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Prefazione<br />

Cari amici, finalmente, dopo un'assenza durata un anno, ci ritroviamo. Nel periodo in cui non<br />

siamo andati in stampa, molti episodi hanno condizionato la vita della nostra rivista, finendo per<br />

bloccare totalmente l'attività della nostra redazione. Oggi grazie all'aiuto di alcuni amici, che si<br />

sono resi disponibili, riprendiamo il percorso interrotto dodici mesi fa sperando in un futuro più<br />

sereno, dodici mesi che ci hanno fatto capire quanto è grande l'affetto dei nostri lettori per La<br />

Meria. Sono stati tutti gli attestati di stima, che ci sono giunti da ogni parte, a convincerci che era<br />

l'ora di riprendere la penna e dare vita ad un nuovo numero della nostra rivista. Appena ricostituita<br />

la nuova redazione, è stato stipulato un accordo con uno dei portali più importanti della provincia<br />

(maremmaonline.it ) tutto ciò darà visibilità internazionale alla nostra rivista e a tutte quelle<br />

aziende che ci hanno sempre sostenuto. Il file in pdf de La Meria sarà infatti inviato gratuitamente<br />

a tutti coloro si iscriveranno alla news-letter del portale.<br />

Questo numero sarà distribuito: in Grosseto in tre edicole della città, in tutti i punti vendita dei<br />

nostri sponsor, negli uffici turistici dei comuni che hanno aderito alla nostra iniziativa. Sarà spedita<br />

anche a Torino, Viterbo, Venezia, Cagliari, Lugano e Zurigo, da dove ci sono giunte molte<br />

richieste.<br />

Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei inviare un pensiero a quattro persone che purtroppo ci hanno<br />

lasciato.<br />

Il primo va a mio padre Amelio venuto a mancare nello scorso mese di ottobre, il secondo allo<br />

zio Ilvano di Cagliari scomparso lo scorso gennaio,maremmano di Montepescali e grande amico<br />

della Meria, il terzo allo zio Alberto e non ultimo a Mario Ronzini collaboratore della nostra redazione,<br />

venuto a mancare nel mese di marzo del 2008. Spero che da lassù possano proteggere<br />

noi e La Meria.<br />

È proprio dell'ultima ora la notizia che anche il comune di Pitigliano ha aderito alla nostra iniziativa.<br />

Ringrazio quindi il Sindaco Dino Seccarecci per la fiducia che ci ha dimostrato.<br />

Augurando a tutti una buona lettura, vi do appuntamento al prossimo numero che sarà pubblicato<br />

entro la fine di settembre. Rinnovo ancora una volta un ringraziamento particolare alle aziende<br />

ed ai comuni che ci hanno sempre sostenuto con le loro sponsorizzazioni.<br />

Il Direttore<br />

DIRETTORE<br />

Pier Nello Cicaloni<br />

REDAZIONE<br />

Corrado Barontini<br />

Pier Nello Cicaloni<br />

Gigliola Monaci<br />

PUBBLICITÀ<br />

GNG GROUP<br />

Via Papa Giovanni XXIII, 52 - GR<br />

destinazione posta:<br />

via Montecorno, 2 - Grosseto<br />

info@lameria.com -<br />

www.lameria.com<br />

tel 328.0025376 - fax 0564.455586<br />

FOTO<br />

andreABocchi ph3<br />

GRAFICA E IMPAGINAZIONE<br />

GNG GROUP<br />

IN COPERTINA<br />

scorcio di Semproniano<br />

3<br />

Pier Nello Cicaloni


ARTIGIANI E CONTADINI<br />

Una o due volte all'anno si facevano vivi al podere, con i "ferri"<br />

del mestiere, il calzolaio e il "sartore" (sarto) per fornire sul<br />

posto nuove calzature e nuovi indumenti e riparare l'usato.<br />

Talvolta faceva una capatina anche lo "stagnino" per riparare<br />

pentole, paioli, brocche e secchie: l'arrivo di questi artigiani<br />

costituiva per tutti, ma soprattutto per i ragazzi, un avvenimento.<br />

Il più delle volte era attraverso di loro che si avevano informazioni<br />

e notizie su quanto accadeva nelle varie località più o<br />

meno remote. Ogni artigiano si tratteneva il tempo necessario<br />

per terminare il lavoro; per le sue prestazioni riceveva vitto e<br />

alloggio e, alla partenza, un compenso quasi sempre in natura.<br />

Una figura caratteristica che visitava spesso i vari poderi era il<br />

"tracculone", una specie di mercante girovago che veniva dal<br />

paese a piedi o con l'asino per vendere o, più spesso, per<br />

scambiare la sua merce (baccalà, aringhe, aghi, filoforte, sapone,<br />

stringhe, "correggioli", sale, zucchero, lamette da barba ed<br />

4<br />

altro) con cacio, ricotta, uova, pollame, pelli: tornato al paese,<br />

rivendeva tutto quello che aveva racimolato nella sua botteguccia<br />

o davanti all'uscio di casa su un banchetto improvvisato.<br />

Anche l'arrivo di questo personaggio era particolarmente gradito<br />

sia perchè offriva l'occasione di rifornirsi di tante cose necessarie<br />

alla vita di ogni giorno, sia perchè offriva il modo di interrompere,<br />

anche per poco, il tram-tram quotidiano con quattro<br />

chiacchiere di tipo diverso e di concludere talvolta qualche affaruccio.<br />

LO SCAMBIO<br />

Fra molti contadini confinanti o di una stessa zona vigeva una<br />

specie di mutuo soccorso, che si concretizzava in numerose<br />

circostanze, non solo nei momenti più difficili per una famiglia<br />

come una malattia, una disgrazia, una morte, ma anche, e direi<br />

soprattutto, quando c'erano da affrontare le "faccende" più dure<br />

e impegnative come la fienagione, la "segatura", la trebbiatura<br />

e la semina.


In queste circostanze si ricorreva allo "scambio",che era una<br />

prestazione d'opera da parte di un contadino nei confronti di<br />

un altro, il quale la ricambiava successivamente intervenendo<br />

per le stesse faccende o per altre anche di genere diverso.<br />

In questo modo non solo si ottenevano indubbi vantaggi<br />

nella riuscita del lavoro, ma venivano a instaurarsi fra.. i vari<br />

contadini profondi rapporti di amicizia e di solidarietà.<br />

IL LAVORO<br />

In ogni stagione la giornata del contadino iniziava quando<br />

ancora le stelle brillavano nel firmamento: il capoccia e la<br />

massaia erano i primi a lasciare il piacere del letto: lui scendeva<br />

nella stalla a governare le bestie e a "sbaccinarle", ripulendo<br />

o rinnovando la lettiera; lei accendeva subito il fuoco e<br />

si affaccendava ai fornelli per preparare la prima colazione<br />

per tutti, colazione non costituita di certo da caffellatte con<br />

pane, burro e marmellata, ma da pane e cacio o prosciutto o<br />

salsiccia o pancetta di maiale arrosto oppure in umido: un<br />

tale apporto di calorie era necessario a tutti perchè il lavoro ne<br />

avrebbe consumate a dismisura già nelle ore del mattino.<br />

Subito dopo il capoccia, a seconda della stagione,affidava a<br />

ciascuno dei compiti precisi: chi doveva "badare" le pecore e<br />

i maiali, chi occuparsi della vigna o degli ulivi e chi seguirlo nel<br />

lavoro dei campi con i buoi , falciare, raccattare il fieno, mietere,<br />

ecc. Anche i più piccoli, a seconda appunto della stagione<br />

erano impegnati in lavori adatti alla loro età: raccattare<br />

ghiande e castagne,"pelare"il fogliame della potatura degli<br />

ulivi o quello del "moro" (gelso) per il bestiame,"scartacciare"<br />

o sgranare il granturco...I figli che andavano a scuola (molto<br />

pochi, in verità, fino al primo quarto del XX° secolo), se il<br />

podere era nelle immediate vicinanze del paese, potevano<br />

frequentarla senza troppo sacrificio; gli altri, che abitavano<br />

lontano, dovevano affrontare lunghe camminate per sentieri<br />

tutti buche e fango, superare burroni e guadare torrenti; in<br />

queste condizioni e per i lavori a cui erano adibiti, difficilmente<br />

terminavano il corso elementare. La situazione migliorò<br />

notevolmente con l'istituzione delle "Scuole Rurali" e con<br />

quelle "Sussidiate". Intanto la massaia, prima ancora di rigovernare<br />

e di rifare le camere, accudiva ai più piccoli, se c'erano;quindi,<br />

con la serva o il garzone o una delle figlie scendeva<br />

nell'ovile a mungere le pecore che poi uscivano al pascolo.<br />

Il latte munto era da lei o dalla vecchia massaia sapientemente<br />

"lavorato" nel paiolo, al fuoco del camino per ricavarne<br />

un ottimo pecorino e una squisita ricotta. Fatte quindi le faccende<br />

più urgenti, occorreva dedicarsi alla preparazione del<br />

pranzo che, verso le tredici, rivedeva la famiglia tutta riunita a<br />

tavola. Come ben si comprende, anche i vecchi davano una<br />

mano: il vecchio capoccia aggiustava gli arnesi, sistemava la<br />

legnaia, riordinava la caciaia e la cantina, mentre la moglie si<br />

perdeva dietro ai nipotini, se c'erano, oppure aiutava in cucina;<br />

ma il lavoro a cui si dedicava di più, anche a causa dell'età,<br />

era filare la lana, farne matasse con il "naspatoio"(attrezzo<br />

di legno formato da un asse lungo 50 cm. circa, con un<br />

piolo trasversale in cima e uno in fondo , disposti in posizione<br />

diametralmente opposta), aggomitorarla e lavorarla coi ferri<br />

per fornire a tutti maglie, golfi, calze, sciarpe...passava lunghe<br />

ore davanti alla "rocca" ("conocchia" fissata a una sedia, col<br />

fuso in mano per ridurre in filo sottile i "biocchi" (fiocchi) di lana<br />

che sembrava non finissero mai. E tanta era ormai l'abitudine<br />

e l'abilità che filava o faceva la maglia anche la sera al fioco<br />

lume di una candela o di un lumino a olio! Le bambine più<br />

grandicelle e anche la serva, pascolando le pecore, si davano<br />

da fare con l'aghetto per prepararsi, con pizzi e ricami; il corredo<br />

da sposa. La lunga giornata non finiva con la cena: il<br />

capoccia scendeva ancora nella stalla, la massaia, sbrigate le<br />

solite faccende, rammendava qualche indumento oppure, alla<br />

madia,"stacciava" la farina e metteva il lievito per fare il pane<br />

il giorno seguente. Prima di andare a letto, in molte famiglie<br />

c'era la recita del Rosario alla quale tutti partecipavano devotamente<br />

per invocare la protezione della Vergine nella dura<br />

vita di ogni giorno.<br />

LA SEMINA<br />

Questo importante lavoro, che presentava le caratteristiche<br />

d'un rito, aveva luogo all'inizio di Novembre. Nei mesi precedenti,<br />

fra Agosto e Settembre, ogni contadino nel suo podere<br />

aveva provveduto a fare i "colti", aveva cioè preparato, arandoli,<br />

quei campi che dovevano essere seminati a cereali o ad<br />

altro. Con grande pazienza aveva ogni giorno aggiogato i buoi<br />

all'aratro, un attrezzo di legno rimasto quasi invariato<br />

5


Artigiani e Contadini<br />

per millenni e un po' migliorato con l'aggiunta, sulla<br />

punta, di una lamina di ferro per impedire che si consumasse<br />

presto con l'uso e per facilitare la sua penetrazione<br />

nel terreno. Con l'avvento della "coltrina", un aratro<br />

più leggero e maneggevole e con il "vomere" d'acciaio,<br />

diminuì la fatica sia<br />

per gli animali che<br />

per l 'uomo.<br />

Ma il lavoro era<br />

lungo e le coppie di<br />

buoi si davano il<br />

cambio per giorni e<br />

giorni finchè i colti<br />

non erano tutti pronti.<br />

Prima ancora di gettarvi<br />

il seme, occorreva<br />

fertilizzarli spargendovi,<br />

con il forchino,<br />

il concime di<br />

stalla, portato col<br />

carro,e frantumare le<br />

grosse zolle a colpi<br />

di zappa.<br />

A questo punto poteva<br />

aver luogo la semina: il contadino, munito di una particolare<br />

"sacca" a tracolla, vi immergeva la mano ritraendola<br />

poi piena di semi e, camminando, li spargeva a<br />

largo braccio con un ritmo preciso; più indietro, altri,<br />

armati di zappa, provvedevano a ricoprirli prima che stormi<br />

di passeri calassero sul campo a beccare tutto il<br />

seminato.In seguito,per questa operazione, fu usato l'erpice,<br />

un attrezzo di ferro, generalmente quadrato, molto<br />

simile ad una grossa gratellae munito di numerose punte<br />

lunghe una ventina di cm. trainato dai buoi, faceva questo<br />

lavoro in minor tempo e tanta meno fatica. Tra Marzo<br />

e Aprile, i campi di grano richiamavano il contadino per<br />

la sarchiatura: con un'apposita zappa lunga e stretta, si<br />

eliminavano, prima che crescessero eccessivamente, le<br />

erbe infestanti più comuni e diffuse come la veccia e il<br />

pàpavero, ma soprattutto quelle spinose, come le "socere"<br />

e lo "scardaccio" (cardo selvatico); era anche questa<br />

una grossa fatica che impegnava i numerosi membri<br />

della famiglia.<br />

LA FIENAGIONE<br />

Dagli ultimi di Maggio alla prima decade di Giugno, mentre<br />

il grano maturava la spiga, i prati di lupinella, erba<br />

medica e bolognino erano pronti per la falciatura. Alle<br />

prime luci dell'alba, il capoccia e i figli più grandi, insieme<br />

a qualche contadino venuto per lo scambio, si mettevano<br />

all'opera, muniti della grossa falce "fienaia", diligentemente<br />

preparata nei giorni precedenti. Era una falce,<br />

questa,vagamente triangolare e leggermente arcuata fissata<br />

all'estremità un manico che aveva due impugnature:<br />

l'una era un piolo corto e diritto, quasi in cima, per la<br />

mano sinistra; l'altra, quasi a metà, aveva una forma<br />

ricurva per favorire la presa della mano destra, ed era<br />

generalmente un pezzo di ramo" di ulivo o di cerro cresciuto<br />

in quella forma. Per eliminare le "tacche" (intaccature)<br />

che i sassi del prato producevano spesso nella<br />

lama, questa doveva essere battuta con un martelletto<br />

appropriato su uno speciale"piede"di ferro conficcato nel<br />

terreno, quindi affilata con il passaggio della pietra inumidita,<br />

ripetuto più volte, lungo le due facce. Il falciatore, a<br />

gambe divaricate e curva nella schiena, a braccio teso,<br />

portava l'arnese impugnato tutto alla sua destra per<br />

6<br />

accompagnarlo poi, raso terra, verso la sua sinistra con<br />

la torsione del busto, tagliando così una larga "fetta" di<br />

prato;torcendo il busto al contrario, riportava la falce<br />

nella posizione di partenza, facendo, nello stesso tempo,<br />

un passo in avanti. Ogni tanto si fermava per riprendere<br />

fiato fumando una<br />

sigaretta e affilando<br />

la lama con la pietra,<br />

tenuta a bagno in un<br />

po' d'acqua dentro<br />

un corno di bue,<br />

appeso, posteriormente,<br />

alla cinghia<br />

dei pantaloni. L'erba<br />

falciata, perché seccasse<br />

bene al sole e<br />

diventasse quel<br />

fieno dal profumo<br />

inconfondibile doveva<br />

essere spesso<br />

rimossa e rigirata,<br />

per questo il contadino,nei<br />

giorni successivi,ritornava<br />

nel<br />

prato col forchino in<br />

mano per ultimare il lavoro. Quando finalmente, dopo<br />

circa una settimana di caldo sole il fieno era pronto, il<br />

carro faceva la spola dai prati all'aia, dove era sistemato<br />

in pagliai. A questo punto, il contadino tirava un grosso<br />

sospiro di sollievo e dimenticava la grande fatica affrontata<br />

pensando che i suoi animali avrebbero avuto cibo a<br />

sufficienza anche quando la neve avrebbe imbiancato i<br />

campi. Se invece la stagione non accompagnava il lavoro,<br />

erano guai seri: succedeva spesso che le piogge di<br />

primavera fossero quasi giornaliere e, col passare dei<br />

giorni,c'era il rischio che anche l'erba "passasse", arrivasse<br />

cioè alla fioritura e bisognava falciarla, sperando<br />

intanto che il tempo si rimettesse. Altre volte invece,<br />

mentre l'erba falciata seccava al sole, accadeva che il<br />

cielo si oscurasse e nubi temporalesche si avvicinassero<br />

per scaricare, in un inferno di lampi e di tuoni, grandi<br />

rovesci d'acqua o grandine. Non appena il contadino<br />

vedeva il cielo "abbuiassi" (oscurarsi) e udiva rombare il<br />

tuono lontano, chiamava a raccolta tutte le braccia<br />

disponibili in famiglia per correre a raccogliere in grossi<br />

mucchi il fieno non ancora pronto perchè la pioggia<br />

facesse il minor danno possibile. Col ritorno del sole, si<br />

ritornava nei prati per spargerlo nuovamente perchè<br />

asciugasse in fretta. Quando i temporali e le "sguazzate"<br />

si ripetevano, il fieno marciva senza rimedio: il contadino,<br />

sgomento, non solo vedeva rese vane tante sue fatiche,<br />

ma aveva anche la grande preoccupazione per<br />

come avrebbe sfamato le sue bestie durante<br />

l'inverno...non gli restava che pensare, pertempo all'acquisto<br />

del fieno necessario, contraendo spesso grossi<br />

debiti. A fienagione ultimata, il grano dei campi era pronto<br />

per la segatura: sotto il caldo sole di luglio, uomini e<br />

donne d'ogni età , con un cappello di paglia in testa, guidati<br />

dal capoccia, armati di una falce affilata e muniti, alla<br />

cintola, dell'immancabile corno con la pietra dentro, si<br />

piegavano dalle primissime luci dell'alba per tagliare a<br />

mannelli, quasi alla radice, la preziosa pianta. Più mannelli<br />

riuniti formavano un "balzo" (covone) ,che veniva<br />

legato con un legaccio, ricavato da un mannello, e<br />

lasciato sulla stoppia a "solinare". La colazione e il pranzo<br />

interrompevano brevemente questo lavoro che terminava,


Artigiani e Contadini<br />

a sera, quando scendeva il crepuscolo. Prima che il fisico<br />

si abituasse a questa fatica, il segatore era tormentato<br />

da forti dolori in tutta la colonna vertebrale e nella relativa<br />

muscolatura. Ma, nonostante la pesantezza di questo<br />

lavoro e la grande calura che l'accompagnava, c'era<br />

in ciascuno la serenità e la gioia per quel raccolto, non<br />

danneggiato o distrutto, come talvolta avveniva,da rovinose<br />

grandinate e da tempeste a lungo paventate: e si<br />

cantava e si rideva per gli scherzi, i motteggi e le battute<br />

piuttosto salaci che giovanotti e ragazze si scambiavano<br />

reciprocamente. Dopo qualche giorno, mentre la<br />

segatura proseguiva con gli altri cereali, un paio di adulti<br />

e alcuni ragazzi raccattavano i balzi, che venivano raccolti<br />

in mucchi detti "barcaie": qui erano sistemati in<br />

modo molto razionale, uno accanto all'altro, a strati di<br />

sette-otto ciascuno; quelli degli ultimi due strati erano<br />

messi in pendenza: in tal modo, in caso di, pioggia, questa<br />

sgrondava senza bagnare i balzi sottostanti. Dopo<br />

circa una settimana, il carro faceva la spola dai campi<br />

all'aia, dove i balzi venivano accatastati ancora una volta<br />

a formare la "mucchia" (grosso cumulo a forma di pagliaio),<br />

in attesa della battitura o della trebbiatura.<br />

L'AIA<br />

Ogni podere presentava, su un lieve rialzo del terreno,<br />

un largo spazio aperto, spianato alla meglio e verde di<br />

tenera erba: era l'aia. Essa si distingueva da lontano per<br />

degli elementi che la caratterizzavano: i pagliai. Ve n'erano,<br />

affiancati, di tipo diverso: di paglia, di fieno, di favetta<br />

e c'era quello della "lolla, i (pula), detto appunto "lollaio".<br />

La paglia, oggi abbandonata spesso nei campi e bruciata<br />

o raccolta in prese era allora portata nell'aia e<br />

disposta pazientemente a strati attorno ad un lungo palo<br />

piantato in terra, lo "stollo"; il pagliaio, un volta finito,<br />

aveva una forma cilindro-conica e, per costruirlo, occorreva<br />

una capacità che non<br />

tutti possedevano. Nel<br />

corso dell'anno, la paglia<br />

era usata non solo come<br />

lettiera per le bestie della<br />

stalla, ma, mista a fieno,<br />

costituiva per le medesime<br />

anche il cibo durante i mesi<br />

invernali. E proprio qui, nell'aia,<br />

come ho accennato<br />

sopra, aveva luogo la "battitura"<br />

del grano: prima dell'invenzione<br />

delle macchine<br />

trebbiatrici (le prime a<br />

vapore e le successive a<br />

motore a scoppio), l'operazione<br />

che permetteva di<br />

staccare i chicchi di grano<br />

dalla spiga era detta<br />

appunto battitura. Era, questa,<br />

una faccenda fra le più<br />

dure e faticose, che scoraggiava<br />

per la sua durata: se<br />

consideriamo infatti la<br />

quantità e la varietà dei<br />

cereali prodotti (grano, orzo, biada), è facile immaginare<br />

per quanto tempo si protraesse questo lavoro. Grandi e<br />

piccini,accovacciati o seduti in terra o in ginocchio, uno<br />

accanto all'altro, armati di un particolare strumento, il<br />

"correggiato", (due bastoni di diversa lunghezza, uniti da<br />

una corta correggia di cuoio), battevano ininterrottamen-<br />

8<br />

te sulle spighe dei balzi, stese su un largo telo, per farne<br />

uscire i chicchi. Dopo la battitura, il grano doveva essere<br />

"dilollato" (separato dalla pula), ed era sempre qui,<br />

nell'aia, che veniva sollevato in aria con una pala o altro<br />

strumento perchè il vento la allontanasse. Infine, col<br />

vaglio (un recipiente di forma rotonda) con il bordo in<br />

legno ed il fondo in metallo tutto bucherellato) si eliminavano<br />

(facendolo roteare, setacciando) i piccoli semi di<br />

altre piante erbacee come la veccia, il papavero, il loglio<br />

e anche i numerosi chicchi di grano triturati dai colpi del<br />

correggiato; questo miscuglio di semi detto "conciglio"<br />

era raccolto e conservato per essere di becchime agli<br />

ospiti del pollaio. L'avvento della macchina trebbiatrice<br />

fu una vera benedizione per il contadino che fu sollevato<br />

da tanta fatica; anzi, da questo momento, la battitura<br />

diventò trebbiatura e si trasformò in un lavoro festoso,<br />

durante il quale la massaia tirava volentieri il collo a galletti,<br />

loci che, variamente cucinati, saziavano il robusto<br />

appetito dei numerosi commensali, confortati , e resi<br />

allegri anche da abbondanti libagioni. Certo, quando il<br />

raccolto era misero ( e nei poderi di montagna, sia per la<br />

qualità del terreno non troppo fertile, sia per qualche<br />

evento metereologico sfavorevole ciò accadeva spesso<br />

), invece della festa c'era la disperazione. E' il caso di<br />

quel contadino che, a trebbiatura ultimata, a chi gli chiedeva<br />

quanto gli avesse "fatto" il grano quell'anno,rispondeva<br />

irritato:- De le duaccia!- Con un raccolto del genere,<br />

non c'era certo da stare allegri; l'indebitamento con il<br />

padrone ingigantiva. E' forse per la consapevolezza<br />

delle enormi fatiche che il pane costava, che ognuno<br />

aveva, per questo alimento, una considerazione e, direi,<br />

un rispetto talmente profondi che, in ogni casa, fresco,<br />

raffermo o secco veniva consumato fino all'ultimo crostello<br />

e guai a buttarne via anche un solo boccone! Anzi,<br />

ogni madre, proprio per instillare nei figli questo rispetto,<br />

diceva loro fin da piccini che<br />

non dovevano mai buttarne<br />

via nemmeno una briciola<br />

altrimenti, dopo morti, sarebbero<br />

dovuti tornare a ricercarla<br />

e a raccoglierla con un<br />

ditino acceso come una candela!<br />

Questa sacralità e questo<br />

rispetto li possiamo pensare<br />

derivati anche dal fatto<br />

che le Ostie consacrate<br />

(Corpo di Cristo) sono fatte<br />

con farina di grano, sono<br />

pane anch'esse.<br />

LE FIERE E I MERCATI<br />

Per il contadino, che viveva<br />

isolato, Fiere e Mercati<br />

costituivano momenti d'incontro<br />

e occasioni di "svago"<br />

particolarmente attesi e sentiti;<br />

tra gli altri, costituivano<br />

per lui un appuntamento da<br />

non perdere quelli del 9<br />

Settembre e del 20 Gennaio<br />

a Casteldelpiano. Se aveva da vendere i buoi o la somara,<br />

partiva di buon mattino con gli animali, procedendo<br />

pazientemente secondo la loro andatura, accompagnato<br />

dal figlio maggiore (anch'egli rivestito "co' panni boni") e,<br />

giunto in fiera, si metteva in attesa d'un compratore.<br />

Quando si presentava qualcuno interessato all'affare,


Artigiani e Contadini<br />

cominciavano le contrattazioni; in questo momento entrava in<br />

scena un 'personaggio importante, amico conoscente di uno<br />

o di entrambi i contraenti, che fungeva da mediatore. Egli<br />

faceva di tutto perchè l'affare andasse a buon fine, in quanto<br />

ne traeva un piccolo utile anche lui. Siccome l'affare si suggellava<br />

con una stretta di mano (che allora valeva più d'un<br />

atto notarile), era una scena simpatica quella che si ripeteva<br />

a più riprese fra i due contraenti e il mediatore: costui, quando<br />

la richiesta del venditore e l'offerta dell'acquirente non<br />

erano troppo lontane, afferrava la mano destra di entrambi, le<br />

portava a stringersi e, prendendole con le sue, le sollevava e<br />

le abbassava due o tre volte pronunciando ad alta voce la<br />

cifra che gli sembrava soddisfacente per tutti e due e concludendo<br />

con la frase:-...e si va a be'!.<br />

La trattativa, a volte,andava avanti a lungo, magari si interrompeva<br />

per riprendere anche a distanza di ore. Lo stesso<br />

avveniva se il contadino, anzichè vendere, aveva da comprare<br />

qualche animale. Alla fiera era quasi sempre abbinato il<br />

mercato, che gli offriva l'occasione di rinnovare qualche arnese<br />

(falci, zappe, coltelli, pietre<br />

per affilare,...); ma il mercato<br />

richiamava soprattutto la massaia<br />

e le figlie, che vi si recavano<br />

col capoccia o da sole: insieme<br />

lo percorrevano più volte in lungo<br />

e in largo, soffermandosi di fronte<br />

ai vari banchi di stoffe, calzature,<br />

pentolame, ceste e panieri,<br />

chiedendo il prezzo di questo o<br />

quell'articolo e contrattandone<br />

abilmente l'acquisto.<br />

Dal momento che tutti, in famiglia,<br />

avevano il desiderio ( e il<br />

diritto) di andare alla Fiera e al<br />

mercato e poiché il podere con i<br />

vari animali non poteva rimanere<br />

solo, il capoccia stabiliva dei<br />

turni, tenendo presenti le necessità<br />

personali che potevano presentarsi<br />

di volta in volta; ma tutti<br />

ci tenevano. Fiera e Mercato<br />

offrivano infatti l'occasione d'incontrare<br />

parenti, amici e conoscenti,<br />

di trascorrere una giornata<br />

completamente diversa da<br />

sempre, di fare incontri e conoscere gente nuova, di godere,<br />

finalmente, di qualche divertimento come ballare, fare qualche<br />

giro sulla "California" (la giostra), ascoltare i cantastorie e<br />

le loro ultime composizioni, mangiare una fetta di cocomero o<br />

gustare un gelato, acquistare, per curiosità, il foglietto del<br />

destino cavato fuori dall'apposito scomparto da un pappagallo<br />

in gabbia,...<br />

Era una piccola felicità che, specialmente i giovani, cercavano<br />

di godere intensamente. Il ritorno al podere, se ogni affare<br />

era stato concluso, aveva luogo nel tardo pomeriggio, ma era<br />

dettato anche dal momento stagionale e dalle condizioni del<br />

tempo: la strada da percorrere spesso era piuttosto lunga ed<br />

era bene essere a casa non troppo tardi.<br />

Non appena fuori dal paese,ognuno calzava di nuovo le scarpe<br />

alte, quelle di tutti i giorni, fangose e polverose, che aveva<br />

portato con sè dentro un sacchetto di panno e vi riponeva<br />

quelle più eleganti che aveva calzato fino a quel momento:<br />

questo uso può far sorridere oggi, ma allora i più giovani, e<br />

specialmente le ragazze, ci tenevano tanto a non far brutta<br />

figura. I giovani, in compagnia di amici e coetanei, incuranti<br />

delle distanze, cercavano di "scappare" in paese almeno la<br />

9<br />

domenica e, per Carnevale, facevano le ore piccole dove si<br />

ballava e dove si offriva l'occasione d'incontrare l'anima<br />

gemella.<br />

Nelle lunghe serate invernali, dopo la cena, consumata all'imbrunire,<br />

per non andare a letto con le galline, ci si riuniva a<br />

"veglia" ora in casa di uno, ora in quella di un altro: davanti al<br />

camino, le donne filavano o facevano la "calza", i bambini giocavano<br />

fra loro con la trottola, le bambine con le bambole di<br />

pezza...spesso rinunciavano al gioco per ascoltare, incantati,<br />

quanto dicevano i grandi circa le avventure capitate a qualche<br />

conoscente comune o a qualcuno di paese di cui avevano<br />

sentito parlare, o si divertivano alle storielle allegre e alle battute<br />

raccontate dai vecchi. Quando invece gli adulti si dedicavano<br />

al gioco delle carte, la loro attenzione era tutta concentrata<br />

nel seguire le varie fasi o nell'osservare, ammirati, la particolare<br />

abilità di qualcuno nel padroneggiare il mazzo e nell'eseguire<br />

qualche giochetto. Ad un certo punto della serata,<br />

l'ospite offriva un po' di schiaccia coi "fricciuli" (piccoli pezzetti<br />

di carne di maiale rosolati nello strutto) o con i fichi secchi e<br />

l'uva passita o, se era tempo di.<br />

Carnevale, un pezzetto di "corollo"<br />

(una sorta di ciambella), dei<br />

biscotti fatti in casa, oppure metteva<br />

in tavola un bel vassoio di<br />

struffoli conditi col miele... il tutto<br />

accompagnato da un buon bicchiere<br />

di vino o da un goccino di<br />

"Marsalla; per gli astemi o gli indisposti,<br />

c 'era una tazzina di caffè<br />

di orzo. Alle ventitrè o poco dopo<br />

si rincasava per quel riposo che<br />

avrebbe consentito a ciascuno di<br />

affrontare, rinfrancato, una nuova<br />

giornata di lavoro.<br />

LA SALUTE<br />

Se per uno, che abitava in paese,<br />

malattie anche lievi come una<br />

bronchite o una semplice influenza<br />

erano motivo di preoccupazione,<br />

per il contadino costituivano<br />

un dramma, soprattutto per la<br />

lontananza del medico e per la<br />

mancanza di mezzi per contattarlo,<br />

e doveva, per forza di cose,<br />

arrangiarsi come poteva. Per determinati malanni faceva<br />

ricorso all'altra medicina, come si dice oggi, nata nelle campagne<br />

e tramandata da una generazione all'altra: curava il<br />

mal di gola con gargarismi di aceto; la bronchite applicando<br />

sul torace empiastri di lino o di crusca bolliti nel vino, oppure<br />

tenendovi sopra semplicemente un mattone o, più frequentemente,<br />

un largo coperchio di coccio fortemente riscaldati sulla<br />

brace e avvolti in panni di lana: dovevano far "maturare" la<br />

tosse e favorire l'espettorato; curava una "storta" (distorsione)<br />

a una caviglia o una slogatura al polso con una chiarata d'uovo<br />

e una fasciatura; una pomata a base di un'erba particolare<br />

detta "lingua di cane", bollita con olio e cera vergine d'api<br />

era il toccasana per una scottatura; l'unto di S.Giovanni,una<br />

sostanza gelatinosa presente all'interno delle escrescenze<br />

(bosce) ,che si formano sui rami degli olmi selvatici per la<br />

puntura d'un insetto particolare, era applicato sulle piccole<br />

ferite. Ricorreva spesso anche all'aiuto di "maghi-mediconi"<br />

e di fattucchiere i quali, con rituali semplici e formule "magiche"(che<br />

univano il sacro e il profano), usavano "contraddire"<br />

mal di testa ricorrenti, vermi intestinali, eczemi, fuoco di<br />

Sant'Antonio e guarire dai colpi di sole.


Artigiani e Contadini<br />

Per le infiammazioni della bocca erano salutari gli sciacqui di<br />

acqua di malva; per quelle di stomaco e d'intestino grandi<br />

bevute di'acqua di gramigna; per il gonfiore provocato dal mal<br />

di denti l'applicazione sulla guancia di fette di patata....<br />

Anche il parto veniva affrontato dalla gestante fra le pareti<br />

domestiche, con l'assistenza delle donne della famiglia e di<br />

altre di qualche podere vicino particolarmente esperte; solo<br />

se il parto si presentava difficile si chiamava la levatrice del<br />

paese.<br />

Questa arrivava con la borsa degli "attrezzi" dopo un viaggio<br />

scomodo e faticoso a dorso d'una somara; se tutto si risolveva<br />

bene, si tratteneva il tempo necessario e faceva ritorno al<br />

paese col solito mezzo, accompagnata dai doni e dalle benedizioni<br />

di chi l'aveva dovuta chiamare.<br />

Nei casi di malattie gravi, come broncopolmoniti, coliche di<br />

fegato e di "torcibu-dello" e "insurti" di cuore si correva a chiamare<br />

il medico, il quale era disponibile a qualsiasi ora del<br />

giorno e della notte.<br />

Anch'egli affrontava il viaggio, a dorso di somaro, con la pioggia<br />

e col vento, con la neve e il solleone. Se il malato doveva<br />

essere ricoverato in ospedale, si presentava il problema del<br />

suo trasporto: con le "strade" che c'erano, uno dei mezzi più<br />

usati era la barella a braccia, quella che si usava per tanti<br />

lavori: sopra un semplice pagliericcio, avvolto in pesanti<br />

coperte, il poveretto giungeva in ospedale in condizioni spesso<br />

disperate, dopo un viaggio penoso, durante il quale si<br />

erano dati il cambio diversi "barellieri".<br />

Se il ricovero non presentava un'urgenza immediata, il malato<br />

viaggiava sul dorso della somara oppure a bordo del carro<br />

11<br />

trainato dai buoi: in questo secondo caso, dati i numerosi<br />

scossoni e balzelloni del mezzo, egli giungeva a destinazione<br />

più morto che vivo. Erano, come ben si comprende, veri e<br />

propri drammi che però, come quello della morte, il contadino<br />

sapeva affrontare con estrema dignità e grande consapevolezza,<br />

sorretto sempre da un profondo senso religioso della<br />

vita.<br />

Ecco tratteggiata,a grandi linee, la difficile vita che il contadi-<br />

no ha condotto, per generazioni, nella nostra montagna, eroicamente,<br />

in un ambiente povero, aspro, in condizioni di estremo<br />

disagio e con mezzi inadeguati.<br />

Per quanto generosamente ha sempre dato alla società con<br />

le sue fatiche e il suo sudore, avrebbe ben meritato, nel<br />

tempo, uno di quei monumenti che si innalzano agli Eroi, ai<br />

condottieri, ai politici...invece ha continuato ad essere inviso,<br />

disprezzato, dileggiato, considerato un "diverso", secondo<br />

una forma di razzismo che ha radici lontane e che, pur cambiando<br />

i tempi, non vuol proprio morire: siamo nel 2000 e per<br />

molti egli rimane sempre un "Gosto"!


L’angolo della ricette<br />

TAGLIOLINI ALL'UOVO IN BRODO<br />

Per i tagliolini si rimanda alla ricetta della sfoglia.<br />

Questo tipo di pasta, tagliata a nastrini sottili, è adatta<br />

soprattutto per le minestre da "cucchiaio". Qui ve ne<br />

propongo due che mi sono sembrate<br />

davvero degne del presente "trattato".<br />

Con brodo di fagioli. Questo brodo<br />

di fagioli è un passato molto semplice,<br />

una variante deliziosa della<br />

minestra di fagioli, appunto, un vero<br />

best-seller della cucina toscana tradizionale.<br />

Si fa un soffritto con una cipolla e<br />

uno spicchio d'aglio. Quando è ben rosolato si aggiungono<br />

3 etti circa di fagioli lessati, qualche foglia di<br />

basilico, quando c'è, e 3 o 4 pomodori pelati. Quando<br />

tutto è cotto ed ha preso sapore si passa il tutto, si<br />

aggiunge 1/2 litro d'acqua e quando il passato bolle ci<br />

si buttano dentro i tagliolini fino che sono cotti. Viene<br />

buono lo stesso anche senza passare i fagioli.Con le<br />

coste o cotenne Altro brodo "leggerino", ma chi non<br />

ha problemi ne approfitti pure che è buono, buonissimo.<br />

In una pentola si mettono 2 etti (4 fette circa) di<br />

ventresca di maiale tagliuzzata a dadini e si fanno<br />

rosolare con una cipolla media tritata e uno spicchio<br />

d'aglio che poi si toglie. Quando il battuto è appassito<br />

si aggiungono 4 ramaioli d'acqua più un dado di<br />

carne, a piacere, e si porta ad ebollizione. Ci si fanno<br />

quindi cuocere i tagliolini e si servono con una spolveratina<br />

di pecorino.<br />

PAGNONE<br />

È la più povera, non c'è dubbio. La più semplice e la<br />

più antica. Per me la più cara perché legata al ricordo<br />

di Aristide, un uomo lungo, vecchio,<br />

dolce, buffo e secco da far<br />

paura. La faceva la sua mamma<br />

questa zuppa, e nel parlarne gli<br />

veniva un velo sugli occhi, poi<br />

diceva il suo moccolo preferito,<br />

una risata e la nostalgia sfumava<br />

leggera in un bicchiere di vino (si<br />

fa per dire... uno!).<br />

Grazie, nonno Aristide, e facci<br />

un brindisi di lassù! In un tegame<br />

basso con un po' di acqua, sale, aglio e peperoncino,<br />

si mettono a cuocere delle fette di pane tagliate piuttosto<br />

spesse, per cinque, sei minuti, badando bene<br />

che rimangano intere. Poi con la schiumarola si tolgono<br />

dal tegame, si mettono in un vassoio, si butta l'acqua<br />

dal tegame e vi si rimettono le fette, condite con<br />

pepe, olio di oliva e pecorino o parmigiano grattato; si<br />

lasciano restringere per un po', coperte, a fuoco lento.<br />

Quindi si adagiano di nuovo nel vassoio e si servono<br />

ben calde.<br />

13<br />

OMBRICHELLI AL PANGRATTATO<br />

Sono i bisnonni degli spaghetti di oggi e si fanno così:<br />

si lavora 1 etto di farina con un po' d'acqua e un pizzico<br />

di sale. Si tagliano delle strisce di pasta alte<br />

meno di mezzo centimetro e si arrotolano<br />

sulla spianatoia. Per il sugo,<br />

invece, si mette a rosolare 1/2 etto<br />

di pangrattato in un bel pezzo di<br />

burro insaporito da uno spicchio<br />

d'aglio che vi abbia soffritto dolcemente<br />

e sia poi stato tolto. Gli<br />

ombrichelli sono buoni anche conditi<br />

con le classiche salse al pomodoro,<br />

ragù, aglio olio e peperoncino.<br />

TAGLIATELLE ALL'AGLIATA<br />

Sapori semplici e freschissimi per queste tagliatelle.<br />

L'alito stanco del dopo non vi distolga, potete essere<br />

certi che ne valeva la pena. Le tagliatelle sono i nastri<br />

di seta della sfoglia, il modo più classico di tagliarla e<br />

l'agliata si fa così: in 4 cucchiai di olio si fanno soffriggere<br />

2 aglietti freschi,mezzo peperoncino, 4 etti di<br />

pelati o, meglio ancora, di pomodori freschi, sbucciati<br />

e strizzati, naturalmente fatti a pezzi. Quando le<br />

tagliatelle sono cotte, al dente, si fanno saltare in questo<br />

sugo aggiungendo all'ultimo momento un ciuffetto<br />

di prezzemolo tritato. Quasi superfluo ricordare che le<br />

tagliatelle si possono condire anche con ragù e salsa<br />

di pomodoro senza nulla togliere in bontà.<br />

I NUDI<br />

E non si vergognano! Disinibiti e sfacciati vanno nel<br />

piatto teneri e pieni di sapore rendendo più leggera la<br />

coscienza di chi è costretto a stare a dieta. Sono, nè<br />

più nè meno che i cuori dei tortelli. In questa ricetta<br />

soltanto, le dosi sono per sei<br />

persone invece che per quattro.<br />

Dunque: si fa un impasto con 1/2<br />

chilo di ricotta e 2 etti e mezzo<br />

circa di spinaci già lessati, strizzati<br />

e tritati. Si aggiungono 3<br />

uova, sale, pepe, una grattatina<br />

di noce moscata e una manciata<br />

di parmigiano grattato.<br />

Si aggiunge quindi la farina nella<br />

misura sufficiente da far sì che i<br />

nudi risultino compatti ma piuttosto morbidi. La forma<br />

è quella oblunga tipica delle polpette.<br />

Per cuocerli si deve farli scivolare in un tegame a<br />

bordi bassi dove l'acqua, leggermente salata, bolle<br />

piano. Si adageranno sul fondo per poi tornare a<br />

galla. Si lasciano cuocere per qualche minuto, poi si<br />

scolano prendendone due o tre alla volta con la schiumarola.<br />

Infine si dispongono in un piatto cosparsi di<br />

burro e salvia o ragù oppure un sugo di pomodoro<br />

molto leggero.


L’angolo della ricette<br />

LE BESTIE<br />

La Maremma non è terra per vegetariani. Escluso i<br />

cavalli e le pecore, e queste ultime solo se ce l'hanno<br />

fatta a raggiungere un'età al di sopra di ogni sospetto,<br />

gli animali, qui, tremano davvero. Come in tutti gli altri<br />

posti del mondo, chi più<br />

chi meno. Ma forse in<br />

Maremma tremano un<br />

po' di più perché sanno<br />

fin dalla nascita che<br />

dovranno morire per<br />

dare origine a festeggiamenti<br />

attesi con trepidazione<br />

per tutto il<br />

resto dell'anno. Se si<br />

eccettuano polli e tacchini<br />

e, ovviamente,<br />

vitelli e vacche, per i<br />

quali ogni momento è<br />

buono e quindi sono<br />

ormai abituati a pensare<br />

che la loro vita è<br />

appesa a un filo, gli altri, poveracci, si consumano fin<br />

dalla più tenera età nell'attesa della fine. Quando poi<br />

arriva agosto e si entra nei mesi della caccia e l'ultimo<br />

prosciutto dell'anno prima è arrivato drammaticamente<br />

all'osso, cinghiali, volatili e maialetti cominciano ad<br />

essere affetti da nevrosi, sindromi depressive e manie<br />

di persecuzione. Forse, per chi sta nei boschi c'è<br />

ancora qualche possibilità dl scampo, remota a dire il<br />

vero visto le migliaia di canne puntate (tra cui quella di<br />

Marcello detto lo Sceriffo che non sbaglia un colpo...),<br />

ma la speranza è l'ultima a morire. I poveri porcelli,<br />

invece, si sentono definitivamente condannati a morte<br />

e negli stanzini affollati si consumano ore drammatiche.<br />

Nessuno ha mai saputo quanto dura la vita di un<br />

maiale o di un pollo, famosi zoologi hanno invano cercato<br />

esemplari di galline vecchie (infatti il brodo è<br />

sempre cattivo), e quando vedete un coniglio bello<br />

grosso non vi illudete, si tratta di un povero adolescente<br />

e nulla più. Ma così è. Non resta che ringraziare la<br />

buona sorte che ci ha voluto uomini e non bestie, e<br />

che ci ha regalato la facoltà straordinaria di dimenticare<br />

eccidi ed ecatombi al solo profumo di un arrosto<br />

come cielo comanda. Anche qui vorrei ricordare che<br />

ho volutamente omesso le ricette tradizionali, cioè<br />

quelle degli arrosti e dei fritti, che sono comunque<br />

eseguite magistralmente dalle donne del mio triangolo.<br />

Ma prima di passare a descrivervi le singole bestie,<br />

i loro martiri e le nostre delizie, vorrei darvi la ricetta<br />

della scottiglia e del buglione, due modi diffusi in questa<br />

zona di cucinare tutte le carni, compresa quella<br />

dell'istrice.<br />

BUGLIONE CON DIVERSI TIPI DI CARNE<br />

Se avete a disposizione anche piccoli quantitativi di<br />

carne di vitello, pollame, coniglio o maiale potete cucinarli<br />

insieme senza alcuna paura che ne venga fuori<br />

qualcosa di poco felice: mischiateli e sarà una grandissima<br />

sorpresa. Anche questa è una ricetta di<br />

Primetta. Tagliare a pezzetti la carne di cui si dispone<br />

(6-7 etti circa) e qualche fettina di pancetta. Fare roso-<br />

14<br />

lare il tutto in una teglia nella quale sia appassito, in un<br />

bicchiere d'olio, uno spicchio di aglio "vestito", con un<br />

rametto di rosmarino e un po' di peperoncino. Vi si<br />

versa quindi un cucchiaio di aceto e si lascia sfumare.<br />

Si aggiungono 3 etti di pomodori pelati oppure un cucchiaio<br />

di conserva di<br />

pomodoro sciolta in un<br />

romaiolo di acqua calda<br />

e si porta infine a cottura.<br />

SCOTTIGLIA<br />

In una padella si fa<br />

rosolare con 4 cucchiai<br />

di olio la carne ci cui si<br />

dispone, tagliata a<br />

pezzi insieme a 2 spicchi<br />

di aglio, 2-3 rametti<br />

di ramerino, peperoncino,<br />

sale e pepe.<br />

Quando si è ben rosolata<br />

vi si versa un bicchiere<br />

di vino bianco lasciandolo poi sfumare, quindi vi si<br />

aggiunge 1 bicchiere di conserva di pomodoro sciolto<br />

in 2 ramaioli di acqua. I tempi di cottura variano a<br />

seconda del tipo di carne. Comunque la scottiglia è<br />

pronta quando la carne è morbida e il sugo giustamente<br />

ristretto.<br />

OSSO DI PROSCIUTTO CON UN PO' DI CARNE<br />

Se il prosciutto è buono, un osso con la carne è quasi<br />

un'utopia, se è vero che la parte migliore di tutta quella<br />

gran coscia sta proprio attaccata lì. Ammesso<br />

comunqueche ce l'abbiate fatta a resistere alla tentazione<br />

di finirlo senza pietà, ecco come sfruttarlo fino in<br />

fondo, coerenti col detto antico "del maiale non si<br />

butta vianulla". La ricetta che segue me la dette molti<br />

anni fa Silda Marioni e ora io la dò a voi: bollire l'osso<br />

con la cotenna che riveste la parte del prosciutto<br />

quando è alla fine, toglierlo dall'acqua, fare a pezzetti<br />

la cotenna e lasciarla insaporire in un tegame dove è<br />

stata fatta appassire una cipolla in poco olio. Dopo<br />

una decina di minuti si aggiungono 3 etti circa di<br />

pomodori pelati e un pezzetto di peperoncino e si<br />

lascia bollire dolcemente per un'oretta. Aggiungere<br />

sale e acqua se occorre.<br />

SPEZZATINO CON CIPOLLE E SEDANO<br />

È uno spezzatino particolare perché il soffritto è composto<br />

di sole cipolle e sedano che danno a questo<br />

piatto un gusto più leggero e diverso da quello dello<br />

spezzatino tradizionale. Si comincia col rosolare .6 etti<br />

di carne di vitello tagliato a tocchetti con una cipolla<br />

affettata e un sedano medio senza foglie in mezzo bicchiere<br />

d'olio, sale e un pezzetto di peperoncino.<br />

Quando il tutto è ben dorato, si spruzza con del vino<br />

bianco e lo si lascia sfumare, quindi si aggiunge 1/2<br />

chilo di pomodori maturi spellati e strizzati oppure 1/2<br />

di pelati. Il sugo deve risultare abbastanza denso. In<br />

questa ricetta la carne di vitello può essere sostituita<br />

degnamente con quella dei pollo.


ALVARO<br />

Il quarto numero della “Meria”, ha visto il successo della<br />

rubrica dedicata ai personaggi grossetani dove abbiamo<br />

ricordato “Giogio” il girovago che si arrabbiava quando<br />

veniva chiamato “quadrinaio”. In questo numero vogliamo<br />

parlare di un’altra figura che è rimasta nella memoria<br />

di tutti coloro che lo hanno conosciuto: Alvaro Antonelli.<br />

A molti questo nome non dirà nulla ma, se al nome<br />

Alvaro abbiniamo le sue<br />

“100 divise ”, nella<br />

vostra mente apparirà<br />

l’immagine di un uomo<br />

distinto con una barba<br />

sempre ben curata e con<br />

indosso una delle centinaia<br />

divise che indossava<br />

immedesimandosi nel<br />

personaggio (fosse un<br />

Generale o semplicemente<br />

Sandokan).<br />

Poiché si spostava , il<br />

popolare personaggio,<br />

non era noto solo in<br />

Maremma ma era conosciuto<br />

anche in molte<br />

città della Toscana. Era<br />

nato il 23 luglio del 1923<br />

a Casteldelpiano dove<br />

morì il 24 febbraio del<br />

1985. Alvaro era inconfondibile,<br />

si trasformava<br />

secondo le occasioni, lo<br />

potevamo incontrare<br />

quindi, vestito da poliziotto,<br />

pompiere, vigile<br />

urbano, aviatore, astronauta,<br />

alpino, colonnello<br />

dei carabinieri, maresciallo<br />

di picchetto, ecc.<br />

In ogni festa, in ogni<br />

sagra paesana,alle feste dell’Unità o dell’Avanti era sempre<br />

presente. Al Palio di Siena ad esempio scrutava<br />

attentamente il probabile vincitore e dopo essersi assicurato<br />

che il Palio era vinto da una certa Contrada, si dirigeva<br />

verso il vincitore e si univa ai festaioli gridando e<br />

plaudendo fino a tardi, fino a quando si metteva a tavola<br />

con i vincitori, rimediando così una cena memorabile che<br />

sarebbe dovuta servire per diversi giorni. Infatti Alvaro<br />

mangiava poche volte, non avendo una lira in tasca, ma<br />

quando capitava l’occasione recuperava gli arretrati. In<br />

queste occasioni tutti lo conoscevano e tutti cercavano di<br />

aiutare questo innocuo personaggio che continuava a far<br />

sorridere la gente con la sua bontà e semplicità sconfinata.<br />

Le sue metamorfosi continuavano ogni giorno e la<br />

gente sorrideva, non poteva fare a meno di stare allegra;<br />

ognuno ricompensava Alvaro con un dono, con un bicchiere<br />

di vino, con un piatto di minestra o con una mancia.<br />

Era molto servizievole, umile come un agnellino; i<br />

bambini gli volevano bene e lui ne voleva a loro. Alvaro<br />

non ha mai fatto del male a nessuno, non ha mai dato<br />

noia, non ha mai rubato neanche un panino, anche se la<br />

fame arretrata glie lo avrebbe consigliato. Ricordo quan-<br />

16<br />

do veniva nel mio bar di Grosseto e si metteva a sedere<br />

parlando con altri avventori, era capace di stare lì per<br />

molto tempo senza nulla chiedere. Dopo un po’ mio<br />

padre prendeva una lasagna dalla vetrina calda e glie la<br />

regalava; allora accettava con entusiasmo ma, prima di<br />

mangiarla ringraziava almeno 10 volte. Alvaro girava il<br />

mondo sempre a piedi, senza soldi, senza un riparo e<br />

senza un letto; era un<br />

formidabile camminatore,<br />

ha visitato tutti paesi<br />

della Maremma spingendosi<br />

a volte anche in<br />

altre città come: Siena,<br />

Livorno, Pisa e Roma.<br />

Era un personaggio allegro,<br />

raramente mi è<br />

capitato di vederlo pensieroso.<br />

L’ho visto piangere<br />

solamente una<br />

volta quando, prese<br />

fuoco una piccola<br />

capanna nella pineta di<br />

Marina di Grosseto. In<br />

quel caso Alvaro piangeva<br />

non per questa<br />

capanna fatta di frasche<br />

e legni assemblati in<br />

maniera molto artigianale,<br />

ma per le sue divise<br />

che vi erano custodite.<br />

Le piangeva come si<br />

piange una persona<br />

cara, in quel momento<br />

aveva perso tutto il suo<br />

tesoro accumulato nel<br />

corso degli anni; era<br />

come un bambino che si<br />

ritrovava orfano. Ci fu in<br />

quel momento una grande<br />

gara di solidarietà, affinché gli fossero donate altre<br />

divise nuove; ricordo che anche la direzione del teatro<br />

degli Industri partecipò regalandogli i costumi di scena<br />

che le varie compagnie avevano lasciato. Quando incominciò<br />

a ricevere questi regali, Alvaro, li mostrava come<br />

avrebbe fatto un bambino mostrando un dono tanto desiderato.<br />

Una sera lo incontrai a Marina di Grosseto, vestito da<br />

carabiniere, che scortava l’allora senatore Silvano<br />

Signori, il quale gli chiese di montare di guardia agli<br />

stand del festival dell’Avanti dopo la chiusura, e per<br />

ricompensa i cuochi gli avrebbero lasciato una lauta<br />

cena. Alvaro accettò di buon grado ma, dopo aver consumato<br />

la cena fu preso dal sonno e, sdraiandosi su di<br />

un tavolo si mise a dormire. Il senatore vedendolo si<br />

mise a ridere e si allontanò.<br />

Alvaro ci ha lasciato il 24 febbraio del 1985 ed oggi riposa<br />

nel cimitero del suo paese natio, grazie anche all’amico<br />

Silvano che contribuì in maniera sostanziale alle<br />

spese del suo funerale. Con queste poche righe ho voluto<br />

ricordare un personaggio umile, che per molti di noi è<br />

diventato leggenda.


Padre Giovanni<br />

Solitamente questa rubrica è tenuta dall'amico Virgilio<br />

Galli grande studioso del Venerabile Padre Giovanni di<br />

Batignano; per questo numero Virgilio non ha potuto partecipare,<br />

causa le non perfette condizioni<br />

di salute della moglie, a cui rivolgiamo<br />

i nostri più sentiti auguri di una<br />

pronta guarigione. Per non interrompere<br />

una rubrica a cui tengo in maniera<br />

particolare, ho cercato di documentarmi,<br />

parlando con alcuni amici di<br />

Batignano. Vorrei sottolineare che<br />

sulla figura di Padre Giovanni, mai<br />

avrei pensato potesse esistere tanta<br />

devozione.<br />

A Batignano molti ne parlano come se<br />

parlassero di un familiare appena perduto,<br />

diverse famiglie nel paese<br />

hanno una piccola reliquia che tengono<br />

custodita gelosamente. Aspettando<br />

il ritorno dell'amico Virgilio, vorrei raccontarvi<br />

un aneddoto che mi è stato narrato da una<br />

devota. Si dice che Padre Giovanni un giorno decise di<br />

costruire il convento di Santa Lucia ma, per trasportare il<br />

materiale atto alla costruzione, sarebbero stati necessari<br />

dei buoi ed un carro. Come fare? In paese c'era un<br />

signore che avrebbe potuto prestare ai frati, alcuni animali<br />

da lavoro. La famiglia Franci infatti, era proprietaria<br />

di immense distese di terra e di centinaia di bestie vaccine<br />

che allevava nelle macchie di Monte Leoni. Padre<br />

Giovanni decise di recarsi dal signor Franci per chiedergli<br />

il prestito di due buoi. Quest'uomo sentendo la sua<br />

richiesta ed essendo molto egoista non volle dargli gli<br />

animali che aveva nelle stalle già domi, ma lo invitò ad<br />

andare a prenderli a Monte leoni, sicuro com'era che mai<br />

18<br />

sarebbe riuscito a prenderne uno. Padre Giovanni si<br />

recò nelle macchie e quando vide il branco delle bestie<br />

gli si avvicinò. Due buoi grossi che facevano paura solo<br />

a guardarli e che non erano stati mai<br />

domati, si fecero incontro al<br />

Venerabile e si inginocchiarono. Il<br />

Frate si tolse il cordone dal saio e li<br />

legò. I due animali lo seguirono come<br />

due agnellini, fecero tutto il lavoro di<br />

trasporto del materiale per la costruzione<br />

del convento e, quando i lavori<br />

furono finiti Padre Giovanni si recò<br />

dal Franci per restituirli. Però, appena<br />

i buoi furono messi in libertà, ritornarono<br />

allo stato brado come erano<br />

prima lasciando il proprietario perplesso<br />

per quello che era successo<br />

e, siccome stava dando una festa,<br />

invitò il Venerabile alla sua tavola. Il<br />

Venerabile accettò ma, quando furono<br />

per mangiare, Padre Giovanni tirò fuori dal saio un<br />

pezzo di pane e lo mangiò. Il padrone di casa offeso gli<br />

disse:<br />

"Ti sei portato il pane da casa? Pensavi che non ci fosse<br />

qui?" A quelle parole il Frate prese un pezzo di pane e<br />

disse: io non mangio il sangue dei poveri e spezzandolo<br />

ne uscì sangue che macchiò la tovaglia. Finita la festa<br />

prima di congedarsi Padre Giovanni esclamò: "Casa<br />

Franci, casa Franci sempre addietro mai avanti" quasi a<br />

presagio dell'imminente fine delle sue ricchezze.<br />

La reliquia della tovaglia, raccontano a Batignano, è<br />

andata persa durante l'ultima guerra quando minarono il<br />

palazzo che la ospitava ma c'è chi giura (quelli più vecchi)<br />

di averla vista portata in processione.


INASPETTATAMENTE, DALLA MAREMMA TOSCANA,<br />

IL TREND PIÙ INNOVATIVA DEL WEB<br />

Può sembrare incredibile, ma è proprio dalla Maremma<br />

Toscana, territorio sinonimo di agricoltura e tradizione,<br />

che in questi giorni ha visto la luce uno dei progetti più<br />

innovativi nel campo della tecnologia internet.<br />

Qualità, usabilità, servizi: queste le parole d'ordine<br />

attorno alle quali il team di MaremmaOnline ha lavorato<br />

intensamente, in questi ultimi mesi, per realizzare un<br />

sogno. Da ricordare anche la gestione dei portali:<br />

SaturniaOnline.it,<br />

MaremmaOnline.it<br />

Saturnia-Terme.net.<br />

Non si tratta semplicemente di una nuova veste grafica.<br />

E' qualcosa di più, e di molto diverso, che nasce, anzitutto,<br />

dalla rigorosa, quasi maniacale, implementazione<br />

di alcuni concetti di base, usati come costante punto di<br />

riferimento nello sviluppo di ogni singolo dettaglio del<br />

progetto. Queste linee-guida, frutto del fortunato mix di<br />

esperienze in settori complementari maturate dagli<br />

ideatori, mirano al non semplice obiettivo di creare per<br />

l’utente un’ esperienza di navigazione simultaneamente<br />

riposante ed utile, grazie anche ad un approccio volutamente<br />

minimalista, basato su qualità, fruibilità e coerenza<br />

dei contenuti, in contrapposizione a quella dilagante<br />

tendenza del web che spesso obbliga il povero navigatore<br />

a districarsi in un vero e proprio mare di stimoli inutili,<br />

se non addirittura<br />

incoerenti. In particolare,<br />

Enrico Cristaldi, ideatore<br />

di SaturniaOnline e<br />

MaremmaOnline, si è<br />

occupato dell’architettura<br />

globale del progetto e<br />

degli aspetti relativi all’ergonomia<br />

di navigazione;<br />

Luca Vignali, oltre a coordinare<br />

il team di grafici e<br />

sviluppatori della Web<br />

Agency ha apportato la<br />

tecnologia proprietaria<br />

“EasyAdmin”, che ha reso<br />

possibile l’incredibile flessibilità<br />

del software sviluppato;<br />

Andrea Bocchi ha esaminato con cura certosina<br />

gli aspetti grafici, ed ha contribuito con numerosissimi<br />

scatti fotografici da lui stesso realizzati.<br />

Si tratta, per l’entusiasta team di MaremmaOnline, di un<br />

modo “azzeccato” per lasciar trasparire, anche nel<br />

mondo virtuale, la bellezza e l'unicità di quella zona<br />

della Maremma Toscana che porge il braccio a<br />

Saturnia, e comunicare le modalità più varie per poterne<br />

apprezzare e personalizzare tutti gli aspetti. Un<br />

sogno, nato in Maremma, di chi ama la Maremma, e,<br />

amandola, ha il piacere e l'esigenza culturale di far sì<br />

che tutti la vivano in profondità.<br />

Il gioiellino tecnologico, on line da pochi giorni, coniuga<br />

la grande varietà delle informazioni con l'estrema facilità<br />

d'uso, per ogni target e per ogni utente, che potrà<br />

scegliere le strutture ricettive più adatte ai suoi bisogni,<br />

con la possibilità, in un click, di confrontare prezzi e servizi,<br />

selezionare le caratteristiche del soggiorno più<br />

consone alle proprie esigenze, apprezzare le offerte più<br />

19<br />

vantaggiose.<br />

Così come è possibile accedere alle soluzioni relative<br />

soltanto a determinate località, e tanto altro ancora.<br />

tutto da scoprire.<br />

L'architettura del sito è pensata appositamente per rendere<br />

ogni informazione accessibile con pochissimi click;<br />

l'interfaccia è lineare, non sovraffollata, e gli argomenti<br />

sono raggruppati in poche, ma efficaci, categorie.<br />

Le splendide foto di ABph3.com e di altri grandi fotografi<br />

del territorio, accompagnano, il viaggio nel portale;<br />

ma, è solo un assaggio delle belle immagini della<br />

Maremma “dal vero”.<br />

Le informazioni sulla ricettività turistica sono aggiornate<br />

in tempo reale direttamente dai titolari delle strutture<br />

stesse. Il portale non si occupa solo di turismo, sono<br />

presenti, infatti, tante interessanti ed inedite informazioni<br />

su Saturnia e le sue terme, ma anche su Manciano,<br />

Semproniano, Sorano, Pitigliano, Scansano e il Monte<br />

Amiata, con i loro prodotti, le loro tipicità, le loro culture.<br />

La versione on line, appena pubblicata, rappresenta in<br />

realtà solo una parte del progetto complessivo, che fra<br />

l’altro prevede un coinvolgimento attivo e diretto degli<br />

utenti, perfettamente coordinato con lo spirito del Web<br />

2.0.<br />

L’interazione con gli utenti ha già iniziato a concretizzarsi<br />

mediante un interessante<br />

servizio di newsletter,<br />

curato dalla giornalista<br />

Elisabetta Tollapi.<br />

Nella newsletter online<br />

(iscrizione gratuita su<br />

http://news.maremmaonline.it),<br />

si trovano<br />

anche informazioni su<br />

feste, tradizioni, sagre,<br />

rassegne culturali, eventi<br />

di ogni genere che<br />

accompagnano e sanno<br />

rendere speciale la<br />

vacanza in Maremma; le<br />

pagine più visitate risultano<br />

essere quelle dedicate<br />

alla cucina tipica maremmana.<br />

MaremmaOnline.it è stato progettato per svilupparsi<br />

ben oltre il concetto di classico portale internet al quale<br />

fino ad oggi siamo stati abituati: è destinato, man mano<br />

che le estensioni già in fase di lavorazione saranno<br />

implementate, a trasformarsi in una piazza virtuale,<br />

centrata e mirata sulla nostra terra, dove si creano rapporti<br />

professionali ed umani, destinati a non rimanere<br />

solamente virtuali.<br />

MaremmaOnline tende così a costituire un ponte che<br />

guida, aiuta e conduce dalla realtà virtuale alla realtà<br />

“reale”, ancora una volta in contrapposizione alla più<br />

facile tendenza a percorrere tale ponte nella direzione<br />

inversa.<br />

Buona navigazione, ..e mi raccomando, controllate<br />

periodicamente gli sviluppi!<br />

Pier Nello Cicaloni


UN PEZZO DI VITA ENTRA NELLA STORIA<br />

La città questa sera si presenta deserta e silenziosa.<br />

Mi trovo a percorrere le sue strade in<br />

questa mite sera di Natale senza incontrare<br />

anima viva. Un silenzio quasi irreale.<br />

Guardo la mia città e la trovo profondamente<br />

cambiata; ripenso a quando bambino giocavo<br />

con i miei amici d’infanzia lungo il viale della<br />

Pace, all’ombra di quei meravigliosi olmi che<br />

hanno rinfrescato tante generazioni di nipotini e<br />

nonni. In fondo, proprio dove il viale confluisce<br />

nell’ Aurelia, esisteva il bar notturno, (poi trasformato<br />

in albergo ristorante La Pace) ma,<br />

sino alla fine degli anni 70 era conosciuto da<br />

tutti come il bar notturno dei fratelli Cicaloni.<br />

Dal 1956, anno in cui Amelio insieme ai fratelli<br />

Alberto e Alfio lo acquistarono, questo locale<br />

divenne il punto di incontro di molti grossetani<br />

e, fino al 1972, anno della grande crisi, il bar<br />

notturno era rimasto sempre aperto: giorno e<br />

notte, con due soli giorni di chiusura all’anno<br />

che coincidevano con il giorno di Natalino ed il<br />

giorno del primo dell’anno. Quanti grossetani in<br />

là con gli anni possono dire di essere stati dai<br />

Cicaloni a mangiare le lasagne, la salsiccia con<br />

i fagioli o le acciughe sottopesto, dopo essere<br />

22<br />

usciti dal cinema, da una sala da ballo o dall’ippodromo.<br />

Moltissimi i cacciatori che si davano appuntamento<br />

lì prima di partire per raggiungere i luoghi<br />

di caccia.<br />

Ora purtroppo un altro pezzo della nostra storia<br />

ci ha lasciato, i titolari dell’albergo ristorante<br />

La Pace, hanno deciso di chiudere l’attività.<br />

Dopo 51 anni di attività, un altro locale storico<br />

chiude i battenti, e lo fa a pochi giorni dalla<br />

scomparsa di un altro dei suoi fondatori (lo zio<br />

Alberto). Vedere quelle saracinesche abbassate,<br />

quelle insegne spente, i locali vuoti, dove ho<br />

passato metà della mia vita, insieme ai miei<br />

genitori, ai miei zii, ai miei cugini e a tutti gli<br />

amici, mi rattrista e mi addolora.<br />

Mi soffermo in macchina davanti a quelle porte<br />

e nella mia mente appaiono le immagini di luci<br />

e di allegria, di serate estive passate al fresco<br />

degli olmi con amici molti dei quali purtroppo<br />

non ci sono più.<br />

Le immagini di gioia lasciano ormai il posto alla<br />

notte e al silenzio di una sera di Natale, che<br />

non avrei mai immaginato di vivere.<br />

Pier Nello Cicaloni


QUATTRO ERBE<br />

LA MAREMMA E LE SUE PIANTE MEDICI-<br />

NALI<br />

Nell’estesa e florida Maremma, che dal mare<br />

s’alza sino alle falde del Monte Amiata, crescono<br />

in abbondanza molte erbe medicinali che<br />

hanno spiccate proprietà curative per gli uomini<br />

ed anche per gli animali da lavoro nei campi.<br />

Tra le molteplici erbe maremmane ne ho scelte<br />

quattro, per parlarne in quest’occasione d’appunto<br />

botanico tre di queste: l’Appeggi, il<br />

Bosso e l’Equiseto, sono abbastanza conosciute<br />

ai più, ed una, al contrario l’Erba<br />

Cavallona, usata in veterinaria, è conosciuta<br />

solo dai vecchi contadini e pastori di un tempo<br />

che possedevano cavalli, somari ed asini da<br />

basto.<br />

PARLIAMO ORA DELL’APPEGGI:<br />

In particolare nella spiaggia della marina di<br />

Principina a Mare cresce in abbondanza una di<br />

queste erbe che ho scelto:<br />

l’Appeggi, Juniperus<br />

oxycedrus L. conosciuto<br />

anche come ginepro<br />

rosso. Questa è una<br />

pianta a portamento<br />

arbustivo, appartenente<br />

alla famiglia delle<br />

Cupressacee, molto<br />

simile al Ginepro, ma<br />

con bacche più grandi e colorate con lievi toni<br />

violacei variegati al rosso mattone.Dal suo<br />

fusto si ricaverebbe un legno pregiato, scuro e<br />

profumato, duro da lavorare, se non ne fosse<br />

vietato il taglio com’è appunto, fortunatamente,<br />

nel nostro territorio nazionale. Fornisce, inoltre,<br />

un composto chimico oggi impiegato, per uso<br />

esterno, nelle affezioni locali della pelle quali<br />

ad esempio l’eczema e la psoriasi. Questo<br />

composto, estratto con particolari metodi industriali<br />

è immesso in pomate per la pelle dalle<br />

più svariate qualità.<br />

PARLIAMO ORA DEL BOSSO:<br />

Tuttavia, nella pratica popolare si usava estrarre<br />

dagli arbusti, tramite linimento, (mistura d’alcool<br />

ed olio di sesamo), le sue parti chimiche<br />

attive aggiungendovi anche un’altra pianticella<br />

comune in Maremma: il Bosso, Boxus semper-<br />

24<br />

virens L.. Quest’ultima è una pianta sempreverde<br />

dell'altezza di circa 4 metri. Per la compostezza<br />

della linea, e il colore lucente delle foglie<br />

ovali e fitte è utilizzata come ornamento in giardini<br />

e parchi ed è anche disposta in siepi recinge<br />

aiuole. Allo stato spontaneo cresce bene sui<br />

terreni aridi e rocciosi e si trova diffusa anche<br />

in Maremma, dal mare ai pre Appennini.<br />

Con il linimento ricavato da queste due erbe, la<br />

medicina popolare, riporta esperienze che indicano<br />

appunto, l’ottenimento di un beneficio<br />

cutaneo su svariate forme eczematose.<br />

PARLIAMO ORA DELL’EQUISETO:<br />

Quest’erba, Equisetum arvense L., comunem<br />

e n t e<br />

denominata<br />

coda di<br />

cavallo , è<br />

perenne a<br />

rizoma sottileserpeggiante,<br />

fusti<br />

sterili scanalatiscabri<br />

e foglie<br />

in verticilli,<br />

fusti fertili<br />

precoci piccoli<br />

striati,<br />

portanti gli<br />

sporangi.<br />

È una pianta<br />

fossile<br />

vivente ,<br />

infatti le sue origini risalgono a 150 milioni d’anni<br />

fa, quando v’erano i dinosauri, ma allora raggiungeva<br />

l’altezza di ben trenta metri! È diffusa<br />

in terreni umidi ricchi di silice e oggi, può


QUATTRO ERBE<br />

crescere in altezza solo sino ad un metro e<br />

mezzo o poco più. È piccola rispetto alle sue<br />

origini, ma le sue proprietà benefiche sono<br />

veramente grandi!<br />

Oggi, con i metodi industriali, si estrae il succo<br />

e tramite procedimenti di rapida disidratazione<br />

si ottiene una polvere, estratto secco nebulizzato<br />

, titolato e molto ricco dei suoi principali<br />

principi attivi. La medicina polare lo utilizzava<br />

per curare la decalcificazione ossea, così<br />

come l’apparato urinario favorendone le funzioni<br />

e apportando<br />

beneficio nei casi<br />

d’infiammazioni<br />

con perdita di sangue.<br />

Si utilizzava in<br />

forma di decotto<br />

oppure polvere<br />

ottenuta dalla macinatura<br />

della pianta<br />

secca.<br />

Era utilizzata anche<br />

nella cura d’irritazioni<br />

cutanee in<br />

forma di succo<br />

spremuto, applicato<br />

direttamente sulla<br />

parte infiammata,<br />

oppure tamponandole<br />

con batuffolo<br />

intriso della sua tintura.Per<br />

uso interno,<br />

oltre al ruolo<br />

remineralizzante e<br />

diuretico, era utilizzato<br />

per apportare<br />

beneficio all’apparato<br />

digerente ed<br />

arterioso nel suo<br />

insieme, migliorandone la funzionalità e conferendo,<br />

conseguentemente, alla cute lucentezza<br />

e morbidezza. Per uso esterno era anche<br />

utilizzato in combinazione con la tintura di<br />

iodio, per far essiccare le verruche seborroiche<br />

rendendole facili da estirpare, tramite uso topico,<br />

ed anche per devitalizzare ed eliminare le<br />

escrescenze carnose chiamate volgarmente<br />

porretti.<br />

25<br />

PARLIAMO ORA DELL’ ERBA CAVALLONA:<br />

Di quest’erba, utilizzata prevalentemente in<br />

veterinaria, non ho ritrovato riferimenti botanici<br />

precisi e quindi mi limito a riportare l’esperienza<br />

popolare dei contadini della Maremma.<br />

Loro dovevano curare spesso e volentieri le<br />

profonde ferite che: muli somari e cavalli, si<br />

procuravano durante il trasporto dei legnami<br />

caricati sul loro basto. A quei tempi i veterinari<br />

erano gli anziani contadini che trasferivano ai<br />

figli l’esperienza del passato e così, gli toccava<br />

curare le bestiole<br />

ferite con i mezzi di<br />

cui disponevano in<br />

campagna.<br />

La natura offriva<br />

generosa una pianticella<br />

perenne che<br />

raggiungeva al<br />

massimo un metro<br />

d’altezza dalla<br />

quale si otteneva,<br />

tramite decotto, un<br />

liquido altamente<br />

vulnerario che riarginava<br />

entro breve<br />

tempo le copiose<br />

emorragie che scaturivano<br />

delle ferite,<br />

permettendone una<br />

rapida guarigione.<br />

Oggi non diamo<br />

molto peso a quella<br />

sapienza dei nostri<br />

antenati, perché<br />

disponiamo di<br />

medicinali anche<br />

nei piccoli casolari<br />

sparsi nella campagna<br />

maremmana, ma è certo che ancora oggi,<br />

qualche anziano stalliere utilizza questo rimedio<br />

naturale che generosamente ci offre la<br />

natura.<br />

Pier Luigi Tenci


GAVORRANO<br />

I FORNI E LE SCHIACCE DI PASQUA<br />

Quando eravamo ragazzi (siamo negli anni 30')<br />

l'assortimento dei negozi alimentari a<br />

Gavorrano non era quello che<br />

oggi conosciamo.<br />

Si potevano considerare in circa<br />

seicento gli articoli venduti dal<br />

"bottegone", il negozio della<br />

zona più grande di allora, mentre<br />

oggi gli articoli commerciati<br />

anche dal più piccolo negozio<br />

sono almeno tra i duemila ed i<br />

duemilacinquecento.<br />

Il reparto con il più esiguo assortimento<br />

era quello dei dolci: solo<br />

biscotti secchi, che venivano<br />

chiamati Marie,erano di norma<br />

presenti. Erano contenuti in scatole<br />

tradizionali di latta di forma<br />

cubica, con una finestra di vetro<br />

che faceva intravedere il contenuto.<br />

Questi biscotti sono stati<br />

venduti per anni ed anni al prezzo di 100 lire<br />

per ogni tre etti di prodotto.<br />

Non erano ancora presenti merendini o simili e<br />

tutto il pletorico assortimento che oggi si trova<br />

nel comparto dei dolciumi.<br />

Durante le ricorrenze festive o in occasione di<br />

matrimoni od altre feste familiari ognuno doveva<br />

quindi provvedere direttamente alla produzione<br />

dei dolci.<br />

Citiamo i Burrini, i Genovesi , il Panducale, la<br />

Pasta Frolla, le Pesche che ricordavano nella<br />

forma il prelibato frutto e quando era possibile<br />

venivano anche decorate con foglie fresche<br />

dell'albero di pesco. A Pasqua poi c'erano le<br />

Schiacce, dolce obbligatorio tradizionale.<br />

Erano presenti in paese alcune donne che si<br />

erano specializzate nella produzione di dolci e<br />

svolgevano quest'attività anche per conto di<br />

altri.Per tutte queste esigenze erano disponibili<br />

in paese numerosi forni a legna. Poi tutte le<br />

case coloniche avevano forni che venivano<br />

usati per la cottura del pane che ognuno preparava<br />

per proprio conto con cadenza settimanale.Anche<br />

in paese erano rimaste alcune famiglie<br />

benestanti, tradizionalmente affezionate al<br />

passato, che usavano fare il pane proprio<br />

conto. Insieme al pane queste famiglie confezionavano<br />

anche semplici schiacciate con sale<br />

ed olio e con zucchero che emanavano un<br />

odore particolare e gradevolissimo durante la<br />

sfornatura ed il trasporto. Alcune, per la gioia di<br />

noi ragazzi, producevano anche schiacce piccolissime<br />

che riproducevano figurine di animali.<br />

Anche una forma stilizzata di omino veniva<br />

27<br />

spesso eseguita. Qualche volta queste schiaccette<br />

venivano offerte ai bambini che erano<br />

sempre presenti, attorno ai forni, per assistere<br />

alle operazioni di cottura, ma<br />

anche nella speranza di ricevere<br />

in dono qualcosa.<br />

Per scaldare i forni si usavano<br />

prevalentemente sarmenti di vite<br />

o frasche di ulivo. Il forno si poteva<br />

considerare al punto giusto di<br />

riscaldamento quando si produceva<br />

la "bronza", una crosta<br />

biancastra che si depositava, o<br />

meglio si attaccava , su tutta la<br />

cupola interna del forno e che<br />

doveva essere rimossa con uno<br />

spazzolone di frasche verdi, con<br />

lungo manico, prima di introdurre<br />

i prodotti da cuocere. Durante il<br />

periodo pasquale i forni erano<br />

sempre aperti, giorno e notte, in<br />

quanto le schiacce di Pasqua<br />

dovevano essere infornate nel momento esatto<br />

in cui erano perfettamente lievitate. Questo<br />

evento però si verificava in orari che non era<br />

possibile programmare.<br />

La temperatura e l'umidità dell'ambiente erano<br />

elementi che favorivano od ostacolavano tale<br />

lievitatura. Certe volte, quando la temperatura<br />

ambiente era piuttosto bassa, ho visto mia<br />

nonna mettere tutte le schiacce a letto con il<br />

"prete" ed uno scaldino contenente carboni<br />

ardenti coperti con cenere.<br />

Questo espediente avvicinava il momento in<br />

cui poteva partire per il forno, con la tradizionale<br />

tavola che in genere veniva trasportata sopra<br />

la testa da donne equilibriste con l'ausilio del<br />

"sorcello" un rotolo di stoffa avvolta a guisa di<br />

anello.Comunque il momento della lievitatura<br />

non si poteva in alcun modo prevedere e non<br />

erano rari i casi in cui, anche in piena notte, si<br />

dovesse partire in fretta e in furia verso il forno<br />

altrimenti si sarebbe rischiato il deterioramento<br />

di tutto l'impasto. Le schiacce di allora, proviamo<br />

a ricordarle, avevano un profumo ed una<br />

consistenza che non è nemmeno paragonabile<br />

a quelle che oggi vengono industrialmente prodotte,<br />

e rimanevano disponibili in casa, chiuse<br />

nell'armadio, per lunghissimi tempi anche dopo<br />

le festività mantenendo inalterate tutte le loro<br />

preziose qualità ed il loro inconfondibile sapore.<br />

RENZO CECCARELLI<br />

> 1997


PETRICCI<br />

L'ALLEGRIA:<br />

IL RITO DEL FUOCO IN ONORE<br />

DELL'ASSUNTA A PETRICCI<br />

di Giancarlo Rossi<br />

Tutti gli anni, la sera del 14 Agosto, ritorna<br />

puntualmente nel mio pensiero l'usanza ormai<br />

scomparsa del fuoco dell'Allegria.<br />

All'imbrunire di quella calda giornata di mezzagosto<br />

in tutte le borgate del paese di Petricci<br />

venivano accesi i falò, che erano di buon auspicio<br />

e ringraziamento per la Madonna. Certo,<br />

per molti, era una sorte di sfida per chi riusciva<br />

a far durare più a lungo questo fuoco, simbolo<br />

di amore, fede e devozione verso la Madonna<br />

Assunta.<br />

Un ricordo intenso, molto bello legato anche<br />

poi al paese che gode di un panorama mozzafiato,<br />

guardare verso la maremma, lungo la<br />

valle del fiume Albegna, fino all'Argentario:<br />

questi fuochi accesi in qua e là nelle campagne,<br />

vicino ai poderi, falò ora più grandi, a tratti<br />

solo un lumicino.<br />

Dove se ne spengeva<br />

uno come per magia<br />

se ne scorgeva un<br />

altro: sembrava che si<br />

dessero il cambio per<br />

far durare più a lungo<br />

questa festa.<br />

Il materiale per fare i<br />

fuochi era il frutto di<br />

tutto ciò che si poteva<br />

reperire in campagna<br />

durante l'anno: l'erba<br />

tagliata ai bordi delle<br />

siepi, rovi e sterpi nelle scarpate delle strade,<br />

vecchie scartocciature di granturco, gli scarti<br />

dell'orto; bucce di fagioli e ceci, i tralci delle<br />

vigna, le spollonature degli olivi, insomma veniva<br />

recuperato un po' di tutto, anche la stoppia<br />

tagliata dalla mietilega veniva sradicata per far<br />

più volume nel monte del raccolto da ardere e<br />

custodita con cura per quella serata.<br />

Il trasporto di questo materiale per lo più veniva<br />

effettuato per mezzo di barelle fatte di legno:<br />

due pertiche legate tra di loro con dei legni<br />

incrociati e portate da due persone; se il trasporto<br />

veniva effettuato da lontano servivano<br />

vari riposi prima di arrivare alla meta. Le carrette<br />

in questo lavoro si usavano poco perchè il<br />

28<br />

materiale trasportato era ingombrante, ma non<br />

pesante. I più piccoli poi, facevano a gara tra di<br />

loro nel portare un fascietto a spalla legato con<br />

una corda di juta, a volte esagerata, presa nella<br />

stalla di nascosto al babbo o al nonno.<br />

Il culmine dell'allegria era quello di mettere nel<br />

falò della ginestra appena tagliata, quindi<br />

verde, e la cicuta al pieno della sua maturazione<br />

estiva che a contatto della fiamma viva<br />

schioccavano con grande rumore mentre tutti i<br />

presenti esclamavano e urlavano "Viva Maria!",<br />

"Viva Maria e chi la creò!", sbattendo le mani<br />

tutti insieme in cerchio intorno al falò, applaudendo<br />

e augurando buona fortuna.<br />

I ragazzi più giovani come buon auspicio a<br />

questo punto saltavano il fuoco sfidando le<br />

fiamme: sicuramente questo gesto era collegato<br />

alla purificazione che si compie la notte del<br />

sabato santo.<br />

Questa tradizione si è tramandata di generazione<br />

in generazione fino agli inizi degli anni<br />

'70 del secolo scorso, quando poi tutto è un po'<br />

cambiato. A dare il colpo di grazia a questa<br />

festa, purtroppo, sono<br />

state le nuove norme<br />

antincendio per il<br />

periodo estivo, quando<br />

era ed è tuttora proibito<br />

accendere fuochi in<br />

questo periodo dell'anno.<br />

Peccato: con il passare<br />

del tempo si è persa<br />

anche questa tradizione.<br />

Certo è che in quel<br />

tempo la campagna era nel suo splendore,<br />

tutto pulito e tutto curato e senza dubbio l'abilità<br />

e l'esperienza della gente di paese e di campagna<br />

era grande. Non si è mai sentito dire che<br />

nella nostra zona un fuoco fosse sfuggito alla<br />

guardia di questa gente; eppure ve lo giuro, di<br />

fuochi così, quella sera, c'erano a migliaia.<br />

--<br />

Lorenzo Galeazzi


ROCCALBEGNA<br />

Roccalbegna si presenta al visitatore in tutto il<br />

aspetto medioevale, la famiglia Aldobrandeschi<br />

dominò per molti<br />

anni il borgo fino a<br />

quando non fu sottomesso<br />

alla<br />

Repubblica di<br />

Siena, il suo monumento<br />

più insigne<br />

risulta essere la<br />

chiesa dei Santi<br />

Pietro e Paolo, sulla<br />

piazza centrale<br />

dove si affacciano<br />

anche il Comune e<br />

la piccola ma suggestiva<br />

Torre Civica<br />

con il suo orologio (che i nostri lettori ricorderanno<br />

per essere stata la copertina del n° 3 della<br />

nostra rivista. Roccalbegna prende il nome da<br />

Rocca per essere un paese fortificato e Albegna<br />

dal fiume nasce a poca distanza dal paese. Il terreno<br />

della zona è notoriamente instabile, frane e<br />

smottamenti sono molto frequenti e, proprio uno<br />

sprofondamento ha fatto inclinare l'architrave del<br />

portale, dando alla chiesa un aspetto sbilenco<br />

unico al mondo (vedi foto). All'interno sono conservati<br />

un trittico di Ambrogio Lorenzetti: una<br />

Madonna col Bambino e ai lati San Pietro e San<br />

Paolo; una Madonna del Rosario del Beccafumi<br />

e una Deposizione del Salimbeni. Alle spalle<br />

della chiesa, si sale in breve all'Oratorio del<br />

Crocifisso, oggi adibito a museo. Francesco<br />

Nasini e Sebastiano Folli sono gli autori più rappresentati.<br />

Splendida è la croce di Luca di<br />

Tommè, maestro senese che la realizzò intorno<br />

al 1360. Fuori dalla Porta di Maremma, completa<br />

il quadro dei monumenti del paese la chiesetta<br />

della Madonna, con affreschi del Quattrocento.<br />

Un'altra mèta da non perdere, è il sasso monumento<br />

naturale che caratterizza il paese, il torrione<br />

che domina l'abitato, e che si raggiunge per<br />

una ripida strada asfaltata e poi per delle strette<br />

gradinate di pietra abbarbicate alla rupe.<br />

Anche i dintorni di Roccalbegna meritano senz'altro<br />

una visita. La frazione di Cana conserva parte<br />

del suo aspetto medioevale ed ospita una bella<br />

cisterna di età medicea. Poco prima, a Vallerona,<br />

si possono osservare la chiesa di San Pio I e una<br />

fontana neoclassica. Chi s'interessa alla natura<br />

può seguire verso sud la strada sterrata che<br />

costeggia l'Albegna, è percorribile in parte in<br />

macchina per poi proseguire a piedi. Pioppi e<br />

salici prendono il posto di lecci e ginestre, non è<br />

difficile osservare numerose specie di uccelli<br />

come il merlo acquaiolo e il martin pescatore. Si<br />

affaccia sul fiume anche l'Oasi WWF del Bosco<br />

29<br />

Rocconi, che ospita rari rapaci come il biancone,<br />

il lodolaio, lo sparviero e il lanario. Poco a oriente<br />

di Roccalbegna è<br />

Triana, un poderoso<br />

castello passato nel<br />

1388 dagli<br />

Aldobrandeschi ai<br />

Piccolomini di<br />

Siena, formato da<br />

due imponenti fabbricati<br />

e da un<br />

poderoso torrione in<br />

buona parte rivestito<br />

dall'edera.<br />

Altro importante<br />

appuntamento è la<br />

visita al museo<br />

etnografico di Santa Caterina. Questo museo,<br />

inaugurato nel novembre 1987, è nato con lo<br />

scopo di documentare la vita quotidiana e la storia<br />

sociale ed economica dei territori della valle<br />

dell'Albegna e dell'Amiata. L'esposizione riguarda<br />

diversi oggetti e strumenti dei secoli XIX e XX,<br />

come utensili per la tessitura e la filatura, per la<br />

raccolta e la lavorazione delle castagne e per la<br />

pastorizia.<br />

Sono due le manifestazioni più importanti che si<br />

svolgono in paese, la prima in ordine di tempo è<br />

la Festa di San Cristoforo che ha il culmine il 25<br />

luglio giorno dedicato al Santo Patrono di<br />

Roccalbegna. La festa inizia con una lunga processione<br />

che parte dalla Chiesa romanica.<br />

Nel mese di agosto si organizza invece la sagra<br />

di Mezz'Agosto. Come detta il nome, la sagra si<br />

svolge a metà agosto ed è organizzata per ricordare<br />

il biscotto salato, ciambella dal sapore aromatico<br />

grazie all'uso d'anice, che i contadini<br />

gustavano come spuntino dopo la mietitura. Ed<br />

anche oggi è molto indicato come taglia fame.<br />

Luogo indicato come dimora preferita di vecchi e<br />

bambini nei mesi caldi per il suo clima fresco e<br />

asciutto.


SEMPRONIANO<br />

MUSEO MINERALOGICO<br />

DI SEMPRONIANO<br />

ASSOCIAZIONE CULTURALE "LA PIAZZOLETTA"<br />

Il Museo Mineralogico di Semproniano, situato<br />

nella piazza principale del paese, è allestito negli<br />

ambienti che, un tempo, furono sede del Comune.<br />

Il museo nasce dalla volontà e dall'impegno di privati<br />

che, uniti dall'amore per questi luoghi e dalla<br />

passione per i minerali, si sono uniti per dar vita ad<br />

un'associazione culturale, La Piazzoletta, il cui<br />

compito statutario è proprio quello di valorizzare e<br />

tutelare la storia e le peculiarità di queste zone. La<br />

mostra permanente, a cui è dedicato tutto il secondo<br />

piano della palazzina, si articola in due ambienti<br />

appositamente allestiti per presentare al meglio<br />

una collezione mineralogica caratterizzata dalla<br />

presenza di numerosi esemplari di provenienza<br />

nazionale e locale, la cui rarità, ne determina l'alto<br />

valore scientifico e didattico.<br />

All'interno delle sale è infatti possibile visionare le<br />

teche dove sono disposti minerali anche di dimensioni<br />

considerevoli oltre, ad una ricca "collezione<br />

sistematica" che si compone di campioni ormai<br />

assolutamente introvabili.<br />

La scelta di indirizzare il proprio lavoro verso la raccolta<br />

e la valorizzazione di esemplari così caratteristici,<br />

vuole collocarsi all'interno di un percorso d'in-<br />

32<br />

tegrazione con quelle che sono le prerogative e le<br />

finalità del neonato Parco Museo delle Miniere<br />

dell'Amiata, esperienza unica nel suo genere che,<br />

attraverso un recupero attento delle aree minerarie<br />

dismesse, punta alla salvaguardia<br />

di una storia e di un<br />

sapere che tanto hanno segnato<br />

la crescita e lo sviluppo di<br />

queste zone. Tale attività di<br />

recupero non poteva, a nostro<br />

avviso, prescindere dall'identificazione<br />

di un luogo in cui raccogliere<br />

e catalogare campioni<br />

pregevoli di ciò che può essere<br />

definito la "materia prima" di<br />

tanta operosità umana. È in<br />

quest'ottica che il Museo<br />

Mineralogico di Semproniano<br />

ha trovato le basi e la spinta<br />

propulsiva per iniziare quest'attività di raccolta e<br />

catalogazione che oggi, grazie anche alla fattiva<br />

collaborazione tra privati e amministrazioni locali,<br />

rappresenta un virtuoso e positivo esempio per l'intera<br />

zona dell'Amiata.<br />

MUSEO MINERALOGICO<br />

Museo Mineralogico di Semproniano<br />

Associazione Culturale "La Piazzoletta"<br />

P.zza del Popolo,15<br />

58055 SEMPRONIANO (GR)<br />

tel. +39 333 7363393 +39 347 3535346<br />

e-mail lapiazzoletta@yahoo.it sito internet<br />

www.lapiazzoletta.it<br />

ingresso libero<br />

ORARIO:<br />

VENERDI' ore 16 - 20<br />

SABATO ore 16 - 20<br />

DOMENICA ore 16 - 20<br />

dal 1Giugno al 30 Settembre:<br />

tutti i giorni ore 10 - 13 e 16 - 20


POESIE<br />

A SATURNIA<br />

Amo con tutto il cuore il mio paese<br />

e la sua gente semplice e cortese<br />

con le sue case bianche allineate<br />

e le sue grandi piazze illuminate<br />

la bella chiesa con il campanile<br />

alto nel cielo, snello e pur gentile<br />

ci sono ristoranti negozi alberghi e bar<br />

con i turisti che ci vengono a trovar<br />

perché Saturnia terra di Maremma<br />

possiede un gran tesor che a tutti insegna<br />

a ringraziare Dio di averci dato<br />

una calda sorgente che ricchezza ha portato<br />

vengono da tutto il mondo per curarsi<br />

per trovare pace e per rigenerarsi<br />

passeggiando sulle strade e per i prati<br />

verdi vigne e di ulivi argentati<br />

a questo punto non posso scordare<br />

tra le altre cose belle da ammirare<br />

c'è la Porta Romana col castello<br />

la via Clodia, le mure antiche e quello….<br />

Che fecero nei secoli di storia<br />

Ricca di grande civiltà e di gloria.<br />

SENZA TITOLO<br />

Milena Bartolini Petreni classe 1928<br />

Al mattino, all'alba, è tutto silenzio. Io, penso,<br />

vedo, e ascolto.<br />

La mia terra, la mia maremma. Inizia il giorno, e<br />

gli uccelli<br />

Si scaldano al sole. Terra verde, terra di sole e<br />

mare.<br />

Come sono fortunato, ad essere qui. I grandi<br />

sapori della cucina toscana, cibi semplici.<br />

Il vento di maestrale, fa volare le foglie, le eleva,<br />

come in una danza. Terra di cacciatori, di contadini,<br />

di persone semplici. Il vento di maestrale, fa<br />

volare le foglie, le eleva, come in una danza.<br />

Terra di cacciatori, di contadini, di persone semplici.<br />

Come cercare questo mondo altrove? Io ce<br />

l'ho. Terra, dove amicizia e rispetto esiste ancora,<br />

dove il gemere di un bambino, fa ancora sorridere,<br />

dove, ogni giorno la vita mi è amica. Essere<br />

maremmano, è un vanto. Essere, in mezzo alla<br />

natura, mi gratifica. Questa terra, nei secoli, è<br />

stata dura, lo è ancora. Ma, adesso, che il mondo,<br />

stà cambiando, tu maremma, sarai, sempre uguale.<br />

Ti amo! Se volessi una donna saresti tu.<br />

Maurizio Bernardi Follonica<br />

33<br />

SERA ESTIVA<br />

Sui declivi selvatici<br />

si muove il rovo<br />

l'aroma punge la sera estiva<br />

lente ondeggiano i fianchi<br />

mucche stanche<br />

alle fonti.<br />

ALTA MAREA<br />

Scoscesa iridescenza<br />

sulla marea che sale .<br />

Lo scoglio bianco<br />

e la vita si soffre<br />

e disperatamente si ama<br />

I TESORI DELLA NATURA<br />

Su questa piana<br />

le folte gronde<br />

regalano la meria,<br />

ove li giace<br />

lo stanco contadino,<br />

ma subito il bestiame<br />

lo richiama,<br />

allora rincrespa la fronte<br />

e con la falcetta<br />

riparte a fare il mangime.<br />

Mi volto e vedo un vecchio casale,<br />

pieno di ricordi che si spera<br />

verranno tramandati al futuro.<br />

Varco la porta d'ingresso<br />

e una vita si immerge<br />

nei miei pensieri.<br />

Molti oggetti posti là<br />

sono senza valore<br />

che invece rappresentano<br />

il percorso di molte persone<br />

che l'anno vissute con tanto amore.<br />

Meriggio: qui dove il presente e il passato<br />

Sono una sola epoca<br />

e il sorriso e la cortesia<br />

sono sempre di casa<br />

Serena Bocchi<br />

Serena Bocchi<br />

Sara Giomarelli Catabbio


GIOCHI DEL PASSATO<br />

In Italia, fino agli anni '60, giochi dovevamo inventarseli,<br />

difficilmente le finanze di allora ci permettevano<br />

di acquistare giocattoli in negozio. Quindi<br />

diventava un vero e proprio lavoro, costruire i giochi<br />

che avremmo poi condiviso con gli amici. Alla fine<br />

degli anni '60,invece, con il rapido aumento del<br />

benessere, i bambini hanno potuto procurarsi giochi<br />

nei negozi. Nel frattempo, le strade sono diventate<br />

sempre meno sicure e, i bambini non giocano<br />

più nella strada, come facevamo noi, sono<br />

rinchiusi tutto il giorno in casa davanti al<br />

computer o ai giochi elettronici. Questa<br />

nuova situazione ha portato alla scomparsa<br />

dei giochi di una volta anzi, i nostri figli<br />

proprio non li conoscono. È un vero peccato<br />

che vadano persi perché, oltre a divertire servivano<br />

a far socializzare i ragazzi fra se ed anche i<br />

ragazzi con gli adulti.<br />

TAPPINI<br />

Mi ricordo quando lungo i marciapiedi del viale della<br />

Pace, facevamo le gare con i tappini delle bottiglie,<br />

ed il tempo trascorreva così velocemente che ci<br />

ritrovavamo a sera quasi senza accorgersene.<br />

All'inizio del gioco era di rito zavorrare il tappino,<br />

per fare in modo che si appesantisse ed evitasse<br />

traiettorie strane. C'era chi lo riempiva di mollica<br />

bagnata, chi con una gomma da masticare e, chi<br />

con dischetti di gomma, ognuno di noi<br />

aveva una propria teoria per renderlo<br />

più stabile e veloce. Dovevamo stare<br />

attenti però a non appesantirlo troppo,<br />

perché ciò avrebbe potuto portare conseguenze<br />

dolorose al dito con cui lo lanciavamo.<br />

La corona del tappo infatti, ancora oggi<br />

non è liscia, ma contiene delle sporgenze che servono<br />

per sigillare la bottiglia ed anche ad agganciarci<br />

i denti dell'apri bottiglia. Se il tappo era troppo<br />

pesante, si correva il pericolo di ferirsi al dito che<br />

serviva da start. Erano gare avvincenti che simulavano<br />

la gare di formula uno con sorpassi al limite.<br />

IL TRATTORE<br />

I ragazzi della mia età, ricorderanno che i fili che<br />

servivano alla mamma per cucire erano avvolti nei<br />

rocchetti; ma cosa sono i rocchetti? Si tratta di piccoli<br />

cilindri in legno, con bordi rialzati per trattenere<br />

il filo del cotone di cui sono avvolti. Un foro all'interno<br />

serve per infilarli sulle macchine da cucire. In<br />

ogni casa si cuciva, pertanto capitava spesso di<br />

averne a disposizione e, viste le ampie possibilità di<br />

riutilizzo non venivano mai buttati via. Con questi<br />

elementi la costruzione che ricordo con maggiore<br />

affetto è il trattore.<br />

Ma come si costruiva un trattore? Ora proverò a<br />

36<br />

spiegarvelo sperando di essere abbastanza chiaro.<br />

Occorrono uno o più rocchetti, un po' di cera o una<br />

scheggia di sapone, un piccolo chiodo, due fiammiferi<br />

o due legnetti tagliati: uno più lungo, circa due<br />

volte il diametro del rocchetto, e uno più corto.<br />

Con un temperino si incidono piccoli denti sui bordi<br />

del rocchetto in modo da simulare i cingoli del trattore.<br />

Si prepara poi un piccolo disco forato che fungerà<br />

da frizione utilizzando la cera o il sapone.<br />

Si infila l'elastico attraverso il foro centrale<br />

del rocchetto e lo si trattiene da una parte<br />

con il legnetto o il fiammifero più corto, fissato<br />

a sua volta in una leggera scanalatura<br />

o dal piccolissimo chiodo. Dall'altra<br />

parte sarà inserito il fiammifero più lungo, interponendovi<br />

la frizione. A questo punto bisogna far<br />

roteare il legnetto più lungo in modo che l'elastico si<br />

attorcigli su se stesso. Così si carica, immagazzinando<br />

energia che sarà poi liberata lentamente grazie<br />

all'azione frenante della frizione. Il legnetto più<br />

lungo, appoggiandosi al terreno, spingerà avanti il<br />

mezzo. Piano piano, lo si vedrà muoversi.<br />

FIONDA<br />

Un altro giocattolo molto comune dalle nostre parti<br />

era la fionda che i ragazzi si costruivano con poco<br />

materiale e tutto facilmente reperibile. La difficoltà<br />

maggiore era trovare una forcella di<br />

legno molto duro, in modo che non si<br />

spezzasse facilmente. Il legno preferito<br />

era il crognolo ma, in mancanza di esso<br />

ci arrangiavamo anche con altri legni. La<br />

forcella veniva sottoposta a prove di<br />

tenuta e solo dopo si passava al montaggio della<br />

fionda. Con le forbici si tagliava la gomma di una<br />

camera d'aria bucata da bicicletta dalla quale si formavano<br />

due lacci di uguale misura e di uguale larghezza<br />

che venivano legati alla forcella con altri<br />

lacci più piccoli o con dello spago; all'altra estremità<br />

veniva legato un piccolo pezzo di pelle tagliato in<br />

ovale che doveva contenere il proiettile. A questo<br />

punto la fionda era pronta. All'inizio degli anni settanta,<br />

i negozi di armi misero in vendita le prime<br />

fionde industriali che erano costruite su una forcella<br />

in metallo con lacci di caucciù intercambiabili.<br />

Pochi però erano quelli che se la potevano permettere<br />

ed inoltre i lacci non erano ancora molto sicuri,<br />

si preferiva costruirsela da sé.<br />

Voglio far presente però a coloro che volessero<br />

dotarsi di una fionda, che oggi la legge non la considera<br />

più un gioco da ragazzi, ma è considerata un<br />

arma e quindi vietata. Se le forze dell'ordine vi trovassero<br />

con indosso una fionda sareste passibili di<br />

denuncia, quindi fate attenzione.


GIOCHI DEL PASSATO<br />

LE BIGLIE<br />

Per i ragazzi dei primi anni sessanta, esistevano<br />

due tipi di biglie con il quale giocare su piste<br />

di sabbia o altri percorsi inventati, ve ne erano<br />

quelle povere costruite in terracotta colorata e,<br />

quelle belle costruite in vetro colorato all'interno.<br />

Le seconde non erano facilmente reperibili<br />

perché dovevano essere acquistate ed i soldi<br />

non c'erano. Quei pochi che le possedevano<br />

era come se avessero un valore inestimabile.<br />

Io avevo scoperto un sistema per procurarmi le<br />

biglie in vetro senza incidere sulle finanze della<br />

famiglia. Mio padre è<br />

sempre stato proprietario<br />

di un bar ristorante,<br />

ed in quel periodo<br />

una marca di gassose<br />

di cui non ricordo il<br />

nome inseriva nella<br />

bottiglia una capsula di<br />

plastica contenente<br />

una biglia in vetro. Tutti<br />

i giorni quindi andavo<br />

in magazzino prendevo<br />

la cassetta delle<br />

gassose e con un temperino<br />

cercavo di recuperare<br />

la biglia. Erano la gioia anche dei miei<br />

amici perché erano così tante che ci potevamo<br />

giocare tutti.<br />

REGOLE DEI GIOCHI<br />

REGINA, REGINELLA<br />

Gioco di gruppo in cui un bambino funge da<br />

"regina" con il compito di dare ordini sul percorso<br />

da fare seguire ai bambini del gruppo.<br />

Alla domanda: "Regina, reginella quanti passi<br />

devo fare per arrivare al tuo castello?", la regina<br />

risponde ad esempio:"Quattro passi da<br />

leone". Oppure: "Un passo da formica". In questo<br />

modo la regina ha la possibilità di fare vincere<br />

chi vuole.<br />

QUATTRO CANTONI<br />

Il gioco comprende cinque giocatori: quattro si<br />

posizionano agli angoli della strada e uno sta al<br />

centro. Quest'ultimo dovrà soffiare il posto ad<br />

uno dei quattro cantoni mentre cambiano di<br />

posto.<br />

SOFFIARE LE FIGURINE<br />

Gioco di gruppo prettamente maschile che con-<br />

37<br />

sisteva nel posizionare a terra un mazzo di<br />

figurine (per lo più relative a giocatori di calcio)<br />

e soffiarvi vicino per farlo girare. Vinceva chi<br />

riusciva a fare girare più figurine.<br />

GIOCARE CON LE BIGLIE<br />

Gioco maschile consistente nel fare scontrare<br />

tra di loro le biglie di vetro. Il giocatore che vi<br />

riusciva vinceva la biglia.<br />

NASCONDINO<br />

Gioco di gruppo in cui i partecipanti dovevano<br />

nascondersi in un<br />

nascondiglio per non<br />

essere trovati dal giocatore<br />

che faceva la<br />

conta.<br />

ACCHIAPPARELLO<br />

Gioco di gruppo in cui<br />

il bambino che faceva<br />

la conta doveva riuscire<br />

ad acchiappare<br />

almeno uno dei partecipanti<br />

per essere libero.<br />

UN, DUE, TRE, STELLA<br />

Era un gioco di gruppo in cui un bambino rivolto<br />

verso il muro doveva ripetere la frase "Un,<br />

due, tre, stella" e contemporaneamente voltarsi<br />

verso i compagni che dovevano a mano a<br />

mano avvicinarsi a lui. Nel momento in cui il<br />

bambino si girava, però, gli altri dovevano rimanere<br />

immobili altrimenti erano squalificati.<br />

MOSCA CIECA<br />

Gioco di gruppo in cui un bambino bendato<br />

doveva riuscire a toccare uno dei partecipanti<br />

che gli giravano intorno.<br />

LE BELLE STATUINE<br />

I bambini, fingendosi delle piccole statue,<br />

mimavano delle azioni di uso comune. Uno di<br />

loro che non mimava doveva scegliere una<br />

bella statuina e dire cosa stesse facendo.


ANGOLO DEL LIBRO A CURA DI CORRADO BARONTINI<br />

MOSAICO DI UNA VITA "ARTEMIO"<br />

Nei primi giorni di luglio dello scorso anno, è giunto<br />

alla nostra redazione un plico contenente un libro di<br />

Stefania Belli dal titolo "Moasico di una vita -<br />

Artemio". C'era anche l'invito alla sua presentazione<br />

che si teneva il 20 luglio 2007 a Roma presso la<br />

libreria Libe.Men.TE. Non siamo riusciti ad essere<br />

presenti ma, ringraziamo l'autrice per averci inviato<br />

la propria opera che oggi proponiamo anche ai nostri<br />

lettori.<br />

Ecco la nota<br />

del risvolto di<br />

copertina:<br />

Una corsa che<br />

dura una<br />

notte. Un ultimo<br />

sguardo<br />

indietro a un<br />

passato perduto<br />

per sempre,<br />

e poi<br />

avanti. Ogni<br />

giorno un<br />

nuovo pezzo,a<br />

comporre il<br />

Mosaico di<br />

una vita.<br />

Artemio non è<br />

solo un giovane,<br />

eroe<br />

romantico in<br />

formazione<br />

nella Maremma tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del<br />

Novecento. La sua storia è anche quella di un coro<br />

di altri personaggi che cresce insieme a lui. E' la storia<br />

di un contadino che si emancipa, che impara a<br />

conoscere, diventando oltre che un uomo anche un<br />

cittadino. Eppure questo non è un libro politico, non<br />

in senso stretto. Lo è, al contrario, se per politica<br />

s'intende l'alto senso civico di una piccola comunità.<br />

E' quindi anche l'affresco impressionista di un'epoca<br />

nel più vasto " mosaico" della storia italiana. I colori<br />

del racconto sono quelli tipicamente toscani, vividi<br />

ma delicati, che lasciano sulla pagina vivaci regionalismi<br />

lessicali. Ugualmente le emozioni forti e i sentimenti,<br />

mai indecisi, sono raccontati da una voce narrante<br />

breve ma dall'entità inconfondibile, per la sua<br />

intrinseca musicalità tutta poetica: la vera cifra stilistica<br />

di questo viaggio in un mondo talmente genuino<br />

che oggi ha quasi il sapore di un miraggio di<br />

autenticità, come la tenerezza perduta dell'adolescenza.<br />

39<br />

La scrittrice è nata a Manciano dove vive.<br />

Questa opera è la sua prima pubblicazione.<br />

Naturalmente ci auguriamo che ne seguano altre.<br />

"LA MAESTRINA DI MONTECUCCO"<br />

Questo libro fa parte della collana Arca e viene distribuito<br />

gratuitamente in tiratura limitata. La collana<br />

ospita autori alla loro prima esperienza letteraria è<br />

finanziata da enti pubblici.<br />

La "Maestrina di Montecucco" è la storia di un incontro<br />

e di un innamoramento tra una maestra al suo<br />

primo incarico e un medico condotto. È il racconto<br />

autobiografico delle prime emozioni di una giovane,<br />

delle sensazioni e delle scoperte. Intorno c'è la<br />

descrizione del mondo di quegli anni, delle persone<br />

e dei luoghi, dei rapporti e dei modi di vivere, delle<br />

famiglie contadine e borghesi. Il tratteggio di questa<br />

società, in taluni casi, prevale e domina la scena<br />

narrativa offrendosi ad una lettura attenta a cogliere<br />

il contesto sociale in cui la storia d'amore nasce e si<br />

sviluppa.

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