con Ivan e<br />

gli altri. Nessuna intromissione. Dopotutto, Davide e sua<br />

sorella facevano solo il proprio lavoro. Alla prima mossa<br />

falsa, il responsabile avrebbe risposto delle proprie azioni<br />

direttamente di fronte al Gran Consiglio.<br />

> dissi quando Ivan<br />

mi comunicò le decisioni di Massimo.<br />

La docente di Zoologia parcheggiò accanto al fuoristrada<br />

di Marco. Due macchine oltre la nostra.<br />

Calò il silenzio, mentre lasciavamo che si allontanasse.<br />

> disse Nicola<br />

><br />

> si intromise Bruno ><br />

Ivan scosse la testa.<br />

Come dargli torto?<br />

Incrociai le braccia al petto mentre, sbuffando, mi lasciavo<br />

cadere con la schiena contro lo sportello della macchina.


chiese Denise.<br />

><br />

rispose Bruno ><br />

><br />

> era inorridita all’idea ><br />

Due vite in cambio di una?<br />

Feci un passo avanti per avvicinarmi a lei > guardai prima Bruno, poi Nicola ><br />

Ivan sembrò sollevato dalla mia decisione.<br />

> aggiunsi<br />

dopo un lungo silenzio ><br />

> chiese Nicola.<br />

> liberai l’ansia con un sospiro <br />

> chiese Ivan che era rimasto in silenzio<br />

tutto il tempo.<br />

409


><br />

><br />

Non ci credevo io, perché avrebbero dovuto crederci gli<br />

altri?<br />

><br />

Che cosa hai detto?<br />

La prima volta che avevo udito quell’identica supplica<br />

stavo dicendo addio per sempre alla mia unica ragione di<br />

vita.<br />

Mi urtò sentir pronunciare quelle parole dalle sue labbra.<br />

Non aveva nessun diritto di appropriarsene. Non aveva<br />

nessun diritto di chiedermelo.<br />

Mi hai ignorato, disprezzato, per due anni interi. Che<br />

pretese credi di poter avanzare ora? Se non fossi mai stata<br />

in pericolo di vita, probabilmente non mi degneresti<br />

ancora della minima attenzione.<br />

Ti sto salvando la vita. Cos’altro vuoi da me? Ti darei la<br />

mia se potessi. Io non so che farmene. Ma non posso,<br />

quindi lasciami lavorare e…<br />

Il cuore in accelerazione mi teneva a corto di ossigeno,<br />

così che ero costretto a prendere grandi boccate d’aria per<br />

non soffocare. Non riuscivo a guardarla, sapevo d’essere<br />

abbastanza fuori controllo da terrorizzarla se solo avessi<br />

osato posare il mio sguardo crudele su di lei.<br />

Riuscirò mai a cancellare tutta questa rabbia dal mio<br />

cuore?<br />

Riuscirò mai a smettere di odiare il mondo solo perché<br />

continua a ricordarmi Lei?<br />

Con la coda dell’occhio vidi Nicola accostarsi a Denise e<br />

trarla con sé qualche passo indietro.<br />

410


A testa bassa, vedevo il mio torace gonfiarsi a un ritmo<br />

direttamente proporzionale all’aumento della rabbia.<br />

I pugni stretti nelle tasche del giubbotto.<br />

> intervenne Ivan<br />

><br />

Annuii a fatica. Ero troppo concentrato a ricacciare via il<br />

veleno. Erano passati appena tre giorni dall’aggressione a<br />

suo padre. Mi circolava ancora tutto dentro, pronto a<br />

liberarsi alla prima occasione. Dovevo stare attento se non<br />

volevo correre il rischio di fare del male a qualcuno. Se<br />

non volevo farne a lei.<br />

Non ha nessuna colpa per quello che ti è successo, Alex.<br />

Non può saperlo.<br />

È vero. Non poteva neanche immaginare il fuoco che mi<br />

bruciava l’anima ogni istante della giornata da due anni,<br />

ma in quanto a colpe… beh, era una di loro. Il loro sangue<br />

scorre nelle sue vene. Il suo DNA ha tracce inequivocabili<br />

della stessa stirpe dei maledetti che me l’hanno<br />

ammazzata.<br />

È anche colpa sua.<br />

E invece no.<br />

Sì! E non capisco neanche perché mi stia affannando tanto<br />

a proteggerla. Io odio quelli come lei. Io non desidero altro<br />

che estirpare quel ceppo genetico fino all’ultimo<br />

cromosoma.<br />

Perché dovrei proteggerla?<br />

Perché si merita una seconda occasione.<br />

No! Sto solo aiutando gli assassini di mia moglie.<br />

411


Non è così.<br />

Non posso farlo. È come se la uccidessi un’altra volta.<br />

Come ho potuto farle questo? Come ho fatto a non vedere<br />

il male che le stavo facendo?<br />

Stai sbagliando, Alex.<br />

Ora capisco il perché di tutto quel discorso. È tutto così<br />

evidente adesso, così limpida la ragione del suo dolore.<br />

No! No e ancora No! Non t’azzardare a fare una cosa del<br />

genere proprio adesso. Non puoi. Non è giusto. Non deve<br />

essere lei a pagare per i tuoi errori.<br />

Mi riscossi dai miei pensieri come se fossi appena uscito<br />

da un incubo che mi aveva risucchiato all’interno della sua<br />

trama diabolica.<br />

Bruno e Nicola lessero il repentino cambio di programma<br />

nei miei occhi, che non smettevano un attimo di fissarla.<br />

Nicola la strinse a sé, mentre Bruno si frapponeva tra noi.<br />

Ivan lo affiancò senza proferire parola.<br />

Tesi lentamente un braccio in avanti, a mano aperta, ma<br />

Bruno mi puntò la pistola dritta al petto.<br />

><br />

> dissi con insolita<br />

calma, continuando a fissarla oltre le spalle del mio amico.<br />

Non dimenticherò mai la sorpresa mista a terrore che colsi<br />

nel suo sguardo, nel suo odore.<br />

> suggerì Ivan, e tese il braccio<br />

verso di lei per farselo passare.<br />

> mi chiese.<br />

> spiegò Nicola.<br />

Allora si sfilò il Medaglione e, invece di posarlo sul palmo<br />

aperto di Ivan, me lo lanciò addosso ><br />

Lo afferrai al volo.<br />

412


Bruno ripose la pistola e perse un po’ di rigidità quando si<br />

accorse che le mie intenzioni, nonostante tutto, erano<br />

pacifiche. ><br />

><br />

Ivan spostò di colpo l’attenzione su una piccola folla in<br />

fondo al vicolo > disse quasi con<br />

indifferenza.<br />

Bruno rimise mano alle armi.<br />

Nicola strinse più forte a sé Denise ><br />

Non riuscì a finire di parlare. La mia mano era troppo<br />

stretta attorno alla sua gola ><br />

Ivan riuscì a tirarmi via > gridò con<br />

rabbia ><br />

Ma Nicola non lo stava ascoltando, era troppo infuriato<br />

per la mia reazione. Si massaggiava la gola arroventata dal<br />

bruciore della mia mano. ><br />

E sono due!<br />

> ripeté Ivan, con la stessa indifferenza<br />

della prima volta.<br />

> mi chiese Bruno ><br />

Feci “No” con la testa.<br />

Dal fondo del vicolo, la folla si aprì per far passare il<br />

Branco, diretto al parcheggio dopo la fine delle lezioni.<br />

Appena li riconobbe, Denise fece uno scatto improvviso in<br />

avanti, sfuggendo alla stretta di Nicola.<br />

> gridò lui.<br />

413


Mi passò accanto correndo verso i suoi amici.<br />

Non mossi un muscolo per fermarla. Mi limitai a chiudere<br />

gli occhi per non guardare.<br />

Fu tutto fin troppo semplice, estremamente naturale,<br />

proprio come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.<br />

Le bastò sfiorarla appena, mentre, piangendo, si stringeva<br />

all’abbraccio protettivo di Marco.<br />

Non si accorse di nulla. Un lavoro pulito, perfetto. Proprio<br />

come avrebbe dovuto essere.<br />

In altre circostanze, Bruno non avrebbe esitato a premere<br />

il grilletto su Marta, ma c’era troppa gente innocente<br />

intorno a lei.<br />

Poté solo portarsi le mani alle tempie. Impotente.<br />

Nicola, mano alla fronte, non riusciva a credere ai suoi<br />

occhi.<br />

Ivan si rifiutava di guardare.<br />

Li ritrovai così, immobili, quando riaprii gli occhi. Non<br />

ebbi bisogno di parole per sapere quello che era successo.<br />

Riuscivo a distinguere i suoi singhiozzi fra il chiasso della<br />

folla.<br />

> vociò Marco, per farsi sentire.<br />

Mi voltai.<br />

><br />

Non volli rispondere alle sue accuse e gli altri non osarono<br />

rivelargli una verità che era difficile da accettare perfino<br />

per loro.<br />

> lo supplicò Denise,<br />

ignara di tutto.<br />

Marco le mise un braccio attorno alle spalle e la guidò con<br />

sé fino al fuoristrada.<br />

414


Passandoci a un metro neanche di distanza, Denise mi<br />

rivolse uno sguardo che non avrei mai potuto cancellare<br />

dai miei ricordi. Un misto di rabbia, disprezzo e delusione.<br />

> le disse Marco, poi, chiuso lo<br />

sportello, si avvicinò a noi puntandomi il dito contro ><br />

> lo interruppi incurante delle sue<br />

minacce ><br />

Raggiunsi la Mercedes spingendolo via. Sentii lo<br />

spostamento d’aria alle mie spalle. Bruno e Ivan si erano<br />

messi in mezzo per frenare sul nascere la reazione violenta<br />

di Marco alla mia spinta.<br />

><br />

Aprii lo sportello per salire in macchina, ma prima, senza<br />

neanche voltarmi, lo degnai di una risposta > detto<br />

questo, mi infilai in auto e sfrecciai via, lasciando i miei<br />

amici a cercare risposte al quel mio comportamento<br />

assurdo.<br />

415


416<br />

39<br />

Non me la sento. Proprio no. Non dovrei essere costretto a<br />

partecipare se non voglio. È crudele chiedermi di farlo.<br />

Come possono pretendere che mantenga la calma? A che<br />

serve umiliarmi così.<br />

Quel vestito non ci piace neanche.<br />

Non voglio andarci, non voglio. Specie con quel vestito.<br />

Non è sufficiente che sia presente? Devo per forza<br />

sembrare quello che non sono? Non vado a una festa,<br />

porcaccia miseria! Vado al funerale di mia moglie e mia<br />

cognata. Perché devo vestirmi per sembrare un damerino<br />

se mi sento uno straccio sporco?<br />

No, non ci vado, non se continuano a pretendere che mi<br />

vesta così.<br />

Tanto che importa, non voglio stare in prima linea, non ho<br />

la forza di stare a guardare.<br />

Ci mancava solo la nausea, sta mattina. Cos’altro c’è da<br />

tirare fuori che non abbia già ricacciato sta notte?<br />

Non ricordo neanche quand’è l’ultima volta che ho<br />

mangiato qualcosa, ma cos’è allora questa massa acida<br />

che spinge per uscire?<br />

Che ci sia ancora dell’altro? Ne dubito! Ho già iniziato<br />

ieri a vomitare bile.<br />

Non voglio andare. Avrei tutti gli occhi puntati addosso e<br />

non lo sopporto. Già li sento i loro falsi commenti pietosi.<br />

Non posso andare. Non so neanche se riesco ad alzarmi.<br />

L’ultima volta che l’ho fatto non sono neanche arrivato in<br />

bagno. Ho vomitato a terra.


È assurdo che si aspettino che vada, ma che hanno in<br />

testa? Come fanno anche solo ad avere la forza di pensare<br />

dopo quello che è successo.<br />

Lasciatemi in pace.<br />

Se non mi steste sempre così intorno forse potrei anche<br />

essere abbastanza fortunato da stramazzare soffocato<br />

dalla bile che mi corrode dentro.<br />

Potrei riuscirci se mio padre la smettesse di iniettarmi<br />

quella robaccia che placa la nausea per qualche ora.<br />

Potrei perfino morire per disidratazione, ma mio padre<br />

mette becco anche lì e non me lo permette.<br />

Che strazio! Possibile che non si possa morire senza che<br />

qualcuno si prenda il disturbo di salvarti la vita?<br />

Ma chi gliel’ha chiesto?<br />

Chi è che bussa? Entra se ti va, io non ce la faccio a<br />

muovermi.<br />

Se tornano a rompere con la storia del funerale mi<br />

arrabbio davvero. Non voglio andare. Mettetevelo in testa<br />

una volta per tutte. NON VOGLIO ANDARE.<br />

Ancora bussi? Entra e smettila di rompere. Che aspetti, un<br />

invito scritto?<br />

Alleluia, ce ne hai messo di tempo a capire.<br />

><br />

Non mi va, ho mal di gola.<br />

><br />

Salma! Questo è quello che è rimasto di mia moglie? Una<br />

Salma? Ma che parola è? Posso capire resti, spoglie,<br />

corpo, perfino cadavere, ma… salma…<br />

><br />

Metti giù quel vestito. Riappendilo allo sportello<br />

dell’armadio. Non lo voglio neanche vedere.<br />

417


> Sono stato io a parlare? Era<br />

proprio mia quella voce? Sembra così diversa. La bile<br />

deve avermi danneggiato le corde vocali.<br />

><br />

Ahi! Sembra di strofinare la gola su un cespuglio spinoso<br />

se provo a schiarirmi la voce > mi ero sbagliato, non si sono rovinate, la<br />

raucedine è data solo dallo sforzo.<br />

><br />

Figliolo? Ma che hai fumato? Non fingere che ti<br />

dispiaccia per me, tanto lo so che non te ne frega niente.<br />

Per quel che mi riguarda potevi rimanere in Italia, come<br />

hai fatto per il matrimonio. Non te l’ho chiesto io di<br />

venire.<br />

><br />

Che c’entra mamma, adesso?<br />


donna che amavo fosse morta solo per dare alla luce un<br />

bambino. Dopotutto avremmo potuto averne tanti altri<br />

insieme, ma lei si era ostinata a portare avanti la<br />

gravidanza, nonostante i medici lo sconsigliassero.<br />

Ti rifiutavo ancor prima che nascessi.>><br />

Ma perché mi fai questo? Perché proprio oggi?<br />

><br />

> ma<br />

con che coraggio vieni a dirmi quanto mi odi il giorno del<br />

funerale di mia moglie. Non potevi più aspettare? Ti<br />

sembrava il momento giusto per darmi il colpo di grazia?<br />

><br />

Te lo puoi scordare ><br />

><br />

Stronzo ><br />


presi in braccio accostandoti al petto per cercare di<br />

calmare le convulsioni che ti facevano tremare. Mamma<br />

rientrò in casa e noi due restammo da soli in veranda.<br />

Avevi pianto talmente tanto che la voce non ce l’avevi<br />

quasi più. Eri esausto, però non smettesti un attimo di<br />

guardarmi, come se da un momento all’altro ti aspettassi<br />

chissà quale miracolo da me. Mi stringevi forte un dito con<br />

la manina e ogni tanto strizzavi gli occhietti arrossati che ti<br />

bruciavano.>><br />

Smettila di torturarmi.<br />

><br />

Che fai Alex, piangi anche tu adesso?<br />

><br />

?!?!?<br />


Thomas. Non riesci neanche a guardarlo. Lui non ha<br />

colpe, come non le avevi tu. Non strappargli via l’unico<br />

genitore che gli resta. Non è giusto.>><br />

><br />

><br />

No! Non ha più senso vivere, adesso. Non mi importa più.<br />

><br />

Questa cerimonia è una pagliacciata. Avremmo potuto<br />

celebrare il funerale direttamente in Italia e risparmiarci<br />

questo strazio. Tanto Linda è così imbottita di<br />

tranquillanti da non rendersi neanche conto di dove sia.<br />

Spero di essere stato chiaro quando ho accettato di venire.<br />

Non farò un solo passo più avanti di così. Non mi lascerò<br />

convincere a stare a guardare mentre la calano in quella<br />

fossa fredda. Non sarò io a gettarle il primo pugno di<br />

terra addosso. A che serve poi, tanto non è un funerale<br />

come gli altri, nessuno la ricoprirà di terra. È già tutto<br />

pronto per la traslazione in Italia, oggi stesso.<br />

È una pagliacciata, tutto qua.<br />

Un pochino mi pento di non aver preso parte al funerale<br />

della mia piccola Molly. È stata solo una vittima<br />

collaterale della maledizione che mi porto dietro. Se la<br />

meritava la mia presenza. Gliel’avrei dovuta, a costo di<br />

421


non reggere alla pressione e crollare nel mezzo della<br />

funzione.<br />

Gliel’avrei dovuta.<br />

Ehi, ma c’è Mat! Non l’avevo notato, dev’essere arrivato<br />

da poco. Si sta avvicinando. Spero non gli venga in mente<br />

di darmi le condoglianze. Era uno dei compromessi alla<br />

mia partecipazione alla funzione: niente condoglianze.<br />

Non permetterò che mi rendano la sua morte ancora più<br />

reale di quanto già non sia.<br />

Mio padre però non conosce Mat, e forse non si è neanche<br />

accorto del suo arrivo. Difficilmente avrà avuto il tempo<br />

di avvisarlo.<br />

Niente condoglianze Mat, ti prego. Un abbraccio lo posso<br />

anche sopportare, ma non dire quella parola. Non dire<br />

quella parola.<br />

><br />

Dio ti ringrazio ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

E…Celine? ><br />

><br />

mmmmmmmm, non lo dire ad alta voce.<br />

><br />

?!?!?<br />

><br />

422


Allora non sto sognando, sono davvero sue le braccia<br />

attorno alla mia vita, la sua guancia contro la mia<br />

schiena.<br />

><br />

Eh? Che hai detto? Mi ero distratto.<br />

><br />

><br />

È proprio la sua voce? Sì che è la sua voce.<br />

><br />

Se il cuore smettesse di battermi così forte per un minuto<br />

forse riuscirei anche a rispondere. Dev’essersene accorta<br />

anche lei, perché le sue mani stanno scivolando su fino al<br />

centro del mio petto.<br />

><br />

Parla ancora Amore mio.<br />

><br />

><br />

><br />

Sei arrabbiata con me?<br />

><br />

Thomas.<br />

><br />

> finché gli resterò lontano starà<br />

benissimo.<br />

><br />

423


Ma se sembro un cadavere. Non voglio che mi veda in<br />

questo stato. I bambini riescono a percepire lo stato<br />

d’animo degli adulti. Non voglio che si nutra del mio<br />

dolore. Dovrebbe solo pensare a crescere e giocare,<br />

niente di più. Io non posso garantirgli nulla di tutto ciò.<br />

Mi dimenticherei perfino di dargli da mangiare.<br />

><br />

Che fai? Perché ti sciogli da me? Ah!<br />

><br />

Che bello potermi immergere ancora nei tuoi occhi.<br />

><br />

><br />

><br />

Vieni con me, spostiamoci qui dietro, così non ci vede<br />

nessuno. Abbracciami. Sì, così. Tienimi stretto e non<br />

lasciarmi. Portami via con te.<br />

><br />

Non piangere amore. Tutto quello che vuoi, ma non<br />

piangere ><br />

><br />

><br />

><br />

> le tue labbra sono ancora calde e<br />

morbide come le ricordavo. Sembra passato un secolo<br />

dall’ultima volta.<br />


imparerai a vivere senza di me. Devi imparare a farlo se<br />

vuoi che viva questa condizione con serenità. La mia<br />

anima è ancora legata alla tua. Se tu soffri, io soffro. Non<br />

farmi soffrire più, Alex. O almeno, non più del<br />

necessario.>><br />

><br />

><br />

D’accordo.<br />

><br />

Già? Ma la funzione non è ancora finita.<br />

><br />

Eccolo!<br />

><br />

> ed<br />

eccone un altro. Non mi stancherei mai di guardarlo. Non<br />

mi stancherei mai di guardarti.<br />

><br />

><br />

425


426<br />

40<br />

Angelo? Sono un demone, altro che Angelo. Ho le corna,<br />

non le ali.<br />

Fissavo una delle tante statue alate di Ponte Sant’Angelo e<br />

non riuscivo a fare a meno di chiedermi perché.<br />

Quel fastidioso suono di campanelli mi torturava da più di<br />

un’ora ormai. Per quanto avessi corso, per quanto ci avessi<br />

provato, non sarei riuscito a liberarmi di quell’insistente<br />

tintinnio. Non c’era posto al mondo in cui avrei potuto<br />

nascondermi da Lui.<br />

Bella fregatura!<br />

Un gruppo di turisti polacchi si sporgeva dal ponte a<br />

osservare il Tevere scorrere impetuoso dopo le ultime<br />

piogge abbondanti.<br />

Anche d’inverno? Questa città diventa sempre più<br />

invivibile. Stretta. Non si riesce più a stare un momento da<br />

soli.<br />

Un Esecutore osservava in disparte la sua vittima tra la<br />

folla.<br />

La sua aura blu scuro era talmente luminosa da avvolgere<br />

anche le persone attorno a lei.<br />

Fissai l’Esecutore, che mi fece un cenno complice col<br />

capo. Non c’era gioia o soddisfazione nei suoi occhi. Solo<br />

impazienza. Prima sarebbe successo e prima sarebbe<br />

potuto tornare alla sua vita di sempre.<br />

Mi strinsi meglio la sciarpa attorno al collo per attutire i<br />

colpi di vento gelido che mi tagliavano il viso.<br />

Una pattuglia di tre Agenti attraversò il ponte. Ormai<br />

avevo imparato a riconoscerli.


Tirai sul capo il cappuccio del giubbotto e finsi di<br />

guardare la piena del Tevere insieme ai turisti.<br />

I campanelli suonavano ancora, anche l’Esecutore riuscì a<br />

sentirli e arretrò di qualche metro.<br />

Si stava avvicinando!<br />

Sono qui. Non vado da nessuna parte.<br />

Il giovane Destinato era salito sul parapetto del ponte per<br />

sporgersi a guardare meglio.<br />

L’esecutore era arretrato abbastanza da potermi avvicinare<br />

al ragazzo.<br />

> dissi serio. Accompagnai la frase a un<br />

gesto che gli facesse comprendere cosa stavo dicendo.<br />

Il mio sguardo lo intimorì, così smontò dal parapetto senza<br />

replicare.<br />

Non aggiunsi altro, ma quel poco bastò ad aumentare il<br />

frastuono nella mia testa.<br />

Era appena sopportabile e non avrebbe smesso di<br />

torturarmi fino a quando non mi fossi deciso ad<br />

affrontarlo.<br />

Mi voltai nella direzione dell’Esecutore, che era tornato ad<br />

avvicinarsi. Non ce l’aveva con me per aver prolungato la<br />

sua personale agonia, però dai suoi occhi capii che non mi<br />

avrebbe più concesso intromissioni di alcun tipo.<br />

Avrei potuto regalargli qualche giorno in più. Permettergli<br />

di tornare a casa e rivedere i suoi cari prima del trapasso,<br />

ma non sarebbe stato prudente con Lui nelle vicinanze.<br />

Non mi avrebbe perdonato anche questa.<br />

Mi allontanai per concedere all’Esecutore un po’ di pace.<br />

Il tintinno era un richiamo per me. Era me che cercava,<br />

non lui. Perché aggiungere altra sofferenza al suo dolore<br />

quindi? Solo perché riusciva a sentirlo non significa che<br />

dovesse anche subirlo.<br />

427


L’Esecutore mi ringraziò con un cenno d’assenso e tornò a<br />

seguire la sua vittima, che aveva ripreso a passeggiare col<br />

gruppo di turisti.<br />

Le mie ali in cambio di un'ora di pace.<br />

> la voce di Gabriel<br />

sembrava provenire dall’interno di un’ampia cattedrale<br />

vuota.<br />

Avevo già avuto occasione una volta di sentire quella voce<br />

incantevole, di scorgere quel viso meraviglioso, quegli<br />

occhi tanto belli quanto severi.<br />

Era dietro di me. Non dimostrava più di vent’anni e la sua<br />

aura, di un bianco accecante, mi costrinse a spostare lo<br />

sguardo da un’altra parte.<br />

Dei nuvoloni scuri, carichi di pioggia, si addensavano<br />

sulle nostre teste, scoraggiando anche i più audaci dal<br />

rimanere all’aperto. I primi lampi squarciarono il cielo.<br />

C’eravamo solo noi due all’aperto ora.<br />

Il vento si fece più forte e minaccioso. Si fece buio in<br />

pochi minuti, nonostante fossero ancora le quattro del<br />

pomeriggio.<br />

Un nuovo lampo, più forte e fragoroso degli altri, squarciò<br />

una nuvola che riversò sulla terra la sua cascata di pioggia.<br />

I clacson del traffico giungevano quasi sordi ai miei sensi.<br />

Ero troppo concentrato su Gabriel. Incapace di muovermi.<br />

Impietrito dal potere che stava esercitando su di me.<br />

> chiesi scontroso ><br />

> mi rimproverò.<br />

Il temporale si fece più minaccioso.<br />

><br />

428


I suoi occhi divennero una fessura sottile. In quello stesso<br />

momento una forza inumana mi scaraventò con violenza<br />

contro una statua del ponte, una decina di metri più<br />

indietro. L’urto fu così forte da fracassarne un braccio, che<br />

cadde nel Tevere, scosso da onde innaturali che,<br />

frangendosi contro le arcate di pietra riversavano l’acqua<br />

putrida in superficie, bagnandomi. Come se la pioggia non<br />

bastasse.<br />

Mi rimisi in piedi, contrastando il vento pesante che mi<br />

spingeva indietro. Con un solo gesto del braccio me ne<br />

liberai invertendone il corso contro Gabriel. La valanga<br />

d’aria gelida lo oltrepassò senza scalfirlo, andando a<br />

scontrarsi col traffico impazzito lungo la strada in fondo.<br />

Due auto si rovesciarono con una facilità mostruosa contro<br />

la parete del palazzo di fronte.<br />

Non avevo ancora il pieno controllo dei miei poteri.<br />

Mancavano due anni alla mia completa trasformazione.<br />

Un fulmine si frappose fra noi, lasciando una profonda<br />

crepa sulla passerella del ponte.<br />

Non ha gradito l’affronto.<br />

> continuai urlando,<br />

perché il frastuono copriva la mia voce ><br />

><br />

Non sarebbe la prima volta. Dopotutto discendo, per linea<br />

diretta, dalla stirpe degli Angeli Ribelli. Chi più di me<br />

potrebbe opporsi alla Sua volontà.<br />

><br />

La terra tremò e il ponte si aprì nel mezzo, lungo tutta la<br />

crepa provocata dal fulmine.<br />

429


> spalancai le braccia<br />

esponendo il petto > lo sfidai.<br />

Un Angelo della Morte non può avere paura di essa. Era<br />

una minaccia assurda la sua. Tanto più che i suoi poteri<br />

potevano ferirmi ma non darmi la morte.<br />

><br />

Si accigliò ><br />

> gli ricordai. ><br />

><br />

><br />

><br />

Il suo nome, pronunciato così impunemente ad alta voce<br />

per la seconda volta a distanza di poche ore scatenò in me<br />

una reazione che non mi aspettavo. Una violenta ondata di<br />

energia si liberò dal mio corpo come un’esplosione. Le<br />

statue lungo il ponte si frantumarono una dopo l’altra in<br />

massi non più grandi di una palla da tennis. Il ponte<br />

vacillò.<br />

> risposi digrignando i denti.<br />

> chiese come se nulla fosse successo.<br />

Denise. Si chiama Denise.<br />

430


><br />

Vero! Ma non mi interessa.<br />

><br />

><br />

><br />

Svanì nel nulla senza rispondermi.<br />

> gridai ><br />

431


432<br />

41<br />

Il mio rientro in Italia fu quantomeno bizzarro. Con la sua<br />

confessione il giorno del funerale di Celine, mi ero<br />

convinto che mio padre mi avesse finalmente fornito una<br />

ragione valida per odiarlo. Non poteva essere<br />

diversamente. Avevo troppa rabbia dentro e un disperato<br />

bisogno di riversarla su qualcuno.<br />

Per quasi tre mesi non feci altro che impegnarmi per<br />

mostrargli finalmente di cosa ero capace, di quanto<br />

meschino e vendicativo riuscissi a essere nei suoi<br />

confronti e quanto lesivo nei miei.<br />

Non dimenticherò mai la sua faccia quando venne a<br />

prendermi all’aeroporto. Scoppiai quasi a ridergli in<br />

faccia. L’espressione distrutta di mia madre però, mi<br />

provocò molto meno piacere.<br />

Non volevo un abbraccio di ben tornato, ma c’era tanta<br />

gente e le convenzioni sociali richiedevano questo piccolo<br />

sacrificio. Mio padre era il numero uno quando si trattava<br />

di dar bella mostra di sé in pubblico. Il migliore attore che<br />

abbia mai visto recitare in tutta la mia vita. La mia più<br />

grande fonte di ispirazione.<br />

Mi avvicinai lentamente. Volevo ritardare quel contatto il<br />

più possibile.<br />

Mia madre aveva gli occhi lucidi. Se qualcuno l’avesse<br />

notata in quel momento avrebbe falsamente creduto che<br />

fosse per l’emozione di rivedermi. Mi fermai a pochi passi<br />

da loro, aspettando che si facessero avanti per mettere fine<br />

a quella farsa. Mia madre mi strinse forte a se, affondando<br />

il suo viso nell’incavo della mia spalla. Appena riuscì a<br />

smettere di tremare si spostò quel tanto da permettere a<br />

mio padre di salutarmi. Rimasi a fissarlo mentre si


avvicinava, sempre troppo più velocemente di quanto<br />

desiderassi. Tirai un profondo sospiro prima che fosse<br />

troppo vicino e, a occhi chiusi, aspettai di sentire il suo<br />

corpo stretto al mio.<br />

Invece sentii un forte bruciore sul viso. Spalancai gli<br />

occhi, ancora incredulo che avesse avuto il coraggio di<br />

prendermi a schiaffi lì davanti a tutti. Dovevo essere stato<br />

davvero bravo se ero riuscito a scatenare una tale reazione<br />

da parte sua. Per un attimo l’attenzione di tutti sembrò<br />

riversarsi su di me, immobile come una statua, frastornato,<br />

e questo, lo ammetto, mi mise molto in imbarazzo.<br />

Mio padre era paonazzo, furioso. A quel punto non sapevo<br />

davvero cos’altro aspettarmi. Smisi di sostenerne lo<br />

sguardo inferocito e chinai leggermente il capo a terra.<br />

Riconoscevo una sconfitta quando la vedevo e, anche se<br />

mi bruciava ammetterlo, quel round l’aveva vinto lui.<br />

Avevo trascorso tre mesi alla ricerca di qualcosa che lo<br />

facesse imbestialire e avevo ottenuto quello che volevo. In<br />

quel momento però, invece di gioire della mia piccola<br />

vittoria personale, non riuscivo a pensare ad altro che a<br />

quanto fosse stata stupida l’idea di sfidarlo a quel modo.<br />

Cosa credevo di ottenere presentandomi cosi? Il meglio<br />

che poteva accadere era che mi cacciasse da casa.<br />

Vent’anni, senza un soldo o uno straccio di lavoro, senza<br />

nient’altro che l’odio a fare da cornice alla mia esistenza<br />

senza sapore.<br />

A quel punto avrei potuto aspettarmi di tutto. Leggevo il<br />

terrore negli occhi addolorati di mia madre.<br />

Sapevo di dover chiedere scusa. Mi sentivo stupido. Però<br />

ero troppo orgoglioso per ammettere d’aver esagerato.<br />

Sarebbe stato come ammettere a me stesso d’aver<br />

sbagliato, quindi quella parola velenosa non uscì mai dalle<br />

mie labbra, benché fossi consapevole che era l’unico<br />

appiglio a cui avrei potuto aggrapparmi per non precipitare<br />

433


nel baratro di collera che aveva spalancato sotto di me l’ira<br />

di mio padre.<br />

Guardavo ancora a terra quando lo sentii muoversi. Chiusi<br />

gli occhi di nuovo, ma sta volta per paura non per<br />

rassegnazione.<br />

> disse. Mi accorsi che stava<br />

parlando a telefono ><br />

Brutta cosa! Brutta cosa! Brutta cosa! Continuavo a<br />

ripetermi sforzandomi di non alzare la testa per cercare<br />

mia madre.<br />

> aggiunse prima di richiudere con troppa<br />

forza lo sportelletto del cellulare > le disse ><br />

Nessuna replica da parte sua. E come avrebbe potuto?<br />

><br />

Ahia! Era il mio turno.<br />

><br />

Arrogante! Abbasso la guardia un momento e credi<br />

d’avermi in pugno?<br />

Non mi mossi.<br />

><br />

Non tirare troppo la corda, Alex! Non tirare troppo la<br />

corda. Ti rifarai la prossima volta.<br />

><br />

Riuscii a muovermi un pochino. Nulla di esaltante, ma<br />

almeno riuscì a vedere, dopotutto, che ci stavo almeno<br />

provando.<br />

434


Mi spinsi alla macchina come una canoa contro corrente.<br />

Lo sentivo procedere alle mie spalle. Silenzioso. Troppo<br />

silenzioso. Quando non parlava era sempre un brutto<br />

segno. Stavo tranquillo fin tanto che lo sentivo strillare,<br />

ma quei silenzi erano solo ambasciatori di sventura.<br />

Lanciai lo zaino e il borsone nel bagagliaio della Mercedes<br />

senza prestarvi la minima attenzione. Trovare il coraggio<br />

di salire in macchina però, fu un po’ più difficile. Era un<br />

gesto irreversibile, una volta dentro non avrei avuto più<br />

vie di scampo.<br />

Siediti dietro. Siediti dietro.<br />

Dovevo avere l’esitazione dipinta sul viso, perché mio<br />

padre si spazientì dell’attesa e mi aprì personalmente lo<br />

sportello anteriore facendomi cenno di entrare.<br />

Codardo! Troppo tardi.<br />

Soffocai a fatica un sospiro, ma riuscii ugualmente a<br />

trascinarmi dentro l’abitacolo senza rendermi troppo<br />

ridicolo.<br />

Posai un gomito sul bordo del finestrino aperto e rimasi a<br />

guardare fuori, mentre mio padre si sedeva al posto di<br />

guida, accanto a me.<br />

Troppo vicino.<br />

Sentivo che mi stava fissando, mentre girava la chiave nel<br />

quadro per mettere in moto.<br />

Non lo guardare.<br />

Mi voltai un poco, per capire.<br />

> bofonchiò.<br />

Non ero già abbastanza in trappola? Obbedii senza<br />

replicare, anche se uno sbuffo sfuggì indisciplinato al mio<br />

controllo.<br />

Ero tornato a guardare fuori, ma non ci stavamo ancora<br />

muovendo. Di sicuro era ancora intento a fissarmi. Lo<br />

435


detesto quando mi fissa a quel modo, come se avesse<br />

chissà cosa da dire, ma si rifiuta di parlare.<br />

Non ero certo di voler sapere davvero cosa avesse da dirmi<br />

quel giorno, ma era un atteggiamento che non digerivo lo<br />

stesso.<br />

Finalmente iniziarono le manovre per uscire dal<br />

parcheggio e, per un momento almeno, mi sentii un po’<br />

sollevato.<br />

Il centro era inzuppato di macchine, ma non era un<br />

problema per lui. Non è mai un problema per lui.<br />

Parcheggiò nell’area riservata del salone di Michele e<br />

scese guardando male il custode del parcheggio che smise<br />

di avvicinarsi appena lo riconobbe.<br />

Mi aprì lo sportello come aveva fatto all’aeroporto, con la<br />

stessa impazienza intendo, mentre io armeggiavo per<br />

liberarmi dalla morsa della cintura, che non ne voleva<br />

sapere di sganciarsi. Quasi volesse vendicarsi dello sbuffo.<br />

E tu da che parte stai?<br />

Vidi mio padre piegarsi su di me, esasperato, e liberare il<br />

gancio senza difficoltà.<br />

Calmati, Alex! Sei troppo nervoso.<br />

Stavo sudando, in effetti, e non credo fosse a causa del<br />

caldo ancora torrido di inizi settembre.<br />

><br />

Era un ordine o una richiesta? Mi sentivo ribollire il<br />

sangue. Avevo vent’anni, ero maggiorenne, decisamente<br />

troppo cresciuto per farmi trattare come un ragazzino.<br />

Era una richiesta Alex, scendi per l’amor del cielo, scendi<br />

subito.<br />

Lo guardai in cagnesco, ma obbedii.<br />

436


Michele ha il centro estetico-termale più lussuoso e<br />

rinomato di tutta la città. I miei genitori ci andavano da<br />

sempre e anch’io, prima della mia inutile ribellione d’oltre<br />

oceano.<br />

Non mi riconobbe subito quando entrammo. Se non ci<br />

fosse stato mio padre con me, non mi avrebbe neanche<br />

permesso di entrare, conciato com’ero.<br />

Alzò gli occhi al cielo con un’espressione così buffa che<br />

non riuscii a decifrare, ma almeno riuscì a farmi sorridere.<br />

Diceva sempre che ero la sua ispirazione, il modello a cui<br />

si ispirava quando pensava alle sue nuove creazioni. Posso<br />

solo immaginare cosa gli passasse per la testa quando mi<br />

vide conciato a quel modo.<br />

> mi disse, restio ad<br />

avvicinarsi, a toccarmi. Una mano a coprire la bocca semi<br />

spalancata dallo shock ancora vivo nei suoi occhi.<br />

Mio padre si allontanò un momento per un’altra telefonata.<br />

> mi chiese Michele.<br />

Annuii senza rispondere. Nella sala c’erano specchi<br />

dappertutto. Una piccola folla di privilegiati si aggirava in<br />

accappatoi di seta e ciabattine firmate e di tanto in tanto mi<br />

lanciavano un’occhiata disgustata.<br />

Chissà, probabilmente, oltre all’aspetto, non avevo<br />

neanche un buon odore, poco aiutato anche dal fatto che<br />

ero da un volo interminabile dagli Stati Uniti.<br />

Mi osservai in uno degli specchi a parete della sala e mi<br />

vergognai seriamente di me stesso.<br />

Che volevi dimostrare?<br />

Michele se ne accorse, perché sfiorò amichevole il rossore<br />

sulle mie guance.<br />

Mio padre tornò per assistere trionfante alla mia<br />

umiliazione pubblica. Mi conoscevano tutti in quel centro<br />

437


ed io conoscevo loro. Non avrebbe potuto infliggere<br />

mortificazione peggiore alla mia vanità.<br />

Per avere un appuntamento da Michele si dovevano<br />

aspettare anche mesi. Solo la nostra famiglia e una<br />

manciata di eletti avevano accesso illimitato ai suoi<br />

servigi. La cospicua quota annuale che gli versava mio<br />

nonno era sufficiente a garantirci certi privilegi. Solo con<br />

quella Michele riusciva a coprire le spese annuali<br />

dell’intero centro. Le altre facevano il resto.<br />

> disse soppesando una ciocca dei<br />

miei capelli unti e troppo, troppo lunghi per i suoi gusti.<br />

Scambiò un paio di sguardi con mio padre che, quasi<br />

avesse potuto leggergli nel pensiero, si congedò senza<br />

aggiungere nulla a una semplice approvazione.<br />

Appena non avvertii più la sua soffocante presenza, dopo<br />

un’ulteriore sbirciata al balordo riflesso nello specchio al<br />

mio fianco, sentii l’irrefrenabile desiderio di togliermi<br />

quegli stracci da dosso.<br />

Michele intuì anche questo > e mi fece<br />

strada verso il complesso termale.<br />

Doccia, fanghi, bagni estetici profumati…<br />

La mia pelle – soffocata da uno strato si sebo<br />

maleodorante – tornava finalmente a respirare. Mi sentivo<br />

rinato, anche se a Roberto non sembrava abbastanza e mi<br />

fece fare un altro giro.<br />

I massaggi rilassarono un po’ la tensione accumulata.<br />

La manicure eliminò ogni traccia di smalto nero dalle<br />

unghie.<br />

La maschera al viso lisciò l’espressione corrugata della<br />

tensione, mentre l’estetista faceva il resto.<br />

Erano passate le 16:30 e mancava solo il tocco magico di<br />

Michele, che non perse neanche tempo a sciogliere il<br />

groviglio di nodi nei miei capelli maltrattati, ma affondò<br />

438


direttamente le forbici per un taglio netto e definitivo.<br />

Sapeva che i capelli troppo corti non mi erano mai<br />

piaciuti, ma quel giorno non badò minimamente a quali<br />

potessero essere le mie preferenze. Ogni obiezione da<br />

parte mia l’avrebbe mandato su tutte le furie, come ogni<br />

volta che provava a fare qualcosa di nuovo con la mia<br />

chioma ed io provavo a ribellarmi.<br />

Per un momento, quando lo vidi impugnare la macchinetta<br />

mi prese il panico. Feci un sussulto troppo visibile per non<br />

essere notato, ma Michele non si fece scrupoli e io non<br />

potei fare altro che cercare di non perdere troppo la calma<br />

mentre mi riduceva i capelli a una spazzoletta di non più di<br />

un centimetro di spessore.<br />

Tremavo. Ero troppo arrabbiato, troppo umiliato.<br />

Non mollare proprio adesso. È quasi finita. Resisti!<br />

> sussurrò Michele<br />

chinandosi a raggiungere il mio orecchio punteggiato di<br />

piccolissimi fori arrossati, lì dove prima davano bella<br />

mostra quattro pearcing di metallo scarso.<br />

> aveva un tono così dolce,<br />

rassicurante.<br />

Non fare lo stupido. Trattieniti!<br />

Non riuscivo a smettere di tremare. Provai a schiarirmi la<br />

voce per dire qualcosa che potesse farmi pensare ad altro,<br />

ma continuai a non dire niente.<br />

Ero stanco. Ero riuscito ad appisolarmi durante il<br />

massaggio, ma non era stato abbastanza. Volevo solo<br />

tornare a casa e buttarmi quella giornataccia alle spalle per<br />

sempre.<br />

Non mi disturbava essere tornato l’Alessandro di sempre.<br />

L’avrei fatto io stesso appena ne avessi avuta l’occasione.<br />

Volevo solo scatenare una qualche reazione in mio padre,<br />

439


una qualunque. Quello che mi offendeva era che mi avesse<br />

portato in giro conciato così…<br />

Faticavo a riconoscermi perfino io. Sembravo il Sicario<br />

tanto temuto dalla mia Celine, un demone appena uscito<br />

dall’inferno.<br />

Dopo il taglio, Michele mi fece alzare e avvicinare alla<br />

postazione per lo shampoo > sussurrò la parola pidocchi, per non farsi<br />

sentire dalla cliente alla postazione accanto.<br />

Annuii con un sospiro rassegnato. Non riuscivo a<br />

comunicare neanche a monosillabi.<br />

Riuscii a liberarmi un pochino solo durante lo shampoo.<br />

Non avrei potuto fare di più, mi ero trattenuto anche<br />

troppo.<br />

Michele mi bagnò scherzosamente il viso arrossato con<br />

uno spruzzo d’acqua > disse a voce abbastanza alta da farsi sentire<br />

><br />

Adesso non esagerare!<br />

><br />

Mi fece capire con un buffetto che aveva finito, così mi<br />

drizzai sulla sedia mentre lui mi strofinava con delicatezza<br />

un asciugamano sulla testa.<br />

Mio padre rientrò in quel momento con in mano alcune<br />

buste dell’atelier di Cavalli. Le posò ai miei piedi e rimase<br />

a fissarmi un momento, rinnovando quel po’ di irritazione<br />

che ero riuscito a cancellare. Sembrava soddisfatto. Uno<br />

stato d’animo che proprio non lo associavo a mio padre<br />

quando si trattava di me.<br />

Allungò una lauta mancia a Michele per il servizio e tornò<br />

a fissarmi di nuovo.<br />

440


Smettila!<br />

Che aveva da guardare? Cos’era che gli provocava tanto<br />

piacere? Me ne resi conto tutto d’un tratto, quando avvertii<br />

qualcosa di caldo accarezzarmi la guancia.<br />

Merda!<br />

Asciugai la lacrima con l’asciugamano che avevo ancora<br />

in mano.<br />

> mi coprì Michele, ma tanto lo sapevo che<br />

non ci avrebbe creduto. Se anche fosse stato vero si<br />

sarebbe convinto del contrario solo per crogiolarsi ancora<br />

e ancora nella sua vittoria.<br />

> disse soltanto. Vedevo ancora quel ghigno<br />

soddisfatto.<br />

Pazienza Alex. È andata come è andata, non ci pensare<br />

più adesso. È finita, si torna a casa, non rovinare tutto<br />

proprio adesso.<br />

Presi le buste e mi affrettai a raggiungere gli spogliatoi per<br />

mettere su qualcosa. Gli stracci che avevo addosso quando<br />

ero arrivato erano ancora buttati a terra dove li avevo<br />

lasciati quando mi ero spogliato per indossare<br />

l’accappatoio del centro.<br />

Li afferrai e li gettai con rabbia nel secchio della<br />

spazzatura.<br />

Che cosa avevo dimostrato con quell’assurda messa in<br />

scena? Niente! Ero solo riuscito a mettermi in ridicolo.<br />

All’atelier avevo fatto confezionare molti abiti su misura<br />

per le grandi apparizioni pubbliche a cui mi costringeva<br />

mio padre almeno sei volte l’anno fin da quando potessi<br />

ricordare. Conoscevano alla perfezione la mia taglia, e i<br />

miei gusti, quindi non gli fu difficile mandarmi qualcosa<br />

di mio gradimento e che calzasse alla perfezione.<br />

Con stupore mi scoprii molto più a mio agio nei panni del<br />

mio personaggio che nei miei. Mi era bastato pochissimo a<br />

441


iconoscere i miei simili in America, appena avevo avuto<br />

la possibilità di guardarmi un po’ dentro, da solo.<br />

Quello stile rock gotico che mi aveva aperto le porte di un<br />

mondo tutto nuovo e stranamente affascinante per me,<br />

rifletteva perfettamente la rabbia che covavo dentro.<br />

Passata la rabbia però?<br />

L’Alessandro che conoscevo io era il tizio che si osservava<br />

curioso allo specchio di quel centro termale, non il<br />

demone oscuro che era sceso dall’aereo qualche ora prima.<br />

Che c’è che non va in me?<br />

Cercai di scacciare ogni pensiero violento dalla mia mente<br />

e mi sbrigai a raggiungere mio padre. Volevo davvero<br />

tornarmene a casa.<br />

Mi accorsi fin troppo presto che non stavamo tornando in<br />

Villa come avevo sperato, però non avrei davvero creduto<br />

che arrivasse a tanto.<br />

Ci volle tutto il mio autocontrollo per non aggredirlo<br />

verbalmente quando lo vidi imboccare l’ingresso della<br />

clinica di famiglia. Anche se avrei dovuto aspettarmelo da<br />

lui, ma forse era proprio questo a mettermi in crisi ogni<br />

volta. Non riuscivo mai ad anticiparne le mosse, mai una<br />

volta. Mi lasciava sempre spiazzato.<br />

Il mio trisnonno paterno aveva tirato su quella clinica dal<br />

niente. Con le sue sole forze. Partendo da un minuscolo<br />

ambulatorio. Ora è una delle cliniche private più<br />

all’avanguardia. Mio zio e mio padre lavorano lì. Mio<br />

nonno lavora ancora lì. Ma per me vedevano una carriera<br />

da avvocato, quando era più che evidente da chi avessi<br />

ereditato la passione per la medicina. Non capisco proprio<br />

perché questa presa di posizione.<br />

Scesi dalla macchina prima che potesse aprirmi la portiera<br />

di nuovo e farmi sentire ancora più stupido di quanto già<br />

mi sentissi.<br />

442


Ormai avevo capito dove voleva arrivare e non mi piaceva<br />

affatto. Avevo capito anche perché tanta urgenza da<br />

Michele: se mio nonno mi avesse visto com’ero quando<br />

sono arrivato mi avrebbe scorticato vivo.<br />

> riuscii a dire mentre mi indicava di<br />

precederlo verso l’entrata ><br />

><br />

Salimmo muti fino al terzo piano. Mio zio Sergio ci stava<br />

già aspettando. Di certo mio padre l’aveva avvisato prima.<br />

Spalancò le braccia appena mi vide. Adoravo mio zio, ma<br />

non in quel momento, non per quello che stava per fare.<br />

Mi strinse forte fra le braccia, poi mi spinse un po’<br />

indietro e si mise fra me e mio padre, come a volermi<br />

proteggere da lui.<br />

> disse serio.<br />

Mio padre gli rispose con un’occhiata minacciosa, ma mio<br />

zio era fin troppo abituato a far valere le sue ragioni di<br />

fratello maggiore. Sapeva che mio padre non si sarebbe<br />

mai permesso di contraddirlo > aggiunse poi ><br />

Due ore?<br />

Sentii riaffiorare il senso di panico. Una nuova sensazione<br />

giunse poi a sovraccaricare il mio tormento. La nausea.<br />

Dio solo sa quanto avessi voglia di vomitare.<br />

Mio padre si perse per un momento sul mio pallore<br />

improvviso e forse questo lo convinse a lasciarmi andare.<br />

> mi disse severo.<br />

Feci di sì con la testa. Ero certo che se avessi provato a<br />

parlare sarebbe stato un disastro.<br />

443


L’ambulatorio di zio Sergio era più spaventoso di quello di<br />

mio padre. Lui è un eccellente ortopedico, si occupa<br />

soprattutto di sportivi di un certo livello. Mio zio invece<br />

era tutto il resto. Aveva passato la vita a studiare,<br />

racimolando una specializzazione dopo l’altra. È l’organo<br />

vitale della clinica. Mio nonno, è il cervello, e non solo<br />

perché è un neurochirurgo. Mio padre è il braccio, le<br />

gambe…<br />

Un corpo completo.<br />

L’idea generale che si era fatto mio padre era che avessi<br />

contratto chissà quale peste. Voleva la certezza che non ci<br />

fosse una sola cellula del mio corpo che non risultasse a<br />

dir poco perfetta.<br />

Mentre mio zio chiudeva la porta dello studio me ne stetti<br />

un po’ a guardarmi intorno, incerto. In fin dei conti non<br />

ero sicuro che assecondasse le folli paranoie di suo<br />

fratello.<br />

Appena si voltò a cercarmi con lo sguardo gli sorrisi<br />

istintivamente, ma la sua espressione era seria, accigliata.<br />

Non l’avevo mai visto così con me. Chissà che gli aveva<br />

raccontato mio padre?<br />

> esordii.<br />

> disse gelido.<br />

Mi rivoltò come un calzino. Tre ore intere di esami e<br />

controlli. Dentro e fuori. Tra una cosa e l’altra mi<br />

scombussolò tanto da farmi vomitare tre volte.<br />

Ero a pezzi quando mi mollò per permettermi di<br />

rivestirmi, mentre lui scrutava con attenzione la cartellina<br />

con i risultati degli esami del sangue.<br />

Mi girava la testa, non riuscivo neanche a chinarmi per<br />

allacciarmi le scarpe. Per reprimere un nuovo conato di<br />

444


vomito mi stesi sul lettino coprendomi gli occhi con<br />

l’avambraccio.<br />

> disse con tono più<br />

tranquillo.<br />

Avevo ragione io, non avevo niente che non andasse.<br />

Feci di no con la testa. Non riuscivo davvero ad aprire<br />

bocca.<br />

Si avvicinò per mettersi a sedere sul bordo del lettino. Mi<br />

posò il palmo della mano sulla fronte ghiacciata. Mi<br />

spostò il braccio per esaminare meglio il mio stato. Adesso<br />

sì che sembravo malato. Ero un cencio bianco sbiadito.<br />

Senza dire niente afferrò un cestino da terra con una mano<br />

e con l’altra mi tirò un po’ su la testa. Bastò questo a farmi<br />

perdere il controllo. Mi tuffai con la testa nel cestino e<br />

vomitai ancora.<br />

><br />

In effetti, aveva ragione. Iniziai a sentirmi subito meglio<br />

dopo.<br />

Mi allacciò le scarpe mentre me ne stavo un altro po’<br />

disteso.<br />

><br />

Feci di nuovo di no con la testa ><br />

Tenevo gli occhi chiusi per non vedere la stanza girare.<br />

Sentii le sue dita sul mio mento mentre mi guidava il volto<br />

verso di lui. Provai ad aprire gli occhi per guardarlo, ma<br />

mi sentii avvampare e distolsi lo sguardo rannicchiandomi<br />

su un lato per dargli le spalle.<br />

Stupido!<br />

445


dal tono sembrava sorpreso e divertito allo<br />

stesso tempo ><br />

Stupido, stupido, stupido.<br />

><br />

Volevo scomparire.<br />

> sussurrò provando a voltarmi ><br />

> non mi accorsi da subito che stavo alzando<br />

la voce ><br />

Mi guardò un momento, poi scoppiò a ridere.<br />

><br />

><br />

Adesso ero io quello furente.<br />

><br />

><br />

><br />

Mi scappò un’imprecazione. Mi sentivo profondamente<br />

offeso dalla scarsa fiducia che proprio lui mi aveva<br />

dimostrato, credendomi capace di chissà quale follia ><br />

446


sbottò. Troppo sincero per non<br />

ferirmi.<br />

> non riuscivo più ad<br />

andare avanti.<br />

><br />

> la mia voce<br />

tuonò un po’ e lui, per reazione, si irrigidì mettendosi sulla<br />

difensiva.<br />

><br />

><br />

Avevo detto qualcosa di troppo.<br />

> tuonò ><br />

Non era davvero il momento di schierarsi dalla parte di<br />

mio padre.<br />

Mantieni la calma. Non è successo niente.<br />

><br />

Eh no! Adesso è davvero troppo! > non<br />

volevo alzare la voce, ma ero troppo, troppo arrabbiato.<br />

Mi alzai per lasciare l’ambulatorio. Non volevo più starlo<br />

a sentire. Volevo tornare a casa. Non volevo altro che<br />

tornarmene a casa.<br />

><br />

Avevo già la mano sulla maniglia della porta, dovevo solo<br />

far leva e uscire > dissi piano,<br />

cercando di moderare i toni e riportare un po’ di calma.<br />

447


Ero ancora rivolto alla porta. Gli occhi sulla maniglia.<br />

Esausto ><br />

448


42<br />

L’intromissione di Gabriel aveva sortito l’effetto contrario<br />

alle Loro aspettative.<br />

Chiedermi di lasciar morire Denise equivaleva a rendermi<br />

complice di quell’ingiusta condanna a morte.<br />

Non potevo accettarlo.<br />

La porta finestra del balcone della sua camera da letto era<br />

socchiusa. C’era un posacenere a terra. La sigaretta,<br />

consumata a metà, fumava ancora.<br />

Sentivo il suo respiro lento dall’esterno. Si era<br />

addormentata dimenticando la finestra aperta.<br />

Per fortuna non avvertivo la presenza degli Esecutori nelle<br />

immediate vicinanze. Il grosso del lavoro era stato fatto.<br />

Non restava che aspettare il momento più opportuno per<br />

concluderlo.<br />

Entrai senza fare rumore. L’interno era caldo e accogliente<br />

come l’ultima volta che vi ero stato. Sembrava passato un<br />

secolo da quella sera, mentre invece erano trascorse poco<br />

più di ventiquattro ore.<br />

Mi avvicinai al letto.<br />

Aveva gli occhi arrossati di pianto.<br />

Posai la busta sul comodino, in modo che non potesse non<br />

vederla al suo risveglio. Mi tremava la mano, tanto che per<br />

farla rimanere in piedi fui costretto a diversi tentativi<br />

andati a vuoto. Mi rassegnai a lasciarla semplicemente di<br />

piatto, nella speranza che se ne accorgesse o che non la<br />

spingesse via con qualche gesto maldestro durante la<br />

nottata.<br />

Non potevo fare di più. Dovevo solo tornare a casa e<br />

attendere una sua risposta alla mia lettera. Sempre che<br />

449


avesse avuto ancora voglia di parlare con me dopo quello<br />

che le avevo fatto.<br />

C’è ancora tempo!<br />

L’ultima cosa che avrei voluto fare, Denise, era<br />

spaventarti, deluderti.<br />

Mi dispiace che sia andata a finire così. Ho sbagliato io,<br />

avrei dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma a quanto pare<br />

non ho ancora imparato la lezione.<br />

Sono stato imperdonabile nel nostro ultimo incontro, ma<br />

credimi se ti dico che ho reagito così solo per paura. Non<br />

per me, perché se avessi un briciolo di coraggio nel cuore<br />

avrei messo fine alle mie pene molto tempo fa. Ho avuto<br />

paura per Thomas, lui è ancora troppo piccolo per<br />

affrontare questo tipo di vita. Ho giurato a me stesso che<br />

non avrei mai permesso che il mio bambino ereditasse il<br />

mio destino. Per lui ho messo da parte l’odio e il rancore<br />

per permettergli una vita migliore della mia. Sono due<br />

anni e mezzo che vivo con questo peso sul cuore e mi sento<br />

ogni giorno peggio.<br />

Per un momento, con i tuoi assurdi ma deliziosi modi di<br />

fare, mi hai ridato un barlume di vita che era spento da<br />

troppo tempo e che credevo non tornasse più a brillare.<br />

So che è tardi per chiedere scusa.<br />

Sono molto impulsivo e agisco troppo spesso d’istinto,<br />

senza pensare. Mi rendo conto d’averti giudicato male; mi<br />

rendo conto di non averti dato neanche l’opportunità di<br />

spiegarti; mi rendo conto d’aver sbagliato e ora posso<br />

solo chiederti scusa.<br />

Durante la prigionia avevo la convinzione che una volta<br />

uscito da lì avrei fatto in modo che tutti sapessero, che<br />

tutti capissero come stavano effettivamente le cose. Volevo<br />

450


che, il Clan la smettesse di far guerra alla mia gente, alla<br />

mia famiglia.<br />

Non appena misi piede a casa però, la scena mostruosa<br />

che si presentò ai miei occhi mi disarmò completamente.<br />

Smisi di vivere per un anno intero, credendo di riuscire ad<br />

affievolire quel dolore, ma non fu così, perché è un dolore<br />

che proto legato all’anima.<br />

So che sai di cosa sto parlando.<br />

Avevo perso di vista il mio scopo, ma tu sei riuscita ad<br />

aprirmi gli occhi, sei riuscita a svegliarmi da questo lungo<br />

sonno, e ti ringrazio.<br />

Sono stanco di dovermi nascondere, Denise. Sono stanco<br />

d’avere paura, di dovermi guardare continuamente le<br />

spalle. Voglio iniziare a vivere, ma non sarà possibile<br />

finché non la smetteranno di darci la caccia.<br />

Devo polverizzare quel mito che ci perseguita da secoli.<br />

Devo salvare la vita di mio figlio e di tanti che, come lui,<br />

non hanno colpa d’essere nati quello che sono. Ma prima<br />

di tutto questo, devo salvare te da un destino che non ti<br />

appartiene.<br />

Perdonami se puoi.<br />

Dammi la possibilità di rimediare agli errori del mio<br />

egoismo.<br />

Alessandro<br />

451


452<br />

43<br />

Non vedevo Thomas da quasi sei mesi. Avevano<br />

festeggiato il suo primo compleanno a Febbraio ed io non<br />

avevo avuto il coraggio di fare neanche una telefonata.<br />

Non mi meravigliava che fossero tutti furiosi con me.<br />

La verità è che ero troppo concentrato a non pensare a lei.<br />

Pensare a Thomas significava ricordare ogni attimo dei sei<br />

mesi più felici di tutta la mia vita. Non potevo<br />

permettermelo. Era una debolezza pericolosa visto che<br />

programmavo ogni attimo delle mie giornate per non<br />

restare da solo a pensare al modo migliore per morire.<br />

Decisi di tornare in Italia solo quando mi ero sentito<br />

abbastanza forte da poter resistere.<br />

Tanto forte da sfidare mio padre l’ennesima volta.<br />

Non sono mai stato migliore di lui, in fondo. Solo più<br />

cocciuto, più insolente, irriverente. Ne ero consapevole,<br />

ma era un modo come un altro per sfogarmi, e lui era il<br />

mio parafulmine.<br />

Sei mesi sono tanti per un neonato. Cambiano giorno per<br />

giorno e a me nessuno avrebbe restituito il tempo perso,<br />

lontano da lui. Sei mesi della sua vita erano<br />

irrimediabilmente perduti per me. Lo avevamo lasciato<br />

che impara a indicare le cose e lo ritrovavo che si reggeva<br />

in piedi da solo. Non si era ancora lanciato a camminare<br />

senza appoggio, ma l’avrebbe fatto a momenti ed io avevo<br />

rischiato di perdermi anche quello.<br />

Era cresciuto. Somigliava sempre di più a lei.<br />

Inconsciamente avevo sperato di trovarlo cambiato<br />

abbastanza da non ricordarmela, ma aveva il suo stesso<br />

modo delizioso di fare il broncio, aveva i suoi stessi occhi


furbi, intelligenti, aveva perfino lo stesso odore della sua<br />

pelle.<br />

Riuscii a tenerlo in braccio solo qualche minuto. Pianse un<br />

po’ quando lo restituii a Beatrice. Tendeva le braccia verso<br />

di me, come se mi avesse riconosciuto dopo tutto quel<br />

tempo. Come se fosse possibile che avesse sentito la mia<br />

mancanza.<br />

Avevamo fatto molte riprese nel periodo trascorso tutti e<br />

tre alla Villa. Celine voleva registrare ogni momento del<br />

bambino per non far perdere niente alla sua famiglia così<br />

distante da noi.<br />

Durante la prigionia, mio padre aveva disposto per il<br />

rientro di Celine in Italia. Fu un violento periodo di<br />

agitazioni e sommosse fra gli Ancharos e il Clan. Mi<br />

credevano tutti morto, specie dopo le prime, inutili,<br />

settimane di ricerca. Solo Celine era sicura che fossi vivo.<br />

Era l’unica che riuscisse a sentirmi davvero, dopotutto.<br />

Mi hanno detto che faceva vedere i miei filmati a Thomas<br />

tutti i giorni. Gli parlava di me, di quanto li amavo e di<br />

come saremmo stati felici insieme quando sarei tornato da<br />

loro. Aveva continuato a riprendere e fotografare il piccolo<br />

come faceva quando eravamo insieme. A volte se lo<br />

sedeva sulle ginocchia, di fronte alla telecamera, e parlava<br />

con me. Mi raccontava come andavano le giornate, cosa<br />

facevano.<br />

Mio padre le aveva provate tutte per convincerla a non<br />

tornare a New York, ma lei era convinta che sarei tornato<br />

a giorni – probabilmente aveva avvertito i miei propositi di<br />

fuga – e voleva farsi trovare a casa nostra ad aspettarmi a<br />

braccia aperte. Voleva essere la prima persona ad<br />

abbracciarmi dopo tutto quel tempo. Il destino infame ha<br />

voluto che ci fosse qualcuno ad aspettare lei al suo ritorno.<br />

Vedere i suoi video è stata la prima cosa che ho fatto<br />

appena tornato a casa, prima ancora di vedere Thomas. Mi<br />

453


chiusi in camera per il resto della giornata senza vedere o<br />

sentire altri che lei.<br />

Speravo davvero che prima o poi il cuore avrebbe ceduto,<br />

assecondandomi.<br />

Passai la notte a guardare e riguardare i suoi sorrisi, a<br />

nutrirmi della sua voce, del suono delicato delle sue risate.<br />

Una notte passata a fare a brandelli quel po’ di spirito di<br />

sopravvivenza che ero riuscito a conservare con tanta<br />

fatica. Quella notte Celine mi avvelenò. Thomas - senza<br />

volerlo, povero piccolo! -, mi diede il colpo di grazia. Una<br />

pugnalata dritta al cuore.<br />

Non lo sapevo, ma la mia famiglia aveva disposto per la<br />

costruzione di una cappella apposta per lei. In stile<br />

romanico, sembrava il tempio di una Dea. C’erano dei<br />

meravigliosi fiori freschi dentro, quando andai al cimitero<br />

per vederla. Il profumo era un po’ forte per il mio olfatto,<br />

ma l’aroma era quello fresco di una casa abitata, non<br />

quello pungente e fastidioso, tipico dei cimiteri.<br />

Il marmo rosa degli interni era lucente alla luce del sole<br />

che filtrava indisturbato dalle vetrate. Solo il suo loculo<br />

era appena un po’ in penombra. Come se il sole diretto<br />

potesse infastidire le sue spoglie mortali. Chi, più di noi,<br />

può sapere quanto è sciocco tutto ciò. C’era solo un corpo<br />

di carne a marcire in quel loculo, non la mia Celine. Lei<br />

probabilmente era lì accanto a me, a soffrire della mia<br />

sofferenza. Però io amavo profondamente quel corpicino<br />

delizioso. E saperlo tutto solo, al buio, senz’aria, mi<br />

straziava un cuore già a pezzi. Lei odiava il buio, aveva<br />

paura perfino a stare in casa da sola di notte. Soffriva di<br />

claustrofobia. Non prendeva neanche l’ascensore se poteva<br />

farne a meno. E ora eccola lì, al buio, senz’aria.<br />

La lapide era posta sul pavimento, quasi al centro della<br />

cappella. In America si usa la sepoltura nel terreno e lei<br />

454


aveva espresso più di una volta il suo disappunto per il<br />

nostro uso italiano di porre i loculi uno sull’altro per<br />

guadagnare spazio nei cimiteri.<br />

Mi inginocchiai accanto all’angelo di marmo della lapide e<br />

posai il mazzo di fiori ai suoi piedi. Era una splendida<br />

statua a grandezza naturale. Un angelo dalle fattezze<br />

femminili, ad ali raccolte, seduto su una panchina a<br />

osservare con occhi curiosi una sfera di vetro con<br />

all’interno una farfalla posata su un giglio bianco.<br />

L’angelo aveva il suo volto, il suo corpo, il suo sguardo,<br />

rubato fra le tante riprese e fotografie conservate<br />

gelosamente. Mio padre aveva ingaggiato lo scultore<br />

migliore di tutti i tempi per realizzarlo. Un australiano di<br />

sessantacinque anni, che aveva fatto della scultura la sua<br />

unica ragione di vita. Aveva impiegato poco più di due<br />

mesi per finire quella che aveva definito “La migliore<br />

delle sue opere”.<br />

Eppure la mia Celine non era quel capolavoro di pietra<br />

candida. Il mio angelo era sepolto ai suoi piedi, ricoperto<br />

da chili e chili di terra scura. Ed era a quel pavimento di<br />

marmo che era rivolta la mia attenzione. A lei soltanto.<br />

La mano che carezzava il pavimento tremava visibilmente.<br />

Le prime lacrime iniziarono a bagnare il pavimento,<br />

evaporando quasi subito al calore del sole mattutino ><br />

455


456<br />

44<br />

Lasciai lo studio di Giorgio che era già buio. Lo avevo<br />

costretto agli straordinari quel giorno, ma dopo tutto<br />

questo tempo era diventato più un amico che uno<br />

psicoterapeuta, e si tratteneva volentieri a parlare con me.<br />

La sua vita noiosa di marito di famiglia, con una moglie<br />

troppo frivola per il suo intelletto assetato di sapere e una<br />

figlia troppo cresciuta per dare qualche scossone alla sua<br />

quotidianità, lo legava con avidità alla mia realtà<br />

travagliata. Io avrei volentieri barattato la sua piattezza<br />

con la mia bellicosa esistenza, ma lui continuava a ripetere<br />

che due anni di avventure valgono due secoli di banale<br />

routine.<br />

Punti di vista.<br />

Anch’io parlavo con piacere con lui. Mi ascoltava senza<br />

giudicare.<br />

È il suo lavoro, no? Nessuno pagherebbe duecento euro<br />

l’ora per parlare con qualcuno pronto a dirti che quello che<br />

fai è sbagliato. Ci sono i sacerdoti per questo!<br />

Ero riuscito a calmare un po’ la rabbia che si era scatenata<br />

alla vista del padre di Denise quella mattina all’università.<br />

Si era ripreso fin troppo bene quel maledetto.<br />

Era passato qualche giorno da quando le avevo consegnato<br />

la mia lettera di scuse. Non si era più fatta viva da allora.<br />

Sapevo che stava bene, perché la tenevo d’occhio di<br />

nascosto. Eppure mi aspettavo una telefonata. Ero<br />

arrogantemente certo che mi avrebbe chiamato.<br />

Era la prima volta che la vedevo arrivare a lezione<br />

accompagnata da suo padre. Che avesse mutato sentimenti<br />

nei suoi confronti era fuori discussione, ma forse era solo<br />

spaventata e usava qualche precauzione in più, visto che


credeva di dover ancora sfuggire a una coppia di gemelli<br />

che non desiderava altro che la sua morte.<br />

Passeggiavo lungo il marciapiede affollato, illuminato<br />

dalle vetrine dei negozi. La macchina non era lontana, ma<br />

volevo fare due passi per scaricarmi ancora un altro po’. Il<br />

freddo, di solito, mi aiuta molto.<br />

Un’ombra mi seguiva da quando avevo lasciato lo studio.<br />

Detesto essere spiato, soprattutto da Questa Parte.<br />

Accelerai il passo e cercai di seminarla fra gli scaffali di<br />

un supermercato.<br />

Le Ombre non possono entrare a contatto con la luce, che<br />

siano esse naturali o artificiali.<br />

Mi infilai nel corridoio del banco frigo e presi il cellulare.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Quando un’Ombra attraversa il Portale energetico per<br />

entrare nel mondo fisico non è mai per una visita di<br />

piacere.<br />

Le Ombre non sono altro che demoni preposti alla rottura<br />

dell’Equilibrio Divino.<br />

457


Mi spiego meglio: Sul mondo fisico niente avviene per<br />

caso. Vita e morte sono regolati da un preciso stato di<br />

Equilibrio energetico. Il mondo mortale può tollerare solo<br />

un determinato quantitativo di energia vitale. Un<br />

sovraccarico di questa porterebbe al collasso dimensionale<br />

che mescolerebbe il mondo fisico allo spirituale, creando<br />

una situazione di scompiglio tale da generare la<br />

distruzione del primo, che non sarebbe in grado di<br />

sorreggere il peso energetico del secondo.<br />

Gli angeli della Morte servono proprio a garantire questo<br />

equilibrio di forze. Come? Semplice! Se l’energia supera<br />

l’intensità massima con una o più nascite, il Giudice ha la<br />

visione dell’anima sacrificabile allo scopo. L’Esecutore<br />

esegue la sentenza e il Nocchiero trasporta lo spirito<br />

energetico in eccesso nell’Hahicòs.<br />

Per nostra fortuna, gli uomini sono perfettamente in grado<br />

di mantenere l’equilibrio da soli, uccidendosi a vicenda,<br />

ma nonostante questo, le nuove aspettative di vita dei<br />

mortali di questi ultimi secoli, ha intensificato il nostro<br />

lavoro.<br />

Al contrario però, un’eccessiva mancanza di Energia sulla<br />

terra porta a un collasso altrettanto pericoloso per gli<br />

umani, che nutrono le proprie anime proprio grazie a<br />

questa.<br />

La presenza di un Ombra sul mondo terreno, preannuncia<br />

sempre un disastro collettivo di dimensioni tali da<br />

determinare uno squilibrio sufficiente a portare al collasso<br />

dimensionale.<br />

Eruzioni, terremoti, uragani, alluvioni, incendi, tornado, di<br />

vaste dimensioni e intensità sono riconducibili tutti<br />

all’azione diretta di un’Ombra.<br />

Può succedere, anche se raramente, che l’Ombra influenzi<br />

la mente di uno o più umani per indurlo a commettere<br />

un’azione folle, che molto spesso termina con una vera e<br />

458


propria strage, se non ci sono le condizioni climatiche<br />

adatte a scatenare un fenomeno naturalmente devastante.<br />

Anche se i Comuni non se ne rendono conto, la terra è<br />

attaccata spesso da questi demoni e sta a noi - gli<br />

Ancharos a cui danno la caccia con così tanta insistenza –<br />

rimettere ordine per garantire loro un futuro che altrimenti<br />

non avrebbero.<br />

Chi crede che l’esistenza di un Angelo consista nel passare<br />

l’eternità a cantare e gioire dell’amore di Dio si sbaglia di<br />

grosso. Fosse solo questo non rimpiangerei continuamente<br />

di essere nato ciò che sono.<br />

Un Angelo deve sudarsele le sue ali, così come un<br />

Comune deve sudarsi il Paradiso.<br />

Senza contare che noi Ancharos di Sangue Puro dobbiamo<br />

anche riscattare l’imperdonabile affronto dei nostri avi.<br />

Uscii dal supermercato fingendo indifferenza. È la tattica<br />

migliore contro le Ombre. La certezza di essere state<br />

scoperte rischia di indurle ad agire prima di un nostro<br />

intervento.<br />

Attraversai la strada per raggiungere la macchina. Stava<br />

proprio seguendo me, non c’erano dubbi in proposito.<br />

Mentre attraversava a sua volta per raggiungermi, un<br />

gruppo di donne rischiò di essere investito da un folle al<br />

volante di un’utilitaria.<br />

Ovunque vada, l’Ombra si trascina dietro un flusso di<br />

morte che coinvolge chiunque si trovi nel suo raggio<br />

d’azione.<br />

Senza farmi notare, spinsi via l’utilitaria quel tanto da<br />

impedire l’impatto con quelle donne.<br />

I miei poteri crescono ogni giorno di più, man mano che<br />

mi avvicino ai temuti venticinque anni. Non so<br />

esattamente cosa accadrà quel giorno. Non ero ancora nato<br />

quando è accaduto a mio zio Sergio, e non ero in Italia<br />

459


quando è successo a Simone. Loro due, insieme a mio<br />

Nonno e Ivan sono gli unici Sangue Puro che conosco. Gli<br />

altri non vivono in Italia e ho avuto occasione di vederli<br />

solo di sfuggita durante uno dei lussuosi ricevimenti della<br />

mia famiglia.<br />

Quel che è certo è che ci sarà un profondo cambiamento.<br />

Spero solo che non sia troppo doloroso come la prima<br />

volta, quando il giorno del mio ventunesimo compleanno<br />

ho acquisito i miei pieni poteri di Nocchiero.<br />

Ma non voglio pensarci adesso. C’è ancora tempo, e<br />

comunque è un cambiamento che non posso evitare, tanto<br />

vale non pensarci affatto e continuare a vivere alla<br />

giornata.<br />

Quando sarà si vedrà.<br />

Mi trascinai dietro l’Ombra fino al confine del quartiere.<br />

Ci sono troppi Ancharos all’interno, L’Ombra non<br />

rischierebbe mai di essere scoperta per una leggerezza<br />

simile. Se ero davvero io il suo obiettivo, avrebbe atteso<br />

pazientemente che uscissi di nuovo. La fretta non è una<br />

delle sue caratteristiche.<br />

Salii di corsa le scale del palazzo senza aspettare che<br />

l’ascensore tornasse di sotto dal sesto piano.<br />

Avevo parcheggiato la Mercedes fra la Tuareg expedition<br />

di Stefano e la Viper di Nicola. Non vedevo la Porsche di<br />

Ivan però. Strano che non fosse ancora arrivato. In<br />

compenso, la Vanquish di Simone era parcheggiata sotto il<br />

suo palazzo.<br />

C’è anche lui. Credevo fosse a Londra.<br />

Meglio così. Col suo aiuto finiremo prima.<br />

Quando bussai al portone di Nicola venne ad aprirmi<br />

proprio Simone.<br />

Non mi diede neanche il tempo di entrare ><br />

460


><br />

> risposi entrando in<br />

salotto dove mi stavano aspettando gli altri. Avevo<br />

approfittato di un istante di distrazione del demone per<br />

scrutare la sua aura nera e leggerne le intenzioni, i<br />

pensieri, passati e presenti.<br />

Uno dei vantaggi di poter vedere le aure è quella di poter<br />

leggere in un attimo la loro intera esistenza come in un<br />

libro aperto. Non ci sono segreti che l’aura possa celare<br />

agli occhi di un Nocchiero. È un curriculum vitae<br />

impossibile da manomettere. Ogni azione passata, ogni<br />

pensiero formulato, resta impresso in modo indelebile<br />

come una traccia sul più moderno dei dvd, con l’unica<br />

differenza che l’aura non corre il rischio di smagnetizzarsi<br />

e perdere i dati registrati nel corso degli anni.<br />

Non mi piace spulciare nelle vite dei non Destinati, ma<br />

ammetto di averlo fatto di proposito più di una volta per<br />

tornaconto personale.<br />

Si ottiene molto di più dal prossimo se ne conosci i segreti.<br />

> mi chiese ancora Simone.<br />

><br />

><br />

Nicola mi indicò un posto libero sul divano accanto a<br />

Bruno. Mi misi a sedere, ma prima mi versai della Coca in<br />

uno dei bicchieri puliti sul tavolo.<br />

> chiesi.<br />

> rispose Paolo ><br />

Da quando mi ero tirato indietro con Denise, avevo<br />

lasciato tutto il peso nelle mani dei miei amici. Li avevo<br />

tirati talmente dentro da non dar loro neanche la possibilità<br />

461


di scegliere di rinunciare alla missione. Io avevo un<br />

motivo per mollare, ma loro? Loro no.<br />

La madre di Nicola entrò in salotto con un vassoio di<br />

stuzzichini. Il suo sorriso era così caldo e sincero da<br />

catturare l’attenzione di tutti.<br />

Clarissa la seguiva con una ciotola di patatine e un pacco<br />

di tovaglioli.<br />

> le chiesi, guardando male Bruno,<br />

accanto a me.<br />

><br />

Non mi disturbava la presenza di Clarissa fra noi. È una<br />

ragazza deliziosa, ma il pericolo continuo che correva<br />

standoci accanto mi spingeva a essere eccessivamente<br />

apprensivo con lei.<br />

Margherita mi avrebbe fatto a pezzi se mai le fosse<br />

accaduto qualcosa.<br />

Simone si schiarì la voce ><br />

C’è un solo modo per ricacciare un’Ombra negli inferi:<br />

infondergli tanta energia vitale da ucciderla.<br />

Per questo avevamo bisogno di essere in tanti. Uno solo di<br />

noi non ne contiene a sufficienza da poter cedere senza<br />

rimanerne ucciso a sua volta. Sempre che non ne abbia<br />

volutamente sottratta ad altri esseri umani per preservare<br />

la propria.<br />

L’Ombra che mi seguiva non era molto potente, in cinque<br />

avremmo dovuto farcela senza difficoltà a eliminarla.<br />

Le guerre, le rappresaglie, i conflitti e gli altri interventi<br />

diabolici degli ultimi anni, avevano già portato l’equilibrio<br />

sul bordo del baratro. Per un collasso non era necessario<br />

un intervento catastrofico, per questo era stata impiegata<br />

un’Ombra di secondo livello come quella.<br />

462


dissi ><br />

> intervenne Simone.<br />

Finché sei sotto tiro dobbiamo agire con cautela. Potrebbe<br />

attaccarti in qualunque momento: all’università, a casa dai<br />

tuoi, al centro commerciale, in strada… ovunque. È troppo<br />

rischioso.>><br />

><br />

><br />

><br />

Stefano posò il bicchiere di Coca sul tavolinetto basso<br />

davanti al divano ><br />

> osservò Bruno. ><br />

Anche Nicola era d’accordo con me ><br />

Simone si irritò ><br />

Tu no! Non hai niente da perdere. Non possono nuocerti.<br />

Odio dover essere proprio io a far notare certe cose, ma<br />

Simone in quel momento sembrava proprio non avere<br />

chiaro in mente un insignificante particolare ><br />

><br />

463


mi alterai ><br />

><br />

Scattai in piedi per portare la mia faccia a sfiorare quasi la<br />

sua ><br />

Non toglieva un istante il suo sguardo di sfida dal mio. ><br />

Scrollai la testa lentamente.<br />

Se fossimo stati fuori casa, sarebbe finita a pugni, senza<br />

dubbio, ma eravamo ospiti in casa di Nicola.<br />

Solo Marco riusciva a irritarmi più di quanto facesse<br />

Simone, il che la dice tutta sul nostro rapporto.<br />

Per fortuna in quel momento rientrò in salotto Clarissa.<br />

> chiese cercando la mia attenzione<br />

><br />

Come due gatti che si fissano negli occhi pronti ad<br />

attaccare alla prima distrazione dell’altro, così eravamo<br />

rimasti noi, immobili nell’attesa che uno dei due<br />

distogliesse lo sguardo dichiarando la resa.<br />

Ero pienamente consapevole della sua forza, sia fisica che<br />

spirituale. Di gran lunga più potente di me, se avesse osato<br />

usare i suoi poteri contro di me, mi avrebbe ucciso senza<br />

difficoltà.<br />

> mi richiamò Clarissa ><br />

Spostai lentamente la mia attenzione da Simone a lei,<br />

senza tuttavia abbassare la guardia.<br />

464


Bastò quel banalissimo scambio di sguardi a far riprendere<br />

il controllo si sé a Simone, che si voltò come se nulla fosse<br />

per tornare a sedere al suo porto vicino a Stefano.<br />

> chiese Bruno ><br />

Qualcuno suonò il campanello e un minuto dopo, Ivan<br />

fece ingresso in salotto.<br />

> chiese col suo solito sorriso<br />

sarcastico.<br />

Tutti gli altri si voltarono a guardare un po’ me un po’<br />

Simone.<br />

><br />

Sbuffai senza neanche tentare di nascondere l’irritazione<br />

><br />

><br />

><br />

Nicola si mise più comodo sulla poltrona, lasciandosi<br />

sfuggire uno sbadiglio. ><br />

><br />

><br />

Lo zittii con un gesto ><br />

Gli occhi di Bruno si illuminarono di eccitazione ><br />

465


Perfino Simone sembro compiaciuto all’idea ><br />

> mi implorò Bruno ><br />

Mio fratello non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere ><br />

A quelle parole l’interesse di Bruno si spostò<br />

completamente su di lui. > chiese euforico.<br />

Traditore!<br />

Sorrisi divertito ><br />

Stefano gli diede una pacca sulla spalla ><br />

Non che una Ferrari fxx fosse migliore o da meno a una<br />

Mercedes Hamann SLR Vulcano McLaren, ma Bruno<br />

sapeva che quando si trattava di spingere sul pedale<br />

dell’acceleratore io non facevo mai complimenti. Stefano,<br />

per i suoi venti anni, mi stava dietro abbastanza, ma non a<br />

sufficienza.<br />

Poco importava che fosse seduto su un motore da 660<br />

cavalli. Per lui prima di ogni altra cosa veniva la sicurezza.<br />

La tipica paura di chi teme la morte, dopotutto.<br />

Al contrario, io, con un motore V8 di 5,4 Litri da 626 hp<br />

di potenza, 780 Nm e un’accelerazione 0-100 di soli 3,6<br />

secondi, non mi facevo di certo scrupoli a spingere quel<br />

mostro fino a 348 km/h sull’autostrada deserta.<br />

L’ultima volta che avevo preso la SLR mi era costata la<br />

sospensione della patente per tre mesi, più uno aggiuntivo<br />

466


di mio padre, che non aveva ritenuto sufficiente mandarmi<br />

in giro a piedi per tutto quel tempo.<br />

Non fu difficile risalire a me. Il mio è un modello<br />

esclusivo. Rispetto alla versione di base, ha delle<br />

modifiche su carrozzeria e interni che sono state disegnate<br />

e applicate appositamente per me. Un perfetto connubio di<br />

fascino, eleganza e potenza. Un gioiellino da niente da<br />

oltre un milione di euro, come regalo per il mio<br />

ventunesimo compleanno. Avrebbe dovuto farmi<br />

dimenticare il dolore di quei giorni, anche se non è stato<br />

così.<br />

Bruno la chiamava “La ragazza”, perché diceva che<br />

quando la vedeva gli provocava la stessa eccitazione di<br />

una splendida donna. E anche se per il suo ventesimo<br />

compleanno gli avevamo regalato una SLK nera, come<br />

piaceva a lui, nonostante i rimbrotti e le minacce di morte<br />

di Margherita, il suo primo amore rimaneva sempre e<br />

comunque la mia SLR Vulcano.<br />

> propose Simone.<br />

Annuii ><br />

> disse Bruno scambiando un cenno d’intesa con<br />

Stefano.<br />

Ivan si fece un po’ in disparte ><br />

> chiese Nicola ><br />


arriveremo. Precedetemi di almeno un’ora, così avrete il<br />

tempo di sistemarvi. Io vi seguirò attraverso il segnalatore<br />

GPS sulla Ferrari di Stefano.>><br />

Mentre aspettavo, come previsto, che gli altri<br />

guadagnassero un certo vantaggio. Non riuscii a non fare<br />

un giro di ricognizione al quartiere nemico per controllare<br />

che Marta e Davide si fossero davvero allontanati per<br />

sfuggire l’Ombra.<br />

In piazza, un corteo di manifestanti, mi bloccò la strada in<br />

piena notte. I fuochi accesi in strada, cartelloni e striscioni<br />

in bella vista. Quello con scritto “No alla riforma<br />

Gelmini.” Era il più comune.<br />

Sfaticati! Troppo conveniente di re no. L’università, così<br />

com’è è una pagliacciata alla portata di tutti.<br />

Mentre cercavo di farmi largo fra quella folla di<br />

scansafatiche, i fuochi dei falò si agitarono liberando<br />

scintille. Alcune di queste avvolsero uno di quegli<br />

impersonali cartelloni, dandolo alle fiamme.<br />

In un istante, la curiosità di tutti per la mia auto, si rivolse<br />

all’incendio, così che si spostarono per farmi passare.<br />

Se fossi rimasto più a lungo, molto probabilmente le<br />

fiamme si sarebbero propagate a vista d’occhio scatenando<br />

un vero e proprio inferno. Se non fossi stato io al centro<br />

del bersaglio dell’Ombra, probabilmente mi sarei fermato<br />

a dare un’occhiata da vicino, ma avevo altri impegni per<br />

quella sera.<br />

Non mi preoccupai dell’ammonimento del Clan di non<br />

oltrepassare il confine. Se anche ci avessero provato, non<br />

sarebbero riusciti a starmi dietro. Di certo non quella notte,<br />

non con un fuoristrada.<br />

La stanza di Denise era illuminata all’interno. Non era<br />

difficile immaginare perché a quell’ora non stesse ancora<br />

468


dormendo. La macchina di suo padre era parcheggiata sul<br />

vialetto.<br />

L’incubo ricorrente era tornato.<br />

Fermai un momento l’auto l’ungo il vicolo. Volevo fare<br />

una corsa e dare un’occhiata, giusto per essere sicuro che<br />

quel bastardo tenesse le sue luride manacce a posto.<br />

Il motore in folle. Mi appoggiai completamente al sedile<br />

per trovare un po’ di concentrazione e un minimo di<br />

rilassamento. La strada era illuminata da molti lampioni su<br />

entrambi i lati. Difficile, se non impossibile, per l’Ombra,<br />

seguirmi fin lì e agire indisturbata mentre ero occupato<br />

nell’Hahicòs.<br />

Appena avvertii il tipico formicolio alle mani che sento<br />

durante il trapasso, chiusi gli occhi, ma dei colpetti sul<br />

finestrino mi riportarono indietro.<br />

Sussultai per il repentino cambio dimensionale. Sentii lo<br />

stomaco in gola e fui costretto ad aprire velocemente lo<br />

sportello per catapultarmi fuori e rigettare quel che restava<br />

della cena ai piedi della siepe della casa lì accanto.<br />

Fastidioso effetto collaterale. Soprattutto se il trapasso lo<br />

si compie in circostanze di estrema tensione emotiva.<br />

> disse Marco alle<br />

mie spalle > mi passò un pacchetto di fazzolettini<br />

di carta ><br />

Mi rimisi in piedi. Il respiro ancora un po’ affannato ><br />


ma il tanto che basta a confermare la mia ipotesi che siete<br />

un Setta di diabolici Assassini.>><br />

Spia!<br />

Alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa. Ero stanco di<br />

ascoltare di continuo assurdità come quelle ><br />

><br />

Stavo già per risalire in auto ma quell’ultima minaccia mi<br />

fece tornare sui miei passi. Mi voltai. Il mio sguardo<br />

colmo di sfida. ><br />

La mia proposta gli creò un po’ di confusione. Non se<br />

l’aspettava.<br />

><br />

> risposi con estrema serietà


Non saremo mai alla pari io e te, Marco. Fattene una<br />

ragione.<br />

Io vivo realtà che la tua mente mortale non potrà mai<br />

generare. Io vedo, sento, percepisco con sensi che l’uomo<br />

comune non possiede.<br />

Puoi uccidermi, ma non sconfiggermi, perché sono un<br />

Angelo della Morte.>> avvicinai il suo viso al mio<br />

attirandolo a me con la sua sciarpa stretta nel pungo > sillabai guardandolo rabbiosamente<br />

negli occhi.<br />

Potevo sentire l’odore pungente della sua paura,<br />

nonostante la sua espressione impassibile.<br />

Mollai la presa e feci qualche passo indietro. La sua<br />

pistola puntata contro di me.<br />

> la voce gli<br />

tremava.<br />

><br />

Una forte folata di vento gli strappò il berretto dalla testa.<br />

> esposi il petto allargando le braccia > gridai.<br />

Il boato dello sparo fece accendere le luci nella maggior<br />

parte delle abitazioni del quartiere.<br />

Denise si affacciò sul balcone, imitata da molti.<br />

Quando Marco trovò il coraggio di riaprire gli occhi, io<br />

ero ancora immobile al mio posto.<br />

> esclamò abbassando l’arma. Gli<br />

tremavano le mani.<br />

Denise aveva le mani al petto, gli occhi spalancati.<br />

Riuscivo a sentire i tonfi del suo cuore in accelerazione.<br />

471


isposi, prendendomi gioco<br />

di lui.<br />

Sollevai un braccio per salutare Denise, che non riusciva<br />

ancora a riprendersi dallo spavento.<br />

> salii in<br />

macchina e in meno di quattro secondi ero già fuori tiro.<br />

Sul marciapiede, un mucchietto di polvere. Il proiettile.<br />

Come previsto, raggiunsi i miei amici in un immenso<br />

campo da pascolo, in Toscana. Il paese più vicino era a<br />

circa 15 Km. A illuminare la notte stellata, solo la luna<br />

piena.<br />

Perfetto.<br />

L’Ombra mi seguì fin lì, senza nutrire il minimo sospetto.<br />

Piccola sciocca.<br />

Quando, correndo, raggiunsi il centro del campo, mi<br />

fermai.<br />

Ivan, Nicola e Simone, si manifestarono alla sua vista in<br />

quel momento.<br />

Appena l’Ombra si accorse di essere circondata, emise un<br />

acutissimo grido. Come migliaia di artigli su una lavagna.<br />

L’udito di Stefano e Bruno non avrebbe retto a quello<br />

stridere incessante, ma per fortuna erano rimasti in<br />

disparte per consentirci di lavorare senna doverci<br />

preoccupare della loro sicurezza.<br />

> esclamò Nicola, puntandogli davanti una<br />

mano a palmo aperto.<br />

Il flusso si manifestò sotto forma di un’intensa luce, che<br />

fece accasciare a terra il demone.<br />

Lo imitammo tutti.<br />

472


Le grida del demone si fecero ancora più acute, fino a<br />

cessare di colpo, perché sostituite dall’assordante<br />

frastuono di un’esplosione di energia pura.<br />

Luce e melma rossastra che imbrattò il campo per decine<br />

di metri, noi compresi.<br />

> borbottò Ivan ><br />

> dissi io<br />

><br />

Lo stomaco di Nicola non aveva retto a lungo. Era in<br />

ginocchio sul terreno bagnato e ricacciava quello che io<br />

avevo espulso neanche tre ore prima.<br />

> comunicò Simone ><br />

Lo seguimmo tutti fino alle auto, dove Bruno e Stefano ci<br />

aspettavano con impazienza.<br />

Avevamo portato degli abiti di ricambio, per non<br />

imbrattare anche le macchine.<br />

> chiesi<br />

strofinandomi via l’eccesso di melma fetida dai capelli.<br />

><br />

Sarebbe stata una tortura per il suo olfatto umano.<br />

Scoppiai a ridere.<br />

> chiese.<br />

Sorrisi ><br />

><br />

><br />

473


474<br />

45<br />

“Il tempo lava via il dolore.”<br />

Ho sentito ripetere questa frase non so più quante volte.<br />

Tutto falso. Chi soffre davvero, sa che non c’è un briciolo<br />

di verità in quelle parole.<br />

Si può imparare a convivere col dolore, questo sì, ma non<br />

smetterà mai di tormentarti. Se ne starà nascosto in un<br />

angolo, pronto a sbucare fuori al primo sguardo indiscreto.<br />

Erano passati quasi tre mesi da quando ero rientrato in<br />

Italia. Vivevo in villa con la mia famiglia. Uscivo di rado,<br />

se non per impegni di lavoro. Parlavo poco. Dormivo<br />

appena. Non mangiavo quasi niente. Bastava un nulla a<br />

farmi arrabbiare e ancora meno a farmi scappare via per<br />

non farmi vedere piangere.<br />

Thomas ormai camminava da solo. Era buffo vederlo<br />

barcollare nel costante tentativo di mantenere l’equilibrio e<br />

vincere la gravità che continuava a farlo cadere col<br />

sederino a terra. Ero orgoglioso del mio ometto. Se la<br />

stava cavando alla grande anche senza di me.<br />

Beatrice aveva una sorta di adorazione per Thomas.<br />

Dopotutto lo stava crescendo lei. Mai una volta, però, si<br />

era lasciata tentare dal desiderio di prendere il posto di<br />

Celine nella vita del bambino. Quando Thomas chiamava<br />

“Mamma” lei gli faceva vedere le foto di Celine o i video<br />

alla tv, indicandogliela. Non voleva che ne perdesse il<br />

ricordo.<br />

Ero riuscito a recuperare un minimo di rapporto con mio<br />

figlio nei mesi passati a casa. Cercavo di restare in villa il<br />

meno possibile, ma almeno riuscivo a rimanere nella<br />

stessa stanza con il bambino senza scappare via alla prima<br />

occasione. Avevo promesso a Celine che mi sarei preso


cura di lui. Ci stavo provando. Perfino i rapporti con mio<br />

padre sembravano migliorati. Avevo messo da parte il<br />

rancore per concentrarmi su altro e lui sembrava diverso<br />

con me quando non mi sforzavo di mandarlo fuori di testa.<br />

Nel frattempo mi ero anche iscritto all’università. Fino<br />

all’ultimo giorno per le iscrizioni ero sicuro che avrei<br />

scelto Archeologia. Ne avevamo parlato molto con Celine.<br />

Lei, dopo la nascita di Thomas, era ancora decisa a<br />

frequentare Medicina. Ci saremmo iscritti insieme,<br />

nonostante mio padre continuasse a fare inutili pressioni<br />

per una mia futura carriera giuridica. Con la sua morte<br />

però, avevo cambiato idea. Non me la sentivo di esaudire<br />

il nostro sogno da solo. L’unica opzione altrettanto<br />

interessante, per me, era l’Archeologia. Una passione che<br />

coltivavo da tanto, oltre la medicina.<br />

Una mattina, infatti, mi recai direttamente alla segreteria<br />

di facoltà per consegnare i moduli d’iscrizione. Avrei<br />

potuto iscrivermi in qualunque momento dell’anno,<br />

entrare, senza bisogno di test o quant’altro, in qualunque<br />

facoltà avessi scelto. La mia famiglia contribuiva troppo al<br />

mantenimento dei laboratori scientifici dell’ateneo per<br />

negargli un ingresso per vie traverse. Una fila di tre ore<br />

però mi diede tutto il tempo per riflettere seriamente e<br />

cambiare idea. Il giorno seguente consegnai la<br />

documentazione per l’iscrizione alla facoltà di medicina.<br />

Se dovevo imparare a vivere senza di lei avrei iniziato a<br />

farlo a piccoli passi, iniziando con qualcosa che potesse<br />

distrarmi davvero.<br />

Studiare non è mai stato un problema per me. Mi piace<br />

leggere, aggiornarmi, imparare. Sono troppo curioso per<br />

sentire lo studio un peso.<br />

Stefano aveva assecondato mio padre e, lo stesso anno, si<br />

era iscritto a Ingegneria. Io iniziavo con tre anni di ritardo,<br />

ma non mi importava granché, dopotutto il mio unico<br />

475


scopo era far trascorrere le ore, i giorni, gli anni, il più in<br />

fretta possibile. Non mi interessava altro. Non miravo a<br />

una carriera, non mi preoccupavo di dover trovare un<br />

lavoro per vivere, non desideravo una famiglia oltre quella<br />

che già possedevo. Volevo solo invecchiare e morire. Il<br />

tutto a una velocità spaventosamente allettante. Tanto ero<br />

già morto comunque.<br />

Del mio ventunesimo anno ricordo poco. Non ho molti<br />

ricordi, solo percezioni, frammenti di immagini di vita<br />

vissuta. So che passavo le giornate sui libri. Non mi<br />

perdevo un giorno di lezione, avevo una media<br />

impeccabile – e di questo non era responsabile il denaro<br />

della mia famiglia -. Sono diventato assistente del docente<br />

di Chimica perché me lo meritavo, non perché mi chiamo<br />

Renzi.<br />

Avevo smesso di sussultare al suono del mio cellulare. Il<br />

mio cervello si ostinava a sperare che un giorno o l’altro ci<br />

fosse lei all’altro capo del telefono.<br />

Mangiavo un po’ di più, anche se non era ancora<br />

abbastanza. Dormivo perfino, un paio di ore per notte.<br />

Riuscivo a tenere Thomas in braccio senza che il mio<br />

sistema nervoso ne risentisse troppo. Avevo addirittura<br />

ripreso a stuzzicare le ire di mio padre. Continuavo a<br />

sentire il mio letto troppo grande e troppo vuoto, ma<br />

cominciavo a credere che presto o tardi avrei imparato a<br />

convivere anche con quella sensazione.<br />

Fu una primavera breve. L’inverno era durato troppo e<br />

l’estate arrivò in anticipo. Volevo accelerare la percezione<br />

del tempo e, infatti, maggio arrivò prima che me ne<br />

accorgessi.<br />

Già pensavo a come avrei impiegato le mie giornate estive<br />

per non perdere il ritmo di impegni serrati che avevo con<br />

l’università. Il lavoro non mi occupava abbastanza tempo.<br />

Stefano mi propose di fare un viaggio tutti e cinque<br />

476


insieme: Nicola, Bruno, Clarissa e noi due. Giurava che ci<br />

saremmo divertiti, ma io non volevo divertirmi, volevo<br />

distrarmi e basta.<br />

Maggio 2008.<br />

Mi svegliai con gli occhi sul calendario col numero dodici<br />

cerchiato di rosso.<br />

Non sarei andato all’università quella mattina. Non sarei<br />

uscito da casa per tutto il giorno.<br />

Ma chi vuoi prendere in giro?<br />

Mi alzai dal letto trascinandomi fino in bagno. Il viso<br />

aveva ripreso colorito. I capelli erano ricresciuti, non c’era<br />

più traccia del demone oscuro che era rientrato in Italia tre<br />

mesi prima. Solo lo sguardo era lo stesso. Spento,<br />

riluttante alla rassegnazione.<br />

> dissi fissando la mia<br />

immagine allo specchio.<br />

Lasciai scorrere l’acqua della doccia mentre mi sfilavo i<br />

boxer per immergermi sotto il getto freddo che avrebbe<br />

dovuto svegliarmi.<br />

Avrei voluto trovare il coraggio e la forza di dormire per le<br />

prossime ventiquattro ore e fingere che quel giorno era<br />

stato saltato, assente dalla memoria collettiva<br />

dell’umanità. Come un ventinove di febbraio mai esistito.<br />

Se proprio volevano cancellare un giorno dalla vita degli<br />

uomini, perché non ne sceglievano un altro? Perché non<br />

eliminavano il dodici di maggio? Mi andava bene anche<br />

eliminarne uno ogni due anni, non era poi così grave<br />

sopportarne qualcuno di tanto in tanto. Avrei potuto<br />

facilmente tollerarne uno ogni due anni, ma non di più.<br />

Passano troppo presto trecentosessantacinque giorni se<br />

tieni premuto l’acceleratore sulla macchina del tempo.<br />

Felice anniversario, Amore!<br />

477


Thomas dormiva ancora quando entrai in camera sua<br />

quella mattina. Ha la mia stessa abitudine di dormire a<br />

pancia in giù con un braccio sotto il cuscino. Il suo respiro<br />

leggero, regolare, era l’unico suono a disturbare il silenzio<br />

pacifico nella stanza. Mi avvicinai al lettino lentamente.<br />

Non volevo che si svegliasse, volevo solo stare un<br />

momento a guardarlo dormire, come facevo con Celine<br />

quando non riuscivo a prendere sonno e passavo la notte a<br />

imprimere nella memoria ogni più insignificante dettaglio<br />

del suo bel viso.<br />

Non resistetti a lungo alla tentazione di stringermelo un<br />

po’ al petto, così lo sollevai delicatamente e mi misi a<br />

sedere sulla sedia a dondolo che usavamo per cullarlo<br />

quando era piccolo piccolo. Si mosse un po’, aprendo gli<br />

occhi, ma appena mi riconobbe tornò a rilassarsi e a<br />

dormire, appoggiando il visetto al mio petto.<br />

Il mio ometto!<br />

Non riuscivo a trattenere le lacrime. Mi faceva troppo<br />

male starmene in quella stanza senza di lei.<br />

Le prime notti, quando, esausta, riuscivamo a mettere il<br />

piccolo a dormire, la facevo sedere sulle mie ginocchia e<br />

tenendola stretta a me la cullavo dolcemente fino a quando<br />

riusciva ad addormentarsi, poi la riportavo in camera<br />

nostra e rimanevo a guardarla incantato per ore.<br />

Ho avuto bisogno di lei dal primo momento in cui l’ho<br />

vista, questa è la verità. Non so spiegarmi il perché. Forse<br />

è pazzia, ma non ho mai saputo farne a meno.<br />

Nella mia mente avevo mille paure, mille preoccupazioni<br />

per il futuro, ma mai una volta avevo preso in<br />

considerazione l’ipotesi che potessi sopravviverle. Ero<br />

certo che finché mi fosse rimasta accanto non avrei<br />

permesso a nessuno di farle del male. Non mi ponevo il<br />

478


problema perché ero sicuro che, se si fosse presentata<br />

l’occasione, avrei dato la mia vita in cambio della sua.<br />

Un sussulto più forte degli altri, fece svegliare Thomas.<br />

Mi asciugai svelto il viso.<br />

> disse con la sua voce d’angelo. Sorrise.<br />

Mi sforzai di rispondere ><br />

Tentò di afferrare con la manina una lacrima che scendeva<br />

indisturbata sulla mia guancia.<br />

><br />

balbettai con voce rotta. Le sue braccine si strinsero al mio<br />

collo ed io lo riempii di baci, fra un singhiozzo e l’altro > lo feci sedere sulle ginocchia per guardarlo.<br />

Lui mi fissava con curiosità. Non sorrideva più. Avvertiva<br />

il mio stato d’animo, ma non capiva perché stessi così<br />

male.<br />


Papà ti vuole un mondo di bene, cucciolo. Non<br />

dimenticarlo mai. Anche se un giorno ti sembreranno<br />

assurdi e crudeli tanti miei atteggiamenti, ricorda che tu<br />

non ne hai nessuna colpa. Sei il regalo più bello, più<br />

prezioso che…<br />

Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi per non aver<br />

saputo mantenere la promessa che vi ho fatto. Credevo di<br />

essere abbastanza forte, ma…>> lo strinsi di nuovo a me<br />

><br />

Beatrice entrò poco dopo. Avevo messo Thomas a giocare<br />

nel box, per andare in bagno a rinfrescarmi il viso<br />

accaldato.<br />

Ero a pezzi, non riuscivo a smettere di piangere e quando<br />

entrò in bagno mi trovò col viso nascosto nelle mani, in<br />

ginocchio ai piedi del lavandino.<br />

Si inginocchiò accanto a me e mi abbracciò con forza. Non<br />

disse niente. Non c’era bisogno di dire niente. Lasciò solo<br />

che sfogassi tutto il mio dolore col pianto.<br />

Quando sollevai lo sguardo, oltre la sua spalla, dalla porta<br />

aperta del bagno vidi qualcosa che mi fece ritrarre di<br />

scatto.<br />

Beatrice mi carezzò una guancia esangue, preoccupata.<br />

Scrollai la testa a occhi chiusi per scacciare via<br />

quell’immagine, ma quando li riaprii era ancora là.<br />

Mi alzai in piedi, con lo sguardo fisso sul bordo del letto<br />

accanto al box, come ipnotizzato. Il respiro affannato. Il<br />

cuore in accelerazione. Il passo incerto.<br />

><br />

La voce improvvisa di Beatrice mi spaventò,<br />

immobilizzandomi sulla soglia della porta del bagno. Gli<br />

occhi sempre fissi sulla figura seduta sul letto<br />

matrimoniale in fondo alla stanza.<br />

480


Perfino Thomas sembrava fissarla. Seduto con un T.Rex di<br />

gomma fra i denti, tendeva una manina verso il viso<br />

poggiato sulle braccia incrociate sul bordo in plastica del<br />

box. Si fissavano entrambi. D’un tratto poi, Thomas spostò<br />

il T.Rex da un lato e con un gran sorriso sulle labbra si<br />

alzò in piedi all’altezza del viso della figura, che<br />

continuava a guardarlo con dolcezza.<br />

> disse, saltellando come faceva sempre<br />

quando era contento di vedere qualcuno.<br />

Celine si alzò in piedi e Thomas sollevò le braccia per<br />

farsi prendere, ma lei si limitò ad accarezzargli il viso.<br />

Io assistevo alla scena impietrito. Sentivo la forza nelle<br />

gambe venire meno. Mi appoggiai allo stipite della porta<br />

per trovare un sostegno.<br />

Beatrice, dietro di me, mi osservava confusa.<br />

Non era la prima volta per lei sentire Thomas chiamare<br />

Mamma senza un motivo preciso.<br />

Celine si mise a sedere di nuovo e il bambino tornò ai suoi<br />

giochi come se niente fosse.<br />

Mi strofinai gli occhi con forza. Era sempre lì.<br />

È troppo assurdo. Non è possibile. Anche se fosse scaduto<br />

il tempo non potrei comunque vederla se sono da Questa<br />

Parte.<br />

È un’allucinazione! La mia mente è talmente concentrata<br />

su di lei che i ricordi e i pensieri stanno ingannando il<br />

cervello, che ne proietta un’immagine nella realtà,<br />

convincendo i sensi a percepire come reale un desiderio<br />

inconscio persistente.<br />

Sì, è un’allucinazione, non può essere altrimenti.<br />

Le gambe sembravano due tronchi di piombo mentre<br />

arrancavo per avvicinarmi alla mia fantasia. Mi<br />

separavano da lei solo una manciata di passi, eppure man<br />

mano che i due metri di distanza diventavano pochi<br />

481


centimetri, la sua immagine, invece di diventare più nitida,<br />

si dissolveva come nebbia sotto i miei occhi, fino a sparire<br />

del tutto quando raggiunsi il bambino.<br />

L’affanno divenne quasi soffocante e il cuore, impazzito,<br />

mi provocava delle fitte violente che mi fecero accasciare<br />

ginocchia a terra e mani al petto.<br />

Faticavo a respirare e ogni nuova boccata d’aria faceva<br />

nascere dolori sempre più acuti. Il battito, dapprima<br />

accelerato, era diventato pericolosamente irregolare.<br />

Passava dalla tachicardia alla quasi assenza di pulsazioni<br />

per più di due o tre secondi.<br />

Beatrice mi aiutò a stendermi sul letto, prima di chiamare<br />

mio padre, di turno in Clinica quella mattina.<br />

Tutta quell’agitazione aveva scosso Thomas, che si era<br />

messo a piangere.<br />

Stefano entrò in stanza credendo che non ci fosse nessuno<br />

col bambino.<br />

> chiese quando mi vide in<br />

quello stato.<br />

><br />

><br />

><br />

Salì sul letto per starmi accanto, mentre Beatrice bagnava<br />

un asciugamani per rinfrescarmi il viso sudato. Ma io non<br />

avevo caldo. Stavo gelando. Il sangue fluiva troppo<br />

lentamente a causa del rallentamento cardiaco. Avrei<br />

voluto dirglielo, ma non riuscivo a parlare, ero troppo<br />

concentrato a sentire il mio cuore fermarsi e aspettare che<br />

ricominciasse a battere.<br />

Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Era inevitabile<br />

che si arrendesse. Troppa pressione, troppo stress, troppo<br />

dolore. Era solo un muscolo, dopotutto. Bastava solo che<br />

anche il cervello cedesse, procurandogli uno shock<br />

482


abbastanza forte da dargli uno scossone tale da rompere il<br />

ritmo, a sufficienza da mandarlo in confusione fino a<br />

bloccarlo. L’avevo sperato, quando ero stato troppo<br />

codardo da darmi la morte da solo, ma non immaginavo<br />

che fosse così doloroso.<br />

Avevo già programmato di provarci quella stessa mattina.<br />

La pistola era ancora sul pavimento del bagno, carica<br />

dell’unico proiettile che mi avrebbe dato la morte. Ero<br />

entrato in camera di Thomas proprio per dirgli addio. La<br />

credevo la decisione migliore per tutti. Si sarebbero<br />

rassegnati presto e Thomas non sarebbe cresciuto col<br />

tormento di vedere un padre troppo impegnato a tenere in<br />

vita se stesso piuttosto che occuparsi di lui. Non volevo<br />

che provasse nei miei confronti la stessa rabbia che<br />

provavo io per mio padre.<br />

Avevo resistito abbastanza, avrebbero dovuto<br />

concedermela quella pazzia, ma non ero stato tanto forte<br />

per metterla in atto. Non ero stato abbastanza egoista per<br />

farlo. Perché è solo l’egoismo che ti da la forza di spezzare<br />

il cuore di chi ti sta accanto e ti vuole bene. Riesci a<br />

ucciderti solo se riesci a fregartene del male che procurerai<br />

col tuo gesto. Io non ce l’avevo fatta.<br />

Sentivo il cuore battere sempre più lentamente e il freddo<br />

avvolgere gli arti tanto velocemente da farmi battere i<br />

denti. Davo le spalle a Beatrice, ma Stefano mi era di<br />

fronte e se ne accorse. Mi coprì con la coperta e il<br />

piumone della sua parte del letto.<br />

Sono un Ancharos, un Angelo della Morte, eppure,<br />

nessuno, in quasi ventidue anni, si era mai premurato di<br />

spiegarmi cosa significasse davvero morire. Cosa si<br />

sentisse subito prima. Come percepisse il corpo<br />

l’abbandono dell’anima. Forse perché ogni morte è diversa<br />

dalle altre. Ogni corpo è diverso e reagisce in modo<br />

diverso. Oggi però so che quello stranissimo freddo è<br />

483


comune in tutti. C’è chi lo percepisce per un istante<br />

appena, chi più a lungo, ma è lo stesso identico freddo che<br />

sentono tutti. È il vuoto lasciato dal calore vitale<br />

dell’anima. È il freddo della Morte. Quello che,<br />

successivamente, imparai a conoscere col nome di<br />

Mènhin.<br />

Sono in grado di raccontare cosa successe dopo la mia<br />

dipartita perché potevo vedere tutto dall’esterno del mio<br />

corpo.<br />

È una sensazione strana, e detto da me è bizzarro, perché<br />

faccio avanti e indietro dal regno dei vivi a quello dei<br />

morti in continuazione. In quella circostanza però fu tutto<br />

molto diverso, perché quando compio il trapasso, la mia<br />

anima resta comunque legata al corpo e non mi permette<br />

un’osservazione oggettiva di me stesso nel mondo fisico.<br />

Non sono in grado di vedere il mio corpo quando sono<br />

nell’Hahicòs.<br />

Quella mattina invece, il cordone d’argento si era<br />

sfilacciato fin quasi a spezzarsi. Se si fosse rotto del tutto<br />

non avrei mai potuto tornare indietro come invece è<br />

accaduto.<br />

Quando mio padre fece irruzione in stanza, il mio cuore<br />

aveva smesso di battere completamente. Non respiravo più<br />

da un paio di minuti e Stefano mi soffiava aria nei<br />

polmoni, che gonfiavano il torace artificialmente.<br />

Mio padre non perse neanche tempo a chiedere cosa fosse<br />

successo. Mi trascinò a terra e iniziò a premere<br />

ritmicamente con forza sul mio petto. Zio Sergio era<br />

tornato a casa con lui. Rimaneva in piedi vicino alla porta,<br />

senza dire o fare alcun ché.<br />

Ma cos’hanno da guardare, tutti? Andate via. Lasciatemi<br />

in pace. E tu smettila di fissarmi in quel modo, i tuoi occhi<br />

mi innervosiscono. Credi di sapere tutto, di avere tutte le<br />

484


isposte, ma non mi conosci, e il tuo giudizio non può<br />

toccarmi.<br />

Hai le mani fredde.<br />

Cos’è, hai paura?<br />

Tanto è inutile, non riuscirai a farmi cambiare idea.<br />

Smettila di fissarmi ho detto, e tu abbassa la voce, sono<br />

stanco, ho bisogno di riposare. Ho bisogno di chiudere gli<br />

occhi, anche solo un istante. Sì, brava, così, visto che non<br />

è poi tanto difficile abbassare il volume?<br />

C’erano dei momenti in cui le immagini si facevano più<br />

sfocate e coincidevano con la strana sensazione di dolore<br />

che a volte avvertivo nel mio torace immateriale.<br />

Mia madre ormai riusciva solo a gridare. Stefano la<br />

stringeva forte a sé, in disparte, per lasciare spazio a mio<br />

padre e a zio, qualora avesse deciso di intervenire.<br />

> Non mi sentì,<br />

naturalmente, ma credo che non mi avrebbe dato retta<br />

neanche se l’avessi detto ad alta voce.<br />

Zio continuava a tenere gli occhi fissi su di me.<br />

> dissi ricambiando il suo sguardo.<br />

Mi aveva raggiunto nell’Hahicòs, per questo all’inizio il<br />

suo corpo mi era sembrato immobile, assente.<br />

> chiese avvicinandosi.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

485


Mio padre praticava ancora il massaggio cardiaco, ma ogni<br />

pressione diventava sempre più dolorosa per me ><br />

><br />

><br />

Sorrise.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> ammisi a testa bassa.<br />

><br />

><br />

Chinò la testa su una spalla, curioso ><br />

><br />

Guardò mio padre, poi mia madre e mio fratello, infine<br />

Thomas, in lacrime fra le braccia di Beatrice ><br />

No, certo che no.<br />

Scossi la testa.<br />

><br />

Rientrare fu molto doloroso. Il cuore era affaticato dalle<br />

continue sollecitazioni e lo sentivo bruciare. Le fitte erano<br />

così forti da farmi sussultare nella semi incoscienza.<br />

Ricordo che sentii risalirmi in gola qualcosa di pastoso e<br />

486


dal sapore acido. Avvertii le mani di mio padre quando mi<br />

prese il viso per voltarmelo di lato e permettere al reflusso<br />

di uscire anziché soffocarmi.<br />

Poi non ricordo altro.<br />

Sono svenuto.<br />

Si aspettavano una reazione del genere da un giorno<br />

all’altro. Mio zio e mio nonno avevano avvertito mio<br />

padre di tenermi d’occhio. Sapevano che avrei mollato,<br />

ancora prima che io decidessi di farlo. Ciò nonostante, mio<br />

padre si infuriò come mai prima d’allora. Era furioso<br />

all’idea che avessi davvero pensato di compiere un gesto<br />

così insanamente radicale.<br />

Quando qualche giorno dopo mi ripresi abbastanza da<br />

affrontare una qualunque conversazione con lui, provai a<br />

inventare una scusa per la presenza della pistola in bagno,<br />

ma senza successo.<br />

Ero in ancora debole e costantemente monitorato da un<br />

macchinario portato direttamente dalla sala di<br />

rianimazione della clinica. La scarsità di zuccheri nel<br />

sangue rendeva le mie balle decisamente poco credibili.<br />

Il non tentato suicidio, tuttavia, fu la goccia che fece<br />

traboccare il vaso, perché, neanche un’ora dopo essere<br />

stato dimesso, mio padre mi buttò fuori di casa. Disse che<br />

avrebbe provveduto il giorno dopo a procurarmi un<br />

appartamento dove stare, ma che da allora non avrebbe più<br />

voluto avermi in casa.<br />

> fu la risposta che diede a Beatrice quando gli<br />

chiese cosa gli passasse per la testa quando aveva preso<br />

quella decisione.<br />

><br />

ribatté lei.<br />

487


><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Il pomeriggio dopo mi consegnò le chiavi del mio nuovo<br />

appartamento.<br />

Ammetto che il mio proposito suicida era svanito col<br />

tramonto del dodici maggio, ma ormai non c’erano più<br />

speranze di fargli cambiare idea. non mi avrebbe mai<br />

creduto.<br />

Ciò nonostante, non mi dispiaceva l’idea di andare a<br />

vivere per conto mio, ma a quanto pare non avevo<br />

compreso del tutto i termini del trasloco.<br />

Dopo il piccolo incidente di percorso mi ero ripromesso di<br />

impegnarmi sinceramente a rimettere insieme i pezzi rotti<br />

della mia esistenza. Volevo ricominciare tutto da capo, ma<br />

ciò non escludeva Thomas dalla mia nuova vita. Ero<br />

intenzionato a portarlo via con me. Per questo, quando mio<br />

padre si oppose a lasciarmi il bambino, scoppiò la lite più<br />

furibonda che avessimo mai avuto prima di allora.<br />

Arrivammo quasi alle mani.<br />

> gli ringhiai contro.<br />

488


Ricordo che era a metà altezza della scala dell’ingresso.<br />

Beatrice teneva Thomas in braccio. Spaventata più da cosa<br />

poteva succedere fra noi due che dall’idea che il bambino<br />

venisse con me.<br />

Mio nonno assisteva alla scena dal piano di sotto. Senza<br />

intromettersi, proprio come gli zii.<br />

> vociò mio padre.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Zio Sergio prese per la prima volta la parola dopo un<br />

battibeccare di quasi un’ora ><br />

><br />

Intervenne anche mia zia ><br />

Mia nonna sedeva con autorità sulla poltrona in salotto.<br />

Non si intrometteva in certe questioni.<br />

><br />

> difficilmente mio nonno si<br />

intrometteva nelle dispute di famiglia, ma se lo faceva era<br />

489


altrettanto difficile che accettasse opposizioni da parte di<br />

chiunque. ><br />

e dicendo questo guardò mio padre con severità ><br />

Provai a obiettare, ma me lo impedì prima ancora che<br />

pronunciassi la prima parola.<br />

><br />

Mio padre non aveva gradito l’intromissione, ma almeno<br />

la decisione del nonno appoggiava la sua. La storia<br />

dell’appartamento era solo una provocazione per farmi<br />

reagire in qualche modo. Non voleva davvero che andassi<br />

via. Era talmente apprensivo nei nostri confronti che era<br />

inconcepibile per lui l’idea di non potermi tenere d’occhio.<br />

Come venni a sapere il giorno dopo, l’appartamento era<br />

stato affittato per una settimana soltanto. Probabilmente<br />

voleva solo darmi una lezione. Mi avrebbe costretto a<br />

tornare in Villa subito dopo.<br />

Mi girava un po’ la testa. Non ero certo nel pieno delle<br />

forze. Barcollai sulle scale e cercai l’appoggio del<br />

corrimano, ma lo mancai e se non mi avesse sorretto mio<br />

padre, sarei caduto di sotto.<br />

> dissi subito scrollandomi le sue<br />

mani da dosso. Non c’era una sola persona dalla mia parte<br />

in quella casa.<br />

Ero nel giusto. Non ero mai stato così sicuro di esserlo<br />

come in quel momento. Tuttavia, continuavo ancora una<br />

490


volta ad averli tutti contro. Era profondamente umiliante<br />

per me.<br />

Scesi piano le scale fino all’ingresso. Il capogiro era<br />

passato, ed ero più infuriato di prima > gridai<br />

guardando uno per uno tutti i presenti, soffermandomi<br />

soprattutto su Stefano. Non sopportavo che mi voltasse le<br />

spalle proprio lui.<br />

Me ne andai dalla Villa subito dopo, sbattendo la porta.<br />

Mi rifiutai di rimettervi piede fino al giorno in cui<br />

accompagnai Denise in clinica per la distorsione alla<br />

caviglia.<br />

Vedevo Thomas al di fuori. Stefano lo portava spesso a<br />

casa mia. Beatrice mi invitava a uscire con loro, mi teneva<br />

informato.<br />

Col tempo ero perfino risuscito a riprendere a parlare con<br />

mio padre in toni quasi civili, ma la Villa per me rimaneva<br />

un tabù. Nonostante mi chiedessero ripetutamente di<br />

tornare, mi ero intestardito a fargliela pagare per tutto<br />

quanto.<br />

Ad alleggerire la tensione, qualche giorno dopo, era stato<br />

il fatto che inspiegabilmente scoprii di poter interagire con<br />

Celine anche se non erano ancora trascorsi quattro anni<br />

dalla sua morte. Potevo vederla, parlare con lei, toccarla<br />

perfino.<br />

I membri del Gran Consiglio attribuirono il fatto<br />

all’episodio inusuale del suo contagio. Aveva ricevuto<br />

talmente tanto del mio flusso vitale da rimanere legata a<br />

me in un modo così unico da annodare il suo spirito al<br />

mio. Questa era la causa che ci permetteva di avvertire i<br />

sentimenti l’uno dell’altra, di percepirne i pensieri e<br />

probabilmente di interagire nonostante le condizioni di<br />

isolamento dell’anima dopo la morte.<br />

491


A me bastava anche solo questo per ritrovare la felicità<br />

perduta, ma lei non era d’accordo. Voleva che mi rifacessi<br />

una vita. Voleva che non pensassi più a lei come una<br />

donna in carne e ossa, perché questo mi avrebbe impedito<br />

di aprire il mio cuore a un’altra donna.<br />

Come se io potessi desiderarne un’altra!<br />

Eravamo giunti a un patto. Lei sarebbe rimasta accanto a<br />

me per poter stare vicina a Thomas, ma niente di più. Si<br />

sarebbe fatta da parte il giorno in cui fosse entrata un’altra<br />

donna nel mio cuore. Il compromesso era che io avrei<br />

cercato di rifarmi una vita, mentre lei mi sarebbe rimasta<br />

accanto fino a quel giorno. Giurò però, che al mio primo<br />

passo falso sarebbe sparita per sempre dalle nostre vite.<br />

><br />

> disse <br />

Alla fine fui costretto ad accettare l’accordo.<br />

Tutto pur di averla accanto.<br />

492


46<br />

When you say you love me.<br />

Per te.<br />

You are loved (Don’t give up).<br />

You raise me up.<br />

Remember me.<br />

To where you are.<br />

Oceano.<br />

(Josh Groban)<br />

In ordine di preferenza, sono le canzoni preferite di Celine.<br />

Ricordo con piacere che mi costringeva a eseguirgliele al<br />

piano, ancora e ancora, fino a non poterne più. Una sera,<br />

scherzando, mi disse che se non gli fosse piaciuto come le<br />

suonavo, mi avrebbe lasciato per lui. Nella sua personale<br />

classifica, Josh veniva al secondo posto, subito dopo me.<br />

> mi confessò ridendo una mattina dei<br />

primissimi giorni insieme qui in Italia > rise, poi mi abbracciò, mentre le mie<br />

dita scorrevano ancora sui tasti > mollai i<br />

tasti per prenderla fra le braccia e baciare le sue labbra<br />

morbide e vellutate ><br />

> scherzai ><br />

><br />

493


ipresi a baciarla, frenando sul nascere<br />

qualunque altra sua domanda.<br />

Non la vedevo da quasi una settimana. Era sempre meno<br />

presente in quell’ultimo periodo. E già ne sentivo una<br />

mancanza straziante. Sapevo che si stava allontanando da<br />

me. Avvertivo la sua distanza, il suo sforzo disumano per<br />

starmi lantana.<br />

> aveva detto, e questo suo egoistico<br />

sacrificarsi mi mandava fuori di testa.<br />

Mi allacciai un’asciugamani attorno alla vita, uscendo<br />

dalla doccia, e mi misi a sedere davanti al piano.<br />

Quello che in principio era un suono saturo di collera e<br />

risentimento, mutò col tempo in una delicata melodia.<br />

Non avrebbe potuto resistere a lungo a quel richiamo. Era<br />

sempre stato così e sarebbe stato lo stesso anche quella<br />

mattina. Doveva essere così.<br />

Le cantai per te di Josh Groban, una delle sue preferite.<br />

Si dice che nessun mortale sia in grado di resistere al<br />

richiamo del canto di un angelo.<br />

Si dice il vero.<br />

Mi diede un bacio sulla guancia, mentre si metteva a<br />

sedere accanto a me sullo sgabello. Posò una guancia sulla<br />

mia spalla nuda e chiuse gli occhi, totalmente concentrata<br />

sulla musica.<br />

Suonai per oltre tre ore ininterrottamente. Non mi è mai<br />

piaciuto esibirmi in pubblico, nonostante sia consapevole<br />

delle reazioni che suscito nei mortali che mi ascoltano. Ma<br />

per Celine… avrei passato l’eternità a cantare solo per lei.<br />

494


Qualcuno di noi, ha fatto un business del proprio dono.<br />

Che si tratti di lirica o del rock più estremo, la voce di un<br />

angelo è inconfondibile. La riconoscerebbe perfino un<br />

sordo, scorgendola negli occhi incantati di chi la ascolta.<br />

E non aggiungo altro.<br />

A buon intenditor…<br />

> disse con la<br />

voce rotta dal pianto.<br />

Smisi di suonare all’improvviso, facendo piombare la<br />

stanza in un silenzio sepolcrale.<br />

><br />

Non voglio.<br />

> gridò in preda a una disperazione che<br />

non le avevo mai sentito prima ><br />

cercò protezione fra le mie braccia ed io la strinsi a me con<br />

così tanta forza che se fosse stata ancora in vita avrei<br />

procurato dolore alla sua carne mortale.<br />

Non ci riesco. È ancora troppo presto.<br />

Si staccò da me con freddezza ><br />

Non mi chiamava mai Alessandro.<br />

Non riuscivo a credere che fosse davvero lei a pronunciare<br />

quelle parole.<br />

><br />

mi prese fra le mani il viso contratto dal timore di ciò che<br />

avrei sentito da un momento all’altro


Mi fa soffrire vederti con altre donne, amore mio, non<br />

credere che sia così indifferente a ciò che ti succede, ma<br />

sto provando a farmene una ragione. Io ci sto provando,<br />

perché non puoi farlo anche tu? Si può amare di nuovo,<br />

Alex. Forse non con la stessa intensità, ma è pur sempre<br />

una forma d’amore. Non negarti questo piacere a causa<br />

mia e, soprattutto, non costringermi a guardare.>> ora<br />

piangeva di nuovo ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

496


47<br />

Si può davvero tornare ad amare? È proprio necessario<br />

tornare a farlo?<br />

Non mi sembrava di sentirne poi così tanto la mancanza,<br />

dopotutto.<br />

Ci avevo messo un po’ troppo a capirlo, è vero, ma alla<br />

fine credevo di essermela cavata abbastanza bene, no?<br />

Ero riuscito a ricucire insieme i brandelli e ricostruirmi<br />

una vita anche senza di lei.<br />

Studiavo, lavoravo, uscivo perfino a divertirmi con gli<br />

amici, avevo addirittura ricominciato a fare il padre.<br />

Perché chiedermi anche questo?<br />

Non faccio già abbastanza?<br />

Giorgio dice che, nonostante tutto, la mia vita di adesso è<br />

solo una proiezione falsata di ciò che potrebbe davvero<br />

essere.<br />

Il lavoro, lo studio, gli amici, Thomas, sono ancora pure<br />

distrazioni per non ricadere nel circolo vizioso di apatia e<br />

risentimento in cui ero piombato dopo la sua morte.<br />

> disse una<br />

sera, poco prima che uscissi dalla seduta settimanale ><br />

La verità? Non ne ho idea.<br />

Non glielo dissi però, anzi, non risposi affatto.<br />

> scosse la testa. C’era<br />

esasperazione nel suo sguardo


tuo corpo mortale a vagare senza meta in questa<br />

dimensione.>><br />

> risposi<br />

risentito, mentre uscivo dal suo studio, sbattendomi la<br />

porta alle spalle.<br />

Perché tutti si sentono in diritto di dirmi quello che devo<br />

fare?<br />

“Ale, esci. Ale, sorridi. Ale, mangia. Ale, dormi.”<br />

Alessandro di qua, Alessandro di là, Alessandro,<br />

Alessandro, Alessandro…<br />

Basta!<br />

Non ne posso più.<br />

Ho subìto un brutto colpo, è vero. Ho reagito piuttosto<br />

male alla morte di mia moglie, è vero. Ho bisogno d’aiuto,<br />

è vero anche questo, ma non è il caso di ripetermelo in<br />

continuazione. Soprattutto, non è il caso di starmi così<br />

addosso, soffocarmi con la loro costante apprensione.<br />

Pensavo a questo, quella sera, mentre gustavo una<br />

sigaretta, comodamente seduto sul davanzale della finestra<br />

della mia camera da letto.<br />

Per fortuna i propositi suicidi erano svaniti nel nulla dopo<br />

l’ultimo tentativo fallito.<br />

Riuscivo finalmente a godermi un panorama dall’alto<br />

senza essere distratto dall’opprimente tentazione di<br />

lasciarmi cadere nel vuoto.<br />

Avevo promesso a Giorgio che mi sarei sforzato di non<br />

fare progetti per il futuro. Un esercizio faticoso per uno<br />

come me, che per tutta la vita ha programmato sempre<br />

tutto, minuto per minuto.<br />

> aveva detto.<br />

Quella sera però era bastata una sigaretta a rilassare i nervi<br />

tesi e a farmi cadere nuovamente nello stesso errore.<br />

498


La prima sigaretta dopo oltre tre mesi. Come un bicchiere<br />

d’acqua dopo una corsa di due ore sotto il sole di agosto.<br />

Avrei smesso di nuovo il giorno dopo, ma quella sera ne<br />

avevo proprio bisogno. Specie dopo l’ultima discussione<br />

con Celine.<br />

C’eravamo lasciati con me che le urlavo contro di<br />

andarsene se proprio voleva. ><br />

Ero arrabbiato con lei. Capivo perfettamente il suo stato<br />

d’animo, ma non riuscivo a non sentirmi tradito,<br />

abbandonato.<br />

Per non pensare al futuro, si può solo pensare al passato.<br />

Ma come fa a pensare al passato chi desidera solo<br />

cancellarlo per sempre dalla propria mente?<br />

Non mi rimaneva che il presente quindi.<br />

Sigaretta, stereo acceso, rumori in strada in sottofondo,<br />

dispense di laboratorio caoticamente sparse sulla scrivania,<br />

profumo di sformato di patate e pollo arrosto proveniente<br />

dalla cucina.<br />

Oh, oh!<br />

Spensi il mozzicone di sigaretta nel posacenere e corsi in<br />

cucina a controllare la cena.<br />

Stavo tirando fuori la pirofila col pollo dal forno quando<br />

sentii bussare con insistenza al portone.<br />

E adesso che vuole quella paranoica?<br />

Solo la signora Simonelli bussa in quel modo. Ma non<br />

stavo facendo alcun rumore molesto quella sera. Lo stereo<br />

era a un volume assolutamente consono alle regole del<br />

condominio che le piace tanto citare.<br />

Aprii tenendomi pronto all’ennesimo attacco. > stringevo in pugno il canovaccio di<br />

stoffa che avevo usato come presina da forno, ma mi<br />

cadde a terra istintivamente quando mi trovai davanti<br />

499


Denise, col viso contuso e sporco di sangue. La tirai subito<br />

all’interno, senza neanche parlare. La accompagnai in<br />

salotto per farla stendere sul divano. Zoppicava.<br />

Corsi in bagno a prendere la cassetta del pronto soccorso e<br />

un panno bagnato.<br />

Mi inginocchiai sul pavimento, accanto a lei, poi,<br />

finalmente riuscii, a dire qualcosa ><br />

Domanda stupida, Alex.<br />

Faticava a parlare, ma non rispose soprattutto perché non<br />

riusciva a smettere di piangere.<br />

><br />

Lo avrei fatto. Senza pensarci troppo, proprio come mi<br />

aveva consigliato Giorgio. Più di tutto però, lo avrei fatto<br />

senza il minimo ripensamento, senza il più piccolo<br />

rimorso.<br />

Feci per alzarmi, ma lei mi trattenne per un braccio.<br />

> riuscii a dire ><br />

Sapeva che sarebbe corsa da me, dopo. Stava cercando lo<br />

scontro. Probabilmente aveva architettato tutto e già mi<br />

attendeva al varco con una decina dei suoi uomini.<br />

><br />

><br />

><br />

> singhiozzò ><br />

><br />

Si coprì il volto con le mani, senza rispondere.<br />

500


L’afferrai per le spalle per scuoterla e costringerla a<br />

parlare ><br />

Spostò le mani alle orecchie.<br />

La scrollai con più forza ><br />

All’improvviso si aggrappò a me con forza, affondando il<br />

viso nel mio petto. Era sotto shock.<br />

Io la abbracciai cercando inutilmente di reprimerne gli<br />

spasmi convulsi dei singhiozzi, ma la sua reazione a quel<br />

gesto d’affetto mi lasciò spiazzato.<br />

Iniziò a gridare in preda al panico. Non un grido d’allarme<br />

o di paura, era un misto di rabbia e angoscia insieme.<br />

Maledetto bastardo! Ma guarda come l’ha ridotta.<br />

Aspettai che si calmasse un po’, poi la lasciai esausta, in<br />

salotto, mentre andavo in camera da letto per recuperare la<br />

9mm dal cassetto del comodino.<br />

> le<br />

chiesi serio, quando tornai da lei.<br />

Annuì appena.<br />

Mi avvicinai per rimetterle al collo il medaglione ><br />

Spalancò gli occhi su di me ><br />

> risposi mentre infilavo<br />

il giubbotto all’ingresso.<br />

> la sentii gridare dall’altra stanza > poi sentii un gemito seguito da un<br />

tonfo sul pavimento. Aveva provato ad alzarsi, ma il<br />

ginocchio ferito aveva ceduto.<br />

501


La sollevai da terra ><br />

><br />

A quell’esclamazione seguì un interminabile silenzio. Con<br />

lei sospesa fra le braccia e dei colpi alla porta.<br />

Ce ne fosse uno che suoni il campanello.<br />

Adagiai Denise sul divano e andai a vedere chi era.<br />

><br />

Odiosa ficcanaso.<br />

><br />

><br />

Ma come ti permetti?<br />

><br />

><br />

Mi alterai un po’ più del dovuto ><br />

><br />

Io?<br />

> le feci capire gentilmente che la<br />

conversazione si sarebbe chiusa così e all’istante.<br />

><br />

><br />

Avvicinò minacciosamente il suo viso rinsecchito al mio.<br />

502


><br />

Arretrò di qualche passo, terrorizzata dal tono<br />

intimidatorio della mia voce ><br />

><br />

><br />

><br />

Per fortuna le ferite non erano nulla di grave. Il sangue<br />

perso dalle lacerazioni sulla tempia sinistra e sullo zigomo<br />

mi avevano fatto temere il peggio.<br />

Dopo averla convinta a mandare giù qualche boccone, era<br />

riuscita a prendere sonno.<br />

Per una volta Marco si era rivelato utile. Per proteggere<br />

Denise, aveva visto bene di lasciarle una pistola con cui<br />

difendersi in caso di attacco improvviso da parte nostra.<br />

Era con quella che Denise aveva trovato il coraggio di<br />

sparare, quando suo padre, quella sera, era tornato a casa<br />

dal lavoro, ubriaco e desideroso di sfogare la sua collera su<br />

qualcuno.<br />

Era stata una fortuna che il suo fratellino fosse dai nonni,<br />

perché, nello stato in cui era, avrebbe potuto prendersela<br />

anche con lui.<br />

La vittima designata di quella sera, però, era stata sua<br />

madre. Era per proteggere lei che Denise aveva provato a<br />

fermare suo padre che, per togliersela di dosso, l’aveva<br />

503


scaraventata giù per le scale, mandandola a sbattere prima<br />

contro un mobile sul pianerottolo.<br />

Vedere sua madre aggredita a quel modo, era stato per lei,<br />

come rivivere ogni istante dei soprusi subiti da quel<br />

maledetto. Era stato questo a darle la forza di tornare di<br />

sopra, afferrare la pistola di Marco e sparare.<br />

Potei vedere l’intera scena mentre dormiva. La sua aura<br />

era ancora intrisa di quel tetro ricordo.<br />

504


48<br />

Il suo respiro era regolare. Aveva gli occhi chiusi, ma la<br />

sentivo rigida fra le mie braccia. Non ero sicuro che stesse<br />

dormendo.<br />

> sussurrai per accertarmene, e lei spalancò<br />

gli occhi in un lampo. Mi fece sorridere e le accarezzai la<br />

fronte calda con un bacio > lo<br />

speravo più che altro, perché io era troppo stanco.<br />

Le guance le si tinsero di un pallido rossore > confessò.<br />

> la strinsi un po’ più forte a me ><br />

Affondò il viso imbarazzato nel mio petto.<br />

Non erano ancora trascorse ventiquattro ore dal salasso<br />

energetico che avevamo subìto per eliminare l’Ombra.<br />

Non avevo quasi chiuso occhio per tutta la notte, nel<br />

tentativo di respingere i mille pensieri che si affollavano<br />

rumorosi nella mia testa, impedendomi di trovare riposo.<br />

><br />

Tornò a sollevare lo sguardo su di me. Sentivo il suo cuore<br />

battere forse contro il mio.<br />

Era il caso di tornare seri per un momento. Il pericolo non<br />

era ancora passato. ><br />

Perfino nella penombra sembrò sbiancare e il cuore<br />

accelerò > balbettò.<br />

><br />

Mi guardò ancora un po’ insoddisfatta. Non era sufficiente<br />

come risposta.<br />

505


Sentii un tremore convulso percorrerle il corpo.<br />

Non avevo badato al modo, mi ero solo limitato a<br />

mostrarle la realtà dei fatti e questo doveva averla<br />

spaventata > le sollevai piano il mento<br />

per incontrare il suo viso. Aveva gli occhi lucidi ><br />

Stai zitto!<br />

Più parlavo per rimediare, più peggioravo la situazione<br />

spaventandola di più. Le posai le labbra sull’orecchio<br />

bollente ><br />

Tentò di parlare, ma la sua voce era ridotta a un filo,<br />

incerta dal tremore > chiese guardandomi dritta<br />

negli occhi per leggere la verità.<br />

><br />

Mi investì con un profondo sospiro ><br />

><br />

Adesso sì che era confusa.<br />

506


Avrei tanto voluto spiegarle, ma non trovavo un modo per<br />

dirglielo senza terrorizzarla ><br />

><br />

Non così! Non era così che volevo che la prendesse.<br />

Avrebbe dovuto solo rendersi più attenta e scrupolosa, non<br />

arrendersi a un destino che non era ancora compiuto. Mi<br />

accigliai, nervoso con me stesso non con lei, ma non<br />

riuscii lo stesso a controllare il tono duro della mia voce<br />

> sentivo<br />

che voleva scivolare via, così mollai la presa per<br />

permetterle di prendere le distanze > le ricordai, offeso ><br />

><br />

Cosa? > Ma che cazzo dici?<br />

Colse l’imbeccata mentre le veniva offerta. Balzò in piedi<br />

nella semi oscurità e iniziò a raccogliere furiosa i suoi<br />

vestiti dal pavimento.<br />

Bella mossa, Alex!<br />

><br />

Non avrei saputo dirlo meglio.<br />

Infilò i jeans prima di sfilarsi la mia maglietta per<br />

rimettere la sua ><br />

La fissavo silenzioso rivestirsi. Immobile. Volevo davvero<br />

che andasse via? Volevo davvero che tornasse tutto<br />

com’era prima di conoscerla?<br />

Tranquillo, è solo un bluff!<br />

507


Si alzò infilando le scarpe da ginnastica senza neanche<br />

preoccuparsi di averle una vicina all’altra prima ><br />

Ehi, guarda che sta andando via davvero.<br />

Aspettai che raggiungesse la porta d’ingresso. Sempre<br />

immobile al mio posto. Sentivo i suoi passi furiosi lungo il<br />

corridoio. Il mazzo di chiavi era nella ciotola di vetro sulla<br />

mensola del telefono. Lo sentii tintinnare nelle sue mani,<br />

mentre cercava quella giusta per aprire il portone chiuso.<br />

Al secondo giro nella toppa ero già su di lei.<br />

> la sollevai di peso per<br />

riportarla in camera da letto. Non mi importava che si<br />

dimenasse, che mi insultasse.<br />

La lasciai solo quando fui sicuro che potesse atterrare sul<br />

morbido. Le doghe in legno del letto cigolarono appena.<br />

Come una furia si mise in piedi in equilibrio sul materasso.<br />

Io dovetti indietreggiare per calmarmi un po’. Sentivo la<br />

mano scaldarsi fino a bruciare. Non avrei potuto toccarla<br />

oltre.<br />

> inveì.<br />

> suonava più come un ordine che<br />

come una richiesta. Ero troppo, troppo nervoso.<br />

Mantieni la calma. È tutto a posto! È tutto a posto!<br />

Camminavo per tutta la stanza nella speranza che un po’ di<br />

movimento riuscisse a calmarmi. Dovevo assolutamente<br />

toccare qualcosa e scaricare l’influsso di morte che si era<br />

accumulato nella mia mano. Afferrai con forza una mela<br />

nel cesto della frutta sul comodino e la tenni stretta finché<br />

non macerò fino a spappolarsi facilmente nella mia mano.<br />

Denise, impietrita, ancora in piedi sul letto, smise di<br />

respirare per qualche secondo. Senza prestarle attenzione,<br />

corsi in cucina per gettare il cadavere della povera<br />

malcapitata.<br />

508


Denise era seduta al centro del letto con le gambe<br />

incrociate quando tornai con un panno umido per togliere i<br />

resti di frutta marcia dal pavimento della camera da letto.<br />

Non mi aveva visto, ma avevo dovuto sacrificare un intero<br />

cesto di frutta prima di tornare da lei certo di non poterle<br />

fare del male.<br />

Ero chino a strofinare le piastrelle, ma sentivo il suo<br />

sguardo fisso su di me > chiesi ancora un po’ scosso.<br />

Era la prima volta che vedeva concretamente cosa sarei<br />

stato capace di fare se solo avessi voluto. Non era stato un<br />

bello spettacolo, specie se, come immaginavo, provava a<br />

figurare nella mente se stessa al posto di quella mela.<br />

> farfugliai alzandomi per tornare in<br />

cucina a riporre il panno sporco ><br />

Non rispondeva.<br />

Quando tornai da lei mi misi seduto sul bordo del letto.<br />

Avevo indossato un guanto di pelle da motociclista per<br />

rendere il palmo della mano inoffensivo. Denise lo fissò.<br />

> dissi calmo per rassicurarla – come se<br />

fosse stato possibile -. ><br />

><br />

Feci no con la testa. Non c’era bisogno di aggiungere<br />

altro. O sì? ><br />

Il materasso si mosse e un attimo dopo sentii le sue braccia<br />

attorno al mio collo, le labbra premute contro il mio<br />

orecchio per un sussurro dolcissimo ><br />

Mi tirò indietro dolcemente fino al centro del letto, dove si<br />

stese spalancando le braccia verso di me. Io raccolsi<br />

509


l’abbraccio e lasciai che si rannicchiasse contro il mio<br />

petto. I suoi capelli mi solleticavano il meno, così la tirai<br />

un po’ su per posare la guancia sulla sua fronte ><br />

> confessò<br />

tradendo la sua astuzia con un sorriso macchinoso ><br />

><br />

parlavo piano perché la macabra esibizione di poco prima<br />

mi aveva sottratto anche quel po’ di forze che mi erano<br />

rimaste ><br />

><br />

Il sonno mi annebbiava la vista. Volevo continuare a<br />

parlare, ma il mio cervello già agiva di volontà propria,<br />

rifiutandosi di collaborare.<br />

><br />

Mi sforzavo inutilmente di tenere gli occhi aperti. Vinto<br />

ormai da un dormiveglia irrequieto.<br />

Appena sentivo che stavo per abbandonarmi al sonno però,<br />

sobbalzavo per costringermi vigile.<br />

Lei ci provava a dormire, ma si svegliava a ogni mio<br />

scossone > sussurrò ><br />

><br />

><br />

510


Non era così. Marta e Davide sapevano dov’era. Un<br />

Esecutore può sentire l’odore della sua vittima a tre giorni<br />

di distanza. È una prerogativa necessaria per svolgere il<br />

lavoro senza intoppi. Massimo lo dice sempre “Occorrono<br />

tre giorni per morire. Uno per essere scelti, uno per essere<br />

trovati, uno per essere prelevati.”<br />

> dissi cercando<br />

di non dire una cosa per un’altra ><br />

><br />

Avevo gli occhi chiusi, ma sono certo che mi stesse<br />

guardando convinta che delirassi dal sonno.<br />

><br />

Non sarebbe cambiato molto per lei. A parte un<br />

momentaneo senso di nausea a cui, se era fortunata, si<br />

sarebbe abituata presto. Saremmo rimasti entrambi in<br />

quella stanza, su quel letto, solo in una dimensione<br />

parallela in cui il mondo esterno non poteva percepirci<br />

materialmente, Gemelli compresi. Poteva continuare a<br />

dormire, guardare la tv, andare in cucina a mangiare<br />

qualcosa, perfino uscire di casa se avesse voluto. Non<br />

poteva interagire con nessuno naturalmente, ma almeno<br />

non si doveva preoccupare di doversi guardare le spalle di<br />

continuo per timore di rimanere vittima del gioco crudele<br />

di quei due mocciosi. Infatti solo il Nocchiero può andare<br />

e venire dall’Hahicòs come e quando vuole, portando con<br />

sé chiunque voglia.<br />

Io, se non altro, potevo dormire qualche minuto tranquillo,<br />

almeno fino alle sei – ed erano già le cinque e mezza -,<br />

quando Massimo avrebbe fatto squillare insistentemente il<br />

mio cellulare fino a svegliarmi.<br />

511


chiese per prendermi in giro. Era<br />

proprio convinta che stessi parlando a caso nel sonno.<br />

><br />

><br />

Aprii gli occhi, così che capisse che ero perfettamente<br />

sveglio.<br />

Tremò.<br />

><br />

> era nervosa. Il cuore gli batteva<br />

forte.<br />

> ripetei più convinto > le sfiorai<br />

le labbra con un dito ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Serrai le labbra per non farmi sfuggire un sospiro<br />

contrariato.<br />

Rise ><br />

> Non lo era stato affatto. ><br />

512


Annuì accucciandosi a me. Io la strinsi forte intrecciando<br />

una gamba alle sue, e con un piccolo sforzo in più di<br />

quando lo faccio con una semplice anima, passai<br />

nell’Hahicòs.<br />

Le sentii lo stomaco ribellarsi. Allentai un po’ la presa per<br />

farla scivolare in posizione supina ><br />

suggerii.<br />

Era terrorizzata.<br />

> Sentii il battito<br />

irregolare e mi preoccupai di aver eseguito il trapasso<br />

troppo rapidamente ><br />

feci per alzarmi e andare in cucina a prenderle dell’acqua,<br />

ma appena sentì che mi stavo allontanando spalancò gli<br />

occhi spaventata.<br />

> le carezzai il viso sudato.<br />

> disse incespicando nelle<br />

parole. Come se la paura le avesse bloccato la lingua.<br />

><br />

> si stava calmando.<br />

> le asciugai la fronte con un<br />

lembo del lenzuolo ><br />

><br />

><br />

513


Continuava a guardarsi intorno in cerca di un dettaglio che<br />

le rivelasse anche la più insignificante differenza, ma<br />

sorrise, prima di darmi un bacio a fior di labbra ><br />

> ero certo<br />

che l’avrebbe fatto > stavo crollando ><br />

><br />

514


49<br />

Le chiavi dell’auto erano ancora sul tavolo della cucina<br />

quando mi svegliai. Dedussi che Denise avesse preferito<br />

fare due passi, visto che in casa non c’era. Non ero affatto<br />

in ansia, solo un tantino preoccupato di non riuscire a<br />

trovarla prima che Massimo perdesse troppo la pazienza.<br />

Scesi in strada a cercarla. Non si era allontanata. Percepivo<br />

chiaramente la sua energia, anche se non riuscivo a<br />

vederla.<br />

Avevo dimenticato di avvisare Denise di non toccare il<br />

mio cellulare. Mi aveva lasciato il suo, in carica, e preso il<br />

mio. L’idea di Denise che risponde al posto mio alla<br />

telefonata di Massimo mi faceva rabbrividire. Non<br />

c’eravamo lasciati proprio in buoni rapporti. Il mio<br />

voltafaccia l’aveva mandato su tutte le furie, ma lei non<br />

poteva saperlo. Non poteva immaginare che era stato suo<br />

fratello a decretarne la condanna a morte.<br />

La città era ancora assonnata, ma si stava animando,<br />

affollando le strade e complicando la mia ricerca. I<br />

lampioni si sarebbero spenti a minuti. Le fotocellule<br />

avrebbero presto captato la luce del mattino e azionato lo<br />

spegnimento automatico delle illuminazioni stradali.<br />

Le insegne dei negozi e dei bar, però, erano ancora accese.<br />

I soliti mattinieri si fermavano al bar all’angolo del mio<br />

palazzo per la colazione. Massimo non era sotto casa come<br />

le altre mattine. Forse Denise aveva davvero risposto alla<br />

sua chiamata infuriandolo al punto da andare via senza<br />

aspettarsi neanche una spiegazione convincente da parte<br />

mia.<br />

Un problema in meno.<br />

515


L’energia di Denise si faceva sempre più pressante. Si<br />

stava avvicinando. Probabilmente tornava a casa. Ma da<br />

che parte? Volevo andarle incontro, ma alla fine mi<br />

convinsi che era meglio aspettarla fermo in un posto per<br />

non rischiare di perderci di vista di nuovo.<br />

Sbucò correndo dal vicolo dell’università. Aveva l’aria<br />

preoccupata, così le corsi incontro per assicurarmi che<br />

stesse bene.<br />

> chiamò quando mi vide ><br />

Era preoccupata per il ritardo. Niente di più. Tirai un<br />

sospiro di sollievo e le sorrisi carezzandole la guancia<br />

accaldata dalla corsa.<br />

> aveva il cappotto<br />

sbottonato, come se lo avesse indossato di fretta prima di<br />

scappare a casa. Lo chiusi lentamente un bottone per volta,<br />

senza mai togliere lo sguardo dai suoi occhi penitenti ><br />

><br />

><br />

><br />

Annuii giocherellando con i suoi capelli scompigliati ><br />

Sorrise e mi prese per mano. All’inizio non si rese conto<br />

d’aver preso la destra, quella che un attimo prima era<br />

fasciata dal guanto di pelle, ma mentre ci avvicinavamo al<br />

bar lasciò la presa all’improvviso e si immobilizzò sul<br />

marciapiede.<br />

Se n’è ricordata!<br />

516


Risi aprendole la porta del bar per farla entrare ><br />

Le misi l’altro braccio intorno alle spalle e l’accompagnai<br />

al mio tavolo preferito.<br />

> le chiesi mentre le spostavo la sedia<br />

per accomodarsi.<br />

><br />

Sentivo i suoi occhi addosso mentre aggiravo il bancone<br />

per provvedere da solo all’ordinazione. Tornai al tavolo<br />

con un vassoio, caffè, cappuccino, latte macchiato, succo<br />

d’arancia e un piatto di brioches.<br />

> spiegai.<br />

> puntualizzò stizzita.<br />

Alzai gli occhi al cielo liberando un sospiro ><br />

><br />

><br />

><br />

Possibile che non capisse? Dovevo sedermi, avvertivo già<br />

odore di tempesta all’orizzonte ><br />

Avevo affondato il colpo, perché si stranì subito ><br />

Per istinto strinsi la mano a pugno sul ginocchio ><br />

cercai di non sembrare troppo serio, ma quei discorsi mi<br />

facevano sempre un certo effetto ><br />

><br />

517


><br />

><br />

Spalancò gli occhi lucidi su di me > precisò.<br />

> cercai la sua mano sul tavolo per stringerla<br />

nella mia ><br />

Per fortuna mi diede retta e pizzicò un cornetto integrale<br />

col miele.<br />

Un passetto alla volta.<br />

Il cappuccino era ancora bollente. Strappavo una bustina<br />

di zucchero dopo l’altra per renderlo dolce come piace a<br />

me, agitando di volta in volta il cucchiaino nella tazza.<br />

> dissi calmo.<br />

Dovevo deviare il discorso su qualcosa che la tenesse<br />

occupata abbastanza da non farle badare all’assenza<br />

d’appetito ><br />

Il viso le si illuminò di un tenero sorriso ><br />

><br />

Mi scrutò pensierosa. Un ghigno furbetto sulle labbra.<br />

Capii che aveva trovato la domanda quando si schiarì la<br />

voce > disse a voce bassa<br />

sporgendosi verso di me.<br />

Come se avesse potuto sentirla qualcuno. Trattenni una<br />

risata poco gentile e avvicinandomi a pochi centimetri dal<br />

suo viso bisbigliai ><br />

Si accorse che la stavo prendendo in giro e torno al suo<br />

posto lanciandomi un’occhiata minacciosa.<br />

518


A quel punto scoppiai a ridere davvero. Così forte che mi<br />

avrebbero sentito tutti in una situazione normale, ma<br />

naturalmente non si voltò nessuno ><br />

Sarebbe più credibile se la smettessi di ridere.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

> il cucchiaino scivolò<br />

a terra mentre la cameriera ci passava accanto. Fissai la<br />

cameriera al tavolo vicino sorseggiando il cappuccino<br />

fumante.<br />

Denise aveva abbassato la guardia ><br />

> chiesi indicando il<br />

cucchiaino che avevo raccolto da terra.<br />

Scattò in piedi come una molla puntando la cameriera.<br />

Per fortuna si era alzata, perché spruzzai fuori tutto il sorso<br />

di cappuccino che avevo in bocca.<br />

> strillò battendo i piedi come una<br />

bambina.<br />

Meschino, meschino, meschino!<br />

Non riuscivo a smettere di ridere ><br />

><br />

> la frenai. Non mi piace quella parola. ><br />

Obbedì sospettosa ><br />

><br />

><br />

519


><br />

Cercai parole semplici per spiegarle senza perdermi in<br />

troppe chiacchiere ><br />

><br />

><br />

><br />

> Puoi<br />

fare di meglio! > Prova con un esempio.


sono andato dietro il bancone del bar per prendere la<br />

colazione, il mio gesto è stato percepito solo da questa<br />

parte, le brioches sul tavolo in realtà, sono ancora al loro<br />

posto sul bancone, però tu qui puoi prenderle, gustarle<br />

perfino. Puoi rovesciare il succo d’arancia sull’abito di<br />

quell’uomo, ma sul mondo fisico lui non è mai stato<br />

neanche sfiorato. Non saprei come spiegartelo meglio.<br />

Anch’io ci ho messo un po’ per capire come funziona, ma<br />

la pratica, l’esperienza, mi hanno reso tutto molto più<br />

chiaro.>><br />

><br />

> sapevo di dovermi spiegare<br />

meglio, ma mi piaceva troppo confonderla. Le avevo<br />

promesso di fare il bravo però, quindi non la feci tribolare<br />

a lungo


asterebbe una settimana, ti basti sapere che un uomo<br />

dall’anima nera non è propriamente un santo.>><br />

><br />

> sorrisi.<br />

Un tremore la scosse ><br />

La fissai attento ><br />

><br />

Riflettei a lungo se rivelarglielo o no, ma ormai, non<br />

dirglielo l’avrebbe solo messa in apprensione ><br />

><br />

><br />

> mormorò.<br />

><br />

><br />

><br />

Si ammutolì. Avevo detto troppo, spaventandola come al<br />

solito.<br />

Il cellulare suonò inaspettatamente nella tasca della sua<br />

giacca facendola balzare in piedi.<br />

Tesi la mano, sorridendo, e me lo passò ><br />

risposi senza tirarla troppo per le lunghe > dalla reazione di<br />

Denise intuii che il mio viso doveva aver assunto<br />

un’espressione poco rassicurante ><br />

522


Dal cellulare la voce di Massimo tuonò forte quasi come<br />

in vivavoce ><br />

><br />

><br />

Per fortuna chiuse la comunicazione, perché nell’attimo in<br />

cui riagganciò scaraventai il cellulare contro la parete. Si<br />

ruppe, ma l’avrei ritrovato intatto sul comodino della mia<br />

camera da letto appena tornati indietro.<br />

Denise non respirava più da non so quanto tempo.<br />

Dimentica sempre di farlo quando si spaventa. Se non le si<br />

da’ una scossa rischia di morire soffocata senza neanche<br />

accorgersene.<br />

Mi presi qualche secondo per riordinare le idee e respirare<br />

a fondo.<br />

Dovevo sembrare inferocito, perché quando provai ad<br />

avvicinarmi, Denise indietreggiò<br />

> dissi sforzandomi a un tono<br />

rassicurante > l’abbracciai stretta,<br />

contro la sua volontà, frizionandole la schiena per<br />

scuoterla un po’ e farla tornare a respirare ><br />

Il suo torace prese a muoversi piano piano ><br />

sussurrò fra le lacrime.<br />

><br />

><br />

Ma come “No.”? ><br />

><br />

523


Era evidente che c’era qualcosa che non andava. Aveva<br />

ripreso a respirare, ma tremava come una foglia ><br />

> sbottò.<br />

Non mi riesce mai di essere convincente quando ne ho<br />

bisogno ><br />

Era troppo sveglia per quella misera menzogna. Scosse la<br />

testa quasi in un capriccio ><br />

Mordicchiarsi il labbro non è proprio quella che si può<br />

definire un’espressione convincente ><br />

><br />

Non poteva avermelo chiesto davvero, e comunque non<br />

avevo nessuna intenzione di rispondere. Non avrei ceduto<br />

neanche sotto tortura. Mi ero già fatto scappare troppo.<br />

Però non volevo neanche mentirle, non avrebbe avuto<br />

senso, quindi mi limitai a non rispondere. Le omissioni,<br />

però, non sono sempre la scelta migliore.<br />

> strillò<br />

categorica.<br />

> ribattei.<br />

> non capivo perché continuasse a<br />

guardarsi intorno allarmata ><br />

> vociai.<br />

> indietreggiò, incredula, come se fossi<br />

io il suo Esecutore ><br />

524


Deliri! Se no, perché mai ti preoccuperesti di uno stupido<br />

esame?<br />

> Ma come hai potuto anche solo<br />

pensare che avrebbe capito? Chiudi il becco una volta<br />

tanto.<br />

><br />

Paura, rabbia, rifiuto, consapevolezza, disperazione.<br />

> mi si lanciò fra le braccia combattendo<br />

contro gli spasmi violenti provocati dal pianto > gridava senza<br />

rendersene conto in preda allo shock!<br />

Ero stato proprio bravo!<br />

Le presi il viso fra le mani e la costrinsi a guardarmi. Non<br />

avrei potuto sembrare più serio di così > la strinsi forte<br />

a me ><br />

Un Rinnegato è un uomo senz’anima. È l’unica persona<br />

che può annullare la sentenza di morte di un Giudice. È un<br />

uomo che ha spontaneamente rinunciato a una vita eterna<br />

ultraterrena in cambio dell’immortalità fisica e dei due<br />

poteri più grandi: vita e morte. È l’unico uomo che non<br />

subisce le leggi divine. Egli è di per sé un Semidio in<br />

grado di interferire con le scelte dell’Onnipotente e del suo<br />

Nemico. Il Rinnegato infatti non parteggia per nessuno dei<br />

due, perché può rifiutare gli ordini di entrambi. Erano in<br />

dodici un tempo, ma una caccia sfrenata li ha ridotti a<br />

cinque esemplari soltanto. La caccia li ha resi diffidenti<br />

però. I sopravvissuti si nascondono e fanno di tutto per<br />

525


non dare nell’occhio - Come noi d’altronde -. Sanno che<br />

rivelarsi significherebbe morire. Oggi sono solo in quattro.<br />

Ne sono sicuro perché uno dei cinque l’ho ucciso io. Se<br />

non l’avessi fatto ora saprei dove trovarlo e Denise non<br />

avrebbe di che preoccuparsi, ma è andata diversamente e<br />

ora mi trovavo nella difficile condizione di dover<br />

rintracciare un uomo che, per quanto potevo saperne,<br />

avrebbe potuto tranquillamente trovarsi in una spelonca<br />

rocciosa nascosta nelle sabbie del Sahara. La sua assenza<br />

di aurea mi impedisce di avvertirne l’essenza. Potrei<br />

riconoscerlo solo se me lo trovassi davanti, ma è come<br />

cercare quattro aghi in un pagliaio: estremamente<br />

difficile…, ma non impossibile.<br />

526


50<br />

Ci sono ancora momenti, seppur ridotti a isolati brevi<br />

periodi, in cui il mio corpo fisico si ribella alla razionalità<br />

della mia mente turbata.<br />

Accade sempre più di rado, per fortuna, ma non manca<br />

mai di far sentire la sua mancanza, soprattutto nei<br />

momenti meno opportuni.<br />

Emerge come un corpo estraneo nello stomaco che vuole<br />

farsi strada fino in cima, aggrappandosi con gli artigli<br />

acuminati alla mia gola serrata.<br />

Lo riconosco perché è accompagnato da uno stranissimo<br />

cerchio attorno al cranio che sembra stringersi fino al<br />

punto di rottura.<br />

Il respiro si fa sempre più corto, costringendomi a<br />

prendere, lentamente, generose boccate d’ossigeno ed<br />

espellerle con altrettanta lentezza. Di solito, questo ritmo<br />

respiratorio riesce ad alleviare un po’ la sensazione di<br />

nausea che mi attanaglia in quegli istanti, ma non è mai<br />

abbastanza. Perché gli artigli sono ancora conficcati nella<br />

mia gola, il cerchio alla testa continua a rimpicciolire,<br />

tanto che se fosse reale riuscirei già a sentire le ossa<br />

scricchiolare, solo il respiro è diventato più regolare, solo<br />

la nausea è sparita.<br />

In passato, a questo profondo senso d’angoscia seguiva un<br />

pianto dirotto che riusciva a sfiancare il mio copro al<br />

punto da annientare qualunque altra sensazione.<br />

Col passare del tempo, però, ho capito che è molto più<br />

semplice combattere l’angoscia con la rabbia. Ha i<br />

medesimi effetti del pianto, lo stesso grado di<br />

sfiancamento fisico, ma è psicologicamente assai meno<br />

distruttiva.<br />

527


Il tono autoritario di Maurizio, quella mattina a telefono,<br />

non mi dava altra scelta che presentarmi a lavoro come<br />

voleva, ma prima dovevo trovare un posto sicuro dove<br />

Denise avrebbe potuto aspettare il mio ritorno.<br />

Arrivammo in Villa verso le otto e mezzo. Appena scesi<br />

dall’auto, vidi mio padre uscire da casa con Thomas in<br />

braccio. Lo accompagnava personalmente all’asilo tutte le<br />

mattine, prima di recarsi in clinica.<br />

Cercava disperatamente di recuperare ai suoi errori, dando<br />

a Thomas la figura di padre che non era mai stato con me.<br />

Tutta quella premura gliel’avevo vista avere solo con<br />

Stefano, e ancora oggi mi chiedo, insistentemente, perché<br />

mai per me deve essere stato diverso.<br />

Nonostante tutto, quel piccolo esserino, sepolto fra strati e<br />

strati di stoffa e piume che lo proteggevano dal freddo,<br />

aveva ben chiaro in mente chi fosse suo padre.<br />

È cocciuto come me!<br />

Nonostante le mie continue assenze, ogni volta che mi<br />

vedeva rinunciava a tutto pur di corrermi fra le braccia.<br />

Fu così anche quella mattina. Si agitò talmente per farsi<br />

mettere giù, che quasi rischiò di farselo cadere dalle<br />

braccia.<br />

Devo ammettere però, che mio padre non ha mai neanche<br />

provato a ostacolare questa sua ossessione per me. Gli<br />

bruciava un po’ vedersi preferire me, ma solo perché è<br />

troppo orgoglioso per ammettere che per quanto avesse<br />

fatto o potuto fare in passato, il rapporto fra me e lui non si<br />

è mai neanche avvicinato a quello che ho con Thomas,<br />

nonostante non mi sforzassi minimamente di crearne uno.<br />

Denise si teneva in disparte, dietro di me, intimorita dallo<br />

sguardo severo di mio padre.<br />

528


Aveva quell’espressione il 70% delle volte che mi vedeva,<br />

ma coincideva regolarmente con qualche mia magagna<br />

non ancora digerita.<br />

> gli chiesi sistemando un guanto a<br />

Thomas.<br />

> e mi guardò senza aggiungere a parole la<br />

domanda che mi faceva tutte le volte “ E tu? Quand’è che<br />

ti deciderai a dare quel benedetto esame di Genetica?”<br />

Non riuscii a nascondere un po’ di apprensione.<br />

Mio padre se ne accorse ><br />

Scossi la tesa.<br />

> rimbrottò > si<br />

ricordò di Denise, e si fece più scrupoloso nelle parole ><br />

><br />

><br />

Ah, ecco qual è il problema.<br />

><br />

><br />

Mi strinsi nelle spalle, come a voler declinare ogni<br />

responsabilità.<br />

> fissò Denise alle mie spalle ><br />

529


Gabriel!<br />

><br />

Si avvicinò per prendere Thomas e sistemarlo sul<br />

seggiolino nella sua macchina. Quando fu ben allacciato,<br />

tornò a occuparsi anche di me. Con molta meno cortesia<br />

però ><br />

><br />

><br />

><br />

Mi guardava negli occhi. Non c’era la minima esitazione<br />

nel suo sguardo.<br />

Sbuffai irritato ><br />

><br />

A parte una leggera irritazione per l’intromissione e la<br />

presunzione con cui voleva estorcermi informazioni, non<br />

avevo problemi a dirgli di Denise, ma non potevo davvero<br />

farlo in sua presenza. L’avrei spaventata a morte. Con<br />

quale coraggio avrei potuto rivelarle che l’ordine di<br />

esecuzione non era giunto da un Giudice regolare, ma<br />

direttamente dai piani Alti? Come facevo a spiegarle che<br />

c’era un Dio in cielo che aveva comandato la sua morte?<br />

><br />

Intuì la gravità del problema e finalmente si convinse a<br />

non indagare oltre, almeno finché non fossimo stati da<br />

soli.<br />

> indicò Denise con un cenno del<br />

capo.<br />

530


Annuì ><br />

Mi voltai indietro a cercare la sua approvazione.<br />

Annuì.<br />

Il Clan la stava cercando. Stava battendo la città in cerca<br />

dell’assassino di uno dei membri di spicco<br />

dell’associazione.<br />

Probabilmente l’aspetto autoritario di mio padre la<br />

intimoriva abbastanza da farla sentire al sicuro allo stesso<br />

tempo.<br />

> le dissi mentre<br />

davo un ultimo bacio a Thomas prima di chiudere lo<br />

sportello della macchina.<br />

L’agenzia era già affollata a quell’ora del giorno. Le ore<br />

più tranquille sono le 7:00 e le 18:00, come se i mortali<br />

all’interno della nostra area d’azione si fossero accordati<br />

per non morire in quelle ore. Mi riferisco a morti al di<br />

fuori del nostro controllo, naturalmente, perché è chiaro<br />

che gli Esecutori seguano delle regole precise per sfruttare<br />

un determinato momento piuttosto che un altro. A nessuno<br />

piace lavorare con la pioggia, il vento o altre condizioni<br />

avverse, dopotutto.<br />

La porta dell’ufficio di Massimo era chiusa, il che dava<br />

adito a due sole spiegazioni: c’era qualcuno con lui, o era<br />

di umore nero. Mi guardai intorno per leggere la risposta<br />

negli sguardi dei miei colleghi, ma nessuno di loro<br />

sembrava interessato al mio arrivo, segno che Massimo<br />

non aveva ancora dato in escandescenza per il mio ritardo.<br />

Chi c’è in ufficio con lui allora?<br />

531


Bussai senza preoccuparmi troppo di apparire tranquillo e<br />

felice di essere lì quando invece avrei preferito e<br />

desiderato trovarmi da tutt’altra parte in quel momento.<br />

><br />

Dall’esterno avvertivo un’aura sconosciuta, ma che mi<br />

procurava inspiegabilmente una certa inquietudine.<br />

Tentennai un po’ col pugno chiuso attorno al pomello<br />

della porta, prima di decidermi ad aprire.<br />

Aprii uno spiraglio appena e già fui investito da un intenso<br />

odore di mughetto. Così forte che quasi mi stordì. Per<br />

istinto, smisi di respirare dalle narici per non rimanere<br />

avvelenato da quell’essenza venefica.<br />

Un uomo dall’età indecifrabile, troppo grande per essere<br />

chiamato giovane e troppo poco per essere definito adulto,<br />

ma con uno sguardo che dimostrava sicuramente molti più<br />

anni di quanti ne palesava, se ne stava in piedi davanti la<br />

spaziosa vetrata, con le mani dietro la schiena.<br />

Senza dubbio un Immortale.<br />

Si mette male!<br />

Massimo tese il braccio a indicare la sedia davanti la sua<br />

scrivania ><br />

Sì, si mette proprio male.<br />

><br />

Mi guardò male, ma non insisté. > e mi indicò l’Immortale alla sua destra.<br />

> risposi fingendo<br />

indifferenza.<br />

Maurizio fece per presentarlo, ma Sebastiano lo fermò.<br />

> si fece avanti a braccio teso, senza<br />

togliermi un attimo gli occhi da dosso.<br />

532


Afferrai la sua mano. Una scossa mi si scaricò nel braccio,<br />

ma non potei ritrarlo perché mi trattenne la mano con<br />

troppa forza. Era chiara la sua intenzione di mettere subito<br />

in chiaro chi fosse al comando e chi no in quel momento.<br />

Strinsi i denti, sperando che non trapelasse alcun segno di<br />

sofferenza. Ero fin troppo deciso anch’io a fargli capire<br />

che non avevo nessuna intenzione di sottostare a quale che<br />

sia imposizione da parte sua.<br />

Mi lasciò la mano con assoluta noncuranza ><br />

Non bene, suppongo dalla calorosità del benvenuto.<br />

><br />

><br />

Arioch!<br />

Con Marioch è uno dei due Angeli posto a custodia della<br />

terra e al comando di tutte le cose temporali.<br />

Chinai il capo istintivamente.<br />

Se ci sono immortali a questo mondo in grado di disporre<br />

dell’esistenza mia, della mia stirpe e dell’intero genere<br />

umano, sono proprio loro.<br />

><br />

disse con garbo. Iniziò a camminare per la stanza ed io ne<br />

approfittai per accettare l’invito a sedermi di Massimo.


elementi. Marioch ha fatto delle ricerche su di te, sulla tua<br />

famiglia, e quello che ha scoperto ha davvero<br />

dell’incredibile. Credevamo che il ceppo si fosse estinto<br />

nel dodicesimo secolo e invece…>> si mise a sedere al<br />

posto di Maurizio, per potermi guardare in faccia mentre<br />

parlava ><br />

><br />

> guardò<br />

Massimo con la coda dell’occhio ><br />

><br />

><br />

Serrai con forza le dita ai braccioli della sedia ><br />

><br />

><br />

><br />

Tacqui. Era chiaro a tutti quale fosse la mia risposta.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

534


><br />

><br />

Mi alzai in piedi, battendo un pugno sulla scrivania ><br />

><br />

Quelle parole mi colpirono come una secchiata di acqua<br />

gelida alla schiena arrossata dal sole. Immobilizzandomi<br />

sul posto, come una statua di marmo.<br />

><br />

Vigliacco! Sapeva fin troppo bene che tirare in ballo<br />

Thomas avrebbe fatto cedere anche gli ultimi rimasugli di<br />

resistenza che avevo. > mi tremava la voce ><br />

Si accigliò, rivelando finalmente la sua rabbia nei miei<br />

confronti ><br />

Beh, devi ammettere che ha un senso, Alex.<br />

><br />

> rispose secco ><br />

È finita, Alex. Abbiamo perso. Arrenditi.<br />

Mi lasciai cadere sulla sedia alle mie spalle ><br />

535


><br />

><br />

E adesso che cosa faccio?<br />

Ciondolavo per casa senza riuscire a trovare un istante di<br />

tregua. Ero troppo nervoso, confuso, tremendamente<br />

indeciso.<br />

Arioch non aveva enfatizzato il problema per far vacillare<br />

il mio senso di responsabilità verso Denise. Non avrebbe<br />

esitato un attimo a sbarazzarsi di me, se fossi stato<br />

d’intralcio ai loro piani.<br />

Se solo mi avessero detto fin da subito le ragioni della<br />

Sentenza, probabilmente non mi sarei mai immischiato in<br />

questa storia. In nome di quale Giustizia Divina mi<br />

chiedevano ora di farmi da parte e lasciala morire per un<br />

destino di cui non era responsabile?<br />

Perché dev’essere sempre tutto così difficile?<br />

Avevo avuto modo di rimanere da solo con Arioch<br />

qualche minuto prima di andarmene dall’Agenzia.<br />

Avevamo un discorso in sospeso e, nonostante avessi già<br />

mille cose a cui pensare, avevo visto bene di aggiungere<br />

qualche altro dettaglio, il tassello mancante di un puzzle<br />

che cercavamo di comporre da generazioni.<br />

Della famiglia Renzi, la mia famiglia, conoscevamo ogni<br />

particolare dalla caduta del primo Angelo ribelle, Rensis,<br />

al suo primo erede semi immortale, fino all’ultimo,<br />

Thomas. È vero però, che nell’albero genealogico della<br />

mia famiglia c’è un conto che continua a non tornare,<br />

nonostante le ricerche a tappeto compiute nell’ultimo<br />

millennio: Ferdinando Renzi, Roma 1152 – 1207, aveva<br />

avuto due figlie femmine dalla prima moglie, morta di<br />

parto, insieme alla seconda bambina nata morta come la<br />

536


prima, e un figlio maschio, Ludovico, nel 1168, dalla<br />

seconda compagna. Nei manoscritti del personale storico<br />

della famiglia, compare chiaramente una nota in cui si<br />

accenna ai continui tentativi andati a vuoto della prima<br />

moglie di Ludovico, di generare un erede, che fosse egli<br />

maschio o femmina. Sempre secondo lo storico, Ludovico<br />

ripudiò la prima moglie per unirsi in matrimonio con una<br />

seconda donna, Rosalìa, che proprio come la precedente,<br />

non riuscì a dare al marito un erede maschio per il<br />

prosieguo della sua stirpe. Seguono i racconti di vicende<br />

storiche e familiari dell’epoca, lasciando chiare allusioni<br />

sulla sterilità del Conte Ludovico. Fin qui le tessere del<br />

puzzle combaciano perfettamente in ogni loro parte. La<br />

tessera mancante compare quando nella narrazione della<br />

morte del Conte Ferdinando per ano del Clan, al suo<br />

capezzale, compare la figura di un nipotino di sei anni,<br />

mai nominato in precedenza. Dopo tutti gli sforzi fatti da<br />

Ludovico per avere finalmente un figlio maschio, è<br />

alquanto strano che lo storico non abbia considerato la<br />

nascita del piccolo Goffredo come un evento degno di<br />

nota.<br />

Non siamo mai riusciti a venirne a capo, ma quella mattina<br />

Arioch mi diede tutte le risposte che cercavo.<br />

Il bambino ceduto per celarne l’identità, di cui aveva<br />

parlato in presenza di Massimo, era appunto lo stesso<br />

Goffredo che avevano fatto passare per figlio di Ludovico<br />

e donna Rosalìa.<br />

Quel Goffredo che, a quanto pare, è l’unico capostipite<br />

della mia vera famiglia di cui abbiamo conoscenza.<br />

Ma chi era suo padre, e perché ha ceduto il proprio erede<br />

semi immortale? Da quali pericoli voleva proteggerlo? Chi<br />

è l’Angelo caduto che ha dato origine alla mia stirpe?<br />

La risposta, quel nome, arrivò con la stessa violenza di un<br />

tornado.<br />

537


Ecco spiegato dunque, la bellezza, la ricchezza, il potere, il<br />

timore, la sottomissione, la severità, l’indole ribelle che<br />

aleggia da sempre attorno alla mia famiglia. Non che ci<br />

portiamo dietro la condanna del padre che ci ha generato,<br />

non siamo legati alle sue colpe, ma ai suoi immensi poteri<br />

sì.<br />

E intanto continuavo a girovagare per casa, incapace di<br />

varcare quella porta che mi avrebbe condotto da Denise.<br />

Potevo voltarle le spalle per la seconda volta?<br />

Consapevole che, se l’avessi fatto, questa volta sarebbe<br />

stato per sempre?<br />

Rimuginavo su queste e altre domande quando squillò il<br />

cellulare abbandonato senza cura sulla mensola<br />

dell’ingresso.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Dannazione! Dannazione! Dannazione!<br />

Riagganciai senza troppi convenevoli. Non c’era tempo da<br />

perdere. Il giubbotto era sul divano in salotto, ma appena<br />

scorsi le chiavi accanto al telefono, afferrai quelle e uscii<br />

di casa così com’ero.<br />

538


Perché ti preoccupi? Probabilmente sta venendo qui. Non<br />

può tornare a casa sua, né troverà mai ospitalità fra i<br />

membri del Clan, dopo quello che ha fatto.<br />

Vero, verissimo, ma allora perché mi sentivo così<br />

inquieto? Aveva ancora addosso il mio medaglione, no?<br />

Davide e Marta non avrebbero potuto agire contro di lei.<br />

Scesi gli ultimi gradini del palazzo con un po’ più di<br />

calma. L’atrio del piano terra era deserto, come la strada di<br />

fronte al portone. Solo un’auto di tanto in tanto.<br />

Molto strano!<br />

Uscito sul marciapiede mi guardai intorno nella speranza<br />

di vederla. Mi concentrai per sentirla e, infatti, riuscii a<br />

percepire la sua aura non lontano.<br />

Aspettai un paio di minuti ed eccola sbucare fra la piccola<br />

folla in attesa davanti al passaggio a livello del tratto<br />

ferroviario che attraversava il quartiere.<br />

Sollevai un braccio per farmi vedere e le andai incontro.<br />

Quando si accorse di me, prese a correre nella mia<br />

direzione, dall’altra parte della strada.<br />

Avevo appena messo un piede fuori dal marciapiede<br />

quando una forza inumana mi scaraventò all’indietro<br />

mandandomi a sbattere con la schiena contro la parete<br />

esterna del palazzo.<br />

Ricaddi in avanti, carponi, ansimando in cerca d’ossigeno.<br />

Per fortuna non avevo battuto la testa, o non mi sarei<br />

ripreso in tempo per vedere un’auto puntare a tutta<br />

velocità su Denise, al centro della strada.<br />

Mossi il braccio destro istintivamente per sbalzare l’auto<br />

lontana da lei, ma un dolore lancinante mi costrinse a non<br />

completare il gesto.<br />

Con la coda dell’occhio, scorsi una strana luce sulla mia<br />

sinistra. Non era un Ancharos, è certo, per questo il<br />

medaglione non aveva alcun effetto su di lui.<br />

539


Accadde tutto così in fretta che non feci neanche in tempo<br />

a rendermene conto, perché mentre che cercavo una<br />

soluzione per toglierla dalla strada, mi ritrovai a spingerla<br />

via e subire l’urto con l’auto al suo posto.<br />

Non ricordo il dolore dell’impatto, nonostante l’ematoma<br />

sul fianco non tardò a manifestarsi qualche ora dopo,<br />

ricordo solo che l’auto, quando mi colpì, si accartocciò<br />

come se si fosse appena scontrata con un muro di cemento<br />

armato.<br />

L’autista uscì inspiegabilmente illeso dalla macchina<br />

irriconoscibile dopo l’urto.<br />

Mi guardò incredulo, portandosi una mano alla testa, come<br />

a cercare una prova concreta che potesse spiegare<br />

quell’allucinazione così realistica.<br />

> gli chiesi.<br />

Annuì, incapace di proferire parola.<br />

><br />

Scosse la testa, sempre più confuso.<br />

><br />

Finalmente riuscì a dire qualcosa > osservò l’auto, poi me. ><br />

> indicai il<br />

groviglio di lamiere alle sue spalle.<br />

> esclamò lasciandosi cadere a terra<br />

per mettersi seduto, poiché, come posso immaginare, le<br />

gambe non lo sorreggevano più.<br />

> lo assecondai.<br />

Denise, che nel frattempo si era rialzata e mi aveva<br />

affiancato, mi tirò per un braccio per togliermi dalla<br />

strada. Sbalordita e incredula tanto quanto l’uomo a terra.<br />

540


Ne scrutai un momento i tratti preoccupati del volto poi,<br />

sinceramente contento che stesse bene, l’abbracciai, per<br />

quanto mi fosse possibile farlo con un braccio solo.<br />

Il conto alla rovescia era iniziato. Arioch non stava<br />

perdendo tempo. Voleva risolvere la questione il prima<br />

possibile e, se non fosse stato per la naturale protezione<br />

che mi garantivano i miei nuovi poteri, non sarei<br />

sopravvissuto all’incidente.<br />

Sapere che Arioch e Marioch mi volevano morto per<br />

portare a termine il loro compito, mi mandò su tutte le<br />

furie. Arioch mi aveva garantito del tempo per riflettere e<br />

invece… doppiogiochista, aveva approfittato della prima<br />

occasione favorevole per ucciderla.<br />

La luce era ancora ferma al suo posto sul marciapiede<br />

dall’altra parte della strada. Ci stava osservando. Mi stava<br />

osservando. Senza che Denise se ne accorgesse, la<br />

traghettai con me nell’Hahicòs.<br />

Ora l’essere era perfettamente visibile ai miei occhi semiimmortali.<br />

Era una donna, benché vestisse in tutto come<br />

un uomo. Ci avrei scommesso di tutto. Il profumo della<br />

sua aura era inconfondibile. Mi fissava attenta. Sembrava<br />

più divertita che contrariata dall’ennesimo contrattempo.<br />

Io invece, che divertito non lo ero affatto, con un gesto la<br />

spinsi contro la parete, costringendola all’immobilità fino<br />

a quando non le fui abbastanza vicina da riuscire a<br />

toccarla. A quel punto la stretta della mia mano attorno al<br />

suo collo prese il posto del flusso energetico che l’aveva<br />

incatenata alla parete fino a quel momento.<br />

> ringhiai.<br />

Nonostante i loro indiscussi superiori poteri, Arioch e<br />

Marioch sanno di rischiare tanto quanto noi in uno scontro<br />

diretto. Hanno il potere di annientare la nostra natura<br />

immortale in qualunque momento, ma se non è mai<br />

541


successo negli ultimi duemila anni vuol dire che sono<br />

soggetti a qualche limitazione che, se anche mi era<br />

sconosciuta, mi bastò per approfittare della situazione e<br />

non permettere che mi imponessero degli ordini che solo<br />

Dio può darmi.<br />

><br />

> disse con voce strozzata.<br />

La liberai dalla morsa serrata della mia mano e presi le<br />

debite distanze ><br />

> rispose seria ><br />

><br />

La terra tremò ><br />

><br />

><br />

Mi strinsi nelle spalle per mostrare indifferenza ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Annuì<br />

542


><br />

><br />

><br />

Ah!<br />

> detto questo svanì nel<br />

nulla, lasciandomi lì con l’ennesimo dilemma.<br />

Tornai da Denise e la strinsi forte a me per riportarla<br />

indietro > sussurrai poi.<br />

Sollevò il viso per guardarmi negli occhi.<br />

><br />

543


544<br />

51<br />

È strano come il susseguirsi insistente di eventi funesti<br />

spinga un uomo alla ribellione piuttosto che alla resa.<br />

Come se il dolore alimentasse la rabbia e non la paura.<br />

Con Celine andava sempre peggio. Era solo questione di<br />

tempo, ormai ne ero certo. Non sarei riuscito a farla<br />

tornare sta volta. Però non mi sentivo devastato come le<br />

volte precedenti, e sì che aveva provato a lasciarmi fino<br />

allo sfinimento di entrambi. Andava via, annientando quel<br />

po’ di autocontrollo che avevo faticosamente recuperato<br />

per poi ricomparire come se niente fosse solo qualche<br />

giorno dopo. Passava qualche settimana, il tempo di darmi<br />

l’illusione di riaverla accanto, e tornava immancabilmente<br />

a manifestare il suo desiderio di lasciarmi. Di solito finiva<br />

con una lite che dava a lei la forza di andarsene e lasciava<br />

me distrutto per l’ennesima perdita.<br />

Nell’ultimo anno e mezzo è come se fosse morta cento<br />

volte, perché ogni volta mi lasciava con la promessa di<br />

non tornare più. Col passare del tempo, naturalmente ho<br />

fatto l’abitudine ai suoi colpi di testa, e forse è per questo<br />

che la nostra ultima lite non mi ha arrecato gravi squilibri<br />

emotivi come in passato. In cuor mio sono ancora<br />

convinto che sia una delle tante. Sono certo che<br />

ricomparirà col suo delizioso sorriso da un giorno all’altro,<br />

buttandosi fra le mie braccia e implorandomi di tenerla<br />

con me.<br />

È sempre stato così. Mi supplica di dimenticarla e di<br />

trovare l’amore in un’altra donna, ma se provo<br />

minimamente ad avvicinarne una fa il broncio e sta giorni<br />

senza parlarmi.<br />

Le donne! Le Creature più perfette e complesse nate dal<br />

tocco divino di Dio.


Eppure non mi stupirei se questa volta non tornasse<br />

davvero. Avrebbe tutte le ragioni del mondo per<br />

disprezzarmi dopo quello che ho fatto.<br />

Sono stato un’incosciente, un lurido egoista, che non ha<br />

pensato ad altri che a se stesso per tutto il tempo.<br />

Non mi sono soffermato neanche un momento a riflettere<br />

sulle sue ragioni, né quelle di nessun altro.<br />

Io per primo mi odierei se non fossi costretto a<br />

frequentarmi tutti i santi giorni.<br />

Ho esagerato, lo so. Ho rischiato di scatenare una delle<br />

guerre più sanguinose degli ultimi mille anni solo per un<br />

capriccio.<br />

E l’ho combinata talmente grossa che non sono neanche<br />

sicuro che riuscirò a rimediare a tutto il male che ho fatto.<br />

Non merito di sopravvivere alle vittime della mia<br />

stupidità, così come non merito il perdono concessomi.<br />

Non ho fatto ammenda dei miei peccati, non ho mostrato<br />

alcun pentimento, eppure sono stato assolto come se la<br />

mia unica colpa fosse stata combattere per una Crociata<br />

alla quale non sapevo di essere arruolato.<br />

Non avevo digerito l’aggressione di Marioch, soprattutto<br />

perché stavo agendo secondo coscienza, inconsapevole dei<br />

motivi che li spingeva a mettere a rischio la mia vita per<br />

eliminare Denise con lo stesso accanimento di chi, in<br />

un’afosa notte d’estate, cerca di schiacciare contro un<br />

muro la zanzara che lo sta tormentando da ore<br />

impedendogli di dormire.<br />

Soprattutto, non capivo cosa ci fosse di tanto complicato<br />

nel mio piano. Se il rischio stava in ciò che Denise<br />

avrebbe fatto in futuro stando accanto a me, sarebbe<br />

bastato tenermi lontano da lei. Non che questo mi rendesse<br />

felice, certo, ma era pur sempre una soluzione. Stavo<br />

imparando a volergli bene, è vero, ma se il sacrificio fosse<br />

545


stato necessario, non sarebbe stato un problema per me<br />

farmi da parte.<br />

Parole, parole, parole…<br />

Quanto sarebbe tutto più semplice se la vita fosse solo un<br />

libro da scrivere giorno per giorno.<br />

Ho iniziato a scrivere questo promemoria un paio di mesi<br />

dopo l’incidente. Giorgio ritiene che possa aiutarmi a<br />

guardare il passato con occhi diversi, come se<br />

appartenesse a qualcun altro. Un giorno forse, rileggendo<br />

ciò che ho scritto, mi accorgerò che aveva ragione, per ora<br />

è solo un ulteriore grattacapo, perché ripensare al passato<br />

mi fa solo rivivere quei brutti momenti, mentre io sto<br />

cercando di guardare avanti e non pensare a niente che mi<br />

ricordi Lei.<br />

Credo sia per questo che in quel periodo avevo preso così<br />

a cuore la causa di Denise, era l’unica capace di farmi<br />

pensare ad altro.<br />

Anche quando il pomeriggio che fuggì dalla clinica e la<br />

portai a casa per parlarle di quello che stava accadendo, la<br />

sua situazione riuscì a non farmi pensare all’ennesima<br />

discussione con Celine.<br />

Mi odio per questo, ma non posso non ammettere che sto<br />

bene quando non penso a Lei. Sono sereno, tranquillo. Ma<br />

finora ho trovato solo due modi per non farlo: correre in<br />

auto a più di 300Km/h, concentrato sulla strada che<br />

diventa sempre più stretta davanti a me; e Denise. La sua<br />

compagnia mi coinvolge al punto da proiettarmi su un<br />

futuro che, quando sono da solo, rifiuto con tutte le mie<br />

forze.<br />

Forse è proprio questo il punto. Mi brucia dirlo, ma la<br />

verità è che non mi piace stare da solo. Ora che la parte<br />

più importante della mia anima mi è stata strappata, ho<br />

bisogno e desiderio di colmare quel vuoto con chiunque<br />

riesca a completarmi, e Denise mi completa in tutto, cova<br />

546


nel cuore la mia stessa rabbia, possiede la stessa forza, la<br />

stessa determinazione, lo stesso istinto, la medesima<br />

indole ribelle.<br />

Non a caso il Branco l’aveva presa con sé.<br />

Giocherellava con i bastoncini di patatine fritte nel piatto,<br />

seduta sullo sgabello della mezzaluna in cucina, mentre io<br />

lavavo la pirofila prima che il contenuto, raffreddando, si<br />

solidificasse, diventando un tutt’uno col fondo.<br />

Ero riuscito a convincerla a mangiare qualcosa e aveva<br />

accettato optando per hamburger di pollo al forno e<br />

patatine fritte.<br />

> sospirò con tristezza ><br />

> esclamai ><br />

Riuscivo a coglierne i movimenti con la coda dell’occhio,<br />

sulla mia sinistra, e allo stesso modo mi accorsi quando<br />

all’improvviso si fermò come pietrificata. Voltai appena la<br />

testa per vedere meglio. Lo sguardo fisso su una patatina<br />

immobile fra due dita.<br />

> chiesi asciugandomi le mani<br />

con un canovaccio. Mi misi a sedere sullo sgabello di<br />

fronte al suo.<br />

Mi guardò.<br />

Le sorrisi.<br />

547


Mi avvicinò il bastoncino alle labbra ed io lo morsi<br />

sfiorandole i polpastrelli con un bacio.<br />

><br />

Eh?<br />

> precisò dopo aver visto la mia<br />

espressione confusa.<br />

Ma che domanda è? Perché mai un uomo dovrebbe essere<br />

costretto a rispondere a domande subdole come queste?<br />

><br />

Scossi la testa.<br />

><br />

><br />

Annuì ><br />

><br />

><br />

><br />

Si accigliò ><br />

> sbottai, irritato dalla sola<br />

pronuncia di quel nome. Mi alzai togliendole dalle mani il<br />

piatto ancora pieno del cibo che non avrebbe mangiato.<br />

Rimase sorpresa dalla mia reazione.<br />

Io per primo non capivo se fosse dettata dall’odio verso<br />

Marco o da una punta di gelosia.<br />

548


chiese d’un tratto<br />

per cambiare completamente discorso, nella speranza,<br />

forse, che quell’argomento mi facesse ritrovare un po’ di<br />

calma.<br />

> bofonchiai.<br />

><br />

> sbottai infuriato ><br />

Scosse la testa. Lo sguardo basso. ><br />

Stupido!<br />

Mi avvicinai e la strinsi forte in un abbraccio sincero ><br />

Ci fu un preciso momento in cui, tenendola stretta fra le<br />

braccia, i nostri occhi si incrociarono perdendoci l’una<br />

nello sguardo dell’altro, dimenticando, seppur per un<br />

attimo, tutto il resto.<br />

Era… così vicina, così…vicina.<br />

Senza pensarci chinai il viso sul suo, accarezzandole<br />

dolcemente le labbra con le mie. Brevi e incomprensibili<br />

flash della sua vita passata mi annebbiavano la vista, e più<br />

in là mi spingevo, più mi lasciavo andare, più le visioni<br />

prendevano corpo nella mia mente. Immagini sempre più<br />

nitide ma confuse, voci sconosciute, sentimenti<br />

contrastanti, un mix di sensazioni che mi costrinse a<br />

staccarmi da lei.<br />

Ero talmente distratto dalle visioni da non rendermi<br />

neanche conto d’averla letteralmente spinta via da me.<br />

Una lancinante fitta al torace mi fece piegare in avanti.<br />

Sembrava che il cuore mi fosse appena esploso in petto.<br />

Mi accasciai a terra in ginocchio.<br />

> chiese preoccupata.<br />

Ma che combini?<br />

549


Mi portai le mani alle tempie ancora doloranti ><br />

Mi svegliai nel mio letto dopo un paio d’ore. Nell’ultimo<br />

periodo, causa l’uso improprio di nuovi poteri, mi sentivo<br />

sempre più stanco.<br />

Denise dormiva ancora. La guancia sul mio petto.<br />

Attraverso la finestra giungeva dal basso, timida, la luce<br />

dei lampioni in strada.<br />

Provai a svegliarla carezzandole il viso.<br />

Si mosse, ma continuò a dormire.<br />

Sei proprio sicuro di volerlo fare, Alex? Sei ancora in<br />

tempo per tornare indietro. Forse, dopotutto, non ne vale<br />

davvero la pena.<br />

Che ne sarà di Thomas se dovessi fallire? Se gli<br />

succedesse qualcosa, Celine non te lo perdonerà mai.<br />

Il rischio è troppo alto, Alex. Lo sa anche lei. Capirà le<br />

tue ragioni e non te ne farà una colpa. In fondo non può<br />

pretendere che la anteponga a tuo figlio.<br />

Sì, Alex. Capirà!<br />

> sussurrai per non spaventarla.<br />

Aprì gli occhi.<br />

><br />

550


52<br />

Le mura alte e spesse del Monastero sembravano<br />

invalicabili. Non potevamo permetterci di aspettare<br />

l’apertura al pubblico del portone l’indomani mattina.<br />

Ogni minuto diventa prezioso per un condannato a morte.<br />

Roma – Cassino in poco più di cinquanta minuti era il<br />

meglio che fossi riuscito a fare quella sera. Ero troppo teso<br />

e in combutta con la mia coscienza per rimanere<br />

perfettamente concentrato sulla guida. A quella velocità,<br />

sarebbe bastata la minima distrazione per farmi uscire<br />

fuori strada.<br />

Lasciammo l’auto poco prima dell’ultima curva che da sul<br />

parcheggio per evitare di essere notati da qualcuno<br />

all’interno dei piani superiori del Monastero.<br />

Ero già stato a Montecassino qualche volta. È stato mio<br />

nonno a rivelarmi la presenza al suo interno di uno dei<br />

Rinnegati superstiti. Non era mai riuscito a scovarlo,<br />

nonostante godesse delle grazie dell’Abate in carica fino<br />

allo scorso anno.<br />

Eppure giurava di riuscire a sentirne la presenza quando<br />

era all’interno delle mura.<br />

È anche vero, che le sue ricerche si erano limitate a<br />

presenziare a riunioni particolari a cui prendeva parte<br />

l’intera comunità monastica. Sperava di riuscire a scovarlo<br />

fra quelle menti eccelse senza dare troppo nell’occhio. Tre<br />

volte mi ha portato con sé, ma siamo sempre andati via<br />

con in mano un pungo di mosche.<br />

Gli avevo consigliato di mettere da parte le buone maniere<br />

e di perlustrare l’edificio ma, cocciuto, si è sempre<br />

rifiutato.<br />

551


Diceva di non avere alcuna fretta, gli bastava assicurarsi,<br />

recandosi lì di tanto in tanto, che rimanesse rintanato nella<br />

sua cella senza interferire con i piani della Stirpe.<br />

Erano le undici e mezzo quando, con Denise, giunsi sotto<br />

le mura bianche dell’imponente edificio.<br />

> le dissi sotto voce.<br />

><br />

Avrei potuto facilmente rompere la spessa catena del<br />

grande cancello che dava sull’esterno, ma, non potendo<br />

attutire il rumore che ne sarebbe scaturito, quindi decisi di<br />

aggirare l’ostacolo scavalcando le mura per poi aprire il<br />

pesante portone principale dall’interno.<br />

><br />

Sorrise ><br />

> scossi la testa ><br />

Strabuzzò gli occhi su di me ><br />

><br />

><br />

Smettila di perdere tempo!<br />

> scherzai.<br />

Annuì eccitata all’idea di vedere qualcosa di sorprendente.<br />

Non so cosa le suscitò vedermi acquattato a terra come un<br />

felino e spiccare un salto che mi portò in cima alla<br />

muraglia senza il minimo sforzo. Quando mi voltai vidi<br />

solo che aveva le mani davanti la bocca e gli occhi<br />

spalancati dallo stupore.<br />

Mi misi a sedere sul bordo del muro in attesa che si<br />

riprendesse quel tanto da garantirmi che non se la sarebbe<br />

data a gambe appena le avessi voltato le spalle.<br />

552


Sentivo il battito accelerato del suo cuore farsi sempre più<br />

regolare.<br />

> chiesi attento al volume della<br />

voce.<br />

Scosse la testa lentamente, quasi quel gesto banale le<br />

costasse fatica.<br />

><br />

Tremando spostò una mano dalla bocca e tese il braccio<br />

per indicarmi.<br />

Mi voltai. Credevo che si fosse accesa qualche luce dalle<br />

finestre del dormitorio del collegio, ma alle mie spalle, al<br />

posto dell’edificio vidi la proiezione immateriale di due<br />

grandi ali, nere e lucenti come il manto di un corvo.<br />

Quella visione improvvisa spaventò più me che lei, tanto<br />

che mi sbilanciai all’indietro cadendo di sotto.<br />

Denise sentì solo il tonfo del mio corpo sul lastricato<br />

interno dell’ingresso del Monastero e l’imprecazione che<br />

ne seguì.<br />

> chiamò dall’altro lato del portone ><br />

> risposi rimettendomi in piedi per<br />

sincerarmi di avere tutte le ossa a posto. Le ali erano<br />

svanite così com’erano comparse, nonostante mi voltassi<br />

in continuazione, tastandomi la schiena in cerca di qualche<br />

particolare escrescenza sulle scapole o strappi nel cappotto<br />

che potesse rivelarmi che non si era trattata di una<br />

semplice allucinazione.<br />

Niente! Era tutto in ordine.<br />

Mi proiettai nell’Hahicòs per perlustrare il gabbiotto del<br />

monaco portinaio in cerca delle chiavi che trovai nel<br />

cassetto di una scrivania chiusa a chiave.<br />

553


Uscii dalla dimensione spirituale solo quando mi fui<br />

sincerato che nelle vicinanze non ci fosse nessuno.<br />

Scardinai la porta della guardiola e con un colpo secco<br />

forzai la serratura del cassetto portandomi dietro schegge<br />

di legno della scrivania.<br />

Stavo diventando troppo forte per i mortali.<br />

Aprii il portone quel tanto da permettere a Denise di<br />

passare attraverso la stretta fessura, poi lo richiusi alle sue<br />

spalle.<br />

Fece per parlare, ma le posai un dito sulle labbra ><br />

Non riuscì a trattenersi ><br />

><br />

Scosse la testa, incredula ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Alzai gli occhi al cielo sbuffando


la presi per mano, ma la ritraemmo entrambi per<br />

una violenta scossa elettrica.<br />

> dissi ><br />

La guidai all’interno del cortile.<br />

> osservò ><br />

><br />

><br />

Le rivolsi un’occhiataccia ><br />

Gli insegnamenti del Collegio mi furono utili anche quella<br />

notte. Da ragazzino, forzare le serrature era uno dei miei<br />

passatempi preferiti. Troppo curioso per farmi fermare da<br />

una porta chiusa.<br />

Attraversammo scalzi i lunghi corridoi dei dormitori.<br />

Aprendo di tanto in tanto una delle celle, che<br />

puntualmente risultava vuota.<br />

> mormorò Denise all’ennesima stanza vuota.<br />

> spiegai.<br />

Mi fissò confusa.<br />

><br />

Io non ero in grado di sentirne la presenza come mio<br />

nonno. Non avevo idea di cosa cercare, perché quando mi<br />

ero trovato davanti a uno di loro non mi ero soffermato<br />

abbastanza da memorizzare la sua traccia energetica.<br />

555


E se non fosse più qui?<br />

Sbuffai irritato ><br />

><br />

><br />

><br />

Il rimprovero arrivò puntuale. Ormai aveva perfino<br />

imparato a non farsi cogliere all’improvviso dai miei scatti<br />

di nervi ><br />

> replicò.<br />

La stanza fu scossa da un tremito.<br />

><br />

L’irritazione di quel momento nei confronti del Rinnegato<br />

mi risparmiò il disagio di dover ammettere, dopo ore<br />

continue di ricerche, che aveva ragione.<br />

Il medaglione ha un raggio di azione di duecento metri e la<br />

forza che mi spinse in alto verso il soffitto era abbastanza<br />

forte da farmi capire che il nostro uomo si trovava nei<br />

piani bassi dell’edificio.<br />

Mi bastò ritrovare la calma per annullarne l’effetto.<br />

Dopotutto non ero lì per fargli del male. Al contrario,<br />

avevo bisogno del suo aiuto.<br />

Sapevo che mi aveva sentito così come io avevo sentito lui<br />

e, infatti, lo trovai che fuggiva lungo il corridoio del<br />

seminterrato dove dimorava.<br />

> dissi riconoscendolo.<br />

Si voltò a guardarmi e affrettò il passo, ma io correvo di<br />

più.<br />

> dissi posandogli una mano sulla<br />

spalla.<br />

556


Il suo terrore mise in azione il medaglione, che mi<br />

scaraventò dall’altra parte del corridoio, investendo<br />

Denise, che si era fermata più indietro.<br />

Mi alzai subito per sincerarmi che stesse bene. Aveva<br />

battuto un fianco a terra e se lo massaggiava strizzando gli<br />

occhi per il dolore.<br />

Il Rinnegato nel frattempo si era chiuso a chiave in una<br />

delle stanze lungo il corridoio.<br />

Non avvertivo presenze umane nel seminterrato, al di fuori<br />

di Denise.<br />

Mi avvicinai alla porta di legno e senza neanche toccarla<br />

la spalancai con un solo gesto del braccio.<br />

Era riuscito a farmi arrabbiare, anche se le mie intenzioni,<br />

dettate dalla necessità, continuavano a essere pacifiche.<br />

Il mio uomo era premuto con la schiena contro la parete<br />

stringendo in pugno il medaglione.<br />

> dissi avanzando nella<br />

stanza.<br />

><br />

><br />

Denise mi raggiunse nella stanza. Una cella angusta<br />

arredata solo da un letto, una sedia e una piccola scrivania.<br />

><br />

><br />

> ripeté.<br />

><br />

Il rinnegato spostò lo sguardo su Denise.<br />

> constatò.<br />

><br />

557


La sentii rabbrividire alle mie spalle.<br />

><br />

Se non fosse stato frenato dalla parete sarebbe arretrato<br />

ancora. Scosse la testa ><br />

> strillai ><br />

> ruggì.<br />

Ah no?<br />

> rispose alla domanda che avevo solo pensato.<br />

Il medaglione agì in tutta la sua forza questa volta. In una<br />

situazione normale avrei reagito a quell’affronto<br />

aggredendolo, ma con lui non fu possibile.<br />

La stanza era talmente stretta da non riuscire a contenerne<br />

il potere, che mi schiacciava contro la parete togliendomi<br />

il respiro.<br />

Sorrise > si avvicinò, amplificando l’effetto<br />

dell’amuleto su di me ><br />

C’è qualcuno che non sia al corrente di quello che ho fatto<br />

all’Ancharos?<br />

><br />

> dissi con voce strozzata.<br />

><br />

Sentii la morsa stringersi di più attorno al collo.<br />

558


disse ancora ><br />

> si intromise Denise. Pistola in pugno,<br />

puntava la canna alle tempie del Rinnegato. ><br />

><br />

> tese un braccio in avanti mostrando il<br />

palmo della mano.<br />

><br />

><br />

><br />

> liberò la sicura dell’arma ><br />

Non l’avrei mai creduto se non l’avessi visto con i miei<br />

occhi sfilarsi il medaglione dal collo e consegnarlo nelle<br />

sue mani.<br />

Nell’istante in cui i cristalli presero contatto con la sua<br />

pelle la barriera si infranse ed io scivolai a terra bocconi,<br />

alla ricerca disperata di ossigeno.<br />

><br />

riprese a dire Denise. Il Rinnegato sempre sotto tiro.<br />

Provò ad avvicinarsi, ma lei lo fermò.<br />

> le spiegò.<br />

> cercava approvazione.<br />

Io riuscii a tirarmi su a fatica ><br />

Mi porse l’arma, che impugnai volentieri, poi, tornò a<br />

rivolgersi al Rinnegato ><br />

Non l’avevo mai vista così. Chiunque al posto suo sarebbe<br />

corso via terrorizzato, lei invece… i suoi<br />

559


occhi…trasudavano una freddezza che mi era capitato di<br />

scorgere raramente in un comune mortale.<br />

Il Rinnegato si avvicinò lentamente fino a posarle il palmo<br />

della mano sulla fronte. Chiuse gli occhi e rimase<br />

immobile per più di mezz’ora. Denise sembrava come in<br />

trance. Quando li riaprì, si accasciò a terra esausto.<br />

Appena la mano dell’uomo si staccò dalla sua fronte,<br />

Denise emise un urlo agghiacciante e subito dopo perse i<br />

sensi.<br />

> fu la prima cosa che chiese<br />

quando riaprì gli occhi. L’avevo portata in braccio fino<br />

alla macchina e riportata a casa.<br />

La stringevo fra le braccia, disteso sul letto accanto a lei in<br />

attesa che si riprendesse.<br />

><br />

Riuscì a mostrare un sorriso ><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Sorrisi ><br />

><br />

><br />

Si alzò dal letto con un balzo. Barcollò un momento per un<br />

leggero capogiro, ma si riprese subito.<br />

><br />

> rispose frettolosamente frugando nella<br />

stanza.<br />

><br />

560


> mi alzai dal letto per prenderglielo, era sulla<br />

scrivania ><br />

Non sentii il proiettile penetrare nell’addome quando mi<br />

voltai verso di lei, sentii solo il rimbombo dello sparo<br />

rimbalzare sulle pareti.<br />

La felpa si intrise in un attimo di sangue.<br />

> disse lei con l’arma ancora<br />

puntata contro di me.<br />

Non so se a farmi mancare fu la perdita di sangue o la<br />

sorpresa di quell’assurdo tradimento.<br />

> riuscii a dire mentre cadevo ginocchia<br />

a terra.<br />

><br />

> La vista cominciò a offuscarsi, e<br />

questo, ne sono certo, era l’effetto dell’emorragia.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Aggredirti? Io?<br />

><br />

><br />

561


il dolore si faceva sempre più forte.<br />

Gabriella! Dio onnipotente! La figlia del presidente del<br />

circolo.<br />

><br />

> un nodo alla gola le impediva<br />

di parlare.<br />

><br />

> strillò ><br />

Non avevo scusanti per quello che avevo fatto. Meritavo<br />

tutta la sua vendetta, il suo disprezzo, perfino di morire lì<br />

come un imbecille.<br />

> gridò ancora.<br />

><br />

><br />

Scoppiai a ridere. Una risata isterica > sentivo il sangue fluire fuori dal mio corpo<br />

troppo velocemente ><br />

stavo troppo male per continuare.<br />

><br />

Vedere l’odio nei suoi occhi mi faceva più male della<br />

ferita allo stomaco. Non riuscii a impedire alle lacrime di<br />

invadermi le guance esangui. Non riuscivo più neanche a<br />

guardarla.<br />

562


gridò con<br />

quanto fiato aveva in gola > disse ancora ><br />

urlò.<br />

> balbettai ><br />

><br />

Fallo! Una volta per tutte.<br />

><br />

piangeva senza controllo ><br />

><br />

><br />

Tossii sputando a terra una boccata di sangue.<br />

> disse beffarda, ma non<br />

aveva finito


accenna minimamente agli straordinari poteri che mi hai<br />

mostrato in queste ultime settimane. Siamo stati ingannati<br />

dai risultati degli esami delle cavie che abbiamo studiato<br />

negli anni. I vostri corpi non presentano alcuna alterazione<br />

che possa far sorgere anche solo il sospetto di qualcosa di<br />

anormale in voi. Sappiamo cosa siete, certo, ma non<br />

eravamo mai riusciti a capire come fate a fare ciò che fate.<br />

Stupefacente direi. Appena sapranno tutto quello che ho<br />

scoperto sono sicura che mi garantiranno la posizione di<br />

prestigio che mi spetta all’interno dell’associazione. Non<br />

che mi sia annoiata a fare l’infiltrata fra le file del nemico,<br />

però…>><br />

Ormai non la sentivo neanche più. La mia unica priorità<br />

era cercare di non perdere i sensi > riuscii a dire con un filo di voce.<br />

><br />

><br />

Sei un idiota, Alex!<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Scosse la testa sorridendo ><br />

564


tossii di nuovo.<br />

><br />

><br />

><br />

><br />

Il mio cellulare iniziò a vibrare sul comodino. Si sporse a<br />

vedere chi fosse.<br />

> rise ><br />

Ma come fai a parlare così? È solo un bambino.<br />

><br />

><br />

><br />

Si avvicinò chinandosi fino a raggiungere i miei occhi con<br />

i suoi > sillabò, per dare maggiore<br />

enfasi alle sue parole. Subito dopo, alzatasi, mi puntò la<br />

canna della pistola alla fronte ><br />

Chiusi gli occhi rassegnato. Come per la prima volta,<br />

anche in questa non sentii il dolore del proiettile penetrare<br />

il cranio, come la prima volta sentii solo il rimbombo dello<br />

sparo rimbalzare sulle pareti della stanza.<br />

Eppure, ascoltando meglio, qualcosa di diverso lo sentii.<br />

565


Uno spostamento d’aria, un tonfo. Aprii gli occhi, certo di<br />

fluttuare in aria e vedere il mio corpo a terra e invece mi<br />

ritrovai al mio posto, c’era Denise a terra, il petto sporco<br />

di sangue.<br />

Ma…com’è possibile?<br />

Cercavo invano una risposta, fissando quel corpo esanime<br />

sul pavimento, ero così sconcertato da non capire che la<br />

soluzione ai miei dilemmi era proprio davanti a me.<br />

Sollevai piano la testa a guardare la porta d’ingresso della<br />

mia camera da letto. Il panico si impossessò della mia<br />

mente esasperata e stanca > farfugliai,<br />

cercando inutilmente di alzarmi.<br />

Stefano stringeva ancora in mano l’arma che mi aveva<br />

appena salvato la vita.<br />

Le lacrime scendevano ormai senza controllo. Stavo<br />

impazzendo, non c’erano dubbi, non poteva essere<br />

diversamente.<br />

Seguì un interminabile silenzio in cui nessuno dei due osò<br />

muoversi o proferire parola. Qualche minuto dopo dal<br />

corridoio sbucò anche mio padre, che si precipitò su di me<br />

per controllare le ferite, mentre Stefano diceva qualcosa a<br />

Denise che non riuscii a capire perché mio padre mi<br />

riempiva la testa di domande.<br />

> gridai fuori di me.<br />

Stavo dando fondo alle ultime riserve di energia che mi<br />

rimanevano.<br />

> rispose serio mio padre.<br />

Guardai di nuovo verso la porta, convinto di aver assistito<br />

all’ennesima allucinazione, e invece Celine era ancora lì, e<br />

sì, Stefano stava proprio parlando con lei.<br />

> singhiozzai ><br />

566


Si mise il mio braccio attorno al collo e mi sollevò da terra<br />

><br />

Figliolo? Allora è vero, sto impazzendo. Sono morto e<br />

questo è l’inferno.<br />

Quando ci avvicinammo alla porta Celine si avvicinò.<br />

Stefano la aiutava a stare in piedi ><br />

piangeva.<br />

Riuscivo a sentire le sue mani sul mio corpo, erano calde,<br />

calde come quando era ancora in vita.<br />

Mio padre mi posò un momento sul letto.<br />

> si portò una mia mano al petto ><br />

> balbettai ><br />

Sorrise asciugando le lacrime di entrambi ><br />

><br />

> si intromise mio padre ><br />

> esclamai.<br />

><br />

Scossi la testa con decisione ><br />

><br />

567


><br />

> strillai > una<br />

fitta mi bloccò le parole in gola.<br />

><br />

> aggiunse lei.<br />

><br />

Scosse la testa.<br />

L’ambulanza che aveva chiamato Stefano arrivò sotto casa<br />

a sirene spiegate.<br />

> dissi stringendole una mano.<br />

> sorrise.<br />

><br />

Si chinò a baciarmi.<br />

Sorrisi ><br />

><br />

All’improvviso un pensiero funesto mi invase la mente.<br />

Volli alzarmi, nonostante l’insistenza di tutti nel volermi<br />

disteso. Il dolore all’addome era fortissimo, ma riuscii<br />

ugualmente a stare in piedi da solo.<br />

> mi chiese Stefano.<br />

> risposi atono, chinandomi sul corpo<br />

di Denise per strapparle dal collo i due amuleti. La voltai<br />

supina aiutandomi con un piede e, pistola in pugno, feci<br />

fuoco due volte sul suo cadavere.<br />

568


mi rimproverò Celine.<br />

Guardai tutti con indifferenza > risposi<br />

calmo stringendomi nelle spalle.<br />

Feci per tornare da Celine, ma sentii mancare la forza nelle<br />

gambe. Non caddi perché mio padre fu lesto ad afferrarmi.<br />

Lei mi raggiunse lentamente. Si sentì il rumore della porta<br />

dell’ascensore che si apriva al nostro piano. Subito dopo<br />

infatti, fecero ingresso in casa i paramedici con la barella.<br />

Dissero qualcosa, mio padre disse qualcosa, Stefano si<br />

spostò da qualche parte per far passare la pattuglia di<br />

Ancharos che si sarebbe occupata del corpo di Denise, ma<br />

non so raccontare niente di tutto ciò. Ero troppo<br />

concentrato a baciare il mio dolcissimo Angelo, palmo<br />

contro palmo in un reciproco, muto scambio di divina<br />

immortalità.<br />

569


570<br />

Epilogo<br />

Il ricordo di quella mattina è ancora vivo nel mio cuore,<br />

anche se dopo quasi un anno ho imparato a sopravvivere a<br />

quel rimorso.<br />

Ora Thomas, Celine ed io viviamo in Villa con i miei.<br />

Beatrice mi è stata molto vicina in quei successivi mesi di<br />

terrore. Diversamente dal solito anche mio padre ha saputo<br />

darmi quell’appoggio che mi serviva per andare avanti.<br />

Non ce l’avrei mai fatta da solo sta volta.<br />

Per fortuna Arioch mi aveva insospettito abbastanza da<br />

prendere qualche precauzione.<br />

Denise, in monastero, aveva fatto il resto. Troppo sicura<br />

con quella pistola in mano, troppo glaciale mentre fissava<br />

dritto negli occhi il Rinnegato minacciando di ucciderlo<br />

qualora si fosse opposto al suo volere.<br />

Prima che si riprendesse dall’intervento del Rinnegato<br />

avevo mandato un sms a Stefano per chiedergli di passare<br />

da me il prima possibile. Sentivo che c’era qualcosa che<br />

non andava, anche se continuavo a rifiutare di guardare in<br />

faccia la realtà e ammettere che avevo sbagliato di nuovo.<br />

Sono stato crudele con lei in passato. Lo meritavo tutto il<br />

suo odio, ma lei si era nutrita del suo risentimento<br />

alimentando il disprezzo che ha per tutti quelli come me.<br />

Ho provato ad accettare la morte senza reagire, volevo<br />

sinceramente garantirle quella pace che le avevo sottratto,<br />

ma… i suoi occhi… Non si sarebbe fermata con me. Il suo<br />

cuore avvelenato non si sarebbe accontentato fino a<br />

quando non ci avesse eliminato tutti.<br />

Non mi sono mai pentito di aver infierito su quelle fragili<br />

carni, l’avrei fatto prima se avessi capito le sue reali<br />

intenzioni, ho solo il rimorso di aver messo in pericolo la


mia famiglia, i miei amici, la mia gente, per uno stupido<br />

capriccio.<br />

La mia ribellione al sistema non è stata priva di<br />

conseguenze. Una nuova guerra è iniziata da quella<br />

mattina. Il sangue delle vittime già insozza le strade,<br />

appestando l’aria e contaminando gli animi di tutti.<br />

L’ora della resa dei conti è giunta finalmente. Questo<br />

mondo è troppo stretto per entrambi. Clan e Ancharos non<br />

possono coesistere sulla stessa dimensione. Per il bene di<br />

un’umanità ignara delle conseguenze della nostra faida<br />

infinita, uno dei due gruppi deve arrendersi o soccombere<br />

alla forza dell’altro.<br />

Sono finiti i giorni della tolleranza! Non un’altra goccia<br />

del sangue della mia famiglia sarà versato per mano Loro.<br />

Ho provato a scavalcare il fato, ho provato ad oppormi agli<br />

eventi disastrosi della mia vita. Ho cercato di guardare<br />

avanti e lasciarmi il dolore alle spalle, ma ho sbagliato<br />

tutto.<br />

Ho sbagliato a credere che dopo l’Ancharos sarei riuscito a<br />

manipolare il destino per impossessarmi di quel barlume<br />

di vita che a ogni uomo spetta.<br />

Ho sbagliato a fidarmi di un Dio che promette amore e<br />

giustizia per tutti i suoi figli, nessuno escluso.<br />

Mi era stato tolto tutto, mi è stata data l’illusione di<br />

potermi riprendere ciò che avevo perso, e mi è stato<br />

portato tutto via di nuovo.<br />

Adesso BASTA!<br />

Ora che Celine è di nuovo al mio fianco sento<br />

un’incredibile forza crescere dentro di me. Più i giorni<br />

passano e più ritrovo quella spinta che mi fa andare avanti.<br />

571


Più i giorni passano e più si dirada in me l’oblio di<br />

incertezze e paura.<br />

Paura di soffrire di nuovo. Paura di non riuscire in futuro a<br />

far fronte a un’ennesima sconfitta.<br />

Sono stanco di soffrire! Voglio anch’io un momento di<br />

pace, ora più che mai.<br />

Posso ancora scegliere, questo nessuno me lo può<br />

impedire. Posso arrendermi e lasciare che Thomas erediti<br />

il mio destino o posso combattere e fare di questo schifo<br />

un mondo migliore per il mio bambino.<br />

Io scelgo di combattere!<br />

Sono pronto a dare inizio alla mia vendetta!<br />

Non importa quanto ci vorrà, ci volesse anche tutta la vita,<br />

io libererò la mia gente dal Clan.<br />

Non avrò pace finché l’ultimo di quei mostri non sarà<br />

morto, anche se dovessi reclutare un esercito di sanguinari<br />

per farlo.<br />

Diventerò la piaga che investirà le vostre case. Sarò<br />

l’incubo notturno dei vostri figli. Sarò la furia delle<br />

tenebre che spazzerà via la vostra tranquillità. Sarò il<br />

vostro flagello finché non avrò lavato l’ultima goccia di<br />

sangue versato.<br />

E per ognuno dei miei che perderà la vita per mano vostra,<br />

cento dei vostri la perderanno per mano mia.<br />

Conoscerete la rabbia degli Ancharos, assaporerete la furia<br />

del mio popolo, udirete le nostre grida di gioia e non ci<br />

sarà modo di fermarci, no, perché noi siamo i Signori della<br />

Morte che, avvolti dalle ombre, stiamo per investire le<br />

vostre case per placare la nostra ira.<br />

572<br />

FINE


RINGRAZIAMEN<strong>TI</strong><br />

Vorrei spendere ancora qualche parola per ringraziare<br />

alcune persone, senza le quali questo romanzo non avrebbe<br />

mai visto la luce.<br />

Grazie mille a Piercarlo Rinaldi, il più caro e fidato dei miei<br />

lettori, incomparabile sostenitore della mia folle<br />

immaginazione.<br />

Grazie di cuore a Giovanni Lombardi, che mi ha<br />

accompagnato in questa avventura tenendomi per mano<br />

fino all’ultimo giorno. Non potevo desiderare amico<br />

migliore come compagno per questo viaggio.<br />

Grazie infinite a Palmiro Pro, per avermi sostenuto,<br />

incoraggiata, consolata. Grazie per averci creduto quando<br />

perfino io avevo smesso di farlo.<br />

Grazie al carissimo Italo Degregori, il mio editore, per<br />

avermi dato questa grande opportunità, agevolandomi in<br />

tutti i modi possibili.<br />

Grazie ad Alessio e Renato, per l’infinita pazienza e<br />

disponibilità.<br />

Grazie grazie grazie a Dario Forlini per la sua leale e<br />

sincera amicizia e per la professionalità con la quale ha<br />

curato tutta la grafica del progetto. Sei un GRANDE.<br />

Grazie alla mia famiglia per essermi sempre stata accanto e<br />

a tutti i miei amici, ma soprattutto…<br />

… Grazie a Riccardo Martino. Senza di te nulla di tutto<br />

questo sarebbe mai stato possibile. Non dimenticherò mai<br />

quello che hai fatto per me e più di tutto, non smetterò mai<br />

di ringraziare Dio per averti fatto entrare nella mia vita<br />

come il più caro e prezioso degli Angeli.<br />

Infinite volte GRAZIE<br />

Ilenia Ferrelli<br />

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