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Numero 12 - Pilo Albertelli

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«Questo le costerà un mucchio di soldi» annunciò<br />

l'artista. «Ma immagino che non vorrà<br />

tutti quei quadretti: basteranno i contorni e<br />

qualcuno dei tratti più belli.»<br />

«Lo voglio esattamente così» dichiarò Parker.<br />

«O così o niente.»<br />

«Contento lei... Ma un lavoro simile non lo<br />

faccio per quattro soldi.»<br />

«Quanto?»<br />

«Ci vorranno due giorni di lavoro.»<br />

«Quanto?» ripeté Parker.<br />

«A rate o in contanti?» domandò l'artista. Gli<br />

altri lavori, Parker li aveva fatti a rate, ma l'aveva<br />

sempre pagato. «Dieci di deposito e dieci<br />

per ogni giorno di lavoro.» Parker tirò fuori<br />

dieci dollari dal portafoglio; gliene rimasero<br />

tre.<br />

«Venga domattina» disse l'artista, intascando<br />

il denaro. «Prima dovrò tirar giù lo schizzo<br />

dal libro.»<br />

«No, no!» esclamò Parker. «O fa lo schizzo<br />

subito o mi dà indietro i miei soldi.» E gli occhi<br />

gli scintillavano minacciosi, come se fosse<br />

pronto a fare a pugni.<br />

L'artista acconsentì. Un tipo così stupido da<br />

volere un Cristo sulla schiena, rifletté, poteva<br />

anche cambiare idea da un momento all'altro,<br />

ma una volta cominciato il lavoro non avrebbe<br />

più avuto modo di tirarsi indietro.<br />

Mentre ricalcava il disegno, disse a Parker di<br />

andarsi a lavare la schiena all'acquaio col sapone<br />

speciale. Parker obbedì, poi tornò e si<br />

mise a passeggiare avanti e indietro, flettendo<br />

nervosamente le spalle. Aveva voglia di an-<br />

dare a guardare di nuovo la figura e allo stesso<br />

tempo non ne aveva voglia. Alla fine, l'artista<br />

si alzò e gli disse di sdraiarsi sul tavolo.<br />

Gli sfregò la schiena. col cloruro d'etile, poi<br />

cominciò a tracciare la testa con la matita allo<br />

iodio. Passò un'ora, prima che prendesse in<br />

mano l'ago elettrico. Parker non sentì un dolore<br />

eccessivo. In Giappone gli avevano tatuato<br />

un Budda sull' omero con degli aghi<br />

d'avorio; in Birmania, un ometto marrone,<br />

che pareva una radice, gli aveva tatuato un<br />

pavone per ginocchio con dei bastoncini appuntiti<br />

lunghi sessanta centimetri; e parecchi<br />

dilettanti l'avevano lavorato con spilli e fuliggine.<br />

Di solito, Parker era così disteso e tranquillo,<br />

sotto le mani dell'artista, che gli capitava<br />

di addormentarsi, ma quella volta rimase<br />

sveglio, con tutti i muscoli tesi.<br />

A mezzanotte, l'artista annunciò che doveva<br />

smettere. Piantò sul tavolo contro il muro uno<br />

specchio d'un metro e venti di lato, andò al<br />

gabinetto a prenderne uno più piccolo e lo<br />

mise in mano a Parker. Parker voltò le spalle<br />

allo specchio sul tavolo e mosse l'altro finché<br />

non vide scaturire un'esplosione di colori<br />

sgargianti: aveva la schiena quasi completamente<br />

coperta di quadretti rossi e blu, color<br />

avorio e zafferano. Parker distinse i lineamenti<br />

della faccia: una bocca, l'attaccatura<br />

delle sopracciglia folte, un naso dritto. Ma il<br />

volto era vuoto: gli occhi non erano ancora<br />

stati tracciati. Sulle prime, gli sembrò che<br />

l'artista l'avesse imbrogliato e avesse disegnato<br />

Gesù amico del medico.<br />

«Non ha gli occhi!» esplose.<br />

«Arriveranno a suo tempo» promise l'artista.<br />

«Abbiamo ancora un giorno di lavoro.»<br />

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